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LA CITTADINANZA NEL MONDO ANTICO

Il motivo per cui si è iniziato a parlare insistentemente di diritto di cittadinanza al


giorno d’oggi, è l’evidenza dei flussi migratori verso l’Europa. Questi hanno rappresentato,
sin dalle origini della civiltà umana, un fenomeno fondamentale nella nascita e nello
sviluppo delle civiltà.
Le cause sono fondamentalmente due: la prima è la ricerca di risorse per sopravvivere, la
seconda è l’instabilità politico sociale (guerre, persecuzioni).
I popoli europei, formati quindi dalle continue migrazioni, oggi fanno parte di una
grande istituzione sovranazionale: l’Unione Europea, nata nel 1992 con il trattato di
Maastricht. Con la nascita dell’UE si è passati dalla ricerca di una cultura europea
comune, al tentativo di realizzare un organismo sovranazionale unito. Con il trattato
dell’Unione Europea si è ottenuta, oltre alla già presente unione economica, quella politica
che ha favorito la libera circolazione dei cittadini europei e delle merci prodotte dalle
aziende del Vecchio Continente all’interno degli Stati membri dell’UE. Circolare nel
Vecchio Continente è più semplice per un cittadino europeo, infatti non esistono più
dogane, all’interno dell’UE, ed il passaporto non è più obbligatorio, per muoversi basta un
documento d’identità valido, che permette di risiedere in uno stato membro per tre mesi. A
seguito di tale periodo, il cittadino deve dimostrare di lavorare nello stato ospitante o di
possedere risorse economiche sufficienti. Dopo 5 anni di residenza rispettando le
condizioni economiche stabilite si ottiene il diritto di soggiorno permanente in uno degli
Stati membri. Tutto ciò a patto che non abbia carichi giudiziari con tale stato o che non sia
stato giudicato pericoloso sia per sicurezza sia per salute pubblica. Tale diritto di
soggiorno diventa fondamentale nel caso in cui il soggetto in questione sia stato spinto a
compiere tale azione (migrare) da esigenze particolari. Non è un segreto che negli ultimi
anni l’Italia e i paesi mediterranei siano stati scenari di consistenti flussi migratori
dall’extra-Europa a causa della loro favorevole posizione geografica, al centro del
Mediterraneo. Le ragioni di tali flussi possono essere ricondotte, come detto, a delle
cause
principali: la ricerca di condizioni di vita migliori (presenza di lavoro, terreni fertili, ecc...)
oppure l’instabilità politico sociale di un determinato territorio che costringe i singoli
abitanti
nella fuga a seguito di persecuzioni religiose, politiche, guerre o invasioni. Dai paesi
d’approdo i migranti si dirigono in tutte le direzioni, perciò il problema dei flussi migratori e
dell’acquisizione della cittadinanza riguarda l’intera Europa.
Tornando all’Italia e volendo dare una definizione ben precisa: La Cittadinanza è la
condizione di appartenenza di un individuo ad uno Stato ovvero quel rapporto di
interrelazione che c’è tra il popolo e la nazione. La cittadinanza consente all’individuo di
godere di certi benefici garantiti dai diritti, come la possibilità di ricoprire pubblici uffici, ma
impone all’interessato anche dei doveri che però sono volti a un miglior funzionamento
dello stato come il dovere di difendere il paese. Il possedimento della cittadinanza
europea
consente ,ai possessori di questa, la libera circolazione nei paesi membri dell’UE tramite il
trattato di Maastricht che sancisce la libera circolazione delle merci provenienti dalle
aziende europee e la libera circolazione dei cittadini europei. (Treccani on line)
Per chiarire meglio le problematiche legate oggigiorno al diritto di cittadinanza sarà
utile ripercorrere l’evoluzione del termine dall’origine. Questa è legata alla nascita delle

