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ISSN 2724-1963
ALDO FRANCESCHINI
1
ANNO 2 | GENNAIO-MARZO 2021
sommario
Editoriali pag.
Giustizialismo, garantismo e impunitismo
di FRANCESCO PETRELLI .............................................................................................. 1
Prospettive
Recensione de “l’imputato”, di Gaia Caneschi, Giuffré Francis Lefebvre,
Milano, 2021
di CONCETTO DANIELE GALATI .................................................................................. 7
Gli attacchi alla funzione difensiva nella giurisprudenza della corte europea
dei diritti dell’uomo: il caso Azerbaigian ed il valore della solidarietà
nell’avvocatura
di FEDERICO CAPPELLETTI ........................................................................................... 21
Corte costituzionale
Waiting for godot
di PIETRO INSOLEA e STELLA ROMANO ...................................................................... 45
Il rumore sordo e prolungato della battaglia
di MARCELLO FATTORE .............................................................................................. 75
Diritto penale
La storia del diritto penale “giurisprudenziale”
di ADELMO MANNA ................................................................................................... 107
Il nuovo reato di abuso d’ufficio e la discrezionalità amministrativa
di GAETANO VICICONTE .............................................................................................. 116
Diritto processuale
Massime d’esperienza: i rischi di abuso nell’utilizzo di un ineliminabile
strumento conoscitivo (inedito)
di ALDO FRANCESCHINI............................................................................................... 125
Come il mugnaio di sans-souci alla infinita ricerca di giustizia
di MARIO GRIFFO ...................................................................................................... 150
II SOMMARIO
Dirtto penitenziario
C’è chi non butta la chiave? Sulla funzione sociale della difesa, tra costitu-
zione, legalità e rieducazione per un ripensamento corale sull’attualità
del 41-bis e dei regimi ostativi
di VERONICA MANCA ................................................................................................. 171
Europa
Oss. Europa - Giurisprudenza Corte EDU 1-2021 ......................................... 199
Oss. Europa - Corte di Giustizia UE 1-2021.................................................... 205
Giurisprudenza
Sezioni Unite penali .............................................................................................. 213
Legislazione
Recenti sviluppi legislativi e giurisprudenziali in materia di mandato di
arresto europeo
di ANDREAVENEGONI ................................................................................................. 243
Cass. pen., Sez. V, 14 settembre 2020 (dep. 14 ottobre 2020), n. 28559, Pres.
Pezzullo - Est. e Rel. Riccardi - P.M. Cennicola (diff.)
Prova indiziaria e massime d’esperienza esercitano da sempre grande fascino per gli
studiosi della materia. Presentano inoltre una enorme importanza pratica, di cui, però,
gli attori del processo spesso si mostrano poco consapevoli. La sentenza giudica un
caso emblematico e consente così un utile riepilogo di alcuni principi importanti in
materia di valutazione della prova indiziaria. È l’occasione per proporre una lettura
dei criteri dettati dall’art. 192 co. 2 c.p.p. non del tutto aderente a quella tradizionale.
Ma è soprattutto l’occasione per far emergere una serie di problematiche specifica-
mente connesse all’uso giudiziario del sapere esperenziale, dal controllo sulle ‘false’
massime d’esperienza nel corso del giudizio di primo grado alla successiva verifica sul
loro utilizzo nelle fasi impugnatorie.
(1) Non solo per i penalisti, ma anche per i civilisti. Tra questi ultimi, per tutti,
M. TARUFFO, La prova dei fatti giuridici, Giuffrè, Milano, 1992, passim, in particolare
p. 194, 245, 308.
(2) M. NOBILI, Nuove polemiche sulle cosiddette « massime d’esperienza », in
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Riv. it. dir. proc. pen., 1969, p. 188, sottolinea la « ricchezza di prospettive offerte dal
tema delle massime d’esperienza nel processo penale ». Per la verità negli ultimi
anni il tema sembra aver perso l’appeal di un tempo e il dibattito scientifico si è un
po’ sopito. Si segnala, tra i lavori più recenti, l’approfondito studio di R. PALAVERA,
Scienza e senso comune nel diritto penale. Il ricorso problematico a massime di
esperienza circa la ricostruzione della fattispecie tipica, Edizioni ETS, Pisa, 2017, e, da
ultimo, F. FALATO, I saperi del giudice. A proposito dell’uso della scienza privata nel
processo penale, Satura editrice, Napoli, 2020.
