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NOTE SUL CINEMA ITALIANO


IL PERIODO BELLICO: 1940-1945

Il cinema di guerra

Negli anni di guerra il pubblico affolla come non mai le sale, tanto che se ne aprono a centinaia di nuove; la gente cerca alcune ore di
evasione dal dramma quotidiano, dagli orrori della guerra.

Neppure in questi anni il regime fascista asservisce alla propria causa il cinema italiano: si hanno pochi modesti film di propaganda
ma, la maggior parte della produzione, è libera da vincoli e direttive governative.

Anche film di guerra come quelli di Rossellini: La nave bianca ('41), Un pilota ritorna ('42), L'uomo dalla croce ('43), non inneggiano
alla guerra fascista, anzi, ben lungi dalla retorica e dall'esaltazione dell'eroismo, sottolineano in maniera neppure molto velata, la
violenza cieca della guerra, e gli umani sentimenti di fratellanza fra i popoli.

- Isa Miranda

In Uomini sul fondo ('41) di De Robertis prodotto dalla Centro Cine della Marina, si esalta il valore dei nostri marinai, ma non per
motivi bellici: il sommergibile è affondato nel porto di La Spezia per la collisione con una nave italiana (!).

Notevole è Giarabub ('42), di Goffredo Alessandrini, con i volti di Carlo Ninchi e Mario Ferrari -non se ne potevano trovare di più
adatti per questo eroico episodio- che non nasconde la retorica, ma mostra anche tanta verità nel dramma del soldato italiano. Da
qui, la celebre canzone con i versi "Colonnello non voglio pane..."

- Alberto Sordi

In Bengasi ('42), di Genina, ci si interroga sul significato della guerra. Pochi ricordano I trecento della Settima ('43), di Mario Baffico,
rievocazione di un episodio in Albania, interessante solo perchè i personaggi sono Alpini veri. Quelli della montagna ('43), di Aldo
Vergano; un melodramma militare con gli immancabili Alpini ed un Capitano (chi lo farebbe meglio di lui?) rigidissimo: Mario Ferrari.

Di Matio Mattoli si può ricordare I tre Aquilotti ('42) tratto da un soggetto di Vittorio Mussolini, con un Alberto Sordi non ancora
scettico (come sarà nei suoi futuri films) sull'entusiamo del soldato italiano in guerra.

Anche in un film fiabesco come La corona di ferro ('41) di Blasetti, si può riscontrare una chiara denuncia contro la tirannia ed il
dispotismo, argomenti non certo graditi a qualsivoglia dittatura, specialmente in tempo di guerra. All'alleato germanico, questo film,
non piace per niente, tanto che viene affermato: "questo regista, da noi, sarebbe messo al muro".

- Enrico Viarisio

Forse è in questi anni che nasce l'idea di un cinema impegnato, verista, vicino a persone e fatti reali, anche se non può ancora, per
motivi contingenti, esprimersi nella forma del neorealismo. Probabilmente è Vittorio Mussolini, nelle cui mani stanno le sorti del
cinema italiano, che dà spazio e risonanza alle idee di quegli intellettuali che, a guerra finita, avrebbero creato uno dei momenti più
alti della cinematografia mondiale.

Lavorano nel cinema in questo periodo anche Alberto Moravia, Carlo Levi, Giacomo De Benedetti nelle sceneggiature, ecc. ma non
ufficialmente, perchè ebrei.

Nel frattempo il cinema italiano si esprime con ottime pellicole ed eccellenti attori su testi letterari: I promessi sposi ('41) di Camerini;
Processo e morte di Socrate ('39) di Corrado D'Errico, con Ermete Zacconi; La cena delle beffe ('41) di Blasetti, (indimenticabile il
seno nudo della Calamai e, in second'ordine, la frase di Nazzari "Chi nón béve con mé péste lo cólga!" in perfetto tosco-sardo);
Gelosia ('43) da Capuana (Il marchese di Roccaverdina), Di Poggioli; Ossessione ('43) da James Cain, di Visconti, con la
straordinaria passione carnale della coppia Girotti-Calamai.

- Carlo Romano

Vi è anche un genere di films definiti sbrigativamente e sprezzantemente Calligrafici, probabilmente più per fare un unico fascio della
produzione di un triste periodo della storia d'Italia, che di voler analizzare con obiettività i reali valori in discussione.

- Alida Valli

Questi films, che rifiutano la roboante estetica fascista preferendo una grande sensibilità letteraria traggono ispirazione, più o meno
liberamente, perlopiù da romanzi italiani dell'ottocento; sono dotati di una grande cura formale e, quando necessario, di uno
straordinario senso del paesaggio. In definitiva, una ricerca scrupolosissima sulla qualità della rappresentazione visiva, ma anche
sonora e verbale.

- Massimo Serato

Si possono ricordare: Addio giovinezza! ('40) dal testo Camasio-Oxilia, di Ferdinando Maria Poggioli; Piccolo mondo antico ('41) e
Malombra ('42) di Soldati; Via delle cinque lune ('42) dalla Serao, di Luigi Chiarini; La bella addormentata ('42) da Rosso di San
Secondo, di Chiarini, con la Ferida, Valenti e Nazzari, film vigoroso con notevoli connotazioni sociali.

Un colpo di pistola ('42) da Puskin, di Mario Castellani; Giacomo l'idealista ('43) da De Marchi, di Lattuada che debutta ed inizia la
sua analisi del mondo femminile con un testo fortemente antiborghese e di denuncia dell'ipocrisia sociale. Le sorelle Materassi ('43)
da Palazzeschi, di Ferdinando Maria Poggioli; Zazà ('44) da Berton-Simon, di Renato Castellani.

Da tempo, in Italia, si dibattono temi che saranno alla base della poetica neorealistica, si lavora su modelli letterari e cinematografici
verso una esperienza concreta che non tarderà a venire.

Anche il regime fascista, attraverso il Ministro Pavolini favorisce, con le cautele del periodo -siamo agli inizi della guerra- un cinema
aperto alla visione realistica. Dice Pavolini: "Certo, un cinema realista, ma senza l'equivoco che realismo debba per forza riflettere gli
aspetti deteriori della società".

Alcuni films si rifanno alle lezioni letterarie del verismo e delle opere del Verga, subiscono le influenze del cinema francese di Renoir,
Marcel Carné, Duvivier, della cinematografia sovietica, della stringente efficacia del cinema americano; vengono realizzati films che
possono essere considerati come anticipatori del neorealismo, pur proveniendo da esperienze alquanto diverse: La peccatrice ('40)
di Palermi; Sissignora ('41) di Poggioli; Fari nella nebbia ('42) di Franciolini; Quattro passi fra le nuvole ('42), di Blasetti; Avanti c'è
posto...('42) e Campo dei fiori ('43) di Bonnard; I bambini ci guardano ('43) di De Sica; L'ultima carrozzella ('43) di Mattoli, ecc.

