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Positivismo
Corrente filosofica fondata da Comte. Il nome deriva da positiph che significa
concreto, reale. Comte vuole sostenere che la vera conoscenza è conoscenza
concreta, reale, basata su dati postivi: la conoscenza scientifica.
Nella storia dell’umanità il sapere scientifico si è evoluto secondo diversi stadi:
• Stadio teologico (prefilosofico)
• Stadio metafisico (fino all’avvento della rivoluzione scientifica)
• Stadio positivo (con il metodo sperimentale)
Comte immagina come culmine dello stadio positivo una scienza deterministica
che formula leggi universali sull’uomo: questa scienza avrebbe preso il nome di
sociologia.
La crisi arriva anche in ambito della ricerca scientifica stessa e provoca la crisi
dei fondamenti
fi
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Bergson
Secondo Bergson il positivismo non è in grado di spiegare completamente la
realtà, poiché basa la sua riflessione sul tempo senza prendere in considerazione
il tempo dell’esperienza concreta che è invece durata (critica dal punto di vista
ontologico). Dal punto di vista gnoseologico invece critica la concezione
dell’uomo e della conoscenza.
Bergson sostiene che la scienza fraintenda il concetto di tempo perché per come
lo considera è solo spazio: non esiste propriamente. Nel “Saggio sui dati
immediati della scienza” introduce la distinzione fra tempo e durata. La
durata è caratteristica della coscienza e va distinta dal tempo cosmologico che
è misurabile e nasce da una contaminazione tra il tempo vissuto e lo spazio: la
vera essenza del tempo è la durata. La durata è un fluire indistinto, è un flusso
ed è custodito nella memoria. Bergson propone la contrapposizione tra il tempo
della scienza (tempo spazializzato) e il tempo della coscienza (durata). Il
tempo spazializzato è come una collana scomposta di perle tutte uguali ed
esterne le une dalle altre. Nella coscienza invece tutto fluisce in un divenire
continuo come un gomitolo di filo che cresce conservando se stesso.
La scienza vede solo il tempo spazializzato perché assolutizza solo una facoltà
della conoscenza umana ovvero l'intelligenza. La facoltà dell'uomo attraverso
cui conosciamo il tempo come durata è l’intuizione. L'intuizione rappresenta lo
strumento conoscitivo dell'uomo che fornisce una conoscenza immediata e
piena: l'intuizione è lo strumento conoscitivo della filosofia come l'intelligenza
è lo strumento conoscitivo della scienza. Alla capacità dell'intuizione
corrisponde una facoltà umana che è la memoria. Bergson quindi vuole
proporre una sorta di dualismo secondo cui l'uomo non è costituito solo dalla
materia ma è costituito da materia e da memoria. Egli sostiene che l'anima e la
memoria siano la percezione interiore, mentre il corpo quella dell’esterno. Dato
che l'uomo possiede intuizione non è riducibile alla sola materia perché
l'intuizione non presuppone la mediazione corporea. Bergson concepisce il
pensiero come memoria: secondo questa visione non ci sono aporie
nell'affermare un concetto immateriale perché quello materiale (il corpo) è
mediato attraverso la memoria.
Secondo Bergson se l'uomo è costituito da un principio non riducibile alla
materia, allora un'altra conseguenza fondamentale è la libertà: se nell'uomo c'è
un principio non corporeo, non materiale, che non sottostà al meccanicismo
delle leggi di natura, allora la libertà dell'uomo è dimostrata.
Esistono due concezioni del cosmo: la concezione teleologica secondo cui nella
natura è riscontrabile una tendenza naturale verso un fine, una realizzazione, e
una concezione deterministica secondo cui non c'è nessun fine, è tutto un
meccanismo. Bergson afferma che il motore dell'evoluzione e dello sviluppo del
cosmo è uno slancio vitale, ed egli propone una forma di vitalismo che in parte
assume la prospettiva teleologica. Il problema è che nella prospettiva
Nietzsche
Nietzsche nacque nel 1844 e il suo passaggio dalla letteratura alla filosofia è
stato segnato dallo studio di Schopenauer.
Periodo giovanile
La prima fonte di ispirazione di Nietzsche fu la cultura greca."la nascita della
tragedia" è una reinterpretazione della grecità, una critica della cultura presente
e un programma di rinnovamento di essa, che si fonda sulla distinzione tra
spirito apollineo e dionisiaco, i due poli attorno ai quali si è sviluppata la
cultura greca. L’elemento apollineo coincide con la razionalità e l'equilibrio e
si realizza nella scultura; l'elemento dionisiaco si identifica con la creatività,
l'istinto vitale e la fusione delle forme e trova la sua massima espressione nella
musica e nella danza. La cultura greca ha saputo realizzare un perfetto
equilibrio tra apollineo dionisiaco da cui è nata la tragedia che ha raggiunto il
proprio culmine con Eschilo e Sofocle; tale equilibrio si è incrinato con
Euripide e infine l'armonia è stata definitivamente distrutta da Socrate, che con
l'introduzione del prologo ha fatto prevalere l'elemento razionale a scapito della
tensione vitale. La cultura greca è stata grande perché ha saputo fondere questi
due spiriti attraverso l'arte: l'uomo greco è stato grande perché è stato in grado
di fronteggiare l'insensatezza della realtà, godendo però della bellezza delle
forme. Il prologo ha distrutto l'equilibrio perché tentava di dare una spiegazione
a quello che sarebbe stato mostrato in seguito e questo per Nietzsche è
inaccettabile perché per lui era assurdo tentare di dar senso a qualcosa che non
lo ha. L'avvento della filosofia rappresenta quindi la morte della cultura greca,
perché cerca di dare un senso alla realtà dicendo che la realtà è razionale.
Inoltre l'avvento del cristianesimo aggiunge che anche la sofferenza
(negazione dei valori vitali) ha senso e quindi rappresenta la perversione
massima. Secondo Nietzsche il razionalismo è una degenerazione perché
soffoca le pulsioni istintive e mortifica i valori vitali. Nelle "Considerazioni
inattuali" Nietzsche critica lo storicismo (e di conseguenza anche il positivismo
che condivide la stessa concezione del tempo), secondo cui la storia è
inevitabile progresso: inoltre è anche considerato il frutto del razionalismo.
Nietzsche assume una posizione antistoricista che si oppone alla concezione
lineare del tempo, e propone invece una concezione ciclica. Nietzsche distingue
tre forme utili di storia: la storia monumentale (che propone i grandi esempi
del passato dalle cui azioni è bene trarre spunto per le proprie), la storia
archeologica (grazie a cui ci si rapporta al passato da preservare e venerare) e
la storia critica (che prende il distanza dal passato giudicandolo e creando così
lo spazio necessario per liberarsi dalla decadenza e proporre nuovi valori).
