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I romani e la medicina domestica

L’uso di alimenti per la cura del paziente


A cura di: MICKEY SCARCELLA
Università degli Studi di Siena

Abstract I romani non consideravano la medicina una scienza, ma un insieme di pratiche di


origine magica che venivano eseguite da medici per lo più di origine greca. Questi si affermarono
sempre di più a Roma, tanto da ottenere la cittadinanza sotto il governo di Cesare e di Augusto:
essi erano per lo più schiavi o liberti e all’interno della società erano considerati non più abili di un
qualsiasi artigiano.
Ma, oltre il medico, anche il pater familias si occupava dell’ amministrazione delle cure sanitarie:
questa pratica era detta medicina domestica. Si trattava per lo più di terapie effettuate attraverso
l’amministrazione di alimenti come vino, olio, cavolo o zucca per assistere la persona malata. In
questo articolo, dunque, verranno esposti gli aspetti della medicina domestica e dell’impiego degli
alimenti nella cura del paziente.

Romans didn't consider medicine as science, but a set of magical practices performed by Greeks’
physicians. They claimed in Rome and, during Caesar and Octavianus' kingdoms, they reached
citizenship: many of them were slaves or freedmen and they were considered not much clever
than any workman by society.
Even pater familias was interested in healthcare: this care was named domestic medicine. It was a
treatments’ collection made by use of wine, olive oil, cabbage or pumpkin to attend the sufferer.
So, in this paper, it will be explained the domestic medicine’s features and the use of food in
healthcare.

La medicina romana era, per molti versi, diretta discendente della medicina greca: ad essa
affiancava le conoscenze in materia di altre culture come quella etrusca o egizia. Si pensava,
infatti, che i medici greci fossero bravi nell’individuare le migliori erbe curative per la preparazione
di decotti o misture simili, gli egizi fossero abili nell’ arte chirurgica e gli etruschi attenti all’igiene e
alla salubrità degli ambienti in cui si svolgeva la vita quotidiana. Essa non veniva considerata una
vera e propria scienza, ma un insieme di pratiche e di rituali di origine magica e i medici, a loro
volta, erano i custodi di questo sapere.
A Roma la pratica medica era gestita da persone per lo più provenienti dalla Grecia: essi non
godevano di grandi diritti poiché erano per lo più schiavi o liberti, ma la loro arte li rese sin da
subito importanti all’interno del tessuto sociale, riuscendo ad ottenere, inoltre, i diritti di
cittadinanza sotto il governo di Giulio Cesare e l’impero di Ottaviano Augusto.
Poiché considerata una pratica effettuata da gente di basso rango, le famiglie più abbienti
assoldavano dei precettori esperti in materia di modo che i loro schiavi più abili imparassero
queste conoscenze e le esercitassero per i loro padroni una volta indottrinati.
In città erano presenti anche le tabernae medicae: in questi luoghi si svolgeva l’esercizio che, oltre
l’amministrazione di alcuni composti per la cura delle malattie, prevedeva anche piccoli interventi
chirurgici. Le tabernae erano al servizio della cittadinanza, che non potendosi permettere un
medico personale, usufruiva delle prestazioni offerte dai proprietari di queste botteghe: poiché
non esisteva alcun riconoscimento o attestato che certificassero gli studi effettuati da un medico
era molto facile imbattersi in truffatori.
Anche l’esercito romano usufruiva dei medici: infatti era molto facile incontrare, tra gli schiavi
appartenenti ad alcuni soldati. dei medici. Gli scontri in battaglia erano molto frequenti e molto
spesso erano utili le cure tempestive di un medico per curare i traumi causati da un attacco o le
malattie che un coscritto poteva contrarre durante una campagna militare.
Oltre la medicina tradizionale, si diffusero altri tipi di terapie mediche come la medicina religiosa e
la medicina magica: la prima prevedeva l’invocazione di alcune divinità che, una volta sollecitate,
aiutavano il paziente nel percorso di guarigione; la seconda, invece, prevedeva l’uso di riti,
amuleti, danze e filtri per curare le malattie.
