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Corso “Discese agli inferi” nei Padri Orientali

Schema della lezione 1

PRESENTAZIONE DEL TEMA E SURVEY SUI PRIMI SECOLI (I-II)1

1. Perché parlarne? Perché pur essendo un punto del Simbolo, in Occidente si vive
come “se non ci fosse”. Invece in Oriente è centralissimo. Sono cristiani anche loro!
Vale quindi chiederci perché per essi è così importante e vedere se non lo possa
essere anche per noi.
2. Quali sono le difficoltà per parlarne? Prima di tutto la questione della
demitologizzazione. Ma questo non è un processo “sano”, perché presuppone
l’ignoranza del linguaggio simbolico, vera iattura per la teologia.
3. Il tema del descensus nei primi due secoli.
a. Il tema appare tardi nei simboli. La prima volta appare nel 359, nella IV
formula di Sirmio , e fu crocifisso, e morì e discese nelle parti sotto la terra,
e vi regolò le cose che i guardiani dell'inferno videro (Giobbe 38:17) e
tremarono; forse l’autore è Marco di Aretusa (siriano). Il tema è nel Simbolo
degli Apostoli. Il suo “antenato” è il Credo romano (R), che non lo ha. Però
ce l’ha una versione di R, quello di Aquileia che Rufino (410) riporta: e lui lo
collega con 1Pt 3,19. Appare invece in T (una versione diffusa in Gallia e in
Spagna e poi in altre regioni occidentali), dove si ha il passaggio da inferna a
inferos:

PASSUS SUB PONTIO PILATO


CROCIFIXUS
MORTUUS ET SEPULTUS
DESCENDIT AD INFERNA (INFEROS)
TERTIA DIE RESURREXIT A MORTUIS

b. Arriva tardi, quindi, ma non significa che non ci fosse prima! Già affermando
la morte di Gesù implicitamente si affermava la sua discesa allo sheol perché
questa era l’immagine del destino dei morti in Palestina.
i. SACRA SCRITTURA: alcuni testi sono spesso portati come locus
scritturistico: Rm 10, 6-8; Ef 4, 7-10 e soprattutto il v.9. Il testo più
famoso è senz’altro 1Pt 3,19-20, che, sebbene non parli del descensus
ma solo dell’annuncio, divenne il testo per i Padri successivi, a partire
da Clemente alessandrino e Origene. Ma di ognuno di questi testi si
possono dare varie interpretazioni.
ii. APOCRIFI e PADRI. Nei testi dei primi due secoli vediamo due punti
essenziali legati alla discesa di Cristo agli inferi: la predicazione della
BN ai giusti che morirono prima di Cristo; la vittoria “spaccatutto” di
Cristo nell’Ade, contro la Morte, l’Ade stessa, il demonio etc. La
preoccupazione sarebbe stata quella di
1. Ascensione di Isaia (ambiente siriaco, massimo II sec.): qui il
quadro è quello degli angeli ribelli che hanno in pugno gli
uomini. Cristo scende in incognito, si rivela, spaccatutto e
libera i giusti (non scende fino all’Haguel). È una redenzione
che però non prevede necessariamente una incarnazione reale,
è una lotta tra spiriti.
1
Mi baso sull’articolo E. NORELLI, «La discesa di Gesù agli inferi nelle testimonianze dei primi due secoli», in
F. BOSIN-C. DOTOLO (a cura di), Patì sotto Ponzio Pilato, Bologna: EDB, 2007, 133-158.
iii. Odi di Salomone (ambiente siriaco-orientale? II sec.). Ode 42: L’Ade
è sconvolta, paralizzata. La morte che aveva inghiottito deve vomitare
il Vivente (cfr. con Giona e l’utilizzo che ne fa Mt 12.40). Ci sono
delle interessanti relazioni con il Battesimo. Qui è potenza, ma anche
annuncio.