Periodo illuminista
Secondo la tradizione filosofica la realtà è razionale, quindi conoscibile e
accessibile all’uomo. Il presupposto fondamentale del razionalismo è il
principio di identità, per cui le cose possono essere conosciute. Nietzsche
ritiene che il principio di identità sia una menzogna perché in natura esiste
solo la diversità, le cose infatti mutano e si trasformano; e poiché la realtà è una
trasformazione costante, è piuttosto necessario dire che l'illogicità è la
condizione di esistenza delle cose.
Nietzsche osserva che il senso di colpa non deriva dal fatto che siamo
responsabili, bensì dal fatto che ci riteniamo tali perché siamo convinti di essere
liberi. Egli vuole sradicare la possibilità del giudizio morale affermando che le
azioni umane sono neutre, perché sono come gli eventi naturali e così come non
definiamo immorale un temporale, così non dobbiamo imputare valore alle
azioni umane. Non possiamo giudicare chi compie il male, perché in fondo chi
lo fa agisce così avendo in vista sempre la propria conservazione. Dalla
negazione della libertà consegue la confutazione della morale: secondo
Nietzsche il mondo non è né buono né cattivo e la relatività della morale è
dovuta alla mancanza di una gerarchia di beni universale e stabile nel tempo.
Inoltre la morale è anche uno strumento di sottomissione perché è preceduta
dalla costrizione, la quale è determinata da qualcuno che è più forte, e di
conseguenza il debole si conforma alla costrizione per il dolore, ma col tempo
questa diventa costume, abitudine e poi si consolida come istinto e diventa
quasi piacevole non rispettare le costrizioni previste dai costumi e dalle
convenzioni: quando c'è questo ribaltamento subentra quella che Nietzsche
chiama la morale degli schiavi: è come il passaggio dalla morale degli
aristocratici che hanno come ideali la forza e la vitalità, alla morale del gregge
che nega attraverso la morale quello stesso istinto di moralità. Inoltre la
cosiddetta voce della coscienza è una costruzione legata alla repressione degli
istinti vitali, per cui tutti gli istinti che non si scaricano all'esterno si rivolgono
verso l'interno. Quando gli istinti non si scaricano è perché siamo degli inetti,
non possiamo scaricare i nostri istinti verso l'esterno e allora ci inventiamo la
voce della coscienza come ha fatto Socrate, semplicemente perché non siamo in
grado di fare quello che vorremmo fare.
Il cristianesimo secondo Nietzsche è da rifiutare, perché solo eliminando l'idea
di Dio, si può eliminare il senso del peccato. Confrontandosi con un essere
buono e perfetto, l'uomo giudica la sua natura torbida e contorta e sprofonda in
uno stato di angoscia. Il cristianesimo è come se avesse schiacciato l'uomo in
una palude per far brillare lo splendore della divinità; conduce inevitabilmente
all'annientamento dei valori vitali.
In Gaia scienza il folle annuncia che Dio è morto e che noi abbiamo ucciso:
l'annuncio della morte di Dio e affidato al grido del folle dal momento che gli
uomini non si sono ancora resi conto di quanto è avvenuto. Il mercato è simbolo
della società borghese che pensa di aver sostituito la religione con gli ideali del
progresso scientifico ed economico ma in realtà ha solo sostituito il vecchio Dio
con nuovi idoli. Nietzsche intende collocarsi sul piano storico, vale a dire che
nella storia dell'umanità Dio c'è stato, ma ora non c'è più infatti Dio è morto
poiché gli uomini sono allontanati da lui e hanno tradito tutti i valori di
riferimento rappresentati da Dio. La morte di Dio si configura con l'espressione
che constata alla fine di un mondo di valori, e costituisce l'avvento del
nichilismo inteso come processo con cui i valori tradizionali, la verità e il bene
si indeboliscono fino a scomparire. L'atteggiamento di chi nega e rifiuta i valori
vitali terreni è incarnato dal cristianesimo che, considerando peccato tutti quelli
che sono i valori e i piaceri della terra e rifugiandosi nel pessimismo, ha
prodotto il nichilismo passivo. La morte di Dio consente il passaggio dal
nichilismo passivo al nichilismo attivo, che invece si esprime come forza
violenta di distruzione dei valori che hanno soppiantato i valori vitali, e consiste
nella capacità di affermare se stessi in un mondo insensato. L'affermazione
totale di sé si scontra però con l'esperienza del dolore: a questo proposito
Nietzsche propone la dottrina dell'eterno ritorno. Il cosmo è animato da un
movimento ciclico che non ha fine e per cui ogni istante è destinato a tornare
identico a se stesso. Il mondo ha in sé è una necessità di riaffermarsi e perciò di
ritornare eternamente su se stesso: la grandezza dell'uomo sta nell'accettare tutto
questo e nell'amarlo (amor fati). L'accettazione totale della vita implica
l'accettazione del passato e la volontà che esso sia così come è stato. Colui che è
capace di accettare, senza esserne schiacciato, la morte di Dio, l'eterno ritorno e
conseguente amor fati non è più l'uomo ma è il superuomo.
Ultimo periodo
Il superuomo è l'espressione è l'incarnazione della volontà di potenza, ovvero
della volontà di affermare se stessi.la prima caratteristica del superuomo è la
sua libertà di spirito: la sua massima fondamentale è "divieni ciò che sei", nel
senso della massima differenziazione dagli altri. Il superuomo fa la sua
comparsa in “Così parlò Zarathustra”, ma Zarathustra non è il superuomo bensì
il suo profeta: il superuomo deve ancora arrivare e arriverà quando l'uomo
riuscirà a superare se stesso. Alla morte di Dio restano solo i valori vitali che si
realizzano sulla terra, e affinché questi valori vengano attuati è necessario che si
affermi un individuo che costituiscono l'evoluzione dell'uomo stesso egli sia
superiore. Nietzsche era tuttavia consapevole che questa verità non poteva
ancora essere riconosciuta infatti scrisse "ecco chi se ne stanno lì e ridono: non
mi intendono”.
Cassirer
Il pensiero kantiano viene criticato per due motivazioni: la prima è perché Kant
nella critica della ragion pura sosteneva che lo spazio il tempo fossero le forme
a priori che rappresentavano il modo in cui si arrivava alla conoscenza
sensibile; ma con la scoperta delle geometrie non euclidee spazio tempo non
possono più essere considerati come forme a priori universali. La seconda è
perché la filosofia kantiana cercava di recuperare la possibilità di una
fondazione filosofica della scienza dal punto di vista trascendentale, ma il
positivismo negava il valore fondativo della filosofia rispetto alla scienza,
perché affermava il primato della scienza.