128 DIRITTO PROCESSUALE
(3) Un terzo motivo di ricorso riguardava i due episodi di tentato furto ed era
incentrato sul mancato riconoscimento della continuazione rispetto ad altra senten-
za di condanna. Trattandosi di questione del tutto inconferente rispetto ai temi qui
affrontati, mi asterrò dalla disamina delle parti della sentenza che lo affrontano (§
2.3 e 3), limitandomi a dare conto della decisione della Corte sul punto (infra sub 3).
(4) La difesa aveva censurato, in particolare, l’incertezza sulla provenienza
della traccia, in quanto non sarebbe stata raggiunta la prova in ordine alla superficie
su cui essa era stata rilevata, né sulla precisa ubicazione.
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(7) Le c.d. funzioni induttive, per usare la celebre formula di Cordero (Pro-
cedura penale, VIII ed., Giuffrè, Milano, 2006, p. 586 ss.), o le prove critico-
indiziarie, per seguire quella proposta da Ferrua. Sul tema la letteratura è pratica-
mente sterminata. In questa sede, non potendo darne conto, mi limito a segnalare
due opere che si caratterizzano per l’originalità dell’impostazione: F.M. IACOVIELLO,
La motivazione della sentenza penale e il suo controllo in Cassazione, Giuffrè,
Milano, 1997, p. 198 ss., e P. FERRUA, La prova nel processo penale. Volume I.
Struttura e procedimento, II ed., Giappichelli, Torino, 2017, p. 66 ss.
(8) In ordine al discrimen tra sospetto e indizio la sentenza Tanase cita la
recente Cass. pen., Sez. V, 17 gennaio 2020, n. 17231, Mazza, in CED Cass. n.
279168. Sul tema appare utile soggiungere solo il richiamo ad un dato normativo
emblematico che la sentenza in commento, però, non evoca esplicitamente. Il
riferimento è all’art. 116 disp. att. c.p.p., rubricato « Indagini sulla morte di una
persona per la quale sorge sospetto di reato ». Si tratta dell’unico articolo, almeno
nell’ordito codicistico, che ospita il lemma “sospetto”. Ebbene, proprio la lettura dei
due commi di cui esso si compone certifica la distinzione anche normativa tra
sospetto e indizio: in caso di morte di una persona, il mero « sospetto di reato »
ALDO FRANCESCHINI 131
(20) Secondo P. FERRUA, La prova nel processo penale, cit., p. 188, « Con ‘gravi’
si qualifica il legame che deve sussistere tra le premesse probatorie e la proposizione
da provare », mentre « con ‘precisi’ si allude alla circostanza che siano ben deter-
minati nei loro contorni ».
(21) A titolo esemplificativo, si pensi, per restare aderenti al caso giudiziario
qui oggetto di commento, al dato indiziante rappresentato dall’aggancio dell’utenza
mobile in uso all’imputato alle celle telefoniche corrispondenti all’area geografica in
cui è stato commesso il reato. Da tale circostanza si può desumere, senza necessità
di ulteriori convergenti elementi probatori (quindi, sulla base di un unico indizio), la
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presenza dell’imputato in tale area, sulla base della massima d’esperienza secondo
cui il possessore di un dispositivo mobile lo porta sempre con sé.
(22) Sul tema restano sempre fondamentali gli studi di M. NOBILI, Il principio
del libero convincimento del giudice, Giuffrè, Milano, 1974.
(23) Per un brillante studio sulle interferenze tra i due princìpi, si veda G.
CARLIZZI, Libero convincimento e ragionevole dubbio nel processo penale. Storia
prassi teoria, Bonomo Editore, Bologna, 2018.
(24) Principio del cui ‘rafforzamento’ oggi si discute in vista del recepimento
— per la verità, fuori tempo massimo — della direttiva UE n. 343/2016 del 9 marzo
2016, che riguarda, è bene rammentarlo, non solo il suo versante di regola di
trattamento (forse maggiormente valorizzato nell’attuale dibattito politico e pub-
blico per i frutti avvelenati che il fenomeno patologico del processo mediatico è
suscettivo di generare), ma anche la sua dimensione di regola di giudizio. Con
riguardo a tale ultimo profilo si veda in particolare il considerando n. 22, ove si
afferma, in tema di onere della prova della colpevolezza, che « le presunzioni di fatto
o di diritto riguardanti la responsabilità dell’indagato o dell’imputato [...] dovreb-
bero essere confinate entro limiti ragionevoli, tenendo conto dell’importanza degli
interessi in gioco e preservando i diritti della difesa, e i mezzi impiegati dovrebbero
essere ragionevolmente proporzionati allo scopo legittimo perseguito. Le presun-
zioni dovrebbero essere confutabili e, in ogni caso, si dovrebbe farvi ricorso solo nel
rispetto del diritto della difesa ».