Fino ad arrivare ad una pietra miliare: Ossessione ('43) di Visconti. E' l'annuncio di un nuovo cinema: aggressivo, ideologico,
esplicito; tutto esprime vitalità e forza: dai personaggi al paesaggio; dagli oggetti ai suoni; dagli sguardi ai silenzi. E' un'esplosione
che mostra dimensioni mai esplorate nel mondo del visibile e nel mondo dei sentimenti, che squarcia la realtà fino alle componenti
angoscianti infinitesime.

Dopo Ossessione, il cinema, non può più essere quello di prima.

Il cinema migra al nord

Alla fine del 1943 parte degli uomini del cinema seguono gli impianti cinematografici trasferiti al Nord, nella Repubblica Sociale
Italiana; parte -la maggior parte- invece, abbandona i poco promettenti scalcinati carrozzoni in viaggio verso il destino incerto di una
guerra oramai chiaramente perduta, e si immerge nella folla romana alla ricerca, come tutti, di qualche genere alimentare al mercato
nero e, soprattutto, di cancellare un passato quasi sempre ingombrante.

I volontari della RSI, per quanto cerchino di dimostrare assoluta fiducia nella vittoria finale, nella volontà ferrea del Duce e nelle
vagheggiate armi segrete tedesche, sembrano piuttosto rassegnati alla "bella morte", una fine gloriosa per non venir meno alle
proprie illusioni ed al Patto d'Acciaio con l'alleato Germanico.

I documentari italiani e tedeschi dell'epoca, mostrano le Brigate di reclutati con uomini, ragazzi e anche bambini mal vestiti, male
armati e denutriti, in partenza per i vari fronti, soprattutto quello interno, dove italiani fucileranno italiani, si massacreranno civili, si
incendieranno case e paesi.

La vita vale pochissimo in quei giorni, si regolano conti con un colpo alla nuca, anche senza alcuna motivazione bellica o politica;
bastano rancori personali, interessi di vario genere.

La nuova capitale del cinema è Venezia, con uomini di spettacolo molto variegati, registi e attori di differentissimi valori; un ambiente
infido, corrotto, con sospetti, delazioni, doppi e tripli giochi, complicità inimmaginabili per garantirsi passaporti di salvezza in vista di
qualsiasi possibile esito del conflitto.

Non mancano i collaborazionisti con le Brigate Nere che collaborano anche con i Partigiani, alcuni si salvano, altri no; Osvaldo
Valenti e la Luisa Ferida vengono fucilati.

In questo clima, durante i 600 giorni della RSI, vengono girati dei films la cui qualità è pari alle idee e mezzi economici disponibili; si
può ricordare perchè visto anche nel dopoguerra, Ogni giorno è domenica ('44) di Mario Baffico col pugile Erminio Spalla.

Gli altri film non inneggiano nè trattano di guerra: le bombe, quelle vere, non mancano al pubblico che continua ad affollare i
cinematografi, proprio per non pensare, almeno per un paio d'ore, alle sofferenze quotidiane.

Siccome la gente evita i films di propaganda, circolano quelli di evasione, di buoni sentimenti, ecc. Si ripescano vecchie pellicole e se
ne importano dai paesi amici: Germania, Ungheria, Romania ecc.

Nel frattempo, al Sud, tornano i films americani.

-Mario Camerini -Goffredo Alessandrini -Mario Mattoli -Raffaello Matarazzo -Gennaro Righelli -Amleto Palermi -Luchino Visconti -
Carlo Ludovico Bragaglia -Sergio Tofano -Aldo Vergano Quelli della montagna ('43)
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NOTE SUL CINEMA ITALIANO


IL DOPOGUERRA: 1945-1949

La ricostruzione

Al termine del conflitto, quasi tutto è distrutto, servizi, abitazioni, fabbriche, mezzi di trasporto; dell'industria cinematografica rimane
solo un ricordo. Cinecittà si è frantumata sin dal luglio del 1943 per i noti accadimenti, per poi scomparire completamente all'8
settembre con la "Resa senza condizioni" dell'Italia agli Alleati.

Buona parte delle macchine sono migrate al nord assieme al personale, agli attori e registi che hanno aderito alla Repubblica
Sociale; gli studi romani sono stati bombardati e in buona parte distrutti dai bombardieri americani e inglesi, i quali li hanno ritenuti un
obiettivo militare, forse tenendo soprattutto conto che Cinecittà è stato il più temibile concorrente europeo di Hollywood.

- Paisà ('46)

Tutta l'Europa ha fame di cinema, lo dimostra il fatto che anche negli anni di guerra i locali di proiezione sono sempre stati gremiti e,
al termine del conflitto, i primi spettacoli ad entusiasmare il pubblico sono proprio quelli cinematografici. L'Italia centromeridionale
occupata e liberata può vedere per prima films degli ex nemici: Il grande dittatore, La famiglia Sullivan e, c'è chi lo afferma, Via col
vento.

Naturalmente gli americani si adoperano efficacemente per impedire la rinascita del loro più capace concorrente europeo e, con i
bastimenti di grano, generi alimentari, macchinari, giunge anche un numero spropositato di pellicole d'evasione a basso costo, oltre
600 nei primi mesi dell'occupazione; un quantitativo tale da mettere in difficoltà anche un accanito cinefilo che volesse visionarle!

- Roma città aperta ('45)

Gli uomini politici italiani assistono compiaciuti a questa invasione (sembra sia una costante tutta italiana!); alcuni la vedono come un
mezzo per seppellire definitivamente la cultura del passato ventennio; altri, come una sottile e capillare propaganda per far
assimilare a milioni di spettatori i nuovi valori, il che è visto come una sorta di garanzia per far rimanere il paese nell'orbita politica e
militare dei vincitori di cui l'Italia è ora alleata, anche e soprattutto, in previsione delle elezioni che arriveranno nel '48 e che
segneranno la sconfitta del Fronte popolare.

- Stromboli, terra di Dio ('49)

La rinascita del cinema italiano, naturalmente, non è favorita dagli americani che le negano l'inserimento nel piano di ricostruzione;
tuttavia l'energia vitale è enorme e nulla può soffocare la rinascita quando la spinta viene dalle idee, dal coraggio, dall'iniziativa e
dalla fiducia nei propri mezzi, nella propria arte.
Mancano i capitali e le strutture ma ben presto gli uomini del cinema italiano si rendono conto che la città, le strade, la campagna, i
suoi personaggi, l'intero paese può trasformarsi in un grande set cinematografico dove realizzare infiniti soggetti perchè infinite sono
le storie, le passioni, le illusioni, le speranze che ha vissuto e che vive quotidianamente il popolo nell'affrontare una realtà che si
rinnova, incerta, di giorno in giorno dopo essere precipitato in una tragedia che ha sconvolto l'animo e la vita di milioni di persone.

Il cinema non può non essere testimone di quei terribili eventi; non può non coinvolgere numerosi intellettuali nel tentativo di
impegnare politicamente lo spettatore trasportandolo mediante una commozione comune verso un ideale di trasformazione della
società.

