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INTRODUZIONE

Dopo otto secoli, l'interesse per la cosiddetta “disputa di Barcellona”,


l'incontro che avvenne sotto l'egida di re Giacomo I di Aragona tra Mosè ben
Nachman, conosciuto come Nachmanide, (o con l'acronimo Ramban)
grande figura dell'ebraismo medievale, e Paul Christiani, ebreo convertitosi
al cristianesimo e diventato domenicano, ancora suscita un notevole
interesse; innanzitutto per come questa disputa illumini i rapporti che
intercorrevano nell'Europa del 1200 tra ebrei e cristiani, laddove il periodo
della convivenza, se non sempre serena almeno pacifica volgeva al
termine, spinto dalle nuove istanze della Chiesa, il cui modello teocratico si
andava rafforzando anche grazie all'aiuto degli ordini mendicanti.

Afferma rav. Scialom Bahbout nella prefazione all'edizione della


“Disputa di Barcellona” utilizzata per questo lavoro:

«In tempo di dialogo ebraico-cristiano, la pubblicazione della Disputa di


Barcellona può sembrare fuori luogo, perché narra un fatto che ci riporta
indietro di vari secoli, quando l'unica forma di “dialogo” erano le prediche
coatte oppure le dispute pubbliche, che la Chiesa imponeva al solo fine di
dimostrare la superiorità del cristianesimo sull'ebraismo, con l'implicita
necessità per gli ebrei di rinunciare ad una fede “superata” da un'altra più
“vera”».1

Da questa affermazione possiamo capire come proprio in tempo di dialogo,


sia necessario stabilire cosa per “dialogo” si debba intendere, ed entro quali
limiti esso si debba e si possa svolgere.

Molti sono gli aspetti della disputa che ancora necessitano di essere
studiati. Chi fu il promotore e l'organizzatore della disputa? Perché venne

1
MOSHÈ BEN NACHMAN, La disputa di Barcellona – Sefer Vikkuach. Introduzione, traduzione dal
testo ebraico e note di Francesco Bianchi, Edizioni Lamed, Roma, 1999, p. 3.

1
convocata? Perché il vescovo di Girona, Pedro de Castelnou sente
l'esigenza di avere una relazione della disputa, e ne affida la stesura a
Nachmanide stesso, che la porta a termine due anni dopo la disputa? E
quale rapporto intercorre fra questo testo scritto dal Ramban per la Chiesa
locale di Girona, e il verbale breve e molto burocratico stilato invece dai
domenicani pochi giorni dopo la chiusura della disputa? Brevemente,
attraverso il confronto fra i due testi e le ipotesi di due studiosi del testo,
Martin A. Cohen2 e Robert Chazan3, cercheremo di rispondere a queste
domande, facendo parlare gli attori di questo incontro, che quasi ottocento
anni dopo ancora suscita curiosità, attenzione ed interesse nell'ambito del
dialogo ebraico-cristiano.

2
Nato negli USA nel 1930, è professore di Storia Giudaica all'Huc-Jir di New York.
3
Nato negli USA nel 1936, è professore di Storia giudaica medievale, esperto di relazioni e
dispute giudaico cristiane.

2
LA DISPUTA E IL SUO CONTESTO STORICO-RELIGIOSO

La prima edizione della “Disputa di Barcellona”, titolo in ebraico “Sefer


Vikkuach”, fu pubblicata nel 1681 dal protestante H. C. Wahenseil 4, in una
raccolta di opere che sarebbe servita alla conversione degli ebrei. Purtroppo
il manoscritto scelto dal Wahenseil proveniva da un codice a cui mancava la
parte iniziale, che interpolava alcune espressioni offensive verso Paul
Christiani, e limitava pesantemente il dialogo ai due soli attori principali.

Quando si svolge la disputa, tra il 20 e il 27 luglio del 1263, Giacomo I


il conquistatore regnava da ormai quasi cinquanta anni sulla Catalogna e
sull'Aragona. Dopo un lungo periodo di lotte interne, che avevano debilitato
l'unità territoriale e l'influenza della Spagna nei territori confinanti a nord, il re
volse la sua attenzione alla cosiddetta “reconquista” dei territori catalani e
aragonesi in mano agli arabi, ottenendo così coesione alle diverse parti del
suo regno, ed unendo l'interesse di nobili e cavalieri sotto un'operazione
militare che veniva sempre più percepita come necessaria. Tuttavia dopo il
1240, quando la reconquista ormai portata a termine iniziava a spegnere la
propria forza propulsiva, si riaffacciò la crisi interna, che segnò l'ultimo
periodo del regno di Giacomo I.