136 DIRITTO PROCESSUALE
(25) Sulla lettura del principio sancito dall’art. 27 co. II Cost. in termini di
‘negazione passiva’, si vedano le acute osservazioni di P. FERRUA, La prova nel
processo penale, cit., p. 56 ss., secondo cui l’espressione va letta in termini di
agnosticismo, in altre parole con essa si predicherebbe « l’astensione dal giudizio di
colpevolezza ». Molto interessanti le considerazioni espresse sulla scorta di un’ana-
lisi comparata tra l’espressione usata dalla Costituzione e quella, diversa, impiegata
dalla CEDU (art. 6 co. 2). Secondo l’Autore, la regola dettata dalla Costituzione
sarebbe più pregnante avuto riguardo al momento successivo alla pronuncia della
condanna non definitiva; in questo caso « la finzione sta nel non presumere quella
colpevolezza che in via logica sarebbe corretto affermare perché espressa in una
valida sentenza ».
(26) Sui distinti profili del principio di non colpevolezza si vedano L. FERRAJOLI,
Diritto e ragione. Teoria del garantismo penale, Laterza, Bari, 2000, p. 561 ss., E.
MARZADURI, Considerazioni sul significato dell’art. 27, comma 2, Cost: regola di
trattamento e regola di giudizio, in F.R. DINACCI (a cura di), Processo penale e
Costituzione, Giuffrè, Milano, 2010, p. 314 ss., O. MAZZA, La presunzione d’innocen-
za messa alla prova, in Dir. pen. cont., 9 aprile 2019.
(27) Cass. pen., Sez. V, 15 settembre 2020, n. 29877, Stuflesser, § 3.3.1, p. 12.
Già in un passaggio precedente della sentenza si legge, a proposito dei requisiti di
valutazione della prova indiziaria, che per ‘gravità’ si intende « la capacità dimo-
strativa vale a dire la pertinenza del dato rispetto al thema probandum ». Sulla base
di queste coordinate concettuali ed esegetiche, la Corte affronta il tema centrale
della vicenda giudiziaria (relativa alla falsificazione di due testamenti olografi),
rappresentato dalla c.d. teoria del cui prodest. Ed è proprio questo il punto oggetto
di massimazione nei termini seguenti: « In tema di valutazione della prova indiziaria,
l’interesse alla commissione del reato rappresenta un elemento indiziario utile ove
risponda ai requisiti di certezza, gravità e precisione, ma richiede la convergenza di
ulteriori indizi che, valutati prima singolarmente e poi globalmente, ne comportino
la confluenza in un medesimo contesto dimostrativo (Fattispecie relativa alla falsi-
ficazione di due testamenti olografi in cui la Corte ha ritenuto che il solo elemento
dell’interesse dell’imputato, designato erede unico e universale, non è sufficiente per
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(30) P. FERRUA, La prova nel processo penale, cit., p. 187, secondo cui bisogne-
rebbe ritenere che « con ‘indizi’ l’art. 192 c.p.p. non abbia inteso alludere a tutte le
prove che abbiamo classificato come critico-indiziarie, ma soltanto ad una parte di
esse: più precisamente a quelle che non si fondano su una legge scientifica (come le
fotografie, le impronte digitali, il DNA, ecc.), ma su una massima tratta dall’espe-
rienza corrente ».
(31) Non è certo questa la sede per dare conto delle problematiche di tipo
definitorio. Per la dottrina maggioritaria resta fondamentale la definizione dello
Stein, secondo cui le massime d’esperienza sono « giudizi ipotetici di contenuto
generale, indipendenti dal caso concreto da decidersi nel processo e dalle singole
circostanze, conquistati con l’esperienza ma autonomi nei confronti dei singoli casi,
dalla cui osservazione sono dedotti e oltre ai quali devono valere per nuovi casi » (F.