Il movimento neorealista rifiuta ogni retorica, ogni soggetto di derivazione letteraria, ogni schema di sceneggiatura e di montaggio;
spesso evita l'impiego di attori professionisti in favore di personaggi della strada che interpretano sè stessi, nei loro atteggiamenti, col
loro linguaggio, adattando i dialoghi al mutare della tensione emotiva che viene a crearsi di fronte alla macchina da presa nello
sviluppo dell'azione.

- Riso amaro ('49)

Le immagini debbono essere immediate, naturali, come documentazioni di realtà e di veridicità, capaci di cogliere tutti quegli aspetti
della vita vissuta con gli avvenimenti ed i drammi che mai hanno trovato posto nella cinematografia tradizionale.

Intendimento del cinema neorealista è quello di divenire saldamente il cinema del proletariato. Alcune di queste idee sono già
germogliate oltre una decina di anni prima; Leo Longanesi scriveva nel '33: "Non credo che occorra servirsi di scenografie per
costruire un film. Dovremmo (girare)...senza artifici,... quanto più si può dal vero. Bisogna gettarsi alla strada, portare la macchina da
presa nelle vie,... Basterebbe uscire in strada, fermarsi in un punto qualsiasi e osservare quel che accade con occhi attenti e senza
preconcetti di stile e fare un film italiano naturale e logico." La stagione neorealista con i suoi 80-90 films, è compresa nell'arco 1945-
1953, e rappresenta circa il 10% sulla produzione totale. Volendo ricordare in successione alcuni capolavori ed i loro registi: -
Rossellini: Roma citta aperta ('45); Paisà ('46); Germania anno zero ('48); Francesco Giullare di Dio ('50); Stromboli ('49); Europa '51
('52); Viaggio in Italia ('53);

-Visconti: La terra trema ('48);

-De Sica: Sciuscià ('46); Ladri di biciclette ('48); Umberto D. ('52);

-De Santis: Caccia tragica ('46); Riso amaro ('49); Non c'è pace tra gli ulivi ('50); Roma ore 11 ('52)

-Lizzani: Achtung! Banditi! ('51); Cronache di poveri amanti ('53);

-Germi: In nome della legge ('49); Il cammino della speranza ('50);

In capo a pochissimi anni, però, il neorealismo si restringe in un cinema di intellettuali per intellettuali, abbandonato proprio da quegli
spettatori per i quali è stato pensato ed alla cui coscienza di classe si rivolge.

Evidentemente il grande pubblico, quello che riempie all'inverosimile le sale (in quegli anni accadeva regolarmente!) non gradisce
vedere film che lo fanno ripiombare, anche nelle ore di svago, nella misera realtà quotidiana.

Ed anche l'assenza dei grandi attori può gioca un ruolo decisivo nel porre termine alla pur esaltante esperienza del neorealismo; sia
perché lo spettatore vuole identificarsi nel protagonista quando questi ha le sembianze di un grande mito del cinema; sia perché gli
attori presi dalla strada, spesso, sono interpreti privi di fascino ed incapaci di attrarre le grandi platee.

Il regista Mario Mattoli, in polemica con i neorealisti, si chiede: "Un bel film è come una sinfonia; ma chi mai penserebbe di far
eseguire una sinfonia da una orchestra costituita da passanti scelti a caso per strada, gente che non conosce la musica e non ha mai
suonato prima di allora?"

- Aldo Fabrizi

Un esempio certamente forzato, si pensi ai protagonisti di Ladri di biciclette ('48), Maggiorani e Staiola; chi negherebbe loro, per
stare all'esempio di Mattoli, un "diploma del Conservatorio" ad honorem? Però, indubbiamente, il problema esiste con gli attori
improvvisati.

La vera campana a morto del neorealismo la suonano i pessimi risultati finanziari di La terra trema e Francesco giullare di Dio che
paiono mettere d'accordo tutti, produttori, esercenti, governo e pubblico: il cinema italiano, non più protetto dalle leggi fasciste del
monopolio introdotte nel '38, nel libero mercato deve affrontare una concorrenza impossibile da vincere con films di grande impegno
sociale ed intellettuale.
- Totò

Gli italiani sono divoratori di films e le sale cinematografiche nel 1948 raddoppiano di numero rispetto all'anteguerra. La produzione
di films italiani nel '45 è di 25; nel '46 di 62; '47 di67; '48 di 54; '49 di94 fino al '54 di 201; '55 di 133; '56 di 105; '57 di 129; '58 di 137.

Gli incassi dei films americani nel '46 rappresentano il 87% sul totale; ma nel '49 i films italiani raccolgono già il 35%.

Nel 1948 e nel '49, riprende l'attività a Cinecittà si hanno leggi che favoriscono il cinema italiano: premi, crediti, concessioni, controlli
delle importazioni, obbligo di investire i profitti americani in produzioni italiane e, naturalmente anche qualche condizionamento
politico, non certo a favore del movimento neorealista, fonte di pericolosi germi ideologici.

- Amedeo Nazzari

Eco una succinta filmografia:

-Roberto Rossellini gira, fra enormi difficoltà economiche ed organizzative, Roma città aperta ('45); impiega collaudate tecniche
romanzesche e splendidi spaccati di realtà, lirismo epico e retorica, sottolinea, ricordando le sue parole, "una posizione morale da cui
guardare il mondo".

L'anno seguente esce Paisà ('46), un indimenticabile viaggio verso il Nord Italia lungo la penisola in via di liberazione. Il trittico si
conclude con Germania anno zero ('48) come per chiudere un tragico passato di criminale follia ed aprire uno spiraglio di speranza
dopo l'espiazione ed il sacrificio.

Affrontando altre tematiche, Rossellini rende omaggio alla Magnani con L'amore ('48), film costituito da due episodi, in uno dei quali
un giovane Federico Fellini viene scambiato per San Giuseppe ed abusa, vergognosamente, di una povera ragazza visionaria.

In Stromboli terra di Dio ('49), il primo dei films con l'Ingrid Bergman, inizia lo studio Rosselliniano della solitudine. Ma iniziano anche
i problemi di incomprensione con la critica e col pubblico.

-Luchino Visconti dopo aver presentato alla fine del '45 un film di montaggio sulla Resistenza: Giorni di gloria, realizza La terra trema
('48), una rilettura in chiave marxista del romanzo I Malavoglia di Verga. La critica è divisa sull'interpretazione da dare al film, ma il
pubblico è compatto nel disertare le sale. Tuttavia, resta un film stupendo.

-Vittorio De Sica non cerca lo "straordinario" nella storia, gli basta il "quotidiano", le minime cose, gli stati d'animo comuni, le angosce
reali. Sciuscià ('46) è considerato il terzo pilastro del neorealismo, con i due di Rossellini Roma e Paisà; è un film verità vigoroso ed
emozionante dove si nota chiara la mano di Zavattini (soggettista e sceneggiatore) nella tecnica di ripresa. Grande insuccesso
commerciale in Italia ma Oscar negli USA con incassi milionari in dollari a vantaggio di quei Distributori.

