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Lezione I
Ottocento: italofoni e dialettofoni
- Alba dell’Unità d’Italia (1861), la gran parte dei cittadini non è in grado di comprendere né la lingua
(l’italiano) né la letteratura nazionali, perché parla il dialetto del luogo in cui vive. Quei poche che parlano
italiano sono gli appartenenti alle classi sociali più elevate, che si occupano di mestieri “superiori”: classe
borghese e nobili (questi ultimi parlano in genere entrambi, sia dialetto che italiano)
- Dopo 50 anni circa la situazione non cambia, le inchieste di antropologi positivisti (Lombroso-Carrara per
Piemonte e Sardegna, Lussana per l’Abruzzo) ribadiscono la stessa situazione > consapevolezza di un
enorme dislivello tra una ristretta minoranza colta e un’immensa maggioranza tagliata fuori dagli scambi
intellettuali
- De Mauro (storia linguistica dell’Italia unita, 1963): <<un diretto contatto con la lingua comune e la sua
effettiva e definitiva acquisizione erano riservati [...] soltanto a coloro che dopo le scuole elementari (che
duravano solamente 2 anni) continuavano per qualche anno gli studi>>. Fanno eccezione, la Toscana, dove
i dialetti locali erano particolarmente vicini alla struttura fono-morfologica e lessicale della lingua comune, e
Roma, in cui <<le istituzioni scolastiche popolari erano più efficienti che altrove>>
- Secondo Arrigo Castellani (Quanti erano gli italofoni nel 1861?, 1982) gli italofoni nel 1861 sarebbero stati
circa il 9,52% della popolazione
- A questa cifra, Castellani, ritiene debba essere aggiunto il piccolissimo insieme degli illetterati (domestici,
impiegati di infimo livello, ecc.) che imparavano la lingua italiana per pratica, lavorando in ambienti
prevalentemente italofoni. queste persone, per lavoro, sono costrette a parlare l’italiano delle classi
superiori e questa viene detta competenza passiva
- si deve tener conto della <<competenza passiva>>, ossia della <<capacità da parte di dialettofoni di
comprendere frasi o discorsi in italiano (essenziale, in proposito, l’influenza della predicazione, fatta
prevalentemente in lingua).
Questione dell’analfabetismo
Lo studioso Vigo ha studiato una serie di censimenti fatti dall’Unità d’Italia in poi in cui si è valutata la
percentuale degli analfabeti nel corso del tempo, ma sono da fare delle piccole premesse:
Nel censimento del 1861 non vengono compresi Veneto, Friuli [annessi nel 1866], Roma e parte
del Lazio [1870], Venezia Giulia e Trentino-Alto Adige [1919] e la percentuale degli analfabeti era
del 75%; in quello del1911 era del 40%, sempre molto alta (nel nord sempre più basso,
l’analfabetismo, rispetto al sud Italia)
Notevole lo squilibrio tra maschi e femmine, sempre svantaggiate queste ultime: il Piemonte ha
sempre la percentuale più bassa di analfabetismo femminile, dal 1871 al 1911, mentre Basilicata e
soprattutto Calabria quella più alta
Alfabetizzazione e scuola
Veicolo primari dell’alfabetizzazione è la scuola elementare: modesto il tasso di scolarizzazione (43%nel
1863-64) e 64% nel 1901-02; maschi il 47% nel 1863-64 e 66% nel 1901-02, femmine il 39% nel 1863-64 e
62% nel 1901-02). Diffuse su tutto il territorio le scuole inferiori (2/3 anni), le superiori (3 anni) solo nei
centri maggiori e frequentate da un’esigua minoranza
Le cause della scarsa scolarizzazione sono:
Lavoro minorile nel settore agricolo e con l’industrializzazione nelle fabbriche > tasso di povertà
molto alto, quindi i bambini vengono subito impiegati nei lavori domestici, agricoli e poi nelle
fabbriche quando si diffonde l’industrializzazione
Scarsa motivazione e professionalità dei maestri (tra l’altro pagati pochissimo) > molto poco
preparati i vari maestri, quelli più scarsi nelle periferie
Gli intellettuali promuovono poco o sono contrari all’alfabetizzazione di massa > ordine dei gesuiti
estremamente contrari all’alfabetizzazione. Intellettuali antepongono il miglioramento delle
condizioni di vita della popolazione all’istruzione.
Leggi che mirano alla scolarizzazione dell’Italia sono addirittura antecedenti all’Unità d’Italia
LEGGE CASATI (1859) in Piemonte e Lombardia poi estesa allo stato italiano; promuove la scuola
gratuita prevedendo sanzioni per i genitori che non inviano i figli a scuola
LEGGE COPPINO (1877) rende obbligatoria la frequenza a scuola per il solo biennio (scuola
elementare) > libri gratuiti
Ma l’onorario dei maestri all’inizio della scuola centralizzata (di stato e comunale) è pari o minore a quella
di un servo, e l’onorario degli insegnanti di scuola superiore è di poco maggiore. Vi sono due conseguenze
dovute alla scarsa retribuzione:
I. Femminilizzazione del corpo insegnante (conseguenza non per forza negativa) > uomini cercavano
lavori maggiormente remunerativi per poter mantenere la famiglia
II. Scarso livello professionale
La situazione migliora nel corso del tempo e verso fine Ottocento v’è una maggiore diffusione
dell’alfabetismo dovuta alle profonde trasformazioni demografiche per:
Le emigrazioni all’interno dell’Italia (dalla campagna ai centri urbani e dai centri minori alle
metropoli amministrative, industriali e commerciali)
L’industrializzazione e il connesso urbanesimo e urbanizzazione del territorio, e una maggiore
diffusione delle scuole. L’industrializzazione, che inizialmente aveva costituito un ostacolo con il
lavoro minorile, aiuta progressivamente l’alfabetizzazione con l’afflusso abbondante di persone
nelle città dai centri minori e più poveri. Quindi le famiglie entrano in contatto con situazioni di
maggior benessere e preferiscono mandare i figli ad imparare anziché a lavorare nelle fabbriche
Più stretti contatti tra le popolazioni di regioni diverse per la leva obbligatoria e altri fattori, come i
contatti fra strati sociali diversi (i domestici imparano l’italiano sentendolo dai datori di lavoro ecc.)