Cassirer si chiese in che modo ripensare la filosofia kantiana per far fronte a
questi ostacoli e realizzò che bisognava estendere il concetto di ragione e
quindi valutare non solo la conoscenza scientifica ma fare anche una critica
della cultura nel suo complesso, in tutte le sue manifestazioni.
Nell'opera "sostanza e funzione" del 1910 Cassirer evidenzia come la storia
della filosofia moderna nasca all'insegna del passaggio dal concetto di sostanza
al concetto di funzione. Il concetto di essenza era legato al concetto di sostanza
perché la sostanza rappresenta l'unione di materia e forma, e la forma e la sua
essenza. Il concetto di sostanza diventa però incompatibile con la visione
scientifica perché Galileo dice appunto di non voler tentare le essenze, e infatti
si limita a misurare e predire i fenomeni formulando delle leggi scientifiche di
natura matematica. Cassirer dunque oppone al concetto aristotelico di sostanza
quello di funzione, per spiegare la conoscenza come attività creativa.
Husserl
Il percorso intellettuale di Husserl si articola in tre periodi che corrispondono
approssimativamente alle tre sedi universitarie in cui insegnò:
1) Periodo di Halle (coincide con la conversione dalla matematica alla
filosofia)
2) Periodo di Gottinga (segna il passaggio dalla logica pura alla
fenomenologia trascendentale)
3) Periodo di Friburgo (svolta della fenomenologia in direzione idealista)
Husserl partì da ricerche nell'ambito della filosofia della matematica con un
approccio psicologista, per cui indagava gli atti psichici correlati ad alcuni
concetti elementari della matematica (“Filosofia dell’aritmetica”) (lo
psicologista sostiene che per conoscere un determinato fenomeno dobbiamo
conoscere le operazioni psichiche e mentali che lo accompagnano).
Nei “Prolegomeni” Husserl lascia molto spazio alla critica dello psicologismo,
che accusa anche di essere contraddittorio perché pretende di ricavare
conoscenza oggettivamente valida dal presupposto secondo cui non siamo in
grado di conoscere le cose, ma solo il nostro modo di reagire alle cose; inoltre
però parla della logica e dice che si distingue in logica formale logica
trascendentale: la prima studia il procedimento della conoscenza invece la
seconda è la parte della logica che prescinde non solo dei contenuti, ma anche
dalla forma.
L'abbandono dello psicologismo si apre ad una riflessione filosofica su che cosa
sia la conoscenza: nell'opera "ricerche logiche" rileva i cardini attorno a cui
ruota la conoscenza, che sono l'intuizione dell’essenza e l’intenzionalità della
coscienza: la conoscenza comincia con l'esperienza, che offre la comprensione
del concreto, di ciò che si presenta hic et nunc. Tuttavia in ciò che si presenta
hic et nunc noi sappiamo intuire anche un quid, un’essenza.
L'intuizione è la modalità della coscienza tramite cui l'oggetto si dà alla
conoscenza. L'intenzionalità è quella capacità per cui la coscienza si rapporta
ad altro da sé. Husserl sente l'esigenza di fondare una nuova scienza filosofica
che si occupi di indagare questo rapporto della coscienza ad altro da sé, una
scienza che studi il manifestarsi della realtà alla coscienza: la fenomenologia. Il
compito della fenomenologia è quello di studiare come la realtà si manifesta
alla coscienza e, per arrivare al residuo fenomenologico, parte da una
considerazione di come la realtà si manifesta. La realtà si manifesta come Leib
(corpo vissuto) ma si distingue da Korper (corpo inanimato). La realtà si
manifesta attraverso l'esperienza del nostro corpo. L'atteggiamento naturale è
il modo in cui siamo nel mondo con il nostro corpo vissuto secondo un rapporto
di utilizzabilità, con finalità pratiche; ma l’atteggiamento naturale non può
rappresentare il manifestarsi originario della coscienza, quindi secondo Husserl
dobbiamo superare l'atteggiamento naturale mettendo tra parentesi il mondo od
operando l’epokè fenomenologica, che consiste nel non accettare come
fondamento della conoscenza nulla che non gode dell'assoluta evidenza. A tale
riduzione fenomenologica resiste solo ciò che si qualifica come residuo
fenomenologico, ovvero quella evidenza intuitivamente originaria che nessuna
riduzione potrei mai sottoporre a dubbio; la riduzione fenomenologica è il
metodo per una filosofia rigorosa.
Nelle "meditazioni cartesiane" Husserl identifica il residuo fenomenologico con
l’io trascendentale: l’io trascendentale è incorporeo e intenzionale, e non
equivale al cogito di Cartesio perché non è chiuso in se stesso, bensì è il centro
da cui trae origine l'intersoggettività.
Husserl la tentò una diagnosi della crisi delle scienze europee per cui l'uomo
stesso era stato ridotto a pura cosa: ma questa crisi profonda della razionalità si
può ovviare solo recuperando, per mezzo della fenomenologia, l'originaria
intenzionalità, ovvero un punto di vista unitario sul mondo. Questo significa
recuperare il mondo-della-vita, che per Husserl è quello che esiste prima di
essere tradotto nel pensiero logico e prima di essere strutturato nel linguaggio.
Heiddeger
In che modo Heidegger reinterpreta la fenomenologia husserliana? Questa
reinterpretazione è il passaggio dall'assolutamente evidente al fondamento
dell'evidenza stessa: l'obiettivo è quello di portare il pensiero di Husserl e la
fenomenologia ad una dimensione ancora più radicale e fondamentale. Si tratta
del passaggio dall'attenzione della dimensione degli oggetti al fondamento
stesso della realtà, e viene così recuperato il concetto di essere. Heidegger
vuole andare al fondamento dell’evidenza, che è l'essere stesso.
La proposta di Heidegger è di raggiungere l'essere a partire dal soggetto, dalla
soggettività attraverso un'analisi delle principali situazioni esistenziali.
Heidegger ci vuole dire che il senso dell'essere, il fondamento della realtà, lo si
incontra adottando la prospettiva soggettiva, del soggetto, cioè all'interno
dell'esistenza umana.
L’ente che pone la domanda sull’Essere, ovvero che ne cerca il senso, è il
Dasein (esserci, essere qui). Cosa significa che l'ente che pone la domanda
sull'essere è esserci? Significa distinguerlo da tutti gli altri enti.
