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Publications de l'École française

de Rome

Strategie di sviluppo urbano nell'Italia del Rinascimento


Manfredo Tafuri

Riassunto
Manfredo Tafuri, Strategie di sviluppo urbano nell'Italia del Rinascimento, p. 323-364.
L'autore esamina alcuni esempi di sviluppo urbano programmato, fra il '400 e la fine del '500, in Firenze, Roma e Venezia,
paragonabili a iniziative prese nella Milano sforzesca e a Genova. Viene messo in luce uno « stile mediceo » : le iniziative
di Lorenzo il Magnifico e quelle del figlio, Leone X, investono Firenze e Roma con analoghe finalità politiche. Tuttavia,
l'alto profilo formale della Roma leonina rimane isolato rispetto alla mediocritas che caratterizza gli interventi in Firenze e
in Venezia, non a caso capitali di repubbliche. Il caso veneziano è preso in esame a partire dal '300, con l'interramento
della « punta » di S. Antonio di Castello; segue l'analisi delle espansioni ottenute con i nuovi terreni di S. Maria Mazor e
delle Fondamenta Nuove, nel secolo XVI. Tali interventi - viene dimostrato - sono strettamente integrati sia al sistema
istituzionale veneziano che all'immagine ideale della città costruita dal patriziato sin dal 1297: la differenza rispetto alla «
Signoria dissimulata » del Magnifico a Firenze e al potere accentrato che condiziona la Roma pontificia si cala pertanto nel
vivo della realtà urbana lagunare.

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Tafuri Manfredo. Strategie di sviluppo urbano nell'Italia del Rinascimento. In: D'une ville à l'autre. Structures matérielles
et organisation de l'espace dans les villes européennes (XIIIe-XVIe siècle) Actes du colloque de Rome (1er-4 décembre
1986) Rome : École Française de Rome, 1989. pp. 323-364. (Publications de l'École française de Rome, 122);

https://www.persee.fr/doc/efr_0000-0000_1989_act_122_1_4601

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MANFREDO TAFURI

STRATEGIE DI SVILUPPO URBANO


NELL'ITALIA DEL RINASCIMENTO

Fra i termini usati nel titolo del presente saggio, il più problemati¬
co è quello riferito a una periodizzazione divenuta ambigua : il Rinasci¬
mento. Taglieremo corto sull'argomento. L'intero titolo implica infatti
un interrogativo storiografico : esistono - e gestiti da quali protagonisti,
e con quali conflitti interni - riconoscibili modi di usare la città a fini
politici, in quel frammento del «lungo Medioevo» italiano che vede
affermarsi Signorie territoriali ed esperimenti assolutisti? E come si
riflettono tali strategie nel contesto delle superstiti Repubbliche oligar¬
chiche? L'interrogativo ammette alcuni corollari. L'eliminazione del
termine «urbanistica», dall'analisi urbana relativa al lungo periodo
dell' ancien régime, tende a ridurre il «peccato mortale» dell'anacroni¬
smo, per usare un concetto caro a Bloch e a Febvre. Tale eliminazione
- polemica nei confronti delle manipolazioni «alla moda» dei fenomeni
storici - non intende affatto ignorare che già le città medievali erano
disciplinate da statuti, regolamenti, magistrature, convenzioni, tenden¬
ze di gruppo ο disegni di ceti dominanti. Il nostro problema è indivi¬
duare, nel breve periodo compreso fra il tardo XV secolo e i primi
decenni del secolo successivo, i modi in cui quel complesso di strumen¬
ti gestionali si modifica, una volta che nuovi protagonisti, nuove attrez¬
zature mentali, nuovi temi politici siano entrati in campo. E tale analisi
non potrà trascurare la portata delle resistenze i cui effetti modificano
le ipotesi vincenti.
È necessario far emergere, come protagonista, un lento movimento
di trasformazione. Sarà opportuno, al proposito, evitare astratte tipolo¬
gie, sottoponendo ad analisi situazioni concrete, una volta precisati i
possibili parametri di confronto; vale a dire, i differenti significati poli¬
tico-economici, i gruppi di potere protagonisti e quelli contro cui le
varie operazioni si dirigono, gli strumenti e le istituzioni chiamate in
causa, i valori attribuiti agli interventi in relazione alle rappresentazio-
324 MANFREDO TAFURI

ni ideali consolidate. Tre casi saranno i soggetti principali del presente


saggio : la Firenze di Lorenzo il Magnifico, la Roma di Leone X, Vene¬
zia fra il XIV e il XVI secolo. Il perché di tale campionatura emergerà
dalla narrazione stessa. Per ora, vogliamo soltanto far notare che i pri¬
mi due test sono stati scelti per ragioni analogiche; il terzo - la Venezia
tardomedievale e umanistica - per introdurre una «diversità» dagli esi¬
ti storicamente significativi. Comunque, analogie e differenze fanno
parte di un diffrangersi delle strategie urbane tipico del frammento
temporale considerato. I confronti che proporremo non costituiscono
che un invito a moltiplicare le analisi comparate, onde evitare, insieme
alle generalizzazioni, la chiusura in studi localistici.

La Firenze laurenziana

Nell'esporre le articolazioni della nostra indagine abbiamo in parte


scoperto le nostre carte. L'interrogativo generale si è già scisso in due
sottotemi, il primo dei quali potrebbe essere così formulato : è possibile
riconoscere una «strategia medicea» in qualche modo tramandata da
Lorenzo il Magnifico al figlio che salirà al soglio pontificio nel marzo
del 1513? I possibili equivoci impliciti in tale interrogativo saranno dis¬
solti nel corso dell'analisi, che trae spunto, per il caso fiorentino, più
che dai pionieristici saggi di Chastel e di Gombrich, dagli studi di Gold¬
thwaite e da un fondamentale saggio di Caroline Elam, cui ci riferire¬
mo in modo particolare1.
Con una penetrante analisi, la Elam ha individuato una precisa
relazione fra la «febbre edilizia» del tardo '400 fiorentino e un inter¬
vento pianificato e parzialmente realizzato dal Magnifico : l'urbanizza¬
zione dell'area compresa fra le vie Laura e del Rosario, non lontana dal
sito occupato dal palazzo di Bartolomeo Scala.

1 Cfr. i saggi ormai classici di A. Chastel, Art et humanisme à Florence au temps de


Laurent le Magnifique, Parigi, 1959, trad. it. Torino, 1964, e di E. Gombrich, The Early
Medici as Patrons of Art : a Survey of Primary Sources, in E. F. Jacob (editor), Italian
Renaissance Studies. A Tribute to the late Cecilia M. Ady, Londra, 1960, p. 279-311, ora in
Id., Norm and Form, Londra, 1966, p. 35-67, trad. it. Torino, 1973, p. 51-83. Per i lavori del
Goldthwaite cfr. la nota seguente. Del tutto innovatore il saggio di C. Elam, Lorenzo de
Medici and the Urban Development of Renaissance Florence, in Art History, I, 1978, n. 1,
p. 43-66.
SVILUPPO URBANO NELL'ITALIA DEL RINASCIMENTO 325

Sul «boom» edilizio fiorentino della fine del secolo XV testimonia


il Landucci, e più volte si è insistito sulla direzione dei suoi sviluppi da
parte governativa2. La provvisione del 1489 prevede - com'è noto -
un'esenzione per quaranta anni dalle tasse per le case costruite ο inizia¬
te entro cinque anni; è palese la preoccupazione di incrementare le
case d'affitto, per far fronte alla nuova spinta demografica. Il fatto che
Landucci esemplifichi il «boom» con la costruzione dei palazzi Strozzi
e Gondi offusca il significato reale della legge; anzi, si potrebbe soste¬
nere che la logica che guida quegli interventi « da signori » si innesta
paradossalmente sulla direttrice segnata dalla provvisione, battendo
una linea totalmente divergente rispetto allo spirito che la anima. Acu¬
tamente, Caroline Elam pone il problema delle responsabilità di Loren¬
zo dè Medici nel varo del provvedimento del 1489, convocando a testi¬
mone un osservatore non sospetto come Nicolò Machiavelli :
«Volsesi - scrive Machiavelli nelle Istorie fiorentine, alludendo al Magni¬
fico3 -(...) a far più bella e maggiore la sua città : e perciò sendo in
quella molti spazi senza abitazioni, in essi nuove strade da empiersi di
nuovi edifizi ordinò; ondeché quella città ne divenne più bella e maggio¬
re».

Machiavelli attribuisce dunque a Lorenzo gli effetti della provvisio¬


ne·, rimane da precisare il significato delle parole bella e maggiore rife¬
rite alla città, anche se l'accoppiamento indica già una complementa¬
rietà. A tale interrogativo dà una risposta l'operazione che il Valori e il
Cambi attribuiscono, con dovizia di particolari, al Magnifico :

2 L. Landucci, Diario fiorentino, a cura di I. del Badia, Firenze, 1883, p. 59. Cfr. inoltre
R. Goldthwaite, The Florentine palace as domestic architecture, in American Historical
Review, 77, 1972, n. 4, p. 977-1012; Id., The Building of Renaissance Florence : An Econo¬
mic and Social History, Baltimora, 1980, trad. it. Bologna, 1984; Id., The Renaissance Eco¬
nomy : The Preconditions for Luxury Consumption, in Aa.Vv., Aspetti della vita economica
medievale, Firenze, 1985, p. 659-675; Id., The Medici Bank and the World of Florentine
Capitalism, in Past and Present, 114, 1987, p. 3-31. Sulla storia del Banco Mediceo, cfr.
R. De Roover, The Rise and Decline of the Medici Bank, 1397-1494, Cambridge (Mass.),
1963, trad. it. Firenze, 1970 (su cui cfr. Goldthwaite, The Medici Bank, cit., p. 4-5 nota 1 e
passim). Sulla «provvisione» del 1489 e il boom edilizio che ne consegue cfr. anche
V. Franchetti Pardo, Culture brunelleschienne et construction dans la Florence du XVe siè¬
cle, in Aa.Vv., Filippo Brunelleschi 1377-1446, Parigi, s.d., p. 50-55, e C. Romby, Norme e
consuetudini per costruire nella Firenze del Quattrocento, in Aa.Vv., La città del Brunelle-
schi, Firenze, 1979, p. 93-99.
3 N. Machiavelli, Istorie fiorentine, 1. Vili, cap. XXXVI.
326 MANFREDO TAFURI

«Dal mese daghosto di detto anno [1941] - scrive Giovanni Cambi4 -


Lorenzo di Piero di Choximo de Medici chomprò dall'Arte del Chambio
cierti tereni hovero dallo Spedale dè Nocienti, e chominciò, e fecie una
via che si muove dallo Spedale dè Nocienti di sulla piazza di S. Maria de
Servi e va insino Ciestello et chominciò affarvi murare chase e le prime 4
si feciono a mezzo detta strada insù 4 chanti, che uno verso Horbatello e
l'altro verso la Porta a pinti e missevisi larme del Arte del Chambio, di
che detto Lorenzo voleva chelle fussino, e finivansi a suo tempo, e appig-
gionolle, e beato a quello che stava per le chase a pigione, vi potè tornare
per fare piaciere a Lorenzo detto, e dipoi voleva quella entrata di quelle
pigione darla all'Arte, cioè le chase, e pigliarne aitante possessioni di
beni immobili che aveva detta arte, che venera parecchi erano state
lasciate dà sua antinati della caxa dè Medici per fare cierti leghati di
limoxine et altro».

Si tratta, come abbiamo anticipato, di via Laura, aperta fra la piaz¬


za dell'Annunziata a il monastero del Cestello, e di case realizzate non
soltanto per formare un quadrivio, ma anche per creare un incentivo
finalizzato ad ulteriori interventi. Le parole del Cambi indicano il senso
economico dell'operazione : era intenzione del Magnifico utilizzare il
gettito dei fitti per acquistare immobili di proprietà dell'Arte del Cam¬
bio. Ma ulteriori chiavi di lettura sono implicite nelle parole successive
del cronista :
«Di che su bello disegnio, e facevansi tre bene chontenti; prima lui [Lo¬
renzo], secondo il popolo, che stava a pigione, terzo, l'arte, charebbe
auto è denari per fare è lasci, e non sutogli tolte da Ciptadini come sono,
ed era adornamento della Ciptà. Di che morte vi sinterpose honde non-
ffù, ma la via è rimasta, e tereno s'è poi venduto, e chi a comprato l'a
fatte a suo modo»5.

