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Giovanni Pascoli

(1855-1912)

1. La vita
Giovanni Pascoli nasce il 31 dicembre 1855 a San Mauro di Romagna (Forlì, Emilia Romagna) e il
ricordo felice della sua infanzia resterà indelebile nella memoria del poeta.
La sua vita è segnata da tragici lutti familiari, il primo di questi è quello per la morte del padre il 10
agosto 1867 che viene assassinato mentre tornava a casa su un calesse per mano di sconosciuti (il
tema dell'ignoto tornerà nei componimenti del poeta e l'evento sarà elaborato quasi come mito
personale).
L'anno dopo seguono la morte della sorella diciassettenne, della madre, del fratello Luigi e del
fratello maggiore Giacomo, il piccolo padre: con la morte di quest'ultimo la responsabilità della
famiglia viene così a gravare su Giovanni stesso, che ha come scopo fondamentale quello della
ricostruzione del nido domestico.
Il poeta inizia i suoi studi ad Urbino nel 1862, ma in seguito ai numerosi lutti familiari sarà costretto
ad interromperli per difficoltà economiche. Riprenderà gli studi a Rimini e poi a Firenze e si
diplomerà infine a Cesena nel 1872. Vinta una borsa di studi entrerà all'università di Bologna dove
avrà come insegnate Giosue Carducci.
In questi anni Pascoli si dedica ad uno studio appassionato dei classici greci e latini e dei maggiori
scrittori italiani (Dante e Leopardi soprattutto). Intanto, preso da un profondo spirito di rivolta, è
portato ad appoggiare le idee anarchiche di Andrea Costa, e nel 1879 sconta tre mesi di carcere per
aver difeso Passanante, l'anarchico che per primo tentò di uccidere Umberto I. Dopo aver scontato
la pena, il poeta si disinteresserà alla politica.
Dopo la laurea in letteratura greca con una tesina su Alceo inizia la sua carriera come professore di
greco e latino nei licei.
I numerosi spostamenti se da una parte affaticano il poeta, dall'altra sono voluti da lui stesso, segno
della sua profonda irrequietezza interiore; fino a quando nel 1902, grazie alla vendita delle medaglie
d'oro vinte durante i concorsi di poesia classica, Pascoli comprerà la casa di Castelvecchio di Barga
(Lucca) dove già viveva in affitto con le sorelle Ida e Maria. Nel 1896 la sorella Ida di sposa e sarà
per Pascoli una profonda delusione in quanto il gesto è visto come un abbandono del nido
domestico faticosamente ricostituito. Il 6 aprile 1912 Pascoli muore a Bologna a causa di un tumore
al fegato.

2. L'uomo e la sua personalità


La ricostruzione del nido
Gli aspetti contraddittori della personalità pascoliana vanno letti alla luce degli eventi drammatici
che caratterizzarono la sua adolescenza; possiamo dire infatti che l'intera vicenda umana e
psicologica di Pascoli, e dunque anche il suo percorso poetico, sono riducibili al progetto di
ricostruzione del mondo beato dell'infanzia improvvisamente perduto, in una prospettiva di
“regressione” verso il microcosmo degli affetti perduti.
Vediamo come, ad esempio, la drammatica scomparsa del padre troverà eco in alcune famose
poesie, come "La Cavalla storna" e "X Agosto" : una delle manifestazione più evidenti della
centralità dell'immagine del nido nella mentalità pascoliana la troviamo nel parallelo che l'autore
stabilisce (proprio in X Agosto) tra l'uccisione del padre, di ritorno verso casa, e la rondine che porta
il cibo ai suoi piccoli.
Dopo la tragica uccisione del padre, che spezza in due l'esistenza del poeta, Pascoli cade
nell'angoscia e viene assalito da un profondo disorientamento di fronte al mistero del male, del
dolore e della morte. Proprio tale disorientamento lo portò in un primo momento ad appoggiare le
idee dell'anarchico Andrea Costa e a causa di tale amicizia finirà in carcere (1879). Ma dopo aver
scontato i mesi previsti dalla pena deciderà di ritirarsi a vita privata, abbandonando quasi del tutto
l'ambito politico.
L'angoscia e il disorientamento porteranno il poeta ad una grande introversione e ad un rifiuto nei
confronti del mondo e della storia, con una progressiva rinuncia alle cose mondane e alle gioie
esteriori.