Dal punto di vista religioso, la disputa si svolge durante il pontificato di


Urbano IV5, uomo estraneo alla curia romana, che governò la Chiesa dal
1261 all'ottobre 1264. Papa Urbano proseguì il progetto dei pontefici
precedenti, volto all'affermazione della superiorità del papato sull'impero,
continuando le ostilità con i Svevi. Ma la lotta verso l'esterno 6 aveva finito
per porre in secondo piano l'attenzione per la Chiesa universale, e già
4
1633-1705. Realizzò questa antologia di testi per combattere la blasfemia ebraica nei confronti
di Gesù e con evidente intento missionario.
5
Nato Jacques Pantaléon (Troyes, ca. 1195 – Deruta, 2 ottobre 1264), fu il 182º papa della Chiesa
cattolica dal 1261 alla morte.
6
Soprattutto negli anni precedenti, la lotta contro Federico II.

3
Innocenzo III7 aveva iniziato quell'opera riformatrice che donò nuova linfa
interna alla Chiesa, soprattutto grazie alla nascita e alla diffusione degli
ordini mendicanti. I francescani, e i domenicani8 soggetti attivi della vita
della Chiesa dell'epoca e della disputa, divennero ben presto strumenti
ideali per le riforme della Chiesa. Soprattutto i domenicani rappresentarono
nell'Europa del tempo il braccio della Chiesa, e all'alta attività intellettuale
ben presto affiancarono una collaborazione più “aggressiva” con il papato e
le chiese locali, volta alla persuasione e alla conversione degli “infedeli”.

Al momento della disputa gli ebrei vivevano in Spagna da almeno


mille anni: le prime traccie di presenza ebraica in terra iberica sono del 200,
ed è del secolo successivo la prima legislazione antiebraica del concilio di
Elvira9, che sancisce una netta separazione di ebrei e cristiani nella vita
sociale. Con la dominazione araba la situazione mutò radicalmente: sotto gli
Ommaiadi gli ebrei prosperarono, e molte città del sud, come Granada,
venivano chiamate “città ebraiche”. Sotto il dominio degli Almoravidi e degli
Almoaidi le cose cambiarono di nuovo: agli ebrei fu impedita la pratica della
propria religione, e riapparve la conversione forzata, questa volta verso
l'Islam. La presenza ebraica nella Spagna settentrionale e occidentale è più
discreta: gli ebrei sono coinvolti nel commercio, nell'industria,
nell'artigianato. Dopo la reconquista sono legati alla camera imperiale, da
cui dipende strettamente la loro attività economica. Le comunità ebraiche,
conosciute con il nome arabo di aljiama, conservano comunque un'ampia
autonomia e diritti, spesso equiparati a quelli della popolazione cristiana.

7
Nato Lotario dei Conti di Segni (Gavignano o Anagni, 22 febbraio 1161 – Perugia, 16 luglio
1216), fu il 176º papa della Chiesa cattolica dal 1198 alla morte.
8
Fondato da Domenico di Guzman e da alcuni suoi compagni a Tolosa nel 1207, l'ordine
domenicano adottò la regola agostiniana ed ottenne il riconoscimento da papa Onorio III nel
1216. Impegnato nella predicazione, fu un ordine fondamentale in epoca Scolastica, con
l'insegnamento nelle università di Parigi e di Colonia di personaggi fondamentali come Alberto
Magno e Tommaso d'Aquino.
9
Si celebrò circa nel 306 d.C. nella città di Elvira (il nome di Granada prima della conquista
araba, nell'allora Hispania).

4
Quella di Catalogna è forse la più antica comunità del paese. Sotto il regno
di Giacomo I ebrei assistevano il re come interpreti della lingua araba, e
venivano invitati dal sovrano ad insediarsi nelle terre appena strappate agli
arabi. La vita intellettuale e religiosa si concentrò a Girona, sobborgo di
Barcellona, luogo di origine di importanti studiosi, caratterizzati per l'ostilità
contro il pensiero razionale di Maimonide e della sua scuola10.