Un interesse privato che coincide con il bene dei ceti medi, dun¬
que : questo il «bello disegnio» attribuito al Magnifico, che di tale coor-

p. 61,4 G.cit.Cambi,
in Elam,
Istorie,
Lorenzo
in F.deIldefonso
Medici, cit.,
di S.p. Luigi,
59 nota
Delizie
10. degli eruditi toscani, vol. XXI,
5 Ibidem. «Viae quoque novae» - scrive il Valori - quam plurimae in extremis urbis
partibus eodem tempore factae sunt, in quibus una ampia et commodissima eius expen-
sis, quae Laurea etiam nunc appelatur, constructa fuit». Ν. Valori, Laurentii Medicei
Vita, a cura di L. Mehus, Firenze, 1749, p. 63-64. Cfr. anche le testimonianze di F. Baldo-
vinetti e di un manoscritto dell'Archivio di Stato di Firenze (ms. 117, f. 54 v), citati in
Elam, Lorenzo de Medici, cit., p. 59 nota 11.
SVILUPPO URBANO NELL'ITALIA DEL RINASCIMENTO 327

50 100 150 200


1Δ.

Fig. 1 - Le aree acquistate da Lorenzo il Magnifico a Firenze, fra il 1477 e il 1492, secon¬
do la ricostruzione di C. Elam (Disegno di Demus Dalpozzo). 1 : chiesa dell'Annunziata ;
2 : portico degli Innocenti ; 3 : rotonda degli Angeli ; 4 : oratorio del Cestello.
328 MANFREDO TAFURI

dinamento di benefici fa strumento di «adornamento della città». La


Firenze fatta «bella e migliore» da Lorenzo si concreta in un amplia¬
mento previsto per ceti medi e artigianali in un'area periferica, con
interventi edilizi modesti, in armonia con il programma complessivo.
Proviamo ad ampliare le nostre considerazioni, inquadrando l'in¬
tervento laurenziano in una storia di medio periodo. Le due strade
parallele, le vie Ventura e Laura, e quella perpendicolare, via della Per¬
gola, formano l'inizio di una scacchiera virtualmente estensibile nel tra¬
pezio irregolare limitato da via di S. Sebastiano, da Borgo Pinti e dalle
mura trecentesche. L'area su cui si concentra l'attenzione del Magnifi¬
co è un settore della vasta riserva di terreni inedificati compresa fra
l'abitato e l'ultima cinta di mura, completata nel 1333 circa. Una riser¬
va che tuttavia non era stata concepita come tale. La costruzione di
quelle mura, infatti, raddoppiando le aree costruibili di Firenze, aveva
espresso un ottimistico atto di fede nello sviluppo della città, presuppo¬
nendo - come è stato ricordato anche nel corso del presente convengo
- uno sconvolgimento radicale della morfologia urbana e dell'uso poli¬
tico dello spazio cittadino. I nuovi ampliamenti, infatti, erano destinati
a creare sfoghi per un'aristocrazia concentrata in un cuore urbano
divenuto pericoloso, sovrappopolato e caratterizzato dalla mescolanza
dei ceti. Inoltre, essi avrebbero potuto disincentivare le faide fomentate
dalla promiscuità dei clan familiari : una situazione che aveva reso
Firenze teatro di lotte tese alla conquista ο all'allargamento di spazi di
potere.
Ma gli eventi della seconda metà del '300 e lo spopolamento conse¬
guente avevano frustrato tale fede nello sviluppo cittadino. Né quanto
nota Richard Goldthwaite, che vede nella costruzione dei grandi palazzi
quattrocenteschi un sintomo di incrinamento delle antiche aggregazio¬
ni per clan, intacca la precedente osservazione.
Mutiamo l'angolo di osservazione, e consideriamo le operazioni su
cui ha insistito Balestracci nella sua analisi delle espansioni guidate da
comuni e vescovadi nella Toscana del XIII e del XIV secolo. Le aggre¬
gazioni secondo provenienze e mestieri, disciplinate da Firenze nel '200
e nel '300, esprimono una notevole attenzione per il «decoro» delle nuo¬
ve espansioni. La regolarità dei lotti e gli allineamenti sulle nuove stra¬
de - a Firenze, a Siena, a Volterra, a Prato - sono indici di controllo
sociale e di disciplina urbana. Anche in tale settore, la peste del 1348
segna una crisi che si risolve in anarchia insediativa : in tal senso agi¬
sce, per lo più, l'inflazione degli spazi residenziali venutasi a creare.
Torniamo a considerare, allo specchio di tali precedenti, l'operazio-
SVILUPPO URBANO NELL'ITALIA DEL RINASCIMENTO 329

ne iniziata da Lorenzo il Magnifico. Nel 1489-91 la tendenza demografi¬


ca e l'inurbamento sono in rialzo : Firenze ha superato la crisi perdu¬
rante nei primi tre decenni del secolo. Scegliendo di investire, con case
per ceti medi e artigianali, in un'area rimasta inutilizzata, Lorenzo sem¬
bra indicare ai fiorentini che il grande ottimismo che aveva guidato la
realizzazione delle mura trecentesche è di nuovo attuale. Tuttavia ora è
un singolo, attento ad ogni occasione che possa confermare il suo ruolo
politico-ideologico, a ridare corpo all'antico atto di fede nello sviluppo
cittadino. Uno sviluppo, per di più, disciplinato, specializzato e «deco¬
roso» : esattamente come lo legge Nicolò Machiavelli.
Il fatto che il decoro non coincida con l'aristocratico sforzo archi¬
tettonico esibito dai Gondi e dagli Strozzi è oltremodo significativo6.
Lorenzo oppone in modo palese la propria iniziativa, di basso profilo
formale, alle celebrazioni familiari. In tal modo, egli appare disinteres¬
sato a grandi interventi finalizzati alla riaffermazione di casa Medici, e
sollecito piuttosto del bene pubblico. La sua «Signoria dissimulata» tro¬
va, anche nel settore dello sviluppo urbano, un modo adeguato di espri¬
mersi7.

6 Su Palazzo Gondi, sui programmi della committenza e sulle vicende del sito, cfr. il
volume di A. Tönnesmann, Der palazzo Gondi in Florenz, Worms, 1983. Sul Palazzo Stroz¬
zi, cfr. R. Goldthwaite, The Building of Strozzi Palace : The Construction Industry in
Renaissance Florence, in Studies in Medieval and Renaissance History, X, 1973, e F. W.
Kent, «Più superba de quella de Lorenzo». Courtly and Family Interest in the Building of
Filippo Strozzi's Palace, in Renaissance Quarterly, XXX, 1977, p. 311-323. Cfr. anche l'otti¬
mo saggio di C. Elam, Piazza Strozzi. Two Drawings of Baccio d'Agnolo and the Problems
of a Private Renaissance Square, in I Tatti Studies. Essays in the Renaissance, I, 1985,
p. 105-135. La Elam dimostra che i disegni Uffizi 132A e 1561 A, con piante ed elevati di
piazza Strozzi, sono di Baccio d'Agnolo, datando il primo al 1533. L'autrice ricostruisce
inoltre il progetto per la piazza del 1533, confrontando tale significativa «platea privata»
con il progetto di piazza Medici, attribuito a Brunelleschi dal manoscritto derivato da
Antonio Billi, e con le piazze Rucellai e Pitti. L'autrice delinea infine una suggestiva sto¬
ria di piazza Strozzi, e dei conflitti provocati dalla sua privatizzazione, fino all'età con¬
temporanea. Il confronto fra l'operazione laurenziana, indirizzata ostentamente al bene
pubblico, e l'autocelebrazione strozzesca, è altamente significativa all'interno della nostra
analisi.
7 Caroline Elam offre un'interpretazione leggermente diversa da quella qui data, per
spiegare la scelta ubicazionale compiuta dal Magnifico. Essa nota, giustamente, che la
chiesa dell'Annunziata è fortemente connotata in senso mediceo e che il chiostro ionico
progettato da Giuliano da Sangallo per la chiesa del Cestello (il cui modello risulta finito
nel 1491) era stato pagato da Jacopo Salviati, genero di Lorenzo. Inoltre, l'oratorio a
pianta centrale - forse anch'esso di Giuliano da Sangallo - sito accanto al Cestello e
330 MANFREDO TAFURI

La ricostruzione della strategia urbana del Magnifico compiuta dal


Caroline Elam apporta ulteriori dati, da considerare con attenzione. La
studiosa inglese accerta che Lorenzo, poco dopo una legge emanata nel
1474 - anch'essa a favore della nuova edilizia, anche se in termini
meno favorevoli di quelli stabiliti dalla provvisione del 1489 - aveva
acquistato aree site in via dei Servi e sulla piazza dell'Annunziata (fine
del 1477-1 478) 8. Considerando nel loro insieme le proprietà del Magni¬
fico, si ottiene qualcosa che, con evidente forzatura, si potrebbe consi¬
derare una sorta di «piano» per la ristrutturazione di Firenze; due
direttrici disposte ad L fra di loro, dall'Annunziata verso il Duomo e
verso il Cestello, sono incernierate dalla piazza antistante la chiesa dei
Serviti. Infatti, è verosimile che Lorenzo avesse intenzione di creare
una platea regolare, con un portico fronteggiante quello brunelleschia-
no degli Innocenti, dato che nel documento del 3 gennaio 1477
(m.f. = 1478) è scritto :
«et quod huiusmodi alienatio et venditio fieret in evidente diete domus et
conventus utilitate et hornatu maxime quia platea prope dieta hedifitia et
quadraretur et fieret pulcrior et hornatior»9.

L'entusiasmo della Elam, nel sottolineare la precocità dell'idea lau-


renziana dalla piazza, è più che giustificato. Si tratta non soltanto di
una regolarizzazione di evidente sapore umanistico, ma anche di una
cerniera urbana atta a costituire un polo secondario rispetto al Duomo,
con via dei Servi ristrutturata e regolarizzata. La ratio urbana come
esempio di «buon governo» emerge di nuovo come idea portante dei
progetti laurenziani. È comunque possibile avanzare qualche notazione
problematica. La Elam si chiede come mai agli acquisti del 1477-78 e
agli intenti dichiarati da Lorenzo nel 1480, per l'area fra via dei Servi e
via di Castellacelo, non siano seguite realizzazioni : la sua ipotesi è che
il progetto sia stato bloccato a causa degli eventi seguiti alla congiura
dei Pazzi. Ma allora, perché, dopo il 1491, il programma laurenziano

distrutto nell'800, chiudeva il cannocchiale prospettico di via Laura. Cfr. Elam, Lorenzo
de Medici, cit., p. 48-49. Gli argomenti dell'autrice sono indubbiamente validi, anche per
le considerazioni che seguono, ma possono essere letti come complementari alle osserva¬
zioni da noi esposte nel testo.
8 Elam, op. cit., p. 49.
9 Cfr. il documento dell'Archivio di Stato di Firenze, Notarile, G. 425, f. 239 r.-245 r.,
cit. in Elam, op. cit., p. 62 nota 46. Testimoni all'atto sono Giuliano da Maiano e Francio-
ne.
LU
Firenze,
a
Strozzi
piazza
di
elevati
ed
Pianta
A.
132
U
1533.
d'Agnolo,
Baccio
-
2
Fig.
332 MANFREDO TAFURI

non riprende le linee ideate nel 1477-80, e viene invece varato il piano
relativo a via Laura? In altre parole : non si può negare la suggestione
della ricostruzione di un progetto complessivo così come tracciato dalla
Elam; ma viene da dubitare circa la liceità di sovrapporre fra loro pro¬
getti concepiti in tempi diversi, di cui uno soltanto posto in esecuzione.
Per ora, il dubbio rimane soltanto tale : ma per più versi il piano di
espansione sembra concepito in alternativa a quello di ristrutturazione.
F. W. Kent ha infatti dimostrato che parte dei possedimenti di Giovanni
Rucellai a Poggio a Caiano vengono ceduti a Lorenzo dè Medici a parti¬
re dal 16 giugno 1474, con perfezionamento finale del giugno 147910.
Lorenzo risiede per brevi periodi, nel 1476 e nel 1477, nei nuovi posse¬
dimenti da lui strappati ai Rucellai, e nell'estate 1477 vi costruisce una
cascina n. Inoltre, il 4 ο il 5 giugno 1474, Bernardo di Giovanni Rucellai
scrive a Lorenzo una lettera relativa a «ringhiere e ballatoi insieme con
què giardini in su le loggie», per le quali egli invia un «disegno»12 : un
documento che Kent valuta come indizio circa il ruolo di «arbiter»
dell'eleganza artistica, che il Magnifico inizierebbe a rivestire alla
data13.
Sulle conoscenze architettoniche e sul gusto «albertiano» del Ma¬
gnifico gli studi si sono moltiplicati, permettendo di leggere influenze
laurenziane su alcuni progetti di Giuliano da Sangallo14. La modestia