Ladri di biciclette ('48), lucida ed esauriente analisi neorealista di un mondo di povertà e disperazione, solidarietà, indifferenza e
ostilità; ineguagliabile simbiosi tra la poetica di Zavattini e De Sica. Altro Oscar e successo mondiale.

-Giuseppe De Santis: inizia come documentarista ne Giorni di gloria ('45), e ne porta l'esperienza anche in Caccia tragica ('46)
introducendovi un misto di realtà e finzione finalizzate ad una logica di coinvolgimento popolare in chiave politico-marxista. De Santis
presta attenzione anche alla storia individuale; in Riso amaro ('49), oltre al crudo ritratto sociale, costruisce un complesso ed
avvincente melodramma dove spettacolo e riflessione si fondono in un capolavoro indiscusso.

-Mario Soldati riprende, traendo da opere letterarie, buoni films popolari: Quartieri alti ('45 5), Eugenia Grandet ('47), un indimenti-
cabile Campanini in Le miserie del Signor Travet ('46), Daniele Cortis ('47).

Fuga in Francia ('48), invece, è un insolito thriller politico che affronta vivamente con mano un po' neorealista ed un po' all'americana
due temi di attualità: l'espatrio dei reduci del fascismo e l'emigrazione degli emarginati.

-Alberto Lattuada realizza Il bandito ('46), Senza pietà ('48), nell'Italia post-bellica, con animo pessimista, il regista delinea con stile
neorealista e atmosfera da noir americano una ambientazione che non lascia spazio alla speranza. Dopo Il delitto di Giovanni
Episcopo ('47), Lattuada tenta una visione personale del realismo ne Il mulino del Po ('49).

-Pietro Germi dopo Il testimone ('45), e Gioventù perduta ('47), due interessanti polizieschi con qualche risvolto sociale, gira In nome
della legge ('49) definito un film "fordiano", molto espressivo ed avvincente, forse ideologicamente ambiguo per una visione
particolare della Legge, del Sud e della mafia.

I registi di "lungo corso", Camerini e Blasetti non restano inattivi di fronte al dilagare del nuovo cinema; entrano nelle sale con le loro
versioni di realismo, elaborazioni personali frutto del loro retroterra culturale ed ideologico.

-Mario Camerini nel film Due lettere anonime ('45), disegna uno splendido ritratto femminile sulla Resistenza, forse unico nel suo
genere. Ne La figlia del capitano ('47) riprende la storia essenziale e drammatica tratta da romanzo.

In Molti sogni per le strade ('48), commedia e neorealismo si alternano in toni drammatici e leggeri al fluire di una vicenda popolare
con nette tematiche sociali.

-Alessandro Blasetti dopo Nessuno torna indietro ('43-'45), girato nel periodo di guerra, si cimenta in un film Un giorno nella vita ('46),
con tutti gli ingredienti del neorealismo: la sceneggiatura di Zavattini, i partigiani, i religiosi, la rappresaglia nazista feroce. Ma
Blasetti, maestro del cinema classico, corre ben saldo nei suoi binari e non si lascia troppo coinvolgere da questo vento nuovo.

Con Fabiola ('48), primo film di grande impegno finanziario del dopoguerra con gran dispiego di mezzi e di tempo (Mattoli ricorda che
lui, nel frattempo, ha girato otto film!) Blasetti torna trionfante al cinema storico-mitologico mietendo strepitosi successi di pubblico e
di incassi e lasciando definitivamente ad altri le problematiche sociali.

-Luigi Zampa con Abito nero da sposa ('43-'45), Un americano in vacanza ('46), Anni difficili ('47), L'onorevole Angelina ('47), Vivere
in pace ('47), Campane a martello ('49), si destreggia con abilità fra neorealismo e commedia.

-Renato Castellani dopo La donna della montagna ('43-'45), film non terminato e montato malamente pur di farlo ucire, che conserva
un'atmosfera di morte incombente di grande efficacia, realizza Mio figlio professore ('46), e Sotto il sole di Roma ('48), due commedie
con toni di neorealismo.

-Carmine Gallone: affronta il nuovo cinema del dopoguerra, come obbligato, con Il canto della vita ('45), un melodrammone con
tedeschi, rastrellamenti, imboscati, abbandoni, tradimenti, figli illegittimi ecc.; ma poi riapproda ai suoi prediletti films operistici quali
Rigoletto ('47), La leggenda di Faust ('49), Il trovatore ('49), dove può esprimere la propria spettacolare maestria.

-Raffaello Matarazzo: riprende un personaggio d'anteguerra -Za la Mort- in un film apparentemente solo d'avventura: Fumeria
d'oppio ('47), realizzando un'opera di notevole forza che riflette, nelle ambientazioni e nei personaggi, le tristi condizioni del paese.
Dopo la commediola Lo sciopero dei milioni ('47), esce con Catene ('49) (incassa un miliardo!) il primo melodramma della serie di
sette films con la coppia Nazzari-Sanson che fa del regista un indiscusso Maestro della psico-logia popolare. Trionfo di passioni,
sentimenti, lacrime e incassi.

-Mario Mattoli affronta i temi cari al neorealismo con il suo cinema popolare fatto di eccellenti attori, ideato con spirito semplice e
aperto alla speranza; ne La vita ricomincia ('45) colpisce la coppia Fosco Giacchetti-Alida Valli avversata dagli strascichi di eventi
causati dalla miseria e dall'abiezione di tristi individui.

Dopo il leggero I due orfanelli ('47), si impegna con due buoni drammi, Il fiacre n.13 ('47) e Assunta Spina ('48). Poi iniziano i films di
svago: Fifa e arena ('48), Totò al Giro d'Italia ('48), I pompieri di Viggiù ('49), Signorinella ('49), Il vedovo allegro ('49). Come si può
notare nel '48 e nel '49, Mattoli pare cominciare a prendere lo slancio per sfornare films con ritmi da catena di montaggio: ma saprà
anche superarsi nel corso degli anni '50!

-Gennaro Righelli presenta Abbasso la miseria! ('45), Abbasso la ricchezza ('46) due commedie popolari, disincatate, ironiche, a
volte amare, dove la Magnani rende, come sempre, i suoi personaggi forti e ricchi di straordinaria umanit....

-Mario Bonnard: in questo periodo gira Il Ratto delle Sabine ('45), una farsa con qualche spunto notevole che potrebbe essere stata
di ispirazione ad al cuni temi felliniani.

-Luigi Comencini inizia la carriera con Proibito rubare ('48), un neorealismo da commedia ricca di ottimismo in una Napoli di
scugnizzi da recuperare.