STEIN, Das private Wissen des Richters: Untersuchungen zum Beweisrecht beider
Prozesse, Leipzig, 1893, p. 21). Vale però la pena ricordare, per la sua immediatezza
esplicativa, la definizione proposta da G. CANZIO, Prova scientifica, ragionamento
probatorio e libero convincimento del giudice nel processo penale, in Dir. pen. proc.,
2003, p. 1193 ss., secondo cui le massime formano « l’enciclopedia o il repertorio di
conoscenze dell’uomo medio, che il senso comune offre al giudice come strumento
conoscitivo per la valutazione del fenomeno probatorio in un determinato contesto
storico e culturale ».
(32) Formula estratta da Cass. pen., Sez. IV, 19 novembre 2015 (dep. 2016), n.
12478, in CED Cass. n. 267811-15. Si tratta della sentenza nota come “Grandi
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p. 182, avverte che « La nozione di “massime” [...] può essere, nella vita pratica,
strumento di abuso ».
(35) M. NOBILI, Nuove polemiche sulle cosiddette « massime d’esperienza », cit.,
p. 182, secondo cui ciò accade quando « con la speciosa terminologia di “regole”, si
sia mascherato un elemento di valutazione, nato invece, esclusivamente, dal caso
concreto ». In ogni caso, secondo l’Autore « la battaglia contro simile “malgoverno”
non intacca la nozione in sé di regole d’esperienza ».
(36) M. NOBILI, Nuove polemiche sulle cosiddette « massime d’esperienza »,
ibidem. Sul punto le parole del Maestro bolognese sono davvero icastiche: « Il
giudice “sapeva” che l’imputato era colpevole, ma non lo sapeva nelle forme del
processo e del diritto. Come far risultare quel convincimento in base al quale egli
riteneva di dover rendere giustizia? ».
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(44) Critico rispetto a questo assunto già M. NOBILI, Nuove polemiche sulle
cosiddette « massime d’esperienza », cit., p. 190, secondo cui è discutibile « l’affer-
mazione che le “massime” non abbisognino di prova, ereditata dal vecchio notoria
non egent probatione ». In un passaggio molto significativo rispetto a questo tema, si
legge: « Ammesso, infatti, che il vero fondamento e la vera caratteristica delle
massime risieda esclusivamente nella generalità e certezza di una regola, si potrà ben
discutere proprio di tale qualità [...] Ciò è frutto in special modo dell’incessante
ricambio delle regole d’esperienza, il quale non consente che si possa pacificamente
affermare che le « massime » non abbisognano mai di prova » (p. 145-146).
(45) L’efficace espressione è utilizzata da O. MAZZA, Il garantismo al tempo del
giusto processo, Giuffrè, Milano, 2011, p. 8, 16, 18; si veda anche C. CESARI, Il
principio del contraddittorio: virtù e limiti, in D. NEGRI, L. ZILETTI (a cura di), Nei limiti
della Costituzione. Il codice repubblicano e il processo penale contemporaneo,
Cedam, Padova, 2020, p. 153 ss.
(46) Ne dà conto C. NAIMOLI, Principio di falsificazione tra prova indiziaria e
prova scientifica, cit., p. 14, a proposito del caso dell’omicidio Scazzi. Nel passare in
rassegna le prove indiziarie raccolte in quel processo, si ricorda il dato congiunto
rappresentato dal percorso compiuto da Stasi nell’abitazione della vittima e l’assen-
za sulle suole delle scarpe di tracce ematiche. Secondo l’impostazione accusatoria,
questo rappresentava un indizio a carico, perché avrebbe reso inverosimile la
versione dell’imputato, che affermava di aver compiuto un dato percorso ma di non
essersi sporcato le scarpe di sangue. L’Autrice segnala come nel corso del processo
fu « sottoposta a verificazione per mezzo di un esperimento giudiziale la massima di
esperienza secondo cui l’uomo, per giungere da un punto all’altro, sceglie sempre il
percorso più breve, chiedendo a soggetti sperimentatori di passare da un punto ad
altro di una stanza con il pavimento macchiato di sangue. Il risultato è stato che tutti
i soggetti hanno cercato di evitare le macchie di sangue ». Si sofferma ad analizzare
il valore di tale specifico indizio anche P. TONINI, La Cassazione accoglie i criteri
144 DIRITTO PROCESSUALE
Daubert sulla prova scientifica. Riflessi sulla verifica delle massime di esperienza, in
Dir. pen. proc., 2011, n. 11, p. 1347. Per un attento studio della vicenda processuale,
si vedano anche E. SAVIO, E. STEFANINI, Il caso Garlasco, in C. CONTI (a cura di),
Processo mediatico e processo penale. Per un’analisi approfondita dei casi più
discussi da Cogne a Garlasco, Giuffrè, Milano, 2016, p. 53 ss.