Giunta a queste, si diffuse la medicina domestica. Questo tipo di medicina era gestita in maniera
diretta dal pater familias e la esercitava su tutte le persone, schiavi compresi, poste sotto suo
diretto controllo. Questa perdurò e coesistette con le altre per molti secoli, tanto che personaggi
illustri, come lo scrittore Catone, la preferivano alla medicina tradizionale. Nel suo libro de Agri
Coltura egli parla a proposito della medicina domestica, considerandola più efficace delle pratiche
mediche giunte a Roma dalla Grecia: la descrive essenzialmente come un insieme di terapie basate
sull’utilizzo di vino, olio e lana per la cura del malato. Individua nel cavolo l’elemento principale di
questa medicina attraverso il quale possono essere guariti numerosi malanni che potrebbero
colpire una persona.
La medicina domestica, dunque, si basa molto su l’utilizzo di prodotti di origine “agricola” per la
cura delle malattie. Uno di questi prodotti, alla base dell’alimentazione e della cultura romana, è il
vino. Questo tipo di derrata non veniva unicamente utilizzato come bevanda, ma era spesso
impiegato come rimedio a differenti patologie: già Ippocrate lo raccomandava come ottimo
palliativo contro la fame, l’angoscia, gli sbadigli e i brividi; Asclepiade lo reputa un’ ottimo rimedio
per ristabilire la forza nelle persone convalescenti; Varrone e Catone parlano di un vino che era
costume dare ali schiavi per rimetterli in forze; lo stesso spiega Columela parlando di un vino di
bassa qualità che non veniva mischiato a nulla se non ad acqua, la cui durata non superava i 3
mesi, adatto soprattutto a rinsavire il paziente dalle debilità e dalla mancanza di appetito.
Ogni tipologia di vino, poi, aveva un suo impiego preciso nella medicina domestica: ad esempio il
vino liquoroso, come il sapa o il passum, era ottenuto con un utilizzo di uve che venivano lasciate,
oltre la naturale maturazione, al sole per asciugarsi ed ottenere così questa particolare tipologia di
vino con un alta concentrazione di zucchero. Sia Catone che Varrone che Plino oltre che Palladio
parlano del vino liquoroso come rimedio essenziale per l’agricoltore, utile soprattutto a rinvigorire
ed ottimo per la cura del flato.
Altra tipologia di vini utilizzati in medicina erano i cosiddetti vini artificiali: si ottenevano
attraverso l’unione di altri prodotti, come il miele, la menta, i petali di rosa etc., ai processi di
fermentazione dell’uva. Columella e Palladio li raccomandano contro ogni tipo di problema
digestivo che affliggeva il paziente.
Ulteriore varietà di vino, annoverato nella medicina domestica, è il vino fruttale: questo vino era
ottenuto attraverso la fermentazione di frutta diversa dall’uva ed era prodotto soprattutto in
regioni dove la coltivazione della vite era proibitiva se non addirittura assente. Rispetto alle altre
due categorie, che potevano essere consumante anche come bevanda nell’accompagnamento dei
pasti, questa tipologia era strettamente legata al mondo medico: uno dei più diffusi era il vino di
melograno che, ottenuto attraverso la fermentazione del suo frutto, era considerato ottimo
rimedio contro la peste e la puntura d’api. Ippocrate, inoltre, lo consiglia come ottimo astringente
in particolare nei casi di dissenteria. Proprietà astringenti vengono riconosciute da Plinio e Palladio
nei vini ottenuti con la fermentazione di pere e mele, ma questa qualità era comune in tutti i tipi di
vini fruttali.
Altro elemento cardine della medicina domestica è l’olio: usato nell’igiene e nello sport era anche
apprezzato dalle donne come cosmetico unito ai profumi. Ma oltre questi usi veniva spesso
adoperato nelle cure terapeutiche di un paziente. Questo alimento, essenziale nel mondo romano,
era impiegato sia da solo che legato ad altri elementi.