Immigrazione ed emigrazione
All’inizio dello stato unitario lo spostamento interno della popolazione ha come mete soprattutto le regioni
centro-settentrionali e Roma (dal momento in cui diviene capitale riceve il maggiore flusso di
immigrazione, sia dal sud che dal nord)
In una comunità l’incontro di parlanti diversi dialetti finisce con l’indebolire il dialetto degli immigrati
prima (per scarsa consistenza numerica e motivi sociolinguistici rispetto al centro) e poi con il tempo anche
il dialetto locale a favore del maggior spazio lasciato all’italofonia (essenziale per avere una comunicazione
migliore). > italiano che parleranno, sarà un italiano sovraregionale, non come quello voluto da Manzoni ma
parlato con delle spie dei dialetti di origine
L’emigrazione verso l’estero diviene progressivamente più massiccia verso Sud America, Australia ecc.
(picco maggiore dal 1891 al 1913) e coinvolge soprattutto le regioni e le zone più povere dove risiedono le
masse contadine: Friuli, Veneto, Lombardia, Piemonte (montano), Campania e Sicilia. Queste emigrazioni
hanno due effetti positivi:
La prima classe dirigente del Regno d’Italia proviene dal Piemonte, all’interno della quale progressivamente
scompare il dialetto piemontese e vi si sostituisce il toscano. Come aveva fatto lo stesso Alfieri a suo tempo,
quando abbandona la sua seconda lingua parlata (la prima era il francese) per acquisire il fiorentino.
il rapporto tra lingua e dialetto è assai complesso, viene auspicata sempre la diffusione dell’italofonia
(auspicata da tutti), nei confronti dei dialetti si ha un atteggiamento contraddittorio:
osteggiati dai funzionari ministeriali, dalla gran massa degli insegnanti (dovuta anche al fatto che
essi venivano trasferiti dal loro luogo d’origine e per questo per comprendersi con il luogo d’arrivo
spingevano sull’uso dell’italiano) e da alcuni intellettuali minori (insegnanti spostati per legge,
dialetto materno dell’insegnante molto distante da quello degli scolari e si impone l’uso della lingua
impostata scolasticamente secondo grammatiche e indicazioni ministeriali che seguono l’idea della
lingua manzoniana)
Mostrano interesse invece i linguisti (Ascoli, D’Ovidio, Monaci) e attenzione verso la salvaguardia e
diffusione dei dialetti e dei volgari antichi
Di questa contrapposizione tra dialetto e lingua, possiamo dire che in tutti, sia in chi è favorevole al dialetto
e chi contro, c’è la consapevolezza della frammentazione in Italia.
Varietà regionali
Non pochi sono i dialettalismi che sono riusciti a imporsi al di là del loro ambito dialettale e regionale:
parole d’ambito concreto legate agli ambiti di provenienza:
Specialità alimentari e vinicole brasato e grappa (Lombardia), barolo, fontina, gianduiotto
(Piemonte), pastasciutta (in Emilia spesso sostituito dal termine minestra) genericamente
settentrionale si impone su maccheroni che diventa un iponimo, ossia un particolare tipo di pasta,
mozzarella (Napoli), cassata (Sicilia)
Aspetti morfologici del suolo o fenomeni atmosferici piovasco (Liguria), galaverna “brina”
(Emilia), malga o casera (Veneto alpino), ecc.
Mondo che vive ai margini o fuori della società (linguaggio della malavita) teppa (Lombardia),
camorra, (fare il) palo (Napoli), mafia, omertà (Sicilia), malavita (genericamente meridionale), ecc.
Modi di dire battere la fiacca, piantare una grana (piemontesismi di ambito militare)
La conoscenza delle lingue pertiene alla fascia socioculturale più elevata, ovvero la lingua più nota e parlata
in Italia è il francese (non nelle classi più povere), ma inizia ad avanzare ancora la conoscenza dell’inglese.
Francese continua ad essere la lingua internazionale e culturale nell’Ottocento, inizia a diffondersi l’inglese,
invece il tedesco è piuttosto di nicchia (anche spagnolo e portoghese estremamente di nicchia)
Le lingue straniere come l’inglese e il tedesco, circolano solo in ambienti culturali attraverso la forma
scritta, eccezione è il francese, già ampiamente diffuso dal Settecento adattato in base alla pronuncia non
solo in italiano, ma anche nei dialetti.
Quindi inglese e tedesco mantengono la loro grafia e la pronuncia non è così diffusa, mentre del francese
si fa largo uso di adattamenti, sia in italiano che in dialetto.
All’estero, con la questione degli emigrati italiani, l’interferenza tra la lingua locale e i dialetti degli
immigrati sviluppa idiomi misti, generalmente effimeri (cotta “soprabito” da coat, deschio “tavolo” da desk
favorito anche dalla somiglianza con il toscano desco, bisisni “affari” da buisness, [lo stesso Pascoli in un suo
poemetto fa uso di questi idiomi misti > Italy]). Idiomi mantenuti dagli stessi parlanti immigrati di terza
generazione
Fino alla prima metà dell’Ottocento, nella lingua italiana che è letteraria, i forestierismi venivano adattati o
sostituiti da sinonimi italiani, nel secondo Ottocento, l’italiano, siccome diventa anche parlato, questi
forestierismi vengono introdotti senza adattamenti, soprattutto quei termini di ambito pratico
Dal francese: chiffon, parquet, plissé, pirouette, pourée, paté
Dall’inglese: bridge, golf, match, tram, performance, poker, ping pong
Il francese è l’intermediario spesso di anglismi: paletot, pamphlet e di orientalismi pilaf “risotto”
Germanismi meno diffusi: superuomo, plusvalore (teoria marxista economica)
(l’interiezione dispregiativa nei fumetti pfui che soppianta l’inglese phooey > caso molto interessante, anche
perché è mantenuta tuttora, è più facile per gli italiani utilizzare pfui, è quasi onomatopeico per gli italiani,
più rispetto al corrispettivo inglese)
Forestierismi connotativi nel parlato alto borghese dell’epoca (w. C. “gabinetto”, water closet)
Forestierismi connotativi e denotativi nei libri di viaggio (iberismi: corrida, matador, patio, torero)
Terreno fertile per i forestierismi sono le traduzioni > terreno favorevole alla circolazione di
forestierismi > nel secondo Ottocento le parole straniere non vengono più sostituite da parole
italiane o prestiti semantici, ma vengono più spesso adattate e accolte nella forma originaria
Iniziano ad entrare nelle traduzioni parole di origine più lontana (russo per esempio)
Forestierismi nelle traduzioni dei romanzi inglesi o russi dal francese che lasciano inalterati i
termini stranieri, perché difficilmente traducibili e diffusi soprattutto nelle riviste anche di
carattere popolare. > le pubblicazioni più popolari tendono a sostituire comunque i termini stranieri
con sinonimi italiani o adattamenti.
