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Riassunto filosofia

Filoso a per la psicologia


Dal punto di vista storico la filosofia nasce come indagine sulla natura a partire
dai primi tre filosofi di Mileto, denominati “filosofi della natura”. Con la
rivoluzione scientifica del VI secolo a.C. la filosofia per la prima volta si
interroga sull'origine delle cose, sull’archè. In seguito con Galilei cambia la
visione e infatti la frase che descrive il suo nuovo metodo, “noi non vogliamo
tentar l'essenza", propone un nuovo modo di fare la scienza ovvero il metodo
sperimentale.
Con l'avvento della psicologia non ci si occupa del che cosa, ma ci si occupa del
come: nasce quindi un approccio scientifico alla sfera umana e ci si preoccupa
di come si verificano i fenomeni psichici.
Lo scopo della filosofia è un'attività che consiste nella riflessione e nell'analisi
delle opinioni che abbiamo sul mondo e su noi stessi per vedere se sono
razionalmente difendibili.

Passaggio da ottocento a novecento


L'ottocento può essere caratterizzato come il secolo dell'ottimismo perché ci
furono molte scoperte scientifiche: energia elettrica, nuove forme energetiche
(petrolio) e creazione di un sistema ferroviario molto esteso. Di conseguenza ci
fu un diffuso entusiasmo nel progresso scientifico. Questo entusiasmo veniva
dalla borghesia, che si era affermata dal 1600 in seguito alle scoperte
geografiche e ai commerci che in seguito si sono rafforzati. Il culmine di questo
percorso è la Rivoluzione francese: questo culmine si consolida nell'ottocento
perché le istituzioni politiche che si generano in seguito ai moti rivoluzionari
sono tendenzialmente stati liberali che si spirano al liberalismo in campo
politico, e in campo economico si ispirano al liberismo.
Questo sistema di egemonia politica ed economica inizia già nell'ottocento ad
entrare in crisi perché ci furono delle contraddizioni interne del sistema liberale:
le due guerre mondiali, i regimi totalitari in Europa, la guerra fredda, il
superamento dei blocchi contrapposti con conseguente vuoto ideologico e
l'incombente catastrofe ecologica e sanitaria dei giorni nostri. Però la vera
ragione per cui inizia il sistema inizia ad entrare in crisi è la perdita di un
orizzonte positivo condiviso (come se l’uomo contemporaneo avesse perso la
capacità di affrontare il male del mondo a partire da un’ipotesi di senso
condivisa), che causa a sua volta la crisi del soggetto autocosciente. Questa è
una crisi importantissima perché è una novità nel panorama culturale dato che
l'uomo è sempre stato al centro già a partire dal pensiero classico, per non
parlare poi dell’umanesimo. Sigmund Freud scrisse riguardo la crisi del
fi

soggetto autocosciente parlando di tre mortificazioni: l'uomo infatti ha subito


tre grandissimi mortificazioni e l'ultima è quella di cui lui stesso responsabile.
1) Quando apprese che la nostra terra non è il centro dell'universo
(eliocentrismo)
2) Quando la ricerca biologica annientò la pretesa posizione di privilegio
dell'uomo nella creazione, gli dimostrò la sua provenienza dal regno
animale e l'inestirpabilità della sua natura animale
3) Quando l'indagine psicologica ha dimostrato che non solo l'individuo non è
padrone di se stesso, ma che deve anche fare affidamento su scarse notizie
riguardo a quello che avviene inconsciamente nella sua psiche

Risposte della loso a contemporanea


Le risposte filosofiche alla crisi furono due tendenze:
• Tendenza epistemologica (filosofia analitica) con Frege
• Tendenza antropologica (filosofia continentale) con Husserl
La tendenza epistemologica propone una riflessione strutturata e rigorosa sulla
conoscenza scientifica: i filosofi analitici sostengono che attraverso analisi
logica e del linguaggio sia possibile offrire dei fondamenti alla conoscenza
scientifica e quindi di conquistare un pezzo di certezza.
La tendenza antropologica si propone di rivendicare la peculiarità dell'uomo:
uno dei massimi filosofi continentali è Heidegger, che afferma che la scienza
non pensa e quindi il tentativo di ricercare questa peculiarità dell'uomo avviene
in opposizione alla scienza.

Positivismo
Corrente filosofica fondata da Comte. Il nome deriva da positiph che significa
concreto, reale. Comte vuole sostenere che la vera conoscenza è conoscenza
concreta, reale, basata su dati postivi: la conoscenza scientifica.
Nella storia dell’umanità il sapere scientifico si è evoluto secondo diversi stadi:
• Stadio teologico (prefilosofico)
• Stadio metafisico (fino all’avvento della rivoluzione scientifica)
• Stadio positivo (con il metodo sperimentale)
Comte immagina come culmine dello stadio positivo una scienza deterministica
che formula leggi universali sull’uomo: questa scienza avrebbe preso il nome di
sociologia.
La crisi arriva anche in ambito della ricerca scientifica stessa e provoca la crisi
dei fondamenti

fi
fi

Crisi dei fondamenti


Con “crisi dei fondamenti” si intende l’insieme di quelle vicende scientifiche
tra il XIX e il XX secolo che determinarono una trasformazione dell’immagine
oggettiva e universale della scienza tipica della modernità e del positivismo.
L’ambito che dà l’avvio alla crisi è quello della geometria: la causa è la scoperta
del fatto che la geometria euclidea, sempre utilizzata fino a quel momento, non
era l’unico modello. La geometria euclidea offre il modello dello spazio fisico,
ma anche della nostra comune esperienza percettiva; è un sistema semplice
costituito da 5 postulati (o assiomi). Il problema sta nel quinto postulato che
poneva la condizione di parallelismo delle rette, e questo non è molto auto
evidente perché le due rette tendono all’infinito e potrebbero incontrarsi in un
punto lontano: Lobacevskij e Riemann scoprirono che dai primi quattro
postulati è derivabile una negazione del quinto
—>Conseguenze
La scoperta delle geometrie non euclidee apre problemi dal punto di vista
ontologico ed epistemologico. Dal punto di vista ontologico il problema diventa
capire quale sia la vera geometria, e quale sia la vera struttura dello spazio: la
risposta che viene data fu il cosiddetto convenzionalismo formulato da
Poincare e Duhem—> secondo loro la domanda è inutile perché noi scegliamo
il sistema geometrico che è più comodo in un determinato momento.
Sul piano epistemologico il problema è enorme perché l’evidenza non può più
essere adottata come criterio di giustificazione del sapere scientifico. Allora
nasce una nuova disciplina: la logica matematica. Questa si basa
sull’elaborazione di un simbolismo per dimostrare le proprietà metateoriche
come la coerenza. Questa nuova branca della logica matematica viene chiamata
logica formale.
I nuovi filosofi inventarono un simbolismo: Frege fu il sostenitore del
logicismo che afferma che per giustificare la validità di un sistema formale è
necessario ricondurre le teorie matematiche alla teoria degli insiemi (il cui
concetto di insieme è un concetto logico). Tuttavia questo progetto entra in crisi
perché Husserl scrisse a Frege di aver trovato delle antinomie (simili a quella
del mentitore, quindi paradossi) nella sua teoria. Dopo questa lettera Frege
passò alla filosofia del linguaggio.
Hilbert diede vita al formalismo che aveva come scopo la sola considerazione
della forma della matematica, fondandola solamente in termini sintattici: Godel
però dimostra l’impossibilità di poter dimostrare la validità di un sistema
teorico in termini solo formali e sintattici (teorie di incompletezza di Godel).
Questi cambiamenti però sono stati molto importanti: se non fossero stati
disponibili i sistemi non euclidei Einstein non avrebbe mai formulato la teoria
della relatività.

Bergson
Secondo Bergson il positivismo non è in grado di spiegare completamente la
realtà, poiché basa la sua riflessione sul tempo senza prendere in considerazione
il tempo dell’esperienza concreta che è invece durata (critica dal punto di vista
ontologico). Dal punto di vista gnoseologico invece critica la concezione
dell’uomo e della conoscenza.
Bergson sostiene che la scienza fraintenda il concetto di tempo perché per come
lo considera è solo spazio: non esiste propriamente. Nel “Saggio sui dati
immediati della scienza” introduce la distinzione fra tempo e durata. La
durata è caratteristica della coscienza e va distinta dal tempo cosmologico che
è misurabile e nasce da una contaminazione tra il tempo vissuto e lo spazio: la
vera essenza del tempo è la durata. La durata è un fluire indistinto, è un flusso
ed è custodito nella memoria. Bergson propone la contrapposizione tra il tempo
della scienza (tempo spazializzato) e il tempo della coscienza (durata). Il
tempo spazializzato è come una collana scomposta di perle tutte uguali ed
esterne le une dalle altre. Nella coscienza invece tutto fluisce in un divenire
continuo come un gomitolo di filo che cresce conservando se stesso.
La scienza vede solo il tempo spazializzato perché assolutizza solo una facoltà
della conoscenza umana ovvero l'intelligenza. La facoltà dell'uomo attraverso
cui conosciamo il tempo come durata è l’intuizione. L'intuizione rappresenta lo
strumento conoscitivo dell'uomo che fornisce una conoscenza immediata e
piena: l'intuizione è lo strumento conoscitivo della filosofia come l'intelligenza
è lo strumento conoscitivo della scienza. Alla capacità dell'intuizione
corrisponde una facoltà umana che è la memoria. Bergson quindi vuole
proporre una sorta di dualismo secondo cui l'uomo non è costituito solo dalla
materia ma è costituito da materia e da memoria. Egli sostiene che l'anima e la
memoria siano la percezione interiore, mentre il corpo quella dell’esterno. Dato
che l'uomo possiede intuizione non è riducibile alla sola materia perché
l'intuizione non presuppone la mediazione corporea. Bergson concepisce il
pensiero come memoria: secondo questa visione non ci sono aporie
nell'affermare un concetto immateriale perché quello materiale (il corpo) è
mediato attraverso la memoria.
Secondo Bergson se l'uomo è costituito da un principio non riducibile alla
materia, allora un'altra conseguenza fondamentale è la libertà: se nell'uomo c'è
un principio non corporeo, non materiale, che non sottostà al meccanicismo
delle leggi di natura, allora la libertà dell'uomo è dimostrata.
Esistono due concezioni del cosmo: la concezione teleologica secondo cui nella
natura è riscontrabile una tendenza naturale verso un fine, una realizzazione, e
una concezione deterministica secondo cui non c'è nessun fine, è tutto un
meccanismo. Bergson afferma che il motore dell'evoluzione e dello sviluppo del
cosmo è uno slancio vitale, ed egli propone una forma di vitalismo che in parte
assume la prospettiva teleologica. Il problema è che nella prospettiva

teleologica il fine a cui tende il principio vitale è unico, ma secondo Bergson


l'esito dello sviluppo non ha un unico fine e questa apertura dell'esito richiama
le teorie evoluzionistica darwiniane.
Lo slancio vitale nel regno animale si scinde in due linee: l'istinto (animali) e
l'intelligenza (uomo). L'intelligenza è la capacità di fabbricare strumenti a
cominciare dal linguaggio.

