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PSICOLOGIA GENERALE

CAPITOLO 8: Decisione, ragionamento, creatività

1. Esperienza diretta e pensiero

L’uomo è in grado di usare varie forme di pensiero per elaborare e integrare le informazioni di cui fa
esperienza direttamente tramite i suoi organi di senso. Non c’è una separazione netta tra i processi con cui
organizziamo il mondo percepito e le forme più elementari di pensiero. Per facilitarsi, la mente cerca di
ricondurre al noto ciò che circonda, e questo processo è per lo più immediato. Ma quando le informazioni
sono ambigue noi non possiamo che avanzare per ipotesi.

Il nostro sistema di riconoscimento degli oggetti funziona assumendo una certa probabilità a priori. Questa
procedura è rapida e inconsapevole. Nella quotidianità, un analogo meccanismo di controllo e di veglio
delle ipotesi può avvenire, però, anche in maniera consapevole. In tal caso si è entrati nel campo degli studi
del pensiero e, più in particolare, della presa di decisioni. Non si tratta più di riconoscimento di oggetti, ma
di ipotesi circa gli eventi. Si tratta di un processo cruciale per la presa di decisioni. Gli elementi che
caratterizzano molte decisioni della vita sono:

● Incertezza su quello che succederà in futuro


● Scopi
● Azioni
● Vincoli temporali
● Emozioni
● Azioni conseguenti alla decisione

2. La Decisione

Gli psicologi sono andati a vedere come le persone compiono le proprie scelte. Con gli alberi decisionali si
può “visualizzare” l’incertezza che caratterizza che caratterizza le decisioni vere, spesso accompagnate da
emozioni. Ad esempio, possiamo provare a quantificare quanti stati d’animo incerti in termini di probabilità
di successo e di quantità di vantaggi ottenibili. I rami dell’albero decisionale potrebbero estendersi nel
futuro. Ma l’albero decisionale non si ferma necessariamente in un punto, perché la vita continua; i rami
dell’albero si estendono nel futuro, diventando sempre più vaghi e incerti. Da questo punto di vista,
prendere una decisione equivale a risolvere un problema con conseguenze vaghe nel futuro prossimo, e
pressoché ignote in una prospettiva a lungo termine

2.1 Decidere in un mondo incerto: piacere e dolore

Se quindi decidere significa risolvere problemi dobbiamo domandarci se abbiamo preso in considerazione
tutte le possibilità, e le probabilità di conseguenze positive e negative di ogni possibile azione. Per fare un
calcolo basandosi su misure, si dovrebbe riuscire a stimare la probabilità di ogni esito. Nella vita questo
calcolo è spesso difficile, se non impossibile, per svariati motivi: in primis l’ignoranza del futuro. Ciò non
toglie che sia possibile una legge di ordine generale circa il rapporto tra rischio, piacere e dolore.

Il dolore delle sconfitte resta impresso in memoria molto di più della felicità delle vittorie. Basti pensare al
godimento che proviamo quando, assetati, beviamo una bibita: il primo soccorso è quello più piacevole,
quelli successivi lo sono sempre meno. Gli economisti definiscono questo meccanismo come “utilità
marginale”.

2.2 Avversione alle perdite e tempo

L’avversione alle perdite consiste nel rischiare pur di evitare suddette perdite, sapendo che le perdite fanno
più male rispetto al piacere di guadagni della stessa entità.

Un altro modo per dimostrare la forza dell’avversione alle perdite prende la forma del cosiddetto effetto
dotazione, ovvero la preferenza per ciò che si ha per il fatto stesso che è in nostro possesso. Questo perché
si valuta di più la propria dotazione per il solo motivo che questi sono in nostro possesso.