10 F. W. Kent, Lorenzo de Medici's Acquisition of Poggio a Caiano in 1474 and an Early


Reference to his Architectural Expertise, in Journal of the Warburg and Courtauld Institu¬
tes, 42, 1979, p. 250-257. In una lettera del 29 maggio 1474, Bernardo di Giovanni Rucellai
notifica a Lorenzo de' Medici che il padre aveva accettato di cedergli la villa e l'area
annessa. (Firenze, Archivio Mediceo avanti il Principato, XXX, 373, cit. in Kent, op. cit.,
p. 251-252). Per i documenti del 1477 e del 1479, cfr. Kent, Lorenzo de Medici's, cit.,
p. 252, note 17 et 18.
11 Cfr. P. E. Foster, Lorenzo de Medici's «Cascina» at Poggio a Caiano, in Mitteillungen
des Kunsthistorischen Instituts in Florenz, XIV, 1969, p. 47-56.
12 Trascritta in Kent, Lorenzo de Medici's, cit., p. 254.
13 Ibidem, p. 256. Cfr. anche Gombrich, The Early Medici as Patrons of Art, cit.
14 Cfr. M. Martelli, I pensieri architettonici del Magnifico, in Commentari, XVII,
1966, p. 107-111 ; P. E. Foster, Alberti, Lorenzo de Medici and Santa Maria delle Carceri in
Prato, in Journal of the Society of Architectural Historians, XXX, 1971, p. 238-239; Id., A
study of Lorenzo de Medici's Villa at Poggio a Caiano (Garland Series), New York-Londra,
1978, I, p. 91 e ss.; Kent, Lorenzo de Medici's Acquisition, cit.; P. E. Foster, Lorenzo de
Medici and the Florence Cathedral Façade, in The Art Bulletin, LXIII, 1981, p. 495-500;
P. Morselli e G. Corti, La chiesa di Santa Maria delle Carceri a Prato. Contributo di Loren¬
zo de Medici e Giuliano da Sangallo alla progettazione, Firenze, 1982, p. 23 e ss.
SVILUPPO URBANO NELL'ITALIA DEL RINASCIMENTO 333

formale dell'intervento in via Laura diviene, di conseguenza, ancor più


sintomatica dell'eventuale progetto per la piazza dell'Annunziata. Le
date di acquisto dei possedimenti di Poggio a Caiano precisate da Kent
inducono a chiedersi se non vi sia stato uno spostamento di interesse e
di capitali dal progetto di ristrutturazione di via dè Servi alla villa pro¬
gettata dal Sangallo.
Il monumento aìYotium umanistico - la villa - sembra sostituire un
intervento di ristrutturazione urbana, negli anni successivi alla congiu¬
ra dei Pazzi e alla confisca dei beni medicei a Roma operata da Sisto
IV. Tale celebrazione di Lorenzo come umanista, fuori del contesto
urbano, può assumere un significato nuovo se messa in relazione con
l'operazione di via Laura.
Tenendo presente il pluralismo del sistema commerciale fiorentino
analizzato da Goldthwaite15, la strategia urbana del Magnifico appare
estremamente conseguente. Come primus inter pares, egli indica modi
di investimento tesi a mediare benefici privati e pubblici; per autorap-
presentarsi, egli esce di città, dando vita all'eloquente villa-tempio di
Poggio a Caiano 16 .

Un princeps christianus : Leone X e la «nuova Roma»

1513 : Giuliano da Sangallo progetta, su istanza di Leone X, ponte¬


fice neoeletto, un grandioso palazzo mediceo, testimoniato dal foglio U
7949 A. Elemento clamoroso del progetto è l'aggancio del palazzo a
Piazza Navona, tramite un portico con ordine gigante. Pochi anni dopo,
Antonio da Sangallo il Giovane offre un progetto alternativo, a due cor¬
tili, precisando le relazioni con l'intorno urbano (U 1259 Ar. e v.).
L'enorme residenza medicea avrebbe assunto, in entrambi i casi,
piazza Navona come proprio vestibulum, collegandosi allo Studium
urbis e ad un secondo palazzo mediceo : quello di Alfonsina Orsini,
madre di Lorenzo di Piero, iniziato nel 1514 circa. Altrove, abbiamo
sostenuto che fra gli intenti iniziali di Leone X fosse l'installazione, nel
cuore «antico» di Roma, di un'articolata urbs medicea, emblematica¬
mente connessa alla Sapienza e conclusa da una piazza della Dogana

15 Cfr. Goldthwaite, The Medici Bank, cit.


16 Cfr. Foster, A Study of Lorenzo de Medici's Villa, cit.
334 MANFREDO TAFURI

regolarizzata 17 . A tale ipotesi si possono aggiungere ulteriori considera¬


zioni. L'associazione Palazzo-piazza rinvia al palatium constatiniano di
Bisanzio studiato dallo stesso Antonio il Giovane nel foglio U 900 A. Nel
testo vergato dall'architetto, il palazzo imperiale e la piazza-ippodromo
dell'antica Bisanzio vengono paragonati a situazioni romane : piazza
Navona e la terrazza di San Pietro in Montorio18.
Non si tratta di un'associazione casuale. Come hanno dimostrato
Alfred Frazer e Salvatore Settis, sin dall'età tardoantica l'abbinamento
Palazzo-Circo viene caricato di valenze simboliche altamente pregnan¬
ti19. Il modello, logicamente, è il Palatium romano sul Palatino, con il
Circo Massimo ai suoi piedi : un modello evocato, già a Bisanzio, a
significare una translatio. E proprio in quanto simbolo di translatio
imperii l'associazione del circo al palazzo diviene un topos : le Romae
secundae - Bisanzio, Treviri, Salonicco, Antiochia, Venezia - assumono

17 Sui progetti di Giuliano e di Antonio da Sangallo per palazzo Medici a piazza Navo¬
na, cfr. G. Giovannoni, Disegni sangalleschi per palazzo Medici in Roma, in Architettura e
arti decorative, IV, 1925, p. 193-200; G. Marchini, Giuliano da Sangallo, Firenze, 1942,
p. 63-64 e 99; E. Bentivoglio, Il progetto per palazzo Medici in piazza Navona di Giuliano
da Sangallo, in L'architettura cronache e storia, XVIII, 1972, n. 3, p. 196-204; C. L From-
mel, Der römische Palastbau der Hochrenaissance, Tübingen, 1973, I, p. 17 e ss.; G. Mia-
RELLi, Il palazzo Medici a piazza Navona : un'utopia urbana di Giuliano da Sangallo, in
Aa.Vv., Firenze e la Toscana dei Medici nell'Europa del '500, III. Relazioni artistiche. Il
linguaggio architettonico europeo, Firenze, 1983, p. 977-993. Sul ruolo urbano dei progetti
sangalleschi per palazzo Medici, e in particolare di quelli di Antonio il Giovane (U 12 59 A
r. e v.), cfr. L. Spezzaferro, Place Farnèse : urbanisme et politique, In Aa.Vv., Le Palais
Farnése, Roma, 1981, 1/1, p. 85-123; M. Tafuri, «Roma instaurata». Strategie urbane e poli¬
tiche pontificie nella Roma del primo '500, in C. L. Frommel, S. Ray, M. Tafuri, Raffaello
architetto, Milano, 1984, p. 85 e ss.; C. L. Frommel, L'urbanistica della Roma rinascimenta¬
le, in Aa.Vv., Le città capitali, a cura di C. De Seta, Roma-Bari 1985, p. 95-110; Id., Raffael
und Antonio da Sangallo der Jüngere, in Aa.Vv., Raffaello a Roma. Il convegno del 1983,
Roma,, 1986, p. 273 e fig. 19.
18 «In Chostantinopoli - scrive Sangallo nell'U 900 A - è una piaza lunga quanto /
navona, dove sono Colonne intorno a due a due / chôme apare in disegno, grosse quanto
quelle di santo / pietro, (. . .) ed anno sopra li architravi e chornicie / e fatto uno piano
cholli parapetti da ogni banda / in mezo elio [o]belischo, e questa piaza è inanzi al palatio
dello imperatore / e sta in una chosta come sta a roma / S. piero a montorio, quale piaza
/ e palatio vede tutto Costantinopoli / chôme san pietro a montorio vede roma ».
19 Cfr. A. Frazer, The Iconography of the Emperor's Maxentius Buildings in Via Appia,
in The Art Bulletin, XL VIII, 1966, p. 385 e ss.; S. Settis, Continuità, distanza, conoscenza.
Tre usi dell'antico, in Aa.Vv., Memoria dell'antico nell'arte italiana, III. Dalla tradizione
all'archeologia, Torino, 1986, p. 429-430.
SVILUPPO URBANO NELL'ITALIA DEL RINASCIMENTO 335

J/ I

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palazzo
circa).(1513-1521).
mediceo
al Corso;;

la piazza-circo come luogo privilegiato di esibizione del potere imperia¬


le, di contatto fra imperatore e popolo20.
I progetti dei due Sangallo, zio e nipote, rispondono quindi a una
simbolica instauratio imperii, forse balenata nella mente del nuovo
papa nei primi anni del suo pontificato. L'associazione Palazzo-Circo,

20 Settis, Continuità, cit., p. 430.


336 MANFREDO TAFURI

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Fig. 4 - Antonio da Sangallo il Giovane, Schizzo planimetrico del palazzo imperiale
di Costantinopoli (in alto). U 900 A.

del resto, era già stata ripresa, in forma emblematica, dal Belvedere
bramantesco, come ha notato Ackerman sin dal 1951 21 . L'ambizioso
progetto leonino, in tal senso, elimina il carattere privato, introverso e
chiuso in se stesso, del nuovo teatro-ippodromo-xisto ideato da Bra¬
mante per Giulio II. Il «circo» leonino è una piazza pubblica sorta su
un autentico circo antico, non è artificium allusivo, impermeabile all'in¬
torno urbano.
E anche se l'abbandono del progetto fosse stato provocato in prima
istanza dalla morte del Magnifico Giuliano - probabile destinatario del

and 21Courtauld
Vaticano,
Cfr. 1954.
J. S. Institutes,
Ackerman,XIV,
The 1951,
Belvedere
p. 70-91;
as a Idem,
Classical
TheVilla,
Cortile
in Journal
del Belvedere,
of the Città
Warburg
del
SVILUPPO URBANO NELL'ITALIA DEL RINASCIMENTO 337

Fig. 5 - Giuliano da Sangallo, Progetto di palazzo mediceo aperto su piazza Navona


a Roma, 1513. U 7949 Ar.
338 MANFREDO TAFURI

palazzo insieme forse, al Magnifico Lorenzo - è necessario pensare che


un intero programma «neo-imperiale» viene con esso cancellato. Il che
è coerente con l'immagine del papa-medicus, pacifista, virtuoso, capace
di riconquistare la fiducia e l'amicizia di Erasmo da Rotterdam, attento
ai bisogni pubblici e al bene dei cittadini, che ben presto Leone X inizia
a costruire per se stesso. La nuova espansione di Roma, le attrezzature
assistenziali di nuovo impianto, la politica di ostentata amicizia con il
«popolo romano» (in realtà subdola e a doppio taglio), costituiscono
tappe di nella
Erasmo avvicinamento
sua Institutio22.
all'ideale del princeps christianus delineato da

Fermiamoci sull'espansione di Roma verso piazza del Popolo, spes¬


so letta
lio II. come operazione alternativa al sistema urbano pensato da Giu¬

Fino a che punto è lecito sostenere che l'apertura di via Ripetta e il


progetto per palazzo Medici fossero collegati fra loro? Le date e i docu¬
menti relativi all'esecuzione della strada dicono poco al proposito,
anche se non è credibile che per l'enorme volume del palazzo sangalle-
sco non sia stato pensato un accesso viario di qualche importanza. Nei
disegni di Antonio da Sangallo il Giovane U 1259 Ar. e v., databili al
1514-1515 circa23, appare, oltre all'allargamento di via della Scrofa,
una strada in asse con il palazzo mediceo : si tratta della salita dei Cre-
scenzi, che adduce al Pantheon proseguendo fino a via Lata. È probabi¬
le, pertanto, che il complesso palazzo-piazza sia stato concepito in orga¬
nica connessione con il Pantheon, tramite un'arteria destinata a «chiu¬
dere» il triangolo avente come lati lunghi via Ripetta e il Corso. Tale
ipotesi si connette a un ulteriore interrogativo : è possibile scorgere
pensieri per quella che sarà la via Leonina nelle strategie dei due papi
Della Rovere? L'apertura di via Ripetta, in sostanza, è davvero frutto di

22 Cfr. Erasmo da Rotterdam, Institutio principis christiani (1516), trad. it. Napoli,
1977, con introduzione di M. Isnardi Parente. Cfr. al proposito Tafuri, « Roma instaura¬
ta », cit., p. 76.
23 Nell'U 1259 Ar., le scritte che compaiono nei fregi delle porte schizzate sulla sini¬
stra sono state riferite dal sottoscritto e da Frommel a progetti per la cappella dei SS. Co¬
sma e Damiano in Castel Sant'Angelo (cfr. le opere cit. nella nota 17). Non può essere
tuttavia escluso che quelle porte siano state pensate per la cappella voluta da Leone X
nello Studium urbis.
SVILUPPO URBANO NELL'ITALIA DEL RINASCIMENTO 339