La rinuncia all'amore
E' importante sottolineare come all'interno dei componimenti di Pascoli non troviamo mai poesie il
cui tema sia l'amore o la donna, nonostante non manchino celate allusioni alla felicità amorosa
altrui o all'erotismo. Le uniche presenze femminile che troviamo nei componimenti del poeta sono
le sorelle o la madre. La convivenza con le sorelle è vissuta da Pascoli, non solo come la
ricostruzione del nido famigliare, ma anche come la sostituzione ad una normale relazione amorosa
con l'altro sesso: lo dimostra l'angoscia del poeta al momento del matrimonio della sorella Ida che,
con questo gesto, distrugge nuovamente il nido faticosamente ricostruito introducendovi un
elemento estraneo. E' proprio per evitare ciò che Pascoli decide di non intraprendere alcuna
relazione amorosa, anche perché, come sappiamo, fu proprio un estraneo, uno sconosciuto ad
uccidere il padre (ecco spiegata l'avversione per tutto ciò che è estraneo al nucleo originario).

La crisi dell'intellettuale
Pascoli patisce inoltre il progressivo declino del Positivismo, nella cui scia si era formato. Il poeta,
infatti, si rende presto conto che tale movimento culturale, esaltando la scienza e facendo coincidere
il progresso umano con quello tecnologico, ha scardinato le certezze di un tempo senza però
sostituirle con delle altre più solide e portando l'uomo alla solitudine e al disorientamento più totale.
Il rifiuto della civiltà contemporanea è un elemento tipico degli intellettuali del tempo, che
preferiscono darsi alla ribellione o all'edonismo; Pascoli invece manifesta il suo disagio
ripiegandosi in se stesso e volgendo le spalle al mondo.

3. La formazione culturale e l'ideologia


La formazione letteraria
Alla base della formazione di Pascoli c'è la cultura classica: ne sono testimonianza i lunghi anni di
insegnamento di lingue e letterature classiche e la composizione di opere ispirate al mondo antico
(sia in italiano che in latino).
La ripresa del mondo classico da parte del poeta è da vedere come un'interpretazione di quel
mondo lontano in chiave personale. Pascoli, infatti, guarda al mondo classico con gli occhi e il
cuore di un uomo moderno, dalla sensibilità decadente, profondamente inquieto e privo di solide
certezze.
Nel campo della letteratura italiana il poeta subisce in primo luogo l'influenza di Giosue Carducci,
che risulta evidente soprattutto nella ripresa del metro “barbaro” di quest'ultimo (poesie civili e
patriottiche).
Rilevante è anche l'influenza di d'Annunzio (soprattutto nelle Poemi conviviali) e delle poetiche
decadenti legata ad un raffinato estetismo.
Gli autori che più pesano nella formazione letteraria del poeta sono però Dante e Leopardi; dal
primo riprende l'ideale di una poesia ricca di significati spirituali e filosofici, espressi tramite
simboli e allegorie; dal secondo ricava la concezione sconsolata di un'umanità condannata alla
sofferenza ma allo stesso tempo anche l'aspirazione ad un'etica della fratellanza universale (come
leggiamo nel testamento poetico di Leopardi, La Ginestra).