-Carlo ludovico Bragaglia: Lo sbaglio di esssere vivo ('45), Pronto, chi parla? ('46), L'altra ('47), La primula bianca ('47), Totò le Mokò
('49), commedie piacevoli, a volte drammatiche, a volte divertenti e sempre dignitose.

-Camillo Mastrocinque: dopo il biografico Il cavaliere del sogno (Donizetti) ('46), e Il segreto di Don Giovanni ('47) di ambientazione
teatrale, realizza un dramma sentimentale, Sperduti nel buio ('47). -Steno (Stefano Vanzina) e Mario Monicelli, uniti in un sodalizio
che durerà negli anni, si dedicano al genere d'evasione con Al diavolo la celebrità ('49), e con un Totò cerca casa ('49) che rimarrà
nelle antologie del cinema italiano.

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NOTE SUL CINEMA ITALIANO


GLI ANNI CINQUANTA 1950-1959

Si prepara il boom economico!

All'inizio di questo decennio si conclude l'esperienza del cinema neorealista oramai in evidente crisi. Una crisi che forse era iniziata
con la sconfitta elettorale del Fronte Popolare nel 1948, perchè, come insegna l'esperienza, al mutare della situazione politica,
mutano presupposti e condizioni del lavoro degli intellettuali i quali, pur nella loro libertà di coscienza debbono tener conto del
mercato, dell'economia che lo sostiene e dei finanziamenti.

- Amedeo Nazzari e Yvonne Sanson

Negli anni '50 imperversa Totò, utilizzato a getto continuo da molti registi: Ludovico Bragaglia, Mario Mattoli, Camillo Mastrocinque,
Steno, Mario Monicelli, Rossellini, De Sica, Antonio Musu, ecc.

- Totò

Escono anche otto films all'anno di Totò, come nel'50, nel '54, nel '58! e non si può pretendere che siano tutti all'altezza delle sue
non comuni capacità. La critica del tempo lo considera poco più di una marionetta dalla comicità surreale, non ne vede la
straordinaria drammaticità, non scorge la poesia dell'artista come, invece, seprà fare più tardi Pasolini.

- Peppino De Filippo

La produzione di films italiani è consistente: nel '50 di 104; nel '51 di 107; nel'52 di 148; nel '53 di 161; nel '54 di 201; nel '55 di 133;
nel '56 di 105; nel '57 di 129; nel '58 di 137.

Cinecittà, invece, funziona con ritmi ministeriali, nel '50 i films realizzaiti si contano sulle dita di una mano per poi aumentare ad una
trentina all'anno negli anni seguenti.

Ma i benefici legislativi che impongono agli americani di realizzare films in Italia cominciano a farsi sentire; il Quo Vadis? viene girato
in loco -a Roma- e si registra il fenomeno di legioni di romani (moderni!) che stanno accampati, nei pressi di Cinecittà, in attesa di
una "comparsata", cioè di un qualsiasi lavoro, in costume o in abiti civili, per rimediare qualche biglietto da mille.

Un nemico del cinema, la TV!

Nel 1955 si ha il massimo numero di biglietti d'ingresso venduti: 800 milioni; però, in questo periodo, inizia un fenomeno inaspettato
con l'arrivo della neonata televisione che dirotta messe di pubblico verso il piccolo schermo; un campanello d'allarme è dato dal fatto
che molti cinema debbono interrompere la proiezione cinematografica per far seguire agli spettatori le puntate di Lascia o raddoppia?
al giovedì sera.
- Gino Cervi

Con il diffondersi dell'apparecchio televisivo nelle case, l'aumento del costo dei biglietti cinematografici, l'emorragia di pubblico
diviene inarrestabile, tanto che la futura crisi del cinema comincia ad essere chiara a tutti gli operatori del settore.

- Don Camillo ('52)

La produzione cinematografica è molto varia, accanto a film, riconosciuti ed apprezzati dalla critica, ma non sempre dal pubblico, vi
sono altre pellicole mal considerate nelle recensioni ma ben ricompensate al botteghino.

- Il ritorno di Don Camillo ('53)

E' il momento della ricostruzione, dei governi moderati, del conformismo post-bellico, degli interventi censorii, e dei... cedimenti
commerciali. Non per questo vengono meno i buoni film.

- Don Camillo e l'Onorevole Peppone ('55)

Il pubblico vuole divertirsi senza pensieri ed i produttori ingaggiano sperimentati registi per sfornare films di grande cassetta!

- Gino Cervi

Nel contempo, continuano ad uscire opere che costituiscono la storia del cinema:

-Rossellini con Europa '51 ('52); Viaggio in Italia ('53); conclude la trilogia della solitudine; eccellenti giudizi della critica europea
(Viaggio in Italia venne incluso tra i dieci capolavori di ogni epoca) ma i disastri negli incassi rendono difficile il dialogo con i
finanziatori.

Gli altri films di Rossellini con la Bergman: Giovanna d'Arco al rogo e La paura, entrambi del '54; inoltre un episodio di Siamo donne
('53). In Francesco giullare di Dio ('50), niente agiografia ma inno alla sincerità, all'anticonformismo, alla ribellione.

Ne La macchina ammazzacattivi ('52) si svela una fiaba con morale educativa che non trova alcun successo di pubblico. Seguono,
poi, Dov'è la libertà...? ('53); Il generale della Rovere ('59), caratterizzati da grande amarezza ma anche da un'inspiegabile
discontinuità degli eventi che ne limitano in qualche modo la forza espressiva.

-Di Luchino Visconti si hanno Bellissima ('51); un episodio di Siamo donne ('53); Senso ('54); Le notti bianche ('57).
- Senso ('54)

Con Bellissima ('51), Visconti getta l'occhio impietoso sulle contraddizioni della gente dl popolo e sui sogni destinati ad infrangersi
nella spietata realtà; con Senso ('54), si distacca dalla cronaca del neorealismo per approdare ad una visione critica della storia
creando un capolavoro di estetismo, lussuria e morte. Ne Le notti bianche, tratto da Dostoevskij, si ha uno studio dell'amore
sfortunato che evolve in assurdità e illusione.

- Gina Lollobrigida

-Vittorio De Sica con Zavattini esce dalla cronaca neorealista con Miracolo a Milano ('51) percorrendo la strada del surrealismo.
Umberto D ('52) rappresenta forse il culmine del neorealismo, affronta la cruda cronaca senza alcun compromesso sentimentale.

- Sofia Loren

De Sica abbandona il neorealismo per lidi commerciali con Stazione Termini ('53) e questo crea molti malumori fra i critici. Poi
recupera abbondanti consensi con gli straordinari bozzetti de L'oro di Napoli ('54).

Ritorna al realismo sociale con Il tetto ('56), ma i tempi cambiati mettono a nudo i limiti della sostenuta, e alquanto ipotetica,
solidarietà fra poveri del film.

- Giulietta Masina

-Di Giuseppe De Santis: Non c'è pace tra gli ulivi ('50), storia e personaggi arcaici segnati dalla guerra, resi in modo nuovo da uno
stile originale voluto dal regista.