Nietzsche
Nietzsche nacque nel 1844 e il suo passaggio dalla letteratura alla filosofia è
stato segnato dallo studio di Schopenauer.
Periodo giovanile
La prima fonte di ispirazione di Nietzsche fu la cultura greca."la nascita della
tragedia" è una reinterpretazione della grecità, una critica della cultura presente
e un programma di rinnovamento di essa, che si fonda sulla distinzione tra
spirito apollineo e dionisiaco, i due poli attorno ai quali si è sviluppata la
cultura greca. L’elemento apollineo coincide con la razionalità e l'equilibrio e
si realizza nella scultura; l'elemento dionisiaco si identifica con la creatività,
l'istinto vitale e la fusione delle forme e trova la sua massima espressione nella
musica e nella danza. La cultura greca ha saputo realizzare un perfetto
equilibrio tra apollineo dionisiaco da cui è nata la tragedia che ha raggiunto il
proprio culmine con Eschilo e Sofocle; tale equilibrio si è incrinato con
Euripide e infine l'armonia è stata definitivamente distrutta da Socrate, che con
l'introduzione del prologo ha fatto prevalere l'elemento razionale a scapito della
tensione vitale. La cultura greca è stata grande perché ha saputo fondere questi
due spiriti attraverso l'arte: l'uomo greco è stato grande perché è stato in grado
di fronteggiare l'insensatezza della realtà, godendo però della bellezza delle
forme. Il prologo ha distrutto l'equilibrio perché tentava di dare una spiegazione
a quello che sarebbe stato mostrato in seguito e questo per Nietzsche è
inaccettabile perché per lui era assurdo tentare di dar senso a qualcosa che non
lo ha. L'avvento della filosofia rappresenta quindi la morte della cultura greca,
perché cerca di dare un senso alla realtà dicendo che la realtà è razionale.
Inoltre l'avvento del cristianesimo aggiunge che anche la sofferenza
(negazione dei valori vitali) ha senso e quindi rappresenta la perversione
massima. Secondo Nietzsche il razionalismo è una degenerazione perché
soffoca le pulsioni istintive e mortifica i valori vitali. Nelle "Considerazioni
inattuali" Nietzsche critica lo storicismo (e di conseguenza anche il positivismo
che condivide la stessa concezione del tempo), secondo cui la storia è
inevitabile progresso: inoltre è anche considerato il frutto del razionalismo.
Nietzsche assume una posizione antistoricista che si oppone alla concezione
lineare del tempo, e propone invece una concezione ciclica. Nietzsche distingue
tre forme utili di storia: la storia monumentale (che propone i grandi esempi

del passato dalle cui azioni è bene trarre spunto per le proprie), la storia
archeologica (grazie a cui ci si rapporta al passato da preservare e venerare) e
la storia critica (che prende il distanza dal passato giudicandolo e creando così
lo spazio necessario per liberarsi dalla decadenza e proporre nuovi valori).
Periodo illuminista
Secondo la tradizione filosofica la realtà è razionale, quindi conoscibile e
accessibile all’uomo. Il presupposto fondamentale del razionalismo è il
principio di identità, per cui le cose possono essere conosciute. Nietzsche
ritiene che il principio di identità sia una menzogna perché in natura esiste
solo la diversità, le cose infatti mutano e si trasformano; e poiché la realtà è una
trasformazione costante, è piuttosto necessario dire che l'illogicità è la
condizione di esistenza delle cose.
Nietzsche osserva che il senso di colpa non deriva dal fatto che siamo
responsabili, bensì dal fatto che ci riteniamo tali perché siamo convinti di essere
liberi. Egli vuole sradicare la possibilità del giudizio morale affermando che le
azioni umane sono neutre, perché sono come gli eventi naturali e così come non
definiamo immorale un temporale, così non dobbiamo imputare valore alle
azioni umane. Non possiamo giudicare chi compie il male, perché in fondo chi
lo fa agisce così avendo in vista sempre la propria conservazione. Dalla
negazione della libertà consegue la confutazione della morale: secondo
Nietzsche il mondo non è né buono né cattivo e la relatività della morale è
dovuta alla mancanza di una gerarchia di beni universale e stabile nel tempo.
Inoltre la morale è anche uno strumento di sottomissione perché è preceduta
dalla costrizione, la quale è determinata da qualcuno che è più forte, e di
conseguenza il debole si conforma alla costrizione per il dolore, ma col tempo
questa diventa costume, abitudine e poi si consolida come istinto e diventa
quasi piacevole non rispettare le costrizioni previste dai costumi e dalle
convenzioni: quando c'è questo ribaltamento subentra quella che Nietzsche
chiama la morale degli schiavi: è come il passaggio dalla morale degli
aristocratici che hanno come ideali la forza e la vitalità, alla morale del gregge
che nega attraverso la morale quello stesso istinto di moralità. Inoltre la
cosiddetta voce della coscienza è una costruzione legata alla repressione degli
istinti vitali, per cui tutti gli istinti che non si scaricano all'esterno si rivolgono
verso l'interno. Quando gli istinti non si scaricano è perché siamo degli inetti,
non possiamo scaricare i nostri istinti verso l'esterno e allora ci inventiamo la
voce della coscienza come ha fatto Socrate, semplicemente perché non siamo in
grado di fare quello che vorremmo fare.
Il cristianesimo secondo Nietzsche è da rifiutare, perché solo eliminando l'idea
di Dio, si può eliminare il senso del peccato. Confrontandosi con un essere
buono e perfetto, l'uomo giudica la sua natura torbida e contorta e sprofonda in
uno stato di angoscia. Il cristianesimo è come se avesse schiacciato l'uomo in

una palude per far brillare lo splendore della divinità; conduce inevitabilmente
all'annientamento dei valori vitali.
In Gaia scienza il folle annuncia che Dio è morto e che noi abbiamo ucciso:
l'annuncio della morte di Dio e affidato al grido del folle dal momento che gli
uomini non si sono ancora resi conto di quanto è avvenuto. Il mercato è simbolo
della società borghese che pensa di aver sostituito la religione con gli ideali del
progresso scientifico ed economico ma in realtà ha solo sostituito il vecchio Dio
con nuovi idoli. Nietzsche intende collocarsi sul piano storico, vale a dire che
nella storia dell'umanità Dio c'è stato, ma ora non c'è più infatti Dio è morto
poiché gli uomini sono allontanati da lui e hanno tradito tutti i valori di
riferimento rappresentati da Dio. La morte di Dio si configura con l'espressione
che constata alla fine di un mondo di valori, e costituisce l'avvento del
nichilismo inteso come processo con cui i valori tradizionali, la verità e il bene
si indeboliscono fino a scomparire. L'atteggiamento di chi nega e rifiuta i valori
vitali terreni è incarnato dal cristianesimo che, considerando peccato tutti quelli
che sono i valori e i piaceri della terra e rifugiandosi nel pessimismo, ha
prodotto il nichilismo passivo. La morte di Dio consente il passaggio dal
nichilismo passivo al nichilismo attivo, che invece si esprime come forza
violenta di distruzione dei valori che hanno soppiantato i valori vitali, e consiste
nella capacità di affermare se stessi in un mondo insensato. L'affermazione
totale di sé si scontra però con l'esperienza del dolore: a questo proposito
Nietzsche propone la dottrina dell'eterno ritorno. Il cosmo è animato da un
movimento ciclico che non ha fine e per cui ogni istante è destinato a tornare
identico a se stesso. Il mondo ha in sé è una necessità di riaffermarsi e perciò di
ritornare eternamente su se stesso: la grandezza dell'uomo sta nell'accettare tutto
questo e nell'amarlo (amor fati). L'accettazione totale della vita implica
l'accettazione del passato e la volontà che esso sia così come è stato. Colui che è
capace di accettare, senza esserne schiacciato, la morte di Dio, l'eterno ritorno e
conseguente amor fati non è più l'uomo ma è il superuomo.
Ultimo periodo
Il superuomo è l'espressione è l'incarnazione della volontà di potenza, ovvero
della volontà di affermare se stessi.la prima caratteristica del superuomo è la
sua libertà di spirito: la sua massima fondamentale è "divieni ciò che sei", nel
senso della massima differenziazione dagli altri. Il superuomo fa la sua
comparsa in “Così parlò Zarathustra”, ma Zarathustra non è il superuomo bensì
il suo profeta: il superuomo deve ancora arrivare e arriverà quando l'uomo
riuscirà a superare se stesso. Alla morte di Dio restano solo i valori vitali che si
realizzano sulla terra, e affinché questi valori vengano attuati è necessario che si
affermi un individuo che costituiscono l'evoluzione dell'uomo stesso egli sia
superiore. Nietzsche era tuttavia consapevole che questa verità non poteva
ancora essere riconosciuta infatti scrisse "ecco chi se ne stanno lì e ridono: non
mi intendono”.

Dopo il passaggio dal nichilismo passivo al nichilismo attivo segue la


trasvalutazione dei valori che propone una nuova tavola di valori. Nietzsche
riprende la polemica contro la morale ricostruendone l'origine e lo sviluppo. Ci
sono due tipologie di morale: la morale del gregge e la morale degli
aristocratici; la prima è la morale dei deboli e degli schiavi i quali trasformano
in dovere virtù comportamenti come la sottomissione e sacrificio di sé. La
morale degli aristocratici esalta la fierezza e dalla morale di coloro che sono
forti non hanno paura di esserlo.gli aristocratici sono coloro che riescono a
realizzare le loro potenzialità, senza temere nulla, neppure la morte.
L'inversione dei valori si presenta come una critica della morale cristiana, il cui
vero fondamento è il risentimento. La trasvalutazione dei valori colloca l'uomo
al di là del bene del male, dove nessun valore ha più senso; non esistono valori,
ognuno si crea i suoi e li attua se ne ha la forza. La volontà di potenza in
Nietzsche e la volontà di trasformare tutte le proprie potenzialità in atto,
realizzandole pienamente.
Senso di smarrimento dell'uomo contemporaneo: non ci sono più valori, non c'è
un fine, non c'è un senso.