Fig. 6 - Antonio da Sangallo il Giovane, Schizzo di sistemazione urbana di piazza della


Dogana e di palazzo Medici su piazza Navona, 1514-15. U 1259 Av.

una strategia alternativa a quella di Giulio II, ο non è piuttosto realizza¬


zione di pensieri già formulati e parzialmente messi in cantiere?24.
Va intanto registrato che il collegamento fra via Ripetta e via della
Scrofa non viene intrapreso da Leone X, bensì da Paolo III. È stato

IV,
senplanung
für
una
Frommel,
1974,
1979;
Kunstgeschichte,
1972,
24storia
p.
Tafuri,
Sulle
17n.Der
edilizia
e7,
unter
strategie
«ss.
p.
römische
Roma
; 2-18;
den
G.diI,Spagnesi,
urbane
instaurata
Roma.
Medici-Päpsten
F.
1985,
Palastbau,
Bilancia
p.
diIl237-293.
Primi
»,Leone
centro
cit.;
e cit.,
dati
S.inFrommel,
X,storico
Polito,
I,Rom
sull'urbanizzazione
cfr.
p. 17
(1513-1534),
R.
Via
di
eL'urbanistica,
Fregna
ss.,
Roma.
Ripetta,
G. Ciucci,
e Ilin
S.
ibidem,
del
Rione
Polito,
Jahrbuch
cit.;
Tridente,
Piazza
Campo
V,
H.Fonti
Günther,
1973,
des
delinZentralinstituts
di
Marzio,
Popolo,
n.
Controspazio,
archivio
5,Die
p. Roma,
18-47;
Stras¬
per
Fig. 7-11 palazzo mediceo su piazza Navona e piazza delle Dogana secondo il progetto
di Antonio da Sangallo il Giovane (U 1259 Ar. e v.), nella situazione urbana intorno al
1515. (Disegno di Demus Dalpozzo). 1, palazzo Medici secondo la ricostruzione di From-
mel; 2, palazzo Medici-Lante; 3, Sapienza; 4, sito poi occupato dalla chiesa di S. Luigi dei
Francesi; 5, piazza Navona; 6 e 7?, 8, palazzo «delle due torri»; 9, palazzo Baldassini; 10,
Sant'Agostino.
SVILUPPO URBANO NELL'ITALIA DEL RINASCIMENTO 341

infatti recentemente dimostrato che la via recta si imbatteva nel cosid¬


detto «palazzo delle due torri», di proprietà del Collegio Capranica,
esteso all'incirca fra palazzo Baldassini e la chiesa di Sant'Agostino25 :
si tratta del palazzo ottenuto in eufiteusi perpetua da Giovanni Mango-
ne nel 152726. Il che non esclude l'esistenza di un progetto di collega¬
mento di età leonina, forse osteggiato dal potente Collegio.
Il precedente più significativo della via Leonina è comunque la
strada aperta da Sisto IV, da piazza di Ponte a piazza Nicosia : la via
Sistina era indubbiamente concepita come arteria di collegamento con
il porto di Ripetta, formando un «pendant» di via della Lungara, che
negli intenti di Giulio II (ma forse già di Sisto IV) doveva raggiungere il
porto di Ripa Grande. È dunque probabile che già per Sisto IV la stra¬
da collegante piazza di Ponte a piazza Nicosia dovesse proseguire, toc¬
cando il porto di Ripetta e raggiungendo piazza del Popolo : vale a dire
il sito su cui sorgeva la chiesa agostiniana cara a papa Della Rovere. Il
fatto che Giulio II, nel risistemare la Lungara, completasse un'opera¬
zione iniziata dallo zio, lascia sospettare che fra i suoi intenti fosse
anche quello di aprire la via che sarà Leonina. Le due strade comun¬
que, sono complementari, in quanto pensate per raggiungere i porti
fluviali di Roma localizzati agli estremi opposti della città. Si noti inol¬
tre, che già nel 1451 Nicolò V aveva affidato alla Compagnia di Santa
Maria del Popolo il governo e l'amministrazione dell'Ospedale di San
Giacomo. Da parte sua, Alessandro VI aveva contribuito a incrementare
lo sviluppo edilizio del piccolo quartiere dei dalmati, anche per risana¬
re la malfamata zona «dell'Ortaccio»27. Per completare il quadro dei
precedenti che condizionano la creazione di via Ripetta, va ricordato
che ancora sotto Giulio II - fra il 1509 e il 1513 - l'Ospedale di San
Giacomo vende alcuni terreni di sua proprietà, sul fronte fra Ripetta e
il Tevere, e fra Ripetta, via delle Colonnelle, via della Frezza e via dei
Pontefici28.

25 Cfr. E. Bentivoglio, Brevi note per la storia, la topografia, l'architettura di Roma nel
XVI secolo, con aggiunto il « Testamento » dell'Elefante Annone, Roma, 1986, p. 6 e ss.
26 Ibidem, p. 9.
27 Cfr. Tafuri, « Roma instaurata», cit., p. 82.
28 Archivio di Stato di Roma (ASR), Catasto delli canoni perpetui della Venerabile
Compagnia et Archiospedale di San Giacomo degli Incurabili di Roma, 1661, p. 1 bis. Cfr.
la trascrizione del documento in R. Fregna e S. Polito, Analisi tipologica, in P. Portoghe¬
si, Roma del Rinascimento, Milano, 1971, II, p. 589 (VII).
342 MANFREDO TAFURI

Ve n'è abbastanza per affermare che l'operazione cui si riferisce il


motu proprio di Leone X del 1517 riprende idee e iniziative favorite dai
papi precedenti, che vedono l'Ospedale di San Giacomo e la Compagnia
di Santa Maria del Popolo protagoniste di imprese speculative non tra¬
scurabili.
La via Leonina non è dunque, in sè, una novità; come via Lata del
resto. Nuova è la forma che le due strade danno alla nuova espansione
di Roma, convergendo su piazza del Popolo regolarizzata da Raffaello
e da Antonio il Giovane : dopo gli studi di Frommel e di Günther, risul¬
ta accertato che la «nuova Roma» leonina era compresa in un bivium
progettato come tale29.
La zona settentrionale del bivium è caratterizzata, subito dopo
piazza del popolo, dall'Ospedale di San Giacomo degli Incurabili, il cui
rinnovamento è decretato dalla bolla papale del 19 luglio 15 1 5 30. Il
finale della via Leonina, considerando via della Scrofa come suo pro¬
lungamento, è invece segnato - anche dopo la rinuncia al palazzo medi¬
ceo e alla regolarizzazione di piazza dei Caprettari - dallo Studium
urbis, valorizzato e ristrutturato da Leone X. In definitiva, il nuovo asse
urbano risulta caratterizzato, ai suoi estremi, da attrezzature urbane di
primaria importanza : la Charitas e la Sapientia sono le emblematiche
testate dell'arteria. Non basta: il «buon governo» si estende alle aree
comprese entro il grande triangolo planimetrico. Poco dopo la sua
ascesa al soglio pontificio, Leone X impone un calmiere ai prezzi dei
materiali da costruzione. È il primo segno di una strategia che prose¬
gue con la bolla del 2 novembre 1516 (Inter curas multiplices) e con
facilitazioni edilizie concesse ai curiam sequentes. La riconoscenza di
questi ultimi viene espressa il 2 settembre 1517, tramite le parole del
primo conservatore Mario de Peruschi, che esalta le conseguenze della
bolla del 1516 «in favorem curialum aedificantium in Urbe», e aggiun-

29 Cfr. la nota 24. A conferma ulteriore dell'ipotesi, vedi il foglio U915A, di Antonio da
Sangallo il Giovane, in cui sono anche rilievi degli Horti Aciliorum. Cfr. Günther, Die
Strassenplannung, cit., p. 277 nota 110.
30 Sulle vicende dell'Ospedale di San Giacomo in Augusta, cfr. M. Heinz, Das Hospital
S. Giacomo in Augusta in Rom : Peruzzi und Antonio da Sangallo i.G. zum Hospitalbau der
Hochrenaissance, in Storia dell'arte, 1981, η. 41, p. 31-48. Meno persuasivo è l'articolo di
S. Benvenuto e D. Di Cioccio, L'urbanizzazione del Campo Marzio. Considerazioni sui dise¬
gni di progetto dell'ospedale di S. Giacomo degli Incurabili, in Aa.Vv., Antonio da Sangallo
il Giovane. La vita e l'opera, a cura di G. Spagnesi, Roma, 1986, p. 145-153.
SVILUPPO URBANO NELL'ITALIA DEL RINASCIMENTO 343

Fig. 8 - Antonio da Sangallo il Giovane, Rilievo degli Horti Aciliorum e schizzo


planimetrico di un settore del bivium leonino. U 915 A.
344 MANFREDO TAFURI

ge : «etiam videtur ut animus sedificantium et volentium aedificare cre-


scat ad effectum quod Urbs Roma augeatur et nobilitetur aedificiis et
hominibus»31. Con strumenti diversificati Leone X avvia una politica
urbana che sembra contrapporre, alla volontà di potenza di papa Della
Rovere, un «buon governo» pacificatore e paterno. Eppure, le strategie
di di
ti Giulio
continuità.
II e quelle di Leone X non mancano, come s'è visto, di elemen¬

Soffermiamoci sul dispositivo formale del bivium. In altra occasio¬


ne, abbiamo tentato di dimostrare che l'asse di via Giulia, dominato dal
forum costituito dal nuovo palazzo dei Tribunali e dalla sua piazza, era
destinato a congiungersi, tramite una platea, a una seconda dorsale. La
via recta ο dei Coronari era stata individuata dagli statuti nicolini del
1452 come uno dei tre assi portanti della Roma laica, ed era stata suc¬
cessivamente risistemata da Sisto IV32. Con l'abbattimento di poche
casette, essa avrebbe potuto sfociare quasi in asse con il pons Trium¬
phalis, il cui ripristino l'Albertini fa rientrare negli intenti di Giulio II;
via Giulia, al contrario, forma un angolo ottuso rispetto all'allineamen¬
to del ponte stesso. Bramante, secondo tale ipotesi, avrebbe introdotto a
Roma, in forma monumentale, un bivium formato da assi entrambi
allacciati ad iniziative del primo papa della Rovere (ponte Sisto e via
dei Coronari).

31 Cfr. E. Rodocanachi, La première Renaissance à Rome au temps de Jules II et de


Léon X, Parigi, 1912, p. 413. Vedi anche P. Soavizzi, Le condizioni per lo sviluppo dell'atti¬
vità edilizia a Roma nel secolo XVII : la legislazione, in Studi romani, XVIII, 1969, n. 2,
p. 160-171.
32 Sulla politica urbana di Sisto IV, cfr. L. Spezzaferro, La politica urbanistica dei
papi e le origini di via Giulia, in L. Salerno, L. Spezzaferro, M. Tafuri, Via Giulia. Un'uto¬
pia urbanistica del '500, Roma, 19752, p. 15 e ss. Per la comprensione dei conflitti urbani
del XV e del XVI secolo in Roma, sono fondamentali i saggi di C. Gennaro, Mercanti e
bovattieri nella Roma della seconda metà del Trecento (da una ricerca su registri notarili),
in Bullettino dell'Ist. storico italiano per il Medio Evo e Archivio Muratoriano, 1967, n. 78,
p. 155-203; Id., La «Pax Romana» del 1511, in Archivio della Società romana di storia
patria, XC, 1967, n. 1/4, p. 17-60; J.-Cl. Maire Vigueur, Classe dominante et classes diri¬
geantes à Rome à la fin du Moyen Âge, in Storia della città, I, 1976, n. 1, p. 4-26. Si veda,
infine, il magistrale saggio di H. Broise e J.-Cl. Maire Vigueur, Strutture familiari, spazio
domestico e architettura civile a Roma alla fine del Medioevo, in Storia dell'arte italiana.
XII. Momenti di architettura, Torino, 1982, p. 99 e ss. L'ipotesi relativa a un bivium bra¬
mantesco, formato da via Giulia e via dei Coronari è in Tafuri, « Roma instaurata», cit.,
p. 71-72.
SVILUPPO URBANO NELL'ITALIA DEL RINASCIMENTO 345