Ancora storie rurali in Giorni d'amore ('54), e Uomini e lupi ('57), La strada lunga un anno ('58), molte le passioni in campo con
qualche denuncia sociale, ma risultati modesti.

D'ambientazione cittadina è l'ottimo film-inchiesta sul mondo femminile Roma ore 11 ('52) che permette al regista profonde riflessioni
sociologiche. Altro dolente ritratto della condizione femminile in Un marito per Anna Zaccheo ('53) che però mostra una debole
struttura narrativa, uno svolgersi dei fatti poco avvincente.

- Saro Urzì

-Carlo Lizzani esordisce con un film sulla resistenza Achtung! Banditi! ('51), per poi dedicarsi, con alterni risultati, a storie ove
coesistano l'impegno sociale e la spettacolarità. Ai margini della metropoli ('53); Amore in città ('53); Cronache di poveri amanti ('53);
Lo svitato ('56) con uno svitatissimo Dario Fo coadiuvato da tutta la famiglia; Esterina ('59).

Da ricordare anche un bislacco documentario: La muraglia cinese ('58),

-Pietro Germi dà una versione di neorealismo melodrammatico ne Il cammino della speranza ('50); poi spazia in vari orizzonti: Il
brigante di Tacca del Lupo ('52); La presidentessa ('52); Gelosia ('53); Amori di mezzo secolo ('54) con registi vari.
- Marcello Mastroianni

Ritorna all'ambientazioe proletaria con ottimi risultati ne Il ferroviere ('55) e L'uomo di paglia ('58). Un accenno di poliziesco ne La
città si difende ('51); per poi approdare con mano felice a Un maledetto imbroglio ('59) che potè definirsi il miglior film giallo italiano.

-Raffaello Matarrazzo dopo Catene del '49, e dopo la rivisitazione storica di Paolo e Francesca ('50), riprende la serie dell'infelicità:
Tormento ('50); I figli di nessuno ('51); Chi è senza peccato...('52); Torna! ('54); Angelo bianco ('55); Malinconico autunno ('58), tutti
con la vessata coppia Nazzari-Sanson; oppure Vortice ('54) con Girotti e la Pampanini, oppure Schiava del peccato ('54) con la
Pampanini e Mastroianni.

Drammoni a tinte forti, con grandi passioni, onore, ingiustizie, sacrificio, tradimenti amore e lacrime. Regista di questi infelici destini è
il sapiente Matarazzo che resterà imperituro per generazioni di spettatori che vogliono passare una serata di commozione e di ciglia
umide.

Tranne il sorprendente La nave delle donne maledette ('53), che esce dai canoni Matarazziani per lo sfacciato erotismo e l'originalità
del soggetto e che lascia tuttora sconcertata la critica, Matarazzo percorre sicuro la sua collaudata strada che è tanto amata dal
pubblico: Il tenente Giorgio ('52); Giuseppe Verdi ('53); Guai ai vinti ('55); L'intrusa ('55); La risaia ('56), tutte storie che assicurano
commozione e lacrime.

-Alberto Lattuada, invece, mantiene saldi i contatti con la realtà: Luci del varietà ('51) assieme all'esordiente Fellini che vi infonde i
temi riconoscibili nelle sue opere future; Anna ('52); La spiaggia ('53), che può essere sicuramente considerato il capostipite della
cosiddetta Commedia all'italiana. E poi Guendalina ('57), un commedia dolce e romantica.

Ma Lattuada continua anche in questi anni il ricorso alle fonti letterarie: ne Il cappotto ('51) si ha una sorprendente interpretazione di
Rascel la cui pateticità si inserisce magistralmente nel malinconico racconto di Gogol; e poi La lupa ('53), da Verga, per trattare con
grande sensibilità ancòra il tema femminile.

-Mario Soldati si dedica a numerosi films, in genere eleganti e ben costruiti e, quando sciocchi, sempre divertenti. Botta e risposta
('50); Donne e briganti ('50); Quel bandito sono io! ('50); Le avventure di Mandrin ('51); O.K. Nerone ('51).

Ne La provinciale ('52), dal romanzo di Moravia, si ha una delle migliori interpretazioni della Lollobrigida. Poi tre film di cappa e
spada, e anche di risate: Il sogno di Zorro ('52); I tre corsari ('52), Jolanda, la figlia del Corsaro Nero ('53).

Nel dramma padano La donna del fiume ('54), costruito su misura per il lancio definitivo della Loren, vengono abilmente impiegati
degli elementi fondamentali per il successo di pubblico: erotismo e commozione. E Ponti ne è soddisfatto da tutti i punti di vista.

- Sofia Loren

Seguono opere per lo più di non grande impegno: La mano dello straniero ('54); Questa è la vita ('54); Era di venerdì 17 ('56); E'
l'amor che mi rovina ('57); Italia piccola ('57).

L'ultimo film di Soldati è il ben confezionato Policarpo, "ufficiale di scrittura" ('59), ma Rascel non raggiunge i risultati sperati.

-Luigi Zampa va incontro ai desideri del pubblico: realtà sì, ma anche divertimento amaro: Cuori senza frontiere ('50); E' più facile
che un cammello...('50); Signori in carrozza! ('51); Anni facili ('52-'53); L'arte di arrangiarsi ('54); Questa è la vita ('54); La romana
('54); Ragazze d'oggi ('55); La ragazza del Palio ('57); Ladro lui, ladra lei ('58); Il magistrato ('59).

Però si rende anche acuto interprete e testimone di eventi drammatici in Processo alla città ('52), una denuncia efficace delle
complicità fra potere e malavita.

-Renato Castellani non perde di vista la quotidianità, cura la narrazione, non dimentica l'ironia: E' primavera ('50); Due soldi di
speranza ('52).

Ne I sogni nel cassetto ('57) il regista trasporta una tragedia ispirata a vicende accadute nella propria famiglia. Giulietta e Romeo
('54), e poi Nella città l'inferno ('58) che permette alla Magnani e alla Masina di duellare in bravura.

- Giulietta Masina
-Mario Camerini ricorre a Nazzari ed alla Mangano per Il brigante Musolino ('50); a Kirk Douglas, alla Mangano, a Quinn ecc. per il
colossal Ulisse ('54) che rinnova l'interesse mondiale per questo genere, ma non dimentica le commedie come Suor Letizia ('56);
Due mogli sono troppe ('50); Moglie per una notte ('52); Gli eroi della domenica ('53); La bella mugnaia ('55); Vacanze a Ischia ('57);
Primo amore ('59).

-Alessandro Blasetti affronta commedie e narrativa con grande gusto e ritmo: Prima Comunione ('50); Altri tempi ('52); Peccato che
sia una canaglia ('54), Tempi nostri ('54), La fortuna di essere donna ('55), Amore e chiacciere ('57).