Questa situazione di generale tolleranza rappresenta un'eccezione se


paragonata al resto d'Europa, dove invece , dopo la legislazione antiebraica
del Concilio Lateranense IV11 le condizioni di vita degli ebrei erano sempre
peggio. Erano cominciate le prime controversie sul Talmud, che
accompagnavano la nascita di una società violenta, dove l'eretico,
l'emarginato, l'ebreo, erano considerati nemici da eliminare. Contro gli ebrei
in particolare si rivolse la potenza intellettuale dell'ordine domenicano, già
affianco della Chiesa nella lotta contro l'eresia albigese. Chiesa e
domenicani divennero importanti soggetti per il processo di pacificazione
interno alla Spagna di Giacomo I. In cambio di questa assistenza, ed in
favore dei domenicani e della Chiesa, il sovrano avrebbe deciso di
organizzare la disputa fra Nachmanide ed il domenicano Paul Christiani, a
seguito della quale sarebbero stati introdottoti nel regno la censura sui libri
ebraici e le prediche coatte.

10
Lo stesso Nachmanide intervenì e mediò la pace fra la sua scuola e la corrente opposta dei
seguaci di Maimonide.
11
Fu convocato a Roma da papa Innocenzo III, diventato papa nel 1198, con la bolla Vineam
Domini Sabaoth, emanata il 19 aprile 1213. Fu il dodicesimo concilio ecumenico della Chiesa.

5
I PROTAGONISTI DELLA DISPUTA

Paul Christiani

Nato da una famiglia ebraica a Motpellier, aveva ricevuto


un'educazione religiosa, che dalla disputa risulta comunque assai poco
profonda, e probabilmente più incentrata sulle Haggadot che sull'Halakah e
la Legge. Non si conosce né il nome ebraico, né le motivazioni che lo
condussero prima alla conversione, poi nell'ordine domenicano. Sappiamo
che come domenicano percorse la Provenza, predicando senza successo
nelle sinagoghe locali. Intorno al 1260 giunse in catalogna dove nell'estate
del 1263 a Barcellona, alla presenza del re, di Raymond de Penyafort e di
Raimondo Martì condusse la disputa contro il Ramban. Nei mesi
immediatamente dopo la disputa, fu inviato a Viterbo, dove l'ordine
domenicano sollecitò a papa Clemente IV un'azione contro Nachmanide e il
Talmud. Pochi anni dopo la sua presenza è di nuovo registrata in Provenza,
dove ottene dal re Luigi IX che gli ebrei indossassero, su indicazione del
Concilio Lateranense IV, un segno distintivo e fossero obbligati all'ascolto
delle prediche coatte. In Provenza sembra abbia condotto un'altra disputa,
contro il rabbino Mordechai ben Josef di Avignone. Muore a Taormina
intorno al 1274.

Raimondo de Penyafort

Nato da una famiglia nobile aragonese nel 1175, studiò retorica a


Barcellona e poi diritto a Bologna. Nel 1222 entrò nell'ordine domenicano,
lavorando per l'applicazione dei canoni del Concilio Lateranense IV in terra

6
di Spagna, e predicando intensamente la crociata di Giacomo I per la
reconquista. A partire dal 1230 fu confessore di Gregorio IX e penitenziario
di Santa Romana Chiesa. Dal 1238 al 1240 fu generale dell'ordine
domenicano, per il quale riformò le costituzioni. Dopo il definitivo rientro in
patria fu sempre impegnato nell'opera missionaria rivolta agli ebrei e ai
mussulmani, soprattutto attraverso la fondazione di scuole linguistiche. Morì
il 6 gennaio 1275.

Raimondo Martì

Menzionato nella quarta giornata della disputa, era nato a Subirats


intorno al 1230, e secondo racconti, si sarebbe convertito dall'ebraismo al
cristianesimo intorno ai quaranta anni. È invece certo che soggiornò a Parigi
dopo gli studi, dove divenne assistente di Alberto Magno, e dove si formò
alla scuola tomistica. Al rientro in patria fu uno degli otto frati che si dedicò
allo studio dell'arabo. Morì nel 1285, lasciando almeno due opere
fondamentali nella polemica antiebraica, nelle quali si riflette una profonda
conoscenza diretta del testo ebraico della Bibbia, di targumim e del Talmud:
Capistrum iudaeorum e il più famoso Pugio Fidei.