La formazione politico-sociale
L'influsso del Positivismo e l'ideologia politico-sociale sono altri importanti aspetti del profilo
culturale di Pascoli.
Pascoli accetta le linee di fondo della concezione positivistica, riconoscendo l'importanza delle
conoscenze scientifiche. Questa posizione di partenza lascia presto il posto ad una progressiva
sfiducia nelle conquiste materiali della scienza, che anzi danneggia l'uomo perché lo priva delle sue
antiche certezze. Malgrado ciò Pascoli continua ad utilizzare, nel corso della sua produzione,
termini tecnici e scientifici (proprio sotto l'influenza del Positivismo), portando molti critici a
parlare di "poetica dell'oggetto", di "verismo" o addirittura di "naturalismo pascoliano". Tuttavia
Pascoli non si ripropone di rappresentare realisticamente il mondo che lo circonda, ma di
analizzarlo al microscopio (come direbbe Verga) per poi rappresentarlo attraverso le forme e i
simboli della sua interiorità.
In ambito politico non possiamo parlare di una precisa concezione ma di una particolarissima
sensibilità sociale che lo accompagna per tutta la vita. All'inizio egli si volge agli ideali socialisti ed
anarchici di Andrea Costa, ma dopo l'esperienza del carcere, il suo pensiero tenderà sempre di più a
sfumare in una sorta di generico umanitarismo (anche per l'influenza di Leopardi con La Ginestra),
fino a sfociare in un vero e proprio nazionalismo: ne La Grande Proletaria si è mossa, Pascoli
arriverà ad esaltare la politica coloniale dell'Italia in Libia, portando diverse argomentazioni, come
la grandezza dei romani, da cui gli italiani discendono, e la superiorità di questi ultimi rispetto ai
popoli autoctoni.
Si può dire che l'intera concezione politica pascoliana non sia altro che la proiezione su scala
sociale del modello privato del nido: come in poesia cercherà di ricostruire il calore familiare
perduto, in politica cercherà di far tornare la sua terra alla gloria dell'antico Impero romano.

La consolazione della poesia


Dopo aver assecondato, in un primo momento, le istanze del Positivismo, Pascoli si rende conto che
la scienza non riesce effettivamente a mantenere le proprie promesse di progresso. Di conseguenza
tutto ciò che è legato ad essa deve essere visto negativamente. In altre parole, credere nel futuro e
equivale per Pascoli ad assecondare il corso della tragedia storica. Dunque non resta che la
prospettiva di una fuga a ritroso: occorre tornare al passato profondo per trovare le radici del
fallimento del presente.
Solo la poesia può forse indicare una via di ipotetica salvezza, che non solo rasserena l'animo ma fa
sperare nella possibilità di un ritorno degli uomini ad uno stato primitivo e ingenuo di coscienza.
Il nido e la regressione appaiono come i simboli di una vagheggiata "salvezza" che Pascoli si
propone di attuare tramite la poesia, ma è una salvezza tutt'altro che certa in quanto la stessa poesia
non può non giungere alla scoperta dell'assurdo e del mistero che appare radicalmente invalicabile.
La poesia offre dunque solo una consolazione attraverso il suo processo regressivo.