L’avversione alle perdite ha avuto un forte valore adattivo nella storia della specie umana. L’analisi dei
reperti dei cacciatori-raccoglitori mostra quanto pericolosa fosse la loro esistenza. In ambienti di vita assai
ostili e rischiosi la morte violenta era più probabile che nell’età moderna. Proprio per questo motivo un
tempo raramente si agiva prendendo in considerazione un intervallo più lungo di giornata. Oggi invece
siamo costretti a programmarci per decine e decine di anni. L’uomo è un animale speciale che ha imparato
a dilazionare i piaceri e a programmare il futuro. Oggi la complessità della vita contemporanea
richiederebbe la capacità di dilazionare i piaceri per tempi molto lunghi e, nel frattempo, un assiduo
impegno in attività che porteranno benefici in un futuro lontano. Talvolta, però, abbiamo cadute
dell’autocontrollo e scegliamo azioni di gratificazione “nel breve”. Queste, per quanto siano piacevoli sul
momento, possono avere conseguenze negative. Siamo indotti a comportarci così da una tendenza ad
apprezzare i presente e a “svalutare” quello che capiterà in un futuro lontano (sconto temporale). È poi
possibile misurare sperimentalmente quanto una persona valuta una gratificazione immediata rispetto a un
beneficio futuro. Per rendere conto di tali risultati abbiamo modelli basati sulla forte capacità attrattiva di
un esito immediato. Questo sistema chiede una gratificazione istantanea. Quando invece l’intervallo
temporale è dilazionato nel futuro, allora subentra una valutazione più razionale fondata su un’analisi costi-
benefici a medio e lungo termine.

3. Induzioni, Abduzioni, Analogie e Creatività

L’uomo ha la capacità di basarci su delle differenze per classificare le cose e di usare le categorie per fare
inferenze e previsioni. Si tratta di forme di pensare che avvengono per lo più in maniera inconsapevole.
Esse sfruttano la nostra capacità di usare il linguaggio per etichettare la realtà. Quando però siamo per la
prima volta davanti ad uno stato di cose fino a quel momento sconosciuto, i tentativi di comprensione
avvengono in maniera consapevole. Per aiutarci in queste situazioni, noi facciamo riferimento alle
induzioni, ovvero ai ragionamenti che producono generalizzazioni a partire da esperienze, ma che non
conducono a conclusioni necessarie. Quando arriviamo a queste conclusioni si tratta invece di deduzioni.
Questi ragionamenti danno comunque un senso alle nostre esperienze. Quando invece descriviamo e
spieghiamo la situazione nella quale abbiamo fatto ricorso alla induzione allora si parla di abduzione.

Un altro sistema per produrre conoscenze di fronte a situazioni nuove è il ricorso all’analogia. Come nel
caso delle abduzioni, le analogie non garantiscono conclusioni certe, ma spesso possono condurre a delle
soluzioni creative ai problemi. Quando noi, infatti, stiamo cercando una soluzione ad un problema allora si
avvia in noi il cosiddetto ragionamento analogico. Grazie all’invarianza di funzioni raggiungiamo il nostro
“obiettivo”. Se vogliamo, quindi, costruire un’analogia tra due fenomeni, dobbiamo trasferire una struttura
di conoscenze da un sistema noto ad uno nuovo. Più nello specifico, ci sono 5 sotto processi che
caratterizzano il pensiero analogico:
1. Recupero: va tenuto nella memoria di lavoro un bersaglio, mentre si accede ad un caso più
familiare che troviamo nella memoria a lungo termine.
2. Corrispondenze: tenendo nella memoria di lavoro sia la sorgente sia il bersaglio bisogna allinearli.
La mente così costruisce un ponte che poggia sulle proprietà che sorgente e bersaglio hanno in
comune
3. Valutazione: decidere se l’analogia è efficace
4. Astrazione: isolare le invarianti tra sorgente e obiettivo
5. Spiegazione e predizione: sviluppare ipotesi sul comportamento o sulle caratteristiche del bersaglio
basandosi su quello che si sa sulla sorgente

L’analogia tra due storie, e cioè l’invarianza tra la struttura dei due problemi, non è facile da vedere, almeno
ad un primo esame. A parità di invarianza concettuale, si può modificare la somiglianza superficiale così da
scoprire più facilmente la soluzione. Molte ricerche si sono concentrate sull’interazione tra apparenze
superficiale e struttura di un problema, non solo quando si deve trovare un problema, ma anche quando si
deve prendere una decisione.