Mosè ben Nachman

Conosciuto nella tradizione ebraica coll'acronimo Ramban, Rabbì


Mosè ben Nachman, nacque a Girona nel 1194. studiò a Barcellona ed
esercitò la professione di medico. Legato alla scuola cabbalistica di Girona
(fra i suoi maestri il grande Isacco il cieco), questo fatto, come già detto, non
gli impedì di mediare nella controversia sulla filosofia della “guida dei
perplessi” di Maimonide, che si scatenò fra i “mistici” cabbalistici e i

7
“razionalisti” maimonidei. Nell'imminenza della disputa venne probabilmente
eletto rabbino maggiore di Catalogna, cosa che intensificò i suoi contatti con
la casa imperiale e Giacomo I, al quale lo lega amicizia e confidenza, come
traspare chiaramente dal testo della disputa. Lasciò alla sua morte
un'imponente opera letteraria, tra cui il suo famosissimo commento alla
Torah, i commenti a Giobbe e all'Ecclesiaste, una breve esposizione su Is
53, che mostra la posizione ebraica sui canti del Servo, rispetto
all'interpretazione cristiana. Suo anche un importante commento al Sefer
Yezirah, dove espone le sue teorie cabbalistiche sulle sefirot, sulla
trasmigrazione delle anime, sulla retribuzione e sull'inizio dell'era
messianica.

8
LA DISPUTA DI BARCELLONA

Il compito più difficile davanti cui si trova lo storico che affronta la


Disputa è quello, come già accennato, di capire le ragioni che condussero
alla sua organizzazione e svolgimento. Il confronto incrociato dei due testi,
quello ebraico e il breve rapporto dei domenicani in latino aiuta in questo.
Nachmanide, avendo scritto il suo testo ebraico a due anni dalla disputa, fu
influenzato dalla distanza degli eventi, e la sua riflessione postuma lo portò
probabilmente ad accentuare alcuni passaggi e a sottacerne altri. ma
nemmeno il verbale latino è scevro di problemi: intanto ne esistono due
versioni: la prima, conservata nel registro reale di Barcellona, datata 20
luglio 1263, il primo giorno della disputa; la seconda conservata nel
cartulario della diocesi di Girona, datata 20 settembre dello stesso anno.
Quest'ultimo testo ha inoltre almeno cinque righe in più del primo. Il
confronto con il testo ebraico mostra come il redattore del testo latino
ridusse il resoconto della discussione ad un solo giorno. Il testo di
Barcellona fa riconoscere a Nachmanide la messianicità di Gesù:

«(...) vinto dalle necessarie dimostrazioni e da citazioni inconfutabili,


riconobbe (Ramban) che Cristo, ovvero il Messia, essendo già trascorsi
mille anni, era nato a Betlemme e poi era apparso a qualcuno a Roma»,12

cosa che le cinque righe extra di Girona negano fermamente. Anche


l'epilogo, ma torneremo su questo alla fine del lavoro, ci mette davanti ad un
problema storico: un documento dell'archivio reale conferma quanto narrato
nel Vikkuach, che cioè Giacomo I pagò a Nachmanide le spese sostenute,
smentendo il testo latino che accusa il filosofo ebreo di essersi dato alla
fuga.

La Disputa fu convocata per ordine di re Giacomo I; su questo punto


12
MOSHÈ BEN NACHMAN, La disputa di Barcellona, 29.

9
concorda sia il testo ebraico:

«Il re, mio Signore, mi ha ordinato di disputare alla sua presenza e dei suoi
consiglieri con Paul nel suo palazzo»,13

che quello latino:

«(...) essendo stato convocato Girona Mosè, ebreo, detto il maestro, dallo
stesso Signore il re su richiesta dei frati domenicani (...)».14

Si noti però come il testo latino aggiunge un'altra informazione, taciuta dal
Vikkuach: lo svolgimento della disputa fu chiesto con forza dai domenicani.
Le condizioni di disordine interno in cui il regno versava spinsero Giacomo I
ad accogliere questa richiesta, finalizzata probabilmente a sperimentare un
nuovo metodo missionario, basato sui testi del Talmud e delle Haggadot.
Sul perché dell'accettazione di Nachmanide due diverse ipotesi: Cohen
pensa che il Ramban avrebbe preso parte alla disputa per obbedire
all'ordine del re che aveva bisogno dell'appoggio dei domenicani, e per
evitare che la sua comunità ebraica soffrisse guai peggiori. La sua presenza
avrebbe permesso la realizzazione dei piani reali, sottolineando il trionfo dei
domenicani. Chazan disegna uno scenario differente: Nachmanide difese
con vigore la causa ebraica, e non fu certo un avversario accomodante. Il
testo sembra riflettere più questa ipotesi, e potrebbe ribaltare la prima: la
partecipazione del rabbino di Girona alla disputa poteva servire alla
comunità ebraica come mezzo per conoscere meglio le nuove tecniche e i
nuovi argomenti missionari dei cristiani, e, una volta appresi, per confutare i
pericoli ai propri correligionari.