(47) Sembra valorizzare l’aspetto F. MORELLI, I limiti dell’annullamento senza
rinvio e della contestuale decisione sul merito nel giudizio di legittimità, in Cass. pen.,
2019, p. 2123 ss.
(48) Cass. pen., Sez. II, 15 maggio 2013, n. 37413, in CED Cass. n. 256651-53.
Sul punto si vedano le osservazioni critiche di C. SANTORIELLO, Il « Caso Drassich »
ancora in cerca di soluzione: la S.C. sorda alle censure di Strasburgo, in Arch. Pen.,
2013, n. 3, e di S. QUATTROCOLO, La « vicenda Drassich » si ripropone come crocevia di
questioni irrisolte, in Dir. pen. cont., 2013, n. 4, p. 167 ss. L’epilogo della vicenda
giudiziaria, come noto, si è poi avuto con la sentenza C.E.D.U., 22 febbraio 2018, che
ha respinto il secondo ricorso proposto nell’interesse di Drassich, su cui si può
leggere F. ZACCHÉ, Brevi osservazioni su Drassch (n. 2) e diritto alla prova, in Dir.
pen. cont., 2018, n. 3, p. 298 ss.
(49) In sede di gravame di merito, il sindacato potrebbe essere valorizzato
anche in termini di rinnovazione parziale dell’istruzione probatoria ai sensi dell’art.
603 c.p.p.
ALDO FRANCESCHINI 145
(52) Premesso l’assunto, del tutto condivisibile, secondo cui la rilevanza degli
aspetti criminologicamente significativi dovrebbero restare confinati all’ambito delle
indagini, va in ogni caso rimarcata la differenza tra modus operandi e signature,
segnalando come il primo rappresenti « quanto il soggetto compie per mettere in
atto il crimine » e precisando che si tratta di un profilo « dinamico », che « può
modificarsi nei successivi delitti » (cfr. M. PICOZZI, A. ZAPPALÀ, Criminal profiling.
Dall’analisi della scienza del delitto al profilo psicologico del criminale, McGraw-Hill,
Milano, 2002, p. 2). In ordine al modus operandi si veda B.F. CARILLO, U. FORNARI, La
scena del crimine vista con gli occhi della criminologia, in D. CURTOTTI, L. SARAVO (a
cura di), Manuale delle investigazioni sulla scena del crimine. Norme, tecniche,
scienze, Giappichelli, Torini, 2013, p. 796.
(53) In tal senso si veda anche la Relazione di accompagnamento al codice del
1988, ove si legge che il sindacato esercitato dalla Corte di cassazione « non può
spingersi oltre la soglia della manifesta illogicità, cioè non può giustificare la
sostituzione dei criteri e delle massime di esperienza adottati dai giudici di merito
con quelli prescelti invece dalla cassazione » (cfr. Relazione cit., p. 319).
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(55) Per riflettere sul ragionamento giudiziario, da una prospettiva non giuri-
dica, si vedano G. CEVOLANI, V. CRUPI, Come ragionano i giudici: razionalità, euristiche
e illusioni cognitive, in Criminalia, 2017, p. 181 ss., ove, tra le altre cose, si analizzano
i risultati di alcune ricerche effettuate su campioni di giudici in diversi paesi.
Secondo i dati raccolti anche in questo settore risulta dominante l’impiego di sistemi
decisionali di tipo intuitivo a scapito di quelli di tipo deliberativo.
(56) M. NOBILI, Nuove polemiche sulle cosiddette « massime d’esperienza », cit.,
secondo cui le massime d’esperienza, « nei limiti in cui siano correttamente utiliz-
zabili », non possono venire « espulse dal novero degli strumenti processuali, quali
inutili anticaglie » (p. 160); nelle conclusioni, in modo ancora più perentorio, il
Maestro bolognese afferma che « l’utilizzazione di criteri e di regole extranormative
è strumento indispensabile del vaglio probatorio e del giudizio processuale » (p.
190). O. MAZZA, Il ragionevole dubbio nella teoria della decisione, in Criminalia, 2012,
p. 370, ribadisce « il ruolo centrale e ineliminabile delle massime d’esperienza nel
ragionamento probatorio ». In tal senso, per la giurisprudenza, Cass. pen., Sez. IV,
19 novembre 2015 (dep. 2016), n. 12478, cit. (cfr. § 16, p. 80).
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