poleis greche nell’VIII secolo a.C.: esse furono infatti le prime comunità documentate in
cui
gli abitanti ebbero il diritto di partecipare sia alla vita civile sia a quella politica.
Esercitavano il potere in base ad una Costituzione (politeia).
Si era cittadini in quanto nati da genitori liberi e cittadini. In ogni polis, coloro che non
parlavano il greco (definiti barbari) erano considerati degli stranieri, mentre quelli che
conoscevano la lingua ed avevano in comune religione e costumi (gli Elleni), anche se
non
erano cittadini, erano comunque accettati a differenza delle donne, schiavi, servi, meteci,
poveri. Si esercitavano i diritti civili non appena raggiunti i vent’anni ma a determinate
condizioni: oltre ad essere originari della città da parte di entrambi i genitori, proprietà
fondiaria, raggiungimento di un censo minimo, ecc... Lo status di cittadino era permanente
ma poteva essere perso (atimia) per reati gravi contro lo Stato o per esilio.
Il diritto romano fu il primo ad introdurre il concetto di cittadinanza come
appartenenza ad uno Stato e non a una città. Però essere cittadino romano era uno
status
privilegiato non destinato a tutti, almeno nel primo periodo dell’impero poichè solo i
cittadini potevano godere dei privilegi e di tutti i diritti tra cui quello di non pagare le tasse.
Tra i non cittadini vi erano gli italici, poi latini in quanto soggetti al diritto Latino, istituito agli
inizi del V sec a.C. Stessa cosa accadeva per le classi sociali più basse: i liberti, ex
schiavi che, acquisendo libertà in forma solenne, godevano dello stesso diritto Latino
attraverso la lex lunia Norbana a partire dal 19 d.C. Poi infine c’erano gli schiavi,
considerati più come degli oggetti che delle persone [per loro veniva utilizzato il genere
neutro], che non godevano di diritti. Infatti solo nel 52 d.C. viene sancito l’obbligo di cura
per uno schiavo malato, mentre nel 61 d.C., con la Lex Petronia de Servis, venne proibito
ai padroni far combattere lo schiavo con una belva e, con la Lex Cornelia, venne
condannata la loro pena di morte senza una giustificazione valida. Più tardi avranno
anche
la capacità di agire o produrre atti giuridici per conto del dominus e la possibilità di
possedere che permetteva loro di comprarsi la libertà. Il solo a godere di tutti i diritti e
privilegi resterà sempre il civis romanus con lo ius suffragii, ius honorum (rispettivamente
diritto di voto e di ricoprire le cariche politiche), per difendere e avere cura degli interessi
della Respublica.
Con la locuzione latina Civis Romanus sum, ovvero sono cittadino romano si indicava con
orgoglio l’appartenenza di un determinato cittadino all’Impero Romano e racchiudeva
anche i diritti e doveri di cui godeva ogni cittadino di tale Impero. Fu pronunciata da vari
personaggi latini ad esempio Cicerone ( In Verrem 11 v. 162).
Dal punto di vista del diritto, tale locuzione era invocata dai prigionieri accusati di un reato
al fine di essere giudicati dalla legislazione romana e non dalle leggi derivanti dalle
usanze
delle province dell’impero.
Una curiosità: tale frase fu pronunciata anche dal Presidente degli USA Kennedy nel suo
famoso discorso nel 1963.
In un altro testo di Cicerone si parla di appropriamento illecito della cittadinanza quando
quest’ultimo difende il poeta Archia, il quale è stato infatti accusato di usurpazione della
cittadinanza romana.
In questo brano viene messa in evidenza soprattutto l’importanza della figura del poeta
che, ai tempi, era considerato un dono da parte degli dei e che si pensava fosse animato
da ispirazione divina.

La motivazione addotta da Cicerone è che Omero ne è un esempio: infatti i Colofoni e gli