Qual è la differenza tra l'esserci e gli altri enti? È che l'essere degli enti è
semplice presenza replicabile e utilizzabile, invece l'essere dell'esserci è
esistenza concreta, individuale, non replicabile come ente generico che
rappresenta un'essenza universale.
Se il Dasein è un'esistenza concreta allora nell'esserci l'esistenza, ovvero l’ex-
sistere, ha il primato sull’essenza. Heidegger vuole affermare che l'esistenza
concreta, cioè l'esserci, precede in maniera incommensurabile l'essenza:
l'essenza per l'esserci non conta nulla.
La parola existere significa stare fuori, esistere significa stare fuori da sé:
questo significa che l'esistenza che pone la domanda sull'essere, si manifesta
come possibilità costitutiva di essere altro da ciò che è. Il mio esistere significa
che io sono costantemente proiettato su una pluralità di possibilità; il nostro
esistere costituisce un progetto che diamo alla nostra esistenza: esistere quindi
significa progettare.
Le due modalità dell’esistenza del Dasein sono: Insein e Mitsein.
Insein significa “essere in”, essere dentro, e richiama la categoria del Leib di
Husserl (essere nel mondo). Il Dasein si manifesta come essere nel mondo e
l’Insein si definisce come il rapporto di utilizzabilità che il Dasein instaura con
le cose che ha a portata di mano: rapporto con le cose. Heidegger ci vuole dire
che l’uomo trova la sua identità in ciò che fa.
Mitsein significa “essere con”, ed è il rapporto che il Dasein ha con gli altri
Dasein e questo rapporto si esprime in un atteggiamento dell’esistenza che è la
cura (aver cura e prendersi cura degli oggetti e delle persone). Heidegger però
dice che la cura è neutra, ovvero non si realizza solo quando ci prendiamo cura
in senso positivo, ma anche quando non ci prendiamo cura, noi ci prendiamo
cura, però in modo difettivo.
Sartre
Nacque in un ambiente dominato dal neoidealismo; l'incontro con Husserl e
Heidegger determinò un superamento del neoidealismo che si concretizzò in
una sintesi tra la teoria di intenzionalità e il concetto di nulla.
Sartre opera questa sintesi con lo scopo di dire che se la capacità fondamentale
della coscienza è di riferirsi ad altro da sé, allora la coscienza coincide
propriamente con il nulla. Se la coscienza si definisce in relazione a ciò che non
è coscienza allora il nulla è costitutivo con il nulla.
Da ciò si hanno due conseguenze, una conseguenza di natura gnoseologica
per cui la conoscenza dell'uomo specifica è l'immaginazione: se la conoscenza è
il nulla, allora la modalità della coscienza umana è l'immaginazione perché
nell'immaginazione la realtà di ciò che immagina e nulla; e una conseguenza di
natura antropologica: l'immaginazione consente di trascendere la situazione
liberandosi dalla costrizione dell’immediato.
In "immagine e coscienza" il tema dell'immaginazione viene approfondito con
il tema della libertà: se l'immaginazione consente di liberarsi dalle costrizioni
Husserl
Husserl adotta un approccio psicologistico alla filosofia della matematica:
quella concezione secondo cui noi spieghiamo il pensiero a partire dalle
operazioni mentali, dalle operazioni psichiche: lo psicologismo non si occupa
del che cosa, ma si occupa del come.
Nelle “ricerche logiche” Husserl individua due critiche specifiche: la prima
dal carattere di necessità e universalità delle leggi logiche (“necessarie” vuol
dire che sono necessariamente vere, “universali” vuol dire che sono così per
tutti) per cui se le leggi logiche sono necessarie e universali, l'obiezione allo
psicologismo è che le leggi logiche non sarebbero necessarie e universali se
fossero semplici generalizzazioni di esperienza dipendenti da leggi psicologiche
(secondo Husserl lo psicologismo ha una pretesa illegittima, cioè quella di
ridurre il piano logico al piano psicologico). La seconda invece dalla
contraddittorietà dello psicologismo: questo perché lo psicologismo pretende
di ricavare conoscenza oggettiva e scientifica a partire dal presupposto
contraddittorio che non siamo in grado di conoscere le cose in sé nella loro
oggettività, ma solo a partire dal modo di reagire rispetto ad esse.
Husserl fa una distinzione tra logica formale e logica trascendentale. La logica
formale è la logica in senso proprio, cioè la scienza del retto ragionamento, che
si occupa dei principi logici del pensiero. La logica trascendentale è quella
scienza che si occupa delle condizioni di possibilità della conoscenza in
generale a prescindere dalla forma. È la teoria più generale possibile, e infatti
viene definita come la scienza delle scienze.
L'oggetto dell'intuizione sono le essenze. Husserl distingue due categorie di
essenze: le essenze materiali e le essenze formali. Le essenze materiali sono
quelle proprietà che si realizzano negli oggetti sperimentali e individuano le
varie regioni o categorie che li costituiscono. Gli oggetti sperimentali hanno
delle proprietà che possono essere oggetto di conoscenza sensibile. La
conoscenza delle essenze materiali dà vita alle ontologie regionali che sono le
varie scienze empiriche (fisica e chimica). Le essenze formali appartengono
all'oggetto in quanto tale, esprimendone le determinazioni costitutive e
necessarie senza le quali non ci sarebbe fatto l’oggetto. A prescindere dalle
essenze materiali che si realizzano in qualsiasi oggetto, un oggetto in quanto
tale ha delle caratteristiche imprescindibili. Le essenze formali quindi, sono
quelle essenze che appartengono all'oggetto in quanto tale ed esprimono le
determinazioni costitutive: ciò che costituisce e determina la conoscibilità di un
Pragmatismo
Il pragmatismo ha origine all'interno di un circolo di intellettuali chiamato
“Metaphisical club” che nacque nel 1872 a Cambridge con Peirce e James.
L'obiettivo di questi pensatori era quello di liberare la filosofia da quella che
loro definivano metaphisical rubbish (spazzatura), perché credevano che la
ricerca dovesse essere rivolta alle conseguenze, non alle cause e ai principi
astratti.
Il pragmatismo può ricordare uno spirito positivista, poiché crede in una
conoscenza reale ed effettiva solo se ha una relazione con l’esperienza.
L'esperienza non è solo ciò che è osservabile e misurabile, bensì è da
considerare come “pragma”, come cosa, fatte azione: l’esperienza è soprattutto
azione.
La massima pragmatista la elaborò Peirce dicendo—> considera le
conseguenze pratiche che può avere un tuo concetto; il concetto di un oggetto
c'è dato solo con l'insieme dei suoi possibili effetti pratici. In altre parole un
concetto, cioè il senso razionale di una parola, consiste nella sua concepibile
influenza sulla condotta della vita.