Benché lo sembrassi, non fui rigettato


né perii; eppure lo pensarono a mio riguardo!
L’Ade mi vide e fu prostrato;
la morte mi vomitò fuori e con me molti.
Aceto e fiele fui per essa
e scesi con essa giù per quanto essa era profonda.
Piedi e capo essa lasciò cadere,
ché di sopportare il mio volto non fu capace.
Tra i suoi morti un’assemblea di vivi ho formato;
ho parlato con loro con labbra vive,
perché la mia parola non fosse vana.
I morti corsero verso di me;
gridarono, dicendo Pietà di noi, Figlio di Dio!
Trattataci conforme alla tua cortesia
e facci uscire dall’oscurità.
Aprici la porta,
per cui usciamo verso di te.
Scorgiamo infatti che la nostra morte non ti tocca.
Deh, con te noi pure fossimo salvi,
ché il nostro Salvatore sei tu!
Intesi la loro voce
e a cuore mi presi la loro fede.
Sul loro capo posi il mio nome,
poiché liberi figli miei essi sono e a me appartengono, alleluia!

iv. Pastore di Erma (Roma, +/- 140). Anche qui descensus e battesimo
legati, quasi un parallelo con l’Ode 42. Ma non chiarissima la
dinamica.
v. Ignazio di Antiochia (115ca). “quando è stato presente li ha resuscitati
dai morti” (cfr. // con Mt 27, 52-53). La cosa è detta senza altre
specificazioni, segno che era pacifica. Quindi è andato giù etc.
vi. Vangelo di Pietro (II sec., Siria). Nel II secolo c’è una grande
diffusione della teologia della Croce come struttura fondamentale
dell’ordine cosmico. Cfr. Giustino, Melitone di Sardi, gnostici, lo
stesso Paolo apostolo. Si descrive la resurrezione “in diretta”. Il tema
è l’annuncio. Esce la Croce e una voce chiede “Hai tu predicato ai
dormienti?” e la risposta è sì. Notiamo che è la croce che esce dalla
tomba ed è essa che dice di aver predicato ai morti. Quindi, Gesù
scende con la Croce, ma non solo come oggetto (cfr. icone): a) è la
parola della Croce che viene annunziata; è la Croce la fonte di quella
discesa. Ci sono poi tradizioni che dicono che Gesù nella Parusia
tornerà con la Croce. Non si parla però della liberazione dei morti.
vii. Apocalisse di Pietro (II sec.):visione dei giusti con corpi resuscitati.
viii. Giustino: usa un testimonium attibuito a Geremia: “il Signore Dio
Santo di Israele si è ricordato dei suoi morti, di coloro che si sono
addormentati nella terra del sepolcro, ed è disceso verso di loro per
annunciare loro la buona notizia della sua salvezza” (DcTrif, 72.4).
ix. Ireneo riprende questo testimonium e lo mette dentro un dossier sulla
discesa agli inferi, insieme a Mt 12,40 ed Ef 4,9.

Fondamentalmente, questa idea della discesa agli inferi è presente fin dai primi secoli. Si
impernia su due punti: l’annuncio della salvezza ai giusti morti e lo spaccotutto contro l’Ade e la
morte. Grande uso nella letteratura apocrifa e non successiva, con sviluppi drammatici (cfr.
soghyatha etc.) fino a diventare veri e propri dialoghi e inni.

[labirinto] Il linguaggio simbolico ci aiuta a cogliere il nucleo di questa buona notizia: la


salvezza universale viene dalla morte e resurrezione di Cristo, che ha vinto la morte per sempre con
la sua passione, morte e resurrezione.
Schema della lezione 2