Forestierismi nei vari campi
Sport
francesismi: canottaggio, ciclismo
anglismi: baseball, golf, match
Molti forestierismi sportivi non hanno influito nel lessico italiano (essendo estremamente popolari)
perché spesso sostituiti da forme italiane: football/calcio, goal/rete, offside/fuorigioco,
shoot/cannonata “tiro violento”
Lezione III
Novecento: lingua e scuola
Rispetto al secondo ottocento per la scuola qualcosa cambia a partire dal periodo fascista
Fascismo > adozione di una politica linguistica fortemente nazionale e puristica, che ha avuto però dei
prodromi in età giolittiana e nell’istituzione della Società Dante Alighieri > difendeva quella idea di lingua
che nasceva con Dante, discostata completamente dai dialetti
Purismo fascista:
I. Antidialettalismo
II. Lotta contro le lingue delle minoranze (altoatesine e della Venezia Giulia)
III. Rifiuto delle parole straniere
Fascismo e lingua
Nella scuola l’azione fascista interviene contro l’iniziativa promossa da Giuseppe Lombardo Radice
per le scuole elementari, intitolata dal dialetto alla lingua > nel giro di pochi anni avviene la
completa emarginazione del dialetto, scomparso dalla scuola nel 1834
Sempre maggiore importanza data all’insegnamento della grammatica italiana e delle lingue,
soprattutto latina
Xenofobia linguistica retorico-letteraria diviene, con il fascismo, atteggiamento culturale di massa
> eliminazione di toponimi, cognomi, insegne alberghiere, che vengono tutti italianizzati
> obbligo della conoscenza dell’italiano negli uffici pubblici
> soppressione dei giornali alloglotti e dialettali
La lotta contro i forestierismi, già iniziata nel 1923, si accentua nella seconda metà degli anni trenta
(incarico dato all’Accademia d’Italia di italianizzare i forestierismi o di sostituirli con parole italiane)
> accorto ridimensionamento da parte degli studiosi (es. Migliorini e Pasquali) che guardano alla
funzionalità e compatibilità strutturale dei vocaboli:
assenzio / absynthe, assegno / check o chèque, arresto / stop, rimessa / garage, villetta / chalet,
obbligata / slalom, tassellato / parquet, uovo scottato / uovo a la coque
l’uso dei dialetti non del tutto sradicato perché il fascismo è stato fortemente demagogico e interessato al
consenso delle classi popolari e soprattutto contadine. > classe popolari non italianizzate, fascismo punta su
quelle per ottenere potere e consenso e quindi non poteva fare una lotta così feroce, se non contro il
dialettalismo a scuola.
I. Si parte dal presupposto che gli allievi siano monolingui, osa che non sono, conoscono bene anche
il dialetto
II. L’italiano insegnato non è una lingua letteraria e puristica che si basa sulle opere letterarie, ma è un
italiano che è scolastico, creato apposta, basato su forme rigide e da un lato arcaico (es. andare a
letto corretto in coricarsi, arrabbiarsi > adirarsi, mi stanco a fare > mi stanco nel fare)
III. Abitudine alla perifrasi e all’eufemismo contro la parola e i suoi sinonimi > italiano privo di colore
ed espressività, forme arcaiche e letterarie da una parte promosse, dall’altra trattenute ed
imbrigliate in maniera rigida
IV. Importanza data allo studio della grammatica per l’apprendimento della lingua e dello scritto che
portano a trascurare le forme del parlato > aspetto portato alla luce quando gli studiosi hanno
iniziato a fare attenzione al parlato, il percorso e l’attenzione sempre maggiore verso un italiano
che sia più libero (tenendo presente che la lingua scritta ha delle regole differenti da quella parlata),
hanno provocato un cambiamento progressivo anche nella scuola, avvenuto soprattutto dopo il
secondo novecento.
Tutto questo è dovuto a una sempre maggiore industrializzazione e alla crescita della civiltà dei consumi,
oltre che ad un marcato statalismo. Diffondersi della pubblicità, di etichette di mercato, quindi l’italiano
diventa sempre più diffuso
Quindi da un’opposizione lingua minoritaria (italiano) / dialetti si passa ad una maggiore delineazione delle
varietà dell’italiano dovuto all’interazione italiano-dialetti in una scala graduata e a una attenuazione
dell’opposizione scritto-parlato. Italiano parlato tendenzialmente va a sostituirsi all’italiano scritto. Quindi
l’italiano è costituito da varianti differenti che possono essere categorizzate in diversi codici linguistici.
Diversi codici linguistici di una società complessa (Francescato 1974):
un altro tipo di caratterizzazione linguistica, non riguarda tanto, come quella di Francescato, la tipologia dei
codici più o meno formale o elaborato. Riguarda semmai corrispondenze sociologiche.
Codici sulla base di corrispondenze sociologiche che comprende anche dialetti (Mioni 1979):
I. italiano comune
II. italiano comune regionale
III. italiano regionale
IV. italiano regionale popolare
V. koinè dialettale
VI. dialetto dei centri provinciali (Venezia) > quello di Venezia estendibile più o meno a tutta la regione
VII. dialetto dei centri minori (Belluno)
VIII. dialetti locali (Agordino, Zoldano, Cortinese, ecc.)
1. italiano standard > scritto o parlato/scritto, formale (concetto un po’ nebuloso con tendenza
evolutiva all’abbassamento / impoverimento della lingua)
2. italiano dell’uso medio > parlato e scritto, metà formale e informale; comune denominatore di
fenomeni distinti
3. italiano regionale delle classi istruite > solo parlato, informale
4. italiano regionale delle classi popolari > parlato informale e scritto formale (italiano popolare)
5. dialetto regionale / provinciale > solo parlato, informale
6. dialetto locale > solo parlato, informale > anche produzione letteraria in dialetto
prevalere di siccome, dato che su poiché, perché, affinché (propri dello scritto letterario e formale)
uso dell’indicativo in luogo del congiuntivo (ormai diffusissimo)
concordanza ad sensum con i nomi collettivi (per es. il gruppo degli elettori sono andati a votare) >
errore sintattico che si tende a fare, ci sono delle concordanze ad sensum che non avvengono solo
con nomi collettivi e quelle sono proprie dell’italiano più popolare
espansione dei pronomi affettivi (per es. mi bevo un caffè)
niente con valore aggettivale (per es. Oggi niente scuola!)
tipologie lessicali del tipo mi sa “penso”, solo che “tuttavia” (mi sa che vengo da te)
protoforme, ossia parole usate in senso lato e non nel loro significato: cosa, roba, fatto, ecc.
