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794 anni fa
Visitatori a Göbekli Tepe
Cassandra 4
Indirizzo Facebook:
https://www.facebook.com/carlos.bisceglia
Indirizzo sito:
http://www.ioannen.org
Introduzione
1 – Il “Deep Impact”
2 - La “Catastrofe del cromosoma Y”
3 – Gli scomparsi
4 - Il “fuoco dal cielo” di Sodoma
5 - Un mistero sepolto
6 – Misteriose presenze
7 – I due monoliti
8 – Prima dei Sumeri
9 – Gli uomini da Sundaland
10 – Un mondo che tramonta
11 - Un racconto su pietra
12 – Attaccati?
13 - Il fattore tempo
14 – Siamo soli?
15 – Visitatori moderni
Conclusione
Riferimenti
Introduzione
Verso il 10.794 a.C., circa 12.800 anni fa, alzando gli occhi al cielo, gli
umani osservavano ogni notte un enorme “serpente di luce”, con una grande
testa luminosa, e con una lunghissima coda che sembrava tagliare il cielo in
due. Ogni notte, genti di tutta la Terra non riuscivano a distogliere lo sguardo
dal “grande serpente luminoso”, ipnotizzate da questo incanto che si
ripresentava di fronte a loro. I bambini sognavano di volare con lui, e le
famiglie si auguravano che fosse il presagio di tempi migliori.
Ma una notte fu diversa dalle altre. Quella notte, dal “bianco serpente di luce”
sembravano nascere tanti altri piccoli serpentelli, in apparenza innocui, che si
affrettavano a scendere velocemente verso la Terra. Nei vari villaggi tutti si
interrogavano su cosa volesse dire questo fenomeno ancora più sorprendente
del primo, ma nessuno aveva una risposta certa. Prima uno, poi due, poi
dieci, poi cento, finché in breve tempo tutto il “serpente di luce” sembrò
sciogliersi in una miriade di serpentelli che correvano verso la Terra. La
gente era senza fiato nel vedere quel fenomeno che mai aveva visto prima.
Ma ben presto i “serpentelli luminosi”, che avevano molta fretta di
raggiungere la Terra, cambiarono il loro colore: diventarono sempre più
rossastri, come tante palle di fuoco. Una notte iniziarono a sentirsi dei boati
in lontananza, potenti come migliaia di tuoni messi insieme. Poi questi boati
si fecero sempre più vicini e minacciosi. Diversi boschi iniziarono a prendere
fuoco. Alcuni villaggi furono rasi al suolo. Mentre i “serpenti di luce”, che
ormai erano diventati “serpenti di fuoco”, raggiungevano la Terra, portavano
con loro il fuoco e il tuono, bruciando e distruggendo qualsiasi cosa si
trovasse sul loro cammino. Chi li aveva portati fra gli umani?
Quando il “grande serpente di luce” era comparso, molti saggi erano convinti
di aver incontrato strani esseri “provenienti dal di fuori”. Li videro in cielo,
scortare il serpente di fuoco. E poi, li videro mentre ordinavano al serpente di
cambiare la sua direzione, e di rivolgersi verso la Terra insieme ai suoi figli.
Questi “visitatori” si avvicinarono a tal punto agli umani, da poterli vedere
come un uomo vede un altro uomo, fino al punto da ricordarsi ogni loro
dettaglio. Poi andarono via, lasciando boschi bruciati, villaggi scomparsi, e il
ritorno del gelo.
Questa è la storia che ci hanno lasciato i saggi di Göbekli Tepe. Ma è una
storia vera, o è una leggenda? Cosa era il “serpente di luce”? Cosa
rappresentavano i suoi figli? Chi erano i “visitatori venuti dal cielo”? E
soprattutto cosa è Göbekli Tepe? Perché dovrebbero possedere questa storia
antica di almeno 12.800 anni, probabilmente una delle storie più antiche della
razza umana? Vi auguriamo di trovare le vostre risposte continuando la
lettura.
1 – Il “Deep Impact”
È ormai una certezza nella comunità scientifica che una o più comete di
notevoli dimensioni siano entrate in rotta di collisione con la Terra verso il
10.794 a.C., circa 12.800 anni fa. In prossimità dell’atmosfera terrestre, lo
sciame di comete è esploso, provocando una enorme scia di frammenti di
diverse dimensioni. Questi hanno colpito il suolo terrestre in almeno 4
continenti. L’impatto ha avuto un doppio effetto. Nelle zone in cui sono
precipitati i meteoriti di grosse dimensioni, si è avuto un effetto distruttivo
tipico di una bomba all’idrogeno di diversi megatoni. Qualsiasi cosa fosse
stata presente nelle vicinanze delle varie zone interessate da questo tipo di
impatto, è stata spazzata via, polverizzata.
Ci fu anche un secondo effetto collaterale. Dalle zone in cui si erano verificati
gli impatti più devastanti, si sollevò una nube di polvere tale da oscurare per
qualche tempo, almeno in parte, la luce solare. Di colpo divenne notte quasi
ovunque. La temperatura già fredda (era in corso l’Ultima Era Glaciale)
diminuì ulteriormente in maniera improvvisa anche nelle poche zone
risparmiate dai ghiacci. Anche se non si conoscono tutti i dettagli, si presume
che alcune specie vegetali morirono, e a loro volta morirono alcune specie di
erbivori che si nutrivano di quelle piante. Probabilmente anche alcune specie
di carnivori che si nutrivano di quegli erbivori seguirono il loro destino, in un
inesorabile effetto a catena.
La morte degli erbivori contribuì a sua volta a far diminuire la produzione del
metano biologico. Il metano è un gas serra meno presente dell’anidride
carbonica, ma con una capacità di far surriscaldare l’atmosfera ben 21 volte
maggiore (c’è chi dice addirittura 80 volte). Una netta diminuzione del
metano biologico nell’atmosfera può aver contribuito a far diminuire
ulteriormente la temperatura. Si era creato un vero circolo vizioso che
alimentava il freddo. Questi fenomeni, quindi hanno creato in vaste zone
della Terra una piccola ma intensa era glaciale, chiamata nei nostri giorni con
il nome di “Younger Dryas”.
La teoria dell’impatto delle comete era stata avanzata già alcuni decenni fa da
diversi studiosi, ma i dubbi della comunità scientifica erano maggiori delle
certezze. A sorpresa, però, negli ultimi tempi alcuni ricercatori hanno
scoperto una serie di evidenze che dimostrano come l’impatto delle comete
sulla Terra sia davvero avvenuto. La stessa rivista “Nature”, considerata “la
Bibbia” della scienza, in data 6 Marzo 2020 ha pubblicato sul suo sito un
articolo intitolato “ Evidence of Cosmic Impact at Abu Hureyra, Syria at the
Younger Dryas Onset (~12.8 ka): High-temperature melting at >220 0 °C ”,
che illustra le prove scientifiche che depongono a favore del tremendo
impatto di un oggetto celeste nel territorio di Abu Hureyra, in Siria, circa
12.800 anni fa.
Alla fine dell’introduzione, o “Abstract” dello studio, viene detto
testualmente: “L'ampia gamma di prove supporta l'ipotesi che un evento
cosmico si sia verificato ad Abu Hureyra circa 12.800 anni fa,
contemporaneamente ad altri impatti che hanno depositato in quattro
continenti vetro fuso ad alta temperatura, microsfere fuse e/o platino, in altri
siti coinvolti con lo Younger Dryas”.
Abu Hureyra
Ricostruiamo tutto dall’inizio. Abu Hureyra è uno dei siti archeologici più
importanti al mondo. Situato a Nord della Siria, è il sito archeologico dove si
trovano le più antiche tracce di attività agricola da parte dell’uomo. Gli
archeologi vi hanno trovato i resti di diversi tipi di cereali, inclusa la segale. Il
sito è datato a circa 13.000 anni fa. Dai resti ritrovati, si nota che circa 1.300
anni dopo che era stata abitata, di colpo la popolazione di Abu Hureyra è
andata via, o per qualche motivo, gran parte di essa non esisteva più.
Fino a poco tempo fa non si capiva cosa potesse aver causato tutto questo.
Analizzando i resti di Abu Hureyra, recentemente i ricercatori hanno trovato
delle microsfere di vetro fuso presenti praticamente su ogni cosa, sia nei resti
biologici, sia nei resti in muratura, sia sul terreno. Hanno anche trovato
nanodiamanti e tracce di suessite, un minerale raro sulla Terra, ma comune
nei meteoriti. Sono state rinvenute tracce di minerali ricchi di cromo, ferro,
nichel, solfuri, titanio, ferro, platino e iridio, minerali che tipicamente
compongono gli asteroidi.
Per produrre le microsfere di vetro che contengano quei materiali, sono
necessarie temperature superiori ai 220 0 °C. Per fare dei paragoni, possiamo
ricordare che l’acciaio fonde tra 1.300 °C e 1.50 0 °C. Il titanio fonde a circa
1.700 °C. Per capire a che temperature si formano queste microsfere, James
Kennett, professore emerito di geologia all’Università di Santa Barbara, in
California, ha detto: “Una temperatura così elevata scioglierebbe
completamente un’automobile in meno di un minuto”. Nessun tipo di
reazione “naturale”, sia chimica che d’altro genere, che si potrebbe sviluppare
sulla Terra in maniera spontanea, raggiungerebbe quelle temperature.
Secondo gli studiosi, l’unico evento che può generare qualcosa di simile sulla
Terra è un “impatto cosmico”. Un oggetto celeste deve aver colpito le
vicinanze di Abu Hureyra, disintegrando qualsiasi cosa abbia trovato sul suo
cammino. Probabilmente non si è creato un cratere perché la cometa, o i suoi
detriti, si sono disintegrati nell’atmosfera.
Secondo gli studiosi, le tracce più evidenti del bombardamento di comete a
livello globale consistono proprio nel ritrovamento di un numero enorme di
queste microsfere di vetro, unite ad una quantità di platino molto oltre la
norma. Questa concentrazione di platino è tipica delle comete. Negli anni
passati diversi studiosi hanno asserito di aver trovato queste microsfere di
vetro in alcuni siti, che sono, tra gli altri: Abu Hureyra, Arlington Cyn,
Barber Creek, Big Eddy, Blackville, Blackwater, Chobot, Cuitzeo, Gainey,
Kimbel Bay, Lingen, Lommel, Melrose, Murray Springs, Ommen, Sheriden
Cave, Talega, Tropper.
La maggioranza di questi siti si trovano concentrati negli USA. Altri si
trovano in Canada, Messico, Venezuela, Germania, Siria e Turchia. È del
tutto probabile che queste sfere di vetro si trovino in molte altre zone della
Terra, ma nessuno le ha mai cercate. Secondo i ricercatori, la quantità di
materiale fuso prodotto sotto forma di microsfere, non può essersi formato
solo con l’impatto di un'unica cometa di grosse dimensioni. Per produrre tutto
quel materiale, sono stati necessari migliaia di impatti in quattro continenti.
In parole semplici, la Terra è stata letteralmente bombardata da uno sciame di
migliaia di detriti di comete circa 12.800 anni fa.
Secondo la rivista Nature, probabilmente questi impatti sono derivati da una
serie di comete che hanno colpito la Terra in un breve periodo di tempo.
Queste comete, che sono sostanzialmente composte di ghiaccio e di roccia,
quando si avvicinano troppo al Sole, e quindi nelle vicinanze della Terra,
sono portate a rompersi in migliaia di frammenti del diametro compreso tra i
10 e i 1000 metri. A causa della enorme velocità a cui viaggiano, ciascuno di
questi frammenti è in grado di produrre esplosioni catastrofiche. Sono stati
quindi questi frammenti di cometa a colpire la Terra, e a provocare come
effetto collaterale lo Younger Dryas, una breve ma intensa era glaciale
“supplementare”.
La rivista dice testualmente: “Si ritiene che i più grandi ammassi di detriti
cometari siano in grado di provocare migliaia di esplosioni aeree nell'arco di
pochi minuti in un intero Emisfero Terrestre. Uno scontro [della Terra] con
un tale ammasso di detriti largo un milione di chilometri sarebbe migliaia di
volte più probabile di una collisione con una cometa larga 100 km o di un
asteroide di 10 chilometri”. Secondo la rivista Science, l’impatto ad Abu
Hureyra è stato solo uno dei numerosissimi impatti verificatisi in un breve
periodo di tempo, in un raggio di oltre 14.000 km negli emisferi Nord e Sud
della Terra.
Tracce inconfondibili
Anche l’unica vera obiezione ancora in piedi contro questa teoria sembra
essere caduta. Fino a poco tempo fa, gli scettici chiedevano: “Dove sono i
crateri provocati dagli impatti?”. Pochi anni fa, a partire dal 2015, sotto i
ghiacciai della Groenlandia, esattamente alla profondità di 1 chilometro sotto
il ghiacciaio “Hiawatha”, è stato scoperto un cratere meteorico di ben 32
chilometri di diametro, grande quanto una intera provincia. Per crearlo sarà
stata necessaria una esplosione di svariati megatoni. Dai rilievi, sembra che il
cratere sia stato formato da un meteorite ferroso largo circa 1 – 1,5
chilometri, e dal volume di circa 20 chilometri cubi. Trovandosi sotto i
ghiacciai, non è ancora stato possibile fare delle rilevazioni dirette sulla
formazione di questo cratere. Ma sono state fatte altri tipi di analisi.
Secondo gli astrofisici, una delle comete, o uno dei suoi resti, deve aver
colpito il Medio Oriente in una zona vicino alla Siria. Questo impatto ha
lasciato una traccia addirittura in uno dei libri più famosi di sempre, la
Bibbia. Parliamo del racconto di “Sodoma e Gomorra”, narrato nei capitoli
18 e 19 del libro di Genesi. Nel brano seguente citiamo i passaggi più
significativi del racconto.
Inizio citazione - In seguito, verso mezzogiorno Yahweh apparve ad Abraham
fra i grandi alberi di Mamre, mentre era seduto all’ingresso della sua tenda.
Abraham alzò gli occhi e vide tre uomini in piedi a una certa distanza da lui.
Non appena li vide, dall’ingresso della tenda corse loro incontro e si inchinò
con il viso a terra, e disse: “Yahweh, ti prego, se ho la tua approvazione non
andartene. Fermati dal tuo servitore! Permettetemi, per favore, di farvi lavare
i piedi. Poi riposatevi sotto quell’albero. Visto che siete venuti qui dal vostro
servitore, permettetemi di portarvi un pezzo di pane per farvi ristorare, e poi
potrete rimettervi in cammino”. Allora dissero: “Va bene. Fa’ quello che hai
detto”.
