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12.

794 anni fa
Visitatori a Göbekli Tepe

Cassandra 4

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Indirizzo sito:
http://www.ioannen.org

Questa pubblicazione è la quarta della serie Cassandra


© Tutti i diritti sono riservati
Prima edizione: 2 Ottobre 2020
“A parità di fattori la spiegazione più semplice è da preferire”

Principio noto come “Rasoio di Occam”


Capitoli

Introduzione

1 – Il “Deep Impact”
2 - La “Catastrofe del cromosoma Y”
3 – Gli scomparsi
4 - Il “fuoco dal cielo” di Sodoma
5 - Un mistero sepolto
6 – Misteriose presenze
7 – I due monoliti
8 – Prima dei Sumeri
9 – Gli uomini da Sundaland
10 – Un mondo che tramonta
11 - Un racconto su pietra
12 – Attaccati?
13 - Il fattore tempo
14 – Siamo soli?
15 – Visitatori moderni
Conclusione
Riferimenti
Introduzione
Verso il 10.794 a.C., circa 12.800 anni fa, alzando gli occhi al cielo, gli
umani osservavano ogni notte un enorme “serpente di luce”, con una grande
testa luminosa, e con una lunghissima coda che sembrava tagliare il cielo in
due. Ogni notte, genti di tutta la Terra non riuscivano a distogliere lo sguardo
dal “grande serpente luminoso”, ipnotizzate da questo incanto che si
ripresentava di fronte a loro. I bambini sognavano di volare con lui, e le
famiglie si auguravano che fosse il presagio di tempi migliori.
Ma una notte fu diversa dalle altre. Quella notte, dal “bianco serpente di luce”
sembravano nascere tanti altri piccoli serpentelli, in apparenza innocui, che si
affrettavano a scendere velocemente verso la Terra. Nei vari villaggi tutti si
interrogavano su cosa volesse dire questo fenomeno ancora più sorprendente
del primo, ma nessuno aveva una risposta certa. Prima uno, poi due, poi
dieci, poi cento, finché in breve tempo tutto il “serpente di luce” sembrò
sciogliersi in una miriade di serpentelli che correvano verso la Terra. La
gente era senza fiato nel vedere quel fenomeno che mai aveva visto prima.
Ma ben presto i “serpentelli luminosi”, che avevano molta fretta di
raggiungere la Terra, cambiarono il loro colore: diventarono sempre più
rossastri, come tante palle di fuoco. Una notte iniziarono a sentirsi dei boati
in lontananza, potenti come migliaia di tuoni messi insieme. Poi questi boati
si fecero sempre più vicini e minacciosi. Diversi boschi iniziarono a prendere
fuoco. Alcuni villaggi furono rasi al suolo. Mentre i “serpenti di luce”, che
ormai erano diventati “serpenti di fuoco”, raggiungevano la Terra, portavano
con loro il fuoco e il tuono, bruciando e distruggendo qualsiasi cosa si
trovasse sul loro cammino. Chi li aveva portati fra gli umani?
Quando il “grande serpente di luce” era comparso, molti saggi erano convinti
di aver incontrato strani esseri “provenienti dal di fuori”. Li videro in cielo,
scortare il serpente di fuoco. E poi, li videro mentre ordinavano al serpente di
cambiare la sua direzione, e di rivolgersi verso la Terra insieme ai suoi figli.
Questi “visitatori” si avvicinarono a tal punto agli umani, da poterli vedere
come un uomo vede un altro uomo, fino al punto da ricordarsi ogni loro
dettaglio. Poi andarono via, lasciando boschi bruciati, villaggi scomparsi, e il
ritorno del gelo.
Questa è la storia che ci hanno lasciato i saggi di Göbekli Tepe. Ma è una
storia vera, o è una leggenda? Cosa era il “serpente di luce”? Cosa
rappresentavano i suoi figli? Chi erano i “visitatori venuti dal cielo”? E
soprattutto cosa è Göbekli Tepe? Perché dovrebbero possedere questa storia
antica di almeno 12.800 anni, probabilmente una delle storie più antiche della
razza umana? Vi auguriamo di trovare le vostre risposte continuando la
lettura.
1 – Il “Deep Impact”

È ormai una certezza nella comunità scientifica che una o più comete di
notevoli dimensioni siano entrate in rotta di collisione con la Terra verso il
10.794 a.C., circa 12.800 anni fa. In prossimità dell’atmosfera terrestre, lo
sciame di comete è esploso, provocando una enorme scia di frammenti di
diverse dimensioni. Questi hanno colpito il suolo terrestre in almeno 4
continenti. L’impatto ha avuto un doppio effetto. Nelle zone in cui sono
precipitati i meteoriti di grosse dimensioni, si è avuto un effetto distruttivo
tipico di una bomba all’idrogeno di diversi megatoni. Qualsiasi cosa fosse
stata presente nelle vicinanze delle varie zone interessate da questo tipo di
impatto, è stata spazzata via, polverizzata.
Ci fu anche un secondo effetto collaterale. Dalle zone in cui si erano verificati
gli impatti più devastanti, si sollevò una nube di polvere tale da oscurare per
qualche tempo, almeno in parte, la luce solare. Di colpo divenne notte quasi
ovunque. La temperatura già fredda (era in corso l’Ultima Era Glaciale)
diminuì ulteriormente in maniera improvvisa anche nelle poche zone
risparmiate dai ghiacci. Anche se non si conoscono tutti i dettagli, si presume
che alcune specie vegetali morirono, e a loro volta morirono alcune specie di
erbivori che si nutrivano di quelle piante. Probabilmente anche alcune specie
di carnivori che si nutrivano di quegli erbivori seguirono il loro destino, in un
inesorabile effetto a catena.
La morte degli erbivori contribuì a sua volta a far diminuire la produzione del
metano biologico. Il metano è un gas serra meno presente dell’anidride
carbonica, ma con una capacità di far surriscaldare l’atmosfera ben 21 volte
maggiore (c’è chi dice addirittura 80 volte). Una netta diminuzione del
metano biologico nell’atmosfera può aver contribuito a far diminuire
ulteriormente la temperatura. Si era creato un vero circolo vizioso che
alimentava il freddo. Questi fenomeni, quindi hanno creato in vaste zone
della Terra una piccola ma intensa era glaciale, chiamata nei nostri giorni con
il nome di “Younger Dryas”.
La teoria dell’impatto delle comete era stata avanzata già alcuni decenni fa da
diversi studiosi, ma i dubbi della comunità scientifica erano maggiori delle
certezze. A sorpresa, però, negli ultimi tempi alcuni ricercatori hanno
scoperto una serie di evidenze che dimostrano come l’impatto delle comete
sulla Terra sia davvero avvenuto. La stessa rivista “Nature”, considerata “la
Bibbia” della scienza, in data 6 Marzo 2020 ha pubblicato sul suo sito un
articolo intitolato “ Evidence of Cosmic Impact at Abu Hureyra, Syria at the
Younger Dryas Onset (~12.8 ka): High-temperature melting at >220 0   °C ”,
che illustra le prove scientifiche che depongono a favore del tremendo
impatto di un oggetto celeste nel territorio di Abu Hureyra, in Siria, circa
12.800 anni fa.
Alla fine dell’introduzione, o “Abstract” dello studio, viene detto
testualmente: “L'ampia gamma di prove supporta l'ipotesi che un evento
cosmico si sia verificato ad Abu Hureyra circa 12.800 anni fa,
contemporaneamente ad altri impatti che hanno depositato in quattro
continenti vetro fuso ad alta temperatura, microsfere fuse e/o platino, in altri
siti coinvolti con lo Younger Dryas”.
Abu Hureyra
Ricostruiamo tutto dall’inizio. Abu Hureyra è uno dei siti archeologici più
importanti al mondo. Situato a Nord della Siria, è il sito archeologico dove si
trovano le più antiche tracce di attività agricola da parte dell’uomo. Gli
archeologi vi hanno trovato i resti di diversi tipi di cereali, inclusa la segale. Il
sito è datato a circa 13.000 anni fa. Dai resti ritrovati, si nota che circa 1.300
anni dopo che era stata abitata, di colpo la popolazione di Abu Hureyra è
andata via, o per qualche motivo, gran parte di essa non esisteva più.
Fino a poco tempo fa non si capiva cosa potesse aver causato tutto questo.
Analizzando i resti di Abu Hureyra, recentemente i ricercatori hanno trovato
delle microsfere di vetro fuso presenti praticamente su ogni cosa, sia nei resti
biologici, sia nei resti in muratura, sia sul terreno. Hanno anche trovato
nanodiamanti e tracce di suessite, un minerale raro sulla Terra, ma comune
nei meteoriti. Sono state rinvenute tracce di minerali ricchi di cromo, ferro,
nichel, solfuri, titanio, ferro, platino e iridio, minerali che tipicamente
compongono gli asteroidi.
Per produrre le microsfere di vetro che contengano quei materiali, sono
necessarie temperature superiori ai 220 0   °C. Per fare dei paragoni, possiamo
ricordare che l’acciaio fonde tra 1.300 °C e 1.50 0   °C. Il titanio fonde a circa
1.700 °C. Per capire a che temperature si formano queste microsfere, James
Kennett, professore emerito di geologia all’Università di Santa Barbara, in
California, ha detto: “Una temperatura così elevata scioglierebbe
completamente un’automobile in meno di un minuto”. Nessun tipo di
reazione “naturale”, sia chimica che d’altro genere, che si potrebbe sviluppare
sulla Terra in maniera spontanea, raggiungerebbe quelle temperature.
Secondo gli studiosi, l’unico evento che può generare qualcosa di simile sulla
Terra è un “impatto cosmico”. Un oggetto celeste deve aver colpito le
vicinanze di Abu Hureyra, disintegrando qualsiasi cosa abbia trovato sul suo
cammino. Probabilmente non si è creato un cratere perché la cometa, o i suoi
detriti, si sono disintegrati nell’atmosfera.
Secondo gli studiosi, le tracce più evidenti del bombardamento di comete a
livello globale consistono proprio nel ritrovamento di un numero enorme di
queste microsfere di vetro, unite ad una quantità di platino molto oltre la
norma. Questa concentrazione di platino è tipica delle comete. Negli anni
passati diversi studiosi hanno asserito di aver trovato queste microsfere di
vetro in alcuni siti, che sono, tra gli altri: Abu Hureyra, Arlington Cyn,
Barber Creek, Big Eddy, Blackville, Blackwater, Chobot, Cuitzeo, Gainey,
Kimbel Bay, Lingen, Lommel, Melrose, Murray Springs, Ommen, Sheriden
Cave, Talega, Tropper.
La maggioranza di questi siti si trovano concentrati negli USA. Altri si
trovano in Canada, Messico, Venezuela, Germania, Siria e Turchia. È del
tutto probabile che queste sfere di vetro si trovino in molte altre zone della
Terra, ma nessuno le ha mai cercate. Secondo i ricercatori, la quantità di
materiale fuso prodotto sotto forma di microsfere, non può essersi formato
solo con l’impatto di un'unica cometa di grosse dimensioni. Per produrre tutto
quel materiale, sono stati necessari migliaia di impatti in quattro continenti.
In parole semplici, la Terra è stata letteralmente bombardata da uno sciame di
migliaia di detriti di comete circa 12.800 anni fa.
Secondo la rivista Nature, probabilmente questi impatti sono derivati ​ ​ da una
serie di comete che hanno colpito la Terra in un breve periodo di tempo.
Queste comete, che sono sostanzialmente composte di ghiaccio e di roccia,
quando si avvicinano troppo al Sole, e quindi nelle vicinanze della Terra,
sono portate a rompersi in migliaia di frammenti del diametro compreso tra i
10 e i 1000 metri. A causa della enorme velocità a cui viaggiano, ciascuno di
questi frammenti è in grado di produrre esplosioni catastrofiche. Sono stati
quindi questi frammenti di cometa a colpire la Terra, e a provocare come
effetto collaterale lo Younger Dryas, una breve ma intensa era glaciale
“supplementare”.
La rivista dice testualmente: “Si ritiene che i più grandi ammassi di detriti
cometari siano in grado di provocare migliaia di esplosioni aeree nell'arco di
pochi minuti in un intero Emisfero Terrestre. Uno scontro [della Terra] con
un tale ammasso di detriti largo un milione di chilometri sarebbe migliaia di
volte più probabile di una collisione con una cometa larga 100 km o di un
asteroide di 10 chilometri”. Secondo la rivista Science, l’impatto ad Abu
Hureyra è stato solo uno dei numerosissimi impatti verificatisi in un breve
periodo di tempo, in un raggio di oltre 14.000 km negli emisferi Nord e Sud
della Terra.
Tracce inconfondibili
Anche l’unica vera obiezione ancora in piedi contro questa teoria sembra
essere caduta. Fino a poco tempo fa, gli scettici chiedevano: “Dove sono i
crateri provocati dagli impatti?”. Pochi anni fa, a partire dal 2015, sotto i
ghiacciai della Groenlandia, esattamente alla profondità di 1 chilometro sotto
il ghiacciaio “Hiawatha”, è stato scoperto un cratere meteorico di ben 32
chilometri di diametro, grande quanto una intera provincia. Per crearlo sarà
stata necessaria una esplosione di svariati megatoni. Dai rilievi, sembra che il
cratere sia stato formato da un meteorite ferroso largo circa 1 – 1,5
chilometri, e dal volume di circa 20 chilometri cubi. Trovandosi sotto i
ghiacciai, non è ancora stato possibile fare delle rilevazioni dirette sulla
formazione di questo cratere. Ma sono state fatte altri tipi di analisi.