abitanti di Chio, Salamina, e molti altri facevano a gara per rivendicarne la cittadinanza.
Gli
abitanti di Smirne gli dedicarono persino un santuario. Quindi tutti questi popoli
reclamavano uno straniero solo perché era un poeta e questo fa capire come venissero
considerati allora.
Cicerone chiede dunque di non rifiutare la cittadinanza ad un uomo che appartiene a loro
sia per volontà che per legge poiché altre popolazioni se lo contendono e cercano di
renderlo loro cittadino per l’onore che rende loro.
Tornando all ’età repubblicana dell’antica Roma, abitare in uno dei tanti territori romani
non significava quindi automaticamente essere cittadino romano. Per essere cittadino
romano dovevi far parte della COMUNITA ’ROMANA: essere figlio di genitori romani. In
caso di unione mista, prevaleva la linea paterna, ovvero padre romano e madre straniera.
In caso contrario (padre straniero e madre romana) il figlio era considerato straniero. I
romani attribuivano tanta importanza alla cittadinanza, poichè averla rappresentava una
fonte di privilegi, tra cui la possibilità di beneficiare delle terre dei nuovi territori e la
possibilità di intraprendere una carriera politica a Roma: questo era molto importante,
poiché permetteva di partecipare alle scelte compiute dalla repubblica.
I cives romani godevano, rispetto agli altri, di sostanziosi diritti, in particolare di tutti i diritti
politici di Roma, tra i quali:
lo Ius suffragii, il diritto di voto,
lo Ius provocationis, cioè poteva fruire della provocatio ad populum (chiedere che la
pena di morte fosse commutata in altra pena),
alcuni diritti aggiuntivi nei processi,
il diritto alla proprietà e al possesso,
il diritto all'incolumità e al domicilio
a non subire pene corporali in guerra,
a non essere soggetto a tributi vari,
ad avere diritto alle frumentazioni (concessioni gratuite di frumento alla plebe nel
periodo di raccolto)
Ad essere privilegiato nella assegnazione delle terre.
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Inoltre esisteva una certa commistione tra gli ambienti giuridici privati e pubblici sotto i
quali questo ricadeva. Da un lato l'estensione della patria potestas era assoluta e limitava
abbastanza i diritti che l'individuo poteva rivendicare, a sua volta si era cittadini rispetto
alla comunità per i comportamenti individuali di interesse pubblico.
Teoricamente, vigeva l’uguaglianza dei cittadini, però il censo al quale un cittadino
apparteneva contava comunque.
A differenza dei cittadini romani, gli italiani e i latini godevano di meno diritti:
• essi sopportano tutto il peso delle campagne militari •
per i cittadini ci sono leggi sul diritto d’appello e la protezione giuridica, per i latini e gli
alleati no.
Grazie ad un lungo processo di maturazione fu superato l'originario senso di
appartenenza
alla città che imponeva l’odio religioso per lo straniero. L'espansione romana fu

accompagnata, infatti dalla graduale concessione del diritto di cittadinanza ai popoli


conquistati.
Tito Livio racconta che già Annio nel 340 a. C. aveva rivolto al senato una richiesta a
nome di tutti i popoli latini: avere l'uguaglianza, uguali leggi, appartenere ad un solo Stato
ed essere chiamati tutti romani. Tale richiesta rappresenta il concetto moderno di
cittadinanza, differente dalla vecchia concezione secondo la quale, come già detto lo
straniero non poteva avere nè diritti civili, ovvero i diritti di libertà che riguardano la tutela
degli individui rispetto ai pericoli di un uso arbitrario del potere dello stato e né diritti politici
che consentono di ricoprire una carica pubblica e partecipare alla vita politica. Tale
processo fu però lungo e travagliato. Ci sono state nel corso del tempo tre proposte con lo
scopo di ampliare i diritti agli italici ma tutte sono state respinte:
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nel 125 a.C. da parte del console M. Fulvio Flacco
- nel 122 a.C. da parte di Gaio Gracco
- nel 91 a.C. da parte di Livio Druso
Dal rifiuto di queste scaturisce lo scoppio della cosiddetta guerra sociale in tutta
l’Italia centrale che va dal 90 all’88 a.C. Nel periodo successivo lo scoppio della guerra
sociale nell’Italia centrale , Roma fu devastata da un periodo di disordini civili. Non
prima del 70-69 a.C. i nuovi cittadini furono in conclusione censiti, dopo esserci stato
un ritardo delle operazioni di censo, dovuto alla resistenza dei vecchi cittadini e di capi
politici, con il timore di perdita del potere ed influenza all’interno dei comizi.
Per un lungo lasso di tempo, il proletariato urbano e la classe nobile nutrirono
disprezzo per gli Italici. Tuttavia l’influenza di quest’ultimi cresce negli affari, nelle
magistrature, nei comizi e nell’esercito.
Essi considerano Roma una “patria giuridica”, nella quale esercitare senza
impedimenti i propri diritti politici e civili.
Una patria caratterizzata da una magnificenza, una maestà che si limita ai rapporti
diplomatici e non interviene nei diritti, costumi e istituzioni particolari. Gli italici
combattono per ottenere la cittadinanza romana e alla fine vengono emanate leggi
che li favoriscono. Per diventare cittadini bastava essere iscritti al censo ed essere
registrati ad una tribù.
Con il passaggio dalla repubblica al principato e la continua espansione dell’Impero, il
problema della cittadinanza divenne uno dei nodi fondamentali: concederla voleva dire
legare i popoli conquistati a Roma come alleati fedeli ed interessati (all’esenzione dalle
tasse). Contemporaneamente ciò determinava un mancato introito nelle casse dell’Erario
romano costringendo l’Impero a confine ulteriori guerre di conquista.
Da quel che si evince da un testo latino scritto da Svetonio, sappiamo che l’imperatore
Claudio attuò provvedimenti nell’impero su cittadinanza e culti. Intanto vietò alle persone
di nazionalità straniera di assumere nomi romani; chi si fosse poi appropriato illecitamente
della cittadinanza sarebbe stato ucciso mediante decapitazione nel campo Esquilino;
esonerò però i Troiani dai tributi, avendo letto una lettera, scritta in lingua greca, in cui gli
Iliensi erano ritenuti parenti dei romani; cacciò i Giudei, spesso causa di rivolte, e diede
poi
la possibilità agli ambasciatori germani di sedere nell’orchestra, poichè essi catturarono la
sua attenzione con i loro atteggiamenti semplici e fieri.