4. Il fanciullino
In larga parte della produzione poetica di Pascoli sono presenti il senso del mistero e un'idea
confusa dell'inconscio, ma non sono solo questi i motivi fondamentali della sua poetica. Pascoli
allontanandosi dal positivismo si orienta sempre più verso una concezione della poesia come
illusione e come sogno.
Sulla linea di tale idea si muovono molte pagine in prosa, tra queste il Fanciullino. In questo breve
saggio, il poeta, partendo da un mito platonico esposto nel Fedro, afferma che dentro ciascun uomo
alla nascita vi siano due fanciulli: uno destinato a crescere e ad affermarsi e l'altro destinato a
rimanere sempre infantile e a nascondersi quasi si vergognasse (è questo, secondo Pascoli, il vero
fanciullino). Nella prima infanzia i due fanciullini coincidono. Soltanto nei poeti però il secondo
fanciullo si fa sentire e continua a parlare anche nell'età adulta.
Dunque per Pascoli la tendenza alla poesia è insita in ogni uomo in quanto inizialmente ognuno di
noi ospita in se entrambi i fanciulli.
Pascoli, inoltre, associando la poesia al fanciullino, appoggia la visione vichiana secondo cui la
poesia rappresenta l'espressione artistica del genere umano nell'età della sua infanzia.
Non bisogna inoltre interpretare letteralmente il termine “infantile”, solitamente associato alla
poesia di Pascoli. Questa definizione, infatti, è dovuta al modo con cui il poeta osserva la realtà,
guidato –come un bambino – dallo stupore e dalla meraviglia. Sono proprio questi sentimenti che lo
portano, come un novello Adamo, a dare un nome alle cose che lo circondano, in modo da mettersi
in contatto con le cose stesse, ed oggettivare nella parola il sentimento che essa suscitano in lui.
Solo ascoltando il fanciullino che è in lui, il poeta è capace di esprimere cose che gli altri uomini
provano ma non sono in grado di esternare.
Ciò nonostante la poesia non deve avere scopi intrinseci ma la sua utilità prescinde dall'intento del
poeta; ovvero, come dice Pascoli stesso, la poesia deve essere pura.
Riassumendo, quello che distingue il poeta dagli altri uomini è la capacità di vedere e di esprimere
il mistero della natura, grazie alla voce del fanciullino che è in lui. Tale mistero, inoltre, si nasconde
nelle piccole cose analizzate al microscopio: questa affermazione, tuttavia non deve farci leggere la
poetica pascoliana in chiave realistica, dal momento che il tutto è filtrato attraverso la soggettività
del poeta stesso, che ha una visione intuitiva, e non logica, del mondo.

5. Il mondo dei simboli


Dato il mistero che avvolge il mondo è del tutto inutile cercare di conoscerlo in maniera razionale.
L'unica strada possibile è quella di ricercare i sentimenti soggettivi che si nascondono dietro la
natura, che in questo modo diventa simbolo dell'individualità poetica.
In questo ambito la parola stessa è simbolo perché aldilà del suo significato specifico e letterale,
presenta delle connotazioni via via diverse.

I simboli principali
Per quanto riguarda le immagini-simbolo, tra queste ricordiamo:
• il nido, simbolo del calore familiare;
• la culla, simbolo del legame madre-figlio;
• la siepe e la nebbia, simboli di tutto ciò che difende il nido familiare (proprio per la loro
caratteristica di avvolgere una porzione di spazio);
• la strada che collega la casa del poeta al cimitero, simbolo del ricordo costante dei morti
(altro tema ricorrente), che non sono elementi del passato, poiché continuano a vivere
realmente nella mente del poeta;
• il buio, simbolo dell'ignoranza in cui vive l'uomo;
Vi sono poi simboli dal duplice significato, ovvero dalla valenza positiva e contemporaneamente
negativa:
• le campane, che con il loro suono soave ricordano la leggerezza e la spensieratezza
dell'infanzia ma al tempo stesso richiamano la morte, poiché vengono suonate anche nel
corso delle celebrazioni funebri;
• gli uccelli che volano in alto nel cielo, al di sopra della dimensione terrena, sono simbolo di
leggerezza e di rapimento estatico, ma alcuni loro canti sono lugubri e tetri, e richiamano
ancora una volte il dolore della morte. Gli uccelli, inoltre, hanno la funzione di collegare il
mondo dei vivi a quello dei morti. Ecco perché i loro versi sono spesso riprodotti fedelmente
attraverso l'utilizzo di onomatopee;
• i fiori, simbolo di bellezza, ma anche della solitudine e della sessualità rimossa; un esempio
è dato dalla Digitale Purpurea, un fiore bellissimo ma velenoso.
• le costellazioni, simbolo di infinito ma anche di turbamento, lo stesso che prova l'uomo
dinnanzi a ciò che lo supera;
• il cielo, premuroso ma al tempo stesso lontano e indifferente (il X Agosto).