[…]
I tre uomini si alzarono per andarsene e guardarono in giù, nella direzione di
Sodoma. Mentre si recavano in quella direzione, Abraham li accompagnò per
un tratto di strada. E Yahweh disse: “Non nasconderò ad Abraham quello che
sto per fare.
[…]
Dopodiché Yahweh disse: “Le accuse contro Sodoma e Gomorra sono
davvero serie, e il loro peccato è molto grave. Scenderò a vedere se agiscono
veramente secondo le accuse che sono arrivate fino a me, e, se non è così, lo
saprò”. Poi due dei tre uomini andarono via da lì, e si incamminarono verso
Sodoma; Yahweh però rimase con Abraham. Quindi Abraham gli si avvicinò
e disse: “Davvero spazzerai via i giusti insieme ai malvagi? (Poiché suo
nipote Lot viveva a Sodoma con la sua famiglia). Supponiamo che nella città
ci siano 50 giusti. Li ucciderai tutti comunque? Per proteggere i 50 giusti che
ci sono, non perdonerai quel luogo? È inconcepibile che tu agisca in questo
modo, uccidendo il giusto insieme al malvagio, così che il giusto e il
malvagio facciano la stessa fine! Tu non farai mai una cosa del genere! Il
Giudice di tutta la Terra non farà forse quello che è giusto?”. Yahweh
rispose: “Se nella città di Sodoma troverò 50 giusti, per proteggere loro
perdonerò tutto quel luogo”. Ma Abraham replicò: “Ti prego, mi permetto di
parlare a Yahweh, pur essendo semplice polvere! Supponiamo che tu ne
trovassi 45. Distruggerai tutta la città anche se ne trovassi 45?”. Dio rispose:
“Se ve ne troverò 45 non la distruggerò”.
Ma di nuovo Abraham gli disse: “Supponiamo che ce ne siano 40”. Dio
rispose: “Per proteggere i 40 non lo farò”. Ma Abraham proseguì: “Yahweh,
ti prego, non ti arrabbiare, lasciami parlare ancora! Supponiamo che ce ne
siano solo 30”. Dio rispose: “Se ne troverò 30 ti prometto che non lo farò”.
Ma Abraham proseguì: “Ti prego, mi permetto di parlare a Yahweh!
Supponiamo che ce ne siano solo 20. Cosa farai?”. Dio rispose: “Per
proteggere i 20 non la distruggerò”. Alla fine, Abraham disse: “Yahweh, ti
prego, non ti arrabbiare, lasciami parlare un’ultima volta! Supponiamo che ce
ne siano solo 10”. Dio rispose: “Per proteggere i 10 non la distruggerò”.
Quando ebbe finito di parlare con Abraham, Yahweh se ne andò, e Abraham
tornò alla sua tenda.
I due angeli arrivarono a Sodoma verso sera. Lot era seduto all’ingresso delle
mura della città. Quando li vide, andò subito loro incontro. Si inginocchiò
quindi con il viso a terra e disse: “Miei signori, vi prego, venite a casa del
vostro servitore. Passate la notte da me e fatevi lavare i piedi. Poi vi alzerete
all’alba e riprenderete il vostro viaggio”. Loro dissero: “No, passeremo la
notte nella piazza del paese”. Ma lui fu così insistente che i due
acconsentirono alla sua ospitalità. Quindi Lot preparò un banchetto in casa
sua, e cosse pani senza lievito, e i suoi due ospiti mangiarono.
Non erano ancora andati a dormire, che tutti gli uomini di Sodoma, dal più
giovane al più vecchio, accerchiarono la casa formando una folla. E
chiamavano Lot e gli dicevano: “Dove sono i due uomini che sono venuti da
te stanotte? Portaceli fuori, perché vogliamo fare sesso con loro!”.
Lot allora uscì fermandosi sulla soglia di casa sua, e si chiuse la porta alle
spalle. Disse: “Fratelli miei, vi prego, non fate questa cosa malvagia. Vi
prego, ho due figlie che non hanno mai avuto rapporti sessuali con un uomo.
Sono vergini. Vi prego, lasciate che ve le porti fuori così che possiate fare
loro quello che volete. Ma non fate nulla a questi uomini, perché sono miei
ospiti, e sono sotto la mia protezione”. Quelli dissero: “Fatti indietro!”. E
aggiunsero: “Questo straniero è venuto a vivere qui, e ora osa addirittura
giudicarci! Adesso faremo a te peggio che a loro!”. Così si accalcarono
intorno a Lot e fecero per sfondare la porta. Allora i due uomini all’interno
della casa stesero le braccia, tirarono dentro Lot e chiusero la porta.
Contemporaneamente colpirono di cecità gli uomini che erano davanti alla
casa, dal più piccolo al più grande, e questi non riuscivano più a trovare
l’ingresso della casa di Lot.
Quindi i due uomini dissero a Lot: “Hai qualche persona a cui tieni in questa
città? Fa’ uscire da questo luogo tutti quelli a cui vuoi bene! Stiamo per
distruggere tutto, perché l’accusa contro gli abitanti di questa città è diventata
davvero troppo grande davanti a Yahweh, tanto che Yahweh ci ha mandato a
distruggere!”. Allora Lot uscì e andò a parlare ai suoi generi, che dovevano
sposare le sue figlie. Disse loro: “Muovetevi! Andate via da qui, perché
Yahweh sta per distruggere la città!” Ma i suoi generi pensarono che stesse
scherzando, e non gli diedero ascolto.
Quando era quasi l’alba, gli angeli insistevano con Lot, dicendo: “Muoviti!
Prendi tua moglie e le tue due figlie che sono qui con te, se non vuoi essere
spazzato via per i peccati della città!”. Ma Lot non riusciva a decidersi,
perciò gli uomini, a motivo della compassione di Yahweh nei suoi confronti,
presero per mano lui, sua moglie e le sue due figlie, e li portarono a forza
fuori dalla città. Non appena furono fuori, uno di loro disse: “Mettiti in
salvo! Non guardare indietro e non fermarti da nessuna parte nella pianura!
Fuggi verso le montagne, se non vuoi essere ucciso anche tu!”.
[…]
Lot arrivò alla città di Zòar quando il sole era già spuntato. Allora dai cieli,
da Yahweh, su Sodoma e Gomorra piovve fuoco e zolfo. Così Yahweh
distrusse queste città e l’intera pianura, compresi tutti gli abitanti e la
vegetazione. La moglie di Lot, però, guardò indietro e diventò una colonna
di sale.
Al mattino Abraham si alzò presto e andò nel luogo in cui gli era apparso
Yahweh. Quando guardò giù verso Sodoma e Gomorra e tutta la pianura,
vide qualcosa di spettacolare! Un fumo denso saliva dalla terra al cielo,
diritto come il denso fumo di una fornace! – Fine citazione.
Un esame obiettivo
Volendo eliminare dal racconto tutti gli elementi religiosi tipici dell’ebraismo
e del “culto di Yahweh”, cosa ci dice questa storia? Il racconto ci dice che
nella zona vicino alla odierna cittadina di Al Kalil (Hebron), circa 30
chilometri a Sud di Gerusalemme, tre esseri “celesti” con sembianze umane
avvertirono un nomade sumero, chiamato Abraham, proveniente dalla città di
Ur, di ciò che sarebbe avvenuto di lì a un paio di giorni. Gli dissero che una
intera zona del Medioriente, dove sorgevano numerose città, sarebbe stata
spazzata via.
Poco tempo dopo, diverse città situate in una zona in prossimità della riva
Sud del Mar Morto vennero distrutte da qualcosa che sembrava essere “fuoco
caduto dal cielo”. La cosa più strana è il particolare che viene menzionato in
seguito. Il nomade sumero aveva il suo accampamento ad una distanza di
oltre 50 chilometri dal luogo della distruzione, su di una zona collinare. Ma
nonostante questa grande distanza, guardando in quella direzione verso la
pianura, era riuscito a scorgere “un fumo denso che saliva dritto dalla terra
come il denso fumo di una fornace” che raggiungeva il cielo.
Consideriamo questi tre aspetti. (1) La distanza dell’osservatore dall’oggetto
della sua osservazione. (2) La descrizione particolareggiata di una colonna di
fumo che saliva dritta fino al cielo (in un tempo precedente di millenni
all’esplosione della prima bomba atomica). (3) L’effetto che ci fu sulle città
della zona, completamente polverizzate.
Considerando questi tre aspetti, cosa può aver visto il nomade sumero,
indicato nelle Scritture Ebraiche con il nome di Abraham? L’unico tipo di
esplosione che l’osservatore può aver visto ad oltre 50 km di distanza, che
causava una nube di fumo che saliva dritta fino al cielo, e che aveva
disintegrato le città di una intera provincia, erano gli effetti di una esplosione
di tipo termonucleare. Ma non essendoci armi nucleari in quel tempo, l’unica
cosa che può aver generato una simile esplosione è l’impatto di un meteorite
o di una cometa nella zona.
Questa idea è tutt’altro che campata in aria, ma è totalmente sorretta dalla
scienza. Infatti, precedentemente abbiamo accennato all’articolo della rivista
“Nature” del 6 Marzo 2020 intitolato “Evidence of Cosmic Impact at Abu
Hureyra”. Questo articolo evidenzia come in Medioriente, in una zona non
troppo lontana dal Mar Morto, ci sia stato l’impatto con un oggetto celeste.
L’articolo dice chiaramente che è altamente probabile che si verificarono altri
impatti, a breve distanza di tempo. Pur non avendo ancora trovato il cratere
dell’impatto, sono state ritrovate delle microsfere di vetro/platino, che si
possono formare solo ad altissime temperature. Quindi, secondo gli studiosi,
c’è stata una esplosione che ha generato talmente tanto calore da poter
sciogliere un’automobile in meno di un minuto. L’esplosione è stata quindi di
livello nucleare.
Chi ha scritto il racconto della distruzione di Sodoma e Gomorra (nella sua
versione originale, senza gli abbellimenti religiosi) non può essersi inventato
qualcosa che l’uomo non aveva mai visto. Il racconto descrive qualcosa che
“come il fuoco” scende dal cielo, colpisce una zona grande quanto una
provincia, disintegrandola, generando una colonna di fumo che sale dritta
fino al cielo. Per non menzionare il particolare che da una zona collinare si
potesse osservare quella scena da oltre 50 chilometri di distanza. Tutto questo
ricorda da vicino un “fungo nucleare”, che può essere visibile anche a
grandissima distanza. Che l’osservatore si trovasse a grande distanza è
confermato anche dal fatto che l’onda d’urto che si genera con l’esplosione
non lo abbia spazzato via.
Non essendo riusciti a darsi nessuna spiegazione razionale di quell’evento
catastrofico, considerando le povere conoscenze scientifiche del loro tempo, i
testimoni oculari sopravvissuti ci ricamarono attorno la storia del “giudizio di
Dio” su Sodoma e Gomorra. La descrizione è così realistica che non si può
escludere che la distruzione di Sodoma e Gomorra sia il ricordo della
distruzione di qualche città o villaggio vicino ad Abu Hureyra, ovviamente
romanzato ed inserito nella Bibbia. Tra l’altro, questo spiegherebbe perché
non sono mai stati trovati i resti di quelle città. Con temperature generate
dall’impatto superiori ai 220 0 °C, di quelle città, fatte probabilmente di
mattoni di fango, non è rimasto nemmeno il ricordo.
Alcune deduzioni
Unendo l’evidenza scientifica dell’impatto delle comete in quella zona del
Medioriente con il racconto di Sodoma e Gomorra, otteniamo alcune
informazioni. (1) Sappiamo quando accadde l’episodio originale che ha dato
“il via” alla leggenda di Sodoma e Gomorra: ci troviamo intorno al 10.800
a.C. (2) L’Abraham biblico, colui che racconta la distruzione di Sodoma, è in
realtà la voce di uno dei sopravvissuti. (3) Il racconto cita chiaramente un
certo numero di città esistenti in quella zona. Oltre alla città di Sodoma, viene
citata la città di Gomorra, la città di Zoar e altre innominate “città del
Distretto”.
Questo aspetto rende evidente che, se esistevano delle città
(indipendentemente dalla loro grandezza), allora una certa forma di
civilizzazione in quella zona esisteva già 12.800 anni fa. A conferma di
questo, negli ultimi anni sono stati ritrovati il villaggio di Jerf el-Ahmar, e il
sito megalitico di Göbekli Tepe, entrambi situati vicino alla Siria, e entrambi
databili a circa 12.000 anni fa. (Li esamineremo in seguito dettagliatamente).
Il racconto non si sbaglia quando dice che in quella zona c’erano diversi
villaggi o cittadine abitate.
Il racconto rende evidente come molte città vennero completamente spazzate
via dagli impatti dello sciame meteorico, venendo letteralmente
“disintegrate” dal “fuoco che cadde dal cielo”. Se non fosse per le pagine
della Bibbia, non avremmo saputo nemmeno della loro esistenza. Anche nel
loro caso, il “collo di bottiglia genetico” fu pressoché totale. Secondo il
racconto ci furono solo 3 sopravvissuti. Questo spiega perché, circa 10.000
anni dopo quegli eventi, la gente del posto non si era ancora evoluta, almeno
dal punto di vista tecnologico. L’intera zona dovette ripartire quasi “da zero”.
Visitatori?
C’è un altro aspetto che non dovremmo sottovalutare. Il racconto parla di un
“tentativo” di salvataggio da parte di esseri celesti nei confronti degli umani
che si trovavano nella zona che stava per essere colpita. Secondo il racconto,
esseri celesti definiti “angeli” avvertirono alcuni abitanti di lasciare
immediatamente quella zona, perché entro poche ore sarebbe stata distrutta
dal “fuoco dal cielo”. Ma a molti queste parole sembravano essere “uno
scherzo”. (Vedi Genesi 19:14).