Il professor Kurt H. Kjaer del Centro di GeoGenetica presso il Museo di


storia naturale della Danimarca ha dichiarato che “le [condizioni del cratere]
suggeriscono fortemente che si è formato dopo che il ghiaccio ha iniziato a
coprire la Groenlandia, … e forse può essersi creato anche 12.000 anni fa,
verso la fine dell'ultima era glaciale”. Secondo il professor Francis Thackeray
dell'Evolutionary Studies Institute dell'Università del Witwatersrand, a
Johannesburg, “ci sono alcune prove a supporto dell'idea che potrebbe essere
stato proprio il luogo in cui un grande meteorite ha colpito il pianeta Terra
12.800 anni fa. Se questo fosse davvero il caso, ci sarebbero state
conseguenze globali”. Secondo John Paden della Kansas University,
l’impatto avrebbe avuto effetti di vasta portata sul pianeta. Ci sarebbero stati
detriti proiettati nell'atmosfera che avrebbero influenzato il clima, e la cometa
avrebbe avuto il potenziale per sciogliere molto ghiaccio.
La rivista scientifica online sciencemag.org dice: “L'impatto sarebbe stato
uno spettacolo per chiunque si fosse trovato entro 500 chilometri di distanza.
Una palla di fuoco bianca, quattro volte più grande del Sole, e tre volte più
luminosa, avrebbe sfrecciato attraverso il cielo. Se l'oggetto avesse colpito la
calotta glaciale, avrebbe scavato attraverso la roccia, vaporizzando l'acqua e
la pietra allo stesso modo, in un lampo. L'esplosione che ne è scaturita ha
liberato l'energia di 700 bombe nucleari da 1 megatone, e anche un
osservatore a centinaia di chilometri di distanza avrebbe sperimentato
un'onda d'urto, sotto forma di un tuono mostruoso con venti con la forza di un
uragano. Più tardi, i detriti di roccia potrebbero essere piovuti sul Nord
America e sull'Europa”.
Ma sarebbe sbagliato pensare che il tutto si esaurisca con il cratere di 32 km
di diametro rinvenuto in Groenlandia. Pochi anni dopo, nel 2019, un geologo
della NASA, a soli 183 chilometri di distanza dal cratere sotto il ghiacciaio
“Hiawatha”, ha scoperto un secondo cratere sepolto sotto i ghiacci, ampio
ben 35 chilometri. Dal punto di vista del calcolo delle probabilità, la
possibilità che due asteroidi indipendenti tra loro colpiscano quasi lo stesso
punto a distanza di poco tempo è piuttosto scarsa. È molto più realistico
pensare che i due frammenti che hanno colpito la Groenlandia a distanza di
soli 183 chilometri facciano parte di uno sciame di detriti, come quello che si
può creare dalla frantumazione di una cometa. Sono in molti, infatti, a
pensare che i due crateri siano “figli” di uno stesso sciame di detriti cosmici,
caduti in un breve intervallo di tempo. Quindi è probabile che man mano che
le ricerche proseguono, si troveranno altri crateri simili nella stessa traiettoria.
In questo caso la teoria degli impatti cometari che hanno innescato lo
Younger Dryas avrebbe una ulteriore conferma.
Ma questi due enormi crateri non esauriscono l’argomento. Per esempio, gli
alberi di una intera zona della Siberia, precisamente a Tunguska, vennero
completamente rasi al suolo il 30 giugno 1908. L'onda d'urto fece quasi
deragliare alcuni convogli della ferrovia transiberiana che si trovavano
addirittura a 600 km dal punto dell’impatto. L’esplosione fu udita a 1.000 km
di distanza. Si calcola che si sia verificata una esplosione 1.000 volte
superiore alla bomba atomica sganciata su Hiroshima. A generare una così
grande esplosione fu un asteroide o una piccola cometa che ha attraversato
l’atmosfera terrestre in quel punto. L’aspetto più “anomalo” dell’evento di
Tunguska è che sul suolo non è stato lasciato nessun tipo di cratere.
Alcuni ipotizzano che l’asteroide sia esploso prima di toccare la superficie
del suolo. Altri ipotizzano che l’asteroide, o la cometa, composta di ferro,
abbia semplicemente attraversato la nostra atmosfera in quel punto,
provocando quella esplosione immane. Lo stesso viene affermato per
l’esplosione su Abu Hureyra, in Siria. Ci fu una enorme esplosione, capace di
cancellare ogni cosa nella zona, ma non c’è stata la formazione di nessun
grande cratere. Probabilmente anche in quel caso la cometa (o i suoi
frammenti) è esplosa nell’atmosfera.
Comunque sia, esiste la prova documentale che almeno due asteroidi o due
comete (quella di Tunguska e quella di Abu Hureyra) hanno potuto generare
una esplosione di diversi megatoni nell’atmosfera terrestre, senza lasciare sul
suolo nessun cratere. È accaduto lo stesso anche per gli altri frammenti di
cometa (o comete) che hanno bombardato la Terra circa 12.800 anni fa,
causando lo Younger Dryas? Gli avvenimenti di Tunguska e Abu Hureyra ci
dicono che, almeno in alcuni casi, questo può essere successo.
Inoltre, dobbiamo riconoscere che in circa 12.800 anni la morfologia della
Terra è cambiata parecchio. Alcune zone che erano verdi sono diventate
deserto. Altre zone che si trovavano sull’asciutto ora sono sott´acqua. Altre
zone ancora, che prima erano sotto i ghiacci, ora sono verdeggianti. Non
possiamo sapere quanti eventuali crateri sono stati nascosti dai cambiamenti
avvenuti sulla superficie della Terra negli ultimi 12.800 anni circa.
Infatti, ci sono altri crateri sparsi per il mondo che, in linea teorica,
potrebbero in qualche modo essere stati coinvolti nello Younger Dryas. I
crateri che sembrano essersi creati da impatti di asteroidi/comete in un
periodo di tempo massimo risalente a 13.000 anni fa, e quindi teoricamente
compatibili con gli eventi dello Younger Dryas sono: il cratere Wabar, in
Arabia Saudita; il cratere Kaali e il cratere Ilumetsa, in Estonia; il cratere
Campo del Cielo e il cratere Rio Cuarto, in Argentina; il cratere Henbury e il
cratere Boxhole, in Australia; il cratere Morasko, in Polonia; il cratere
Macha, in Russia; il cratere Tenoumer, nel deserto del Sahara.
Finora nessun geologo ha messo in relazione questi crateri con lo Younger
Dryas, ma è possibile che in futuro, con l’affermarsi di questa teoria, le cose
possano cambiare. Anche se tutti i geologi sono concordi nel dire che si tratti
di crateri creatisi meno di 20.000 anni fa (e quindi, in linea di massima,
compatibili con il bombardamento di comete che ha provocato lo Younger
Dryas), non si è altrettanto concordi nel dare una datazione precisa.
Attualmente la loro datazione varia, a seconda del cratere, dal 1.800 a.C. al
20.000 a.C. Inoltre, sono stati ritrovati molti altri crateri in giro per il mondo,
ma che non sono stati ancora analizzati a fondo, e che quindi non fanno
ancora parte “ufficialmente” di questa lista. Il tempo rivelerà ogni cosa.
2 - La “Catastrofe del cromosoma Y”

La conferma dello Younger Dryas, in pratica, potrebbe riscrivere


completamente la nostra preistoria. Riflettiamo su quanto sia stato ampio il
raggio di azione di questa pioggia di frammenti di comete. Si parla di 14.000
km su due emisferi, lo stesso raggio di azione di un moderno missile
intercontinentale a testata nucleare. È ovvio che se fossero esistite delle
civiltà precedenti che si fossero trovate sulla loro traiettoria, sarebbero state
completamente spazzate via da una serie di migliaia di esplosioni, molte delle
quali paragonabili a esplosioni di ordigni nucleari di svariati megatoni. Abu
Hureyra è l’esempio plastico di cosa deve essere accaduto agli sfortunati
insediamenti umani situati nella traiettoria dei frammenti di cometa.
Visto che parliamo di migliaia di esplosioni, molte delle quali di livello
nucleare, in un raggio di 14.000 km, è ovvio che probabilmente ci saranno
state poche zone completamente esenti dagli effetti di questo impatto. Come
vedremo in seguito, questa catastrofe ha lasciato dei ricordi indelebili in
alcune antiche culture. Ma questi ricordi, come è naturale che sia,
provengono da popoli diversi, che si trovavano in zone diverse della Terra al
tempo dell’impatto. Probabilmente, popoli che si trovavano in zone
geograficamente distanti tra loro, hanno subito effetti diversi. Quindi ciascun
popolo ha trasmesso ricordi diversi di quell’evento, esprimendo il proprio
punto di vista, e includendo dettagli propri, che possono anche differire da
zona a zona.
Nel 2015, un gruppo di oltre 100 ricercatori provenienti da tutto il mondo,
coordinati dalla dottoressa Monica Karmin , per conto della Genome
Research, ha pubblicato uno studio da cui è tratta la tabella che vedete in
questa pagina. Il soggetto riguardava, tra le altre cose, anche una misurazione
della variazione della popolazione umana nel corso della storia.
Da questo grafico si nota che la popolazione umana, circa 75.000 anni fa, si
stava riprendendo da qualcosa che la aveva quasi “azzerata”. Infatti,
guardando il grafico, sembra che prima di quella data non ci fossero esseri
umani sulla Terra. Ma il grafico vuole spiegare che in quella data gli umani
erano semplicemente troppo pochi per lasciare una traccia storicamente
rilevante. Ma noi sappiamo che l’homo Sapiens esiste da almeno 200.000
anni. Quindi, per avere una popolazione numericamente irrilevante, vuol dire
che 75.000 anni fa si era verificato il primo “Collo di bottiglia genetico”.
Questo evento, nelle varie leggende, è stato tramandato come “il Diluvio
Universale”, il giorno in cui il mondo morì. Invece con ogni probabilità si è
trattato di una piccola era glaciale che ha colpito improvvisamente le zone
calde del pianeta in cui risiedevano i nostri antenati, particolarmente in Nord
Africa, causando una strage. (Il volume precedente, dal titolo “Il cammino dei
sopravvissuti – Cassandra 3”, ne parla ampiamente).
Il grafico della dottoressa Monica Karmin mostra come tra i 75.000 e i
50.000 anni fa, la popolazione è leggermente cresciuta, ma qualcosa
impediva un incremento demografico significativo. Poi da circa 50.000 anni
fa, fino a 12.800 anni fa, c’è stata una vera “esplosione demografica”, che ha
fatto aumentare considerevolmente la popolazione umana in tutta la Terra.
Ma a questo punto, esattamente a partire da 12.800 anni fa, c’è stato un
nuovo crollo verticale della popolazione, un nuovo “Collo di bottiglia
genetico”.
Questo nuovo “Collo di bottiglia genetico” ha inizio proprio in coincidenza
con lo Younger Dryas, 12.800 anni fa. Studiando la diminuzione della
popolazione esemplificato nel grafico proposto dalla dottoressa Monica
Karmin, si può capire in quali zone lo Younger Dryas ha colpito di più. (1)
La popolazione delle Ande è quasi scomparsa. (2) La popolazione della
Siberia è quasi scomparsa. (3) La popolazione del Sud-Est Asiatico, inclusa
l’Oceania, si è ridotta di 2/3. (4) Le popolazioni dell’Asia Centrale e
dell’Asia del Sud si sono dimezzate. (5) Anche la popolazione dell’Europa,
del Medio Oriente e dell’Africa è diminuita di molto.
La diminuzione della popolazione raggiunse il suo culmine circa 7.000 anni
fa, intorno al 5.000 a.C. In quel periodo di tempo la popolazione mondiale si
è quasi dimezzata dall’inizio dello Younger Dryas. Nemmeno la Prima e la
Seconda Guerra Mondiale, con tutti i loro effetti collaterali, messe insieme,
hanno mai nemmeno sfiorato un livello catastrofico simile. Dopo avere
“toccato il fondo” circa 7.000 anni fa, la popolazione mondiale ha ripreso a
crescere in maniera esponenziale, come sta accadendo tutt’ora.
Il fattore Y
Un aspetto davvero unico di questo “Collo di bottiglia”, a tratti inspiegabile,
è che la diminuzione della popolazione non fu uniforme per uomini e donne.
Questo “sterminio” colpì quasi esclusivamente i maschi della specie. Si
arrivo al punto di avere 17 femmine per ogni maschio. Cosa può aver causato
una morte “selettiva” nella razza umana? La dottoressa Monica Karmin ha
proposto la possibilità che si sia trattato di un periodo di guerre diffuse. Di
solito, specialmente in passato, sono gli uomini a combattere le guerre,
mentre le donne e i bambini rimanevano al sicuro nelle città o nei villaggi.
Quindi, secondo Monica Karmin, un periodo di guerre prolungate
porterebbero come effetto collaterale una forte diminuzione della popolazione
maschile. Questa conclusione ha un suo senso. Ma può bastare a spiegare il
dimezzamento della popolazione mondiale, e il quasi sterminio del genere
maschile?
Tutti i ricercatori sono unanimemente concordi nell’accettare i risultati di
questo studio, ritenuto da tutti “eccellente”. Ma non tutti sono d’accordo con
il motivo che ha causato questa diminuzione della popolazione. Secondo la
spiegazione della dottoressa Karmin ci sarebbe stata una sorta di Guerra
Mondiale a puntate, fatta da una miriade di guerre intestine. Ma, a quanto ne
sappiamo, le popolazioni di 12.800 anni fa non sembravano essere
abbastanza sviluppate per poter muoversi guerra l’una contro l’altra su vasta
scala, come accadde per esempio nel secolo scorso con le due guerre
mondiali. Per questi ed altri motivi, questa spiegazione lascia perplessi in
molti. Il punto di vista dei “perplessi” è il seguente: le guerre intestine ci sono
sempre state, e non hanno prodotto risultati simili in altri periodi della storia
umana, nemmeno durante il secolo delle guerre mondiali. Per quale motivo le
guerre avrebbero avuto risultati così catastrofici 12.800 anni fa?
Una spiegazione climatica
Secondo altri, visto che la diminuzione della popolazione coincide con
l’inizio della breve era glaciale chiamata Younger Dryas, la spiegazione va
trovata lì. Inoltre, non va dimenticato che questo periodo ha abbracciato circa
5.000 anni, durante il quale la popolazione mondiale è continuata a calare. È
possibile che, oltre alle guerre, anche qualcos’altro abbia impedito ai maschi
della specie umana di restare in vita? Secondo alcuni, sembra che il problema
non fosse tanto che i maschi morivano, ma che non ne nascevano a
sufficienza.
Il clima può influenzare la natalità di una popolazione? Secondo alcuni
ricercatori, in un articolo apparso su PNAS del 12 Febbraio del 2008, un
prolungato periodo di temperature particolarmente basse può far diminuire la
popolazione di maschietti nascituri in maniera molto sensibile. È quindi
probabile che, almeno nel periodo iniziale, dal 10.900 a.C. al 9.700 a.C., la
forte diminuzione della popolazione maschile sia stata dovuta al freddo
intenso causato dallo Younger Dryas. Questo pero non spiega come mai la
popolazione maschile sia continuata a diminuire anche dopo, quando la
temperatura globale è diventata come quella attuale. Evidentemente c’è una
“causa esterna” ancora non nota.
Una causa occulta
È evidente che i tentativi per trovare una risposta alla “Catastrofe del
cromosoma Y”, anche se sono riusciti a dare alcune motivazioni, non
riescono a spiegare il fenomeno nella sua totalità. È ovvio che la morte dei
maschi della specie non avrà lasciato indifferenti i popoli del passato. Loro
cosa ne pensavano di quello che accadeva? Esiste una tradizione, o una
leggenda, in cui si parla della morte dei maschi della specie umana? In effetti
una famosissima storia ci parla di qualcosa del genere: la storia di Moshe.
Nel libro di Esodo, al capitolo 1, dai versetti 8 a 19, viene detto: “Con il
tempo in Egitto ci fu un nuovo faraone, che non aveva conosciuto Giuseppe.
Disse al suo popolo: ´Il popolo d’Israele è più numeroso e più forte di noi.
Dobbiamo essere più furbi di loro. Altrimenti continueranno a moltiplicarsi e,
se dovesse scoppiare una guerra, sarebbero dalla parte dei nostri nemici per
combattere contro di noi, e lascerebbero il paese´.
[…]
In seguito, il faraone parlò alle levatrici ebree, che si chiamavano Sifra e Pua,
e disse loro: ´Quando aiutate le donne ebree a partorire, e le vedete pronte per
il parto, se nasce un maschio dovete metterlo a morte; se è una femmina,
invece, lasciatela vivere´. – Fine citazione
Come abbiamo spiegato nel volume: “Alla ricerca del libro di Yahweh –
Cassandra 2”, non c’è stato nessun tentativo di genocidio dei bambini ebrei
da parte di nessun faraone. Anzi, gli ebrei non solo non erano stati prigionieri
in Egitto, ma non avevano mai nemmeno risieduto in quel paese. Da dove
presero gli scribi del passato questa storia del tentativo di genocidio dei soli
figli maschi? Questo racconto romanzato ci illustra come in passato la morte
dei soli figli maschi era stata percepita dalla popolazione in generale.
Secondo i creatori di questa storia, i figli maschi morivano di morte violenta,
come durante una “pulizia etnica”. È possibile che in passato un “elemento
esterno” di tipo intelligente abbia contribuito o causato una forte diminuzione
della popolazione umana, colpendo particolarmente il genere maschile?
Una evidenza nel nostro DNA
I dati proposti dal gruppo di lavoro della dottoressa Monica Karmin
evidenziano un punto che difficilmente potrà essere smentito. Sia che
troviamo i loro resti o che non riusciremo mai a trovarli, nel nostro DNA c’è
scritto qualcosa di molto chiaro. È altamente probabile che intere civiltà che
esistevano durante l’Ultima Era Glaciale siano state spazzate via dallo
Younger Dryas e dagli avvenimenti legati ad esso. Le Ande, la Siberia,
l’Oceania, alcune zone dell’Asia e del Medio Oriente, sono i punti in cui la
diminuzione della popolazione mondiale è stata più consistente. È possibile
che queste siano le zone dove il bombardamento delle comete è stato più
forte? Possiamo dire che, come minimo, sono quelle maggiormente indiziate.
Ma, ovviamente, servono altri riscontri.
Come vedremo in seguito, alcuni popoli hanno “registrato” nella pietra i loro
ricordi degli eventi che hanno portato allo Younger Dryas. I loro disegni, che
siano veri o che siano frutto della loro fantasia, sono inequivocabili. Secondo
loro, la morte veniva dal cielo, e non era solo dovuta alle meteore. Ma ne
parleremo approfonditamente più avanti.
3 – Gli scomparsi