(proprio dei parlanti con un lessico poco ampio)
uso di connettivi e forme vuote: cioè, in realtà forme il cui significato originale si
uso di forme fatiche: voglio dire, praticamente, ecco, insomma è perduto
perifrasi aspettuali del tipo: non stare a…,
abbondanza di diminutivi (fa un po’ freddino, un momentino, attimino, ecc.)
I. Varietà settentrionale
Fonologia:
a. Mancanza di consonanti intense intervocaliche (scempiamento)
b. Pronuncia sonora di z iniziale ed intervocalica
c. Doppia z sempre sorda (indistinguibile razza e razza pesce)
d. Scarsa sensibilità alle vocali aperte e chiuse (pesca e pesca)
e. Tendenza a pronunciare la sibilante palatale sc come sj (es. lasciare/lasjare) in Emilia
Suono caratterizzante dei diversi parlanti
Lessico:
adesso, anguria (Veneto), cicchetto “goccio di vino”, dopopranzo “pomeriggio”, sfregarsi gli occhi,
fare i mestieri “i lavori di casa”, scodella, imposte “persiane”, ecc.
Sintassi:
uso del passato prossimo in luogo del passato remoto, con mancata distinzione dei due, invece
nelle altre regioni si usa la distinzione
II. Varietà toscana:
Fonologia:
a. Gorgia o spirantizzazione di k, p, t intervocaliche
b. c e g intervocaliche pronunciate come sc + j (fagiolo/fasciolo)
c. s intervocalica o sorda o sonora (per es. sorde in casa e cosa)
Lessico:
parole e termini più isolati rispetto alle altre regioni, perché richiedono la conoscenza diretta o
letteraria > babbo, balocco, bizze, ciuco, in collo, guazza, ignorante, punto “affatto”
Sintassi:
uso dell’impersonale per la prima persona personale plurale (per es. noi si va)
Fonologia
a. Semisonorizzazione delle occlusive sorde intervocaliche (per es. poco > poc/go)
b. Pronuncia del tipo abbile, aggio, perzona
Lessico:
bagnarola, burino, caciara, fruttarolo, pataccaro, sbafare, sganassone
il lessico romanesco è per lo più noto grazie al cinema neorealista, ad attori comici come Sordi e Manfredi o
alla TV che ha sede a Roma
Fonologia:
a. Come a Roma pronunce come rubbare, aggile, ecc
b. S intervocalica sempre sorda e in posizione preconsonantica pronunciata come sc
(posta/poscta)
c. Sonorizzazione delle consonanti dopo le nasali (tanto/tando, tempo/tembo)
Lessico:
confinato prevalentemente al di sotto della linea Tronto-Garigliano; pezzullo, uscire pazzo,
paesano, scostumato, tenere
Morfosintassi:
a. Amico a, figlio a, ecc.
b. Complemento oggetto animato retto da a (vedere a Pietro)
c. Presente in luogo del futuro
d. Periodi ipotetici del tipo se dicessi facessi, se direi facessi
Caratteristiche meridionali che ritroviamo anche nell’italiano popolare, quindi quest’ultimo tende a
prendere le caratteristiche della morfosintassi in prevalenza dell’italiano regionale meridionale.
Il Novecento: l’italiano popolare
Grafia e fonologia:
a. Precarietà di accenti e punteggiatura
b. Uso incerto delle maiuscole e del diagramma cq (acqua) e di q (quore)
c. Concrezione o discrezione dell’articolo e incertezza negli apostrofi (es. linverno, l’uridume)
d. Omissione di h (ance “anche”)
e. Incertezza relativa alle occlusive con ipercorrettismi (tantto, verderlla)
f. Omissioni di nasali (dimenticato)
g. Tipiche del sud sonorizzazioni come londano “lontano”, combare “compare”, ecc.
h. Tipiche del nord incertezze come gnente “niente”, oglio “olio”, ma voliamo, pasiensa,
massare “ammazzare”, ecc.
Morfosintassi:
a. Concordanze logiche, per es. nessuni, qualchi, ecc. e metaplasmi come caporalo, infama,
ecc.
b. Eccessiva ridondanza pronominale (se mi volete ascoltare a me)
c. Trapassi pronominali > le = gli, loro e lei = lui, suo = loro e di loro
d. Gradi rafforzati come più meglio, più peggio, ecc.
e. Che polivalente portato all’uso anacolutico (ho visto dei prigionieri che gli facevano fare il
bagno) e viceversa uso di il/la quale in funzione di che congiunzione e simili
f. Rarefazione del congiuntivo
g. Nei periodi ipotetici, uso del doppio condizionale o del condizionale nella protasi/reggente
e del congiuntivo nell’apodosi/subordinata (come nell’Italiano regionale meridionale)
h. Concordanze a senso estremizzate
i. Omissione del non nelle frasi con doppia negazione (es. avere niente “non avere niente”)
j. Scambi di essere con avere negli ausiliari
Lessico:
a. Dialettalismo: raro per repressione scolastica, ma usato per necessità o per motivi affettivi
b. Dialettalismo documentario: forma italiana ma significato dialettale (es. merid. Imparare
“chiedere/insegnare”)
c. Paretimologie (autobilancia “autoambulanza”)
d. Scambi pre- o suffissali e analogie (ignorandità, affettivo “effettivo”)
e. Allosemie e enantiosemie (lassativo “rilassante”, diffendere “offendere”)
f. A causa della fissazione scolastica e burocratica si ha l’uso di forme più elevate (es.
notificare, cotesto, costì, ecc.) > lessico appreso a scuola o nell’ambito burocratico
g. Fare polisemico > in luogo di verbi più precisi e particolari
h. Gergo, soprattutto militare (es. cavalieri “pidocchi”), uso di parole crude (es. pisciare)
Stile:
a. Prevalenza della paratassi, con accumuli o coordinazioni libere (asindeti continuati o
coordinazioni senza significati ben precisi)
b. Anacoluti soprattutto con preminenza del soggetto logico (es. io il morale è alto)
c. Ellissi marcate di un elemento sintattico, espansione delle fasi nominali, topicalizzazioni
spinte, ripetizioni, ecc.
d. Chiuse del tipo …e niente, …e basta
e. Prevalenza del discorso diretto
f. Discorso è lineare, tende a narrativizzare anche la struttura argomentativa
g. È spessissimo informale (con introduzione di formule del tipo, non so, per dire, guarda, sai,
ecc.)