La cosa interessante è che, benché il racconto si riferisca a queste tre persone
come “Yahweh”, il nome del dio ebraico, in realtà vengono descritti tre esseri
in tutto e per tutto simili agli umani. Dal racconto sembra che uno fosse una
specie di “coordinatore”, mentre altri due erano gli esecutori materiali. Questi
mangiavano, bevevano, camminavano, esattamente come qualsiasi essere
umano. Anche la loro missione aveva poco di “trascendentale”. Invitavano
semplicemente la gente ad andare via dalla città, come se sapessero quello
che stava per accadere. Più che delle vere divinità hanno l’aspetto di esseri
“informati” degli eventi. Ovviamente non si può speculare troppo, perché non
sappiamo quanti e quali dettagli siano “antichi”, e quali siano invece stati
aggiunti dai sacerdoti ebrei per rendere la storia “soprannaturale”.
Il “salvataggio” risultò essere un mezzo fallimento. Tranne tre esseri umani,
tutti gli altri morirono. Ovviamente questa parte del racconto può essere solo
una leggenda, o la versione distorta degli avvenimenti. Comunque, il libro di
Genesi non è l’unico che narra della presenza di esseri “celesti” in relazione
al bombardamento delle comete. Anche altri documenti, molto più antichi
della Bibbia ed estremamente “laici”, narrano il loro coinvolgimento. Ad
esempio, in alcune stele di Göbekli Tepe questo è un tema piuttosto comune.
Ma ne riparleremo quando affronteremo questo soggetto.
5 - Un mistero sepolto
Altre strutture, invece, sembra che abbiano subito un evento climatico che le
ha in qualche modo sotterrate. Il periodo coincide abbastanza bene con quello
dell’Ultimo Disgelo, avvenuto tra 14.500 e 9.000 anni fa. Non è quindi
escluso che, almeno i cerchi più antichi, siano stati soggetti ad uno
smottamento della collina originale, forse a causa delle forti piogge dovute al
disgelo. La stessa sorte sembra essere accaduta agli altri “insediamenti
gemelli” vicini a Göbekli Tepe. Ma per ora non ci sono certezze.
Alcune conclusioni
Quello che resta di Göbekli Tepe è sufficiente per cambiare molte delle
nostre convinzioni. Quello che solo pochi anni fa sembrava “fanta-
archeologia”, ora è una realtà come minimo plausibile, se non addirittura
probabile. È ormai provato che almeno alcuni gruppi di uomini che noi
consideravamo “dell’età della pietra” non erano degli stupidi cavernicoli
capaci soltanto di cacciare, ma erano molto più simili di quanto potevamo
immaginare all’uomo moderno. Erano in grado di ricavare dalla roccia
pilastri levigati dal peso di diverse tonnellate. Erano capaci di trasportarli e di
erigerli sia come elementi architettonici che a scopo ornamentale. Avevano
evidentemente buone capacità ingegneristiche, considerando il tempo in cui
vivevano.
Inoltre, sicuramente non vivevano in piccoli gruppetti totalmente
indipendenti, come si pensava negli anni passati. Per realizzare una struttura
come Göbekli Tepe e i vari siti vicini serve il lavoro congiunto di almeno 500
uomini robusti, a cui si aggiungono mogli, figli, anziani, gente che raccoglie
e prepara il cibo per tutti, e tutto questo per diverso tempo. Parliamo quindi
della collaborazione di alcune migliaia di persone. Gli homo Sapiens che
costruirono Göbekli Tepe e le altre strutture simili nelle vicinanze, vivevano
in gruppi numerosi comunicanti tra loro. Questo presuppone che avessero una
struttura sociale complessa. Inoltre, non vivevano necessariamente in
capanne, ma erano perfettamente in grado di costruire solide abitazioni in
pietra.
Avevano una capacità artistica estremamente sviluppata, ed iniziavano ad
usare simboli che si sarebbero poi potuti evolvere in una sorta di scrittura
geroglifica. Tecnicamente, quindi, erano sul punto di fondare una civiltà.
(Ammesso che le rovine di Göbekli Tepe non siano i resti di un tentativo di
ricostruzione di una civiltà precedente, distrutta dallo Younger Dryas. Ma
attualmente non esistono prove per affermarlo). Finché tutti i siti attorno a
Göbekli Tepe non verranno localizzati, trovati e dissotterrati, non ci potrà
essere una risposta definitiva alla domanda: quanto era antica questa cultura?
A questo punto potrebbero esistere dei siti simili ma molto più antichi di
quello di Göbekli Tepe, e nessuno si sorprenderebbe più di tanto se venissero
scoperti. Infatti, la statuetta dell’uomo-leone ritrovata in Germania, nella
caverna di Hohlenstein-Stadel, è per molti versi sorprendentemente simile
allo stile e alle capacità artistiche espresse dai costruttori di Göbekli Tepe.
Ricordiamo che quella statuetta ha quasi 40.000 anni.
Per l’archeologia ufficiale, quindi, la scoperta di Göbekli Tepe e lo studio dei
suoi resti è stato come aver scoperto che un fantasma esiste realmente. Le
strutture di Göbekli Tepe non sarebbero dovute esistere. Ovviamente gli
attrezzi fatti di selce a disposizione degli umani di quel tempo potevano
intagliare la tenera roccia calcarea dei blocchi di Göbekli Tepe. Dal punto di
vista fisico ciò è perfettamente possibile. Ma è anche vero che, dal punto di
vista fisico, un temperino in acciaio può intagliare un intero albero, e farne
una statua. Ma quanti di noi si accingerebbero a intagliare un intero albero
usando solo un temperino? Ebbene, usando semplici piccoli arnesi di selce
per ricavare i loro pilastri, gli artisti di Göbekli Tepe sembra che fecero
esattamente questo, e lo ripeterono per centinaia di volte (o forse migliaia),
ogni volta che intagliarono uno dei blocchi che compongono le loro
costruzioni.
Non si compie un lavoro così impari senza avere mezzi adeguati, o un motivo
imprescindibile. Noi oggi non conosciamo né i mezzi reali posseduti da quei
costruttori, né il motivo per cui venne fatto questo sforzo davvero immane,
che in proporzione rivaleggia senza problemi con quello che ci volle per
costruire le piramidi. Gli archeologi più seri hanno iniziato ad ammettere che,
evidentemente, ci siamo sbagliati, e di molto, sul definire quando ha avuto
inizio la moderna civiltà umana.
6 – Misteriose presenze
Questo non vuol dire che le incisioni di Göbekli Tepe siano un vero sistema
di scrittura posseduto da quel popolo. Se questo fosse stato il loro modo di
scrivere, probabilmente il sito sarebbe pieno di questi simboli. Ma non è così.
Questi simboli compaiono molto di rad o a Göbekli Tepe, anche se sono
presenti. Se avevano un sistema di scrittura, perché non compare da nessuna
altra parte? E perché non si è sviluppato in seguito? Non ci sono risposte. Per
questo motivo i simboli sulla cintura del monolite B sono la vera “nota
stonata” di tutto il sito. Se gli scultori potevano aver immaginato nella loro
fantasia qualcosa di simile ai due monoliti (che fossero dei visitatori reali o
immaginari poco importa), sicuramente non potevano aver immaginato il
concetto di “scrittura”. Il “salto” sarebbe stato troppo grande.
E allora cosa ci fanno degli ideogrammi sulla cintura di una scultura
precedente al 10.000 a.C.? Vedere quegli ideogrammi su di una scultura di
12.000 anni fa, corrisponde a vedere un dinosauro a New York. Ma il mistero
si complica ulteriormente. Come vedremo in seguito, nel vicino villaggio di
Jerf el-Ahmar, costruito almeno 11.500 anni fa, prima che venisse inondato
erano stati ritrovati “simboli mnemonici incisi 5.000 anni prima della
comparsa della scrittura”. Esaminandoli, i ricercatori hanno scoperto che
somigliano a dei disegnini, come quelli che si trovano in antiche caverne.
Probabilmente sono i “genitori” o i “nonni” dei geroglifici. Ma sono
completamente diversi dai simboli che compaiono sul monolite B, che
assomigliano invece paurosamente a delle “lettere” o degli “ideogrammi”.
L’unico modo per spiegare quegli ideogrammi presenti sulla cintura del
Monolite B è ipotizzare che non sia “farina del sacco di Göbekli Tepe”.
Quella cintura viene “dal di fuori”. Quei simboli somigliano troppo ad un
sistema di scrittura per essere casuali, ma sono usati troppo di rado nel sito
per poter pensare che siano un prodotto locale. Sembra che nessuno dei
villaggi vicini li abbia mai usati. Ci possono essere quindi solo due ipotesi
plausibili. (1) L’intero monolite appartiene ad un altro luogo e ed un altro
tempo, come tutto finora sembra indicare. (2) Gli scultori che realizzarono il
monolite B hanno semplicemente cercato di “copiare” qualcosa di cui non si
rendevano pienamente conto, qualcosa che potevano anche essere delle
“lettere” o dei “simboli”, facendoli entrare poi nella loro cultura.
I segni sulla cintura di questo monolite potrebbero indicare che un nostro
progenitore ha davvero visto qualcosa di “strano” in passato? Ha cercato di
“copiare” dei simboli che ha visto addosso ad un “visitatore”? Oppure si
tratta di un sistema di scrittura che hanno visto usare a dei “visitatori umani”,
e che hanno cercato goffamente di copiare? Indipendentemente dall’origine
di quei simboli, sembra che ci siano davvero delle “scritte” sulla cintura del
monolite B a Göbekli Tepe. Ma sembra che la scrittura non fosse la loro, e
che non provenga da li. E questo rende quella cintura ancora più inquietante.
Cosa rappresentano
Dopo aver visto nel dettaglio come erano formati i due monoliti, possiamo
dedurre qualcosa in più su cosa o chi rappresentassero? Se i popoli del
passato rappresentavano esseri “non umani” dando loro delle teste di animale,
gli scultori di Göbekli Tepe fanno un passo oltre: li rappresentano senza
volto. Era un modo di dire che non erano umani. Quindi, l’usanza di staccare
la testa ai morti, probabilmente era un effetto di questa credenza, e non una
causa. Togliendo la testa ai morti, e quindi facendoli diventare “senza volto”,
probabilmente si credeva di elevarli allo stesso rango di ciò che i due
monoliti rappresentavano.
Averli raffigurati come delle colonne di pietra probabilmente era un simbolo
della loro potenza. Erano inamovibili come delle colonne. Da notare che il
loro “davanti” corrisponde al lato stretto della stele, e non al lato largo, come
ci si aspetterebbe per delle sculture (sul lato largo, infatti, si possono scolpire
molte più cose). In tutto il mondo, l’unica scultura simile, dove il lato frontale
di un essere vivente viene scolpito sul lato stretto di una stele, si trova a San
Agustín, in Colombia, lo stesso sito che ospita i “gemelli” dei Patung di
Sundaland. Infatti, tra le rovine di San Agustín si può trovare, scolpito su una
roccia stretta e lunga come i monoliti di Göbekli Tepe, uno strano essere
umanoide. Ha la faccia incisa sul lato stretto del blocco di roccia., e ha
braccia e mani disposte in maniera identica. Sembra avere il lato anteriore
“umano” e il lato posteriore, molto profondo, animalesco. A vederlo meglio,
sembra quasi che uno strano attrezzo a forma di animale sia “montato” sulle
spalle di quell’essere umano, con una apertura superiore e una inferiore.
Come dimostra il monolite A, alcuni di quegli esseri erano considerati potenti
e invincibili, come l’uro, il toro selvatico. La ricchezza di simboli del
monolite B indica che alcuni di loro rappresentavano il loro popolo. Se il
cerchio e la mezzaluna rappresentassero il Sole e la Luna, questa sarebbe una
indicazione, almeno nella loro fantasia, che quel monolite avesse un rango
altissimo, o che provenisse addirittura da dove si trovano il Sole e la Luna,
ossia dallo spazio.
È piuttosto evidente che i due monoliti rappresentino esseri “venuti dal di
fuori”, potenti come un uro, discesi da dove si trovano il Sole e la Luna. La
loro forma indica che erano imbrigliati in una struttura che dava loro una
forma strana, come la statua rinvenuta a San Agustín. Inoltre, diversi indizi
additano che, almeno gli originali, vennero realizzati moltissimo tempo prima
della costruzione di Göbekli Tepe (è del tutto possibile che gli originali
vennero usati come “copie” per altri monoliti simili). Tutto ciò era il parto
della fantasia degli scultori, o è solo il tentativo un po' goffo di descrivere,
come meglio erano capaci, qualcosa o qualcuno che videro realmente arrivare
da lontano?
8 – Prima dei Sumeri
Sembra che Göbekli Tepe non avesse abitanti che risedessero in maniera
stabile, o se ci sono stati erano davvero in numero molto esiguo. La
principale motivazione che porta i ricercatori a questa conclusione è che non
è stato ritrovato alcun resto umano, fino ad ora, in quel sito. Nelle culture
della zona, i morti venivano sepolti comunemente nelle abitazioni dove
avevano vissuto da vivi. La mancanza dei resti dei cadaveri, quindi, lascia
pensare che nessuno, o quasi, sia mai vissuto in quel sito in maniera stabile.
Inoltre, sembra che le provviste di acqua disponibili nella zona non fossero
sufficienti per dissetare quotidianamente un insediamento stabile abbastanza
numeroso. Sembra quindi che la gente andasse a Göbekli Tepe, banchettasse
e poi se ne tornasse da dove era venuta.
La domanda a questo punto è: da dove veniva tutta quella gente? Da quanto
ne sappiamo, in quel tempo non esistevano le strade, le popolazioni locali
non conoscevano la ruota, e non usavano i cavalli o altri animali da soma
come mezzo di locomozione. Si andava tutti a piedi su terreni spesso
accidentati, e quindi si poteva percorrere solo qualche chilometro al giorno. È
quindi piuttosto logico pensare che coloro che si recavano in visita a Göbekli
Tepe, ma soprattutto coloro che l’hanno costruita, non provenivano da un
posto “troppo lontano”.
Infatti, per costruire un insediamento come Göbekli Tepe servono dai 300 ai
500 operai, che dovevano lavorare insieme per diverso tempo, forse alcuni
mesi, forse alcuni anni. A questo numero dobbiamo aggiungere i bimbi e gli
anziani che ovviamente li seguivano. Inoltre, vanno aggiunte le donne che
erano sicuramente impegnate a procurare il cibo per tutti, e anche altri
soggetti che si occupavano di altre faccende necessarie. Il numero di persone
coinvolte nella costruzione di Göbekli Tepe poteva raggiungere le 2.000 –
3.000 unità. Per quei tempi, quella era la popolazione di una cittadina di
medie dimensioni.