Il pragmatismo è un modo per valorizzare la conoscenza e la verità.
Peirce
Invita diede alle stampe solo alcuni articoli, e la grande mole di scritti in editi
furono pubblicati postumi nei “Collected papers”.
La logica riconosce due modalità conoscitive fondamentali:
• Deduzione= inferenza che va dal piano generale al piano particolare. Si
deduce quando il nostro processo conoscitivo parte da proposizioni generali e
da queste derivano proposizioni più particolari, più specifiche (es. i sistemi
assiomatici delle scienze matematiche)
James
Peirce vuole discostarsi da James e definire la propria visione non più come
pragmatismo ma come pragmaticismo perché non approva l'interpretazione
metafisica del pragmatismo offerto da James.
I punti su cui Pierce non è d'accordo sono: la teoria della verità, la fede e
l’empirismo radicale.
James si chiede se abbia senso ritenere vere o false le teorie dal momento che
sono strumenti: risponde a questa domanda dicendo che nella prospettiva
pragmatista si può interpretare la verità come adattamento soddisfacente.
Questo significa che sono vere quelle teorie o quelle credenze che consentono
di adattarsi in maniera soddisfacente alla realtà. La verità non è una proprietà
immutabile delle proposizioni, ma è una proprietà delle nostre credenze, è il
processo dinamico della convalida delle nostre idee da parte degli eventi.
Proprio perché la verità non è una proprietà immutabile, non abbiamo alcuna
garanzia metodologica e per questo si apre il discorso sulla fede, perché noi
abbiamo bisogno di fidarci delle nostre credenze.
La fede è l'atteggiamento conoscitivo che esprime la credenza della possibilità
di un accordo, con l’ambiente, non solo legittimo ma necessario: il pensiero non
deve inibire credenze utili per un'azione efficace sul mondo. La fede è un atto
della ragione e a sua volta la ragione è un atto di fede. James sostiene che
ognuno ha diritto di credere ciò che vuole e che un atteggiamento non
pragmatista nei confronti della fede non è legittimo: la fede deve essere
un'ipotesi viva, la verifica della fede la facciamo durante l’esperienza.
L'empirismo radicale di James si oppone al dualismo cartesiano secondo cui la
realtà è costituita da due sostanze, sostanza estesa e sostanza pensante; quindi
l'empirismo radicale vuole scardinare il presupposto che la realtà sia costituita
da due sostanze perché James evidenzia che tutti i fenomeni sono sia fisici sia
mentali, ovvero né fisici, né mentali—> fisico e mentale costituiscono una
connessione strutturale, quindi dividere il fisico dal mentale è sbagliato.
Concezione scienti ca
Si parla di concezione scientifica perché gli autori sostengono che la riflessione
gnoseologica della filosofia debba partire da un confronto con la conoscenza
scientifica.
La filosofia non viene interpretata come una forma di sapere autonomo, ma il
suo compito è quello di essere una finalità esclusivamente logica e
metodologica, non c'è nessun ulteriore contributo della filosofia alla realtà.
Tra questi autori:
- Wittgenstein
- Circolo di Vienna
Questo metodo di analisi logica secondo gli autori potremmo applicarlo non
solo alla filosofia della matematica ma anche alla filosofia in generale.
Wittgenstein
Durante la prigionia a Cassino si dedicò alla stesura di un'opera destinata a
cambiare le sorti della filosofia occidentale: il Tractatus logicus-philosophicus.
Wittgenstein è l'ideatore di uno stile particolare di scrittura filosofica fondata su
una ricerca di rigore assoluto che porta l'autore a numerare ciascuna
proposizione del suo Tractatus. Oltre a questo, c'è anche un'altra pretesa,
ovvero quella di non dare nulla per scontato: c’è infatti l'intenzione di fornire
una ricostruzione della visione del mondo a partire dalle fondamenta.
La dedica introduttiva dell'opera è: "tutto ciò che si sa, che non sia solo
rumoreggiato si può dire in tre parole". Dicendo questo, Wittgenstein afferma di
dire tutto ciò che si può dire della realtà.
Il Tractatus è suddiviso in 7 proposizioni (e può essere riassunto principalmente
in 5 argomenti principali):
• Questione ontologica: che cos'è la realtà
• Passaggio dal piano ontologico al piano gnoseologico: relazione tra il mondo
e l'immagine che ce ne facciamo
fi
Circolo di Vienna
Il Tractatus viene assunto all'interno di un circolo di filosofi che già dal 1907 si
riuniva a Vienna tutti i giovedì sera in un caffè per discutere di problemi di
fondamenti della matematica e di metodologia della scienza. La lettura del
Tractatus è decisiva perché questo gruppo in seguito si trasformò in un
movimento filosofico che pubblica un manifesto con degli indirizzi di ricerca:
questo manifesto fu pubblicato nel 1929 con il titolo "la concezione scientifica
del mondo”.
Dal punto di vista del metodo, individuano gli errori logici fondamentali della
metafisica. Il primo errore è l'uso del linguaggio ordinario: usiamo i sostantivi
sia per designare cose, sia qualità, sia relazioni. Il secondo errore è l'errata
Popper
Popper criticò il principio di verificazione: il criterio è troppo stretto e troppo
largo: esclude dalla scienza praticamente tutto ciò che le è peculiare (ovvero le
leggi scientifiche) mentre non riesce a escludere l’astrologia.
Viene definito troppo stretto perché il principio di verificazione esclude le leggi
scientifiche perché attribuiscono una proprietà a una classe universale di
oggetti. Le leggi scientifiche sono leggi universali affermative, ma le
proposizioni universali affermative basta una sola prova contraria per smentirle.
Al contrario un numero elevato di verifiche non può decretarne la verità: questa
si chiama asimmetria dei valori di verità delle proposizioni. Il principio di
verificazione è anche troppo stretto perché esclude le proposizioni della
metafisica che però sono sempre state l'origine di grandi intuizioni scientifiche.
Il principio viene definito troppo largo perché include l'astrologia: il fatto che
una proposizione sia verificabile, in linea di principio, è comune all'astrologia
perché in realtà se noi andiamo alla ricerca di verifiche, le verifiche le troviamo.