E poi inaugura il filone dei film inchiesta: Europa di notte ('59), molto efficace ma un caso isolato, perchè i suoi successori non ne
saranno assolutamente all'altezza.

-Luigi Comencini inizia il decennio all'insegna della leggerezza con Totò ne L'imperatore di Capri ('50); per poi proseguire con titoli a
base alimentar-sentimentale come Pane, amore e fantasia ('53); Pane, amore e gelosia ('54).

Persiane chiuse ('51); Son tornata per te -Heidi ('52); La tratta delle bianche ('52); La valigia dei sogni ('53); La bella di Roma ('55);
La finestra sul Luna Park ('57).

Affronta con garbo e spregiudicatezza il rapporto coniugale: Mariti in città ('57); Mogli pericolose ('58); Le sorprese dell'amore ('59).

-Carmine Gallone continua con determinazione e con ottimi risultati la serie dei films operistici: La forza del destino ('50); Addio Mimì!
('51); Puccini ('52); Casa Ricordi ('54); Casta Diva ('54); Madama Butterfly ('54); Tosca ('56).

In Taxi di notte ('50), si può vedere ed ascoltare un buon Beniamino Gigli in una storia prettamente urbana.

Dopo i due Don Camillo di Duvivier, Gallone si cimenta con i personaggi di Guareschi in Don Camillo e l'onorevole Peppone ('55) ed
il pubblico si gode il confronto.

Modesti risultati nelle ispirazioni storiche quali Messalina ('51); Michele Strogoff ('56); Cartagine in fiamme ('59).

-Mario Bonnard prosegue il filone delle storie di buoni sentimenti e di redenzioni: I figli non si vendono ('52); Tormento del passato
('52); La ladra ('55).

Realizza, poi, una piacevolissima farsa, Mi permette babbo! ('56), dove accanto a Sordi e Fabrizi e senza temerne il confronto,
compare Achille Majeroni nei panni di un maestro di canto alle prese con i creditori e con il dover rimediare la bistecca quotidiana
fornitagli dall'allievo Sordi a spese del suocero Fabrizi, paziente macellaio.

Modestissimi risultati nei films in costume, Afrodite dea dell'amore ('58); Gli ultimi giorni di Pompei ('59).

Molto interessante il malinconico Gastone ('59), che forse ricorda un aspetto della vita dello stesso regista.

-Mario Mattoli, con ritmi sostenutissimi, realizza prevalentemente films leggeri ma sempre con spunti di autentico divertimento,
Adamo ed Eva ('50); I cadetti di Guascogna ('50); L'inafferrabile 12 ('50); Totò Tarzan ('50); Accidenti alle tasse ('51); Arrivano i nostri
('51); Il padrone del vapore ('51); Tot• terzo uomo ('51); Cinque poveri in automobile ('52); Vendetta...sarda ('52); Il più comico
spettacolo del mondo ('53); Due notti con Cleopatra ('54); Totò cerca pace ('54); Le diciottenni ('55); L'ultimo amante ('55); I giorni più
belli ('56); Peppino, le modelle e "chella llà" ('57); Come te movi te fulmino! ('58); Totò, Peppino e le fanatiche ('58); Guardatele ma
non toccatele ('59); Non perdiamo la testa ('59); Prepotenti più di prima ('59); Tipi da spiaggia ('59).

In questa produzione d'evasione spiccano gli ottimi Totò sceicco ('50); Un turco napoletano ('53); Miseria e nobiltà ('54), dove il
comico napoletano dona memorabili interpretazioni.

-Carlo Ludovico Bragaglia dedica il suo 1950 a Totò, non sempre con buoni risultati, ma il Principe de Curtis non manca mai di
trovare momenti felici. Figaro qua...Figaro là ('50); 47 morto che parla ('50); Le sei mogli di Barbabl- ('50); Totò cerca moglie ('50).

Seguono films modesti, leggeri, senza grandi pretese, Una bruna indiavolata ('51); Il segreto delle tre punte ('52), Il falco d'oro ('55),
Lazzarella ('57), Caporale di giornata ('58), E' permesso maresciallo? ('58), Io, mammeta e tu ('58), Le cameriere ('59),

-Camillo Mastrocinque si dedica a films d'evasione, La cintura di castità ('50), Gli inesorabli ('50); Quel fantasma di mio marito ('50);
Attanasio cavallo vanesio ('53); Il vento ci ha cantato una canzone ('53); Alvaro piuttosto corsaro ('54); Napoli terra d'amore ('54);
Figaro, il barbiere di Siviglia ('55); Porta un bacione a Firenze ('55), per poi diventare un regista di Totò e passare alla storia con
alcune pellicole indimenticabili e sempre ricordate in mille occasioni come Siamo uomini o caporali? ('55); Totò, Peppino e...la
malafemmina ('56). E' in questa pellicola che Totò e Peppino De Filippo affrontano, in un crescendo irresistibile di personalissime
grammatica e sintassi la più celebre e memorabile dettatura di lettera del cinema italiano.

E poi, tranne qualche eccezione, altri Totò in gran copia: Totò all'inferno ('55); La banda degli onesti ('56); Totò, Peppino e i
fuorilegge ('56); Totò, Vittorio e la dottoressa ('57); Domenica è sempre domenica ('58); Totò a Parigi ('58); Totò lascia o raddoppia?
('59); La cambiale ('59); Vacanze d'inverno ('59).

-Steno (Stefano Vanzina) si cimenta con Totò dando ottimi risultati: Guardie e ladri ('51 con Monicelli); Totò a colori ('52 con
Monicelli); Totò e i re di Roma ('52 con Monicelli); I tartassati ('59).

Ma anche nell'altra produzione vi sono cose notevoli come il Sordi di Un americano a Roma ('54); chi non ricorda l'Albertone quando
ripiega sul casereccio piatto di spaghetti dopo aver rinunciato, con disgusto, ad un americanissimo e sano pasto tipo "Kansas City"
condito da latte e marmellata?
Vita da cani ('50 con Monicelli); Totò e le donne ('52 con Monicelli); Un giorno in pretura ('53); Le infedeli ('53 con Monicelli); L'uomo,
la bestia e la virtù ('53); Cinema d'altri tempi ('54); Le avventure di Giacomo Casanova ('55); Piccola posta ('55); Mio figlio Nerone
('56); Susanna tutta panna ('57); Guardia, ladro e cameriera ('58); Mia nonna poliziotto ('58); Totò nella Luna ('58); Un militare e
mezzo ('59); Tempi duri per i vampiri ('59); Totò, Eva e il pennello proibito ('59).

-Mario Monicelli tende a sottrarre il talento di Totò alla comicità surreale della farsa per portarlo all'umorismo, a volte un po' amaro,
della commedia. Anche Sordi beneficia del lavoro monicelliano e già nel '55 emergono prepotentemente quelle qualità che ne
faranno un personaggio unico del cinema italiano.