6. Le scelte stilistiche e formali


Il fonosimbolismo
Ma i simboli di Pascoli non vanno ricercati solo nelle immagini ma anche, come abbiamo visto, nei
suoni che è in grado di riprodurre. In questo caso si parla di fonosimbolismo. Il lessico, infatti,
nella poetica pascoliana ha un ruolo di primaria importanza. A tal proposito Contini, il principale
critico di Pascoli, ha fatto notare che il poeta utilizza tre livelli lessicali. Il primo è quello
grammaticale, in cui le parole rispondono perfettamente al loro significato intrinseco e sono
finalizzate alla comunicazione; il secondo è quello postgrammaticale, in cui le parole, pur
rispondendo alle regole grammaticali, sono tratte da linguaggi tecnici, settoriali, spesso anche
dialettali (un esempio lo si può notare in Italy, in cui si cerca di riprodurre l'inglese italianizzato
degli italiani che emigravano a Brooklyn); infine vi è il livello pregrammaticale, in cui le parole
non rispondono affatto alle regole grammaticali, e mirano ad una comunicazione non verbale (come
il verso degli uccelli, particolarmente analizzato da Pascoli): un esempio di questo livello linguistico
è dato dalle onomatopee cui spesso Pascoli ricorre.

L'analogia e la sinestesia
Proprio per il carattere soggettivo del simbolismo pascoliano, le figure retoriche più utilizzate dal
poeta sono l'analogia e la sinestesia. La prima è l'associazione di un'immagine concreta con un
concetto che nasce dalla sensibilità poetica (“tra il nero un casolare:/un'ala di gabbiano” da
Temporale). Per quanto riguarda la sinestesia, essa consiste nel mettere in relazione parole
appartenenti a campi sensoriali differenti.

La sintassi e il lessico
poiché il fluire analogico dei sentimenti non necessita di strutture logiche complesse, Pascoli punta
prevalentemente sulla paratassi. Ciò è dovuto anche al fatto che (almeno nei componimenti della
Myricae) il poeta cerca di evocare singole sensazioni che nascono in relazione a brevi istanti.
Un'altra conseguenza sarà la brevità dei componimenti e un forte frammentismo.
Per quanto riguarda il lessico, abbiamo visto che Pascoli non sempre segue le regole grammaticali,
passando dai toni più semplici a quelli più aulici. Inoltre egli manifesta una certa propensione per il
plurilinguismo (come abbiamo visto in Italy).

La metrica
Per quanto riguarda la metrica, Pascoli si limita a seguire le regole tradizionali, anche se non esita a
riproporre le strofe “barbare” del maestro Carducci, in cui il ritmo classico viene attribuito a metri
“barbari” (cioè non classici), come l'endecasillabo. Proprio quest'ultimo sarà un verso
particolarmente sfruttato da Pascoli, per la sua perfetta adattabilità ai toni narrativi. Per lo sesso
motivo verranno utilizzati altri versi estesi come il novenario o il decasillabo, il cui ritmo è spesso
rotto o variato dalla presenza di numerosi enjambement.