L'atteggiamento verificazionista è un atteggiamento profondamente
antiscientifico perché si va a cercare ciò che si vuole cercare, ciò che si vuole
verificare. Allora la metodologia della scienza deve trovare un criterio di
demarcazione, ovvero un criterio che si limita a demarcare la caratteristica
specifica della conoscenza scientifica ma senza voler delegittimare altre forme
di conoscenza. Questo criterio di demarcazione per Popper è il principio di
falsificazione: esso afferma che le asserzioni o i sistemi di asserzioni, per essere
ritenuti scientifici, devono poter risultare in conflitto con osservazioni possibili
o concepibili. Una teoria è veramente scientifica se conosco quelle esperienze
che possono confutarla.
Il principio di induzione è il fondamento di qualsiasi forma di empirismo che
afferma che la conoscenza parte dall’osservazione—>Popper capisce che per
minare le fondamenta del principio di verificazione è necessario criticare il
principio di induzione.
Bacone fu il primo all'interno del contesto della rivoluzione scientifica ad
affermare l'induzione come principio, cioè come metodo della conoscenza
scientifica. In un secondo momento Hume negò che il principio di induzione
avesse un valore logico perché diceva che non rappresentavano la legge
fondamentale, ma nasceva semplicemente dall'abitudine di classificare i fatti
simili sotto una stessa categoria; afferma che però il principio di induzione ha
un valore psicologico. Popper invece vuole anche negare che il principio di
induzione abbia un valore psicologico perché in realtà per noi i fatti continuano
a rimanere differenti: secondo Popper non ha nemmeno un valore psicologico
perché non esistono fatti simili in natura, e se noi compiamo il passaggio dal
particolare all'universale è perché l'induzione rappresenta la tendenza innata
dell'uomo a cercare delle regolarità. La conoscenza empirica, l'osservazione,
dipende dalla tendenza innata dell'uomo di porre delle regolarità. Questo vuol
dire che l'osservazione non è mai il punto di partenza, ma il punto di partenza è
questa tendenza innata dell'uomo di porre delle regolarità a partire da
aspettative teoriche, da problemi, cioè l'osservazione non è mai neutrale, non
parte mai da zero, e a sua volta questa tendenza innata dell'uomo dipende dal
suo orizzonte di interessi teorici che lo animano.
Secondo Popper il metodo della scienza e della vita in generale è il metodo per
congetture e per confutazioni. L'inizio della conoscenza non è mai
un'osservazione neutra ma è un problema. Ad un problema segue un tentativo di
soluzione, poi la teoria deve essere controllata e quindi il secondo step è quello
del tentativo di soluzione degli errori qualora si verifichino delle confutazioni
della teoria, ma la soluzione degli errori rigenera, secondo Popper, altri
problemi e così via—> perciò la ricerca umana non ha fine.
Implicazioni dal punto di vista filosofico generale
• Implicazioni dal punto di vista bio antropologico= secondo Popper gli
organismi viventi sono dei problemi solving: la nostra caratteristica specifica
è risolvere dei problemi (linguaggio)
• Immagine della conoscenza e della razionalità= la concezione della
conoscenza popperiana è fallibilista e non fondazionalista. Il fallibilismo
propone una visione critica della ragione, quindi è un razionalismo critico e
conferisce alla ragione la facoltà di risoluzione di problemi
• Concezione della verità e del processo scientifico= la verità come ideale
regolativo non verrà mai realizzata perché nessuna teoria scientifica potrà mai
essere assolutamente vera: le teorie scientifiche possono essere considerate
solo buone approssimazioni alla verità
• Il ruolo della filosofia e della metafisica= la filosofia tratta problemi autentici
e irriducibili alla scienza: i problemi relativi alla vita e alla morte non possono
essere risolti dalla conoscenza scientifica
Kuhn
Fa parte degli autori che assumono un atteggiamento critico nei confronti del
neo positivismo e di Popper.
Criticò Popper di astrattezza: il falsificazionismo è astratto perché la prassi e la
storia della scienza ci dimostrano che l'impegno principale di uno scienziato
non è di falsificare le proprie teorie, come non è vero che si accetta la teoria
solo se la verifichiamo.
Nella storia della scienza si parla di ere: ciascuna era scientifica è fondata da un
paradigma—>un paradigma è l'insieme delle teorie, dei metodi e delle prassi
condivise in maniera unanime in un dato periodo.
Kuhn distingue l'evoluzione della scienza, a partire dalla nozione di paradigma,
in tre fasi:
Lakatos
Il suo obiettivo è quello di creare una sintesi tra Popper e Kuhn perché avete
delle possibilità di sintesi.
Lakatos critica sia Popper che Kuhn: di Popper critica il fatto che non basta una
singola confutazione per abbandonare la teoria; quindi anche lui riconosce che
il falsificazionismo è astratto e non corrisponde alla prassi degli scienziati. Di
Kuhn non accetta la deriva relativista dell'incommensurabilità tra i paradigmi:
come non esistono falsificazioni definitive immediate, così non esistono
rivoluzioni scientifiche radicali.
Secondo Lakatos il falsificazionismo di Popper e il relativismo di Kuhn
possono essere mediati nel falsificazionismo sofisticato. Se vogliamo dare una
descrizione il più possibile attinente all'indagine scientifica dobbiamo
riconoscere che il nostro oggetto di discussione non sono solo le teorie
scientifiche ma dobbiamo fare la nostra valutazione sui programmi di ricerca.
Un programma di ricerca è costruito da un nucleo rigido, ovvero un nucleo di
tesi convenzionalmente e temporaneamente accettate come valide e dunque non
confutabili. Per difendere il nucleo rigido abbiamo bisogno di una cintura
protettiva, ovvero di un insieme di ipotesi ausiliarie soggette a confutazioni e
modifiche. Ma un programma di ricerca è costituito anche da un'euristica: un
insieme di regole che ci dice come confutare o non confutare certe ipotesi
ausiliarie.
Feyerabend
Feyerabend rappresenta una critica totale e sistematica a tutto: rifiuta del tutto i
termini del dibattito dell'epistemologia positivista, popperiana e post-
popperiana.
La concezione della scienza di Feyerabend è descrivibile con il termine
anarchismo metodologico: l’anarchismo metodologico sostiene che non
esiste alcun metodo specifico e peculiare della scienza.
La critica all’empirismo di Feyerabend rappresenta la radicalizzazione
massima della theory ladenness perché non si limita a dire che l’osservazione è
carica di teoria come sosteneva Kuhn, ma sostiene che non si ha nemmeno
osservazione senza teoria. Se nella theory ladenness di Kuhn almeno era
presente una distinzione concettuale tra osservazione e teoria, qui invece si nega
che ci sia una distinzione tra osservazione e teoria perché la tesi di Feyerabend
è che i fatti non hanno alcuna autonomia rispetto alle teorie, perché le teorie
sono condizioni di possibilità dell’osservazione.