Monicelli è sempre attento alla trasformazione sociale e contribuisce enormemente a strutturare la commedia all'italiana. Vita da cani
('50 con Steno); Guardie e ladri ('51 con Steno); Totò a colori ('52 con Steno); Totò e i re di Roma ('52 con Steno); Totò e le donne
('52 con Steno); Le infedeli ('53 con Steno); Proibito ('54).

Un eroe dei nostri tempi ('55), con una strepitosa coppia Sordi e la Franca Valeri; Totò e Carolina ('53-'55); Donatella ('56); Il medico
e lo stregone ('57); Padri e figli ('57), forse il meno riuscito.

Ne I soliti ignoti ('58), dà una versione casereccia di celebri film di genere noir, francesi o americani, mostrando all'opera la più
sgangherata banda di ladri mai comparsa sullo schermo. E' da molti considerato il miglior film di Monicelli. La grande guerra ('59),
una dissacrante tragedia storica in versione di commedia all'italiana che mostra il rifiuto dei miti militari attraverso la vicenda di due
antieroi per eccellenza i quali tuttavia, alla fine, sapranno sacrificarsi fino all'estremo. Grandissimi Gassman e Sordi.

- Marcello Mastroianni

-Luciano Emmer trasporta la grande esperienza di documentarista nei suoi films, analizzando acutamente l'ambiente piccolo
borghese e non solo. Esordisce benissimo con Una domenica d'agosto ('50), una commedia neorealista con un'ampia gamma di
personaggi.

Riprende il tema, ma con minor risultato, in Parigi è sempre Parigi ('51), e passa al neorealismo rosa ne Le ragazze di piazza di
Spagna ('52).

Di ambientazione piccolo borghese Camilla ('54); Terza liceo ('54); Il bigamo ('55); poi Il momento più bello ('57), forse il momento
meno riuscito del regista.

- Federico Fellini

-Federico Fellini nelle sue opere crea e trasmette pulsioni attingendo dai più disparati mondi, delle favole, dal circo,
dall'avanspettacolo, dai saltimbanchi di piazza, dalla tradizione orale delle veglie contadine, ecc. Ricompone memorie, sensazioni,
emozioni e le infonde nei films che rapiscono lo spettatore e lo trasportano in sogni appartenenti alla memoria collettiva.

- I vitelloni ('53)

Luci del varietà ('51) con Lattuada, commercialmente un fiasco ma che già permette di intravvedere grandi talenti; Lo sceicco bianco
('52) è il primo film totalmente di Fellini, una grottesca avventura di provinciali alla scoperta di un mondo volgare dietro le parvenze
delle illusioni dei fotoromanzi.

- Le notti di Cabiria ('57)

Dopo Amore in città ('53) con registi vari; I vitelloni ('53), che permette al giovane Fellini una rimpatriata a Rimini per raccontare
cinque storie di amici perditempo che conducono una vita vacua e irresponsabile. Sordi passa alla storia con il suo sbeffeggiare
"Lavoratori?... ecc." Achille Majeroni sfodera tutta la sua arte nel tentativo di sedurre l'aspirante scrittore Leopoldo Trieste. Ne La
strada ('54) si ha lo sviluppo di personaggi provenienti dal mondo dei sogni, un mondo magico, affascinante e misterioso dove
Gelsomina, Zampanò, il Matto, la Compagnia di circensi, colpiscono e commuovono lo spettatore. Un film da Oscar, ma molte
critiche da sinistra perchè c'è chi accusa il regista di aver tradito il neorealismo.

- Giulietta Masina

Ne Il bidone ('55) si analizzano crudamente le gesta di un piccolo universo costituito da spregevoli individui del sottobosco romano.
Le notti di Cabiria ('57) riprende il tema de La strada: una figura a suo modo innocente immersa nelle brutture della vita che non
vuole rinunciare al sogno di un amore vero; ma dietro le promesse di matrimonio si nasconde l'interesse per i risparmi della
prostituta. Per la Masina una Palma d'oro a Cannes.

-Dino Risi ha il solito percorso cinematografico, documentarista, sceneggiature, regia di opere farsesche, neorealismo rosa e, negi
anni sessanta, commedia all'italiana. Un regista ben sintonizzato con l'evoluzione del costume italiano.

In Vacanze col gangster ('52), un noir degli equivoci all'italiana, si ha la prima apparizione, anche se fugace, di due attori che
spopoleranno vent'anni dopo: Terence Hill e Bud Spencer (M.Girotti e C. Pedersoli).

Dopo Amore in città ('53) con registi vari, Risi si cimenta con il terzo episodio della serie Pane amore e... ('55), succedendo ai due
riuscitissimi di Comencini. Sparisce la Lollo ed entra in scena la prorompente Loren; però il film perde di freschezza. Nel bellissimo Il
segno di Venere ('55), fra tanti bravissimi attori primeggia la Franca Valeri, e la Loren, suo malgrado, nulla può pur con le molte doti
naturali messe in campo.

Due films di grande successo ed altrettanti incassi che segnano l'evoluzione del cinema italiano sono Poveri ma belli ('56) e Belle ma
povere ('57). Seguono altri lavori più o meno riusciti come La nonna Sabella ('57); Venezia, la luna e tu ('58); Il mattatore ('59); Poveri
milionari ('59); fino al ben costruito Il vedovo ('59), un thriller imperniato sul tentativo di assassinio della moglie ricca a scopo eredità,
organizzato da incapaci comandati da un Sordi insolitamente misurato. Sempre ineccepibile la Franca Valeri.

-Antonio Pietrangeli dedica diverse sue opere alla trattazione dell'universo femminile; inizia col ritratto di una giovane domestica per
analizzare acutamente una galleria sociale emergente da famiglie della borghesia ne Il sole negli occhi ('53), per proseguire con
alterne fortune in Amori di mezzo secolo ('54); Lo scapolo ('55); Nata di marzo ('57); Souvenir d'Italie ('57).

-Francesco Rosi dimostra di essere un acuto osservatore della storia nazionale e di saper affrontare fatti di cronaca per giungere a
chiare denunce delle logiche del potere e delle collusioni connesse. Prima opera è La sfida ('58), ambientato nel mondo dei mercati
ortofrutticoli e dei boss che lo controllano; I magliari ('59), sposta l'azione in Germania per affrontare un'altra realtà, il controllo del
mercato dei tessuti. Sempre efficace Sordi, tuttavia la sua presenza tende a far scivolare il film verso la commedia.

-Goffredo Alessandrini: Camicie rosse ('52).

Anche gli anni cinquanta se ne vanno...

Gli anni cinquanta si chiudono lasciando il campo agli esplosivi anni sessanta, un'epoca dei "Grandi Autori", di grande vitalità; si
avrà La dolce vita ('60) di Fellini; Rocco e i suoi fratelli (' ) di Visconti; L'avventura (' ) di Antonioni.

Poi debutteranno Olmi, Petri, i Taviani, Pasolini, Bertolucci, la Wertmüller, Zeffirelli, Zurlini ecc.
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