Inoltre, la costruzione di un sito simile presuppone l’esistenza di una
gerarchia: c’era chi dava ordini e chi li eseguiva. Questo aspetto lascia
pensare che a costruire Göbekli Tepe sia stata una società già organizzata,
che non poteva esistere se gli umani vivevano separati in tende o capanne,
come si riteneva un tempo che facessero gli uomini 12.000 anni fa. Göbekli
Tepe è frutto della collaborazione di cittadini, abituati ad essere organizzati
insieme per conseguire obiettivi comuni. A questo possiamo aggiungere che
non è possibile che tutti avessero la stessa abilità nel lavorare la pietra in
maniera artistica. O non possiamo pensare che tutti avessero la stessa forza
per innalzare i pilastri, o per costruire i muri a secco. Sembra quindi che gli
operai fossero abili in diverse specializzazioni. Per costruire Göbekli Tepe,
almeno alcuni “mestieri” avevano già fatto la loro comparsa da diverso
tempo. Tutto questo rivoluziona l’idea che gli umani di 12.000 anni fa
fossero solo dei cacciatori-raccoglitori “generici”.
Il numero delle persone coinvolte nel progetto, l’evidenza di un’ottima
organizzazione dei lavori, la specializzazione di alcuni operai, mal si concilia
con l’idea che gli abitanti della zona fossero sparsi in piccoli gruppetti
indipendenti. È praticamente impossibile che una comunità non organizzata
possa aver dato vita a Göbekli Tepe. Alle spalle di Göbekli Tepe doveva
esserci uno o più centri urbani, che esistevano almeno da alcuni secoli.
Questo manda in frantumi l’idea che avevamo della cosiddetta “età della
pietra”.
Stiamo dicendo che prima di Göbekli Tepe, anche se è antica di 12.000 anni,
doveva necessariamente esserci almeno una cittadina. Quindi se vogliamo
trovare in maniera realistica chi possano essere stati i probabili costruttori di
Göbekli Tepe, dobbiamo guardare attorno, in un raggio non superiore ai 100
chilometri, se esistevano insediamenti abitati nello stesso periodo di tempo.
Loro sarebbero i principali indiziati della costruzione del sito. Esiste qualche
insediamento che possa corrispondere a questo identikit? Forse uno è stato
trovato.
Jerf el-Ahmar
Circa 20 anni fa, nella totale indifferenza generale, per costruire una diga nel
Nord della Siria, finiva sott´acqua uno degli insediamenti più antichi della
storia umana, probabilmente contemporaneo a Göbekli Tepe. Era stato
ritrovato da pochissimo tempo, quindi c’era ancora moltissimo lavoro da fare
per capire chi lo aveva costruito e perché. Parliamo del sito di Jerf el-Ahmar ,
che venne sommerso quando venne costruita la diga di Tishrin. Le prime
indagini avevano rivelato che era antico di almeno 11.600 anni, ma forse lo
era ancora d più. Bernadette Arnaud, corrispondente di “Archeology” a
Parigi, descrisse in maniera dettagliata tutto l’accaduto. Rileggiamo il suo
pezzo, che dice: “Un sito siriano, unico al mondo, allagato dopo il
completamento di una diga. Era uno degli insediamenti umani più antichi del
mondo.
Nel luglio del 1999, le acque alluvionali della diga di Tishrin, a 75 miglia da
Aleppo, nel nord della Siria, hanno inondato Jerf el-Ahmar (Red Cliffs), uno
degli insediamenti più antichi del mondo, risalente a 11.600 anni fa.
Funzionari siriani hanno detto che la diga avrebbe fornito l'elettricità e l'acqua
tanto necessari per l'irrigazione, lo stesso motivo per cui i funzionari turchi
hanno autorizzato l'inondazione parziale del sito di Eugma, più in alto lungo
l'Eufrate. Ma per Danielle Stordeur e i membri del suo team di ricerca franco-
siriano, che stavano scavando il sito dal 1995, la perdita per l'archeologia è
stata catastrofica. ´Non c'è mai stato nulla di simile ritrovato in Medio
Oriente´, ha detto Stordeur, pochi giorni prima che il sito venisse allagato.
´Ogni scoperta fatta qui non ha fatto altro che evidenziare l'importanza unica
del sito´.
Il team di Stordeur aveva trovato più di 40 case ben conservate, un numero
incredibile per quel periodo di tempo, rivelando un'evoluzione da spazi
abitativi rotondi a spazi abitativi rettangolari. Il team ha scoperto piccole
placche di terracotta con simboli mnemonici incisi 5.000 anni prima della
comparsa della scrittura, e cereali, come il grano, che indicavano le prime
tracce di coltivazione. Infine, pochi mesi prima dell'allagamento, Stordeur
scoprì una struttura di 11.600 anni con panchine che rivestivano le pareti
interne del locale, suggerendo che in quell’ambiente si svolgesse una sorta di
attività rituale comune.
Jerf el-Ahmar, in realtà, è composta da una dozzina di villaggi accatastati uno
sopra l'altro e occupati tra il 9600 e l'8500 a.C. I numerosi strati del sito
possono aiutare gli studiosi a comprendere meglio l'evoluzione da abitazioni
rotonde a abitazioni rettangolari. Si pensava in precedenza che questa
trasformazione si fosse verificata verso la fine del X millennio a.C., ma le
prove erano frammentarie e le sue fasi poco comprese. ´Abbiamo scoperto
case rotonde negli strati più antichi, e quelle rettangolari che le sovrastano´,
dice Stordeur. Circa 11.000 anni fa, in questa curva dell'Eufrate, la gente
imparò a mettere insieme le pietre per formare angoli retti. Questa tecnica ha
dato origine a una grande varietà di stili architettonici rettangolari, ellittici e
semicircolari, gli elementi costitutivi di piccoli villaggi con spazio aperto
progettato. "C'era una gestione civica collettiva, un tentativo di urbanistica",
dice Stordeur. – Fine citazione
Le implicazioni di Jerf el-Ahmar
Purtroppo, oggi non è più possibile visitare quel “tentativo di urbanistica”
antico almeno di 11.600 anni, ossia il fantastico villaggio di Jerf el-Ahmar .
Ma confrontando il materiale fotografico lasciato dagli studiosi che hanno
effettuato gli scavi, con le informazioni pubblicate sui periodici scientifici,
non si può non notare le enormi somiglianze con Göbekli Tepe. È
estremamente probabile che parte della popolazione di Jerf el-Ahmar, abbia
contribuito in qualche modo alla costruzione di Göbekli Tepe. Le
implicazioni di tutto questo sono enormi.
Come abbiamo letto, a Jerf el-Ahmar erano stati ritrovati “simboli mnemonici
incisi 5.000 anni prima della comparsa della scrittura”. Che è un modo
elegante per dire che gli abitanti del posto stavano elaborando un sistema di
scrittura 5.000 anni prima dei Sumeri. Questo potrebbe spostare di almeno
5.000 anni indietro la data della comparsa della scrittura, e di conseguenza,
della civiltà. Per sapere se il tentativo di creare un sistema di scrittura da parte
di quei popoli è andato a buon fine, bisognerebbe continuare a scavare
intorno. E, possibilmente, non inondare i villaggi che vengono scoperti, come
è accaduto a Jerf el-Ahmar. Se questo sistema di scrittura venisse
effettivamente trovato, il “primato” dell’invenzione della scrittura passerebbe
dai Sumeri ai costruttori di Göbekli Tepe.
Secondo le parole del ricercatore francese Stordeur, ci sono chiari segni
dell’inizio della coltivazione di cereali a Jerf el-Ahmar. Lo stesso è stato
notato ad Abu Hureyra, in Siria, ben 12.800 anni fa. Anche il “primato”
dell’introduzione dell’agricoltura, quindi, andrebbe tolto ai Sumeri e dato a
queste popolazioni, più antiche di almeno 5.000 anni. Stordeur ci dice che
avevano rinvenuto almeno 40 case. Gli edifici di Jerf el-Ahmar erano
circolari, come quelli di Göbekli Tepe. Dalle foto scattate alle costruzioni, si
vede che gli ambienti interni di queste abitazioni circolari erano suddivisi,
formando molte stanze. In questo sito le mura delle abitazioni circolari erano
in parte scavate sotto il livello del terreno, e in parte innalzate come delle
normali mura. Considerata la grandezza degli edifici circolari, a Jerf el-
Ahmar potevano vivere comodamente anche 1.000 persone.
Anche a Jerf el-Ahmar erano presenti dei pilastri simili a quelli di Göbekli
Tepe, ma questi erano in legno, e servivano a reggere una copertura che
fungeva da tetto per gli edifici circolari. La copertura era come una sorta di
“Iurta”, realizzata con del legno leggero, lo stesso tipo di copertura che si
sospetta sia stata realizzata per gli edifici circolari antichi di Göbekli Tepe.
Anche nel villaggio di Jerf el-Ahmar erano presenti edifici a pianta
rettangolare, come a Göbekli Tepe. Si svolgevano attività comuni, con locali
adibiti per questo scopo, esattamente come i resti di carne rinvenuti a Göbekli
Tepe testimoniano l’afflusso periodico di un gran numero di persone. Quindi
anche il primato delle “prime città edificate” andrebbe tolto ai Sumeri, e dato
ai costruttori di Göbekli Tepe.
Sul sito di Jerf el-Ahmar sono stati trovati due scheletri senza testa. Ma la
decapitazione è avvenuta dopo la loro morte. Quindi non può considerarsi
come qualcosa di negativo, come una esecuzione violenta. Piuttosto si
trattava di un rituale visto in maniera positiva dalla gente del posto, che
avrebbe dato prestigio al morto. Il concetto degli “uomini senza testa”, e dei
relativi monoliti, era quindi presente a Jerf el-Ahmar come a Göbekli Tepe.
I Natufiani
A completare il quadro di coloro che vivevano attorno a Göbekli Tepe,
possiamo citare il villaggio di Çatalhöyük, situato diverse centinaia di
chilometri ad Ovest. Secondo la datazione del radiocarbonio
corrisponderebbe al 7.400 a.C., ma alcuni studiosi pensano che sia ancora più
antico. Questo villaggio era ormai una cittadina di 8.000 persone. Le strutture
circolari sono sparite, e le case sono tutte rettangolari, messe una sull’altra,
con un’unica apertura sul tetto.
Partendo dal villaggio di Jerf el-Ahmar , passando per Göbekli Tepe, fino ad
arrivare a Çatalhöyük, sembra esserci una evoluzione. Gli edifici di Jerf el-
Ahmar sono circolari e seminterrati, con pochi edifici rettangolari. A Göbekli
Tepe gli edifici circolari sono tutti al livello del terreno, e gli edifici
rettangolari sono molti. A Çatalhöyük ci sono solo edifici rettangolari.
Sembra di assistere ad uno spostamento da Sud a Nord-Ovest, sia geografico
che di tipo tecnologico. Quindi probabilmente i costruttori di Göbekli Tepe
vennero da Sud.
L’insieme di genti che occupava in quel periodo il Sud di Göbekli Tepe viene
chiamato in genere con il termine di “Natufiani”, una cultura inquadrata tra il
12.500 a.C. e il 9.500 a.C. circa. Ma il termine “Natufiani” nei nostri giorni è
estremamente generico. La cultura natufiana è considerata molto insolita
dagli antropologi. Era una popolazione sedentaria anche prima
dell'introduzione dell'agricoltura. Questo è esattamente quanto si è osservato
a Göbekli Tepe. I costruttori, pur essendo dei cacciatori-raccoglitori, e non
degli agricoltori, diedero origine a qualcosa di stabile, e anche di grandioso.
Si ritiene che i Natufiani possano essere gli antenati dei costruttori dei primi
insediamenti neolitici della regione. Si pensa che la più antica città abitata in
maniera continuativa al mondo, ossia Gerico, sia una città natufiana. Questo
li porterebbe ad essere i costruttori dei primi insediamenti stabili al mondo,
scalzando anche i Sumeri.
Come abbiamo detto a proposito di Jerf el-Ahmar, sembra che i primi che
abbiano coltivato deliberatamente la segale siano stati i Natufiani, a Tell Abu
Hureyra, come minimo 12.800 anni fa. In Giordania, a Shubayqa, si trova la
prima prova di pianificazione agricola al mondo, risalente a 14.500 anni fa. A
Raqefet, sul Monte Carmelo, vicino ad Haifa, in Israele, si trova la prima
traccia di produzione di birra, e risale a circa 13.000 anni fa.
Alcune delle prime prove archeologiche sull'addomesticamento del cane
provengono proprio dai siti natufiani. Nel sito natufiano di Ain Mallaha in
Israele, datato 12.000 a.C., sono stati trovati sepolti insieme i resti di un
anziano umano e di un cucciolo di quattro-cinque mesi. Questo dettaglio
richiama alla mente il monolite B di Göbekli Tepe, che porta sulla destra
quello che sembra essere un cane. Anche questo dettaglio avvicina i Natufiani
a Göbekli Tepe .
Le abitazioni dei Natufiani erano semi-sotterranee, come quelle ritrovate a
Jerf el-Ahmar. La sovrastruttura era probabilmente fatta con pannelli di
legno. C’è comunque una netta distinzione tra le costruzioni di Göbekli Tepe
e quelle dei Natufiani in generale. I natufiani non usavano né mattoni di
fango, né rocce nelle loro costruzioni. Usavano solo il legno. Inoltre, le
costruzioni circolari avevano un diametro tra i tre e i sei metri, e contenevano
un camino rotondo centrale. Le costruzioni di Göbekli Tepe erano invece
molto più grandi, erano fatte con roccia di calcare, e al centro non
contenevano un camino, ma avevano i due monoliti centrali.
È quindi piuttosto chiaro che Göbekli Tepe apparteneva ad un periodo di
tempo diverso rispetto alle comuni costruzioni natufiane. Chi è venuto prima?
Le costruzioni di Göbekli Tepe o quelle natufiane in generale? Gli scavi a
Göbekli Tepe hanno dimostrato che le costruzioni più antiche erano più
grandi e di migliore qualità rispetto a quelle più recenti. Inoltre, le indagini
col carbonio 14 indicano che le costruzioni più antiche di Göbekli Tepe
corrispondono al più antico periodo natufiano, o addirittura lo precedono.