Feyerabend dice che le teorie non possono essere derivate dai fatti, poiché
hanno un potere informativo sostanzialmente superiore e irriducibile, cioè una
teoria ci dice molto di più di quello che ci dicono i fatti. Quindi, se le teorie ci
dicono molto di più di quello che ci dicono i fatti, le teorie scientifiche non
derivano affatto da fatti osservati, ma da altre teorie, cioè dalla metafisica.
La formulazione dei presupposti generali non ancora connessi con le
osservazioni coincide con l’invenzione di una nuova metafisica.
Secondo Feyerabend dobbiamo abbandonarci al dadaismo (corrente artistica di
inizio 1900 che si ispirava al caos); anche lo scienziato deve in qualche modo
riconoscere che non c’è un metodo universale e quindi dobbiamo abbandonarci
al caos—> sfruttando tutti gli strumenti possibili a cui si può attrarre per
elaborare teorie scientifiche.
Secondo Feyerabend un buon scienziato deve essere un buon empirista, quindi
un metafisico critico—> colui che sa lavorare in maniera disinvolta con le idee.
Lo scienziato deve essere un grande opportunista che non si preclude nessuno
strumento di indagine per la proliferazione delle proprie idee e teorie
scientifiche, avendo come unico criterio metodologico l’espressione “anything
goes” (va tutto bene).
Tutta questa sua critica al monopolio della scienza, si traduce nel tentativo di
rimettere la scienza nelle mani dei cittadini (questa critica ha delle ripercussioni
politiche significative).
Frege
Il linguaggio è proprio la garanzia per poter tematizzare l'oggettività del
pensiero e l'irriducibilità del pensiero al piano psicologico. Il linguaggio è
quell'elemento che consente di conoscere in maniera oggettiva e non
psicologistica il pensiero.
Il linguaggio rappresenta la veste linguistica del pensiero, il pensiero in sé non
lo vediamo, ma acquisisce una natura oggettiva attraverso il linguaggio—> il
linguaggio è l'abito sensibile del pensiero.
Frege dice che l'enunciato esprime un pensiero; quindi non c'è
un'identificazione totale tra pensiero e linguaggio e tale concezione
antiriduzionistica si esprime nella distinzione che Frege propone tra senso e
significato.
Per Frege il pensiero è l'insieme dei concetti, quindi il concetto secondo lui
rappresenta l'elemento base del pensiero. Il concetto è ciò che noi possiamo
attribuire a più oggetti. Frege postula l'esistenza di oggetti di pensiero a cui si
riferiscono i concetti: come i nomi si riferiscono a un oggetto, anche i concetti
devono riferirsi a un oggetto.
Frege teorizza la nozione di Bedeutung—> riferimento/denotazione
La Bedeutung ha un'identità oggettiva indipendente dal soggetto e tuttavia ci si
può riferire ad essa in modi differenti, a partire da differenti prospettive.
La prospettiva a partire da cui noi accediamo al Bedeutung è denominata Sinn,
ovvero il senso/connotazione.
Wittgenstein
Wittgenstein abbandonò la filosofia e si dedicò ad altri mestieri: queste
esperienze stravolgono la sua visione della filosofia e anche la visione del
mondo della conoscenza del Tractatus che gli sembrava totalmente inadeguata.
Vedendo come crescono i bambini e come crescono le piante, capisce che la
conoscenza non è affatto quella raffigurazione logica, ideale del mondo che
aveva teorizzato nel Tractatus. Inizia quindi a riconoscere sempre di più
l’importanza e il ruolo di un linguaggio ordinario. Da questo momento venne
chiamato “il secondo Wittgenstein”.
Il linguaggio non è più interpretato come raffigurazione logica del pensiero, ma
viene paragonato ad una vecchia città o ad un labirinto di strade per dire che
non c’è un sistema di regole univoco ma una stratificazione di parole e
significati che può essere compresa a partire dalla comprensione delle forme di
vita di cui sono espressione.
Wittgenstein nelle “Ricerche filosofiche” introduce una teoria del significato
molto innovativa secondo cui il significato non è dato dal riferimento oggettivo,
ma dipende dall’uso che noi facciamo del termine in un determinato contesto.
Il linguaggio è un insieme di giochi linguistici e richiama la metafora del gioco
perché ha una caratteristica importante e comune ai giochi: tutti i giochi hanno
delle regole, ma tra i vari giochi linguistici ci sono solo delle semplici
somiglianze.
Come varia la concezione del ruolo della filosofia dal “Tractatus” alle
“Ricerche”? Ora non c’è più una struttura universale del linguaggio e del
pensiero. La filosofia non può fare pressoché nulla e in questo c’è una
continuità rispetto al Tractatus perché anche nel Tractatus la filosofia non aveva
alcun poter conoscitivo, può solo descrivere gli usi linguistici.
Se nella nostra descrizione degli usi del linguaggio trovassimo termini che
cercano di fuoriuscire o di valere al di fuori di un gioco linguistico, dobbiamo
ricondurli ad un gioco linguistico o eliminarli.
Austin
Si potrebbero dividere gli analisti del linguaggio ordinario in due filoni:
- Concezione terapeutica= decostruttiva ed eliminativista di Wittgenstein che
analizza il linguaggio ordinario in vista della dissoluzione delle questioni
filosofiche tradizionali di carattere metafisico, etico e religioso (Ryle).
- Concezione costruttiva= considera che nel linguaggio ordinario si manifesta
una dimensione di senso dell’indagine filosofica, un valore conoscitivo della
filosofia e non solo terapeutico.
Austin analizza il linguaggio ordinario proponendo una visione della
conoscenza e del linguaggio non riduzionistica.
Austin riscontra nella tradizione filosofica una fallacia naturalistica: questa è
un'espressione che Austin deriva da Hume, che obiettava alla filosofia morale
una fallacia naturalistica per dire che l'errore della filosofia morale era quello di
derivare un dover essere (una legge morale) a partire dalla descrizione della
natura umana. In questo modo si riduce la concezione di linguaggio alla
dimensione descrittiva, quindi per recuperare la ricchezza di funzione del
linguaggio Austin elabora una teoria che chiama “teoria degli atti linguistici”.
La tesi della teoria degli atti linguistici di Austin è che il linguaggio non è solo
un dire ma è anche e soprattutto un fare: approfondisce questa tesi attraverso
un'analisi del linguaggio ordinario.