Secondo la ricostruzione fatta dagli antropologi, la nostra specie, l’homo


Sapiens, è comparsa all’improvviso in Africa, probabilmente in Etiopia, circa
200.000 anni fa. Benché siano stati rinvenuti i resti di ominidi simili all’homo
Sapiens, che vissero in periodi molto antecedenti, la comparsa della nostra
specie sembra essere un evento improvviso, e al momento non
completamente spiegabile. Proveniamo tutti da quella che è stata chiamata
una “Eva mitocondriale”. Si tratta di un singolo esemplare femmina di homo
Sapiens, che di fra tutti gli esemplari in vita nel suo tempo, è stato quello che
ha trasmesso a tutto il resto del genere umano il suo patrimonio genetico
“diverso”, che nel corso del tempo ha fatto di noi ciò che siamo.
Secondo alcuni ricercatori, in un periodo successivo a 150.000 anni fa, c’è
stata una sorta di mutazione genetica nella nostra specie, e nel nostro cervello
sono apparse le zone preposte al linguaggio. L’uomo ha quindi iniziato ad
avere una lingua parlata. La lingua scritta, invece, in base alle attuali teorie
sembra comparire soltanto 5.500 anni fa, e quindi circa 195.000 anni dopo la
comparsa dell’homo Sapiens. Questo è un elemento che lascia estremamente
perplessi gli antropologi: come mai ci abbiamo messo così tanto per imparare
a scrivere?
Una parziale risposta a questo enigma, finora insolubile, può venire dalla
scoperta che nel corso del tempo, diverse volte come specie abbiamo
rischiato di estinguerci. Cosa vogliamo dire? Se oggi le nostre città venissero
bombardate a tappeto con armi nucleari, i sopravvissuti perderebbero
velocemente gran parte della conoscenza acquisita. Nessuno di noi, da solo,
sarebbe in grado di costruire cose che riteniamo relativamente semplici, come
una lampadina, un frigorifero, o un ferro da stiro. I pochi sopravvissuti non
sarebbero in grado di effettuare la manutenzione di quel poco di tecnologia
che sarebbe sopravvissuta.
Nel giro di poche generazioni perderemmo totalmente sia la conoscenza per
costruire quegli oggetti, sia la conoscenza sul loro scopo e sul loro utilizzo.
La scarsità di umani con cui comunicare, ci farebbe perdere ben presto buona
parte della nostra capacità di comunicazione orale. E se i genitori di una sola
generazione si dimenticassero di insegnare ai figli a leggere e scrivere, nel
giro di una sola generazione anche la nostra capacità di usare una lingua
scritta si perderebbe. Nel giro di alcuni decenni subiremmo una involuzione
rapidissima, fino a raggiungere alcuni stili di vita tipici della preistoria.
Infatti, il celebre scienziato Albert Einstein usava dire: “Non conosco il modo
in cui verrà combattuta la terza guerra mondiale, ma conosco il modo in cui
verrà combattuta la quarta: con le clave e con le pietre”. Con questa frase il
celebre scienziato sottolineava che un bombardamento nucleare a tappeto su
tutta la Terra non si sarebbe limitato a distruggere vite umane, ma avrebbe
cancellato per sempre la nostra cultura e la nostra civiltà.
Questo stesso scenario si è sicuramente verificato ogni volta che nella specie
umana c’è stato un “Collo di bottiglia genetico”. Nel volume precedente
(intitolato “Il cammino dei sopravvissuti – Cassandra 3”) abbiamo scritto:
“Cosa si intende per ´Collo di bottiglia genetico´? Con questo termine si
intende una drastica riduzione del numero degli individui facenti parte di una
stessa specie, fino al punto che ne sopravvive solo una piccola rimanenza.
Questo crollo della popolazione è riscontrabile, con le moderne tecniche
dell’ingegneria genetica, dall’esame del nostro DNA. Si può scoprire questa
anomalia perché, in condizioni normali, il DNA umano si ´rimescola
continuamente´, visto che si uniscono uomini e donne appartenenti a diversi
gruppi genetici. Quando, invece, questa variazione diminuisce drasticamente,
o addirittura diventa pari a zero, è evidente che non c’erano altri umani con
cui mescolarsi.
La spiegazione più semplice per questo fenomeno è ipotizzare che, in quel
determinato periodo di tempo, molto probabilmente una buona fetta della
popolazione aveva cessato di esistere. Ecco perché un ´collo di bottiglia
genetico´ può indicare una drammatica riduzione della popolazione in una
data area geografica. I ´colli di bottiglia genetici´ a livello locale non sono
una rarità nella storia umana. Un ´collo di bottiglia genetico´ si è verificato
quando per la prima volta gli umani lasciarono l'Africa. Un altro si è
verificato quando questo gruppo si è separato in Medio Oriente, mentre
alcuni si dirigevano in Europa e altri in Asia. Un altro ´collo di bottiglia
genetico´ si è verificato quando gli homo Sapiens si diressero in Australia.
L’ultimo “collo di bottiglia genetico” di cui si ha notizia sembra essersi
verificato a partire da 11.800 anni fa, con il suo culmine circa 7.000 anni fa”.
Indipendentemente da quale grado di conoscenza abbiano potuto raggiungere
i nostri antenati, ogni “collo di bottiglia genetico” tendeva a “riazzerare” la
conoscenza acquisita. Tanto più era forte questo “collo di bottiglia genetico”
(ossia tanta più gente moriva), tanto più crollava la conoscenza che la
generazione interessata trasmetteva alla successiva. Due “colli di bottiglia
genetici” non sono stati locali, ma globali, nel senso che hanno interessato la
specie umana nel suo insieme. Questi si verificarono circa 75.000 e 12.800
anni fa. Ne deduciamo che due dei maggiori “crolli culturali” si sono quindi
verificati circa 75.000 anni fa e, di nuovo, circa 12.800 anni fa.
Gli avvenimenti che portarono allo Younger Dryas aggiunsero al “crollo
culturale” anche un crollo “oggettivo”. Infatti, l’impatto di una cometa con un
insediamento umano non si sarebbe limitato a cancellare solo “la
conoscenza” di quel gruppo di persone. In questo caso l’impatto avrebbe
cancellato per sempre dalla storia non solo le persone stesse, ma anche i loro
ricordi e le loro testimonianze, e probabilmente nessuno sarebbe stato più in
grado di provare la loro esistenza. Ogni “collo di bottiglia genetico” a livello
globale, può essere quindi considerato come una sorta di “reset”, dopo il
quale la popolazione coinvolta ricomincia praticamente da zero. Come
abbiamo detto, dalle ricerche effettuate emerge che abbiamo avuto finora 2
grandi “reset”: 75.000 e 12.800 anni fa. Esiste quindi la possibilità che come
specie, almeno in 2 occasioni, abbiamo perso parte della conoscenza
acquisita, poca o molta che fosse.
Come vedremo nel corso di questo libro, ci sono seri indizi, se non proprio
prove, che indicano come qualcuno avesse escogitato dei sistemi di scrittura
molto prima dei Sumeri. Ad esempio, a Göbekli Tepe sono stati rinvenuti
segni logici che possono appartenere solo ad un sistema di scrittura, antichi di
quasi 12.000 anni. Anche il racconto di Platone su Atlantide presuppone
l’esistenza di un sistema di scrittura molto antico. La recente datazione dei
ritrovamenti di oggetti in ossidiana lavorati nell’isola di Milos, ha convinto
molti archeologi del fatto che i popoli del Peloponneso, in Grecia,
costruivano navi già 15.000 anni fa. In almeno una piramide in Egitto è
provata la presenza di parti di ferro non-meteorico (e quindi ferro forgiato),
che possono risalire ad un tempo in cui, ufficialmente, la lavorazione del
ferro doveva essere sconosciuta. I ritrovamenti nella necropoli di Varna
indicano che popolazioni di 6.500 anni fa facevano ampio uso di gioielli in
oro. I resti di Göbekli Tepe risalenti a 12.000 anni fa ci dicono che le
costruzioni più antiche erano qualitativamente migliori di quelle successive.
Questi ed altri ritrovamenti stanno convincendo molti antropologi che esiste
una pagina della nostra preistoria che noi ignoriamo completamente.
Tutti questi indizi ci dicono che lo Younger Dryas, e tutti gli eventi connessi
con esso, non hanno solo dimezzato la popolazione in molte zone della Terra.
In quelle stesse zone si è verificato il “fenomeno del gambero”. Alcune
conoscenze e capacità acquisite vennero perse, e ci vollero millenni per
poterle riacquistare. È come se gran parte della Terra, tra 12.800 e 7.000 anni
fa sia piombata in una sorta di Medio Evo globale. Probabilmente il mondo
prima dello Younger Dryas era molto diverso da come ce lo siamo
immaginati. È possibile che eventuali civiltà che si trovavano nei luoghi più
colpiti siano state pesantemente danneggiate, fino ad essere portate sul punto
di estinguersi?
La “Cultura Clovis”
Una civiltà che secondo alcuni è fortemente sospettata di essersi estinta in
Nord America a causa degli avvenimenti collegati al bombardamento delle
comete è la cosiddetta “Cultura Clovis”. Di chi parliamo? Nel 1932,
l'archeologo Edgar Howard estrasse una lunga punta di lancia in pietra dai
resti delle ossa di un mammut nel Nuovo Messico. Quella era la prova
innegabile che esseri umani cacciavano i mammut nel Nord America.
Howard chiamò gli antichi possessori di quella lancia in pietra con il nome di
“cultura Clovis”, dal nome della vicina città di Clovis.
Dei Clovis non si conosce molto. Probabilmente era un popolo di cacciatori
pre-indiani, forse nomadi, che usavano armi in pietra. Comparvero
improvvisamente in Nord America circa 11.000 – 12.000 anni fa.
Probabilmente provenivano dall’Europa attraverso la Siberia. Prosperarono e
occuparono praticamente tutto il Nord America in un periodo di 400 – 600
anni appena, e poi sparirono improvvisamente. Stranamente, finora è stato
ritrovato solo un resto umano che si possa far risalire in maniera “certa” ai
Clovis. Non esistono altre sepolture Clovis in tutto il Nord America. Non si
ha quindi la minima idea riguardo a che età morissero, di cosa ne facessero
dei loro morti, o se avessero dei riti funebri. Questo caso è più unico che raro
in tutto il panorama mondiale.
L’esame del DNA dimostra che la cultura Clovis, almeno in alcuni casi, si era
imparentata con gli abitanti delle zone del Centro America, arrivati circa
20.000 anni prima di loro. È possibile, quindi, che col tempo si siano spostati
verso sud, mischiandosi con altre popolazioni, fino a sparire dalla scena. Ma
questo non risolve il mistero dei “morti mancanti”.
Cosa portò questo popolo di cacciatori provenienti dalla Siberia verso
l’estinzione? Gli studiosi non trovano un accordo sulla risposta da dare a
questa domanda, specialmente perché i Clovis appaiono all’improvviso (e
quindi provenivano da qualche parte) e spariscono altrettanto all’improvviso.
La teoria più “gettonata” è che le loro scorte di carne, ossia i mammut, si
esaurirono rapidamente. Alcuni attribuiscono questo avvenimento ad un
eccesso di caccia da parte dei Clovis, che avrebbe portato al totale sterminio
delle stesse specie di animali di cui si nutrivano. Si sarebbe trattato quindi di
una specie di “suicidio” a livello di specie.
Altri, pur accettando queste conclusioni, aggiungono che “il colpo di grazia”
venne dato dal bombardamento di comete che colpì gravemente il Nord
America, innescando una sorta di locale “inverno nucleare”. In questo
scenario, la morte improvvisa di alcune piante avrebbe tolto il cibo ai grandi
erbivori, fra cui il mammut, portandoli rapidamente all’estinzione. Di
conseguenza diverse specie carnivore che si nutrivano di questi erbivori, tra
cui i Clovis, seguirono il loro destino.
Il punto innegabile, però, e che dopo aver dominato per alcuni secoli il Nord
America, qualche tempo dopo gli impatti delle comete in quel territorio, i
Clovis scomparvero, senza lasciar traccia di loro. Allo stato attuale delle cose
dobbiamo accettare la conclusione che, se i Clovis avevano degli
accampamenti stabili, probabilmente questi hanno risentito degli effetti
devastanti delle esplosioni provocati dagli impatti dei resti delle comete.
Infatti, al momento, i resti di questi accampamenti non sono ancora stati
ritrovati. Sembrano essersi dissolti nel nulla. Nel loro caso il “collo di
bottiglia genetico” fu totale: non lasciarono discendenti diretti. La loro
conoscenza sparì con loro.
Sundaland e Sahuland
Secondo i rilievi degli astrofisici, un altro punto del mondo dove l’impatto
delle comete può essere stato particolarmente violento è stata la regione
compresa tra Sahuland e Sundaland. Anche se ci possono sembrare strani,
questi nomi sono piuttosto noti tra gli studiosi. Il nome Sundaland viene usato
per descrivere quello che è a tutti gli effetti un piccolo “continente”
sommerso, che si trovava grossomodo tra la Cina e l’Indonesia. Il nome
Sahuland descrive invece l’antica Australia, quando era molto più grande di
adesso, ed era unita alla Papua Nuova Guinea. Dove sono finiti Sundaland e
Sahuland? Secondo i ricercatori, il disgelo avvenuto a partire da 14.500 anni
fa, ha fatto alzare di 125 metri il livello dell’Oceano Pacifico. Nel corso dei
secoli, quindi, il “mini continente” di Sundaland venne sommerso quasi
completamente dalle acque. Oggi, di quel continente, resta solo quella che noi
chiamiamo “Indocina”. Al posto di Sahuland abbiamo oggi l’Australia e la
Papua Nuova Guinea. Il resto è sott´acqua.
Sundaland e Sahuland erano abitate? Assolutamente sì. Le conferme ci
vengono direttamente dall’archeologia. Le prime tracce di homo Sapiens in
Australia, ma dovremmo dire a Sundaland e Sahuland, risalgono come
minimo a 65.000 anni fa, e ci sono sospetti che possano essere ancora
precedenti. Quindi gli homo Sapiens “passeggiavano” per Sundaland e
Sahuland da almeno 50.000 anni, prima che queste terre iniziassero ad essere
sommerse. Considerando le condizioni di vita estremamente favorevoli di
Sundaland prima del disgelo, è praticamente certo che gli homo Sapiens
abbiano cercato di insediarsi anche lì. Secondo i ricercatori, le coste di
Sundaland (che purtroppo ora sono tutte sott´acqua) hanno ospitato
insediamenti umani antichissimi. Sembra che nell’Isola di Sumatra ci siano
resti risalenti al 80.000 a.C.
Cosa è rimasto di Sundaland? Come spiegheremo in un prossimo volume
interamente dedicato a questo argomento, nell’Oceano Pacifico esistono delle
costruzioni antichissime, che finora non possono essere attribuite a nessun
popolo conosciuto. Parliamo ad esempio della straordinaria “Venezia del
Pacifico”, ossia Nan Madol, la città costruita su isolotti artificiali in cima alla
barriera corallina. Oppure le incredibili statue chiamate Patung, di cui non si
conosce nemmeno da dove provenga la roccia con cui vennero realizzate,
figurarsi gli scultori.
I ricercatori si trovano tutti d’accordo su di un aspetto: ad un certo punto la
gente è letteralmente fuggita da Sundaland, probabilmente a causa di qualche
cataclisma. È bastato l’innalzamento del mare a farli fuggire in massa?
Secondo molti ci fu dell’altro. Alcuni fanno notare che l’Indonesia, e quindi
Sundaland, si trova proprio sopra la “cintura di fuoco”, vale a dire nel punto
di incontro di diverse faglie continentali, dove si generano di continuo
terremoti e sono attivi potenti vulcani. Lo scioglimento dei ghiacciai di
Sundaland potrebbe in qualche modo aver causato dei cedimenti in quel
punto della crosta terrestre, sufficienti a scatenare in quella zona così critica
dei violenti terremoti.
Ma ci potrebbe essere ancora un altro motivo, molto più spaventoso. Come
vedremo nei prossimi capitoli, ci sono tracce di un contatto tra “profughi”
provenienti dall’Australia e popoli del Medioriente. I racconti che li
riguardano narrano di “serpenti venuti dal cielo” che colpirono ripetutamente
la loro popolazione. Si riferivano ai meteoriti? Ad ogni modo, la popolazione
di Sundaland e Sahuland scomparve. Anche nel loro caso il “Collo di
bottiglia genetico” fu totale. Come popolazione e come ricordo culturale sono
quasi scomparsi. Nel loro caso molto probabilmente le cause furono diverse.
Ci fu l’innalzamento del livello dei mari, gli tsunami e probabilmente i
terremoti. Ma secondo le stele di Göbekli Tepe, quello che di più deve averli
terrorizzati è stato qualcosa che videro scendere dal cielo.
4 - Il “fuoco dal cielo” di Sodoma