In senso lato, quindi, potremmo dire che i “Natufiani” che noi conosciamo
provengono da Göbekli Tepe, piuttosto che il contrario. Da qualche parte
devono esserci i villaggi dei “nonni” dei Natufiani, con abitazioni molto più
grandi di quelle comunemente ritrovate, ed in pietra, molto simili a Jerf el-
Ahmar. Con ogni probabilità sono stati loro i costruttori di Göbekli Tepe. E
avevano sviluppato la loro civiltà molto prima dei Sumeri.
9 – Gli uomini da Sundaland
Alcuni anni fa, ha suscitato una certa curiosità un libro di Bruce Fenton, “The
Forgotten Exodus”. Secondo un articolo comparso sul “New Dawn
Magazine” del luglio 2017, a firma dello stesso Fenton, in questo libro
l’autore sostiene che i primi homo Sapiens in realtà non hanno origini
africane, ma australiane. Secondo Fenton, i primi homo Sapiens sarebbero
migrati dall’Australia in Africa, e non viceversa, come affermano in generale
gli antropologi. Per dare forza a questa idea, Fenton ha evidenziato come
alcuni dei simboli scolpiti a Göbekli Tepe sembrano avere un diretto
collegamento con alcuni simboli usati dagli aborigeni australiani. Ad
esempio, i pilastri di Göbekli Tepe sono a forma di “T”. Similmente, secondo
Fenton, alcune tribù aborigene australiane usano dipingersi una “T” sul petto
a scopo religioso.
Secondo Fenton, a Göbekli Tepe ci sarebbe la raffigurazione di Yingarna,
una divinità aborigena. Nella cultura aborigena, questa divinità è raffigurata
anche come un serpente dai grandi occhi che porta un certo numero di borse.
Nelle borse è presente il seme umano che permette di produrre nuove razze
umane. In altre raffigurazioni Yingarna viene dipinta come una donna
nell’atto di essere fecondata. Il sito di Göbekli Tepe è pieno di raffigurazioni
di serpenti, ma contiene un’unica raffigurazione di una donna. In questo
unico dipinto femminile, la donna viene ritratta a gambe aperte, con un
organo sessuale estremamente vistoso. La sua testa sembra avere una forma
piuttosto strana. Può considerarsi simile a una foglia, o forse più
precisamente, alla testa di un serpente, così come vengono raffigurati a
Göbekli Tepe. Secondo Fenton, questa incisione è molto simile alla
raffigurazione australiana di Yingarna.
Inoltre, come abbiamo accennato, a Göbekli Tepe c’è un simbolo presente su
diversi pilastri. È composto da due semicerchi e da una sorta di “H” al centro.
Almeno in una circostanza, al posto della “H” sembra esserci una “I”.
Nessuno sa cosa voglia significare questo simbolo. Fenton fa notare come nel
libro "The Northern Tribes of Central Australia", di Spencer B., pubblicato
per la prima volta nel 1923, a pag. 58 viene riportato questo simbolo. Infatti,
nella pagina di quel libro è riportata la foto del ritratto di un “uomo della
medicina” della tribù dei Worgaia . Questo aborigeno ha dipinto sul petto un
simbolo molto simile ai due semicerchi con la “I” nel mezzo, che si trova a
Göbekli Tepe. Secondo Fenton, quindi, Göbekli Tepe sarebbe una sorta di
colonia degli aborigeni australiani.
È possibile?
Fenton ha ragione nelle sue affermazioni? Ovviamente tutto è possibile, e
non si può essere dogmatici su argomenti su cui gli stessi ricercatori non sono
ancora in grado di dare risposte certe. Comunque, allo stato attuale delle cose,
non sembra che le tesi di Fenton abbiano una seria base su cui poggiare. È
molto improbabile che gli homo Sapiens siano di origine australiana. Da un
punto di vista antropologico, gli ominidi presenti in Australia, chiamati
australopitechi, erano a tutti gli effetti delle scimmie, e scomparvero, si
pensa, 2 milioni di anni fa. Non c’è nessuna linea di collegamento diretta tra
gli australopitechi e l’homo Sapiens. La ricerca sul DNA ci dice che un
contatto tale da lasciare tracce tra degli esemplari di homo di Denisova (che
era stato sicuramente in Malesia, e quindi a Sundaland) e gli homo Sapiens
occidentali avvenne sicuramente, ma oltre 400.000 anni fa. Ma che dire di
epoche più storiche, più recenti? Allo stato attuale delle cose possiamo
escludere che il popolo di Göbekli Tepe provenga da Sundaland. Sembra
quindi che la teoria degli homo Sapiens provenienti dall’Australia, al
momento sia poco più di una provocazione.
Cosa possiamo dire del simbolo a forma di “T” dipinto sul petto di alcuni
aborigeni? A dire il vero, la “T” (o il Tau), è un simbolo ripreso da
moltissime civiltà in tutta la terra, e molte di queste non sono collegate tra
loro. Inoltre, sembra che a Göbekli Tepe (ad eccezione dei due monoliti
centrali) i pilastri erano a forma di “T” per ragioni architettoniche, e non
simboliche. Infatti, è probabile che sulla cima larga della “T” poggiasse
qualcosa, e questo spiegherebbe la forma dei pilastri.
Da ultimo, si può dire con una certa sicurezza che solo “alcuni” aborigeni
hanno disegnato sul loro petto una specie di “T”, mentre moltissimi altri
hanno disegnato altre figure, anche completamente astratte. Onestamente non
si può dire che il simbolo “T” sia il simbolo “unico” degli aborigeni
australiani, e nemmeno uno dei loro simboli principali. Solo un numero molto
esiguo di aborigeni ha usato questo simbolo, e sembra lo abbiano fatto per
ragioni del tutto personali. Considerata da questo punto di vista, quindi,
questa teoria cade da sola.
Che dire del simbolo delle due mezzelune con la sbarra centrale che compare
su diversi pilastri a Göbekli Tepe, e che sembra sia stato dipinto sul petto di
un “uomo della medicina” della tribù dei Worgaia? Va detto che il simbolo
che compare spesso a Göbekli Tepe è diverso da quello che compare sul petto
di quell’aborigeno. Nel simbolo scolpito sui monoliti di Göbekli Tepe, in
mezzo alle due semilune non c’è un bastoncino, ma una sorta di “H”. In
alternativa, sembra solo in una circostanza, compare una I con le due
estremità molto pronunciate (oppure è una H inclinata di 90 gradi). Sembra
che in nessun caso a Göbekli Tepe compaia un “bastoncino” liscio come sul
petto dell’aborigeno raffigurato. Quindi i due simboli sono solo “simili” e
non “identici”.
Da nessun punto di vista, quindi, né genetico né culturale, si può sostenere
che Göbekli Tepe sia una sorta di “colonia” degli aborigeni australiani. O
almeno, uno può sostenere quello che vuole, ma ha l’onere di provare quello
che dice. Nel caso di Göbekli Tepe, intesa come “colonia” australiana, queste
prove mancano. Viceversa, alcune “tracce” che non provano una
colonizzazione, ma un qualche “contatto” tra una civiltà proveniente da
Sundaland e gli abitanti di Göbekli Tepe potrebbero esistere.
Esploratori da Sundaland?
Un simbolo presente sui monoliti di Göbekli Tepe e che fa parte a pieno
titolo della cultura dell’Oceania, e quindi di Sundaland, è il segno delle due
“U” capovolte a 90 gradi, poste una di fronte all’altra, o se vogliamo di due
“C” maiuscole poste una di fronte all’altra, di cui una ruotata. In effetti
questo è uno dei simboli più importanti della cultura aborigena,
universalmente riconosciuto. Sembra che il simbolo voglia dire “due umani
che si incontrano”. Il luogo dell’incontro dipende da cosa si trova in mezzo
alle due “C” o “U”. Una “U” solitaria inclinata, indica infatti un “essere
umano”, senza pero alcuna attribuzione sessuale.
Questi simboli sono presenti molte volte nelle sculture di Göbekli Tepe. Non
si possono confondere con il simbolo della “mezzaluna”, perché questo è
stato scolpito, per esempio, nel “monolite B” del recinto D, ed è
completamente diverso dalle “C” o “U”. In questo caso la somiglianza tra i
simboli di Sundaland, Sahuland e Göbekli Tepe è innegabile. Certo, potrebbe
anche essere una coincidenza. Ma potrebbe anche non esserlo.
Come abbiamo detto precedentemente, Fenton e altri fanno notare che l’unica
figura femminile ritratta a Göbekli Tepe è una donna sotto alcuni aspetti
simile ad una delle rappresentazioni di Yingarna, la divinità australiana.
Questo può essere vero, ma bisogna dire che in giro per il mondo, anche oggi,
si vedono molti graffiti o disegni simili, anche sui muri. Questi disegni di
donne a gambe aperte non hanno oggettivamente nulla a che fare con la
divinità di Yingarna, o con qualsiasi altra religione.
D’altra parte, si possono fare anche altre considerazioni. Trattandosi di una
immagine unica, questa non è un motivo ricorrente a Göbekli Tepe, ma è una
eccezione. Se si trattasse davvero di una divinità locale, questa immagine
sarebbe stata riprodotta molte altre volte. Ma non è così. Questa immagine è
solo una rappresentazione sessuale? Ovviamente può esserlo. Ma la testa
della donna non sembra avere sembianze umane. Allo stesso tempo, però,
sembra essere nettamente diversa dalle rappresentazioni australiane di
Yingarna.
Sul perché quella donna sembra avere la testa di un serpente, così come viene
di solito rappresentato a Göbekli Tepe, ci possono essere varie spiegazioni. I
lineamenti non sono molto definiti, ma potrebbe trattarsi dell’unica figura
teriantropica femminile della storia antica. (Infatti, ad eccezione degli antichi
egizi, tutte le immagini di umani con testa di animale si riferiscono ad
individui maschi, e non a donne come in questo caso). Si tratterebbe della
prima raffigurazione di una sorta di “dea madre”. Una “nuova versione” di
Yingarna? Potrebbe essere. Ma anche in questo caso, come nei precedenti,
una “singola” somiglianza può indicare, al massimo, un “contatto”, ma non
una fusione culturale. Quindi anche la figura femminile presente a Göbekli
Tepe può indicare che c’è stato un breve ma significativo contatto tra
“visitatori di Sundaland” e abitanti della zona di Göbekli Tepe. Oppure può
essere una seconda coincidenza. Ma c’è un terzo, notevolissimo indizio, che
sembra indicare che ci sia stato un passaggio di almeno un gruppo di
“esploratori” proveniente da Sundaland che in qualche modo ha raggiunto i
costruttori di Göbekli Tepe.
Un uomo a cavallo di un uccello
In una delle stele presenti nel “recinto D” di Göbekli Tepe, chiamata “Stele
dell’Avvoltoio”, sono stati scolpiti diversi soggetti. In basso alla stele è stato
inciso quello che appare chiaramente come un essere umano itifallico e senza
testa. Si tratta di un cadavere? No. Infatti, anche se raffigurato senza testa,
questo uomo non è “sdraiato”, o “seppellito”, o “impalato”, o in qualche altra
posizione associata alla morte. Il piccolo uomo senza testa è scolpito in
posizione verticale, mentre muove il braccio destro e lo piega. Quindi nel
contesto in cui è stato posto, questo essere umano è assolutamente vivo.
Ovviamente gli esseri umani non vivono senza testa. Raffigurandolo in
questo modo, lo scultore ha voluto dire che questo uomo è “senza testa” nel
senso che ha uno “status sociale” simile ai due monoliti senza volto che sono
situati al centro degli edifici circolari di Göbekli Tepe. È un simbolo di onore.
Ma il dettaglio che spicca maggiormente, è che il piccolo uomo senza testa si
trova alle spalle di un uccello enorme. Infatti, il piccolo uomo senza testa è
raffigurato chiaramente su di un uccello gigante, come se lo stesse
cavalcando. Ad una prima impressione superficiale, sembrerebbe quasi un
uomo a cavallo di uno struzzo. È così?
Questo non dovrebbe sorprendere più di tanto noi occidentali. Gli struzzi
venivano usati come animali da lavoro sia dai romani che dagli Egizi, e
probabilmente anche nelle coste del Pacifico. Infatti, in Cina sono stati
ritrovati resti di struzzo risalenti a 25.000 anni fa. Inoltre, in molte parti del
mondo gli struzzi vengono comunemente cavalcati come se fossero dei
cavalli, e ci sono varie competizioni che li riguardano. Quindi se quella stele
raffigurerebbe un uomo cavalcare uno struzzo, non sarebbe nulla di troppo
“straordinario”. Sarebbe solo la conferma che le corse degli struzzi con
fantini umani sono più antiche di quanto pensavamo. La vera domanda è: si
tratta davvero di uno struzzo?
A guardarlo bene, non sembra. Se le proporzioni sono corrette, quell’animale
è alto almeno il doppio di uno struzzo. Il collo dell’uccello è lungo quanto
l’intera altezza dell’umano. Nella realtà si tratterebbe di un uccello alto
almeno 3 metri. Gli artisti di Göbekli Tepe erano in grado di disegnare gli
animali con grande maestria e precisione, e i dettagli non erano mai messi a
caso. Sembra improbabile, anche se non impossibile, che le dimensioni siano
state volutamente esagerate dallo scultore. Inoltre, il becco leggermente
ricurvo, con un taglio tipico del rostro dei rapaci, sembra appartenere al
mondo dei predatori.
La sagoma di questi uccelli ricorda moltissimo quella che gli aborigeni
australiani chiamavano “mihirungs”, un uccello della famiglia dei
Dromornithidae , simile allo struzzo e all’emù, che viveva solo a Sundaland e
Sahuland, o come diciamo oggi, in Australia. Poteva raggiungere i 3 metri di
altezza e i 500 chilogrammi di peso. Sono descritte come delle “gigantesche
oche carnivore”, vissute tra i 35.000.000 e i 20.000 anni fa. L’ultima variante
di questa specie, chiamata Genyornis, era un grosso uccello australiano ormai
estinto, che aveva un’altezza di circa 2 metri ed un peso di 225-230
chilogrammi.
Questa scultura non sembra essere solo una suggestione da parte dello
scultore. Infatti, nel pilastro n. 33 dell’edificio circolare denominato “D”, lo
stesso in cui si trova la Stele dell’Avvoltoio, si trovano raffigurati ben 4
uccelli che per le loro fattezze somigliano moltissimo a dei “mihirungs”. La
somiglianza è davvero notevole. In aggiunta, come abbiamo detto, in altri
punti del sito sono state scolpite delle file di uccelli che sembrano oche molto
tozze, e col becco molto robusto, con delle zampe esageratamente robuste.