Cassirer
Il pensiero kantiano viene criticato per due motivazioni: la prima è perché Kant
nella critica della ragion pura sosteneva che lo spazio il tempo fossero le forme
a priori che rappresentavano il modo in cui si arrivava alla conoscenza
sensibile; ma con la scoperta delle geometrie non euclidee spazio tempo non
possono più essere considerati come forme a priori universali. La seconda è
perché la filosofia kantiana cercava di recuperare la possibilità di una
fondazione filosofica della scienza dal punto di vista trascendentale, ma il
positivismo negava il valore fondativo della filosofia rispetto alla scienza,
perché affermava il primato della scienza.
Cassirer si chiese in che modo ripensare la filosofia kantiana per far fronte a
questi ostacoli e realizzò che bisognava estendere il concetto di ragione e
quindi valutare non solo la conoscenza scientifica ma fare anche una critica
della cultura nel suo complesso, in tutte le sue manifestazioni.
Nell'opera "sostanza e funzione" del 1910 Cassirer evidenzia come la storia
della filosofia moderna nasca all'insegna del passaggio dal concetto di sostanza
al concetto di funzione. Il concetto di essenza era legato al concetto di sostanza
perché la sostanza rappresenta l'unione di materia e forma, e la forma e la sua
essenza. Il concetto di sostanza diventa però incompatibile con la visione
scientifica perché Galileo dice appunto di non voler tentare le essenze, e infatti
si limita a misurare e predire i fenomeni formulando delle leggi scientifiche di
natura matematica. Cassirer dunque oppone al concetto aristotelico di sostanza
quello di funzione, per spiegare la conoscenza come attività creativa.

Cassirer ipotizza che l'uomo non è un animale razionale, ma è un animale


simbolico: con ciò egli non intende negare che l'uomo sia anche razionale,
perché è fermamente convinto che la razionalità faccio parte dell'uomo, ma la
include all'interno di un ambito più vasto, che gli chiama sistema simbolico.
La peculiarità dell'uomo come animale simbolico è che organizza la realtà in
strutture dotate di senso attraverso molteplici sistemi di simboli. Per descrivere
che cosa siano i simboli Cassirer li distingue dai segni: i segni hanno lo scopo
di designare qualcosa di materiale in maniera univoca, ma il sistema
comunicativo dell'uomo non si esaurisce a questa modalità. I simboli invece
svolgono una funzione rappresentativa, sono i filtri che ci consentono di dare
un ordine alla realtà, e che consentono l'edificazione di un mondo comune in
cui l'oggettività non è vista come qualcosa di astratto. La conoscenza simbolica
è propria di tutte quelle forme culturali che cercano di descrivere qualcosa di
non materiale: l'arte, la musica e la letteratura. La conoscenza umana consiste
nel dare ordine alla realtà attraverso i simboli e i simboli sono il modo in cui
l'uomo dà ordine alla realtà. Attraverso le forme simboliche noi edifichiamo un
mondo comune in cui recuperiamo una dimensione oggettiva e intersoggettiva.
Tra le diverse forme simboliche il ruolo fondamentale è affidato al linguaggio:
esso è presente solo nell'uomo e grazie al linguaggio è stato possibile sviluppare
riflessione e astrazione.

Husserl
Il percorso intellettuale di Husserl si articola in tre periodi che corrispondono
approssimativamente alle tre sedi universitarie in cui insegnò:
1) Periodo di Halle (coincide con la conversione dalla matematica alla
filosofia)
2) Periodo di Gottinga (segna il passaggio dalla logica pura alla
fenomenologia trascendentale)
3) Periodo di Friburgo (svolta della fenomenologia in direzione idealista)
Husserl partì da ricerche nell'ambito della filosofia della matematica con un
approccio psicologista, per cui indagava gli atti psichici correlati ad alcuni
concetti elementari della matematica (“Filosofia dell’aritmetica”) (lo
psicologista sostiene che per conoscere un determinato fenomeno dobbiamo
conoscere le operazioni psichiche e mentali che lo accompagnano).
Nei “Prolegomeni” Husserl lascia molto spazio alla critica dello psicologismo,
che accusa anche di essere contraddittorio perché pretende di ricavare
conoscenza oggettivamente valida dal presupposto secondo cui non siamo in
grado di conoscere le cose, ma solo il nostro modo di reagire alle cose; inoltre
però parla della logica e dice che si distingue in logica formale logica
trascendentale: la prima studia il procedimento della conoscenza invece la

seconda è la parte della logica che prescinde non solo dei contenuti, ma anche
dalla forma.
L'abbandono dello psicologismo si apre ad una riflessione filosofica su che cosa
sia la conoscenza: nell'opera "ricerche logiche" rileva i cardini attorno a cui
ruota la conoscenza, che sono l'intuizione dell’essenza e l’intenzionalità della
coscienza: la conoscenza comincia con l'esperienza, che offre la comprensione
del concreto, di ciò che si presenta hic et nunc. Tuttavia in ciò che si presenta
hic et nunc noi sappiamo intuire anche un quid, un’essenza.
L'intuizione è la modalità della coscienza tramite cui l'oggetto si dà alla
conoscenza. L'intenzionalità è quella capacità per cui la coscienza si rapporta
ad altro da sé. Husserl sente l'esigenza di fondare una nuova scienza filosofica
che si occupi di indagare questo rapporto della coscienza ad altro da sé, una
scienza che studi il manifestarsi della realtà alla coscienza: la fenomenologia. Il
compito della fenomenologia è quello di studiare come la realtà si manifesta
alla coscienza e, per arrivare al residuo fenomenologico, parte da una
considerazione di come la realtà si manifesta. La realtà si manifesta come Leib
(corpo vissuto) ma si distingue da Korper (corpo inanimato). La realtà si
manifesta attraverso l'esperienza del nostro corpo. L'atteggiamento naturale è
il modo in cui siamo nel mondo con il nostro corpo vissuto secondo un rapporto
di utilizzabilità, con finalità pratiche; ma l’atteggiamento naturale non può
rappresentare il manifestarsi originario della coscienza, quindi secondo Husserl
dobbiamo superare l'atteggiamento naturale mettendo tra parentesi il mondo od
operando l’epokè fenomenologica, che consiste nel non accettare come
fondamento della conoscenza nulla che non gode dell'assoluta evidenza. A tale
riduzione fenomenologica resiste solo ciò che si qualifica come residuo
fenomenologico, ovvero quella evidenza intuitivamente originaria che nessuna
riduzione potrei mai sottoporre a dubbio; la riduzione fenomenologica è il
metodo per una filosofia rigorosa.
Nelle "meditazioni cartesiane" Husserl identifica il residuo fenomenologico con
l’io trascendentale: l’io trascendentale è incorporeo e intenzionale, e non
equivale al cogito di Cartesio perché non è chiuso in se stesso, bensì è il centro
da cui trae origine l'intersoggettività.
Husserl la tentò una diagnosi della crisi delle scienze europee per cui l'uomo
stesso era stato ridotto a pura cosa: ma questa crisi profonda della razionalità si
può ovviare solo recuperando, per mezzo della fenomenologia, l'originaria
intenzionalità, ovvero un punto di vista unitario sul mondo. Questo significa
recuperare il mondo-della-vita, che per Husserl è quello che esiste prima di
essere tradotto nel pensiero logico e prima di essere strutturato nel linguaggio.

Heiddeger
In che modo Heidegger reinterpreta la fenomenologia husserliana? Questa
reinterpretazione è il passaggio dall'assolutamente evidente al fondamento
dell'evidenza stessa: l'obiettivo è quello di portare il pensiero di Husserl e la
fenomenologia ad una dimensione ancora più radicale e fondamentale. Si tratta
del passaggio dall'attenzione della dimensione degli oggetti al fondamento
stesso della realtà, e viene così recuperato il concetto di essere. Heidegger
vuole andare al fondamento dell’evidenza, che è l'essere stesso.
La proposta di Heidegger è di raggiungere l'essere a partire dal soggetto, dalla
soggettività attraverso un'analisi delle principali situazioni esistenziali.
Heidegger ci vuole dire che il senso dell'essere, il fondamento della realtà, lo si
incontra adottando la prospettiva soggettiva, del soggetto, cioè all'interno
dell'esistenza umana.
L’ente che pone la domanda sull’Essere, ovvero che ne cerca il senso, è il
Dasein (esserci, essere qui). Cosa significa che l'ente che pone la domanda
sull'essere è esserci? Significa distinguerlo da tutti gli altri enti.
Qual è la differenza tra l'esserci e gli altri enti? È che l'essere degli enti è
semplice presenza replicabile e utilizzabile, invece l'essere dell'esserci è
esistenza concreta, individuale, non replicabile come ente generico che
rappresenta un'essenza universale.
Se il Dasein è un'esistenza concreta allora nell'esserci l'esistenza, ovvero l’ex-
sistere, ha il primato sull’essenza. Heidegger vuole affermare che l'esistenza
concreta, cioè l'esserci, precede in maniera incommensurabile l'essenza:
l'essenza per l'esserci non conta nulla.
La parola existere significa stare fuori, esistere significa stare fuori da sé:
questo significa che l'esistenza che pone la domanda sull'essere, si manifesta
come possibilità costitutiva di essere altro da ciò che è. Il mio esistere significa
che io sono costantemente proiettato su una pluralità di possibilità; il nostro
esistere costituisce un progetto che diamo alla nostra esistenza: esistere quindi
significa progettare.
Le due modalità dell’esistenza del Dasein sono: Insein e Mitsein.
Insein significa “essere in”, essere dentro, e richiama la categoria del Leib di
Husserl (essere nel mondo). Il Dasein si manifesta come essere nel mondo e
l’Insein si definisce come il rapporto di utilizzabilità che il Dasein instaura con
le cose che ha a portata di mano: rapporto con le cose. Heidegger ci vuole dire
che l’uomo trova la sua identità in ciò che fa.
Mitsein significa “essere con”, ed è il rapporto che il Dasein ha con gli altri
Dasein e questo rapporto si esprime in un atteggiamento dell’esistenza che è la
cura (aver cura e prendersi cura degli oggetti e delle persone). Heidegger però
dice che la cura è neutra, ovvero non si realizza solo quando ci prendiamo cura
in senso positivo, ma anche quando non ci prendiamo cura, noi ci prendiamo
cura, però in modo difettivo.