Quando si chiede alle persone quali storie ricordino loro quella originale, letta una settimana prima, sono
spesso citate le storie che presentano delle somiglianze superficiali. E tuttavia quando si domanda loro
quali siano simili “per analogia” allora menzionano le storie con strutture profonde simili. Più in generale le
persone si convincono e si emozionano grazie ad analogie superficiali fornite da altri. Al contrario, quando
sono le persone a costruire, autonomamente, le proprie analogie, allora ci si serve di più delle varianti
basate su delle strutture profonde. Questa differenza corrisponde anche agli usi e agli effetti dell’analogia.
Ci sono delle analogie fatte per convincere, evocando schemi cognitivi collaudati, ma ci sono anche analogie
che portano a soluzioni creative dei problemi.

4. La Decisione

La specie umana possiede la dote di ricavare conoscenze “vere” a partire da altre conoscenze “vere”,
semplicemente pensandoci su. Questa capacità è chiamata deduzione, cioè sulla base della convinzione
iniziale si trae la conclusione. Su questa capacità si fonda la logica, convinzione già affermata da Aristotele.
La logica consiste nel precisare le regole che permettono di ricavare conclusioni da premesse. Se si crede a
quelle premesse, si giunge alla conclusione tramite il ragionamento che ha questa struttura:

se P allora Q

Quindi Q

Ricavare Q dalla premessa Se P allora Q, e dal fatto P, è molto facile.

Dalla lunga tradizione di insegnamento della logica era emerso che alcune strutture inferenziali erano più
facili di altre. E tuttavia, solo nell’ultimo mezzo secolo è nata la psicologia sperimentale del ragionamento.
Se studiate, tramite tecniche sperimentali, quando si ragiona bene e quando si sbaglia scoprite delle
tendenze meno stabili della mente umana. Un conto tuttavia è ottenere questi interessanti e robusti
risultati sperimentali, altro è ricondurli ad una teoria unitaria. Per molto tempo si è pensato che l’uomo
avesse una logica naturale, cioè un’insieme di regole che “producevano le prestazioni” corrette e
spiegavano quelle erronee. Ma dopo si è scoperto che la variabile cruciale non è la struttura logica ma il
contenuto del ragionamento (vedi Rappresentazione mentale). La logica non è la guida del pensiero. Oggi
sappiamo che la mente umana riesce a le conseguenze logiche di regole condizionali se si tratta di
smascherare potenziali imbrogli. Molti psicologi evoluzionisti hanno usato questo risultatoper suggerire
che l’origine delle nostre capacità di ragionamento è nel vivere sociale: nell’individuare chi cerca di
prendersi i benefici del vivere comune senza ricambiare quanto dovuto.

5. L’incoerenza e la focalizzazione

Nel corso della quotidianità viene spesso denunciata come forma di irrazionalità l’accettazione di due
credenze o informazioni che sono incoerenti, nel senso che se una è vera non può esserla l’altra e viceversa.
È comprensibile che una persona possa avere due preferenze o desideri in contatto reciproco. Al contrario,
è sorprendente che si continuino ad accettare come contemporaneamente vere tre proposizioni di tal fatta:

● Se siamo sulla rotta giusta, allora sotto di noi c’è il mare


● Sotto di noi vedo terra
● Siamo sulla rotta giusta

Nell’esempio le asserzioni 1 e 2 vengono pronunciate da due persone diverse. L’incoerenza si pone tra
l’eventuale verità simultanea di quelle tre dichiarazioni e la successiva tranquillità dei piloti. Tale tranquillità
sarebbe stata giustificata solo se fosse data per scontata la verità dell’asserzione 3. Ma se erano vere la 1 e
la 2, non poteva essere vera anche la 3. Per spiegare quello che è successo, è plausibile suppore che i piloti
non si siano accorti che le premesse erano incompatibili con la conclusione implicita. Eppure, dovevano
avere qualche dubbio sulla loro rotta, altrimenti non avrebbero sollevato il problema. Le informazioni 1 e 2
dell’esempio vengono scambiate nel corso di un dialogo. Provengono quindi dalla mente di due persone
diverse, mentre la 3 è un terzo assunto dato per scontato. Tale assunto non viene messo in relazione con le
prime due informazioni. I piloti sembrano accettare sia la premessa condizionale enunciata nel primo sia il
dato osservativo constato nel secondo, sia l’inferenza implicita. Non si accorgono dell’incoerenza di questi
tre assunti e di qui il disastro successivo. Per ottenere coerenza tra le informazioni siamo costretti a
decidere tra i due piloti ha detto una cosa falsa. Quando parliamo di questo tipo di decisioni tendiamo a
costruirci rappresentazioni incomplete dei problemi. Succede così che siamo indotti a credere che possono
essere simultaneamente vere descrizioni del mondo che sono in realtà tra loro incompatibili e che,
viceversa, riteniamo incoerenti stati di cose che in realtà possono benissimo coesistere. “Focalizzazione” è
il termine a questa sorta di restringimento della visione su poche opzioni. Tale “chiusura” conduce le
persone spesso a ritenersi soddisfatte di una ricerca delle alternative possibili anche quando questa ricerca
è incompleta. In particolare, di fronte al problema di decidere se eseguire o no una certa azione, le persone
tendono a costruire un modello alternativo nel quale l’azione non ha luogo. Di conseguenza, per arrivare
alla decisione, le persone si focalizzeranno sull’azione e cercheranno altre informazioni su di essa.
Tralasceranno la ricerca di informazioni su azioni alternative. Si può quindi predire che la focalizzazione
dovrebbe essere ridotta da qualunque manipolazione che renda più disponibili le alternative all’azione.
Immaginate una situazione sperimentale in cui il compito sia quello di prendere una decisione priva di
rischi: andare o no a vedere un certo film. Le persone che partecipano alla prova possono richiedere
qualsiasi informazione utile per prendere una decisione. Lo sperimentatore risponde loro a seconda delle
domande che gli vengono fatte: infatti il compito dei soggetti è quello di continuare a fare domande fino a
quando non prendono una decisione.

Abbiamo una rappresentazione del problema composta da un modello che è esplicito ed esaustivo e da un
secondo modello che viene lasciato implicito. Di conseguenza i soggetti sono focalizzati sull'azione.
Richiedono quindi informazioni solo sull'azione possibile e non cercano informazioni possibili.
Nella condizione di controllo la decisione viene, invece, presentata entro un particolre scenario: ai soggetti
si dice che devono immaginare di visitare per la prima volta una città e che lo sperimentatore è un grande
conoscitore delle attrazioni turistiche e non della città. Tale scenario rende le azioni alternative all'andare al
cinema più disponibili. Risultato: nessuno dei soggetti della condizione iniziale pone domande sulle
alternative all'azione focalizzata (cinema), mentre l'88% dei soggetti della condizione con contesto pone
almeno una domanda sulle alternative a tale azione. Nella vita quotidiana si può osservare lo stesso
fenomeno: quando, nel prendere una decisone, è disponibile una singola opzioni e mancano le alternative
evidenti, vi è una tendenza naturale alla focalizzazione. In conclusione, i fenomeni di focalizzazione sono
importanti per capire come la mente si discosta dai parincipi di razionalità: se un individuo non sa nulla
delle alternative a un particolare corso di azione, non può neppure valutarne l'attività, nè confrontarle con
l'utilità dell'azione stessa. L'ipotesi della focalizzazione permette anche di predire come sarà la richiesta di
informazioni quando ci si ritrova a dover prendere una decisione tra due alternative esplicite. (esempio pag.
221)