Nachmanide specifica di aver accettato di partecipare alla disputa


dopo aver ricevuto dal re l'assicurazione di poter parlare liberamente:

«Eseguirò gli ordini del mio re, mio signore, a patto che mi sia concesso il

13
MOSHÈ BEN NACHMAN, La disputa di Barcellona, 48.
14
MOSHÈ BEN NACHMAN, La disputa di Barcellona, 31.

10
potere di parlare come voglio».15

Tuttavia, la realtà fu ben diversa: Ramban fu sempre costretto a dover


rispondere alle contestazioni mosse da Paul Christiani, e non fu mai libero
di interrogare il suo avversario. La ricorrente situazione difensiva è
sottolineata dal testo in più parti, soprattutto nella ricorrenza
dell'espressione “e non vollero ascoltare”, quando Nachmanide tentava di
chiarire meglio la sua posizione su determinati punti.

Per ciò che riguarda l'ordine dei lavori, il Vikkuach fa seguire alla
lunga citazione talmudica iniziale, un breve dialogo fra Nachmanide e gli
altri partecipanti, che riassume l'ordine dei lavori:

«Ci accordammo perciò che avremmo discusso dapprima il tema del


Messia, se fosse già arrivato secondo la fede dei cristiani oppure se dovrà
venire in futuro, secondo la fede degli ebrei. Dopo avremmo discusso se lo
stesso Messia sia vero Dio oppure un uomo vero e proprio, generato da
uomo e donna. Infine avremmo discusso se noi ebrei professiamo la vera
religione».16

Il testo latino afferma che si discuterà del Messia, se era vero Dio e vero
uomo, se ha sofferto ed è morto per la salvezza del genere umano e se
l'osservanza della legge sia cessata dopo il Messia. I due testi sembrano
sostanzialmente concordare sui punti da trattare. Il secondo giorno
Nachmanide afferma che nell'ebraismo il Messia non ha affatto il ruolo
fondamentale che ha nella cristianità.

«O Re, mio Signore, né il nostro diritto, né la nostra verità, né la nostra


legge hanno il loro centro di gravità nel Messia, poiché per noi tu sei assai
più importante del Messia. Tu sei il re e lui è il re. Tu sei un re gentile. Lui è
il re d'Israele. Il Messia non è altro che un re di carne e di sangue simile a
te».17
15
MOSHÈ BEN NACHMAN, La disputa di Barcellona, 42.
16
MOSHÈ BEN NACHMAN, La disputa di Barcellona, 48.
17
MOSHÈ BEN NACHMAN, La disputa di Barcellona, 59.

11
È da sottolineare che il discorso di Paul Christiani non si basa mai sulla
figura storica di Gesù Cristo, che invece trova l'ostilità, sulla base dei testi
rabbinici, da parte di Nachmanide, ma adducendo come prove testi ebraici,
il domenicano descrive la figura del Messia come realizzata storicamente in
Gesù, figura che toglie ogni valore alla legge.

Nachmanide, dopo aver sottolineato il diverso e decrescente grado


d'importanza delle scritture ebraiche, la Bibbia, il Talmud, e infine le
haggadot, scritti edificanti ma che

«Per chi ci crede è bene, ma chi non ci crede non ne avrà danno»,18

sottolinea come le prove addotte per giustificare la venuta messianica nel


Cristo siano di tipo haggadico, e perciò non vincolanti la fede dell'ebreo.
Inoltre, afferma Nachmanide partendo da una citazione di Gn 3, 16:

«“con dolore partorirai figli”. Tutto questo dura fino ad oggi. Nulla di visibile
e di sensibile è stato espiato a causa del vostro Messia».19