Secondo gli astrofisici, una delle comete, o uno dei suoi resti, deve aver
colpito il Medio Oriente in una zona vicino alla Siria. Questo impatto ha
lasciato una traccia addirittura in uno dei libri più famosi di sempre, la
Bibbia. Parliamo del racconto di “Sodoma e Gomorra”, narrato nei capitoli
18 e 19 del libro di Genesi. Nel brano seguente citiamo i passaggi più
significativi del racconto.
Inizio citazione - In seguito, verso mezzogiorno Yahweh apparve ad Abraham
fra i grandi alberi di Mamre, mentre era seduto all’ingresso della sua tenda.
Abraham alzò gli occhi e vide tre uomini in piedi a una certa distanza da lui.
Non appena li vide, dall’ingresso della tenda corse loro incontro e si inchinò
con il viso a terra, e disse: “Yahweh, ti prego, se ho la tua approvazione non
andartene. Fermati dal tuo servitore! Permettetemi, per favore, di farvi lavare
i piedi. Poi riposatevi sotto quell’albero. Visto che siete venuti qui dal vostro
servitore, permettetemi di portarvi un pezzo di pane per farvi ristorare, e poi
potrete rimettervi in cammino”. Allora dissero: “Va bene. Fa’ quello che hai
detto”.
[…]
I tre uomini si alzarono per andarsene e guardarono in giù, nella direzione di
Sodoma. Mentre si recavano in quella direzione, Abraham li accompagnò per
un tratto di strada. E Yahweh disse: “Non nasconderò ad Abraham quello che
sto per fare.
[…]
Dopodiché Yahweh disse: “Le accuse contro Sodoma e Gomorra sono
davvero serie, e il loro peccato è molto grave. Scenderò a vedere se agiscono
veramente secondo le accuse che sono arrivate fino a me, e, se non è così, lo
saprò”. Poi due dei tre uomini andarono via da lì, e si incamminarono verso
Sodoma; Yahweh però rimase con Abraham. Quindi Abraham gli si avvicinò
e disse: “Davvero spazzerai via i giusti insieme ai malvagi? (Poiché suo
nipote Lot viveva a Sodoma con la sua famiglia). Supponiamo che nella città
ci siano 50 giusti. Li ucciderai tutti comunque? Per proteggere i 50 giusti che
ci sono, non perdonerai quel luogo? È inconcepibile che tu agisca in questo
modo, uccidendo il giusto insieme al malvagio, così che il giusto e il
malvagio facciano la stessa fine! Tu non farai mai una cosa del genere! Il
Giudice di tutta la Terra non farà forse quello che è giusto?”. Yahweh
rispose: “Se nella città di Sodoma troverò 50 giusti, per proteggere loro
perdonerò tutto quel luogo”. Ma Abraham replicò: “Ti prego, mi permetto di
parlare a Yahweh, pur essendo semplice polvere! Supponiamo che tu ne
trovassi 45. Distruggerai tutta la città anche se ne trovassi 45?”. Dio rispose:
“Se ve ne troverò 45 non la distruggerò”.
Ma di nuovo Abraham gli disse: “Supponiamo che ce ne siano 40”. Dio
rispose: “Per proteggere i 40 non lo farò”. Ma Abraham proseguì: “Yahweh,
ti prego, non ti arrabbiare, lasciami parlare ancora! Supponiamo che ce ne
siano solo 30”. Dio rispose: “Se ne troverò 30 ti prometto che non lo farò”.
Ma Abraham proseguì: “Ti prego, mi permetto di parlare a Yahweh!
Supponiamo che ce ne siano solo 20. Cosa farai?”. Dio rispose: “Per
proteggere i 20 non la distruggerò”. Alla fine, Abraham disse: “Yahweh, ti
prego, non ti arrabbiare, lasciami parlare un’ultima volta! Supponiamo che ce
ne siano solo 10”. Dio rispose: “Per proteggere i 10 non la distruggerò”.
Quando ebbe finito di parlare con Abraham, Yahweh se ne andò, e Abraham
tornò alla sua tenda.
I due angeli arrivarono a Sodoma verso sera. Lot era seduto all’ingresso delle
mura della città. Quando li vide, andò subito loro incontro. Si inginocchiò
quindi con il viso a terra e disse: “Miei signori, vi prego, venite a casa del
vostro servitore. Passate la notte da me e fatevi lavare i piedi. Poi vi alzerete
all’alba e riprenderete il vostro viaggio”. Loro dissero: “No, passeremo la
notte nella piazza del paese”. Ma lui fu così insistente che i due
acconsentirono alla sua ospitalità. Quindi Lot preparò un banchetto in casa
sua, e cosse pani senza lievito, e i suoi due ospiti mangiarono.
Non erano ancora andati a dormire, che tutti gli uomini di Sodoma, dal più
giovane al più vecchio, accerchiarono la casa formando una folla. E
chiamavano Lot e gli dicevano: “Dove sono i due uomini che sono venuti da
te stanotte? Portaceli fuori, perché vogliamo fare sesso con loro!”.
Lot allora uscì fermandosi sulla soglia di casa sua, e si chiuse la porta alle
spalle. Disse: “Fratelli miei, vi prego, non fate questa cosa malvagia. Vi
prego, ho due figlie che non hanno mai avuto rapporti sessuali con un uomo.
Sono vergini. Vi prego, lasciate che ve le porti fuori così che possiate fare
loro quello che volete. Ma non fate nulla a questi uomini, perché sono miei
ospiti, e sono sotto la mia protezione”. Quelli dissero: “Fatti indietro!”. E
aggiunsero: “Questo straniero è venuto a vivere qui, e ora osa addirittura
giudicarci! Adesso faremo a te peggio che a loro!”. Così si accalcarono
intorno a Lot e fecero per sfondare la porta. Allora i due uomini all’interno
della casa stesero le braccia, tirarono dentro Lot e chiusero la porta.
Contemporaneamente colpirono di cecità gli uomini che erano davanti alla
casa, dal più piccolo al più grande, e questi non riuscivano più a trovare
l’ingresso della casa di Lot.
Quindi i due uomini dissero a Lot: “Hai qualche persona a cui tieni in questa
città? Fa’ uscire da questo luogo tutti quelli a cui vuoi bene! Stiamo per
distruggere tutto, perché l’accusa contro gli abitanti di questa città è diventata
davvero troppo grande davanti a Yahweh, tanto che Yahweh ci ha mandato a
distruggere!”. Allora Lot uscì e andò a parlare ai suoi generi, che dovevano
sposare le sue figlie. Disse loro: “Muovetevi! Andate via da qui, perché
Yahweh sta per distruggere la città!” Ma i suoi generi pensarono che stesse
scherzando, e non gli diedero ascolto.
Quando era quasi l’alba, gli angeli insistevano con Lot, dicendo: “Muoviti!
Prendi tua moglie e le tue due figlie che sono qui con te, se non vuoi essere
spazzato via per i peccati della città!”. Ma Lot non riusciva a decidersi,
perciò gli uomini, a motivo della compassione di Yahweh nei suoi confronti,
presero per mano lui, sua moglie e le sue due figlie, e li portarono a forza
fuori dalla città. Non appena furono fuori, uno di loro disse: “Mettiti in
salvo! Non guardare indietro e non fermarti da nessuna parte nella pianura!
Fuggi verso le montagne, se non vuoi essere ucciso anche tu!”.
[…]
Lot arrivò alla città di Zòar quando il sole era già spuntato. Allora dai cieli,
da Yahweh, su Sodoma e Gomorra piovve fuoco e zolfo. Così Yahweh
distrusse queste città e l’intera pianura, compresi tutti gli abitanti e la
vegetazione. La moglie di Lot, però, guardò indietro e diventò una colonna
di sale.
Al mattino Abraham si alzò presto e andò nel luogo in cui gli era apparso
Yahweh. Quando guardò giù verso Sodoma e Gomorra e tutta la pianura,
vide qualcosa di spettacolare! Un fumo denso saliva dalla terra al cielo,
diritto come il denso fumo di una fornace! – Fine citazione.
Un esame obiettivo
Volendo eliminare dal racconto tutti gli elementi religiosi tipici dell’ebraismo
e del “culto di Yahweh”, cosa ci dice questa storia? Il racconto ci dice che
nella zona vicino alla odierna cittadina di Al Kalil (Hebron), circa 30
chilometri a Sud di Gerusalemme, tre esseri “celesti” con sembianze umane
avvertirono un nomade sumero, chiamato Abraham, proveniente dalla città di
Ur, di ciò che sarebbe avvenuto di lì a un paio di giorni. Gli dissero che una
intera zona del Medioriente, dove sorgevano numerose città, sarebbe stata
spazzata via.
Poco tempo dopo, diverse città situate in una zona in prossimità della riva
Sud del Mar Morto vennero distrutte da qualcosa che sembrava essere “fuoco
caduto dal cielo”. La cosa più strana è il particolare che viene menzionato in
seguito. Il nomade sumero aveva il suo accampamento ad una distanza di
oltre 50 chilometri dal luogo della distruzione, su di una zona collinare. Ma
nonostante questa grande distanza, guardando in quella direzione verso la
pianura, era riuscito a scorgere “un fumo denso che saliva dritto dalla terra
come il denso fumo di una fornace” che raggiungeva il cielo.
Consideriamo questi tre aspetti. (1) La distanza dell’osservatore dall’oggetto
della sua osservazione. (2) La descrizione particolareggiata di una colonna di
fumo che saliva dritta fino al cielo (in un tempo precedente di millenni
all’esplosione della prima bomba atomica). (3) L’effetto che ci fu sulle città
della zona, completamente polverizzate.
Considerando questi tre aspetti, cosa può aver visto il nomade sumero,
indicato nelle Scritture Ebraiche con il nome di Abraham? L’unico tipo di
esplosione che l’osservatore può aver visto ad oltre 50 km di distanza, che
causava una nube di fumo che saliva dritta fino al cielo, e che aveva
disintegrato le città di una intera provincia, erano gli effetti di una esplosione
di tipo termonucleare. Ma non essendoci armi nucleari in quel tempo, l’unica
cosa che può aver generato una simile esplosione è l’impatto di un meteorite
o di una cometa nella zona.
Questa idea è tutt’altro che campata in aria, ma è totalmente sorretta dalla
scienza. Infatti, precedentemente abbiamo accennato all’articolo della rivista
“Nature” del 6 Marzo 2020 intitolato “Evidence of Cosmic Impact at Abu
Hureyra”. Questo articolo evidenzia come in Medioriente, in una zona non
troppo lontana dal Mar Morto, ci sia stato l’impatto con un oggetto celeste.
L’articolo dice chiaramente che è altamente probabile che si verificarono altri
impatti, a breve distanza di tempo. Pur non avendo ancora trovato il cratere
dell’impatto, sono state ritrovate delle microsfere di vetro/platino, che si
possono formare solo ad altissime temperature. Quindi, secondo gli studiosi,
c’è stata una esplosione che ha generato talmente tanto calore da poter
sciogliere un’automobile in meno di un minuto. L’esplosione è stata quindi di
livello nucleare.
Chi ha scritto il racconto della distruzione di Sodoma e Gomorra (nella sua
versione originale, senza gli abbellimenti religiosi) non può essersi inventato
qualcosa che l’uomo non aveva mai visto. Il racconto descrive qualcosa che
“come il fuoco” scende dal cielo, colpisce una zona grande quanto una
provincia, disintegrandola, generando una colonna di fumo che sale dritta
fino al cielo. Per non menzionare il particolare che da una zona collinare si
potesse osservare quella scena da oltre 50 chilometri di distanza. Tutto questo
ricorda da vicino un “fungo nucleare”, che può essere visibile anche a
grandissima distanza. Che l’osservatore si trovasse a grande distanza è
confermato anche dal fatto che l’onda d’urto che si genera con l’esplosione
non lo abbia spazzato via.
Non essendo riusciti a darsi nessuna spiegazione razionale di quell’evento
catastrofico, considerando le povere conoscenze scientifiche del loro tempo, i
testimoni oculari sopravvissuti ci ricamarono attorno la storia del “giudizio di
Dio” su Sodoma e Gomorra. La descrizione è così realistica che non si può
escludere che la distruzione di Sodoma e Gomorra sia il ricordo della
distruzione di qualche città o villaggio vicino ad Abu Hureyra, ovviamente
romanzato ed inserito nella Bibbia. Tra l’altro, questo spiegherebbe perché
non sono mai stati trovati i resti di quelle città. Con temperature generate
dall’impatto superiori ai 220 0   °C, di quelle città, fatte probabilmente di
mattoni di fango, non è rimasto nemmeno il ricordo.
Alcune deduzioni
Unendo l’evidenza scientifica dell’impatto delle comete in quella zona del
Medioriente con il racconto di Sodoma e Gomorra, otteniamo alcune
informazioni. (1) Sappiamo quando accadde l’episodio originale che ha dato
“il via” alla leggenda di Sodoma e Gomorra: ci troviamo intorno al 10.800
a.C. (2) L’Abraham biblico, colui che racconta la distruzione di Sodoma, è in
realtà la voce di uno dei sopravvissuti. (3) Il racconto cita chiaramente un
certo numero di città esistenti in quella zona. Oltre alla città di Sodoma, viene
citata la città di Gomorra, la città di Zoar e altre innominate “città del
Distretto”.
Questo aspetto rende evidente che, se esistevano delle città
(indipendentemente dalla loro grandezza), allora una certa forma di
civilizzazione in quella zona esisteva già 12.800 anni fa. A conferma di
questo, negli ultimi anni sono stati ritrovati il villaggio di Jerf el-Ahmar, e il
sito megalitico di Göbekli Tepe, entrambi situati vicino alla Siria, e entrambi
databili a circa 12.000 anni fa. (Li esamineremo in seguito dettagliatamente).
Il racconto non si sbaglia quando dice che in quella zona c’erano diversi
villaggi o cittadine abitate.
Il racconto rende evidente come molte città vennero completamente spazzate
via dagli impatti dello sciame meteorico, venendo letteralmente
“disintegrate” dal “fuoco che cadde dal cielo”. Se non fosse per le pagine
della Bibbia, non avremmo saputo nemmeno della loro esistenza. Anche nel
loro caso, il “collo di bottiglia genetico” fu pressoché totale. Secondo il
racconto ci furono solo 3 sopravvissuti. Questo spiega perché, circa 10.000
anni dopo quegli eventi, la gente del posto non si era ancora evoluta, almeno
dal punto di vista tecnologico. L’intera zona dovette ripartire quasi “da zero”.
Visitatori?
C’è un altro aspetto che non dovremmo sottovalutare. Il racconto parla di un
“tentativo” di salvataggio da parte di esseri celesti nei confronti degli umani
che si trovavano nella zona che stava per essere colpita. Secondo il racconto,
esseri celesti definiti “angeli” avvertirono alcuni abitanti di lasciare
immediatamente quella zona, perché entro poche ore sarebbe stata distrutta
dal “fuoco dal cielo”. Ma a molti queste parole sembravano essere “uno
scherzo”. (Vedi Genesi 19:14).
La cosa interessante è che, benché il racconto si riferisca a queste tre persone
come “Yahweh”, il nome del dio ebraico, in realtà vengono descritti tre esseri
in tutto e per tutto simili agli umani. Dal racconto sembra che uno fosse una
specie di “coordinatore”, mentre altri due erano gli esecutori materiali. Questi
mangiavano, bevevano, camminavano, esattamente come qualsiasi essere
umano. Anche la loro missione aveva poco di “trascendentale”. Invitavano
semplicemente la gente ad andare via dalla città, come se sapessero quello
che stava per accadere. Più che delle vere divinità hanno l’aspetto di esseri
“informati” degli eventi. Ovviamente non si può speculare troppo, perché non
sappiamo quanti e quali dettagli siano “antichi”, e quali siano invece stati
aggiunti dai sacerdoti ebrei per rendere la storia “soprannaturale”.
Il “salvataggio” risultò essere un mezzo fallimento. Tranne tre esseri umani,
tutti gli altri morirono. Ovviamente questa parte del racconto può essere solo
una leggenda, o la versione distorta degli avvenimenti. Comunque, il libro di
Genesi non è l’unico che narra della presenza di esseri “celesti” in relazione
al bombardamento delle comete. Anche altri documenti, molto più antichi
della Bibbia ed estremamente “laici”, narrano il loro coinvolgimento. Ad
esempio, in alcune stele di Göbekli Tepe questo è un tema piuttosto comune.
Ma ne riparleremo quando affronteremo questo soggetto.
5 - Un mistero sepolto