Sembrano quasi delle “oche carnivore”. Secondo altri sono solo “oche
normali” disegnate in maniera feroce. Ma è difficile pensare che un animale
innocuo come un’oca possa essere raffigurata in maniera rapace. Sembrano
piuttosto dei “mihirungs” in miniatura.
Inoltre, si nota come la “Stele dell’Avvoltoio” sia scolpita anche nella zona
che attualmente è nascosta da un muretto a secco, da cui spunta solo qualcosa
di simile all’incisione di un cane/volpe e di quello che sembra essere un
piccolo serpente (ma l’identificazione non è chiara in quel punto). Perché
scolpire qualcosa che poi doveva essere parzialmente coperto? L’unica
spiegazione è che la stele venne scolpita in maniera indipendente dal muro.
Quindi non è detto che, quando la stele fu scolpita, si trovasse
necessariamente nel punto in cui si trova oggi. Oppure, come seconda ipotesi,
possiamo pensare che il muretto a secco non faceva parte del progetto
originale, e venne aggiunto successivamente, coprendo quindi parte dei
pilastri.
Uno zoo di pietra
Gli aspetti già menzionati, ci fanno capire come sarebbe un errore pensare
che ogni piccolo dettaglio di Göbekli Tepe sia stato progettato e voluto in
quel modo sin dal suo concepimento. Questo pensiero sarebbe evidentemente
un errore, che potrebbe portare a conclusioni imprecise o affrettate.
Nonostante questo, è possibile che gli animali raffigurati a Göbekli Tepe
rappresentino costellazioni? Oggettivamente è probabile che la raffigurazione
di alcuni animali intagliati su alcuni pilastri a Göbekli Tepe rappresentino
davvero dei gruppi di stelle. L’uomo ha da sempre visto nelle stelle forme e
oggetti della sua realtà quotidiana. Ma anche se alcuni animali scolpiti su
alcune rocce probabilmente rappresentano delle costellazioni, non è detto che
“tutti” gli animali incisi su “tutte” le pietre di Göbekli Tepe rappresentino
“sempre” dei gruppi di stelle.
Se, per fare un esempio, noi vedessimo due pesci, un leone e un ariete
raffigurati in un giornale di astrologia odierno, capiremmo che si tratta di
costellazioni. Se vedessimo gli stessi animali raffigurati in un giornale di
zoologia, capiremmo che sono animali reali. Gli stessi animali vengono
considerati reali o simboli astratti a seconda del contesto in cui compaiono.
Quindi non è tanto l’animale in sé a giustificare la sua attribuzione come
“costellazione” o meno, ma il contesto dove è posto. Qual è il contesto di
Göbekli Tepe?
Nei vari pilastri che formano gli edifici circolari di Göbekli Tepe, i serpenti
vengono spesso raffigurati in gruppo, a volte anche in gruppi molto numerosi.
Non possono quindi rappresentare delle costellazioni, visto che in cielo non
esistono costellazioni identiche che si ripetono in gruppo. Anche le figure di
uccelli, che sembrano essere delle gru, sono state spesso scolpite in gruppi
numerosi nei vari pilastri. Per i motivi che abbiamo già accennato, anche loro
non possono rappresentare delle costellazioni. Anche le “oche carnivore”
sono state spesso scolpite in gruppo. Non possono quindi rappresentare
soltanto costellazioni.
D’altra parte, non si può non notare l’evidente sforzo dell’autore della Stele
dell’Avvoltoio di raccontare una storia. Una storia la cui lettura e
decifrazione sarà sembrata ovvia a chi l’ha creata, ma a noi che non
conosciamo il significato dei simboli usati, risulta essere estremamente
oscura. Volendo essere coerenti, senza dover per forza legare questa storia ad
un evento astronomico o a una data, possiamo cercare di capire a grandi linee
il senso della Stele dell’Avvoltoio tenendo conto del punto di vista di chi l’ha
scolpita. Nulla lascia pensare che sia stata scolpita da un astronomo. Tutto
lascia pensare, invece, che sia stata scolpita da un artista di un tempo lontano,
per comunicarci qualcosa. Cerchiamo quindi di immedesimarci nei suoi
panni, e sforziamoci di vedere la stele con i suoi occhi.
Un primo aspetto che possiamo subito evidenziare, è che la stele nel suo
complesso viene suddivisa in 2 aree, o zone. La prima zona è la parte
superiore del pilastro, la testata, che indichiamo come zona A. La seconda,
che indichiamo come zona B, è la zona sottostante, che abbraccia tutto il
resto della stele. La zona B si può immaginare come un cerchio, il cui centro
è costituito da un piccolo cerchio posto proprio al centro della stele.
A sua volta, la zona B può essere divisa in altre zone più piccole, come i
diversi quadranti di un orologio da polso analogico. Possiamo evidenziare la
zona B1, una zona quasi triangolare che si restringe fino a toccare il disco al
centro della stele. Notiamo le zone B2, B3, B4, che sono sezioni di questo
quadrante, ciascuna con i suoi simboli. Teoricamente può essere aggiunta una
zona B5, visto che anche il bordo del pilastro contiene l’incisione di due
animali. Ma questa zona è da considerarsi un tutt’uno con il resto della zona
B.
La zona A
Concentriamoci ora ad esaminare la “zona A” che si trova in cima alla stele.
Come si può vedere confrontando le altre stele di Göbekli Tepe dove è stato
scolpito un racconto (come la Stele delle Gru), la zona superiore dei pilastri
viene spesso utilizzata come una sorta di intestazione. Come il titolo di un
libro, la zona in alto descrive il contesto del racconto. Come possiamo
descrivere il “titolo” di questa stele? Potremmo usare questa frase: “Quando
sulle nostre case tutto divenne buio”. Vediamo il perché di questa
affermazione.
La prima cosa che notiamo sono tre piccoli archi, attaccati ad un bordo di un
certo spessore. Li abbiamo contrassegnati nell’immagine con i numeri 1, 2, 3.
Secondo alcuni autori questi tre archi rappresenterebbero tre soli che
tramontano. Ma non sembra che questa sia una spiegazione corretta. Se
avesse voluto scolpire tre tramonti o tre albe, lo scultore non avrebbe
realizzato un bordo così evidente attorno ai semicerchi che
rappresenterebbero il sole. Avrebbe semplicemente scolpito tre emicicli senza
nessun bordo. (Infatti, più giù viene inciso un cerchio senza alcun bordo che
raffigura probabilmente il Sole, la Luna, o secondo alcuni la Terra).
Lo spesso bordo attorno ai tre emicicli probabilmente vuole esprimere il
concetto che tra lo spazio all’interno degli emicicli e l’esterno c’era qualcosa
che si interponeva, come un muro circolare. Si può notare che tutti i recinti
più antichi di Göbekli Tepe, come anche quelli di Jerf el-Ahmar, sono a
forma circolare. Al di sotto dei tre emicicli c’è qualcosa molto simile ad un
muro verticale. Si tratta quindi di costruzioni circolari munite di un tetto, in
tutto e per tutto simili agli edifici rinvenuti a Jerf el-Ahmar, e a come
probabilmente erano in origine le strutture a cerchio di Göbekli Tepe. Nella
parte alta della Stele dell’Avvoltoio sono quindi scolpite tre di queste case a
forma circolare.
Nella zona che dovrebbe rappresentare il cielo sulle tre piccole costruzioni
circolari, si vede un motivo con linee a zig-zag, che riempie l’intera
atmosfera al di sopra delle costruzioni. Cosa rappresenta questo motivo?
Ovviamente qualcosa riempiva il cielo, o qualcosa cadeva dall’alto fino a
saturare tutto l’ambiente. Cosa può cadere in maniera così fitta dal cielo, al
punto tale da essere rappresentato da un artista con una linea continua a zig-
zag? Il disegno indica che all’interno dei tre rifugi circolari ci si riusciva a
riparare da quel qualcosa che sembra cadere dal cielo. Infatti, il motivo a zig-
zag non è presente dentro le tre case, che evidentemente vengono descritte in
questo caso come una sorta di “rifugio”.
Si trattava di pioggia o neve? Gli abitanti di Göbekli Tepe vivevano in un
periodo freddo. Erano abituati alle intemperie. Una tempesta di neve non li
avrebbe minimamente impressionati. Probabilmente, quindi, l’elemento a zig-
zag si riferiva ad una sorta di “fall-out” estremamente fitto, che riempiva il
cielo, ma che non riusciva a penetrare all’interno dei tre rifugi semicircolari.
Probabilmente si trattava di nubi di detriti, o polvere, che si mischiavano con
l’atmosfera.
Quei tre muri a semicerchio ben raffigurano le costruzioni in pietra in cui,
durante quel periodo, ci si rifugiava da un evento atmosferico improvviso, e
probabilmente mai visto prima. Essendo pieno di un elemento estraneo,
evidentemente il cielo doveva apparire molto scuro. Di cosa si poteva
trattare? Probabilmente delle cause che portarono allo Younger Dryas. A
causa del bombardamento dei frammenti di cometa, il cielo era diventato
oscuro, e di colpo era tornata una piccola era glaciale. Per sopravvivere
bisognava ripararsi all’interno delle costruzioni. Il tutto è descritto con
sorprendente realismo.
Sembra che questa scultura contenga anche un elemento di carattere
cronologico. A fianco ad ogni rifugio si nota la presenza di un diverso
animale, che abbiamo indicato con i numeri 4, 5, 6. Il primo sembra essere un
uccello, probabilmente una gru. Il secondo sembra essere un uro, un toro
selvatico. La disposizione delle zampe del terzo animale, insieme alla forma
della coda e della testa, lascia pensare che rappresenti qualche forma di
anfibio, una specie di rana con la coda. Comunque, non è possibile la sua
esatta identificazione, ma in questo contesto non è nemmeno indispensabile
sapere esattamente di che animale si tratti.
Non è possibile che la vicinanza degli animali alle costruzioni semicircolari
voglia dire che gli esemplari di quelle specie sono stati allevati dagli abitanti
delle costruzioni raffigurate. La gru, il toro selvatico e in genere gli anfibi
non sono animali da allevamento. Inoltre, come abbiamo detto
precedentemente, a Göbekli Tepe non esiste alcun resto di animali da
allevamento. In questo caso le raffigurazioni dei tre animali potrebbero
indicare dei simboli di alcuni clan. In base alla raffigurazione incisa sulla
stele, se i tre animali dovevano raffigurare dei clan, allora vuol dire che i
componenti di diversi clan si dovettero rifugiare nelle costruzioni
semicircolari a causa di quello che cadeva dal cielo. Ma se questa spiegazione
potrebbe essere realistica per l’uro, visto che molti lo esibivano come trofeo,
non sembra che lo stesso avvenisse per la gru e per la rana. In nessun punto di
Göbekli Tepe questi animali sembrano essere indicati come ornamenti di
qualche clan.
Più realisticamente, quei tre animali in questo contesto possono rappresentare
delle costellazioni. (Come abbiamo detto precedentemente, un singolo
animale può indicare in contesti diverse cose diverse. In questo caso la gru,
che in altri contesti viene raffigurata come un semplice animale, o come
simbolo degli uomini-uccello, sembra assumere il significato di
costellazione). Se i tre animali rappresentano tre diverse costellazioni, allora
l’intera scena descritta in cima alla cosiddetta Stele dell’Avvoltoio
rappresenterebbe un periodo di tempo.
Quali tre periodi di tempo vengono indicati? Ci sono almeno due opzioni. Ad
esempio, i cinesi usano indicare ogni nuovo anno con una costellazione
diversa, chiamandolo, ad esempio, “l’anno del dragone, l’anno del maiale”, e
così via, in base al nome che danno alle costellazioni. Quindi le tre
costellazioni potrebbero indicare un periodo di tre anni. Questo breve periodo
di tempo sarebbe compatibile con la “fase acuta” dello Younger Dryas.
Oppure, loro assegnavano a ciascuna costellazione, in base al suo sorgere da
qualche punto all’orizzonte, un certo periodo di tempo. La raffigurazione dei
tre animali potrebbe voler dire che l’avvenimento sia durato un periodo di
tempo che loro usavano indicare con quelle tre costellazioni. Questo è del
tutto plausibile. Il problema è che noi non possiamo sapere in alcun modo a
quali costellazioni si riferissero, e nemmeno quale periodo di tempo
associassero ad ogni costellazione. Ogni tentativo di associare il loro modo di
suddividere il cielo alle nostre costellazioni, o ricorrendo a fenomeni come la
“precessione degli equinozi” è solo un azzardo. Non abbiamo nessuna prova,
né diretta né indiretta, di queste similitudini. L’unica constatazione che
possiamo fare è che gli animali che identificano queste tre costellazioni sono
molto più piccoli rispetto a quelli incisi nella parte inferiore della stele. Molto
probabilmente, quindi, indicano periodi di tempo più brevi.
Al di là della durata effettiva del periodo descritto sulla cima della Stele
dell’Avvoltoio, sembra abbastanza evidente che l’artista abbia voluto
descrivere un determinato periodo di tempo. Durante quel tempo, qualcosa
dal cielo si abbatteva sulle costruzioni. La linea a zig-zag può indicare
qualche tipo di fall-out di polvere e detriti, associato al buio e al freddo.
Sicuramente si trattava di qualcosa di assolutamente fuori dalla norma, al
punto tale che gli abitanti sono stati costretti a vivere al riparo, in costruzioni
umane o in caverne che servivano da rifugi. La somiglianza con la
descrizione degli effetti dello Younger Dryas è notevole.
Il cerchio della zona B
Se la parte alta della Stele dell’Avvoltoio, ossia la zona A, serve come
“titolo” del racconto, nella parte sottostante, la zona B, abbiamo il racconto
vero e proprio, ovviamente in forma simbolica. L’elemento centrale della
zona B è il cerchio che si trova al centro della scena. Di cosa si tratta?
Secondo alcuni, considerando l’abitudine della gente dei villaggi vicini a
Göbekli Tepe di tagliare la testa ai defunti qualche tempo dopo che erano
stati inumati, e considerando che in basso si vede un uomo senza testa, questa
sfera dovrebbe rappresentare una testa umana. Ma i fatti smentiscono questa
idea. Non solo a Göbekli Tepe non è mai stato trovato un teschio umano
separato dal corpo, ma non sono mai stati ritrovati resti umani di alcun tipo.