Esempio di italiano popolare, italiano del Novecento. Lettera di un soldato prigioniero in Austria, che scrive
alla moglie, si tratta di un parlante Trentino, per cui ci saranno delle forme tipiche della varietà regionale
settentrionale. Linguaggio fortemente emotivo che fa molta tenerezza, linguaggio che esprime nostalgia e
malinconia con un italiano estremamente povero ma non privo di capacità espressiva, usa per esempio
delle metafore molto belle seppur molto semplici. Quindi da tener conto della difficoltà psicologica e fisica
che stava affrontando in quel momento quando scrive (si trovava in un campo di concentramento)
Ciò che si nota in primis è la totale assenza di punteggiatura, difficoltà di individuare la corretta posizione
dell’apostrofo e via dicendo.
• Neologismi:
a. Parole nuove con la nascita di mestieri nuovi: cantautore, fotomodella, paroliere, ecc.
b. Motoristica: marcia (in questo caso specifico sono neologismi semantici), retromarcia,
ecc.
c. Guerre: mitra, paracadute, ecc.
d. Burocrazia: piattaforma, pianificazione, ecc. (capacità della burocrazia di creare parole
estremamente ambigue e di significato vago)
e. Politica: dorotei (vecchi componenti del partito della Democrazia Cristiana),
neocapitalismo, centristi, ecc.
f. Innovazioni della tecnica: radiofonico, atomico, teleferica, vitamina, ecc.
g. Tecnicizzarsi delle parole comuni: per esempio nel linguaggio televisivo > sfarfallio,
quadro, ecc.
h. per metafora ed eufemismo: gorilla “guardia del corpo”, non vedente “cieco”, ecc.
Lingue speciali
Peculiare lessico specialistico > se si parla del lessico della lingua scientifica, ogni ambito ha un
linguaggio a sé
Altrettanto peculiare alone lessicale non specialistico > comunque utilizzano delle parole comuni,
ma non tipiche del parlato, ma della lingua letteraria, estremamente elaborate quindi
- es. lingua della giurisprudenza: tecnicismi + aulicismi (spesso derivati dal latino) legati allo stile
eloquente > l’avvocato che discute una causa in tribunale usa uno stile oratorio, un impianto
particolare e parole auliche
Passaggio frequente dei termini da una lingua speciale all’altra
Scambio con la lingua comune con relativo processo di neologizzazione o di riformulazione o
risemantizzazione (linguaggio giovanile prende molto dai linguaggi settoriali) > creazione di
linguaggi speciali di gruppo come reazione alla lingua di massa, banale e formulare (studi dagli anni
90 in poi, dedicati interamente al linguaggio giovanile, in cui si metteva in evidenza il riuso di
linguaggi settoriali)
(esaminare da soli la lingua dello sport di Gianni Brera, pagina 58 > lo chiede)
Linguaggio della scienza e della tecnica
Linguaggio speciale in cui i tecnicismi passano alla lingua comune soprattutto attraverso la lingua
dei media o attraverso la pubblicità con funzione connotativa, metaforica e mistificatoria (farmaci
proposti) (gastroscopia, termine ben conosciuto a livello più ampio) > linguaggio che ha una forma
persuasore maggiore di quella letteraria, nel corso del Novecento la lingua letteraria quindi decade,
mentre quella della scienza è in auge.
Oggi è questo, e non quello letterario, il linguaggio che nobilita la lingua comune
Caratteristiche: univocità, precisione, mancanza di alone connotativo e di sfumature > massimo di
univocità e massimo di opacità dei profani (chi usa un linguaggio scientifico lo usa con cognizione di
causa, quando lo si usa con la massa del pubblico, questo linguaggio diventa incomprensibile per la
massa)
Fitto legame con il linguaggio comune che viene poi tecnicizzato:
Lessico:
a. Tendenza a rendere univoci termini comuni (es. precipitazione, liquidità)
b. Utilizzazione ampia di suffissi greco-latini (es. amperometro) e si suffissoidi
greco-latini mediati dall’inglese: radio- (es. radiotrasmissione), -scopio (es.
oscilloscopio), -te e -osi (es. artrite, artrosi)
c. Persistente fortuna di definizioni eponime (fin dall’800): il newton, la
mendelite
d. Uso di sigle: DNA, AIDS, SARS-COV2, COVID19, TAC
e. Impiego di parole straniere di massima opacità: es. bit, bitcoin, by-pass, feed-
back
f. Uso di definizioni analogiche: cellule a palizzata, valvole a spillo
g. Polivalenza di alcuni termini: struttura (agganciati a parole più specifiche, es.
struttura cellulare)
Sintassi:
a. Uso di verbi generici: essere, consistere
b. Discorso argomentativo scandito da nodi di passaggio o connessione (es.
prima…poi…infine…)
c. Nominalizzazione con ellissi del verbo e frequenza di tipi come sotto l’azione
di…, in relazione a…
d. Struttura paratattica e semplificatoria che conduce soprattutto a coppie e
conglomerati del tipo scambio alogeno-metano
e. Impiego di formule limitative: a quanto sembra, sembra lecito dedurre
f. Frequente schema se… allora…
Linguaggio politico dell’Ottocento è ancora poco sviluppato, interessante invece quello del Novecento.
Infatti si svincola dal linguaggio letterario per produrre due filoni di linguaggio politico che hanno due
influenze differenti.
Linguaggio politico fascista
Fascismo > influenza del linguaggio di Mussolini anche attraverso le sue veline (dispacci di agenzia,
comunicazioni brevi inviate ai giornali) inviate ai giornalisti (dizionario mussoliniano > in cui sono raccolte e
studiate tutte le parole e i modi di espressione del duce)
Retroterra del linguaggio fascista o mussoliniano: prosa di Carducci, di D’Annunzio (è stato giornalista da
giovane, quindi capace di esporre concetti non solo ad intellettuali ma anche alle grandi masse) fiumano;
altro importante elemento nella creazione del linguaggio fascista sono la stampa del sindacalismo
antidemocratico e del nazionalismo (Leonardo, Il Regno, Lacerba).