Abbiamo visto finora come le tracce del bombardamento delle comete


avvenuto 12.800 anni fa siano visibili nelle vicissitudini delle popolazioni del
Nord America, del Medio Oriente e dell’Oceania, vale a dire Sundaland e
Sahuland. Ma negli ultimi anni è stata ritrovata un’antica civiltà che
probabilmente è stata la sola a incidere sulla roccia una descrizione pittorica
degli avvenimenti che portarono allo Younger Dryas, compreso il
bombardamento delle comete. Inoltre, nelle loro incisioni sembra ci siano
antichi ricordi del contatto con viaggiatori proveniente da Sundaland e
Sahuland. Da ultimo, secondo molti archeologi di fama mondiale, nelle loro
stele c’è la descrizione di esseri che “venivano dal di fuori”. (Che si tratti di
esseri reali o immaginari è un altro discorso). Di chi stiamo parlando?
Per moltissimo tempo abbiamo pensato che gli homo Sapiens fossero rimasti
per la stragrande maggioranza della loro storia (circa 193.000 anni sui
200.000 anni totali) al livello di semplici cacciatori-raccoglitori, che vivevano
in capanne o alloggi di fortuna. Si pensava che ad un certo punto, questi
nomadi scoprirono gradualmente le tecniche per implementare nel tempo
l’agricoltura e la pastorizia. Smisero quindi di essere nomadi e divennero
stanziali. Si formarono i primi villaggi, finché verso il 5.000 a.C. in
Mesopotamia fiorirono le prime città presso i Sumeri. Si pensava che la
popolazione dei Sumeri, oltre a creare le prime città, inventasse la ruota, la
scrittura, e il computo del tempo così come lo conosciamo oggi. Inoltre, si
pensava che la vita sedentaria e in comunità avesse creato il più esclusivo dei
prodotti umani: la religione.
Si credeva, inoltre, che col tempo le conquiste culturali dei Sumeri si fossero
diffuse, assumendo varie forme, in tutto il bacino del Mediterraneo e nel
Medioriente. Sembrava che gli archeologi fossero riusciti ad elaborare un
modello storico in cui ogni tassello aveva trovato il suo giusto posto. Anche
per questo motivo, la teoria dello Younger Dryas veniva respinta con
decisione da molti storici e archeologi, perché obbligava a riscrivere molti
libri di storia.
Poi, pochi anni fa, i ricercatori scoprirono Göbekli Tepe, e nulla fu più come
prima. La scoperta di Göbekli Tepe ha obbligato anche il più riottoso degli
storici a doversi ricredere sulla nostra preistoria. In un articolo del Mail
Online del 5 marzo 2009, citato anche da Wikipedia, Ian Hodder, un
ricercatore del programma archeologico della Stanford University, ha detto:
“Molte persone pensano che [la scoperta di Göbekli Tepe] possa cambiare
tutto. Cambia completamente le carte in tavola. Tutte le nostre teorie erano
sbagliate”. Cosa ha fatto dire a un famosissimo archeologo di una prestigiosa
università, e a molti suoi colleghi, che la scienza deve ammettere che le
proprie teorie archeologiche sul passato dell’uomo sono in gran parte
sbagliate, e tutto va rivisto?
Fino a prima della scoperta di Göbekli Tepe (un termine turco che vuol dire
“la collina panciuta”) si pensava che le civiltà più antiche dell’uomo fossero
la civiltà Sumera (e in generale quella mesopotamica), la civiltà Minoica
(distrutta dall’esplosione del vulcano Santorini) e la civiltà Olmeca in
America del Sud. Inoltre, si pensava che fosse stata l’invenzione graduale
dell’agricoltura ad aver spinto gli esseri umani “primitivi”, fondamentalmente
dei cacciatori-raccoglitori, a unirsi in comunità, e col tempo a dare inizio alla
civiltà e alla religione. La scoperta di Göbekli Tepe, invece, sembra mandare
in frantumi tutte queste certezze.
Tra gli aspetti che hanno fatto maggiormente scalpore nella scoperta di
Göbekli Tepe troviamo di sicuro la sua datazione. Secondo le analisi al
radiocarbonio, gli edifici più antichi attualmente ritrovati vengono datati
come minimo tra il 9.500 e il 10.500 a.C., ossia un periodo compreso tra gli
11.500 e i 12.500 anni fa. Questo vuol dire che sono circa 6.500 anni più
antichi di Stonehenge, e 7.000 anni più antichi della data ipotetica della
costruzione della Grande Piramide di Giza. I resti di Göbekli Tepe sono oltre
5.000 anni più antichi della più antica civiltà scoperta fino a quel momento, la
civiltà Sumera.
Come se non bastasse, secondo le idee del defunto professor Klaus Smith, gli
edifici del luogo che non sono ancora stati dissotterrati, sia appartenenti a
Göbekli Tepe che ad altri insediamenti che si trovano nella stessa zona,
potrebbero essere più antichi anche di diverse migliaia di anni. Ovviamente
vanno prima dissotterrati. L’antichità della cultura che ha generato Göbekli
Tepe sta facendo letteralmente girare la testa agli archeologi. Secondo quello
che pensava l’archeologia “ufficiale”, Göbekli Tepe non sarebbe dovuta
esistere.
Parliamo quindi di una cultura che, con ogni probabilità, è stata
contemporanea sia di parte dell’ultima Era Glaciale, sia dell’Ultimo Disgelo
avvenuto verso il 12.500 a.C. E quasi certamente è stata una delle poche
culture (o civiltà) di cui siamo venuti a conoscenza, che può aver
sperimentato in prima persona gli effetti della pioggia di frammenti
provenienti dalle comete che hanno impattato sulla Terra circa 12.800 anni
fa. Si tratta quindi di una civiltà che ha sperimentato direttamente su di sé lo
Younger Dryas. Capiamo quindi perché lo studio di questo e degli altri siti
della stessa zona può cambiare la consapevolezza della nostra preistoria.
Fino alla scoperta di Göbekli Tepe si riteneva che, visto il clima rigido
dell’era glaciale, gli umani riuscissero a malapena a sopravvivere, e quindi
non avessero il tempo materiale, la conoscenza e le risorse per costruire case
in pietra. Si credeva, inoltre, che non avessero ancora avuto il tempo di
crearsi le proprie divinità o i loro templi. Ma dove gli archeologi pensavano
di trovare solo delle semplici capanne isolate, stavolta hanno trovato un
numero notevole di strutture megalitiche interamente in pietra, fatti così bene
da restare in piedi dopo almeno 12.000 anni. Per questo l’archeologia si
divide ormai in “prima” e “dopo” la scoperta di Göbekli Tepe.
L’insediamento
Ma andiamo con ordine. Innanzitutto, cosa è Göbekli Tepe? Dal 1995 per gli
studiosi di archeologia questo è il nome di un sito di scavi, rinvenuto per puro
caso da un pastore locale, Savak Yildiz, quando si accorse che dal terreno
spuntavano alcune strane rocce lavorate. Dopo aver contattato i responsabili
di un museo nelle vicinanze, in quella zona si sono effettuati degli scavi
diretti per molti anni dal celebre archeologo tedesco Klaus Smith, fino alla
sua morte avvenuta nel 2014. Il sito è stato aperto al pubblico solo nel 2019.
Göbekli Tepe si trova solo a pochi chilometri di distanza dalla città di
Şanlıurfa, in Turchia. (Per inciso, secondo antiche leggende curde, Şanlıurfa
sarebbe la città di “Ur” di cui si parla nel libro di Genesi, da cui sarebbe
provenuto Abraham).
Cosa ci aspetteremmo di trovare in un sito la cui antichità lo pone alla fine
dell’era del Paleolitico e all’inizio dell’era Mesolitica, vale a dire nell’età
della pietra? In base alle credenze di un tempo, gli archeologi si sarebbero
aspettati di trovare soltanto qualche punta di freccia in pietra, qualche lancia,
un paio di utensili e nulla di più. Si pensava che in quel periodo gli uomini
vivessero ancora in maniera molto primitiva, come nomadi dediti alla caccia
e a raccogliere quello che trovavano in natura, e che abitassero
fondamentalmente in capanne o ripari naturali.
Pensate allo stupore, alla totale incredulità degli archeologi, quando
riportarono alla luce diverse grosse strutture circolari, che ricordavano
vagamente quelle di Stonehenge. Ciascuna struttura circolare, larga dai 10 ai
30 metri circa, è formata da due grandi monoliti centrali a forma di T,
composti da roccia calcarea. Questi monoliti possono raggiungere i 6 metri di
altezza. I moliti più grandi hanno un peso di circa 10 – 15 tonnellate, mentre
altri sono più leggeri. Sono stati scavati dalla roccia calcarea, e quindi non
sono semplici “pezzi di pietra rettangolari” trovati per caso e messi in piedi.
Sono blocchi tagliati dalla roccia e modellati, come i moderni marmisti
ricavano dei blocchi dalle cave di marmo.
In ciascuna struttura circolare, o recinto, intorno ai due monoliti centrali,
come a formare un cerchio chiuso attorno ad essi, erano stati eretti altri
pilastri simili, anch’essi a forma di T, sempre in pietra calcarea, ma più
piccoli, di circa 3 metri di altezza. Su questi blocchi sono stati scolpiti con
grande abilità diversi animali. Le poche figure umane incise sono
principalmente senza testa, o senza volto. Sembra che in tutto il sito compaia
solo un’unica incisione di una donna. Tutte le altre figure umane sono
maschili.
Un muro circolare in pietra alto circa 2 metri riempiva lo spazio tra i vari
pilastri esterni, disposti in cerchio attorno ai due monoliti. La porta di questo
muro, quadrata, è stata ricavata da un blocco unico in pietra. Ogni struttura
circolare è quindi formata da due monoliti centrali, molti pilastri circolari più
bassi di quelli centrali, anch’essi a forma di “T”, con un muro di cinta e una
entrata. La presenza di una porta e la forma dei pilastri, con la sommità più
larga della base, secondo alcuni lascia supporre che gli edifici circolari erano
coperti da una sorta di tetto, che poggiava sia sui due monoliti centrali che sui
pilastri disposti in cerchio. Probabilmente la copertura era in legno, formata
da diversi fasci che dalla circonferenza convergevano verso il centro, circa 3
metri più in alto. Il tutto formava una specie di “iurta”, la tipica tenda dei
tartari, ma in pietra e legno. Va detto comunque che finora non è stato
ritrovato nessun resto di alcun tipo di copertura.
C’è inoltre un dettaglio degno di nota. I pilastri oggi sono uniti da una specie
di muretto circolare a secco. Comunque, almeno alcuni pilastri, come la
famosa “Stele dell’Avvoltoio”, contengono disegni che risultano in parte
coperti dal muro a secco. Questo può voler dire solo tre cose. La prima è che
i pilastri vennero prima corredati di immagini e poi sistemati all’interno del
muro (ma non si capisce che senso ha scolpire delle immagini che poi
verranno nascoste dal muretto). Oppure, vuol dire che quando i pilastri
vennero eretti, il muretto a secco non era contemplato nel progetto originale.
Si tratterebbe quindi di una aggiunta successiva, e per questo motivo
coprirebbe parzialmente alcune sculture. La terza ipotesi, invece, è che i
pilastri di Göbekli Tepe non appartenessero alla struttura che vediamo oggi,
ma che siano stati trasportati qui da qualche altro posto. Queste stele, quindi,
vennero usate come “materiale da costruzione” o “decorativo” dagli
edificatori del sito, ma il loro uso originale era diverso. Questa terza ipotesi
renderebbe i pilastri ancora più antichi.
Il sito di Göbekli Tepe ha una estensione di circa 300 metri per 300 metri. Il
complesso ha una parte più antica (formata da tre strutture circolari), situata
al centro dell’insediamento, e una parte più recente (formata da strutture
rettangolari) che la circonda. Le due zone sono separate tra loro da un arco di
tempo di circa 2.000 anni. Le strutture costruite nella zona centrale, quelle
più antiche a forma circolare, sono simili tra loro, ma non identiche. Alcune
ricordano da vicino le strutture megalitiche di Stonehenge. Altre hanno una
forma ellittica. Sono state riportate alla luce solo alcune di queste strutture
circolari. Altre si trovano sepolte ancora completamente sottoterra.
La zona più esterna è formata da strutture rettangolari ampie circa 20 metri, e
sembra siano state utilizzate a scopo comunitario. Altre sono invece più