8. Myricae e Canti di Castelvecchio


Il legame tra le due raccolte
Myricae e canti di Castelvecchio sono le prime due raccolte pascoliane. Queste, in realtà,
potrebbero essere unificate in un'unica raccolta per le diverse affinità che le accomunano.
Per prima cose, entrambe impegnarono Pascoli per diversi anni (circa venti). Il collegamento più
evidente sta, però, certamente nelle tematiche che andremo in seguito ad analizzare.
Il terzo punto di collegamento è dato dai titoli e dalle epigrafi che aprono le raccolte.
Per quanto riguarda Myricae, si tratta del nome latino delle tamerici, ricavato dalla IV ecloga delle
Bucoliche di Virgilio. Il termine viene utilizzato da Pascoli per indicare le “piccole cose” di cui si
parlerà. Un significato analogo ha anche il titolo della seconda raccolta, che riguarda Canti (genere
classico) riguardanti un piccolo mondo contadino (quello, appunto, di Castelvecchio).
Le due raccolte si aprono inoltre con l'epigrafe “Arbusta iuvant humilesque myricae”, ovvero
“Piacciono gli arbusti e le umili tamerici”. Si tratta della frase virgiliana prima citata, privata però
della negazione (la frase originale è infatti “Non omnes arbusta iuvant humilesque myricae”, cioè
“Non a tutti piacciono...”. In questo modo Pascoli ribalta il senso della frase, attribuendole una
connotazione positiva. Infatti, mentre Virgilio non poteva dedicarsi alle “piccole cose” poiché si
accingeva a profetizzare il ritorno dell'età d'oro sotto Augusto, Pascoli è costretto a rifugiarsi in
queste ultime, data la rovina del mondo circostante.
Infine un ultimo elemento di somiglianza può essere rilevato dalle dediche delle due raccolte, la
prima al padre, la seconda alla madre e in generale ai cari defunti: ancora una volta Pascoli
sottolinea il suo forte legame con la famiglia, e in particolar modo con i membri che ormai vivono
costantemente nel suo ricordo.
Struttura e temi di Myricae (Lavandare, X Agosto, Temporale, Lampo, L'assiuolo)
L'opera comprende 156 liriche divise in 15 sezioni.
L'atmosfera prevalente nella prima parte, è quella del sogno e della fantasia, mentre nella seconda
dominano la morte e il dolore. A queste ultime si accompagna l'angoscia per la felicità perduta in
seguito al disfacimento del nido originario.
Il modo in cui viene descritta la natura provoca in noi un certo straniamento; questo accade perché
il poeta guarda la realtà non con gli occhi della collettività ma con quelli del fanciullino, che lo
porta a meravigliarsi dinnanzi alle cose, ad indagare su di esse, cercando di chiamarle con nomi
quanto più tecnici possibile (questo è sicuramente un residuo della cultura positivista).
Per quanto riguarda i temi, i principali sono quelli legati alla morte del padre e alla funzione
salvifica della natura. Quest'ultima, tuttavia, è avvolta da un mistero impenetrabile e finisce così
col fallire nel proprio intento, generando angosce e frustrazioni.

Struttura e temi di Canti di Castelvecchio (Il gelsomino notturno)


I Canti di Castelvecchio (in tutto 69 componimenti divisi in due sezioni), come abbiamo già
sottolineato, sono perfettamente assimilabili alla raccolta Myricae non solo per l'epigrafe (Arbusta
iuvant humilisque myricae), o per la dedica (al padre in Myricae, alla madre nei Canti di
Castelvecchio) ma anche e soprattutto per i temi affrontati. Ancora una volta al centro della raccolta
vi è il tema della morte e del dolore causato dalla morte del padre, con il conseguente desiderio
di ricostituire il nido perduto. Questa analisi interiore è spesso accompagnata da una dettagliata
descrizione della natura, della quale si sottolinea spesso il continuo passaggio da una stagione
all'altra; non a caso, nella lettera che apre la raccolta, ad ogni stagione viene associato un
determinato sentimento o stato d'animo.
Ma spesso i sentimenti dell'autore sono associati, non solo a dati biografici, ma anche alla
dimensione onirica e della fantasia.
In ogni caso sul mondo, interiore o naturale, descritto da Pascoli regna costante il senso di
solitudine e di mistero.