Nessuno venne mai decapitato, né da morto né tantomeno da vivo, a Göbekli
Tepe. Quel sito non venne mai usato per seppellire nessuno.
Inoltre, basta vedere l’abilità usata dall’artista per rappresentare i diversi
becchi dei vari uccelli, per capire che era perfettamente in grado di disegnare
una testa umana molto più realistica di un semplice cerchio, se avesse voluto
farlo davvero. Come abbiamo visto esaminando i due monoliti centrali, gli
“uomini senza volto”, o “senza testa”, sono un elemento centrale nella cultura
locale. Il piccolo uomo senza testa rappresenta qualcosa che ha una stretta
connessione con i due personaggi raffigurati dai due monoliti. (Ne abbiamo
parlato approfonditamente nel capitolo 7). Trattandosi di uomini che sono già
“senza testa”, non ci dovrebbe essere nessuna testa da staccare. Quindi quel
cerchio posto al centro della scena deve rappresentare qualcos’altro.
Per trovare una formica simile che poteva essere vista durante la vita di un
uomo normale, dobbiamo andare molto indietro nel tempo, e scomodare la
“Titanomyrma lubei”, una formica preistorica estinta, che era grande quanto
un piccolo colibrì. Ma secondo molti studiosi, questa formica è scomparsa
prima che l’homo Sapiens avesse fatto la sua comparsa sulla Terra. La
“formica panciuta” è un errore dell’artista, o la raffigurazione di qualche
parente di questo insetto preistorico che esisteva ancora in quel tempo, e che
poi si è estinto? Non possiamo saperlo.
Vicino alla formica è stato inciso una specie di scorpione, ma che sembra
possedere soltanto le due chele, senza zampette, e con la coda molto più
lunga di uno scorpione normale. Lo abbiamo indicato con il numero 16.
Sembra raffigurare un Mixopterus, una specie di “scorpione preistorico”
lungo circa 75 centimetri. Ma anche se la somiglianza è notevole, c’è un
problema: anche questo animaletto doveva essere già estinto quando sulla
Terra è comparso l’homo Sapiens. Da dove l’artista abbia preso un
Mixopterus come “modello” è davvero un mistero. La risposta più semplice è
che esisteva in quel tempo una specie di artropode, simile al Mixopterus, che
poi si estinse.
Possiamo notare che in una sola stele compaiono almeno tre animali
“apparentemente preistorici”, che si pensa fossero già estinti al tempo della
realizzazione di Göbekli Tepe. (1) Un uccello gigante della famiglia dei
Dromornithidae (forse un Genyornis). (2) Una specie di scorpione preistorico
estinto, forse un parente stretto del Mixopterus (3) Una formica gigante
estinta, simile alla “Titanomyrma lubei”. Ovviamente qualcuno potrà pensare
che siano stati errori dell’artista, o che abbia lavorato di fantasia. E questo
può senz’altro essere vero. Ma se a questo aggiungiamo che anche i due
monoliti hanno caratteristiche che sembrano spostarli di molto nel passato, le
domande su quanto fossero antichi i ricordi a cui potevano attingere gli
abitanti di Göbekli Tepe diventano imbarazzanti. Le informazioni contenute
nella Stele dell’Avvoltoio potrebbero essere tra le più antiche della storia
umana. (La stele stessa, invece, come vedremo, può avere circa 12.000 anni).
In ogni caso, cosa rappresentano la “formica panciuta” e lo “scorpione dalla
lunga coda”? Rappresentano sicuramente delle costellazioni, e costituiscono
il “fattore tempo” di questa scena. È come se lo scultore abbia voluto dirci:
“Nel periodo compreso tra la comparsa della costellazione della
Titanomyrma lubei e la comparsa della costellazione del Mixopterus, è
apparsa la cometa che poi ci ha colpiti”. Di questo periodo di tempo
conosciamo solo il finale, lo schianto avvenuto circa 12.800 anni fa. Non
siamo in grado di dire a che periodo di tempo corrispondano le due
costellazioni, ossia quando la cometa iniziò ad apparire nel cielo. Però,
analizzando il resto della stele, possiamo farci un’idea di massima.
Il resto della stele
Abbiamo isolato i simboli che descrivono quello che è accaduto circa 12.800
anni fa, ossia: (1) Il “serpente”: gli abitanti locali hanno visto sfrecciare nel
cielo una cometa. (2) la “formica panciuta” e lo “scorpione dalla lunga coda”:
questo avvenimento è avvenuto mentre quelle due costellazioni, a noi ignote,
erano visibili. (3) I due uomini-uccello e i due simboli dei monoliti: durante
quel periodo erano presenti esseri che “venivano dal di fuori”, e la cometa è
nata dai monoliti. (4) Il triangolo con il “motivo a zig-zag”: dopo lo schianto,
tutto il cielo si riempì di qualcosa di scuro, e gli abitanti furono costretti a
vivere al chiuso per un certo periodo di tempo, probabilmente a causa anche
del freddo intenso.
Proseguendo in senso antiorario, lo scultore ci dice anche cosa accadde
“prima” che la cometa apparisse nel cielo. Il simbolo con il numero 11 è uno
scorpione. L’animale raffigurato è identico in tutto e per tutto ad un
“Hottentotta hottentotta”, una specie di scorpioni ancora oggi presente in
Turchia. Solo un dettaglio lo rende diverso dagli attuali scorpioni:
l’animaletto ucciso sembra avere due antenne sulla testa, che normalmente gli
scorpioni del nostro tempo non possiedono. (Il modo con cui queste
protuberanze vengono raffigurate, rende improbabile che si tratti dei cheliceri
di uno scorpione). Si tratta anche in questo caso di una specie scomparsa? O
di un errore dello scultore?
Con ogni probabilità questo scorpione rappresenta una costellazione. Non
esiste nessuna prova che la loro costellazione dello scorpione corrisponda a
quella che noi usiamo chiamare nello zodiaco con lo stesso nome. La ragione
è semplice: nel cielo non esiste nessuno scorpione. È solo la nostra fantasia
che ci fa unire con punti immaginari le luci delle varie stelle, e in base a chi le
osserva quei punti possono ricordare uno scorpione, o un granchio, o una
lucertola. Quello che a noi interessa sapere è che, secondo lo scultore, durante
il periodo di tempo in cui era visibile la costellazione dello scorpione accadde
qualcosa. Cosa?
Il simbolo 10 rappresenta rispettivamente un uccello enorme e un piccolo
uomo senza testa (o senza volto) che sembra essere sopra di lui. Ne abbiamo
già abbondantemente parlato in precedenza. La sproporzione tra il grande
collo dell’uccello e il piccolo umano senza testa è troppo marcata per essere
casuale. Sembra che l’artista voglia dire che, mentre era visibile la
costellazione dello scorpione, i loro antenati si incontrarono con uomini
venuti in groppa a degli struzzi giganti. Uccelli di quelle dimensioni sono
esistiti solo in Oceania. Lo scultore descriverebbe quindi un incontro tra
“esploratori” venuti da Sundaland, e i loro antenati. Questi “esploratori”
vengono descritti come “senza testa” in segno di rispetto. Nel loro
linguaggio, è come se fossero stati considerati dei semi-dei. Furono loro ad
aver insegnato agli abitanti locali il culto dei monoliti senza testa? O furono
addirittura loro a fargliene dono? Ad ogni modo il piccolo uomo è itifallico, e
quindi è evidente che si tratti di esseri umani. A quanto può risalire questo
incontro? Gli uccelli giganti australiani si estinsero tra i 30.000 e i 20.000
anni fa. Se il grande uccello veniva da Sundaland, l’incontro deve essere
precedente alla sua estinzione.
Alcuni ipotizzano che, quando nelle antiche sculture si vedono uomini a
cavallo di uccelli giganti, questi rappresentino degli aerei. Allo stato attuale
delle cose, non esiste nessuna traccia che una civiltà passata avesse una
tecnologia tale da permettere loro di avere aerei come i nostri moderni caccia.
Potevano invece possedere degli strumenti più semplici per il volo, come dei
deltaplani, che permettevano loro di librarsi in aria usando le correnti? Questo
non può essere escluso del tutto, visto che in Siberia e in Perù sono stati
ritrovati dei geoglifici sul terreno talmente grandi (si parla anche di alcuni
chilometri) che possono essere osservati solo in volo. Leonardo da Vinci
aveva progettato “macchine volanti” diversi secoli prima che la nostra
tecnologia producesse degli aerei. Quindi non è qualcosa di impossibile a
priori. Ma finché nulla di tutto questo viene ritrovato, restano solo ipotesi da
confermare. Comunque, di questo parleremo in seguito.
Avvenimenti passati
Continuando ad osservare i simboli che si trovano sempre più a sinistra,
continuiamo il nostro viaggio nel tempo nella memoria degli abitanti di
Göbekli Tepe. Si nota subito che, mentre sul lato destro i simboli si
accavallano per quanto sono numerosi, man mano che ci si sposta verso
sinistra questi diventano meno numerosi. Questo è piuttosto naturale, perché
andando indietro nel tempo, i ricordi sono sempre più vaghi e imprecisi.
Purtroppo, da questo punto in poi la stele risulta parzialmente rovinata, quindi
la sua lettura è solo un tentativo. Altri due simboli, che abbiamo indicato con
i numeri 8 e 9, sono parzialmente nascosti dal muro in cui la stele è stata
incastonata. Da quello che si vede sembra trattarsi di una volpe comune, e di
un secondo serpente. Ma il riconoscimento non è facile.
Se quello che si vede è un serpente, questo è più piccolo del precedente.
Sembra che lo scultore voglia dirci che, immediatamente prima della
comparsa della costellazione dello Scorpione, apparve in cielo un’altra
cometa. Per essere ricordata, doveva essere qualcosa di impressionante.
Infatti, confrontando la Stele delle Gru, si comprende come anche questa
prima cometa abbia generato uno sciame di meteore che ha colpito la Terra.
Ma non sembrano essere descritti fenomeni associati a questa cometa. Quindi
o gli impatti sono stati più leggeri, oppure l’evento è accaduto in un luogo
lontano.
Immediatamente vicino al simbolo del serpente, compare quello del
cane/volpe (ammesso che l’animale sia quello). Rappresenta una
costellazione, ed è un’altra indicazione di tipo temporale. Ma manca un pezzo
della stele, quindi non possiamo dire cosa indichi. Il racconto termina con la
figura che conferisce il nome a questa stele, ma che a conti fatti, sembra
essere la meno significativa. Infatti, si aggiunge il simbolo numero 7, che
raffigura un avvoltoio dal collare. L’avvoltoio sembra tenere sulla sua ala il
cerchio centrale, o potrebbe essere solo una coincidenza. Secondo lo scultore
il loro “tempo” inizia con la costellazione dell’Avvoltoio.
Riassumendo
Volendo usare simboli più moderni per raffigurare il racconto della Stele
dell’Avvoltoio, questa potrebbe essere raffigurata come nell’immagine in
questa pagina. Riassumendo quanto detto finora, possiamo dire che gli
elementi chiave sono quattro: (1) Il disco centrale. (2) Il triangolo capovolto.
(3) Gli animali che si trovano attorno al disco centrale. (4) Altri simboli che
raccontano eventi. Nella Stele dell’Avvoltoio sono raffigurati alcuni animali
disposti attorno al cerchio che potrebbe rappresentare la Terra. Di questi
animali, quelli che dovrebbero rappresentare delle costellazioni, a partire da
sinistra, sono: l’Avvoltoio, la Volpe/il Cane, lo Scorpione, la Formica e il
Mixopterus.
È evidente che il modo in cui queste costellazioni sono state incise non mira
assolutamente alla “precisione astronomica”. L’artista che ha realizzato la
Stele dell’Avvoltoio non stava incidendo una carta stellare. Infatti, come è
facile notare, all’appello mancano le tre costellazioni incise nella “Zona A”,
vale a dire l’Uro, la Rana e la Gru “normale”. Il numero complessivo delle
costellazioni conosciute dagli abitanti locali salirebbe quindi ad 8, ma
esaminando le altre stele del sito sembra che gli abitanti di Göbekli Tepe ne
annoverassero molte di più. Quindi la Stele dell’Avvoltoio rappresenta solo
alcune costellazioni di fra le tante usate dalla gente di quel tempo per
immaginare il cielo.
Alcuni pensano che, nell’insieme, la stele descriva il cielo come lo vedevano
gli abitanti di Göbekli Tepe. Ma è poco probabile che la soluzione sia questa.
Diversi simboli incisi, come abbiamo detto precedentemente, non
rappresentano delle costellazioni, ma “eventi” di cui quel popolo era stato
testimone. Se la stele rappresentasse la mappa del cielo in maniera statica,
senza movimenti, questo vorrebbe dire che tutti gli eventi raffigurati nella
stele si sarebbero verificati contemporaneamente. Ma, come abbiamo visto
nei paragrafi precedenti, questo non può essere corretto.
Il modo in cui sono state disposte le costellazioni, tutte attorno al disco
centrale, sembra voglia dire che ruotassero attorno ad esso. (Che il disco
rappresenti la Luna o la Terra poco importa). Non può trattarsi di un
movimento reale di quelle costellazioni intorno ad un punto centrale. Le
costellazioni ruotano in quel modo solo al Polo Nord e al Polo Sud. Per
questo motivo, nemmeno questa spiegazione può essere quella giusta. Deve
quindi trattarsi di una “rotazione” di tipo logico, e non reale.
Questo ci porta a ritenere che, per l’artista che le ha incise, quelle 5
costellazioni rappresentavano 5 diversi periodi di tempo. (Lo stesso
ragionamento sembra valere per le tre costellazioni che sormontano i tre
rifugi nella zona A). Queste 5 costellazioni usate dall’artista e poste in
cerchio attorno alla Terra (o qualsiasi cosa il cerchio rappresenti) erano quelle
che gli servivano per rappresentare una specie di “orologio”. Come le lancette
dell’orologio indicano di volta in volta un numero diverso, e in questo modo
scandiscono il passare del tempo, allo stesso modo l’osservatore poteva
ripercorrere a ruota diversi avvenimenti che erano accaduti nel lontano
passato del suo popolo.