piccole, e sembrano essere dei monolocali, ma non si sa per cosa fossero
adibiti. In generale gli archeologi tendono a scartare l’idea che si tratti di
abitazioni. Deducono questo dal fatto che Göbekli Tepe era situata
originariamente in cima a una collina. Questo non era il luogo ideale per
costruire un accampamento, alla vista di tutti. Inoltre, sembra che mancasse
una fonte d’acqua adeguata a sostenere un numero di persone compatibile
con un villaggio. Comunque, sono state ritrovate anche delle piscine per la
raccolta di acqua piovana, e delle zone adibite alla lavorazione della selce.
Lo zoo di pietra
Come abbiamo detto precedentemente, attualmente sono state riportate alla
luce solo quattro strutture circolari, che vengono chiamate “recinti”. Per
comodità sono stati numerati con le lettere dell’alfabeto, a partire dal primo
che è stato dissotterrato in poi. Il recinto più antico è senza dubbio il recinto
“D”. Le datazioni con il radiocarbonio indicano che verso il 10.020 a.C. era
già utilizzato. Quindi ha oltre 12.000 anni. Gli altri recinti sono di un paio di
secoli più giovani, arrivando fino al 9.350 a.C. Ma gli studi sono ancora in
corso.
Göbekli Tepe è stato chiamato lo “zoo di pietra” a causa delle numerosissime
rappresentazioni di animali, in contrasto con la quasi assenza di
rappresentazioni umane. Un elenco parziale degli animali incisi nei recinti A,
B, C e D, ci dice che al loro interno sono state realizzate le seguenti
sculture/incisioni:
Serpenti: 23 gruppi, per un totale di oltre 200 serpenti. Con poche
eccezioni, tutti i serpenti sono stati incisi mentre si muovono dall’alto
verso il basso.
Volpi: 12
Cinghiali: 7
Gru: 5
Uro (toro selvatico estinto): 3
Pecora selvatica: 2
Asino selvatico asiatico: 1
Gazzella: 1
Leopardo/leone: 1
Orso bruno: 1 (incerto)
Altri quadrupedi non identificati: 1
In realtà, come si può notare leggendo queste cifre, Göbekli Tepe potrebbe
chiamarsi il “sito del serpente”, perché le raffigurazioni di serpenti dominano
la scena. Il numero dei serpenti raffigurati supera di molte volte il numero di
tutti gli altri animali messi insieme. Quasi tutti i serpenti si muovono dall’alto
verso il basso, come se “cadessero dal cielo”. Un movimento certo inusuale
per un serpente, che sa muoversi solo in senso orizzontale. Inoltre, nel recinto
C, successivo al primo recinto in ordine di realizzazione secondo i
rilevamenti del radiocarbonio, ossia il recinto “D”, i serpenti non compaiono.
Questo fa pensare che la figura del serpente non indichi le vipere presenti
nella zona, altrimenti sarebbero state raffigurate in tutti i recinti, e non solo in
alcuni. Sembrerebbe quindi che i serpenti raffigurano qualcosa che, a volte
c’è stato, e a volte non c’è stato. Quindi se capiremmo cosa rappresentasse la
figura del serpente per gli abitanti di Göbekli Tepe, capiremmo gran parte del
perché questa struttura è stata realizzata. Ma di questo ne parleremo in
seguito.
Il recinto A, il primo ad aver visto nuovamente la luce, è chiamato anche il
“recinto del serpente”. Infatti, nei pilastri di questo recinto il tema del
serpente è particolarmente ricorrente. Il recinto B è il “recinto della volpe”,
perché in un suo pilastro è chiaramente riconoscibile l’incisione di una volpe.
Il recinto C è chiamato “il cerchio del cinghiale”, perché insieme ad altri
animali sono incisi dei cinghiali. In questo recinto è stata rinvenuta la scultura
di un felino predatore di notevole fattura, tale da poter reggere il paragone
con una scultura moderna. Il recinto D è composto da 2 pilastri principali e
12 pilastri incastonati nelle pareti. È chiamato “lo zoo dell’Età della Pietra”,
ed è quello che ha attirato l’attenzione della maggior parte degli studiosi. In
questo recinto si trovano sia la famosa “Stele dell’Avvoltoio” sia la “Stele
delle Gru”.
Inizialmente si pensava che il sito di Göbekli Tepe fosse un caso isolato, un
“unicum” nella storia. Invece, tramite indagini successive usando le più
moderne tecnologie, come i geo-radar e le osservazioni satellitari, ci si è resi
conto che tutto attorno al sito di Göbekli Tepe dovrebbero trovarsi ancora
sottoterra almeno una ventina di siti del tutto simili. Infatti, sono appena
iniziati gli scavi in una zona vicina, a Karhan Tepe, e sembra che quello che i
ricercatori stanno ritrovando sia molto simile a quanto trovato a Göbekli
Tepe. Ormai sono in molti a ritenere che, se si ampliasse il raggio di ricerca,
si troverebbero ancora molti altri insediamenti simili. L’idea che Göbekli
Tepe sia un caso isolato, una “eccezione alla regola”, è andata in frantumi.
Oramai si può parlare come minimo della “cultura di Göbekli Tepe”, se non
addirittura della “civiltà di Göbekli Tepe”. Ma soltanto a scavi ultimati, tra
molti anni, sapremo davvero cosa c’è lì sotto.
A che scopo?
Inizialmente si pensava che Göbekli Tepe fosse una struttura funeraria. Gli
archeologi erano convinti che con il proseguimento degli scavi, col tempo
sarebbero spuntate le tombe degli abitanti del luogo che erano stati sepolti.
Con grande stupore da parte degli stessi ricercatori, non si sono trovati resti
umani in nessuno dei recinti. Questo è particolarmente strano, perché fino ai
nostri giorni le strutture “sacre” sono indissolubilmente legate alla sepoltura.
Comunque, dopo anni di scavi, i ricercatori si sono dovuti arrendere
all’evidenza: Göbekli Tepe non è una necropoli o un cimitero. L’idea iniziale
è stata quindi scartata. Cos’altro poteva essere?
Sembra che, in ogni caso, si tratti di una struttura “comunitaria”, qualcosa che
richiamava su quella collina molta gente. Infatti, un’altra sorprendente
scoperta fatta a Göbekli Tepe riguarda la gran quantità di resti biologici
ritrovati. Questi resti provano che in quel posto si era consumata una gran
quantità di carne. Vista la grande quantità di resti animali usati come cibo che
sono stati ritrovati, si pensa che in quel sito siano stati preparati dei grandi
banchetti a base di carne animale.
Ma gli archeologi, con grande stupore, hanno scoperto che tutti i resti animali
ritrovati nel sito sono composti da selvaggina, e non da animali da
allevamento. Anche i pochi resti di frumento ritrovati sono tutti di origine
selvatica, e non coltivata. Questo vorrebbe dire che, sostanzialmente, anche
dopo la costruzione di Göbekli Tepe, i costruttori che lo realizzarono erano
rimasti dei cacciatori-raccoglitori, e non divennero degli agricoltori-
allevatori, cosa che fecero in seguito gli abitanti delle prime città conosciute.
Questa evidenza manda in frantumi un’altra certezza degli antropologi. In
precedenza, si pensava che la costruzione delle città fosse solo il “risultato
logico” dell’agricoltura e dell’allevamento, che permetteva a molti umani di
avere le risorse alimentari per vivere insieme in spazi relativamente ristretti.
Ma la scoperta di Göbekli Tepe indica chiaramente che il motivo per cui gli
umani scelsero di costruire dei villaggi, o delle piccole città, erano altri. Loro
costruirono un luogo che sembra essere il primo “nucleo” di una piccola città,
pur continuando ad essere dei cacciatori-raccoglitori.
Göbekli Tepe dimostra che il fatto che gli umani fossero dei cacciatori-
raccoglitori, non impediva loro di avere le conoscenze di ingegneria,
logistica, organizzazione del personale e della forza lavoro, lavorazione
artistica della pietra, e tutto quello che era servito per costruire quel sito.
Göbekli Tepe è un sito che, per le difficoltà di costruzione paragonate al
tempo in cui venne eretto, non ha nulla da invidiare alle Piramidi. Quindi chi
ha costruito quelle mura deve aver avuto una struttura organizzativa simile:
c’era qualcuno che progettava, qualcuno che comandava, e altri che
eseguivano. Ma una struttura simile implica una società che sarebbe esistita
almeno 6.000 anni prima di quella Sumera. (In precedenza, si pensava che la
civiltà Sumera fosse l’inizio delle prime società umane). Per molti questa
evidenza è assolutamente inaccettabile. Inoltre, il concetto di “società” mal si
concilia con l’idea che si aveva dei cacciatori-raccoglitori, ossia che fossero
“liberi e indipendenti”, svincolati da qualsiasi tipo di legame con altre
comunità. Göbekli Tepe dimostra che le strutture sociali sono molto più
antiche di quanto si ritenesse un tempo.
Volendo tirare le somme, gli archeologi non sanno il motivo per cui è stato
costruito Göbekli Tepe. Essendo situato in cima ad una collina, molto
probabilmente non era un insediamento stabile. Non era un cimitero, visto
che non sono stati ritrovati resti umani. Era un centro religioso? Non esiste
nessun motivo per crederlo, ma nulla che obblighi a scartare questa opzione.
Quello che si comprende, almeno fino ad ora, è che su quella collina si
radunava molta gente, che portava molta selvaggina, e si banchettava
assieme. Il resto, per ora, è mistero.
Quanti ne erano?
Dopo aver dissotterrato alcuni “recinti”, nella mente degli archeologi è
balenata un’idea che ha mandato in pezzi altri punti fermi che avevano
imparato nelle Università. Ossia, se questi cacciatori-raccoglitori erano in
grado di costruire in un periodo compreso tra i 12.500 e gli 11.500 anni fa
degli insediamenti come Göbekli Tepe, per quale ragione gli altri “uomini
dell’età della pietra” sparsi in altre zone della Terra non sarebbero stati in
grado di fare altrettanto? Questo “postulato”, ormai, non ha più alcun senso, e
deve essere messo da parte.
Visto che la tecnologia umana, da quanto è stato scoperto, non sembra essere
variata molto nel periodo compreso tra 75.000 e 6.000 anni fa, teoricamente
chi ha costruito Göbekli Tepe nel 10.500 a.C. potrebbe averlo costruito più o
meno simile anche nel lontano passato, anche 75.000 anni fa. (A parziale
conferma di questo, in Siria, nella zona di Tell Qaramel, è stato rinvenuto un
insediamento simile a Göbekli Tepe, ma meno elaborato. La sua parte più
antica è datata verso il 15.000 a.C. Inoltre, a Wadi Faynan è stata trovata
addirittura una struttura simile a un piccolo anfiteatro creato artificialmente, o
un insieme di costruzioni disposte in semicerchio, risalente come minimo a
11.500 anni fa).
Una fine misteriosa
Un altro aspetto ancora inspiegato del sito è la sua trasformazione nel corso
del tempo. Col passare dei secoli le prime strutture circolari in pietra furono
seppellite. Successivamente altre vennero erette sopra di esse. Ma per qualche
motivo, ciascun cerchio successivo era più piccolo di quello che era stato
interrato, e non più grande, come ci si aspetterebbe da una civiltà che si
evolve. Stranamente, le capacità dei costruttori sembrano diminuire nel corso
del tempo, e non migliorare, come accade per esempio nei nostri giorni. La
società di Göbekli Tepe sembra deteriorassi ad ogni “ciclo” di
sepoltura/riedificazione. Nessuno sa spiegarsi il perché di questo strano
fenomeno.
Dopo diversi cicli di sepoltura/riedificazione i resti sono rimasti
permanentemente sottoterra, come se avessero esaurito la loro funzione. Ma
quale era esattamente questa funzione? Per ora nessuno lo sa con certezza, e
si fanno solo congetture. Nessuno degli edifici è stato bruciato o fatto a pezzi,
come se si sia voluto distruggerlo, o come se fossero stati attaccati da un
popolo nemico. Il sito è stato semplicemente riempito di terra, come per
seppellirlo pacificamente. Alcuni studiosi affermano che, quando gli abitanti
della zona dovettero migrare, fecero una sorta di “sepoltura” a edifici che
consideravano sacri. Anche se questo può senz’altro essere vero, non
spiegherebbe perché sugli edifici sepolti sono stati costruiti altri, del tutto
simili, ma più piccoli.