Formula la teoria degli atti linguistici istituendo una distinzione concettuale tra
gli enunciati constatativi e gli enunciati performativi: I primi sono enunciati
che descrivono e rappresentano, invece gli enunciati performativi consistono
nel fatto che quando li pronunciamo non stiamo semplicemente descrivendo
qualcosa, ma stiamo compiendo un’azione, una performance (alcune azioni
possono essere compiute solo attraverso gli enunciati performativi—> es.
sposarsi).
Rimanendo a questa formulazione della teoria degli atti linguistici troviamo una
sorta di dualismo tra l’aspetto descrittivo e l’aspetto performativo; quest’ultimo
però è sempre presente nel linguaggio.
Per rafforzare questa visione del valore performativo del linguaggio Austin
introduce tre nuove categorie concettuali:
• Locutorio= è l'azione in cui si associano i suoni organizzati in parole dotate
di struttura sintattica, capaci di esprimere un senso
• Illocutorio= è un atto la cui esecuzione è da rendere nota ad altre persone, e
la cui prestazione coinvolge la produzione di ciò che Austin chiama
'conseguenze convenzionali' (es. diritti, impegni o obblighi)
• Perlocutorio= riguarda le conseguenze della locuzione (es. sui pensieri/
sentimenti)
Ogni atto linguistico ed enunciato è sempre accompagnato da questi tre aspetti.
Individuò anche una lista di verbi performativi: verdittivi, esercitivi, commissivi,
comportativi ed espositivi
Ermeneutica loso ca
La parola “ermeneutica” apparve già in un’opera di Aristotele (De
interpretatione) e in quel caso si occupava del discorso apofantico, ovvero il
discorso capace di verità.
A partire dalla cultura medievale: l’ermeneutica o scienza dell’interpretazione,
non si limita solo più a definire le condizioni di verità degli enunciati, ma viene
applicata all’interpretazione e dunque al valore di verità del discorso teologico
(viene applicata alle sacre scritture per colmare la distanza tra lettori e autori
sacri).
Un’altra trasformazione del concetto di interpretazione la si ha con
Schleiermacher, che estende l’ermeneutica anche ai testi non sacri e la
definisce “l’arte di evitare il fraintendimento”.
Dilthey, nel 1900 pubblica “L’origine dell’ermeneutica” e in quest’opera,
l’ermeneutica viene definita come il metodo delle scienze dello spirito. Il
metodo scientifico delle scienze umane per Dilthey è l’ermeneutica. La
differenza tra scienza dello spirito e scienza della natura la spiega attraverso i
concetti di spiegazione e comprensione: la spiegazione è l'obiettivo delle
scienze naturali perché spiegare significa riassumere un fenomeno particolare
sotto una legge universale. Le scienze umane non riconducono il caso
particolare sotto una legge universale, ma vogliono comprendere l’unicità del
fenomeno.
Heidegger segna l’inizio dell’ermeneutica filosofica estendendone la funzione.
Heidegger è insoddisfatto dell’analitica esistenziale perché si accorge che
sentiva che il suo obiettivo di andare al fondamento stesso dell’essere, era
impossibilitato o limitato dal non poter fare riferimento alle categorie della
metafisica tradizionale, che però limitavano la possibilità di cogliere il
senso dell’essere—> sente l’esigenza di cambiare radicalmente il modo di fare
filosofia. L’unico modo è concepire la filosofia come un discorso, come
esistenza. Heidegger dice che se il punto di partenza dell’ente che pone la
domanda sull’essere rende la filosofia ancora un discorso, dobbiamo metterci in
ascolto dell’essere. L’ascolto rappresenta l’atto più originario dell’esistere
perché se il Dasein pone una domanda sull’essere, questo significa che l’essere
ci ha già parlato e allora la prima cosa che noi dobbiamo fare è ascoltarlo. Il
compito della filosofia, ma anche dell’esistenza, è l’ascolto della realtà.
Heidegger individua la struttura dell’atto interpretativo attraverso la teoria del
circolo ermeneutico.
Quali sono i momenti del circolo ermeneutico?—> l’interpretazione, cioè il
tentativo di dare un senso ai segni del linguaggio o dell’essere che ci parla, la
precomprensione implicita del senso dell’essere che ci parla, l’interpretazione
che genera una comprensione esplicita, ma questa non è mai definita e il quindi
il circolo ermeneutico presuppone che si ritorni a una precomprensione di grado
fi
fi
superiore da cui riparte questa attività interpretativa che non ha fine se non con
la vita stessa.
Il linguaggio è la casa dell’essere: l’essere si manifesta nella poesia. Infatti i
poeti e i pensatori secondo Heidegger sono i custodi dell’essere, ovvero del
linguaggio, in quanto prestano ascolto all’essere e ne esprimono il senso con
discrezione e rispetto.
Heidegger interpreta la verità come disvelamento—> la verità è svelamento
dell’essere.
Gadamer
(“Verità e metodo” 1960)
Gadamer concepisce l'ermeneutica come un modo di essere proprio
dell'uomo. Questo comporta una reinterpretazione della verità per dire che la
verità eccede totalmente il metodo. La verità è un'esperienza che accade, tocca e
modifica l'essere umano nella sua interpretazione della realtà.
Anche l’ermeneutica di Gadamer conferisce un ruolo importante al tema della
precomprensione. Gadamer tematizza questo elemento di precomprensione
introducendo il concetto di pre-giudizio. L’orizzonte dei pre-giudizi non è
nient’altro che il linguaggio, ovvero l’essere che si rivolge a noi. Il compito
dell’ermeneutica filosofica è quello di diventare sempre più consapevoli
di come il linguaggio si offre a noi, ovvero della tradizione e dei pregiudizi.
Gadamer non concorda sul fatto che la precomprensione si realizzi attraverso la
poesia, perché la precomprensione se è determinata dalla tradizione, e
dall’insieme dei pre-giudizi, avviene non in un monologo del poeta con sé
stesso, ma si realizza all’interno di una tradizione e quindi presuppone una
condizione dialogica, una fusione di orizzonti.
Gadamer vede una doppia circolarità: dice che la dinamica di
precomprensione, interpretazione e comprensione esplicita è una circolarità tra
il tutto e la parte e tra la domanda e la risposta:
- Dal tutto alla parte e dalla parte al tutto= il tutto rappresenta la tradizione, la
parte rappresenta me nella tradizione alla ricerca di una fusione di orizzonti:
non posso comprendere il mio orizzonte se non in riferimento ad un progetto
sul tutto.
- Dalla domanda alla risposta e dalla risposta alla domanda= la comprensione
comincia interrogando la tradizione, ma la sua risposta non è mai definitiva,
perché apre sempre nuove domande alla luce della situazione dialogica in cui
siamo collocati