E avrebbe fornito un precedente per i nuovi piani di età leonina : la


convergenza su piazza del Popolo delle vie Lata e di Ripetta riprende,
ribaltando il dispositivo verso il nord della città, il disegno urbano bra¬
mantesco.
A questo punto, assume particolare significato l'ipotesi relativa a
un'idea sistina e giuliana anche per via Ripetta : la continuità delle stra¬
tegie urbane pontificie ne acquista un risalto da non sottovalutare. Tan¬
to più, che quanto ha osservato Hubertus Günther sul disegno U 1013
Ar e sui documenti relativi alle imposte del 1524-25 «per la ruina della
ponta della zecca nuova e della scala di Pandolfo della Casa», dimostra
che Antonio da Sangallo il Giovane progetta, per Clemente VII, un
secondo bivium : quello formato dal Canale di Ponte e dalla via poi
Paola, chiuso a triangolo da una strada che mette in relazione visiva
San Giovanni dei Fiorentini e la nuova Zecca33.
Si osservi : sia il bivium convergente su piazza del Popolo, che
quello pensato in età clementina vengono trasformati in «tridenti» da
Paolo III, con le aggiunte di via del Babbuino e di via di Panico. Anche
a tale proposito, le analisi filologiche del Günther non sono facilmente
falsificabili34.
Che esista inoltre uno «stile mediceo» teso a dar forma agli spazi
su cui convergono gli assi viari, è dimostrato dall'attenzione riservata
alle testate degli edifici posti alla confluenza delle strade. La configura¬
zione della facciata minore del palazzo di Jacopo da Brescia - ispirato
alla fronte obliqua della Cancelleria -, il progetto per la casa di Raf¬
faello a via Giulia (U 310 e 311 A), la facciata ricurva della Zecca, la
soluzione angolare di palazzo Balami-Galitzin35, vedono Raffaello, An¬
tonio il Giovane, forse Giovan Francesco da Sangallo, impegnati a defi¬
nire architettonicamente le cerniere dei nuovi interventi urbani.
Né è di poco conto che anche per il bivium sfociante in piazza del
Popolo fosse prevista una testata monumentale, con un «angulum ex
lapidibus tiburtinis usque ad primum solare ad effectum ut possit in

architetto,
33 Cfr. cit.,
H. Günther,
p. 232-234Il; Id.,
prisma
Das stradale
Trivium vor
davanti
PontealS.ponte
Angelo.
di Ein
Sant'Angelo,
Beitrag zurin Urbanistik
Raffaello
der Renaissance in Rom, in Römisches Jahrbuch für Kunstgeschichte, XXI, 1984, p. 161-
251.
34 Cfr. Günther, Die Strassenplanung, cit., p. 254-255.
35 Cfr. C. L. Frommel, Giovanfrancesco da Sangallo, architetto di palazzo Balami-Galit-
zin, in Aa.Vv., Antonio da Sangallo il Giovane, cit., p. 63-69.
346 MANFREDO TAFURI

dicto angulo apponi et murari arma sanctissimi nostri pape . . ,»36. Altri
documenti testimoniano circa la forma assunta dalla piazza prevista da
Raffaello e da Antonio da Sangallo il Giovane : non rimane che riman¬
dare, sull'argomento, alla ricostruzione di Günther37.
È appena il caso di notare che una ricca messe di materiale archi¬
vistico e di studi smentisce l'ipotesi di un tridente leonino desunto dai
trivii medievali di Bologna e Firenze, ο dagli schemi ideali di città
radiocentriche 38.
Fatto sta, che il bivium introduce nelle espansioni ο nelle ristruttu¬
razioni urbane del primo '500 romano bifocalità dotate di ricchezze
visive congrue alle raffinatezze favorite dagli ambienti papali e curiali.
Nello stesso tempo, va notato un fenomeno, che ha anch'esso un prelu¬
dio nelle strategie urbane di Sisto IV, come è stato recentemente dimo¬
strato da un'eccellente analisi archivistica relativa al rione Parione nel
tardo '400 39. Il progetto politico che persegue la riduzione a «corte» del
Senato cardinalizio ha riflessi nel comportamento dei ceti «borghesi» e
dei curiam sequentes. Si faccia caso ad alcuni personaggi che inserisco¬
no nella « Roma instauranda » i propri palazzetti, ricorrendo ai più pre¬
stigiosi architetti della città medicea. Con il precedente del viterbese
Adriano de Caprinis, protonotario apostolico, si tratta di medici papali,
come Jacopo da Brescia e del siciliano Fernando Baiami, di un avvoca¬
to concistoriale, come Melchiorre Baldassini, di un datario pontificio
come Baldassarre Turini da Pescia, di artisti come Raffaello, Giuliano
da Sangallo e Antonio il Giovane, tanto per citare i casi più appariscen¬
ti. Un nuovo e raffinato gusto dell 'abitare, dentro scenari rievocanti
atmosfere antichizzanti ο paraclassiche, si estende ai ceti intermedi,
denotando la riuscita del disegno denunciato a suo tempo da Marcanto¬
nio Altieri come manovra tesa all'atterramento politico ed economico
del «popolo romano»40.

36 ASR, Notai Cap., Stefanus de Ammanis, voi. 65, c. 237 r. Cfr. Frommel, Der römische
Palastbau, cit., I, p. 20 nota 40.
37 Günther, Die Strassenplanung, cit., p. 250, fig. 7.
38 Cfr. E. Guidoni, Antonio da Sangallo il Giovane e l'urbanistica del '500, in Aa.Vv.,
Antonio da Sangallo, cit., p. 217-230.
39 Cfr. G. CuRCio, Il rione Parione durante il pontificato sistino : analisi di un'area cam¬
pione. I processi di trasformazione edilizia, in Aa.Vv., Un pontificato ed una città. Sisto IV
(1471-1484), Roma, 1986, p. 706-732, volume prezioso per il rinnovamento degli studi sul
XV secolo e sul papato sistino.
40 M. Altieri, Li Nuptiali, a cura di E. Narducci, Roma, 1873, p. 17. Cfr. anche, sul
SVILUPPO URBANO NELL'ITALIA DEL RINASCIMENTO 347

Riprendiamo in esame l'accantonamento del grandioso progetto


sangallesco U1259 A per il palazzo mediceo e la regolarizzazione di
piazza della Dogana. Colpisce che a tale rinuncia corrispondano analo¬
ghe rinuncie nella Firenze riconquistata dai Medici. Oltre al progetto di
Leonardo da Vinci su via Larga, riconosciuto dal Pedretti, ci riferiamo
a un progetto di dimensioni imperiali dovuto a Giuliano da Sangallo e
datato dalla Elam al 1512-13, sulla base di inoppugnabili prove filologi¬
che41. Non è escluso che tale secondo progetto sia stato commissionato
da Lorenzo di Piero, come segno eloquente del «ritorno» mediceo. Ma è
noto che lo zio pontefice, proprio ne quadro della fratellanza ideale
Roma-Firenze (i due poli, ancora instabili, delle rinnovate fortune fami¬
liari), raccomandava a Lorenzo una politica moderata. Le opere cui lo
stesso Leone X è interessato a Firenze sono la facciata della chiesa di
San Lorenzo e la Sacrestia nuova di Michelangelo, mentre nel 1516 vie¬
ne iniziata la loggia fronteggiante il portico brunelleschiano degli Inno¬
centi. Un segno di continuità con l'opera di Lorenzo il Magnifico è inol¬
tre la ripresa dei lavori nella villa di Poggio a Caiano.
Proviamo, riassumento, a trarre delle conclusioni. A Roma : un
ampliamento che mette a disposizione della speculazione fondiaria va¬
ste aree libere, con incentivi all'edilizia anche sotto forma di abbassa¬
mento del prezzo dei materiali; una via Leonina che ha come poli due
opere di pubblica utilità, l'Ospedale di San Giacomo e lo Studium urbis ;
una forma viaria eloquente e una piazza che valorizza la chiesa di San¬
ta Maria del Popolo; un'esaltazione della communitas fiorentina con
l'avvio della chiesa sita all'estremità sud di via Giulia. Infine, la rinun-

tema, M. Miglio, Roma dopo Avignone. La rinascita politica dell'antico, in Aa.Vv., Memoria
dell'antico nell'arte italiana, I. L'uso dei classici, a cura di S. Settis, Torino, 1984, p. 98 e
ss.
41 Cfr. Elam, Lorenzo de Medici, cit., che contesta le ipotesi contenute nel saggio di
G. Miarelli, Il disegno per il complesso mediceo di via Laura in Firenze, in Palladio, XXII,
1972, n. 1/4, p. 127-162, che aveva proposto una datazione del foglio U282A al 1490-1492
circa. (Cfr. anche la recensione di G. Marchini, in Antichità viva, XII, 1973, n. 6, p. 66-68).
Una datazione per via stilistica dei disegni di progetto di Giuliano da Sangallo è pericolo¬
sa : come è stato dimostrato per i progetti per la facciata di San Lorenzo a Firenze, Giu¬
liano non sembra avere scrupoli nel riadattare per nuove occasioni vecchi disegni elabo¬
rati per temi diversi. Nel caso del progetto per il palazzo mediceo a via Laura è possibile
che Giuliano abbia chiesto al fratello di rielaborare uno dei progetti (perduti) presentati a
Ludovico il Moro e a Francesco I. Sul progetto di Leonardo, per un palazzo Medici a
Firenze (Cod. Atl., f. 315r-b), cfr. C. Predetti, Leonardo architetto, Milano, 19812, p. 251.

23
348 MANFREDO TAFURI

eia a segnare trionfalmente la presenza medicea in città : invece del


palazzo, villa Madama, isolata su Monte Mario, che guarda, distaccata,
i conflitti mondani e ripropone - come Poggio a Caiano - l'immagine
dell 'otium umanistico e della tradizione culturale medicea. A Firenze :
una serie di opere di alta qualità, che propongano - specie dopo l'in¬
gresso del 1 5 1 5 42 — un'immagine umanistica, pia e antitirannica di casa
Medici. Soltanto a questo punto emergono affinità fra le strategie urba¬
ne del Magnifico e quelle di Leone X. All'ampliamento di via Laura
corrisponde il bivium leonino, i ceti favoriti nelle due città sono analo¬
ghi, alla rinuncia ad esibizioni edilizie nei cuori urbani di Firenze e
Roma corrispondono due ville extraurbane. Con una differenza, dovuta
al gusto personale di Leone X e alla sua politica di trasformazione in
«corte» della Curia e dei ceti medio-alti : le architetture e le sistemazio¬
ni urbane affidate a Raffaello e ad Antonio da Sangallo il Giovane pro¬
pongono una instauratio Romae di alto profilo formale. In armonia, del
resto, con il lontano «testamento spirituale» di Nicolò V, che rimane
ben presente a tutti i papi del '400 e del '50043.
Non era dunque azzardato parlare di «stile mediceo» nell'ambito
delle strategie di sviluppo di Firenze e di Roma, anche se la particolari¬
tà del caso romano obbliga Leone X ad affrontare conflitti interni e
problemi economici su cui si eserciteranno i tentativi di riforma solleci¬
tati da Clemente VII44.

42 Cfr. J. Shearman, The Fiorentine «Entrata» of Leo X, 1515, in Journal of the War¬
burg and Courtauld Institutes, XXXVIII, 1975, p. 136-154.
43 Sul tema cfr. C. W. Westfall, In this Most Perfect Paradise. Alberti, Nicholas V and
the Invention of Conscious Urban Planning in Rome, 1447-1455, The Penn. Univ. Press,
1974, (e la recensione di Ε. Β. Macdougall, in The Art Bulletin, LXI, 1979, n. 2, p. SU¬
SO). Una revisione critica della ipotesi di Westfall è stata compiuta in M. Tafuri, «Cives
esse non licere». La Roma di Nicolò V e Leon Battista Alberti : elementi per una revisione
storiografica, introduzione all'ed. it. del volume dello stesso Westfall (L'invenzione della
città, Roma, 1984, p. 13-39). Cfr. la recensione di L. Onofri, in Roma del Rinascimento, I,
1985, p. 103-106. Cesare De Seta ha tentato di criticare l'impostazione del nostro saggio
mediante un incongruo riferimento al Libro Vili del De re aedificatoria. Cfr. C. De Seta,
Come in uno specchio. La città rinascimentale nel «De re aedificatoria» e nelle tarsie, in
Aa.Vv., Imago urbis. Dalla città reale alla città ideale, Milano, 1986, p. 35 nota 39.
44 Per un'analisi delle politiche urbane dei due papi Medici, cfr. Günther, Die Stras¬
senplanung, cit. Cfr., per altre notazioni, M. Tafuri, Il Sacco di Roma : fratture e continui¬
tà, in Roma del Rinascimento, I, 1985, p. 23-35.
SVILUPPO URBANO NELL'ITALIA DEL RINASCIMENTO 349

Venezia : continuità urbana e problemi idrogeografici

L'analisi del caso veneziano implica l'adozione di un diverso meto¬


do di approccio. I protagonisti e gli operatori emergenti a Firenze e a
Roma sono assenti, come figure istituzionali, nella Repubblica che dal¬
la serrata del Maggior Consiglio (1297) e dal consolidamento costituzio¬
nale trecentesco esce rinnovata nelle sue mitologie, nei suoi obbiettivi,
nelle sue strutture interne. I concetti portanti dello «Stato misto» e
dell'«uguaglianza patrizia», riaffermati dopo l'emarginazione dei «po-
pulari» dalle maggiori cariche politiche, giocano a Venezia ruoli parti¬
colari. Il continuo scambio fra fede religiosa e identità civica - così
bene analizzato da Cervelli, da Tenenti, da Muir, da Gaeta, da Cozzi45 -
consacra una «singolarità» lagunare giocata nel sottile tentativo di por¬
re la Repubblica in posizione indipendente sia sall'Impero che da
Roma. Così, che in nessun altro centro italiano appare così politica¬
mente determinante, come a Venezia, la costanza dell'imago urbis. Sot¬
tolineando di continuo l'identificazione metaforica della città lagunare
con la Vergine - immacolata e immortale, ma anche paradossale e «mi¬
racolosa» - gli apologeti e i coniatori del mito di Venezia sottolineano
la perfezione della città «posta nello impossibile», e soprattutto la sua
unicità46.