Infine, per via della loro ferocia, abolì la religione dei Druidi per introdurre invece quella
degli Eleusi (Divus Claudius, libro V di Svetonio).
Dopo una serie di ulteriori leggi, soltanto con l’Editto di Caracalla (212 d.C.) tutti gli
abitanti dell’Impero romano diventarono cittadini.
Nel medioevo il modo d’intendere la cittadinanza come appartenenza ad uno stato e non
ad una città scomparve, da quel momento infatti non si parla più di cittadini, ma di sudditi
sprovvisti di attivi diritti sotto l’autorità di un sovrano.
A partire dal XVIII secolo con le rivoluzioni americana e francese si delineò il concetto
moderno di cittadinanza e di cittadino come portatore della libertà e dei diritti inviolabili.
Quindi, per ogni cittadino sono riconosciuti tali diritti: libertà, proprietà, sicurezza
personale
e resistenza all’oppressione.
Oggi la nozione di cittadinanza rappresenta il fondamento della democrazia moderna.
Dopo le tragiche guerre mondiali del Novecento e la sconfitta dei regimi totalitari, la
nascita dell’Onu fu un momento importante per la diffusione della democrazia nel mondo
e
per l'affermazione dei diritti umani. L‘adesione di uno Stato alle Nazioni Unite era
subordinata, infatti, all‘accettazione dei principi dell'organizzazione. Nella realtà, in molti
Paesi le istituzioni democratiche furono solo di facciata: fu il caso di molti Stati africani e
asiatici usciti dal colonialismo e anche quelli appartenenti al blocco comunista. Da
un‘analisi del 2013 di Freedom House (una delle principali agenzie di misurazione della
democrazia nel mondo sorta nel 1941), si evidenzia che i Paesi realmente liberi sono
90,quelli parzialmente liberi sono 58 e quelli non liberi 47.
Le forme di democrazia più importanti sono
• democrazia diretta (il potere sovrano è esercitato direttamente dal popolo, come
avveniva nell'antica Grecia, dove i cittadini esclusi schiavi, donne e cittadini stranieri
si riunivano nell'agorà per discutere attivamente di leggi o posizioni politiche da
prendere).
• democrazia indiretta ( il potere sovrano è esercitato da rappresentanti eletti dal
popolo i cittadini sono comunque liberi di candidarsi per diventare rappresentanti,
qualunque sia il loro stato sociale).
L’azione dell’ONU per la tutela dei diritti umani e per la diffusione della democrazia è stata
comunque fondamentale sin dalla sua nascita. Con questo scopo nasce nel 1946 la
Commissione per i diritti umani delle Nazioni Unite, che si impegnò nel redigere la
Dichiarazione universale dei diritti che riconosce nella salvaguardia dei diritti umani
l’obiettivo primario che la comunità internazionale deve rispettare e seguire. Essa
riconosce il diritto all’uguaglianza tra gli uomini, promuovendo la libertà, la cittadinanza, il
lavoro, la sicurezza, l’istruzione e la salute. Molte delle Costituzioni democratiche hanno
accolto ciò che la dichiarazione voleva esprimere ed hanno messo in atto i principi di
tutela
della dignità umana, non solo come enunciato teorico ma come concreto nella vita di tutti i
giorni.
In generale si può acquisire la cittadinanza attraverso lo “ius soli” (diritto alla cittadinanza
quando si è nati sul territorio dello stato) e lo “ius sanguinis” (diritto alla cittadinanza per
eredità di un genitore che la possiede già). La sovrapposizione di questi due sistemi può

portare a una doppia cittadinanza. Per quanto riguarda uno straniero può diventare
cittadino attraverso: il matrimonio con un cittadino/a italiano/a; la residenza con
determinate condizioni.
In conclusione, possiamo affermare che tutti i diritti acquisiti da un individuo sono
fondamentali per l'individuo stesso affinché egli trovi ‘posto ’nella società. .

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