La natura del Dasein si realizza quando il Dasein si riappropria del proprio


proggetto. Noi ci appropriamo della nostra esistenza, del nostro progetto,
quando diventiamo consapevoli dell'imprescindibilità della scelta individuale: il
progetto non è un optional, non è possibile scegliere o non scegliere. Il primo
passo per realizzare un'esistenza autentica è quello di diventare consapevoli
dell'imprescindibilità della scelta individuale. La chiacchiera, ovvero parlare
tanto per parlare, è simbolo di mondo in autentico, di esistenza inautentica. La
curiosità è un altro sintomo di esistenza inautentica. La curiosità è espressione
del voler vedere, non per comprendere, bensì solo per vedere qualcosa di
nuovo. La curiosità è la triste condizione di chi è capace di soffermarsi e di
riflettere: quindi ha bisogno di qualcosa di nuovo.
Per liberarsi dell'inautenticità bisogna avere la capacità di stare di fronte
all'antinomia dell'esistenza, perché l'inautenticità riguarda tutti. L'esistenza
autentica è l'esperienza che accetta l'angoscia come situazione emotiva
includibile, che fa da costante sottofondo all'umana esistenza.
L'angoscia è vista come quel sentimento dell'esistenza umana che si spalanca di
fronte alla consapevolezza di essere di fronte al nulla, alla possibilità, alla
libertà.
Heidegger dice che il progetto più proprio per l'uomo è l'essere per la morte.
La morte per Heidegger è la dimensione più autentica dell'esistenza umana
perché è la possibilità dell'impossibilità di tutte le possibilità. É la possibilità
più concreta perché tutti i progetti sono ordinati alla morte: un'esistenza che non
si progetti rispetto alla morte un'esistenza in autentica.
Esistere significa essere per la morte.

Sartre
Nacque in un ambiente dominato dal neoidealismo; l'incontro con Husserl e
Heidegger determinò un superamento del neoidealismo che si concretizzò in
una sintesi tra la teoria di intenzionalità e il concetto di nulla.
Sartre opera questa sintesi con lo scopo di dire che se la capacità fondamentale
della coscienza è di riferirsi ad altro da sé, allora la coscienza coincide
propriamente con il nulla. Se la coscienza si definisce in relazione a ciò che non
è coscienza allora il nulla è costitutivo con il nulla.
Da ciò si hanno due conseguenze, una conseguenza di natura gnoseologica
per cui la conoscenza dell'uomo specifica è l'immaginazione: se la conoscenza è
il nulla, allora la modalità della coscienza umana è l'immaginazione perché
nell'immaginazione la realtà di ciò che immagina e nulla; e una conseguenza di
natura antropologica: l'immaginazione consente di trascendere la situazione
liberandosi dalla costrizione dell’immediato.
In "immagine e coscienza" il tema dell'immaginazione viene approfondito con
il tema della libertà: se l'immaginazione consente di liberarsi dalle costrizioni

del dato immediato questo rivela che la coscienza, nell'essere il nulla, è


strutturalmente libertà.
Sartre ripone la distinzione dell'essenza e dell'esistenza nelle categorie di “in
sé” e “per sé”.
• “In sè”= È la modalità dell'esistenza delle cose, essere delle cose che ha come
caratteristica essere statico ed inerte
• “Per sè”= È l'essere della coscienza: la coscienza dell'essere avviene
attraverso per sé, e auto trascendimento
La coscienza è proiettata fuori di sé perché è manchevole, perché la coscienza è
nulla, è mancanza strutturale. Il fatto che l'essere della coscienza sia per sé, è
perché manca qualcosa, perché non è piena: la tensione dell'oltrepassamento
dipende da questa mancanza.
L'uomo è mancanza non perché esiste la trascendenza che rappresenta la
totalità, ma perché l'uomo è finito.
Secondo Sartre l'esistenzialismo cristiano, elaborato da autori come Marcel e
Jasper, è incoerente, perché se noi ammettiamo l'esistenza di Dio come creatore,
allora non possiamo coerentemente sostenere il primato dell'esistenza
sull'essenza. Questo perché se c'è un Dio creatore che crea l’uomo, l'esistenza
individuale è inevitabilmente predeterminata da un modello di umanità in base
al quale Dio crea. Con l'esistenzialismo ateo Sartre vuole dirci che l'uomo è
abbandonato perché è solo, solo con se stesso: infatti l'assoluta libertà non può
che esprimersi nella solitudine. Però, dato che siamo tutti legislatori di noi
stessi, almeno dal punto di vista formale, c'è qualcosa che ci accomuna; quindi
l'esistenzialismo ateo non implica la negazione di qualsivoglia dimensione
morale comunitaria dell'esperienza, ma implica una morale della totale
autonomia del soggetto come legislatore dell’oggetto.
La morale laica di Sartre è fondata sull'esperienza dell'autodeterminazione,
dell'esperienza della libertà come autodeterminazione; quindi l'esistenzialismo
ateo non nega la moralità ma costruisce, sul riconoscimento dell'universalità
dell'auto legislazione, una morale che è una morale della responsabilità.
L'angoscia a differenza di Heidegger non è l'esperienza della possibilità, ma
sorge dalla consapevolezza che in ogni mia scelta è coinvolta l'umanità intera.
L'angoscia è il sentimento della propria e completa responsabilità pubblica e
politica nei confronti di altri soggetti liberi.
Sartre afferma che noi siamo condannati alla libertà: non scegliamo di essere
liberi. Si impegna ad un'analisi degli indicatori che limitano la libertà provando
a risolvere questa contraddizione tra l'affermazione assoluta della libertà e il
fatto che non scegliamo di essere liberi.
Le principali situazioni che limitano la nostra libertà sono:
• Il posto= la nostra libertà è determinata dal posto in cui nasciamo, tuttavia il
posto può acquistare significato alla luce di un progetto

• Il passato= il passato è necessario, non posso modificarlo, tutti ne abbiamo


uno, ma diventa contingente e relativo rispetto al mio progetto
• L’entours= sono le cose che ci circondano e quindi il mio progetto, la mia
libertà, è limitato dalle cose che mi circondano
• Il prossimo= il prossimo è l'altro. La mia libertà, il mio progetto non può che
essere determinato dalla presenza dell'altro. L'altro è quello che mi guarda, e
la limitazione della mia libertà è data dal sentirmi osservato, dal sentirmi
guardato: lo sguardo dell'altro mi turba perché vuole possedere, perché ci
rende cose. Temiamo che lo sguardo dell'altro non sappia vedere l'unicità che
noi siamo. Si ha qui un riferimento importante alla dialettica servo-padrone di
Hegel: egli nella fenomenologia dello spirito afferma che l'autocoscienza si
manifesta come desiderio di essere riconosciuti come autocoscienze. Tuttavia
questo desiderio del riconoscimento della propria autocoscienza come unica
non può che nascere da un conflitto, perché tutti vogliamo essere riconosciuti
come autocoscienze e nella nostra unicità, ma per definizione non può che
esserci spazio per un solo assoluto. Questo conflitto ha due esiti: la
soppressione dell'altro, o l'instaurazione della dialettica servo-padrone.
Possiamo cercare di risolvere questo conflitto mediante l'amore: amare in
fondo non è altro che il progetto di essere amati; quando noi diciamo di amare
una persona, in realtà, stiamo affermando il nostro progetto di essere amati.
Un'altra modalità è l'indifferenza: a fronte dello sguardo dell'altro che ci
turba, lo possiamo considerare semplicemente nella sua funzionalità. Se
l’indifferenza non basta per accecare questo sguardo dell'altro su di noi, l'altra
possibilità e l'odio: l'odio si manifesta nella soppressione fisica dell'altro, che
però non elimina la memoria dello sguardo.
• La morte= in Sartre la morte non è una dimensione autentica dell'esistenza
come per Heidegger, ma è la contraddizione insuperabile del mio progetto,
perché sfugge per definizione al mio progetto.
Sembrerebbe che l'affermazione totale della libertà si eserciti nel suicidio.

Che cos'è la conoscenza?


Il tema della conoscenza è centrale a partire dalla filosofia moderna: la filosofia
inizia dare un'importanza preponderante al tema della conoscenza. La filosofia
moderna viene inaugurata da Cartesio.
La centralità del tema della conoscenza è la conseguenza dell'avvento della
scienza sperimentale.
La gnoseologia si interroga sulla conoscenza in senso molto ampio e quindi su
questioni metafisiche; la gnoseologia è però un termine troppo ampio perché le
questioni metafisiche sono troppo generali rispetto alla specificità, quindi è più
opportuno parlare di epistemologia. La riflessione sulla conoscenza si restringe

sulla conoscenza scientifica, quindi sia il passaggio dalla gnoseologia


all’epistemologia.
Non solo si riflette sulla conoscenza in termini generali, ma la filosofia deve
essere una epistemologia, cioè una filosofia della scienza.