Altre strutture, invece, sembra che abbiano subito un evento climatico che le
ha in qualche modo sotterrate. Il periodo coincide abbastanza bene con quello
dell’Ultimo Disgelo, avvenuto tra 14.500 e 9.000 anni fa. Non è quindi
escluso che, almeno i cerchi più antichi, siano stati soggetti ad uno
smottamento della collina originale, forse a causa delle forti piogge dovute al
disgelo. La stessa sorte sembra essere accaduta agli altri “insediamenti
gemelli” vicini a Göbekli Tepe. Ma per ora non ci sono certezze.
Alcune conclusioni
Quello che resta di Göbekli Tepe è sufficiente per cambiare molte delle
nostre convinzioni. Quello che solo pochi anni fa sembrava “fanta-
archeologia”, ora è una realtà come minimo plausibile, se non addirittura
probabile. È ormai provato che almeno alcuni gruppi di uomini che noi
consideravamo “dell’età della pietra” non erano degli stupidi cavernicoli
capaci soltanto di cacciare, ma erano molto più simili di quanto potevamo
immaginare all’uomo moderno. Erano in grado di ricavare dalla roccia
pilastri levigati dal peso di diverse tonnellate. Erano capaci di trasportarli e di
erigerli sia come elementi architettonici che a scopo ornamentale. Avevano
evidentemente buone capacità ingegneristiche, considerando il tempo in cui
vivevano.
Inoltre, sicuramente non vivevano in piccoli gruppetti totalmente
indipendenti, come si pensava negli anni passati. Per realizzare una struttura
come Göbekli Tepe e i vari siti vicini serve il lavoro congiunto di almeno 500
uomini robusti, a cui si aggiungono mogli, figli, anziani, gente che raccoglie
e prepara il cibo per tutti, e tutto questo per diverso tempo. Parliamo quindi
della collaborazione di alcune migliaia di persone. Gli homo Sapiens che
costruirono Göbekli Tepe e le altre strutture simili nelle vicinanze, vivevano
in gruppi numerosi comunicanti tra loro. Questo presuppone che avessero una
struttura sociale complessa. Inoltre, non vivevano necessariamente in
capanne, ma erano perfettamente in grado di costruire solide abitazioni in
pietra.
Avevano una capacità artistica estremamente sviluppata, ed iniziavano ad
usare simboli che si sarebbero poi potuti evolvere in una sorta di scrittura
geroglifica. Tecnicamente, quindi, erano sul punto di fondare una civiltà.
(Ammesso che le rovine di Göbekli Tepe non siano i resti di un tentativo di
ricostruzione di una civiltà precedente, distrutta dallo Younger Dryas. Ma
attualmente non esistono prove per affermarlo). Finché tutti i siti attorno a
Göbekli Tepe non verranno localizzati, trovati e dissotterrati, non ci potrà
essere una risposta definitiva alla domanda: quanto era antica questa cultura?
A questo punto potrebbero esistere dei siti simili ma molto più antichi di
quello di Göbekli Tepe, e nessuno si sorprenderebbe più di tanto se venissero
scoperti. Infatti, la statuetta dell’uomo-leone ritrovata in Germania, nella
caverna di Hohlenstein-Stadel, è per molti versi sorprendentemente simile
allo stile e alle capacità artistiche espresse dai costruttori di Göbekli Tepe.
Ricordiamo che quella statuetta ha quasi 40.000 anni.
Per l’archeologia ufficiale, quindi, la scoperta di Göbekli Tepe e lo studio dei
suoi resti è stato come aver scoperto che un fantasma esiste realmente. Le
strutture di Göbekli Tepe non sarebbero dovute esistere. Ovviamente gli
attrezzi fatti di selce a disposizione degli umani di quel tempo potevano
intagliare la tenera roccia calcarea dei blocchi di Göbekli Tepe. Dal punto di
vista fisico ciò è perfettamente possibile. Ma è anche vero che, dal punto di
vista fisico, un temperino in acciaio può intagliare un intero albero, e farne
una statua. Ma quanti di noi si accingerebbero a intagliare un intero albero
usando solo un temperino? Ebbene, usando semplici piccoli arnesi di selce
per ricavare i loro pilastri, gli artisti di Göbekli Tepe sembra che fecero
esattamente questo, e lo ripeterono per centinaia di volte (o forse migliaia),
ogni volta che intagliarono uno dei blocchi che compongono le loro
costruzioni.
Non si compie un lavoro così impari senza avere mezzi adeguati, o un motivo
imprescindibile. Noi oggi non conosciamo né i mezzi reali posseduti da quei
costruttori, né il motivo per cui venne fatto questo sforzo davvero immane,
che in proporzione rivaleggia senza problemi con quello che ci volle per
costruire le piramidi. Gli archeologi più seri hanno iniziato ad ammettere che,
evidentemente, ci siamo sbagliati, e di molto, sul definire quando ha avuto
inizio la moderna civiltà umana.
6 – Misteriose presenze