Le novità formali
Entrambe le raccolte rappresentano l'ambito della sperimentazione pascoliana. In generale possiamo
notare come il poeta mostri un certo attaccamento verso i modelli classici (come il sonetto, ripreso,
forse, sotto l'influenza del maestro Carducci), i quali tuttavia vengono radicalmente modificati,
come dimostra la rottura tra sistema metrico e sintattico attraverso un ampio utilizzo di
enjambement.
Formalmente si tratta quasi sempre di brevi componimenti (anche se tra i Canti di Castelvecchio
troviamo poesie di maggiore estensione) in cui la descrizione paesaggistica dà lo spunto per una
vera e propria introspezione. Ecco perché possiamo parlare di “espressionismo” pascoliano.
Questa “ricerca” del sentimento all'interno della natura è, tra l'altro, uno degli elementi tipici del
simbolismo.
Da un punto di vista stilistico, rilevante è l'importanza data ai nomi e agli aggettivi a scapito del
verbo, delle volte quasi completamente assente. Anche in questo caso occorre precisare che quanto
detto non trova del tutto riscontro nei Canti di Castelvecchio, in cui Pascoli manifesta una certa
propensione verso la narrazione.
Sempre in relazione allo stile bisogna sottolineare la propensione, da parte del poeta, verso il
significante (quindi verso la forma, il suono della parola) attraverso figure retoriche come
l'onomatopea, l'allitterazione, la sinestesia e l'analogia.

9. Le opere poetiche minori


I Poemetti
La terza (seconda, se consideriamo le due precedenti come un unico “blocco”) raccolta pascoliana è
quella dei Poemetti, pubblicati per la prima nel 1897, e poi definitivamente nel 1909.
I Poemetti sono dedicati alla sorella Maria e hanno come epigrafe “Pauco maiora”, che sottolinea
un certo innalzamento di tono rispetto alle due raccolte precedenti. In generale i Poemetti
presentano un sermo mediocris, ponendosi così “in mezzo” tra lo stile colloquiale di Myricae e
Canti di Castelvecchio, e quello alto dei Poemi Conviviali.
Da un punto di vista strutturale, mentre le opere delle prime due raccolte sono caratterizzate dalla
brevità, i Poemetti sono particolarmente estesi, proprio per la loro tendenza alla narrazione.
Le tematiche sono quelle già precedentemente descritte, ma nella raccolta in questione si rivolgono
ad un ambito più ampio della semplice individualità poetica, arrivando a coinvolgere l'intera
società. Un'ultima caratteristica peculiare della raccolta è la varietà linguistica: in componimenti
come Italy è infatti evidente quel lessico postgrammaticale di cui parla Conti, come dimostra la
compresenza di quattro lingue, ovvero l'italiano, l'inglese e il dialetto garfagnino e l'inglese
“italianizzato”.

I Poemi conviviali
I Poemi conviviali, in tutto 17, sono così chiamati in onore de “Il convito”, il giornale su cui Pascoli
poté pubblicare la maggior parte di essi. L'alessandrinismo, ovvero l'attenzione formale e
linguistica, è proprio una caratteristica tipica dei componimenti pubblicati su questa rivista.
Come le altre raccolte, anche questa si apre con un'epigrafe, che corrisponde al verso originale di
Virgilio “Non omnes arbusta iuvant humilesque myricae”. In questo modo Pascoli dichiara,
contrariamente da quanto affermato nelle prime due raccolte, di non potersi dedicare agli “arbusti”,
ovvero alle cose di poco conto.
Come nel Convivio di Dante, anche in questi poemi si viene a creare una stretta relazione tra mondo
reale e conoscenza, ma mentre per Dante le due cose sono inscindibili, poiché solo l'esperienza del
mondo reale può portare a Dio (e quindi alla conoscenza), per Pascoli la modernità è ciò che
corrompe e compromette la conoscenza e la cultura.
I temi sono ancora una volta quelli tradizionali ma privati di riferimenti autobiografici. Ovviamente
non manca l'interpretazione personale che è quella che fa di questa raccolta la più “decadente” delle
opere pascoliane.
Per quanto riguarda la forma, il poeta dà particolare importanza al suono (attraverso il
fonosimbolismo) e ricorre a metri classici come l'endecasillabo e la terzina dantesca.

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