Altro elemento rilevante è il legame tra linguaggio socialista e fascista
Peculiarità della lingua mussoliniana > scrittura nervosa e mossa, franta, con una frequenza elevatissima di
metafore medico-fisiche (partito = organismo) e religiose (missione), ricchezza di effetti fonico-ritmici e
gonfiore oratorio. Infatti Mussolini vuole convincere non attraverso la chiarezza del discorso, ma solo
attraverso una forte emotività
Caratteristiche del linguaggio fascista > discorso politico come dialogo con la folla
Gadda farà una parodia molto aspra del linguaggio fascista
Lessico:
a. Abbondanza di metafore religiose (martire, ascesa), militari (le serrate falangi) e medico-
chirurgiche (magnetismo, ipnotizzare)
b. Ricchezza di metafore e similitudini (le redini del nostro destino)
c. Aulicismi e latinismi che alludono al mito fascista delle origini (artiere, duce, littore, milite)
d. Neologismi non concettuali (adunata, controproducente, barricadiero, panciafichismo), uso
spregiudicato di suffissi (riformaiolo)
e. Parole chiave agitatorie (vibrare, forgiare)
f. Creazione di slogan o motti (credere-obbedire-combattere)
Il linguaggio politico con il passare degli anni si è sempre più involuto a gergo, solo per adepti che
comunicano da un gruppo all’altro con messaggi in cifra.
Linguaggio che si differenzia secondo tre parametri:
Non ci sono differenze tra discorso politico e quello sindacale, che tende ad avere maggior economicità e
tradizionalità.
Notevole anche la somiglianza con quello burocratico, nell’essenza e negli scopi (opacità perché gonfio e
involuto, intralciando la comprensione
Lezione V – parte due
Ottocento: il giornalismo
Nella seconda metà dell’Ottocento il giornalismo diviene fenomeno di massa >grazie alla crescente
scolarizzazione, soprattutto ci sono due elementi che aiutano questa diffusione ovvero la vendita nelle
edicole.
Prima del 1880 i giornali sono distribuiti per abbonamento, poi vengono venduti anche nelle edicole.
Proliferazione dei giornali a livello locale, alcuni si diffondono anche a livello nazionale e sopravvivono fino
ad oggi (Corriere della Sera, il resto del carlino, il gazzettino, il Messaggero).
Influenza indubbia nell’evoluzione della lingua, soprattutto nei grandi centri urbani, lingua che si distacca
progressivamente da quella letteraria. Quell’italiano che abbiamo visto formarsi nelle varietà regionali e
sociali, si va progressivamente formando grazie all’influsso del giornalismo
Altro dato rilevante della lingua dello stile dei giornali, sono gli stereotipi: formule che tendono a fissarsi e
vengono ripetute spesso dai giornalisti, come parole o espressioni usate in modo ricorrente e formulare
nella descrizione di situazioni che tendono a ripetersi (furto audace, fuga precipitosa)
Gli stereotipi hanno aiutato la massa dei lettori a familiarizzare con un tipo di lingua scritta banale ma utile
a allargarne le capacità espressive > linguaggio a metà tra la lingua letteraria e italiano/dialetto parlato
Sintassi:
a. Economicità del messaggio > periodi più brevi, di struttura semplice con maggior presenza
della paratassi sull’ipotassi (spesso riproduzione di dispacci d’agenzia = stile telegrafico:
quasi totale assenza di connettivi, maggior incidenza del nome rispetto al verbo, es. pag. 35
Serianni) > dispacci d’agenzia o veline, prive di tutte le parti del discorso più semplici
b. Caratteristiche comuni alla lingua letteraria:
Preferenza del passato remoto rispetto al p. prossimo, anche in fatti recenti > cosa
che muterà nel corso del Novecento
Diffusa enclisi nominale, soprattutto con la 3° persona singolare e plurale del
presente indicativo con pronome atono (vedesi, recavansi) = tratto comune anche
alla pubblicità > tratto che scompare nel corso del Novecento
a. Caratteristiche proprie del linguaggio giornalistico che permangono anche nel Novecento:
Imperfetto cronistico, o narrativo storico, di ascendenza francese, nelle descrizioni
Condizionale di dissociazione > permette di presentare come probabile o incerta
una notizia ricavata da fonti non controllabili (“Menelik chiederebbe 36 milioni”)
Nella piccola pubblicità uso dell’infinito iussivo (“bere cinar”) e condizionale di
modestia (“Signorina sola terrebbe pensione signore e signorine”) > condizionale di
modestia tende invece a scomparire
Possiamo distinguere tre periodi diversi in cui la lingua dei giornali si svincola progressivamente dalla lingua
letteraria: primo dopoguerra, epoca fascista, secondo dopoguerra
Caratteristiche:
Lessico poco originale: luogo di maggior originalità = titoli > che ricalcano slogan pubblicitari
a. Diffusione di forestierismi: anglismi con tendenza a non adattare (bunker, hinterland),
francesismi adattati (decolonizzazione, gruppuscolo) > francesismi adattati perché entrati, la
maggior parte, nel periodo fascista, mentre gli anglismi, quantomeno la maggior parte,
dopo
b. Neologizzazione semantica tramite metafora: prova d’orchestra, bara di fuoco
c. Diffusione di dialettalismi e gergalismi: bustarella, grana, strizza
d. Aggettivazione stereotipa, soprattutto nella cronaca: turpe, agghiacciante, brutale,
sconcertante
e. Abuso di derivati, soprattutto con pre/suffissi, e di parole macedonia: occupazionale,
gambizzare, coldiretti, ecotasse
Sintassi:
a. Tendenza alla brevitas telegrafica, soprattutto nei titoli che risentono anche di quelli
cinematografici (Fiducia a Rumor) > perenne mascheramento e reticenza
b. Uso particolare della frase nominale, franta ad inizio articolo > per accrescere pathos
c. Titoli con dislocazione in apertura a-preposizionale del c. luogo o distinzione dei due
membri tramite la virgola (Napoli, scarcerato il baby-killer, Craxi, nuove accuse)
d. Abbondanza di participiali implicite, in particolare con il participio passato, d’origine
burocratica (considerata la situazione) e i tipi il fatto che…, cosa che…
e. Perifrasi nobilitanti ma evasive (opera in fase di avanzata realizzazione)
f. Continuano le formule fisse (strepitoso successo), i giochi di parole soprattutto nei titoli
g. Impiego abbondante del virgolettato anche dove non necessario (<<Usa pronti al primo
colpo? / “Bush non lo escludo”>>)
La lingua del cinema
Grande influsso sull’italianizzazione linguistica degli italiani, lingua che evolve moltissimo, dall’epoca del
muto anteguerra e dopo con l’avvento del neorealismo. Processo di osmosi tra l’italiano parlato e quello
del cinema
Distinzione importante tra lingua del doppiaggio e quella del cinema. Lingua del doppiaggio “insincera”,
costruita sulla traduzione che però si deve adattare al parato, alcune traduzioni non rispecchiano del tutto
le espressioni, soprattutto gergali, della lingua d’origine. I film prodotti in italia sono caratterizzati da un
linguaggio italiano regionale-popolare.