Husserl
Husserl adotta un approccio psicologistico alla filosofia della matematica:
quella concezione secondo cui noi spieghiamo il pensiero a partire dalle
operazioni mentali, dalle operazioni psichiche: lo psicologismo non si occupa
del che cosa, ma si occupa del come.
Nelle “ricerche logiche” Husserl individua due critiche specifiche: la prima
dal carattere di necessità e universalità delle leggi logiche (“necessarie” vuol
dire che sono necessariamente vere, “universali” vuol dire che sono così per
tutti) per cui se le leggi logiche sono necessarie e universali, l'obiezione allo
psicologismo è che le leggi logiche non sarebbero necessarie e universali se
fossero semplici generalizzazioni di esperienza dipendenti da leggi psicologiche
(secondo Husserl lo psicologismo ha una pretesa illegittima, cioè quella di
ridurre il piano logico al piano psicologico). La seconda invece dalla
contraddittorietà dello psicologismo: questo perché lo psicologismo pretende
di ricavare conoscenza oggettiva e scientifica a partire dal presupposto
contraddittorio che non siamo in grado di conoscere le cose in sé nella loro
oggettività, ma solo a partire dal modo di reagire rispetto ad esse.
Husserl fa una distinzione tra logica formale e logica trascendentale. La logica
formale è la logica in senso proprio, cioè la scienza del retto ragionamento, che
si occupa dei principi logici del pensiero. La logica trascendentale è quella
scienza che si occupa delle condizioni di possibilità della conoscenza in
generale a prescindere dalla forma. È la teoria più generale possibile, e infatti
viene definita come la scienza delle scienze.
L'oggetto dell'intuizione sono le essenze. Husserl distingue due categorie di
essenze: le essenze materiali e le essenze formali. Le essenze materiali sono
quelle proprietà che si realizzano negli oggetti sperimentali e individuano le
varie regioni o categorie che li costituiscono. Gli oggetti sperimentali hanno
delle proprietà che possono essere oggetto di conoscenza sensibile. La
conoscenza delle essenze materiali dà vita alle ontologie regionali che sono le
varie scienze empiriche (fisica e chimica). Le essenze formali appartengono
all'oggetto in quanto tale, esprimendone le determinazioni costitutive e
necessarie senza le quali non ci sarebbe fatto l’oggetto. A prescindere dalle
essenze materiali che si realizzano in qualsiasi oggetto, un oggetto in quanto
tale ha delle caratteristiche imprescindibili. Le essenze formali quindi, sono
quelle essenze che appartengono all'oggetto in quanto tale ed esprimono le
determinazioni costitutive: ciò che costituisce e determina la conoscibilità di un

oggetto. Delle essenze formali si occupa l'ontologia formale, che è la logica


trascendentale. Se l’ontologia formale coincide con la logica trascendentale,
significa che le leggi fondamentali della realtà coincidono con le leggi del
pensiero. Quando le leggi del pensiero coincidono con le leggi della realtà, tra
soggetto e oggetto c'è un'interdipendenza strutturale. Tra soggetto e oggetto, e
tra leggi del pensiero e leggi della realtà, sussiste un'identità intenzionale che è
un'identità trascendentale che opera come condizione di possibilità, come
conoscenza della realtà. Se non ci fosse questa relazione strutturale tra soggetto
e oggetto, non potremmo conoscere la realtà. La conoscenza intenzionale, in
cui leggi del pensiero e leggi della realtà sono indipendenti, si configura
strutturalmente come apertura al mondo.

Pragmatismo
Il pragmatismo ha origine all'interno di un circolo di intellettuali chiamato
“Metaphisical club” che nacque nel 1872 a Cambridge con Peirce e James.
L'obiettivo di questi pensatori era quello di liberare la filosofia da quella che
loro definivano metaphisical rubbish (spazzatura), perché credevano che la
ricerca dovesse essere rivolta alle conseguenze, non alle cause e ai principi
astratti.
Il pragmatismo può ricordare uno spirito positivista, poiché crede in una
conoscenza reale ed effettiva solo se ha una relazione con l’esperienza.
L'esperienza non è solo ciò che è osservabile e misurabile, bensì è da
considerare come “pragma”, come cosa, fatte azione: l’esperienza è soprattutto
azione.
La massima pragmatista la elaborò Peirce dicendo—> considera le
conseguenze pratiche che può avere un tuo concetto; il concetto di un oggetto
c'è dato solo con l'insieme dei suoi possibili effetti pratici. In altre parole un
concetto, cioè il senso razionale di una parola, consiste nella sua concepibile
influenza sulla condotta della vita.
Il pragmatismo è un modo per valorizzare la conoscenza e la verità.

Peirce
Invita diede alle stampe solo alcuni articoli, e la grande mole di scritti in editi
furono pubblicati postumi nei “Collected papers”.
La logica riconosce due modalità conoscitive fondamentali:
• Deduzione= inferenza che va dal piano generale al piano particolare. Si
deduce quando il nostro processo conoscitivo parte da proposizioni generali e
da queste derivano proposizioni più particolari, più specifiche (es. i sistemi
assiomatici delle scienze matematiche)

• Induzione= inferenza che va dal piano particolare al piano generale


(caratteristica delle scienze empiriche)
Secondo Peirce però la deduzione e l'induzione non riescono a rappresentare un
modello esaustivo della conoscenza, perché non spiegano come si genera nuova
conoscenza, ma si limitano a classificare i fatti simili all'interno di una categoria
più generale.
Per spiegare il momento generativo della conoscenza Peirce introduce il
concetto di abduzione: l'abduzione è quel processo conoscitivo che va
dall'effetto alla causa e, in quanto tale, genera conoscenza.
Secondo Peirce l'abduzione è la modalità più fondamentale e originaria della
conoscenza umana, che sta a fondamento sia della deduzione che
dell’induzione. L’abduzione sta a fondamento della deduzione perché i principi
delle scienze deduttive derivano da questo processo; e l'induzione è
un’abduzione implicita in quanto il giudizio percettivo è frutto di un’abduzione,
seppur inconsapevole.
Pierce inaugura una nuova scienza: la scienza che si occupa della modalità
conoscitiva fondata sull'abduzione è denominata semiotica.
La finalità della semiotica è l'interpretazione del significato dei segni. La realtà
è costituita da segni, ovvero da qualcosa che rimanda a qualcos’altro.
La semiotica è quella scienza che cerca di interpretare il significato dei segni,
cerca di interpretare per che cosa stanno gli oggetti a partire dal punto di vista
di un interpretante.

James
Peirce vuole discostarsi da James e definire la propria visione non più come
pragmatismo ma come pragmaticismo perché non approva l'interpretazione
metafisica del pragmatismo offerto da James.
I punti su cui Pierce non è d'accordo sono: la teoria della verità, la fede e
l’empirismo radicale.
James si chiede se abbia senso ritenere vere o false le teorie dal momento che
sono strumenti: risponde a questa domanda dicendo che nella prospettiva
pragmatista si può interpretare la verità come adattamento soddisfacente.
Questo significa che sono vere quelle teorie o quelle credenze che consentono
di adattarsi in maniera soddisfacente alla realtà. La verità non è una proprietà
immutabile delle proposizioni, ma è una proprietà delle nostre credenze, è il
processo dinamico della convalida delle nostre idee da parte degli eventi.
Proprio perché la verità non è una proprietà immutabile, non abbiamo alcuna
garanzia metodologica e per questo si apre il discorso sulla fede, perché noi
abbiamo bisogno di fidarci delle nostre credenze.
La fede è l'atteggiamento conoscitivo che esprime la credenza della possibilità
di un accordo, con l’ambiente, non solo legittimo ma necessario: il pensiero non
deve inibire credenze utili per un'azione efficace sul mondo. La fede è un atto

della ragione e a sua volta la ragione è un atto di fede. James sostiene che
ognuno ha diritto di credere ciò che vuole e che un atteggiamento non
pragmatista nei confronti della fede non è legittimo: la fede deve essere
un'ipotesi viva, la verifica della fede la facciamo durante l’esperienza.
L'empirismo radicale di James si oppone al dualismo cartesiano secondo cui la
realtà è costituita da due sostanze, sostanza estesa e sostanza pensante; quindi
l'empirismo radicale vuole scardinare il presupposto che la realtà sia costituita
da due sostanze perché James evidenzia che tutti i fenomeni sono sia fisici sia
mentali, ovvero né fisici, né mentali—> fisico e mentale costituiscono una
connessione strutturale, quindi dividere il fisico dal mentale è sbagliato.

Concezione scienti ca
Si parla di concezione scientifica perché gli autori sostengono che la riflessione
gnoseologica della filosofia debba partire da un confronto con la conoscenza
scientifica.
La filosofia non viene interpretata come una forma di sapere autonomo, ma il
suo compito è quello di essere una finalità esclusivamente logica e
metodologica, non c'è nessun ulteriore contributo della filosofia alla realtà.
Tra questi autori:
- Wittgenstein
- Circolo di Vienna
Questo metodo di analisi logica secondo gli autori potremmo applicarlo non
solo alla filosofia della matematica ma anche alla filosofia in generale.

Wittgenstein
Durante la prigionia a Cassino si dedicò alla stesura di un'opera destinata a
cambiare le sorti della filosofia occidentale: il Tractatus logicus-philosophicus.
Wittgenstein è l'ideatore di uno stile particolare di scrittura filosofica fondata su
una ricerca di rigore assoluto che porta l'autore a numerare ciascuna
proposizione del suo Tractatus. Oltre a questo, c'è anche un'altra pretesa,
ovvero quella di non dare nulla per scontato: c’è infatti l'intenzione di fornire
una ricostruzione della visione del mondo a partire dalle fondamenta.
La dedica introduttiva dell'opera è: "tutto ciò che si sa, che non sia solo
rumoreggiato si può dire in tre parole". Dicendo questo, Wittgenstein afferma di
dire tutto ciò che si può dire della realtà.
Il Tractatus è suddiviso in 7 proposizioni (e può essere riassunto principalmente
in 5 argomenti principali):
• Questione ontologica: che cos'è la realtà
• Passaggio dal piano ontologico al piano gnoseologico: relazione tra il mondo
e l'immagine che ce ne facciamo