45 Cfr. I. Cervelli, Storiografia e problemi intorno alla vita religiosa e spirituale a


Venezia nella prima metà del '500, in Studi veneziani, Vili, 1965, p. 447-476; A. Tenenti,
The sense of Space and Time in the Venetian World, in Aa.Vv., Renaissance Venice, a cura
di John R. Hale, Londra, 1973, p. 17-46 (ora in Tenenti, Credenze, ideologie, libertinismi
tra Medioevo ed età moderna, Bologna, 1978, p. 75-118); F.Gaeta, L'idea di Venezia, in
Aa.Vv., Storia della cultura veneta. Dal primo Quattrocento al concilio di Trento, a cura di
G. Arnaldi e M. Pastore Stocchi, 3/III, Vicenza, 1981, p. 565-641 ; E. Muir, Civic Ritual in
Renaissance Venice, Princeton (N.J.), 1981 ; G. Cozzi, Politica, cultura e religione, in Aa.Vv.,
Cultura e società nel Rinascimento fra riforme e manierismi, a cura di V. Branca e C. Osso¬
la, Firenze, 1984, p. 21-42. Cfr. inoltre alcune osservazioni contenute in J. Le Goff, L'im¬
maginario urbano nell'Italia medievale (secoli V-XV), in Storia d'Italia. Annali. 5. Il paesag¬
gio, a cura di C. De Seta, Torino, 1982, p. 5-43, e M. Tafuri, Venezia e il Rinascimento.
Religione, scienza, architettura, Torino, 19862. Fondamentale, come sintesi di eccezionale
acutezza, il volume di G. Cozzi e M. Knapton, Storia della Repubblica di Venezia. Dalla
guerra di Chioggia alla riconquista della Terraferma, Torino, 1986.
46 Cfr. Gaeta, L'idea di Venezia, cit., e L. Puppi, Verso Gerusalemme. Immagini e temi
di urbanistica e di architettura simboliche, Roma-Reggio Calabria, 1982, passim ; Tafuri,
Venezia, cit., in particolare alle p. 212 e ss. La frase su Venezia come «impossibilità» e di
350 MANFREDO TAFURI

Sia nel periodo del tentativo egemonico in Italia, sia nella fase di
ripiegamento seguita al 1530, la «santità» àeìYurbs marciana è radicata
nell'immaginario patrizio e popolare. Nessuna instauratio è pensabile là
dove l'utopia è considerata già realizzata; soltanto frammenti di reno-
vatio sono pensabili all'interno del suo contesto, e limitatamente ai luo¬
ghi in cui appare opportuno un rito di «rifondazione»47.
La costanza delle magistrature preposte al controllo urbano, quasi
tutte di formazione medievale, è un sintomo di tale «culto della conti¬
nuità». L'attività dei Provveditor di Comun, delle magistrature del Pio-
vego e del Sai, dei Provveditori de supra e de citra, più tardi dei Savi ed
Esecutori alle Acque, forma una rete dalle cui maglie filtrano le volontà
di un patriziato tutt'altro che immune da interni conflitti, ma intento a
salvaguardare il mito della concordia su cui si fonda l'esemplarità dello
Stato armonico. Nulla di più lontano dalla conflittuale Firenze, e, ancor
più, dalla Roma che di continuo sconvolge il proprio assetto. I muta¬
menti di senso, che i nuovi ampliamenti e le ristrutturazioni di Giu¬
lio II, Leone X, Giulio III e Gregorio XIII inducono nel corpo della città
eterna, sono impensabili a Venezia : qui, operazioni simili sarebbero
state considerate sacrileghe. Lo dimostra l'isolamento delle idee espres¬
se in un trattato - rimasto peraltro inedito - come il De bene instituta re
publica di Domenico Morosini48; ma lo dimostra anche il fallimento di
una nuova magistratura istituita nel 1535, espressione dei tentativi di
«modernizzazione» del doge Andrea Gritti, intento a promuovere una
radicale renovatio49.
Sarebbe ingenuo e semplicistico valutare il culto veneziano della
continuità come conservatorismo ad oltranza. La «memoria dell'origi¬
ne», cui si richiamano i pontefici romani del '400 e del '500, si fonda su
un mandato interpretato come absolutus, specie dopo la Laetentur coeli

conseguenza « posta nello impossibile », è in F. Sansovino, Delle cose notabili che sono a
Venezia, Venezia, 1561, c. lv. M. Luisa Doglio ha notato che si tratta di una citazione del
leggendario detto di Mariano Sozzini al papa. Cfr. M. L. Doglio, La letteratura ufficiale e
l'oratoria politica, in Storia della cultura veneta. Il Seicento, 4/1, Vicenza, 1983, p. 166.
47 Cfr. Tafuri, Venezia, cit., cap. II.
48 D. Morosini, De bene instituta re publica, a cura di Claudio Finzi, Milano, 1969, su
cui cfr. G. Cozzi, Domenico Morosini e il «De bene instituta re publica», in Studi veneziani,
XII, 1970, p. 405-458, e C. Vivanti, Pace e libertà in un'opera di Domenico Morosini, in
Rivista storica italiana, LXXXIV, 1972, n. 3, p. 617-624.
49 Cfr. i saggi raccolti nel volume di Aa.Vv., « Renovatio urbis». Venezia nell'età di
Andrea Gritti (1523-1538), Roma, 1984.
SVILUPPO URBANO NELL'ITALIA DEL RINASCIMENTO 351

promulgata da Eugenio IV. V instauratio Romae, di conseguenza, è «as¬


solta» dal dovere di rispettare «forme» : soltanto i luoghi sono veneran¬
di, disponibili peraltro ad assumere significati e configurazioni conse¬
guenti alla nuova politica dei papi-re. La «resistenza nell'origine», per¬
seguita dai sostenitori dell'autonomia della Repubblica, assume invece
connotati tragici, che avvolgono di problematicità le espressioni
dell'umanesimo veneziano e si riflettono sull'intera età della «messa in
immagine del mondo».
Cosa significa, in tale contesto, un ampliamento urbano? Frutto di
decisioni delle magistrature maggiori, ogni ampliamento comporta im¬
bonimenti che insistono sull'equilibrio idrogeografico. Inoltre, si pone
il problema delle funzioni da attribuire a tali operazioni che rischiano
di alterare un'imago complessiva considerata perfetta : non a caso, le
nuove aree sono destinate a strutture assistenziali ο caritative. E sem¬
pre con una modesta qualità formale, che ha come contraltare una
stretta regolamentazione. Come nel caso dell'ampliamento laurenziano
di Firenze, anche se con altre motivazioni, la mediocritas edilizia conse¬
gue al carattere paternalistico ο speculativo degli interventi. Al contra¬
rio di quanto accade nella Roma del primo '500, alla novitas non è con¬
sentito parlare.
Un primo caso concreto : l'imbonimento della punta di Sant'Anto¬
nio di Castello. L'operazione avviene tramite una concessione a privati :
nel 1334, il Maggior Consiglio dà in concessione a due cittadini, Marco
Catapan e Cristoforo Istrigo, una propaggine di terreno all'estremo
sud-est del sestiere di Castello, autorizzandoli a imbonire il terreno
paludoso50. Costruita una casa lignea sul terreno bonificato, il Catapan
e l'Istrigo vendono il tutto alla congregazione dei canonici regolari di
Sant'Antonio di Vienna; nel 1346 viene posta la prima pietra della chie¬
sa51. Una speculazione privata autorizzata dal potere pubblico innesca
operazioni destinate a caratterizzare in senso religioso il lungo lembo di
terreno proteso nel Bacino. Alcuni rari documenti grafici, in cui vengo¬
no appuntate le vicende proprietarie dei lotti, permettono di seguire le
vicende successive, che vedono protagonista il solo Istrigo52. Dopo la
costruzione di una strada e di un ponte, su ordine del Maggior Consi¬
glio, nel 1359 e nel 1364 il monastero procede a una ricomposizione

50 F. L. Corner, Ecclesiae Venetae Antiquis Monumentis, VI, Venezia, 1749, p. 294.


51 Ibidem, p. 295.
52 Archivio di Stato di Venezia (ASV), S. Antonio di Castello, t. LXVI, cc. 4r. e 5r.
352 MANFREDO TAFURI

Fig. 9-10 - La punta di Sant'Antonio di Castello a Venezia, in due disegni planimetrici


dell'ASV, S. Antonio di Castello, t. LXVI, c. 4r. e 5r.
SVILUPPO URBANO NELL'ITALIA DEL RINASCIMENTO 353

fondiaria che gli assicura la «punta» dell'estrema propaggine del sestie¬


re, divenendo imprescindibile riferimento per l'accesso marittimo
all'emporio veneziano53.
Nel 1471, le aree adiacenti al monastero sono investite da precise
qualificazioni funzionali. Il 28 dicembre di quell'anno, il Senato proibi¬
sce ai poveri di dormire sotto i portici del Palazzo Ducale e della chiesa
di San Marco, e decide di edificare all'uopo un « cohopertum », ricono¬
scendo che, in quanto alla sua localizzazione, « nullus est aptior, et con-
venentìor (. . .) quam campus Sancii Antonii »54. Un progetto, per quanto
modesto, di «ripulitura» della platea marciana si risolve in un tentativo
di emarginazione dei mendicanti, mentre la generica destinazione ini¬
ziale della punta di Sant'Antonio è sottoposta a revisione : il cenobio e il
sito vengono coinvolti in programmi sociali e di pubblico decoro. Da
ora in poi, le decisioni successive puntano sulla specializzazione carita¬
tiva e assistenziale dell'area. Il 3 agosto 1472 viene elargito un sussidio
alimentare per i poveri ricoverati in Sant'Antonio di Castello - indizio,
forse, di una comprensibile resistenza, da parte dei mendicanti, ad
abbandonare l'area marciana; il 4 settembre 1474 si decide di costruire,
presso il convento, un ospedale destinato a celebrare l'eroica difesa di
Scutari da parte di Antonio Loredan55. Tale ultima scelta rappresenta
qualcosa di eccezionale per le forme dell'assistenza veneziana. Si tratta,
infatti, di «un luogo di pietà, e ricetto de Poveri e Infermi, digno et
ampio in nome de Jesù Christo fuori del corpo della Terra»; dunque, di
una struttura accentrata, ispirata all'Ospedale Maggiore di Milano, de¬
stinata a spezzare la tradizionale assistenza frammentata fino ad allora
privilegiata come capillare strumento di controllo dei ceti «bisogno¬
si»56. Fra il settembre 1474 e il maggio 1475, i provveditori consultano
«maistri et intendenti de simel edificii», imponendo ad essi che «hauta
informatione de simel luoghi degni de Italia, debbano partire et dispor-