IL MONDO SIRIACO ED EFREM IL SIRO

1. Il mondo siriaco: lo trattiamo perché abbiamo visto sembrar essere la culla di questo
articolo di fede. Alcune linee generali. Poesia e linguaggio simbolico.
2. Efrem il Siro: è l’autore più importante, e quello che ha più materiale sull’argomento.
a. I punti principali:
i. Sheol: ‫ ܫܝܘܠ‬per Efrem è una regione del cosmo “adiacente a” e “al di là” dei
confini della terra fenomenica dell’esistenza umana. Esso appare nell’orizzonte
umano come risultato del peccato dei protogenitori, che si erano così alienati
Dio. Per questo Dio “inventa” la morte come terapia dell’eternità di una vita
eterna di sofferenze (punizione e misericordia, al contempo). Così avrebbero
“dormito” in attesa della discesa agli inferi di Cristo, per liberarli. In Adamo ed
Eva, la liberazione sarebbe stata per tutti.
ii. Per questa missione, Cristo veste il corpo della razza umana: nel pensiero di
Efrem, l’incarnazione è una precondizione necessaria non solo per la sua vita
salvifica, ma soprattutto per la sua morte a favore dell’umanità. La discesa nel
ventre di Maria dà a Efrem un potente simbolo, enfatizzando l’unione tra fisico e
spirituale. Generato nel grembo del Padre, in quello del Giordano, in quello
dello Sheol …
iii. Altro aspetto importante è la dimensione soteriologica. Interessante quanto dice:
le implicazioni soteriologiche della Discesa «per redimere Adamo/umanità dalla
morte erano già state rese manifeste negli eventi del suo ministero che avvenne
nei limiti temporali e spaziali dell’ordine infralapsario». Cristo che vince le
tentazioni etc. è l’antitipo dell’Adamo caduto. Soprattutto nelle tentazioni si ha
la restaurazione della libera volontà (ḥeruta ‫) ܚܐܪܘܬܐ‬. La trasformazione di
Cana (acqua-vino/morte-vita). Le resurrezioni nel vangelo sono “anticipazioni”
di quello che accadrà con la Discesa.
iv. Come evento della storia della salvezza è un cardine sequenziale tra morte in
croce e resurrezione. È tutto legato: dall’incarnazione, in cui riceve il corpo; al
battesimo, in cui mette in effetto la sua identificazione con l’umanità; il suo
trionfo su peccato e Satana nel deserto; il suo ministero misericordioso di
riconciliazione dell’umanità; tutto questo avviene con la sconfitta dell’ultimo
nemico (1Cor 15,26). Ecco la centralità della sconfitta di Satana e della morte
nello Sheol. «Efrem considera l’evento complesso e organicamente unito della
morte di Cristo, discesa allo Sheol e resurrezione dalla morte come il momento
“compiente” della sua vittoria salvifica su satana, Peccato, Morte e Sheol, i
nemici oppressori dell’umanità».
v. La Scrittura fornisce l’imagery ma anche è una riserva di “typoi”. Oltre a quelli
dell’AT vi è anche importante l’apertura del costato: non solo come il Paradiso
che si riapre, ma anche in prospettiva ecclesiologica.

b. Poiché tutto pare convergere verso la centralità di Efrem nel trattamento di


questa dottrina, la sua concezione della Discesa è interessante per la patristica in
generale: Efrem appare essere una sorta di “teologo mediatore” che ha portato
«molti dei temi e delle immagini della letteratura eterodossa siriaca primitiva
precedente a lui dentro una creativa conformità alla fede ortodossa di Nicea, della
quale era un forte sostenitore».
c. Le fonti bibliche di Efrem La differenza più evidente nelle fonti bibliche con
l’Occidente (e quando parliamo di occidente qui intendiamo anche il mondo
Greco), è l’assenza di 1Pt 3,18-22 e 4,16, che invece grazie a Clemente di
Alessandria, modellarono la proclamazione di Cristo negli inferi. Efrem invece
usa altri passi:

1Cor 15, 20-28.42-50


Col 1, 15-19
Rm 8,28-30
Narrazioni sinottiche della crocifissione (Mt 27, 45-54; Mc 15,33-39; Lc 23, 44-
49) e Gv 19,28-37

3. Alcuni testi di Efrem come esempio


Schema della lezione 3

IL TEMA NELLA LITURGIA E NELLA INNOGRAFIA BIZANTINA


IL GRANDE SABATO

1. Perché questo titolo?


a. Perché la liturgia nell’Oriente cristiano è una fonte di teologia e di vita, in un
modo del tutto peculiare.
b. Perché tutto quanto abbiamo visto in precedenza si cristallizza in modo del tutto
speciale nella tradizione bizantina, grazie anche alla innografia. Ed è il luogo
dove più parla il linguaggio simbolico da noi così tanto citato.
c. Possiamo, quindi, vedere il significato del descensus dentro di un Sitz im Leben
assai marcato.