fi

• Piano linguistico: parallelismo (di natura linguistica) tra pensiero e mondo


• Analisi della struttura logica del nostro linguaggio
• Rapporti logici tra proposizioni atomiche e molecolari
Il mondo
“il mondo è tutto ciò che accade" vuol dire che il mondo non è semplicemente
un insieme di cose, è una relazione di cose, il mondo e dinamismo.la relazione
che si instaura tra le cose Wittgenstein la chiama “fatto”. Ciò che accade è un
fatto, è un accadere di uno stato di cose.
Il mondo può e deve essere descritto in termini logico-formali, mai metafisici.
L'obiettivo è vedere come questa riforma ontologica in realtà è al servizio di un
incredibile manovra riduzionistica: cioè la possibilità di descrivere il mondo
solo in termini logico-formali.
L’immagine del mondo: il pensiero
Le immagini sono fatti, ma sono dei fatti particolari: devono avere qualcosa in
comune con ciò che raffigurano. La conoscenza presuppone che l'immagine e il
fatto abbiano qualcosa in comune: ciò che condividono il fatto e l'immagine del
fatto è la forma logica, ovvero la forma della realtà.
Mondo, pensiero e linguaggio
L'immagine (o forma) logica dei fatti è il pensiero: nella proposizione il
pensiero si esprime in modo percepibile mediante i sensi, ed è considerato
l'insieme delle proposizioni. Il pensiero è il linguaggio, proprio perché nella
proposizione si esprime in modo percepibile mediante i sensi: quindi la forma
logica è la forma proposizionale. La proposizione è l'unione di un soggetto e di
un predicato. Wittgenstein instaura un isomorfismo tra mondo, pensiero e
linguaggio perché ad ogni elemento di dominio, corrisponde un elemento del
condominio. Nel mondo c'è l'oggetto ruota, all'oggetto ruota corrisponde
l'immagine della ruota e l'immagine della ruota si esprime con il nome ruota.
Proposizioni sensate
Una proposizione per essere l'immagine del mondo deve essere sensata: una
proposizione è sensata se indica o se esprime la possibilità del sussistere di uno
stato di cose. Wittgenstein fa una prima grande distinzione tra le proposizioni
sensate da quelle insensate: le proposizioni sensate sono le proposizioni che
esprimono sensibilmente un'immagine della realtà, e quindi esprimono la
possibilità della sussistenza o della non sussistenza di uno stato di cose; e
possono avere un valore di verità. Le proposizioni insensate non esprimono la
sussistenza di uno stato di cose e quindi non possono avere un fondo di verità.
Le proposizioni sensate si dividono in proposizioni empiriche e proposizioni
logiche. Le proposizioni empiriche hanno come contenuto i dati
dell'esperienza, tramite cui a posteriori si può stabilire il valore di verità:
affinché una proposizione sia empirica è sufficiente che la possibilità di
confronto con la realtà sussista almeno in linea di principio. Le proposizioni
empiriche si dividono allora volta in proposizioni atomiche e proposizioni

molecolari. Le proposizioni atomiche raffigurano stati di cose, ovvero fatti


semplici, e il loro valore di verità dipende dal loro sussistere o non sussistere.
Le proposizioni molecolari raffigurano relazioni tra fatti semplici, e il loro
valore di verità è funzione del valore di verità delle proposizioni atomiche che
le compongono.
Le proposizioni logiche sono prive di un senso determinato, perché non
rappresentano situazioni possibili, tuttavia compete loro a priori un valore di
verità, esprimendo la generale possibilità impossibilità di qualsiasi fatto. Le
proposizioni logiche raffigurano il simbolismo che rende possibile la stessa
raffigurazione del mondo: la logica offre il simbolismo attraverso cui è
possibile rappresentare la forma logica del mondo. Le proposizioni logiche si
suddividono in tautologie e contraddizioni. Le tautologie esprimono la generale
possibilità di qualsiasi fatto, ovvero che un qualsiasi fatto è sempre possibile, e
dunque sono necessariamente vere. Le contraddizioni esprimono la generale
impossibilità di qualsiasi fatto, ovvero che qualsiasi fatto è sempre impossibile,
e dunque sono necessariamente false.
Proposizioni insensate
Le proposizioni insensate non sono prive di senso come le proposizioni
logiche, ma sono insensate, ovvero non possono avere un valore di verità. Le
proposizioni insensate sono le proposizioni che non possono avere un contenuto
empirico nemmeno in linea di principio. Le proposizioni della metafisica,
quelle che non hanno una funzione descrittiva e le proposizioni valutative sono
insensate—> l’etica e la metafisica per Wittgenstein sono quindi insensate.
Secondo Wittgenstein solo la scienza naturale è conoscenza, mentre la filosofia
può essere solo attività metodologica di chiarificazione del linguaggio, ovvero
del pensiero. Se avessimo l'insieme delle proposizioni vere che descrivono il
mondo, sentiremmo che i nostri problemi vitali non vengono neppure sfiorati.
Quando la scienza risponderà a tutte le domande non ci sarà più alcuna
domanda.

Circolo di Vienna
Il Tractatus viene assunto all'interno di un circolo di filosofi che già dal 1907 si
riuniva a Vienna tutti i giovedì sera in un caffè per discutere di problemi di
fondamenti della matematica e di metodologia della scienza. La lettura del
Tractatus è decisiva perché questo gruppo in seguito si trasformò in un
movimento filosofico che pubblica un manifesto con degli indirizzi di ricerca:
questo manifesto fu pubblicato nel 1929 con il titolo "la concezione scientifica
del mondo”.
Dal punto di vista del metodo, individuano gli errori logici fondamentali della
metafisica. Il primo errore è l'uso del linguaggio ordinario: usiamo i sostantivi
sia per designare cose, sia qualità, sia relazioni. Il secondo errore è l'errata

interpretazione della logica laddove la logica è assolutamente formale.


Gli aderenti al circolo di Vienna danno vita a questo movimento filosofico che
prende il nome di neo-empirismo, neo-positivismo o empirismo logico.
L'empirismo di fondo della concezione scientifica del mondo si traduce in un
principio fondamentale per il neo positivismo, che è il
principio di verificazione. Questo principio fornisce un criterio di significato,
ovvero ci dice a quali condizioni le proposizioni hanno significato, ed è un
principio che viene posto a fondamento della conoscenza. Una proposizione è
dotata di significato se può essere almeno in linea di principio verificabile. Il
principio di verificazione rispetto a quello che disse Wittgenstein aggiunge
l'affermazione di un principio che identifica il significato di una preposizione
con il metodo della sua verifica.
Schlick esplicita anche i presupposti fondamentali del principio di verificazione
toccando quella categoria che è il concetto di verità. Schlick propone la
concezione della verità come corrispondenza: la teoria della verità come
corrispondenza presuppone che un enunciato sia vero se corrisponde alla realtà.
Schlick dice che noi dobbiamo ammettere l'esistenza di quelle che egli definì
proposizioni protocollari, che sono degli enunciati o proposizioni che ci
riferiscono la realtà nella sua nudità.
Sia il principio di verificazione, sia i suoi presupposti furono criticati da un
esponente del circolo di Vienna che aveva dato un contributo fondamentale alla
stesura del manifesto: Neurath. L'obiezione che fa a Schlick è che le
proposizioni protocollari non esistono perché per definizione una proposizione
è un'entità linguistica, e quindi per definizione è impossibile che un'entità
linguistica possa riferirsi in maniera diretta a qualcosa che non è linguistico.
Non possiamo definire la verità di una proposizione come corrispondenza
diretta ai fatti. Non è possibile definire una relazione tra una proposizione e una
realtà extralinguistica. Di conseguenza le proposizioni possono essere
confrontate solo con altre proposizioni e la loro verità non potrà più consistere
nella corrispondenza con i fatti, ma nella coerenza con l'intero sistema di
proposizioni. La verità non potrà che essere quindi la coerenza tra le
proposizioni.
Quando all'interno di un sistema teorico viene meno la coerenza, noi possiamo
aggiustare o rivedere tanto le proposizioni osservative quanto le proposizioni di
natura teorica.
Schlick rivendica la necessità di un fondamento oggettivo: se non ammettiamo
l'esistenza di un fondamento oggettivo non abbiamo modo di distinguere le
teorie scientifiche dalle favole, e quindi introduce un'altra nozione chiama
chiama proposizione osservativa.

Popper
Popper criticò il principio di verificazione: il criterio è troppo stretto e troppo
largo: esclude dalla scienza praticamente tutto ciò che le è peculiare (ovvero le
leggi scientifiche) mentre non riesce a escludere l’astrologia.
Viene definito troppo stretto perché il principio di verificazione esclude le leggi
scientifiche perché attribuiscono una proprietà a una classe universale di
oggetti. Le leggi scientifiche sono leggi universali affermative, ma le
proposizioni universali affermative basta una sola prova contraria per smentirle.
Al contrario un numero elevato di verifiche non può decretarne la verità: questa
si chiama asimmetria dei valori di verità delle proposizioni. Il principio di
verificazione è anche troppo stretto perché esclude le proposizioni della
metafisica che però sono sempre state l'origine di grandi intuizioni scientifiche.
Il principio viene definito troppo largo perché include l'astrologia: il fatto che
una proposizione sia verificabile, in linea di principio, è comune all'astrologia
perché in realtà se noi andiamo alla ricerca di verifiche, le verifiche le troviamo.
L'atteggiamento verificazionista è un atteggiamento profondamente
antiscientifico perché si va a cercare ciò che si vuole cercare, ciò che si vuole
verificare. Allora la metodologia della scienza deve trovare un criterio di
demarcazione, ovvero un criterio che si limita a demarcare la caratteristica
specifica della conoscenza scientifica ma senza voler delegittimare altre forme
di conoscenza. Questo criterio di demarcazione per Popper è il principio di
falsificazione: esso afferma che le asserzioni o i sistemi di asserzioni, per essere
ritenuti scientifici, devono poter risultare in conflitto con osservazioni possibili
o concepibili. Una teoria è veramente scientifica se conosco quelle esperienze
che possono confutarla.
Il principio di induzione è il fondamento di qualsiasi forma di empirismo che
afferma che la conoscenza parte dall’osservazione—>Popper capisce che per
minare le fondamenta del principio di verificazione è necessario criticare il
principio di induzione.
Bacone fu il primo all'interno del contesto della rivoluzione scientifica ad
affermare l'induzione come principio, cioè come metodo della conoscenza
scientifica. In un secondo momento Hume negò che il principio di induzione
avesse un valore logico perché diceva che non rappresentavano la legge
fondamentale, ma nasceva semplicemente dall'abitudine di classificare i fatti
simili sotto una stessa categoria; afferma che però il principio di induzione ha
un valore psicologico. Popper invece vuole anche negare che il principio di
induzione abbia un valore psicologico perché in realtà per noi i fatti continuano
a rimanere differenti: secondo Popper non ha nemmeno un valore psicologico
perché non esistono fatti simili in natura, e se noi compiamo il passaggio dal
particolare all'universale è perché l'induzione rappresenta la tendenza innata
dell'uomo a cercare delle regolarità. La conoscenza empirica, l'osservazione,

dipende dalla tendenza innata dell'uomo di porre delle regolarità. Questo vuol
dire che l'osservazione non è mai il punto di partenza, ma il punto di partenza è
questa tendenza innata dell'uomo di porre delle regolarità a partire da
aspettative teoriche, da problemi, cioè l'osservazione non è mai neutrale, non
parte mai da zero, e a sua volta questa tendenza innata dell'uomo dipende dal
suo orizzonte di interessi teorici che lo animano.
Secondo Popper il metodo della scienza e della vita in generale è il metodo per
congetture e per confutazioni. L'inizio della conoscenza non è mai
un'osservazione neutra ma è un problema. Ad un problema segue un tentativo di
soluzione, poi la teoria deve essere controllata e quindi il secondo step è quello
del tentativo di soluzione degli errori qualora si verifichino delle confutazioni
della teoria, ma la soluzione degli errori rigenera, secondo Popper, altri
problemi e così via—> perciò la ricerca umana non ha fine.
Implicazioni dal punto di vista filosofico generale
• Implicazioni dal punto di vista bio antropologico= secondo Popper gli
organismi viventi sono dei problemi solving: la nostra caratteristica specifica
è risolvere dei problemi (linguaggio)
• Immagine della conoscenza e della razionalità= la concezione della
conoscenza popperiana è fallibilista e non fondazionalista. Il fallibilismo
propone una visione critica della ragione, quindi è un razionalismo critico e
conferisce alla ragione la facoltà di risoluzione di problemi
• Concezione della verità e del processo scientifico= la verità come ideale
regolativo non verrà mai realizzata perché nessuna teoria scientifica potrà mai
essere assolutamente vera: le teorie scientifiche possono essere considerate
solo buone approssimazioni alla verità
• Il ruolo della filosofia e della metafisica= la filosofia tratta problemi autentici
e irriducibili alla scienza: i problemi relativi alla vita e alla morte non possono
essere risolti dalla conoscenza scientifica