53 ASV, S. Antonio di Castello, t. LXVI, c. 5r. Su tali vicende, cfr. A. Foscari e M. Tafu-
ri, Sebastiano da Lugano, i Grimani e Jacopo Sansovino. Artisti e committenti in Sant'An¬
tonio di Castello, in Arte veneta, XXXVI, 1982, p. 100 e ss.
54 Corner, Ecclesiae Venetae, cit., XII, Venezia, 1749, p. 404.
55 Ibidem, p. 404-405 e p. 402.
56 Sulla vicenda dell'ospedale di Gesù Cristo, cfr. B. Pullan, Rich and Poor in Renais¬
sance Venice, Oxford, 1971, p. 212-215 (ora in trad, it., La politica sociale della Repubblica
di Venezia 1500-1620, Roma, 1982, I, p. 226-230). Cfr. anche I. Cervelli, Machiavelli e la
crisi dello Stato veneziano, Napoli, 1974, p. 137-139.
354 MANFREDO TAFURI

re quel spazio, come giudicheranno convenire ad honor de Dio, et alla


condition de questa terra»57. C'è di più. In una nota del Libro delle ordi¬
nanze dell'Ospedale Maggiore di Milano, sotto la data 16 settembre
1485 è annotato un credito a favore di «Bramanti depictori, pro desi-
gnio hosp. dato ambaxatori venetorum»58. Il rilievo bramantesco
dell'organismo iniziato dal Filarete è dunque certamente a Venezia,
poco dopo l'incarico attribuito al proto Bartolomeo Gonella, che dal
dicembre 1483 segue i lavori per l'ospedale «de messer Jesu X»59.
Anche la presenza a Venezia del milanese osservante Michele Carcano,
proprio negli anni in cui si pone la prima pietra dell'edificio, ha un
significato, come nota Brian Pullan60. Ed è lo stesso Pullan a conclude¬
re che, negli anni 1470-1480, Venezia sembra elaborare una riforma
radicale della propria politica assistenziale, varando una struttura indi¬
rizzata a far fronte al problema della povertà a scala urbana e in forma
accentrata61. La posizione del nuovo ospedale - probabilmente concepi¬
to a più cortili - sulla penisola di Sant'Antonio di Castello, assume un
significato emblematico. Pur «fuori del corpo della terra», esso avrebbe
dominato l'orizzonte del bacino marciano, divenendo emblema visivo di
una Charitas di Stato ostentata nel suo carattere innovativo.
Di tale struttura, per cui lavora anche Giorgio Spavento62, viene
realizzato soltanto un corpo a cortile chiuso e una chiesetta, singolar¬
mente isolata; l'opera, terminata nel 1503, è chiaramente riconoscibile
nella mappa del De' Barbari. Era accaduto qualcosa, nel frattempo,
ben messo in chiaro da Pullan. Il grande progetto di accentramento era

57 Corner, Ecclesiae Venetae, cit., XII, p. 403.


58 Cfr. L. Beltrami, Bramante a Milano. La cappella di San Teodoro, il monastero di
S. Ambrogio (nozze Dubini-Gavazzi), Milano, 1912, p. 19-20.
59 Documento del 12 gennaio 1490, in P. Paoletti, L'architettura e la scultura del Rina¬
scimento a Venezia, II, Venezia, 1893, p. 118.
60 Nel 1497, osserva Pullan, Ludovico Sforza chiede a Battista Sfondrato, ambasciato¬
re milanese presso la Serenissima, di descrivergli le istituzioni religiose e caritative di
Venezia. Lo Sfondrato, dopo aver assicurato che in città non esistevano edifici paragona¬
bili all'Ospedale Maggiore di Milano, aggiunge che era però in costruzione un ospedale la
cui fondazione era dovuta al francescano osservante milanese Michele Carcano, che da
altre fonti sappiamo essere nelle lagune nel 1476-77. Cfr. Pullan, La politica sociale, cit.,
I, p. 226.
61 Ibidem, p. 228-229.
62 Paoletti, L'architettura e la scultura, cit., II, p. 117. Cfr. anche Foscari e Tafuri,
Sebastiano da Lugano, cit., p. 103 e p. 121 nota 25.
SVILUPPO URBANO NELL'ITALIA DEL RINASCIMENTO 355

stato accantonato, a favore di un recupero della concezione tradiziona¬


le dell'assistenza : un sistema frazionato, come s'è detto, funzionale a
una prassi risalente all'istituzione dei Poveri al Pevere (1362)63. L'Ospe¬
dale di Gesù Cristo viene ridotto, da ospedale generale, a struttura assi¬
stenziale destinata a un particolare gruppo di poveri : gli ex marinai e i
lavoratori dell'Arsenale. Viene così riaffermata una politica discrimina¬
toria, attenta a favorire ceti «meritevoli» e particolarmente interessanti
per il governo, lasciando alle Scuole Grandi, in particolare, compiti
assistenziali e di controllo di raggio limitato.
L'esperienza milanese - anch'essa contrastata dai portatori di inte¬
ressi particolari e dagli amministratori dei piccoli ospedali64 - viene in
tal modo respinta a Venezia, dopo un tentativo di assumerla come
modello. Sulla «punta» di Sant'Antonio di Castello rimane il frammen¬
to di una riforma inattuata, fino alle demolizioni napoleoniche. Rimane
inoltre il collegamento con il cantiere di Stato, stabilito con le decisioni
del Maggior Consiglio a proposito delle nuove e ridotte funzioni
dell'Ospedale. Non a caso, fra le carte del convento di Sant'Antonio di
Castello sono conservati alcuni disegni planimetrici per case popolari
in serie, disposte intorno a un campo di forma rettangolare : la localiz¬
zazione prevista per tale complesso, che segue una tipologia tradiziona¬
le per l'edilizia assistenziale veneziana, è fra il rio della Tana e il rio di
San Daniele65. Il confronto fra tale vicenda e quella relativa alle espan-
zioni della Firenze laurenziana e della Roma medicea è significativo.
Anche a Venezia, il motivo della Charitas è associato a quello del «buon
governo». Ma in luogo di strategie definite, assistiamo ad un accavallar¬
si di progetti e ad un oscillare fra volontà innovative e ripiegamenti su
politiche collaudate e tradizionali; in luogo di protagonisti tesi a lascia¬
re il proprio segno sull'intervento, un intreccio di interessi pubblici e
privati; in luogo di forme urbane destinate a rendere «eloquenti» i nuo¬
vi episodi, empiriche addizioni, informate a un'edilizia modesta e seria¬
le. L'avevamo del resto avvertito. L'addizione, a Venezia, non può né
deve rinnovare - come a Roma - un contesto investito di ruoli che ride-

63 Pullan, La politica sociale, cit., I, p. 229-230.


64 Cfr. A. Pastore, Strutture assistenziali fra Chiesa e Stati nell'Italia della Controrifor¬
ma, in Storia d'Italia. Annali. 9. La Chiesa e il potere politico dal Medioevo all'età contem¬
poranea, a cura di G. Chittolini e G. Miccoli, Torino, 1986, p. 435-437.
65 ASV, S. Antonio di Castello, t. XLIII, c. 3r et 4r.
popolealrioe,.
case
cenobi
del
Antoni
Castel
Dani
S.
di
e
Tana
della
rio
fra
cinquecentesca
Planimetria
-
11
Fig.
SVILUPPO URBANO NELL'ITALIA DEL RINASCIMENTO 357

finiscano il significato globale della città. Essi debbono piuttosto inse¬


rirsi silenziosamente nelle maglie di un organismo valutato come eredi¬
tà da trasmettere con il minimo di alterazioni.
Il che è confermato da una seconda «addizione», quella che investe
i nuovi terreni di Santa Maria Mazor, all'estremità orientale della città,
adiacenti al quartiere dei Nicolotti66. Il sistema con cui vengono realiz¬
zati gli insediamenti nelle nuove aree è stato studiato dalla Pavanini e
da Gianighian67, per cui è possibile limitarsi a considerazioni generali.
Anzitutto, va osservato che il modo in cui viene «imbonita» la punta di
Sant'Antonio riflette modi non più attuali nel XV e nel XVI secolo. I
privati - favoriti, come s'è visto, nelle «atterrationi» del '300 - vengono
ora esclusi da simili operazioni : lo Stato si assume progressivamente il
compito di controllare argini, palificate, fondamenta, in tutta la città e
in particolar modo ai suoi margini. Emerge una nuova responsabilità
collettiva relativa alle relazioni fra il delicato equilibrio idrogeologico e
le iniziative edilizie : i confini terra-acqua assumono un particolare
rilievo, mentre da più documenti traspare che le antiche libertà conces¬
se ai privati hanno lasciato forti vischiosità : i provvedimenti relativi
alle «atterrationi» e alle fondamenta incontrano resistenze striscianti ο
palesi. Si tratta di un conflitto fra Stato e privati - ο ceti particolari del
patriziato - che si manifesterà, per tutto il corso del XVI secolo, anche
a proposito delle leggi suntuarie, delle bonifiche, del controllo sulla
qualità edilizia nel cuore urbano68.
Tuttavia, la decisione presa in Senato nel 1494 relativamente all'im¬
bonimento dell'area di Santa Maria Mazor assume un particolare rilie¬
vo. A differenza del caso di Sant'Antonio di Castello - che vede i privati
costretti a limitare le loro mire speculative, a causa della crisi demogra¬
fica che incalza la città dal 1348 - ora l'espansione urbana risponde a

66 Sul quartiere dei Nicolotti, sulla sua storia e sulla sua particolare struttura istitu¬
zionale, cfr. l'eccellente volume di R. Zago, I Nicolotti. Storia di una comunità di pescatori
a Venezia nell'età moderna, Abano Terme, 1982.
67 Cfr. P. Pavanini, Abitazioni popolari e borghesi nella Venezia cinquecentesca, in Stu¬
di veneziani, n.s. V, 1981, p. 63-126; G. Gianighian e P. Pavanini, I terreni nuovi di Santa
Maria Mazor, in Aa.Vv., Dietro i palazzi. Tre secoli di architettura minore a Venezia 1492-
1805, Venezia, 1984, p. 45 e ss. Il primo acquirente della prima isola di Santa Maria
Mazor è Alvise Pisani quondam Giovanni, che rivende i terreni alla Procuratia de supra.
Sull'edilizia assistenziale a Venezia cfr. anche B. Pullan, Abitazioni al servizio dei poveri
nella Repubblica di Venezia, in Dietro i palazzi, cit., p. 39-44.
68 Cfr. Tafuri, Venezia e il Rinascimento, cit., p. 1 1 e ss., e passim.
358 MANFREDO TAFURI

una rinnovata domanda residenziale69. Inoltre, gli scavi e le sistemazio¬


ni lagunari pongono il problema dell'utilizzo dei fanghi. Le ragioni per
la creazione delle nuove isole, regolate da un disegno di lottizzazione
presentato al doge, sono così precisate. Nella mappa del De' Barbari i
nuovi terreni, ancora sgombri, sono chiaramente delineati. L'amplia¬
mento sembra costituire motivo di orgoglio per Venezia, dato che il 6
agosto 1502 Anna di Francia, promessa al re d'Ungheria, «andò a Santa
Maria Mazor, a veder il monasterio si farà, e il terren per il qual è
sgrandito Venecia»70.
I protagonisti della elementare urbanizzazione sono enti pubblici -
i Procuratori di S. Marco, la Scuola Grande di San Rocco, la Scuola
Grande di San Marco - con case e complessi per i ceti inferiori ο addi¬
rittura amore Dei. Soltanto dagli anni '40 del XVI secolo la speculazio¬
ne privata si innesta all'intervento pubblico. E in ogni caso, soltanto
un'elementare maglia viaria regola complessi - come corte San Rocco
- dal volto anonimo, configurati secondo canoni collaudati per l'edilizia
«minore», espressivi unicamente nell'ambito della Charitas repubblica¬
na. Ma è appunto questo che un ampliamento come quello di Santa
Maria Mazor intende esibire, almeno per quanto riguarda la prima iso¬
la. Il basso profilo formale è funzionale a un decorum che ha come
parametro la funzione assistenziale dell'intervento : si è più vicini agli
obiettivi laurenziani che a quelli di Leone X, anche se a Venezia sono lo
Stato e le Scuole Grandi i protagonisti71.
Un ultimo caso di ampliamento, anch'esso ben documentato in sag¬
gi cui rimandiamo il lettore per l'analisi filologica : quello delle Fonda¬
menta Nuove72. Il problema relativo all'utilizzo dei fanghi residui si col-