Nelle didascalie del cinema muto e nel parlato degli anni Trenta = lingua impettita, con influsso della
canzonetta, opera lirica (più ricche di aulicismi) e del teatro in prosa (già meno)
Televisione = linguaggio non unitario, lingua più difficile da definire, trasmette vari linguaggi a seconda del
programma. Spazio più peculiare quello dello spettacolo d’intrattenimento e del linguaggio conduttore –
intervistato > maggior visibilità alle varietà regionali e popolari con uno stile estremamente formulare >
grande influsso sul pubblico. Avviene una romanizzazione iniziale, ma a partire dagli anni ’70 si riduce
progressivamente per reazione al romanesco, le varie varietà regionali assumono più importanza, con uno
stile sempre più informale, con grande influsso sul pubblico > pronuncia sempre più unificata e creazione
di un italiano tendenzialmente piatto. Si va a creare una lingua intermedia tra scritto e parlato, avviene
quindi un demagogico appiattimento culturale = modello passivo di lingua
Lessico:
a. Abbondanza di forestierismi e formazioni mistilingui (il nome del prodotto passa a nome
comune)
b. Prevalenza dei superlativi anche nei sostantivi (occasionissima), con conduplicazio (caffè-
caffè), o con l’appoggio di suffissi avverbiali in – mente (audacemente giovane)
c. Uso esasperato di suffissi e suffissoidi (biolavante, snellente, brillantante > che è diventato
a sua volta nome di un prodotto, vespizzatevi)
d. Varietà di giustapposizioni (mangia-sporco), parole macedonia (tritacarne) e giochi di
parole (pulizziotto, amarevole)
e. Modulazioni di tipo proverbiale (ciò che natura crea Cirio conserva)
Sintassi:
a. Concisione > lingua semplificata senza tratti retorici o poetici (ad eccezione di quelli citati)
b. Frase nominale
c. Tendenza ad utilizzare solo il verbo essere
d. Tendenza all’ellissi del verbo (Pirelli quando il pneumatico fa l’automobile)
e. Personalizzazione del cliente con l’uso più o meno ridondante del tu
f. Insistenza anaforica di un termine o della rima (Borletti punti perfetti)
Campi semantici
a. Animali
b. Natura e salute
c. Famiglia
d. Mito della giovinezza
e. Uomo forte e moderno (contro donna debole o dolce)
f. Donna sempre giovane e bella
Lezione VII
Prosa letteraria dell’Ottocento
Prosa letteraria del secondo Ottocento, dopo la grande esperienza della riforma linguistica manzoniana, con
il passaggio della ventisettana alla quarantana dei Promessi sposi. Ridursi della forbice tra scritto e parlato,
progressivamente si diffonde, per la riforma linguistica della quarantana, un tipo linguistico unitario >
capillare presenza dei Promessi sposi nella scuola postunitaria (nell’Ottocento letti soprattutto nella veste
della Ventisettana) > nel Novecento si impone la lettura dei promessi sposi del quaranta.
Si insinuano lentamente delle varianti grammaticali della Quarantana nel linguaggio:
I. Carlino Altoviti dal Friuli alla sua partenza per Padova e decapitazione di Luigi XVI
II. Arco delle rivoluzioni italiane e tragedia di quella napoletana a cui assiste o partecipa Carlino
III. Dal “Milleottocento” a dopo il’48 e la sconfitta di Novara
Narrazione a ritroso: Carlo Altoviti, dopo l’Unità d’Italia, racconta la propria vita da povero orfanello a
nobile patriarca familiare. Uno degli aspetti interessanti è la presenza di personaggi storici a fianco di
personaggi inventati. Percorso anche picaresco perché vi è una fortissima componente comica nella
struttura del romanzo, sia nelle vicende di Carlino che nei personaggi secondari, e oltre a questo è anche un
grande romanzo d’amore tra Carlo Altoviti e la cugina che conosce fin da bambino, La Pisana (bel romanzo
anche se lungo)
Lessico
Italiano scritto “comune” dell’epoca, pigmentato fittamente di:
a. Aulicismi, abbondanti e desunti dalla lingua letteraria dell’epoca
b. Dialettalismi settentrionali (soprattutto venetismi, poi mantovansmi e friulanismi) =
lessico familiare o idioletto, che emerge soprattutto nella narrazione > linguaggio più aulico
e ricercato proprio dei personaggi positivi, quindi svolge una sorta di caratterizzazione
morale
c. Toscanismi = caricati, desunti per lo più dalla lettura del Giusti (diminutivi come
tristarello, pensierucci;
i prostetica: ispaventarlo
punto “affatto”
d. Forestierismi (francesismi adattati e non)
Lingua diametralmente opposta a quella della Quarantana manzoniana > punto di riferimento probabile è
la lingua della Ventisettana lombardeggiante e aulicheggiante. Nievo non usa il dialetto per caratterizzare i
personaggi, ma lo considera uno strumento utile per la narrazione, la caratterizzazione è fatta o con termini
e un linguaggio più aulico oppure il dialetto toscaneggiante.
Plurilinguismo dovuto all’impronta orale del romanzo e della voce del narratore (personaggio i media
cultura) e alla grande varietà di situazioni, personaggi, ambienti von i relativi registri narrativi.