In questa specie di “orologio”, o “calendario circolare”, si nota che
l’elemento che occupa tutta la parte alta, e che divide letteralmente il
calendario in due, è una sorta di triangolo capovolto. Guardando ancora più
in alto, nella “zona A”, lo scultore indica cosa facessero gli abitanti di
Göbekli Tepe in quel tempo: erano dentro i rifugi per ripararsi dal “elemento
a zig-zag”, l’evento conosciuto come Younger Dryas.
Secondo gli archeologi (ed è confermato anche dal suo contenuto), questa
stele è stata incisa verso il 10.000 a.C. Dalle informazioni ricavate dagli
antropologi, sembra che i primi resti di homo Sapiens nella zona risalgano a
circa il 60.000 a.C. Quindi, in linea di massima, la stele può raccontare
avvenimenti che si verificarono tra il 60.000 e i 10.000 a.C. Questo vuol dire
che, in media, ogni “costellazione” potrebbe anche indicare un periodo
approssimativo di 10.000 anni (Ovviamente non stiamo dicendo che sia per
forza così, ma è solo un ragionamento indicativo per capire di che arco di
tempo stiamo parlando).
Non sappiamo in base a quali cicli astronomici lo scultore assegnasse ad ogni
costellazione la durata di un certo periodo di tempo, e non è nostra intenzione
tirare a indovinare. Questi dettagli ci sono semplicemente ignoti.
Considerando che non era intenzione dello scultore fornire delle date precise,
possiamo parlare solo di “datazioni indicative”.
Analizzando la stele, abbiamo compreso che gli avvenimenti sono stati
descritti in senso antiorario. Il “triangolo capovolto” è quindi il “gran finale”,
e gli avvenimenti descritti raccontano come si è arrivati a quell’evento.
Partendo quindi dalla sinistra del triangolo, e procedendo in senso antiorario,
il primo simbolo che troviamo è quello dell’Avvoltoio. Trattandosi della
rappresentazione di una costellazione, questa non raffigura un evento, ma un
periodo di tempo. Ci troviamo circa nel 60.000 – 50.000 a.C., e la
popolazione è uscita dal “collo di bottiglia genetico” dovuto al “grande
freddo”. (Ne abbiamo parlato in “Cassandra 3 – Il cammino dei
sopravvissuti”). La costellazione successiva in senso antiorario, la Volpe, ci
porta attorno al 50.000 - 40.000 a.C. Quella successiva, lo Scorpione,
indicherebbe il 40.000 - 30.000 a.C. circa. Procedendo in senso antiorario
troviamo la costellazione della Formica, che indicherebbe un periodo di
tempo intorno al 30.000 - 20.000 a.C. L’ultima costellazione è quella del
Mixopterus , che ci porterebbe verso il 20.000 - 10.000 a.C., che è
esattamente il periodo di tempo in cui si pensa sia stata scolpita questa stele.
Parallelamente a queste 5 costellazioni, sulla stele sono stati incisi 5 eventi,
che evidentemente erano della massima importanza per gli abitanti locali. Se
si osserva la stele, si nota come questi 5 eventi non si trovino precisamente
tra una costellazione e l’altra, ma sparsi un po’ al loro interno. Questo rende
ancora più evidente che non era intenzione di chi ha realizzato la stele creare
un vero “calendario” o un vero “orologio” da lasciare ai posteri. Le datazioni
vanno fatte “a occhio”, e quindi sono largamente imprecise. Si può solo
comprendere in linea di massima a quale millennio si riferiscono i vari eventi.
Una lettura di un antico racconto
Con questo in mente, notiamo che in quella stele tutto ha inizio con la
costellazione dell’Avvoltoio, che sembra quasi tenere in mano il cerchio
centrale, o la Terra. Perché? Probabilmente la gente del posto vedeva gli
avvoltoi abbattersi sui cadaveri lasciati sul terreno. È quindi naturale che
venissero associati alla morte, e di riflesso alla vita. È probabile che
rappresentassero il confine con l’ultraterreno. Quindi, la prima costellazione
che gli abitanti del posto riuscirono a identificare in qualche modo, venne
associata all’Avvoltoio. Questo può coincidere con il periodo di tempo in cui
quella popolazione arrivò nella zona. Perché possiamo affermarlo?
Le Grotte di Lascaux sono un complesso di caverne che si trova nella Francia
sud-occidentale. Sono chiamate “la cappella sistina del Paleolitico”, perché
su questa grotta verso il 15.500 a.C., e quindi circa 17.500 anni fa, vennero
dipinte delle stupende scene di animali, tra cui l’uro. Come riferisce un
recente numero di Focus, una entoastronoma francese, Chantal Jégues-
Wolkiewiez, asserisce di aver individuato in alcuni di questi animali delle
costellazioni, tra cui quelle dell’uro e dell’unicorno. Secondo la studiosa, le
grotte vennero scelte in base al loro ingresso, che in determinati periodi
dell’anno permettevano particolari allineamenti con le stelle.
Se questo risultasse vero (e molti indizi sembrano accreditare almeno nei
punti principali questa idea), questo vorrebbe dire che già 5.000 anni prima di
Göbekli Tepe esistevano astronomi, o come minimo astrofili, che avevano
già tratteggiato la mappa delle loro prime costellazioni. Sorprendentemente,
quindi, l’astronomia è un’attività che precede l’agricoltura e la pastorizia, e
nessuno può dire con precisione quando sia iniziata. Forse, è compagna
dell’uomo da sempre. È quindi probabile che la prima costellazione
identificata dagli abitanti di Göbekli Tepe risale grosso modo al periodo di
tempo in cui questi si stabilirono nella zona.
Continuando ad esaminare i simboli incisi sulla stele in senso antiorario,
troviamo la costellazione della Volpe/del Cane. Anche questo simbolo è
parzialmente coperto, e quindi la sua identificazione non può essere del tutto
certa. Da quel poco che si vede, il simbolo sembra simile al cane che compare
in uno dei due monoliti. Ma non possiamo sapere cosa ci sia nella parte
coperta, quindi inutile speculare.
Il primo “evento” che compare in senso antiorario dopo la costellazione del
Cane/Volpe, è un serpente. Sulla stele, comunque, questo simbolo è
parzialmente coperto da un muretto. Abbiamo detto che il simbolo del
serpente rappresenta una cometa o un meteorite. Questo vorrebbe dire che, in
quel periodo di tempo, è precipitato un meteorite o una cometa non di
proporzioni estintive, ma sufficientemente grande da dover essere
menzionato tra gli avvenimenti “memorabili”.
Fino ad oggi sono stati rinvenuti 3 diversi crateri che, verso il 45.000 a.C., si
sono formati in seguito all’impatto di corpi celesti con la Terra: il Meteor
Crater in Arizona, lo Xiuyan in Cina, e il Lonar in India. Sembra che questi
crateri si siano formati come risultato dell’impatto di un asteroide/cometa del
diametro compreso tra 1 e 2 chilometri. L’esplosione derivata dall’impatto
deve essere stata violentissima, pari a una potentissima bomba all’idrogeno di
svariati megatoni. Il “piccolo” serpente della stele può riferirsi a uno di questi
impatti, o a qualche altro di cui non siamo ancora a conoscenza. Comunque,
secondo la Stele delle Gru anche questa cometa si sarebbe rotta in mille
pezzi, bombardando la superficie del suolo.
Dopo la costellazione della Volpe, compare la costellazione dello Scorpione.
In corrispondenza di questa costellazione, e quindi verso il 30.000 a.C., si
verifica il secondo evento “degno di nota” nella storia dei costruttori di
Göbekli Tepe. Nella stele compare un piccolo uomo senza testa sopra un
enorme uccello. Come abbiamo spiegato precedentemente, probabilmente
questa incisione si riferisce all’incontro degli antenati dei costruttori di
Göbekli Tepe con umani che cavalcavano dei grandi uccelli, forse dei
Genyornis. Diversi indizi sembrano indicare che provenivano dal Sud-Est
Asiatico, dalla zona di Sundaland e Sahuland. Il contatto con quella
popolazione, per dover essere ricordato tra i “grandi eventi”, in qualche modo
deve aver profondamente influito sulla vita della gente del posto.
Probabilmente sono stati portatori di nuove conoscenze, o nuovi culti. Furono
loro, in seguito, a costruire Nan Madol, i Patung e le Kalambas? È molto
probabile. (Ne parliamo in maniera approfondita nel prossimo volume).
Continuando in senso antiorario, troviamo la costellazione della Formica, che
ci porta al 20.000 a.C. circa. La costellazione successiva, quella del
Mixopterus , ci porta intorno al 10.000 a.C. Tra queste due costellazioni, si
vede un vero “accavallarsi di simboli”, che corrisponde ad un “accavallarsi di
eventi”. Evidentemente, secondo chi ha inciso la stele, in quel periodo si sono
verificati una serie di avvenimenti di natura “epocale”. A partire da sinistra, il
primo evento descritto è quello dei due esseri metà uccello metà uomo,
l’archetipo degli “angeli”. L’artista indica che, in qualche modo, i suoi
antenati erano venuti in contatto (reale o presunto) con queste entità. Di chi o
di cosa si trattava? Indipendentemente dal fatto che ci sia stato davvero
questo contatto, o che si trattasse solo di una legenda popolare, questo
avvenimento è molto diverso da quello descritto dal piccolo uomo senza testa
a cavallo di un grande uccello. Gli uomini a cavallo degli uccelli vengono
descritti fondamentalmente come esseri umani, probabilmente molto avanzati
culturalmente, e quindi percepiti come delle semi-divinità.
Viceversa, gli uomini-uccello non sono più esseri umani. Sono esseri simili
agli umani, ma capaci di volare. Erano quindi qualcosa di non umano.
Possiamo considerarli divinità, o esseri provenienti da altri pianeti. Dal punto
di vista degli umani di 10.000 anni fa che abitavano Göbekli Tepe, tra le due
cose non ci sarebbe stata alcuna differenza. Che ruolo hanno avuto queste
entità? Un’altra stele, la “Stele delle Gru”, che esamineremo a fondo nel
prossimo capitolo, si occupa di rispondere a questa domanda.
Immediatamente a destra dei due “angeli” si trova il simbolo di un grosso
serpente. Quel simbolo inciso ci dice che, secondo l’autore, dopo la comparsa
“degli angeli”, la Terra è stata colpita da una grossa cometa. (Più
precisamente, secondo i ricercatori, si tratterebbe di uno sciame di comete
che si fecero in mille pezzi prima di raggiungere la Terra, creando un vero e
proprio bombardamento di frammenti). Sappiamo che a questo punto ci
troviamo in un tempo pari a circa 12.740 anni fa. Le città e i villaggi che si
trovarono lungo la traiettoria dei frammenti di cometa vennero disintegrati.
Quelli che si trovavano nelle vicinanze dei luoghi dell’impatto vennero rasi al
suolo dall’onda d’urto. Quelli che restarono in piedi dovettero affrontare il
gelo dello Younger Dryas.
Ancora più a destra del serpente è stato inciso il simbolo contenuto nella
cintura di uno dei due monoliti. Viene posizionato tra la cometa e le due
costellazioni: un chiarissimo riferimento a qualcosa che si trovava nello
spazio. La coda del serpente è piegata in maniera tale che sembra provenire
dal simbolo dei monoliti. Quindi, secondo l’artista che ha realizzato la stele,
la coda della cometa sembrava provenire dal secondo monolite. Può essere
una allusione alla possibilità che l’impatto sia stato causato dai monoliti,
come una sorta di “punizione divina”? È molto probabile che il senso del
racconto sia quello.
È utile ricordare un punto fondamentale: nella Stele dell’Avvoltoio non è
narrata nessuna “verità assoluta”. Sono scolpiti avvenimenti che, secondo
l’autore della stele, sono accaduti nel lontano passato del suo popolo. Ma non
è affatto detto che tutti corrispondano a fatti reali. Potrebbero anche essere
semplici leggende tramandate di generazione in generazione. Li prendiamo
quindi per ciò che sono, semplici parti di un racconto antico. Ma abbiamo
anche visto che affiancando a questi racconti la storia geologica e
antropologica della Terra, almeno in alcuni dei punti principali elencati,
questi racconti non sembrano affatto una leggenda, ma poggiano su fatti
davvero accaduti.
L’intera scena potrebbe essere considerata come una sorta di cronologia, utile
non a tenere il computo del tempo, ma ad avere una sorta di “elenco degli
eventi da non dimenticare”. Ma, come ci si poteva aspettare, la Stele
dell’Avvoltoio non è, e non poteva essere, l’unica cronaca dei “grandi eventi”
descritti dagli artisti di Göbekli Tepe. Anche altri pilastri nella stessa zona
sembrano raccontare i dettagli di questi avvenimenti, anche se probabilmente
la Stele dell’Avvoltoio contiene il racconto più accurato. Esaminiamo nel
prossimo capitolo un altro di questi “racconti su pietra” che sono attualmente
disponibili. Probabilmente, col tempo, ne verranno trovati altri.
12 – Attaccati?
Come abbiamo detto nel capitolo precedente, oltre alla Stele dell’Avvoltoio,
altri pilastri a Göbekli Tepe contengono il racconto di avvenimenti accaduti
nel lontano passato. Alcune di queste storie si riallacciano in maniera diretta
al racconto contenuto nella Stele dell’Avvoltoio. Una di queste storie
compare nel pilastro n. 33 dell’edificio circolare denominato con la lettera
“D”, lo stesso in cui si trova la Stele dell’Avvoltoio. Chiameremo il pilastro
33 con il nome di “Stele delle Gru”.
L’intestazione
Come per le altre stele che formano i “recinti di pietra”, anche in questo caso
il pilastro è composto da un lato largo e da un lato corto, che corrisponde allo
spessore della stele. La parte alta del pilastro è un po' più ampia del resto
della stele, formando la classica “T” dei pilastri di Göbekli Tepe. Nella parte
superiore della stele, compare una sorta di “intestazione”. In questo caso sono
stati scolpiti quelli che, ad un esame superficiale, possono sembrare 4 grossi
struzzi. Ma il loro collo, il loro becco e la loro testa è incisa in maniera molto
simile al “grande uccello” cavalcato “dall’uomo senza testa” visto nella Stelle
dell’Avvoltoio, e ad altri uccelli simili che compaiono nel sito. Si tratta
quindi dello stesso tipo di uccello gigante, le cui fattezze ricordano gli uccelli
della famiglia dei Dromornithidae, gli uccelli giganti australiani. Potrebbe
trattarsi quindi di quattro Genyornis.