2. Vediamo il luogo principale della discesa in // con la liturgia latina: il Sabato Santo

a. Iconografia:
i. Nella tradizione latina
ii. Nella tradizione bizantina
b. Liturgia del Sabato Santo
i. Nella tradizione Latina
ii. Nella tradizione bizantina
1. Il vespro
2. https://www.youtube.com/watch?v=IQbhvjal0Vw
3. Stichirà idiomela
4. L’alloro le porte che si infrangono: annuncio e spaccatutto

"
Schema della lezione 4

LA DISCESA NELLA TEOLOGIA DEL XX SECOLO

A. La critica di Dumitriu Staniloae a Hans Urs von Balthasar

1. Nel nostro percorso abbiamo visto una cosa abbastanza curiosa e intrigante. La formula
del descensus è certamente di origine occidentale, legata al Simbolo che è della
tradizione battesimale romana, più con testimonianze in area gallicana e ispanica. Però il
suo berço abbiamo visto essere quello siriaco. Ma questo misterioso “scambio” è ancora
più interessante quando si va a vedere il “peso” teologico: in occidente è assai scarso,
mentre in Oriente è centrale. Però, anche se in Oriente è così importante, esso non ha
mai fatto del descensus una definizione di fede. Il Niceno-Costantinopolitano non fa
menzione, mentre, come abbiamo detto è definito nei symbola occidentali. L’Oriente
introduce un intervento magisteriale solo nel XVII secolo nel confronto con il
Protestantesimo. A differenza del qui sobrio occidente, l’oriente invece definisce non
solo il fatto della discesa ma anche la modalità. Dalla Confessione di fede di Pietro
Moghila (1642):

L’anima di Cristo, esistendo dal corpo e permanendo nella divinità discese agli
inferi, anche se non v’è qui alcuna intenzione di questa questione; tutta via, come è
affermato in tutti gli inni della Chiesa, Cristo discese negli Inferi in anima e
divinità. Ciò è molto chiaramente asserito nel seguente inno: Tu eri nel sepolcro, o
Cristo, secondo la carne, ma negli inferi con la sua anima in quanto Dio, in cielo
con il ladrone nella maestà, con il Padre e il Santo Spirito. Egli trasse fuori
dall’Ade le anime dei Santi Padri e le condusse in Paradiso, insieme con il ladrone
che aveva creduto in lui sulla croce.

2. In occidente chi più si ha rivalutato la questione della discesa agli inferi è stato senza
dubbio H. Urs von Balthasar, e troviamo la sua tesi centrale nella sua opera sul Triduo,
Mysterium Paschale. Fondamentalmente, seguendo K. Barth (e anche in un certo senso
san Tommaso), il teologo svizzero vede il valore universale della salvezza nel fatto che
Cristo ha vissuto una profonda solidarietà con la condizione mortale degli uomini.
Vivendo fino in fondo la morte, nella totale passività e quindi venendo risuscitato dal
Padre, egli ha portato su di sé la poena damni in modo definitivo (cfr. Tommaso: ut
sustineret totam poena damni et sic totam culpam expiaret).
3. I teologi orientali accusano posizioni come questa perché dicono che Gesù è resuscitato
per sua forza, ma soprattutto che le posizioni occidentali, con la loro teologia della
kenosis “staccano” al momento della morte l’anima di Gesù dall’unione ipostatica con il
Verbo, che invece secondo Calcedonia non è possibile. Renderebbe la morte di Gesù
come quella di un qualsiasi uomo. Questo fa spostare la discesa agli inferi verso
l’umiliazione e non verso la Gloria. È la tesi di Staniloae (1903-1993). Non un atto
esclusivo del Padre con il Cristo completamente passivo. Quindi o interrompono
l’unione ipostatica o kenotizzano la divnitià.
4. Ma qual è il punto? Il fatto che la Scrittura alterni testi in cui si dice che è il Padre che
resuscita e testi in cui, come 1Cor 15,4 si dice che Gesù è resuscitato, significa che vi è
una cooperazione trinitaria, perché vi è anche la collaborazione dello Spirito. Qui è il
punto. Per l’Oriente non si concepisce una incarnazione non pneumatizzata. Lo Spirito
non interviene solo dopo la Resurrezione – oppure, peggio, solo dopo Pentecoste – ma la
sua azione è determinante già nel plasmare la Carne di Cristo e avviarne il processo di
divinizzazione. Si avrebbe la pienezza dopo la morte e la resurrezione, e a quel punto
diventa carne vivificante, che può dare lo Spirito. Il ruolo attivo della umanità
pneumatizzata di Cristo non si ferma neppure con la morte, ma prosegue anche dopo.
Quindi, divinizzazione della carne di Cristo prima e poi, mediante la sua umanità
gloriosa, a tutta quanta l’umanità. Scrive Staniloae:

Che Cristo non fu risuscitato come un oggetto dalla morte, che l'avrebbe ridotto alla totale
impotenza, è dimostrato dai Santi padri anche per il fatto che egli abbia manifestato la sua
potenza già prima di risorgere col corpo nel frantumare le porte degli Inferi e nel liberare
di là coloro che avevano sperato da tempo nella sua venuta. Egli vince gli inferi con il suo
spirito umano, unito con la divinità. Per questo motivo egli è il primo spirito che non può
essere trattenuto negli inferi, ma fugge di là, e irradiando il proprio potere divino libera
dagli inferi anche le anime di coloro che hanno creduto già prima alla promessa della sua
venuta, di quelli cioè che hanno contemplato nel Logos annunciato nell'Antico
Testamento la sua intenzione di venire nella carne

Il Catechismo riassume così:

636. Na expressão «Jesus desceu à mansão dos mortos», o Símbolo confessa que
Jesus morreu realmente, e que, por ter morrido por nós, venceu a morte e o Diabo «que
tem o poder da morte» (Heb 2, 14).
637. Cristo morto, na sua alma unida à pessoa divina, desceu à morada dos
mortos. E abriu aos justos, que O tinham precedido, as portas do céu.

B. La rilettura del prof. Dr. Joseph Ratzinger: la solitudine

Un altro teologo che si è occupato della questione in tempi recenti è stato J. Ratzinger,
che nel suo commento al Simbolo (Introduzione al Cristianesimo) dedica alcune pagine.
La condizione sperimentata da Gesù è quella della solitudine radicale in sé, la fragilità
dell’esistenza, il faccia a faccia con la solitudine della morte. Un “tu” presente fa scomparire
questa paura: ciò «rivela al contempo la sua natura, ossia, che si tratta di paura di stare soli, del
timore di un essere che soltanto può vivere insieme ad altri. La paura propriamente detta non
può essere vinta per mezzo della ragione, ma solo per mezzo della presenza di un essere
amoroso» (252).
C’è una porta che solo possiamo passare da soli: quella della morte, e tutte le paure non
sono altro che variazioni di questa paura radicale della solitudine davanti a questo momento.
L’inferno è il luogo dove la solitudine non può essere raggiunta dall’amore.
«Torniamo al nostro punto di partenza, all’articolo della discesa agli inferi. Esso dichiara
che Cristo ha attraversato le porte della nostra solitudine ultima; nella quale la sua passione è
scesa nell’abisso del nostro abbandono. Egli si trova nel luogo dove non può giungerci alcuna
voce.» (253). Così l’inferno è vinto, perché al suo centro adesso vi è la vita, vi abita l’amore.
«La morte non è più un cammino per il grembo di questa solitudine, le porte dello sheol sono
aperte. Credo che, in questa prospettiva, potranno ben essere comprese le metafore patristiche di
sapore mitologico, che parlano della liberazione dei morti, dell’apertura delle porte […]. Le
porte della morte sono aperte, poiché nella morte risiede la vita, risiede l’amore» (254).

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