Dialettalismi / regionalismi
a. Passato remoto di 1° persona plurale forte (finisimo, risimo)
b. Su ridondante con verbo (prender su)
c. Espressioni come filar dietro a “pensarci su”, tenere in susta “mettere in allegria”
d. Lessemi come sparangare “risparmiare”, imbroccare “indovinare”, fantolino, consolarsi
“congratularsi, esser contento”, cantone “angolo”, banda “parte”
Lessico:
a. Regionalismi materni: lombardismi per Dossi, piemontesismi per Faldella (baliotta “figlia di
latte”, sbolzo “ansante”) napoletanismi per Imbriani
b. Altre varietà esibite: toscanismi (bazzicare, cittello) e venetismi (refoli, còcoma)
c. Cultismi e arcaismi, latinismi rari (concrepare, coscribendi) ed eccentricità cruscanti
(incignare, insafardare, chiovare, snidare)
d. Forestierismi (per lo più francesismi: disabbiglio, pralina, branda)
e. Neologismi d’autore: coniazioni personali e occasionali
Verbi parasintetici (ricavati da una base per mezzo di un prefisso / suffisso): disarmadiare,
importofogliare
Esasperato uso degli alterati (fondacci, animucciaccia, resticciuolo)
Elaborazione linguistico-sintattica fondata sul significante (sulla componente sonora del segno e non sul
significato: freschi come lasche (pesci, da vocabolari fiorentini, usato anche in Ariosto, quindi fa già parte di
una tradizione comico-letteraria)
Interpunzione: spesso alterata in senso affettivo > uso non logico, ma emotivo ed affettivo
Accentazione: abbondante, (Dossi: su tutte le parole o quasi) > uso eccessivo soprattutto in Dossi, forma di
sperimentalismo anche molto violento (l’Altrieri, o il quaderno azzurro > scrittura molto particolare,
funzione espressiva nuova della lingua)
Brano di Faldella, tratto da una raccolta di racconti che si chiama Figurine del 1875 (pag 215).
Descrizione con punte satiriche dell’ambiente. La novella parla di una serata trascorsa dai contadini a
ballare nel castello signorile dove è stata organizzata questa festa comune.
Lezione IX
La lingua di Verga
Uno dei problemi più urgenti per la corrente verista è il rapporto tra lingua e dialetto.
La lingua del verismo è una risposta, un tentativo per cercare una lingua che si adatti alla prosa, in
particolare alla prosa del naturalismo francese che riproduca la realtà in tutti i suoi aspetti sociali e storici,
quindi la lingua deve riflettere tutti questi aspetti della realtà. Lingua intermedia caratterizzata da un
italiano letterario ma allo stesso tempo con l’unione di dialetti e parlate regionali.
Luigi Capuana è il primo che si concentra su questa ricerca, Per l’arte
“…ne abbiamo imbastita una pur che sia, mezza francese, mezza confusionale… se non altro per l’esempio
di aver parlato scrivendo”
Come si realizza secondo Capuana questa lingua: usando francesismi recenti (punto di riferimento letterario
sono gli scrittori naturalisti e pre-naturalisti francesi), con prelievi di dialetto e dialettalismi dalle varie
regioni, ma prelievo anche dalle forme colloquiali. Nel secondo Ottocento vi è progressivamente una
creazione di italiano parlato sempre più definito e diffuso.
Caratteristiche variegate che si ritrovano nella prosa dei veristi, eccezione fatta per Verga, unico che sia
riuscito a fare il salto successivo, ovvero produrre una lingua che non sia una nuova prosa, ma perfetta
rappresentazione di una società, in cui il narratore non abbia alcun rilievo.
Verga: costruzione di una lingua immaginaria, costituita di materiali diversi, in gran parte prelevato dal
dominio dell’oralità (dialettale siciliana e pandialettale) e immessi in una sintassi originale (DIL = discorso
indiretto libero > spia vistosa)
Caratteristiche:
a. unità linguistico-stilistica tra le parti dialogate e le parti narrate
<<
b. Distanza dal dialetto: “il colore e il sapore locale sì… ma per il resto i polmoni larghi”
(Verga)
c. Creazione di un prodotto letterario sui generis ravvicinando i due poli opposti dell’italiano:
quello reale e vivo del dialetto e del parlato e quello letterario e astratto dell’italiano
scritto
d. Componenti dialettali = poche (rarissimi i termini e i brani in siciliano) in quanto Verga
voleva fare in modo che le sue opere fossero fruibili da tutta Italia
Sicilianismi italianizzati e mimetizzati (sciara, tarì, onze, paranza, e appellativi del
tipo di gna, massaro, usati senza articolo come in siciliano)
Nelle locuzioni, nei modi di dire e nei proverbi (per esempio rompere la divozione
“rompere le scatole”, pigliarsela in criminale “arrabbiarsi per poco”)
Proverbi = veicolo della cultura popolare locale
Massimo della dialettalità nei proverbi e nelle locuzioni > nel luogo in cui il regionalismo è al tempo
stesso più schietto e più dissimulabile nel sapere diffuso e comune ad ogni popolo
Per evitare un’eventuale oscurità del significato dell’espressione dialettale, Verga
vi affianca una frase sinonimica toscana
Presenza di alcuni tratti della sintassi siciliana nel dialogato:
- Avere per essere ausiliario (Non ce li abbiamo mangiati i suoi lupini)
- Posposizione del verbo (che hai? – nulla ho)
- Passato remoto in luogo del passato prossimo (Oggi il sole si coricò
insaccato)
- Che in apertura di frase interrogativa (Che ci andate poi per i Morti?)
Maggior segno distintivo = oralità panitaliana dei semicolti o dei parlanti italiano regionale
a. Che polivalente
b. ci e vi ridondanti (ella ci aveva la bocca amara)
c. il verbo pronominalizzato (perciò si presero ‘Ntoni senza dire ‘permettere’)
d. dislocazione a destra o a sinistra con segmentazione della frase e anticipazione o ripresa
pronominale
e. gli per le o per loro (…da che gli [=le] era morto il gatto)
f. Concordanza a senso tra soggetto e verbo
g. Pronome rafforzato (voialtri, noialtri) e usato anche dove non necessario (Egli dice che
non gliene importa a lui)
h. Sintagmi ripetuti e foderamento = ripetizione a eco in fine frase di un segmento
precedente (es. A te non ti fanno nulla tre o quattro soldi, non ti fanno!)
Italiano libresco:
a. Egli, ella, esso, essa invece di lui o lei ecc.
b. Nella sintassi, grande novità di Verga (che produrrà anche il monologo interiore, il discorso
“rivissuto” di Svevo e Pirandello)
Sintassi:
a. Uso abbondante dell’imperfetto o del trapassato prossimo per suggerire continuità tra
passato narrato e presente
b. Passato remoto per eventi conclusi
c. Procedure rafforzate dai vari avverbi ora, adesso, già > avvicinamento della narrazione al
parlato > DISCORSO INDIRETTO LIBERO