Cozzi,
69 Sui
che processi
fa rilevare,
demografici
fra l'altro, veneziani
la funzione
e del
le loro
De re
conseguenze,
uxoria di Francesco
cfr. la sintesi
Barbarostesa
all'in¬
da
terno di una situazione di pericoloso spopolamento. Lo stesso autore rileva come segno di
un nuovo clima il De coelibatu di Ermolao Barbaro. Cfr. Cozzi e Knapton, Storia della
Repubblica di Venezia, cit., p. 117-120.
70 Sanudo, Diarii, IV, 298.
71 Di grande interesse è la vicenda del convento di Santa Maria Maggiore, con una
risistemazione dei canali dettata dal Senato. Cfr. M. Tafuri, La chiesa di Santa Maria Mag¬
giore a Venezia : un'ipotesi per Tullio Lombardo, in Arte veneta, XL, 1986, p. 38-53.
72 Per l'analisi archivistica, cfr. M. Tafuri, Documenti sulle Fondamenta Nuove, in
Architettura, storia e documenti, I, 1985, n. 1, p. 79-95. Per il significato dell'intervento nel¬
la Venezia del tardo '500 e del primo '600, e per il ruolo di Leonardo Donà, cfr. Id., Vene¬
zia e il Rinascimento, cit., p. 278 e ss.
SVILUPPO URBANO NELL'ITALIA DEL RINASCIMENTO 359

lega a quello dell'irrigidimento - con fondamenta di pietra - di un deli¬


cato bordo lagunare. Siamo alla fine del secolo XVI : la decisione è for¬
mulata dal Collegio il 9 febbraio 1587 (m.v.) e nel 1590 una «parte» dei
Savi ed Esecutori alle Acque la conferma, dando il via all'operazione,
che inizia con piani di lottizzazione disegnati da Giovanni Alvise Galesi,
viceproto della magistratura73. L'elemento da porre in risalto è il
richiamo, nella «parte» del 1590, ai «pareri» a suo tempo formulati da
Cristoforo Sabbadino, il geniale proto della Magistratura alle Acque,
che nel 1557 aveva presentato un completo piano di risistemazione
urbana e idrografica per Venezia74. L'ampliamento deciso nel 1588-90
non è che un frammento del dispositivo elaborato da Sabbadino. Inol¬
tre, la situazione complessiva della città non è più quella degli anni a
cavallo fra XV° e XVI° secolo. Crisi politiche e costituzionali, conflitti
fra «giovani» e papalisti, tensioni crescenti con la Santa Sede, difficoltà
e ritardi all'interno dell'Arsenale con conseguenze per le mercature : si
tratta di una crisi generalizzata, che - come denuncerà Nicolò Donà nel
16 IO75 - si riflette in un'estenuazione delle pubbliche entrate e una
caduta in deo livello dei fitti.
I terreni realizzati alle Fondamenta Nuove non rispondono, come
le nuove isole di Santa Maria Mazor, a pressioni demografiche, né sono
finalizzati all'assistenza pubblica. In parte, l'operazione tende a procu¬
rare introiti supplementari alle casse dello Stato : Leonardo Donà,
membro della zonta dei Savi alle Acque, chiede nel 1598 a Girolamo
Righetti un preciso calcolo dei costi e dei benefici relativi all'intero

alle
siècle.
C. 30v.
rico-filosofico-critica,
ementa
Tentori,
Acque,
73 ASV,
Cfr.
One
Nuove,
inoltre
recherche
reg.
Della
Laguna,
cfr.
347,
legislazione
E.
ASV,
28,
c.
Concina,
àVenezia,
4v.-5r.
Venise,
29,
Savi30,ed
veneziana
Su
Structure
Unesco-Save
34,
1792,
esecutori
precedenti
35.p.Per
sulla
142-144.
urbaine
alle
ladeliberazioni
Venice
«parte»
preservazione
Acque,
etPer
fonction
Inc.,
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del
122,
ulteriori
Venezia,
1590,
del
della
des
3 marzo
1546,
cfr.
bâtiments
laguna.
documenti
1982.
del
ASV,
1592;
1569,
Dissertazione
Savi
du
reg.
del
XVIe
sulle
ed
347,
1587,
esecutori
au
Fonda¬
c. XIXe
23r.
cfr.
sto¬

74 Cfr., sul Sabbadino e sul piano del 1557, la bibliografia contenuta in Tafuri, Vene¬
zia, cit., p. 214-215 nota 3. Cfr. inoltre M. Tafuri, Humanism, Technical Knowledge and
Rhetoric. The Debate in Renaissance Venice (Walter Gropius Lecture), Harvard Universi¬
ty, 1986.
75 Cfr. S. Romanin, Storia documentata di Venezia, vol. VII, Venezia, 191 42, p. 531. Sul¬
la situazione veneziana alla fine del XVI secolo, si veda anche G. Cozzi, Società veneziana,
società ebraica, in Aa.Vv., Gli ebrei e Venezia, secoli XIV-XVIII, Atti del Convengo interna¬
zionale, a cura di G. Cozzi, Milano, 1987, p. 333-374.
360 MANFREDO TAFURI

Fig. 12 - Cristoforo Sabbadino, piano di sviluppo e di sistemazione idraulica di Venezia,


1557. ASV, Laguna, 14.
Nuove,
29.
Fdelle
ondamenta Laguna,
ASV,
Zecca.
la
e
l'urbaniz azione
per
Paolo
e
Progetto
Galesi,
Alvise fra
Giovanni
Santi
dei
rio
il
Giovanni
-
13
Fig.
362 MANFREDO TAFURI

intervento76. D'altra parte, la nuova disponibilità di terreni edificabili


tende a un rilancio dell'attività edilizia, sperando - probabilmente - in
iniziative patrizie. Le quali, al contrario, saranno rare e modeste. L'ele¬
mentare quadrillage progettato dal Galesi non dà forma a un insedia¬
mento integrato al contesto settentrionale della città : in ogni senso, il
margine rigido costituito dalle Fondamenta Nuove segna un punto di
crisi per le strategie di sviluppo urbano di Venezia.
Ciò che colpisce è la costante assenza, negli ampliamenti veneziani,
di istanze formali di alto profilo. Il che conferma che l'ampliamento è
considerato un semplice margine. Un confronto ulteriore si impone. Le
Fondamenta Nuove avrebbero potuto costituire un'occasione, per il
patriziato veneziano, per concentrare nelle nuove aree residenze di alta
qualità : in altre parole, un'occasione per fare del nuovo sito una zona
«eloquente», una concentrazione residenziale del ceto dirigente. Ciò era
avvenuto a Genova, con la creazione della Strada Nuova. Decisa defini¬
tivamente nel 1551, essa è frutto - come ha dimostrato Ennio Poleggi77
- di scelte speculative cui l'architetto camerale Bernardo Cantone ave¬
va dato forma con un disegno elementare di lottizzazione; ma su tale
schema urbano, si depositeranno palazzi decisamente esibizionisti. Esi¬
ste forse un precedente per la Strada Nuova genovese, da riconoscere
nella Milano sforzesca del tardo '400, tenendo naturalmente ben pre¬
senti i diversi contesti che condizionano gli interventi in questione. Car¬
lo Pedretti ha riconosciuto in alcuni schizzi di Leonardo da Vinci (Cod.
Atlant., f. 393 r.a, 377 v-a) idee di sistemazione urbana della zona di
Porta Vercellina, risalenti al 1492 e al 1497-98 78. L'ipotesi è avvalorata

76 Biblioteca del Museo Correr, Venezia, Donà delle Rose, b. 457, n. 31. Cfr. Inoltre,
per il palazzo del Donà, E. Cicogna, Delle inscrizioni veneziane, IV, Venezia, 1834, p. 433,
che cita le Memorie del doge.
77 Cfr. il fondamentale volume di E. Poleggi, Strada Nuova. Una lottizzazione del '500
a Genova, 1968, e il più recente saggio, dello stesso autore e di F. Caraceni, Genova e
Strada Nuova, in Storia dell'arte italiana. 111/5. Momenti di architettura, Torino, 1983,
p. 301-361. Le ipotesi di Poleggi - che condividiamo pienamente - sono state messe in
dubbio nei saggi di L. Puppi, G. Alessi nella problematica urbanistica nel Cinquecento, e di
H. Burns, Le idee di G. Alessi sull'architettura e sugli ordini, nel volume collettaneo Gale¬
azzo Alessi e l'architettura del Cinquecento, Genova, 1985, p. 69 e 151. La storia della cre¬
scita urbana, degli insediamenti e delle tipologie edilizie genovesi nel Medioevo è nel
volume di L. Grossi Bianchi e E. Poleggi, Una città portuale del Medioevo. Genova nei
secoli X-XVI, Genova, 1979.
78 Cfr. Pedretti, Leonardo architetto, cit., p. 71 e ss. Cfr. anche, C. Pedretti, Newly
SVILUPPO URBANO NELL'ITALIA DEL RINASCIMENTO 363

dalla testimonianza del contemporaneo Bernardino Arluno, che cita un


progetto per un «quartiere sforzesco» - devastato dai francesi nel 1499
e nel 1500 - redatto con il contributo di Leonardo, di Bramante, del
Caradosso e di Jacopo Antiquario79. Si tratterebbe di un insediamento
ideato come conseguenza del rinnovamento della tribuna di Santa Ma¬
ria delle Grazie, pensata come mausoleo sforzesco ed emblema della
«nuova Milano» ducale.
Nella circostante zona di porta Vercellina, del resto, avevano pro¬
prietà alcuni fra i principali collaboratori di Ludovico il Moro : Mar-
chesino Stanga, Galeazzo Sanseverino, gli Atellani, i Calco, i Marliani,
Mariolo de' Guiscardi (cameriere di Ludovico), Bergonzo Botta; lo stes¬
so Leonardo riceve in dono dal duca un terreno (24 aprile 1498) nel
territorio del monastero di San Vittore. Abbiamo molte prove relative
all'intento di concentrare, in un quartiere organico adiacente al Castel¬
lo, intellettuali e ceto di governo : anche se del «quartiere sforzesco», al
di là delle incerte testimonianze grafiche leonardesche, è possibile par¬
lare soltanto come programma.
Risalterà la differenza, a questo punto, che rende l'iniziativa sfor¬
zesca confrontabile solo in senso lato con l'impresa speculativa della
Strada Nuova genovese, frutto di scelte condizionate e facilitate dalla
struttura istituzionale della Repubblica oligarchica. Inutile dire che la
lettura incrociata di programmi, strategie e impianti urbani deve aver
cura di non cadere nei semplicismi degli storici abituati a ragionare
esclusivamente su mappe ο per analogie formali : fra l'astuta operazio¬
ne genovese e lo stradone farnese piacentino, ad esempio, non esistono
relazioni80.
Piuttosto, gli esempi del «quartiere sforzesco» e della Strada Nuo¬
va, messi a confronto con l'ampliamento veneziano delle Fondamenta
Nuove, possono offrire spunti relativi alla sostanziale diversità delle
strategie urbane e delle mentalità operanti in tre differenti sistemi isti¬
tuzionali. Ciò che impedisce, a Venezia, concentrazioni speculative e

Architectural
Discovered. Evidence
Historians,
of Leonardo's
XXXII, Association
1973, n. 3, with
p. 223-227;
Bramante,
A. Bruschi,
in JournalL'architettura,
of the Society of
in
Aa.Vv., Santa Maria delle Grazie, Milano, 1983, p. 35-88, in particolare a p. 79.
79 Bruschi, L'architettura, cit., p. 79 e, per le vicende successive della zona, alla nota
63 a p. 88.
80 Sulla strada farnesiana a Piacenza, cfr. B. Adorni, L'architettura farnesiana a Pia¬
cenza 1545-1600, Parma, 1982, p. 29-31.

24
364 MANFREDO TAFURI

autocelebrative è l'imago consolidata dell'intera città come domus col¬


lettiva delle libertà repubblicane. La solidità di tale rappresentazione
ideale è tale da valicare le contrapposizioni politiche e i dissidi interni
al patriziato. In tal senso, le Fondamenta Nuove costituiscono, contem¬
poraneamente, un episodio che entra in continuità con la tradizione
veneziana e un momento di crisi nella contrastata marcia verso la «mo¬
dernizzazione» della città. Ed è ben noto che nei momenti critici emer¬
gono motivi che illuminano in modo particolare mentalità, conflitti e
«resistenze» : si tratta di tracce e di indizi che segnano punti di flessio¬
ne nelle storie di lungo periodo, da considerare quindi come «eventi»
eloquenti.

Nel corso del presente saggio abbiamo selezionato alcuni episodi,


nel tentativo di mettere a fuoco uno ο più metodi comparativi, atti a
collegare ο a disgiungere coacervi di scelte economicamente e politica¬
mente motivate. Tale tipo di analisi è soltanto uno dei molti possibili.
Altri interrogativi potrebbero integrarsi a quelli qui posti : in quale
modo le strategie urbane interagiscono con politiche territoriali, nor¬
mative, azioni e scelte di ceti intermedi, consuetudini, magistrature di
vecchia e nuova istituzione? Ed esistono movimenti di medio periodo
che portino a parziali uniformità di comportamento, tali da permettere
analisi aggregate della «città di ancien régime»? In altre parole : quali
parametri consentono di ampliare lo spettro delle analisi verificabili,
senza ricadere nelle ingenuità delle «storie dell'urbanistica» tradiziona¬
li? Tali interrogativi sono stati qui tenuti presente soltanto in parte.
Ulteriori analisi comparate potranno affrontarli, precisandoli e molti¬
plicandoli, al fine di rinnovare radicalmente gli studi sulla storia urba¬
na del «lungo Rinascimento».

Manfredo Tafuri

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