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Tutto questo mi sembra risuonare con il dibattito recentemente fattosi più intenso su cosa sia la
“canzone d'autore”. Chi è l'autore? Che cosa è l'autorialità? Quando specifichiamo non stiamo
proponendo un'altra perimetrazione, che ha implicita anche una prescrittività? Non sarà meglio
parlare di canzone senza aggettivi? Ecco, così come si tratta di cantare le esperienze dell'umano,
allo stesso modo si tratta di avere di mira la potenza poetica della canzone. Il testo, anzitutto, la
potenza poetica della lingua. La sua capacità immaginativa, come si diceva prima. Che però non
può mai essere disgiunto, essendo appunto canzone e non poesia, dal ritmo, dall'armonia, dalla
melodia e dalla stessa performatività del corpo dell'autore. Per questo, giusto per fare un esempio in
merito, un Achille Lauro oggi per me è a pieno titolo un autore, nel momento in cui performa il
testo di una canzone come Rolls Royce. E' una poetica distantissima dalla mia, ma la riconosco
come poetica, che ha una sua potenza. Per fare un parallelo temporale: negli anni ottanta i Cccp non
erano considerati musica d'autore, c'era ancora una separazione nettissima tra il loro punk e i
cantautori. Eppure, quel Ferretti (ma anche quello Zamboni) non erano autori a pieno titolo? Non
raccontavano storie come era assai diffuso tra i cantautori, ma davano visioni, in cui c'era tutto un
mondo.
Mi rendo conto che non ho sin qui risposto alla domanda iniziale di questa indagine, se la musica
oggi offre ancora spazio all'impegno civile come ha fatto in passato. La risposta è semplice: no, non
offre quello spazio, perché quella nozione di impegno civile oggi ha perduto la sua specificità, e il
suo valore d'uso. E' un bene o un male? Non è né un bene né un male. E' una trasformazione. Se la
musica può sensibilizzare intorno a temi sociali e politici è perché la società è consapevole di sé in
quanto società, e i musicisti, essendo come tutti gli artisti antenne che captano i segnali che hanno
intorno e che li toccano, li restituiscono alla società amplificati. La questione centrale allora è: che
cosa mi tocca, in quanto umano prima ancora che come artista? Ciò che mi tocca è ciò che restituirò
nel momento in cui vado a creare un'opera. Questo però è anche ciò che mi permette di dire che non
è vero che i giovani sono così disimpegnati come si crede. Semplicemente hanno codici diversi da
quelli di un tempo, elaborano i segnali diversamente e creano opere che hanno poco da spartire col
passato. Ma davvero pensiamo che in Achille Lauro non si dia la rappresentazione e la
ripresentazione del mondo che c'è intorno? Poi, certo, restando in quell'ambito i testi di un
Murubutu hanno decisamente più potenza poetica. Ma non è questa la sede per fare valutazioni di
questo tipo. Basti ribadire questo, che una canzone è il precipitato di un'esistenza toccata da infiniti
affetti, e tanto più vale quanto più ci fa sentire toccati dalla molteplicità di questi affetti, offrendoci
uno sguardo nuovo sulle cose.
Nell'anno della pandemia ho scritto un libro che racconta, in maniera narrativa, letteraria, la vita di
Claudio Lolli, e i mondi da lui traversati. Raccogliendo i materiali per la narrazione lessi un
intervento di Claudio (intitolato Mollate le menate e menatene l'autore) in un libretto collettivo
edito da Savelli del '78, Ma non è una malattia. E ho trovato assai attuale quel che diceva: basta con
la canzone consolatoria, fatta di intimismo crepuscolare, e basta con la canzone impegnata, che
serve a rassicurare i funzionari di partito. E, come scrivendo un programma, già peraltro seguito in
Disoccupate le strade dai sogni, e che seguirà ancora di più in futuro, scriveva: “oggi «in canzone»
non si può tentare che qualcosa di assolutamente «inutile», o comunque perlomeno di innominabile:
l'unico modo per dire qualcosa è quello di non dirlo, perché quel «non-dirlo» solamente può
spingere a fondo il bottone del piacere, o, se vi fa piacere, della comprensione. Non spieghiamo più
niente: il potere è chiaro ed è «utile», ed ha anzi bisogno di gente che vada in giro a spiegare la sua
evidenza, la sua utilità. Lavoriamo (o lavorate se volete) ad una canzone assolutamente inutile”.