6. Soluzione di problemi e creatività

Nella vita incontriamo spesso delle situazioni in cui non sappiamo cosa fare, perché stiamo imboccando il
ramo di un albero decisionale che non sappiamo a cosa ci porterà, ma che ci sembra più conveniente di
altri. Ci sono anche delle situazioni in cui affrontiamo dei problemi ben definiti, dove c'è una sola soluzione
ottimale, e si tratta di individuarla. Alcuni psicologi appartenenti alla Gestalt, a partire dagli anni 20 del
secolo scorso, hanno affrontato questo tipo di situazioni. Essi hanno accertato empiricamente che spesso la
soluzione di problemi di tal fatta non avviene per gradi, per provi per gradi, per prove ed errori, ma per una
sorta di ristrutturazione cognitiva. Molti scienziati e artisti raccontano di aver lavorato su un problema,
senza aver trovato una soluzione soddisfacente. Poi, all'improvviso, la soluzione è apparsa di fronte ai loro
occhi. Anche voi, probabilmente, vedrete "di colpo" la soluzione.

Molte soluzioni di problemi non emergono grazie a un processo per "prove ed errori", per apprendimenti
graduali, ma improvvisamente, quando il problema, viene considerato da un nuovo punto di vista. Non
sempre le persone si muovono adottando collaudate sequenze di decisioni apprese in passato e rivelatesi
efficienti. Per quanto molti comportamenti siano automatici e non siano oggetto di scelte deliberate e
ponderate, esistono delle soluzioni nella vita in cui dobbiamo fermarci e riflettere. Dobbiamo, cioè,
risolvere un problema che non possimo ignorare. Molto spesso i problemi sono troppo complessi per venire
risolti immediatamente. In questi casi noi siamo soliti ricorrre a due strategie:

1. suddividere il problema in sottoproblemi


2. non usare algoritmi in soluzioni, ma euristiche

Gli algoritmi sono una serie di regole che, se adottate esplicitamente, permettono di risolevere il problema.
Parallelamente algli algoritmi, ci sono anche le regole euristiche, cioè regole che non riescono a dare una
descrizione dettagliata delle strategie per raggiungere la soluzione, ma che ci cnsentono di affronatre il
problema "al meglio". La soluzione non sarà mai ottimale, ma i risultati saranno comunque soddifacienti.

Data la tendenza a focalizzarsi, una delle euristiche più potenti è l'analisi mezzi - fini, che ci guida nel
considerare approcci alternativi alla soluzione. A tale scopo è opportuno affronatare un problema
distinguendo:

● stato iniziale
● stato obiettivo
● operatori
● stati intermedi del problema

Queste 4 componenti definiscono lo spazio del problema: uno stato inziale efficace può guidarci verso
modelli che ci permettono di raggiungere facilmente la soluzione.

6.1 Ragionamento e attività di progettazione

Simon ha più volte comparato l'attività di soluzione dei problemi alle attività di progettazione, sviluppata
in:

● Progettazione
● Soluzione
● Impresa (aggregato multidimensionale di pratiche, regole, procedure, schemi di incentivi. Si tratta
di elementi le cui interazioni sono ampiamente sconosciute anche chi le amministra e testimone di
ciò sono le conseguenze imprevste)

Simon ha mostrato che la risoluzione di problemi da parte di agenti a razionalità limitata (quali sono gli
uomo che sono costretti a usare euristiche, dati i limiti cognitivi) procede necessariamente tramite la
decomposizione di un problema complesso. Si ottengono così sottoproblemi di dimensioni minori che si
possono risolvere l'uno indipendentemente dall'altro. Si tratta di quella che potremmo chiamare la divisone
del lavoro nell'attività di soluzione dei problemi. Più in generale, per aumetare la propria efficacia nella
soluzione di problemi complessi, è opportuno decomporli in sottoinsiemi relativamente indipendenti. Una
perfetta decomposizione, cioè, che raccolga in sottoproblemi separati tutti e solo gli elementi che sono
dipendenti l'uno dall'altro, può essere progettata solo da chi abbai laperfetta conoscenza del problema. Ciò
non è possibile per agenti a razionalità limitata. Di qui l'uilità di sistemi potenti di elaborazione delle
informazioni.

6.2 La soluzione creativa dei problemi

La soluzione dei problemi può essere più o meno efficace. In casi limite,

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