L’olio semplice era impiegato in medicina in tre modi: frizione, instillazione e iniezione. Ippocrate
spiega nel suo Codice che per quanto riguarda la frizione, potevano essere interessate un po’ tutte
le parti del corpo e l’olio era adoperato in funzione analgesica, mentre Celso lo cita come ottimo
refrigerante in caso di febbre. Sempre Ippocrate ci spiega l’instillazione e l’iniezione, dicendo che
per quanto riguarda la prima si introduceva l’olio nelle orecchie per curare vari dolori, mentre
l’iniezioni avvenivano soprattutto nella zona uterina. Aretero lo indica anche come ottimo sistema
purgante.
L’olio composito, ovvero unito ad altri elementi, non rappresenta un vero e proprio medicamento,
ma una serie pratiche molto antiche e diffuse nella medicina domestica, descritte non solo dallo
stesso Ippocrate, ma anche da Plinio ed altri scrittori minori: ad esempio l’olio misto ad aceto era
un’ ottimo cicatrizzante e rilassante, come ci indicano sia Celso che Dioscoride; ancora Celso, nella
sua opera, parla della commistione tra olio e vino, descrivendone le virtù antinfiammatorie e
ammorbidenti, applicato soprattutto nella cura di fratture o nel lavaggio delle pustole dopo
l’applicazione della soda. Ippocrate ci parla dell’uso di olio e pane per lenire l’idropisia e
soprattutto il rigurgito di sangue. Plinio, nella sua opera Naturalis Historiae, parla dell’uso di olio
unito a ceneri di animali, soprattutto il granchio di mare, per la cura di bruciature e geloni; Sereno
Sarmonico invece da un rimedio cosmetico per la cura delle rughe, attraverso l’uso di olio misto a
polvere raccolta da formiche e il tutto ridotto in poltiglia. Ancora Celso fornisce altri consigli utili
per le composizioni tra olio e altri elementi: ad esempio olio e sale sono ottimi astringenti ed utili
in caso di riduzione di fratture o per inibire l’eccessiva produzione di sudore; unito ad acqua fredda
ha effetti raffreddanti ottimo nel guarire da febbri alte o per la cura di tristezza, depressione e
stanchezza attraverso un bagno con questi due prodotti o, ancora, impiegato per la cura del
tetano. Unito ad acqua calda, al contrario, è un ottimo riscaldante e veniva utilizzato in bagni per
la cura della tubercolosi.
Con la diffusione delle pratiche mediche l’olio assunse una grande importanza anche nella
medicina tradizionale sia nell’impiego a solo che composito.
Tra gli elementi più apprezzati nella medicina domestica si annovera sicuramente il cavolo: aveva
un uso universale che andava dalla cura di malattie a lenire semplici disturbi. Catone è il maggiore
esponente dei prodigiosi effetti terapeutici che questo ortaggio possedeva. Egli infatti sostiene, nel
De Agricoltura, che unito ad aceto e sale era ottimo per mantenere il benessere generale della
persona oltre che a permettere una corretta digestione; unito ad aceto, miele ed altre spezie è
utile per lenire i dolori articolari; arrostito e mangiato digiuno è ottimo per combattere l’insonnia e
la vecchiaia; sempre ingerito digiuno, il cavolo, seccato e triturato finemente, viene considerato
ottimo purgante. Non solo l’ortaggio, ma anche le sue foglie sono considerate utili a combattere
varie malattie: ad esempio le foglie di cavolo sono utili per cicatrizzare le ferite; tritate e commiste
a miele sono utili contro le ulcerazioni. Catone ci parla anche della cura di polipi nel naso guaribili
grazie all’utilizzo del cavolo selvatico ridotto in polvere; mentre unito al vino e versato nelle
orecchie farebbe guarire, secondo lo scrittore, dalla sordità.