Così Nachmanide muove contestazioni di carattere storico, cercando di


dimostrare come la messianicità di Gesù fosse stata già rigettata dai suoi
contemporanei. Le obiezioni del pensatore ebreo si basano su ragionamenti
di tipo filosofico che sottolineano l'inconciliabilità di razionalità ed
irrazionalità20. Le basi della fede cristiana, come la messianicità di Cristo, o il
mistero trinitario, nella loro presunta illogicità, possono secondo il pensatore
ebreo essere accettati solo da chi è stato cresciuto in quella fede. In questo
troviamo chiaramente l'apporto del pensiero di Maimonide, che nella Guida
dei perplessi, nello stabilire ciò che Dio possa o non possa fare, aveva
posto questo limite nella ragione, che determina ciò che è possibile. Dio per
Maimonide non può fare l'impossibile: non può quindi fare esistere qualcuno

18
MOSHÈ BEN NACHMAN, La disputa di Barcellona, 56.
19
MOSHÈ BEN NACHMAN, La disputa di Barcellona, 58.
20
Questo argomento appare già nel Kuzari, di Yehuda Ha Levi, dove il re dei Khazari sottolinea
che la stessa logica respinge i fondamenti della fede cristiana.

12
simile a Lui, non può distruggere se stesso o diventare Egli stesso un corpo.
Non può cambiare, o essere al tempo stesso uno e trino. Ed è proprio sulla
Trinità che Nachmanide concentra il maggior numero di obiezioni, che fa
ruotare attorno a quattro punti: a) la Trinità implica materia; b) gli attributi
divini non sono persone; c) la generazione smentisce l'unità; d) la logica
aristotelica smentisce la Trinità.

Paul Christiani di suo, attacca Nachmanide sul suo stesso terreno,


quello del materiale haggadico, che contiene, come già detto, molto
materiale sulla figura del Messia. E Nachmanide risulta spesso imbarazzato
nel dover negare ogni valore probante a questa letteratura altrimenti tanto
importante per lui. Christiani, dimostrando di conoscere bene il suo
“nemico”, utilizza proprio una serie di passi che Nachmanide aveva studiato
a fondo: Gn 49, 10:

«Continuò a parlare e disse: “non sarà sottratto lo scettro da Giuda...finché


non verrà Shiloh”, cioè il Messia 21. Dal momento che il profeta ha detto che
Giuda avrà per sempre forza, fino al giorno in cui verrà il Messia che uscirà
dalla sua stirpe. Ma voi che oggi non avete scettro alcuno e non avete chi
impone la legge, voi dovete proprio riconoscere che il Messia è già venuto,
che egli proviene dalla sua stirpe (da noi) e che lui ha il potere».22

Dn 9, 22-24, uno dei passi preferiti per calcolare la data di avvento del
messia, e che il domenicano utilizza per cercare di dimostrare la natura
umana e divina del Messia:

«Daniele dice: “settanta settimane di anni sono fissate per l tuo popolo e
per la tua santa città per mettere fine alla malvagità, per mettere fine al
peccato, per espiare la colpa, e per sigillare la visione e per far venire la
giustizia eterna e per ungere il santo dei santi”. Settanta settimane sono
490 anni. Settanta settimane vanno riferite agli anni e non ai giorni. 420
21
Qui Christiani riprende l'esegesi che del passo avevano offerto, prima Bereshit Rabbà 99,8, poi
Rashi.
22
MOSHÈ BEN NACHMAN, La disputa di Barcellona, 50.

13
sono gli anni del secondo tempio e 70 sono gli anni dell'esilio di Babilonia e
allora venne il Santo dei Santi, cioè Gesù».23

Grande importanza viene data anche a Is 52, uno dei canti del Servo, di
grande valore cristologico. Rispetto a questo passo una differenza
sostanziale esiste fra il testo ebraico e quello latino: Nachmanide da tanta
importanza al passo, al punto di dedicargli un piccolo trattato. Coglie nel
servo la raffigurazione di un messia puramente umano, che avrebbe sì
sperimentato la sofferenza e il dolore per colpa di Israele, ma senza alcun
intento espiatorio, ma avrebbe trionfato sui suoi nemici e sarebbe morto
vecchio e sereno. Il testo latino, per motivi ancora inspiegabili, non conserva
nessuna traccia di discussione relativa a Is 52.

L'esito della disputa e gli eventi successivi

Uno di punti di maggior contraddizione fra il Vikkuach e il verbale


latino, come già accennato, verte intorno alla conclusione della disputa: nel
racconto di Nachmanide la chiusura della disputa è da lui chiesta all'inizio
della quarta sessione, soprattutto per le forti pressioni antiebraiche che essa
stava suscitando nel popolo:

«Dissi al re: “non voglio proseguire la disputa”. Il re replicò: “perché?”.