Kuhn
Fa parte degli autori che assumono un atteggiamento critico nei confronti del
neo positivismo e di Popper.
Criticò Popper di astrattezza: il falsificazionismo è astratto perché la prassi e la
storia della scienza ci dimostrano che l'impegno principale di uno scienziato
non è di falsificare le proprie teorie, come non è vero che si accetta la teoria
solo se la verifichiamo.
Nella storia della scienza si parla di ere: ciascuna era scientifica è fondata da un
paradigma—>un paradigma è l'insieme delle teorie, dei metodi e delle prassi
condivise in maniera unanime in un dato periodo.
Kuhn distingue l'evoluzione della scienza, a partire dalla nozione di paradigma,
in tre fasi:

• Fase pre-paradigmatica= fase iniziale, quando il paradigma non è condiviso


universalmente da tutti gli scienziati
• Fase paradigmatica= fase in cui viene raggiunto un accordo.
L'atteggiamento tipico dello scienziato in questa fase non è quello della
falsificazione, ma è la soluzione di rompicapo: si fa di tutto per riassorbire le
anomalie all'interno della teoria, si trovano delle soluzioni (chiamata anche
scienza normale o convergente). Quando le anomalie iniziano a diventare
sempre maggiori si entra nella fase rivoluzionaria
• Fase rivoluzionaria= prosegue fino a quando gli scienziati non convergono
sul nuovo paradigma
Secondo Kuhn nel passaggio da un paradigma a un altro si applica una
conversione gestaltica per cui noi vediamo un mondo completamente diverso, il
mondo cambia, è un altro mondo, cambia la prospettiva. Dire che il mondo
cambia significa che non ci sono degli elementi razionali o argomentativi per
poter descrivere il nuovo paradigma con quello precedente.
Kuhn dice che i paradigmi sono incommensurabili, cioè non c'è nulla di
comune. L'adesione ad un paradigma è legato a fattori extra teorici, per
considerazioni legate alla natura politica.

Lakatos
Il suo obiettivo è quello di creare una sintesi tra Popper e Kuhn perché avete
delle possibilità di sintesi.
Lakatos critica sia Popper che Kuhn: di Popper critica il fatto che non basta una
singola confutazione per abbandonare la teoria; quindi anche lui riconosce che
il falsificazionismo è astratto e non corrisponde alla prassi degli scienziati. Di
Kuhn non accetta la deriva relativista dell'incommensurabilità tra i paradigmi:
come non esistono falsificazioni definitive immediate, così non esistono
rivoluzioni scientifiche radicali.
Secondo Lakatos il falsificazionismo di Popper e il relativismo di Kuhn
possono essere mediati nel falsificazionismo sofisticato. Se vogliamo dare una
descrizione il più possibile attinente all'indagine scientifica dobbiamo
riconoscere che il nostro oggetto di discussione non sono solo le teorie
scientifiche ma dobbiamo fare la nostra valutazione sui programmi di ricerca.
Un programma di ricerca è costruito da un nucleo rigido, ovvero un nucleo di
tesi convenzionalmente e temporaneamente accettate come valide e dunque non
confutabili. Per difendere il nucleo rigido abbiamo bisogno di una cintura
protettiva, ovvero di un insieme di ipotesi ausiliarie soggette a confutazioni e
modifiche. Ma un programma di ricerca è costituito anche da un'euristica: un
insieme di regole che ci dice come confutare o non confutare certe ipotesi
ausiliarie.

Secondo Lakatos il metodo tipico dello scienziato è la progressività dei


programmi di ricerca, che è una via alternativa sia al falsificazionismo, sia al
relativismo. Un programma di ricerca è scientifico se consente la previsione di
fatti nuovi precedentemente sconosciuti.

Feyerabend
Feyerabend rappresenta una critica totale e sistematica a tutto: rifiuta del tutto i
termini del dibattito dell'epistemologia positivista, popperiana e post-
popperiana.
La concezione della scienza di Feyerabend è descrivibile con il termine
anarchismo metodologico: l’anarchismo metodologico sostiene che non
esiste alcun metodo specifico e peculiare della scienza.
La critica all’empirismo di Feyerabend rappresenta la radicalizzazione
massima della theory ladenness perché non si limita a dire che l’osservazione è
carica di teoria come sosteneva Kuhn, ma sostiene che non si ha nemmeno
osservazione senza teoria. Se nella theory ladenness di Kuhn almeno era
presente una distinzione concettuale tra osservazione e teoria, qui invece si nega
che ci sia una distinzione tra osservazione e teoria perché la tesi di Feyerabend
è che i fatti non hanno alcuna autonomia rispetto alle teorie, perché le teorie
sono condizioni di possibilità dell’osservazione.
Feyerabend dice che le teorie non possono essere derivate dai fatti, poiché
hanno un potere informativo sostanzialmente superiore e irriducibile, cioè una
teoria ci dice molto di più di quello che ci dicono i fatti. Quindi, se le teorie ci
dicono molto di più di quello che ci dicono i fatti, le teorie scientifiche non
derivano affatto da fatti osservati, ma da altre teorie, cioè dalla metafisica.
La formulazione dei presupposti generali non ancora connessi con le
osservazioni coincide con l’invenzione di una nuova metafisica.
Secondo Feyerabend dobbiamo abbandonarci al dadaismo (corrente artistica di
inizio 1900 che si ispirava al caos); anche lo scienziato deve in qualche modo
riconoscere che non c’è un metodo universale e quindi dobbiamo abbandonarci
al caos—> sfruttando tutti gli strumenti possibili a cui si può attrarre per
elaborare teorie scientifiche.
Secondo Feyerabend un buon scienziato deve essere un buon empirista, quindi
un metafisico critico—> colui che sa lavorare in maniera disinvolta con le idee.
Lo scienziato deve essere un grande opportunista che non si preclude nessuno
strumento di indagine per la proliferazione delle proprie idee e teorie
scientifiche, avendo come unico criterio metodologico l’espressione “anything
goes” (va tutto bene).
Tutta questa sua critica al monopolio della scienza, si traduce nel tentativo di
rimettere la scienza nelle mani dei cittadini (questa critica ha delle ripercussioni
politiche significative).

L’anarchismo è una forma di irrazionalismo?


Per certi versi sì perché se va ad inficiare il valore della scienza medica
occidentale, in questo si vede un rischio di irrazionalismo. Per altri no, perché
in realtà egli dice le cose in maniera spregiudicata, ma è irrazionalista dal punto
di vista del razionalismo occidentale. L’anarchismo è irrazionalista dal punto di
vista del razionalismo classico che ha ridotto la razionalità alle sue applicazioni
scientifiche.

Che cos’è il linguaggio?


Il tema del linguaggio è così centrale e pervasivo nella cultura filosofica
contemporanea che un filosofo, Rorty, ha caratterizzato la filosofia
contemporanea con il termine di “Svolta linguistica”.
Il primo autore che si occupa di linguaggio caratterizzando la svolta linguistica
della filosofia contemporanea è Frege. Il secondo autore sarà Wittgenstein, il
cui pensiero diventa una riflessione incentrata sulla natura del linguaggio
modificando le tesi del Tractatus.

Frege
Il linguaggio è proprio la garanzia per poter tematizzare l'oggettività del
pensiero e l'irriducibilità del pensiero al piano psicologico. Il linguaggio è
quell'elemento che consente di conoscere in maniera oggettiva e non
psicologistica il pensiero.
Il linguaggio rappresenta la veste linguistica del pensiero, il pensiero in sé non
lo vediamo, ma acquisisce una natura oggettiva attraverso il linguaggio—> il
linguaggio è l'abito sensibile del pensiero.
Frege dice che l'enunciato esprime un pensiero; quindi non c'è
un'identificazione totale tra pensiero e linguaggio e tale concezione
antiriduzionistica si esprime nella distinzione che Frege propone tra senso e
significato.
Per Frege il pensiero è l'insieme dei concetti, quindi il concetto secondo lui
rappresenta l'elemento base del pensiero. Il concetto è ciò che noi possiamo
attribuire a più oggetti. Frege postula l'esistenza di oggetti di pensiero a cui si
riferiscono i concetti: come i nomi si riferiscono a un oggetto, anche i concetti
devono riferirsi a un oggetto.
Frege teorizza la nozione di Bedeutung—> riferimento/denotazione
La Bedeutung ha un'identità oggettiva indipendente dal soggetto e tuttavia ci si
può riferire ad essa in modi differenti, a partire da differenti prospettive.
La prospettiva a partire da cui noi accediamo al Bedeutung è denominata Sinn,
ovvero il senso/connotazione.