Doveroso cenno bisogna fare anche alla lana: non è effettivamente un alimento, ma il suo impiego
nella medicina domestica, e non solo, era di fondamentale importanza. Essa veniva solitamente
impiegata in due modalità: la lana non trattata veniva adoperata solitamente per la copertura e
l’isolamento delle ferite, data la sua proprietà idrofobica che non permette l’interazione tra i
medicamenti applicati o i tessuti interni e gli agenti esterni. Al contrario la lana trattata non
conserva queste proprietà, diventando così idrofila: questa veniva solitamente impiegata nell’
assorbimento dei vari farmaci adoperati durante una medicazione. Celso, Scribonio e Plinio, nelle
loro opere, descrivono le proprietà della lana che applicata sul paziente con altri elementi, come
olio, aceto, acqua etc., era adatta a curare varie patologie, dal mal di testa ai dolori articolari.
Anche la zucca poteva essere utile alla causa della medicina domestica: le sue proprietà erano
infatti indicate per la cura dentaria. La polpa di zucca, infatti, era consigliata unita ad assenzio e
sale per la cura del mal di denti; mentre la stessa unita ad aceto caldo era utile per alleviare le
gengiviti.
Altri elementi importanti di questo genere di medicina erano le erbe come l’ortica o la rucola: la
prima era considerata un potente afrodisiaco che aiutava ad essere più disinibiti e disinvolti.
Ovidio stesso ne cita le sue qualità, indicandone l’uso misto a miele, cipolla, pinoli ed uva. Inoltre,
se questa era consumata in periodo primaverile, quando ancora non è diventata pungente, era
utile per tenere lontane le malattie per l’intero anno.
Come l’ortica, anche la rucola era considerata un potente afrodisiaco: essa era spesso infatti
coltivata in prossimità delle statue di Priapo, dio romano della virilità. I romani non utilizzavano
solo le foglie, ma ne consumavano persino i semi. Nell’ Ars Amatoria viene definita da Ovidio
“eruca salax”, ovvero erba lussuriosa, e la sconsigliava in caso di delusioni d’amore; anche Plinio e
Columella ne riconoscono le qualità indicando che tra i cibi consumanti l’ “eruca” favoriva
l’eccitazione sessuale.
Anche la cipolla, l’alloro e il lupino erano ottimi rimedi naturali per la cura del corpo: con il primo si
produceva un succo che, oltre ad essere utile alla produzione della lacrimazione, era anche un
buon metodo per acuire la vista. L’alloro, invece, era un prodigioso agente diuretico e digestivo:
infatti il semplice decotto, fatto con le foglie, era utilizzato spesso come digestivo nel mondo
romano. Ma, oltre i poteri digestivi, le sue foglie, se masticate, permettevano di rinfrescare l’alito
in caso si fosse bevuto troppo vino. Il lupino, invece, se cotto nell’aceto e posto su una ferita,
permetteva di velocizzare i processi di cicatrizzazione.
Anche la senapa aveva delle qualità curative: attraverso il lattice della sua pianta si poteva curare il
mal di denti; con i suoi semi, invece, si poteva produrre un antidoto contro i funghi velenosi e lo
stesso, se unito al succo di anguria, era un ottimo rimedio contro l’epilessia.
In definitiva, si può asserire che la medicina domestica si affidava molto alle conoscenze e a
metodi prettamente di origine naturale che venivano tramandati da una generazione all’altra.
L’arrivo della medicina tradizionale dai Paesi orientali, non destabilizzò in alcun modo questo tipo
di precetti e pratiche, anzi, questi continuarono a coesistere per molto tempo fianco a fianco con
le nuove metodologie. L’appoggio incontrastato di personaggi di spicco come Catone, Plinio,
Columella ed altri, fece si che questo tipo di medicina giungesse alla conoscenza dei posteri
attraverso i loro scritti.
In conclusione, si può dire che il punto cardine della medicina a Roma fu per molto tempo il pater
familias, che, attraverso le sue conoscenze se pur minime in campo medico, permise, fino
all’avvento dei medici greci, le cure utili al paziente che si trovava sotto il suo diretto controllo
attraverso l’applicazione di rimedi semplici e naturali che erano parte integrante della medicina
domestica.
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