Risposi: “ecco, la gran parte della comunità ebraica che c'è in questo luogo
mi prega e mi supplica riguardo a questo, perché hanno grandemente
paura di quegli uomini, i domenicani che spargono odio su tutto il mondo e
anche perché alcuni far i prelati e i nobili in mezzo a loro mi hanno mandato
a dire di non fare ancora così».24

La discussione sul messia riprende comunque, con Christiani che domanda:

23
MOSHÈ BEN NACHMAN, La disputa di Barcellona, 62.
24
MOSHÈ BEN NACHMAN, La disputa di Barcellona, 68.

14
«Tu credi forse che il Messia, di cui parlano i saggi, sia un uomo vero, nato
da donna, e che sarà Dio vero?»25

e con la risposta da parte del pensatore ebreo che accusa Paul Christiani di
presentare un'interpretazione sbagliata del testo ebraico:

«è vero che il Messia dovrà venire, che sarà uomo vero, nato da padre e
madre, dalla loro unione carnale come me, e che sarà della stirpe di Davide
e di discendenza regale, come sta scritto: “Spunterà un germoglio dal
tronco di Jesse”. (…) Se fosse nato dallo Spirito Santo, secondo le vostre
parole, non sarebbe affatto del tronco di Jesse».26

La disputa vera e propria termina qui, con il re che elogia Nachmanide


perché

«non ho mai visto un uomo che non ha ragione, rispondergli così bene
come hai fatto tu».27

Su richiesta del re, Nachmanide accetta di rimanere a Barcellona fino al


sabato successivo, il 4 agosto 1263, giorno in cui c'è una breve ripresa della
disputa sull'argomento trinitario, a cui, davanti ad esempi volti ad affermare
la Trinità, portati dall'uditorio cristiano, Nachmanide risponde semplicemente
che

«è evidente che l'uomo ha fede in ciò che conosce. Perciò nemmeno gli
angeli possono avere fede nella Trinità».28

Il giorno dopo, Nachmanide saluta il re, che con grande affetto lo fa andare
via, donandogli 300 soldi d'oro in risarcimento delle spese sostenute. Fin qui
il testo ebraico. Il testo latino afferma che Nachmanide, non riuscendo a
contrastare la potenza rigorosa delle affermazioni trinitarie di Christiani,
sarebbe fuggito dalla città, senza peraltro discutere della legge. Cohen

25
MOSHÈ BEN NACHMAN, La disputa di Barcellona, 69.
26
MOSHÈ BEN NACHMAN, La disputa di Barcellona, 69.
27
MOSHÈ BEN NACHMAN, La disputa di Barcellona, 74.
28
MOSHÈ BEN NACHMAN, La disputa di Barcellona, 76.

15
pensa che il verbale latino sia strumentale al disegno dei domenicani.
Questa ipotesi è rafforzata dagli eventi successivi: la promulgazione di una
serie di editti che mostrano chiaramente come la disputa fosse stato solo
l'atto iniziale dell'attacco domenicano. Questi editti dimostrano anche che i
domenicani avessero avuto la meglio nella disputa: il re avrebbe potuto
emanare gli editti comunque, ma con la disputa sottolineò la superiorità dei
domenicani, e suggellò l'alleanza fra l'ordine e la corona.

In epoca successiva agli editti si colloca la composizione del testo


richiesto dal vescovo di Girona. Fu mosso da semplice curiosità intellettuale,
dalla volontà che i cristiani conoscessero il testo di Nachmanide per meglio
confutarlo, o ancora dal bisogno di ostacolare i domenicani, che
diventavano troppo potenti? Da parte di Nachmanide non si può escludere
che aderì a questo progetto per far conoscere agli ebrei le nuove tecniche
missionarie cristiane, e che il testo del vescovo di Girona fosse una versione
ridotta di un testo che circolava tra gli ebrei. Questo spiegherebbe la
violenta reazione dei domenicani, che denunciarono di blasfemia
Nachmanide, ottenendo però dal re solo una multa:

«noi volevamo esiliare dalla nostra terra per due anni lo stesso ebreo e far
bruciare i libri che erano scritti con le suddette parole. Questa sentenza i
padri predicatori non vollero affatto accettare. Pertanto, noi Giacomo, re per
grazia di Dio, concediamo allo stesso maestro ebreo Bonastruc de Porta di
non dover più rispondere in alcun foro dei fatti accaduti e di altri fatti futuri,
se non in nostra presenza e in nostro potere».29