Il Sinn, il senso, significa che non c'è un riferimento oggettuale o una


denotazione che si impone in maniera univoca.
Frege dice che l'elemento connotativo è coessenziale al linguaggio e al
pensiero, solo che in alcuni contesti linguistici ha un ruolo minimo in altri
contesti ha un ruolo massimo.
La connotazione è quella categoria che Frege introduce e teorizza per creare un
ponte, un intermediario tra ciò che è assolutamente oggettivo (la denotazione) e
ciò che è assolutamente soggettivo (la rappresentazione).—> per evidenziare
questa natura di intermediazione della connotazione usa una metafora (luna
cannocchiale).

Wittgenstein
Wittgenstein abbandonò la filosofia e si dedicò ad altri mestieri: queste
esperienze stravolgono la sua visione della filosofia e anche la visione del
mondo della conoscenza del Tractatus che gli sembrava totalmente inadeguata.
Vedendo come crescono i bambini e come crescono le piante, capisce che la
conoscenza non è affatto quella raffigurazione logica, ideale del mondo che
aveva teorizzato nel Tractatus. Inizia quindi a riconoscere sempre di più
l’importanza e il ruolo di un linguaggio ordinario. Da questo momento venne
chiamato “il secondo Wittgenstein”.
Il linguaggio non è più interpretato come raffigurazione logica del pensiero, ma
viene paragonato ad una vecchia città o ad un labirinto di strade per dire che
non c’è un sistema di regole univoco ma una stratificazione di parole e
significati che può essere compresa a partire dalla comprensione delle forme di
vita di cui sono espressione.
Wittgenstein nelle “Ricerche filosofiche” introduce una teoria del significato
molto innovativa secondo cui il significato non è dato dal riferimento oggettivo,
ma dipende dall’uso che noi facciamo del termine in un determinato contesto.
Il linguaggio è un insieme di giochi linguistici e richiama la metafora del gioco
perché ha una caratteristica importante e comune ai giochi: tutti i giochi hanno
delle regole, ma tra i vari giochi linguistici ci sono solo delle semplici
somiglianze.
Come varia la concezione del ruolo della filosofia dal “Tractatus” alle
“Ricerche”? Ora non c’è più una struttura universale del linguaggio e del
pensiero. La filosofia non può fare pressoché nulla e in questo c’è una
continuità rispetto al Tractatus perché anche nel Tractatus la filosofia non aveva
alcun poter conoscitivo, può solo descrivere gli usi linguistici.
Se nella nostra descrizione degli usi del linguaggio trovassimo termini che
cercano di fuoriuscire o di valere al di fuori di un gioco linguistico, dobbiamo
ricondurli ad un gioco linguistico o eliminarli.

Austin
Si potrebbero dividere gli analisti del linguaggio ordinario in due filoni:
- Concezione terapeutica= decostruttiva ed eliminativista di Wittgenstein che
analizza il linguaggio ordinario in vista della dissoluzione delle questioni
filosofiche tradizionali di carattere metafisico, etico e religioso (Ryle).
- Concezione costruttiva= considera che nel linguaggio ordinario si manifesta
una dimensione di senso dell’indagine filosofica, un valore conoscitivo della
filosofia e non solo terapeutico.
Austin analizza il linguaggio ordinario proponendo una visione della
conoscenza e del linguaggio non riduzionistica.
Austin riscontra nella tradizione filosofica una fallacia naturalistica: questa è
un'espressione che Austin deriva da Hume, che obiettava alla filosofia morale
una fallacia naturalistica per dire che l'errore della filosofia morale era quello di
derivare un dover essere (una legge morale) a partire dalla descrizione della
natura umana. In questo modo si riduce la concezione di linguaggio alla
dimensione descrittiva, quindi per recuperare la ricchezza di funzione del
linguaggio Austin elabora una teoria che chiama “teoria degli atti linguistici”.
La tesi della teoria degli atti linguistici di Austin è che il linguaggio non è solo
un dire ma è anche e soprattutto un fare: approfondisce questa tesi attraverso
un'analisi del linguaggio ordinario.
Formula la teoria degli atti linguistici istituendo una distinzione concettuale tra
gli enunciati constatativi e gli enunciati performativi: I primi sono enunciati
che descrivono e rappresentano, invece gli enunciati performativi consistono
nel fatto che quando li pronunciamo non stiamo semplicemente descrivendo
qualcosa, ma stiamo compiendo un’azione, una performance (alcune azioni
possono essere compiute solo attraverso gli enunciati performativi—> es.
sposarsi).
Rimanendo a questa formulazione della teoria degli atti linguistici troviamo una
sorta di dualismo tra l’aspetto descrittivo e l’aspetto performativo; quest’ultimo
però è sempre presente nel linguaggio.
Per rafforzare questa visione del valore performativo del linguaggio Austin
introduce tre nuove categorie concettuali:
• Locutorio= è l'azione in cui si associano i suoni organizzati in parole dotate
di struttura sintattica, capaci di esprimere un senso
• Illocutorio= è un atto la cui esecuzione è da rendere nota ad altre persone, e
la cui prestazione coinvolge la produzione di ciò che Austin chiama
'conseguenze convenzionali' (es. diritti, impegni o obblighi)
• Perlocutorio= riguarda le conseguenze della locuzione (es. sui pensieri/
sentimenti)
Ogni atto linguistico ed enunciato è sempre accompagnato da questi tre aspetti.
Individuò anche una lista di verbi performativi: verdittivi, esercitivi, commissivi,
comportativi ed espositivi

Ermeneutica loso ca
La parola “ermeneutica” apparve già in un’opera di Aristotele (De
interpretatione) e in quel caso si occupava del discorso apofantico, ovvero il
discorso capace di verità.
A partire dalla cultura medievale: l’ermeneutica o scienza dell’interpretazione,
non si limita solo più a definire le condizioni di verità degli enunciati, ma viene
applicata all’interpretazione e dunque al valore di verità del discorso teologico
(viene applicata alle sacre scritture per colmare la distanza tra lettori e autori
sacri).
Un’altra trasformazione del concetto di interpretazione la si ha con
Schleiermacher, che estende l’ermeneutica anche ai testi non sacri e la
definisce “l’arte di evitare il fraintendimento”.
Dilthey, nel 1900 pubblica “L’origine dell’ermeneutica” e in quest’opera,
l’ermeneutica viene definita come il metodo delle scienze dello spirito. Il
metodo scientifico delle scienze umane per Dilthey è l’ermeneutica. La
differenza tra scienza dello spirito e scienza della natura la spiega attraverso i
concetti di spiegazione e comprensione: la spiegazione è l'obiettivo delle
scienze naturali perché spiegare significa riassumere un fenomeno particolare
sotto una legge universale. Le scienze umane non riconducono il caso
particolare sotto una legge universale, ma vogliono comprendere l’unicità del
fenomeno.
Heidegger segna l’inizio dell’ermeneutica filosofica estendendone la funzione.
Heidegger è insoddisfatto dell’analitica esistenziale perché si accorge che
sentiva che il suo obiettivo di andare al fondamento stesso dell’essere, era
impossibilitato o limitato dal non poter fare riferimento alle categorie della
metafisica tradizionale, che però limitavano la possibilità di cogliere il
senso dell’essere—> sente l’esigenza di cambiare radicalmente il modo di fare
filosofia. L’unico modo è concepire la filosofia come un discorso, come
esistenza. Heidegger dice che se il punto di partenza dell’ente che pone la
domanda sull’essere rende la filosofia ancora un discorso, dobbiamo metterci in
ascolto dell’essere. L’ascolto rappresenta l’atto più originario dell’esistere
perché se il Dasein pone una domanda sull’essere, questo significa che l’essere
ci ha già parlato e allora la prima cosa che noi dobbiamo fare è ascoltarlo. Il
compito della filosofia, ma anche dell’esistenza, è l’ascolto della realtà.
Heidegger individua la struttura dell’atto interpretativo attraverso la teoria del
circolo ermeneutico.
Quali sono i momenti del circolo ermeneutico?—> l’interpretazione, cioè il
tentativo di dare un senso ai segni del linguaggio o dell’essere che ci parla, la
precomprensione implicita del senso dell’essere che ci parla, l’interpretazione
che genera una comprensione esplicita, ma questa non è mai definita e il quindi
il circolo ermeneutico presuppone che si ritorni a una precomprensione di grado

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superiore da cui riparte questa attività interpretativa che non ha fine se non con
la vita stessa.
Il linguaggio è la casa dell’essere: l’essere si manifesta nella poesia. Infatti i
poeti e i pensatori secondo Heidegger sono i custodi dell’essere, ovvero del
linguaggio, in quanto prestano ascolto all’essere e ne esprimono il senso con
discrezione e rispetto.
Heidegger interpreta la verità come disvelamento—> la verità è svelamento
dell’essere.

Gadamer
(“Verità e metodo” 1960)
Gadamer concepisce l'ermeneutica come un modo di essere proprio
dell'uomo. Questo comporta una reinterpretazione della verità per dire che la
verità eccede totalmente il metodo. La verità è un'esperienza che accade, tocca e
modifica l'essere umano nella sua interpretazione della realtà.
Anche l’ermeneutica di Gadamer conferisce un ruolo importante al tema della
precomprensione. Gadamer tematizza questo elemento di precomprensione
introducendo il concetto di pre-giudizio. L’orizzonte dei pre-giudizi non è
nient’altro che il linguaggio, ovvero l’essere che si rivolge a noi. Il compito
dell’ermeneutica filosofica è quello di diventare sempre più consapevoli
di come il linguaggio si offre a noi, ovvero della tradizione e dei pregiudizi.
Gadamer non concorda sul fatto che la precomprensione si realizzi attraverso la
poesia, perché la precomprensione se è determinata dalla tradizione, e
dall’insieme dei pre-giudizi, avviene non in un monologo del poeta con sé
stesso, ma si realizza all’interno di una tradizione e quindi presuppone una
condizione dialogica, una fusione di orizzonti.
Gadamer vede una doppia circolarità: dice che la dinamica di
precomprensione, interpretazione e comprensione esplicita è una circolarità tra
il tutto e la parte e tra la domanda e la risposta:
- Dal tutto alla parte e dalla parte al tutto= il tutto rappresenta la tradizione, la
parte rappresenta me nella tradizione alla ricerca di una fusione di orizzonti:
non posso comprendere il mio orizzonte se non in riferimento ad un progetto
sul tutto.
- Dalla domanda alla risposta e dalla risposta alla domanda= la comprensione
comincia interrogando la tradizione, ma la sua risposta non è mai definitiva,
perché apre sempre nuove domande alla luce della situazione dialogica in cui
siamo collocati

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