Le parole per cui Nachmanide (qui chiamato Bonastruc), era accusato di


blasfemia erano state pronunciate durante la disputa. La lealtà del re non fa
altro che ricordare la garanzia che lo stesso sovrano aveva dato all'ebreo,
prima dell'inizio della disputa, di dire ogni cosa, e così far cadere le accuse.
La multa di cinquecento morabiti non esaurì l'ostilità domenicana: Paul
29
MOSHÈ BEN NACHMAN, La disputa di Barcellona, 41.

16
Christiani si recò a Viterbo da Clemente IV, che con una bolla papale del
1266 si oppose alle decisioni del re, accusandolo di affidare incarichi
prestigiosi agli ebrei, e chiedendo che

«tu punisca soprattutto l'audacia di colui che si dice abbia composto un libro
con molte menzogne riunite e messe insieme».30

Questa bolla non ebbe comunque nessun effetto pratico, dal momento che
Nachmanide aveva raggiunto nel settembre del 1267 il porto di san
Giovanni d'Acri in Palestina.

30
MOSHÈ BEN NACHMAN, La disputa di Barcellona, 42.

17
CONCLUSIONE

La Disputa di Barcellona, nonostante i tanti problemi testuali, e le


domande che essi lasciano ancora aperte, rappresenta una finestra
privilegiata sulle relazioni intercorrenti fra gli ebrei e i cristiani nella Spagna
basso-medievale. In un'epoca in cui gli ebrei pagavano caro il nuovo assetto
della Chiesa e la nuova autocoscienza sempre più teocratica, anche nella
Spagna fino a quel momento sostanzialmente tollerante gli ebrei iniziavano
a subire persecuzioni, sulla base di accuse dottrinali. Nonostante l'amicizia
che legava Nachmanide al re, la corona deve piegare il capo davanti alla
ragione di stato, e il bisogno di ottenere una coesione interna che mancava,
era superiore a qualsiasi rapporto personale. L'apertura di Innocenzo III agli
ordini mendicanti offrì a Giacomo I l'occasione di far schierare al suo fianco
l'ordine domenicano, già attore in Europa di crociate contro le eresie
dilaganti che stavano frammentando il tessuto ecclesiale. Il prezzo da
pagare era l'aiutare i domenicani ad acquistare maggior potere, intellettuale
e politico. La Disputa offrì l'occasione perfetta: pilotata verso una vittoria
schiacciante dei predicatori domenicani, avrebbe ribadito, a scapito degli
ebrei, la superiorità cristiana. Nachmanide, nonostante le assicurazioni di
imparzialità nello svolgimento della disputa, si trovò a dover assumere una
posizione sempre difensiva, e paradossalmente a svalutare un corpus di
letteratura, quella haggadica, pur di difendere le sue posizioni. L'esilio auto
inflitto risparmiò a Nachmanide i problemi che i domenicani suscitarono
presso la Santa Sede.

La disputa fu considerata vinta dai cristiani, e non fu che l'atto iniziale


di un'offensiva antiebraica che ebbe il suo culmine nell'espulsione degli
ebrei dalla Spagna cattolica.

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BIBLIOGRAFIA

Libri

IDEL M. - PERANI M., Nahmanide esegeta e cabbalista. Studi e testi,


Giuntina, Firenze, 1998.

MOSHÈ BEN NACHMAN, La Disputa di Barcellona – Sefer Vikkuach


haRamban, Introduzione, traduzionedal testo ebraico e note di Francesco
Bianchi, Edizioni Lamed, Roma, 1999.

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Indice generale
INTRODUZIONE..................................................................................................................1
LA DISPUTA E IL SUO CONTESTO STORICO-RELIGIOSO..........................................3
I PROTAGONISTI DELLA DISPUTA.................................................................................6
Paul Christiani...............................................................................................................6
Raimondo de Penyafort.................................................................................................6
Raimondo Martì............................................................................................................7
Mosè ben Nachman.......................................................................................................7
LA DISPUTA DI BARCELLONA........................................................................................9
L'esito della disputa e gli eventi successivi.................................................................14
CONCLUSIONE..................................................................................................................18
BIBLIOGRAFIA..................................................................................................................19

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