Prima di addentrarci nella conoscenza di alcuni racconti lasciati sulla pietra


dagli abitanti di Göbekli Tepe, è utile isolare e spiegare alcuni elementi che
troveremo nel corso di questa indagine. Spesso, in molti documentari, gli
umani vissuti circa 50.000 anni fa ci vengono presentati sostanzialmente
come uomini delle caverne, incapaci di scrivere, incapaci di costruire attrezzi
complessi, poco più di scimmie senza pelo. Ma è davvero così?
L’homo di Neanderthal, che secondo le ultime scoperte è stata una variazione
dell’homo Sapiens, è vissuto tra i 200.000 e i 40.000 anni fa circa (alcuni si
spingono a dire fino a 20.000 anni fa). Questa specie umana così antica, che
livello di progresso aveva raggiunto? Nel volume 3 della serie “Cassandra”
abbiamo scritto: “Come l’homo Sapiens, anche i Neanderthal avevano
sviluppato la musica, visto che erano in grado di creare dei flauti usando
alcune ossa lunghe su cui applicavano dei fori. Di questi ´flauti dei
Neanderthal´ è stato ritrovato un esemplare, che viene chiamato il ´flauto di
Divje Babe´, dal nome del sito archeologico in cui è stato ritrovato. È
costituito dal femore di un orso delle caverne, su cui sono stati applicati
alcuni fori praticati in maniera estremamente precisa. Questo osso ha circa
55.000 anni, e lo strumento realizzato da esso dovrebbe avere circa la stessa
età (non tutti sono d’accordo che si tratti di un flauto, ma attualmente questa è
la sua designazione ufficiale: flauto neandertaliano).
Non bisogna sottovalutare il ritrovamento di questo flauto, né considerarlo un
reperto archeologico ´come tanti´. Per creare uno strumento a fiato
complesso, come un flauto provvisto di fori, vuol dire che chi lo ha realizzato
doveva avere qualche tipo di nozione musicale, e come minimo aveva il
concetto delle note musicali. Infatti, solo se si possiede il concetto delle note
musicali si può creare uno strumento che, tramite dei fori, può riprodurle. E
se ci sono delle note musicali, è certo che esisteva un qualche tipo di musica
da riprodurre, dopo averla canticchiata per qualche tempo.
Ma questo non basta. Gli strumenti musicali a fiato più antichi, di solito,
emettono un solo suono. Un esempio classico è lo Didgeridoo degli aborigeni
australiani, una specie di grossa canna cava sprovvista di fori, capace di
emettere un solo tipo di suono. Il secondo passo, di solito, è la costruzione del
´Flauto di pan´. Si tratta di un insieme di canne sprovviste di fori, ognuna
capace di emettere un solo suono, ciascuna tagliata in maniera diversa, in
modo che ogni canna produca un suono di una altezza diversa. Affiancate
l’una all’altra, le varie canne del ´Flauto di pan´ permettono di suonare varie
note.
La costruzione di un flauto con i fori, in cui con un’unica canna si possono
modulare vari suoni chiudendo in maniera alternata i fori, rappresenta una
evoluzione musicale enorme rispetto al Didgeridoo e al ´Flauto di pan´. Si
tratta a tutti gli effetti di uno strumento moderno, che richiede alle sue spalle
un notevole sviluppo musicale per un notevole periodo di tempo. Senza avere
una certa conoscenza musicale alle spalle, uno strumento del genere non si
potrebbe nemmeno concepire. Da ultimo, ricavare un flauto da un osso non è
uno scherzo per nessuno, nemmeno per un moderno liutaio. Che umani di
55.000 anni fa avessero la conoscenza musicale e la capacità tecnica per
realizzare un flauto con i fori ricavato da un osso, è quasi come vedere un
aereo volare mentre c’erano i dinosauri.
Ma non è finita qui. Come tutti gli storici della musica sanno, in ogni cultura i
primi strumenti a comparire sono sempre le percussioni, visto che sono i più
intuitivi e i più facili da realizzare. Se i Neanderthal erano arrivati a creare
flauti con i fori, allora quei flauti erano accompagnati da diversi altri
strumenti musicali, a partire dalle percussioni. Di “uomo della pietra”, in
questo caso, non ci sarebbe assolutamente nulla. La musica nel genere umano
è sempre stata legata indissolubilmente a qualche tipo di cultura.
Che i Neanderthal, piuttosto che essere degli “uomini della pietra” fossero dei
veri artisti lo dimostrano i loro dipinti murali. In Spagna hanno ritrovato dei
dipinti rupestri appartenenti ai Neanderthal, risalenti ad almeno 64.000 anni
fa, ossia 20.000 anni prima dei più antichi dipinti attribuiti all'homo Sapiens.
Gruppi di animali, punti, figure geometriche e impronte delle mani, dipinti in
ocra e nero, compongono dei quadri di rara bellezza. I Neanderthal, quindi,
sapevano esprimersi usando la pittura con grande maestria.
L’homo di Neanderthal era anche uno scultore. Erano infatti in grado di
scolpire statuette, come la “Venere di Willendorf”, scolpita in pietra calcarea
oolitica e dipinta in ocra rossa, risalente al 23.000 a.C. I Neanderthal avevano
anche un gusto estetico raffinato: usavano fabbricare indumenti decorativi
usando piume di uccelli particolarmente belle. Erano in grado di creare
coltelli di selce affilati e senza manico per tagliare la carne. Avevano
realizzato dei “denticolati”, i precursori delle moderne seghe “a dente”. Erano
in grado di costruire asce di selce. Recenti scoperte dell’uso di “ocra rossa”
da parte dei Neanderthal sembrerebbe indicare che praticassero dei riti, e che
quindi potessero credere in qualche sorta di divinità.
Man mano che la conoscenza sull’homo di Neanderthal progredisce, ci si
meraviglia come fino a pochi anni fa venisse considerato da molti studiosi
qualcosa di più simile ad una scimmia che ad un umano, forse solo per il
fisico un po' più tozzo del nostro. Il suo senso artistico ed estetico era
talmente spiccato che si fa davvero fatica a pensare che sia esistito circa
60.000 anni fa. Un senso artistico di quel livello, di solito, presuppone
l’esistenza di una civiltà”.
Se i nostri “cugini” Neanderthal si erano sviluppati in quel modo già decine
di migliaia di anni fa, non c’è ragione per ritenere che noi siamo stati diversi.
Anzi, molti ritrovamenti confermano tutto questo. Secondo diversi studiosi, a
partire da circa 50.000 anni fa, e quindi dopo la fine del “collo di bottiglia
genetico” causato secondo alcuni dall’esplosione del supervulcano Toba, gli
homo Sapiens conobbero una vera e propria “esplosione” nelle loro capacità
cognitive. E man mano che si cerca in giro per il mondo, si trovano dipinti
rupestri sempre più antichi che dimostrano che la capacità espressiva
dell’homo Sapiens era già molto evoluta in tempi antichissimi. Ma questa
enorme capacità espressiva rivela anche una profondità di pensieri e di
sentimenti che fino a poco tempo fa era completamente ignorata. Tra questi
sentimenti c’era sin dai tempi antichi il desiderio di entrare in contatto con un
mondo diverso dal quotidiano.
Teriomorfismo
Tra le espressioni antiche della creatività umana, alcune opere ritrovate
lasciano perplessi gli studiosi. Ad esempio, nel 2017, gli archeologi Maxim
Aubert e Adam Brumm, della Griffith University di Brisbane, in Australia,
hanno fatto una sensazionale scoperta nell’isola di Sulawesi, in Indonesia.
(La stessa isola da cui provengono i Patung, le Kalambas, e il popolo di
Sundaland). Il ritrovamento consiste in una parete ampia circa 4,5 metri
all’interno di una caverna, raffigurante una scena di caccia.
In questa scena si vedono sei animali fuggire via. Due animali sembrano
essere la raffigurazione di due babirussa, una specie di cinghiali che vivono
solo nell’isola di Sulawesi. Gli altri quattro animali hanno una forma che
ricordano degli Anoa, una specie di bufalo che vive anche lui nell’isola di
Sulawesi. Questi sei animali vengono cacciati da otto esseri in parte umani e
in parte animaleschi, armati di lance e forse corde. I cacciatori sono
estremamente piccoli rispetto alle loro prede.
Diversi archeologi sono concordi nel dire che non si tratta solo di un dipinto,
ma del primo tentativo conosciuto di creare una storia raccontata in scene. Se
così fosse, sarebbe la prima raffigurazione di un racconto disegnato nella
storia dell’uomo. Sicuramente, almeno per ora, in quella parete è raffigurata
la prima scena teriantropica della storia umana. Infatti, nel dipinto si fa un
diretto richiamo al teriomorfismo, in quanto gli esseri umani raffigurati hanno
alcune sembianze chiaramente riconducibili ad alcuni animali. Un cacciatore
ha il corpo umano e la testa di un uccello, e un altro sembra avere una coda.
Analizzando con il sistema del decadimento radioattivo gli elementi organici
utilizzati per dipingere la scena, i ricercatori hanno stabilito che quella “storia
disegnata” ha circa 44.000 anni. Non è comunque l’incisione umana più
antica della storia. Questo “record” appartiene all’incisione di un pezzo di
silice ritrovato in una caverna a Blombos Cave, in Sud Africa. Quella
incisione risale a 73.000 anni fa. Nonostante questo, il dipinto di Sulawesi è
finora la storia dipinta più antica mai ritrovata, e il primo chiaro segno di
teriomorfismo della storia.
I cacciatori raffigurati nella caverna dell’isola di Sulawesi ricordano le
antiche divinità egizie, che venivano descritte in parte umane e in parte
animali (in particolare era quasi sempre la testa ad avere sembianze non
umane). La stessa descrizione di esseri con parti del corpo “animali”, indicati
chiaramente come “esseri celesti”, è contenuta anche in alcune parti della
Bibbia. Infatti, nella famosa visione di Ezechiele (considerata da molti il
racconto dell’incontro di un ebreo del passato con visitatori alieni) descrive
questi “angeli” o “visitatori” come aventi un corpo umano e la testa e i piedi
di un toro. In aggiunta lo scrittore dice che avevano delle ali. (Si può
confrontare il primo capitolo del libro di Ezechiele).
Gli archeologi scartano l’idea che i cacciatori raffigurati in quella scena
indossassero delle maschere o altri ornamenti che li rendessero simili agli
animali per la caccia. Secondo loro, travestirsi da piccoli animali non sarebbe
stato di aiuto ai cacciatori. Secondo gli archeologi queste figure
rappresentano degli ibridi tra animali e umani, e quindi raffigurano esseri
“mitologici”.

Non sarebbe la prima volta che gli archeologi si imbattono in qualcosa di


simile. Ad esempio, in Germania, nella caverna di Hohlenstein-Stadel , nel
1939 venne scoperta una piccola statuetta in avorio, alta circa 31 centimetri.
La statuetta risale addirittura al 40.000 a.C., ed è probabilmente una delle
sculture più antiche del mondo. La statuetta è chiamata “l’uomo leone”, a
causa del fatto che viene raffigurato un essere umano con la testa di un leone.
Un’altra immagine teriantropica antichissima.
Anche nella “Grotte de Lascaux”, in Francia, è stata ritrovata una parete
dipinta risalente ad almeno 17.000 anni fa, se non di più. Tra le varie scene di
animali, una ha lasciato davvero sconcertati gli archeologi. Si vede
chiaramente un essere umano con la testa di un uccello, itifallico, cadere a
terra sventrato, al lato di un bufalo. Al suo lato c’è uno strano oggetto, come
una lunga asta con in cima un volatile. Una specie di reticolato spinato
delimita la scena. Un’altra immagine teriantropica. Notiamo quindi un modo
comune di raffigurare esseri “provenienti da fuori” o “mitologici”, che va dai
territori della Francia alla Turchia, da 17.000 fino ad almeno 44.000 anni fa.
Come spiegare una simile “omogeneità” nello spazio e nel tempo?
Il teriomorfismo divenne presso gli egiziani il modo consueto con cui
rappresentare le divinità. Ad esempio, il dio Horus viene raffigurato con la
testa di un falco, Thot ha la testa di un ibis, Anubis ha la testa di uno
sciacallo, Tefntu ha la testa di una leonessa, e così via. Che senso hanno
queste figure teriantropiche, questi disegni di esseri umani raffigurati con la
testa di animale, ritrovati disegnati nelle caverne e risalenti a 44.000 anni fa?
Sono davvero una testimonianza che gli uomini di 44.000 anni fa avevano già
elaborato le proprie divinità, e pensavano che queste vivessero insieme a loro,
partecipando per esempio alle loro battute di caccia?
Se la risposta a questa domanda fosse un “Sì”, questo sarebbe il primo caso
documentato della storia umana in cui esseri umani raffigurano sulla roccia
un “concetto”, ossia qualcosa di “irreale” o “intangibile” trasportato nella vita
reale. (Infatti, se quelle entità non fossero esistite, esse avrebbero
rappresentato un “concetto astratto” implementato in un contesto reale, una
scena di caccia). Ma questa conclusione, secondo cui gli homo Sapiens di
44.000 anni fa non solo avevano dei concetti astratti, ma erano in grado di
rappresentarli in maniera artistica, rivoluzionerebbe la storia dell’età della
pietra. Renderebbe quegli uomini antichi estremamente moderni, molto simili
a noi. Infatti, quei dipinti non sarebbero molto diversi dalla “Cappella
Sistina”, dove Michelangelo disegnò diverse scene che racchiudevano un
concetto, la “religione cristiana”.
Oppure quelle figure mitologiche sono state solo un tentativo di rappresentare
razionalmente qualcosa che gli antichi homo Sapiens non riuscivano a capire?
È possibile che quegli esseri mitologici siano solo la raffigurazione di esseri
dall’aspetto umano che apparivano agli antichi homo Sapiens delle divinità, e
per questo li disegnavano in maniera diversa, facendo appello alla loro
fantasia? In questo caso quei disegni raffiguravano semplicemente la
quotidianità della vita di allora, e descrivevano un periodo in cui esseri “non
umani” avevano visitato gli homo Sapiens di quell’epoca?
Una cosa è certa: sia che gli umani di 44.000 anni fa avessero già le loro
“divinità” immaginarie, o sia che queste “divinità” fossero la raffigurazione
di esseri antropomorfi non appartenenti a quel luogo o a quel tempo, la loro
presenza in quei dipinti così antichi cambia profondamente la concezione che
noi abbiamo dei nostri antenati della preistoria. In un periodo
immediatamente successivo al “collo di bottiglia genetico” conclusosi 50.000
anni fa, i loro pensieri erano già rivolti a esseri “non umani”, sia che fossero
oggetto della loro fantasia, sia che fossero loro graditi ospiti.
Il libro “Oltre l’orizzonte del tempo - Cassandra 1” dice: “Specialmente
durante la Seconda Guerra Mondiale, alcune popolazioni che erano vissute
nell’isolamento quasi totale, vennero in contatto con la civiltà moderna.
Alcune di queste popolazioni si trovarono, non per loro scelta, vicino alle
basi militari di alcune fazioni in lotta. Nello sforzo di rifornire le basi militari
poste in questi territori, che non erano raggiungibili via terra o via mare, aerei
cargo distribuirono cibo, generi di prima necessità e altre attrezzature
effettuando lanci col paracadute.
Inevitabilmente, per vari motivi, parte di questi rifornimenti finirono nelle
mani degli indigeni, che videro letteralmente cibo ed altre cose utili piovere
dal cielo, sotto forma di sacchi o scatolame vario lanciato dagli aerei. Questa
era una situazione che faceva molto piacere agli indigeni, che ricevevano cibo
e attrezzatura varia gratuitamente. Cosa accadde quando, a guerra finita, i
lanci terminarono, e i cargo non arrivarono più in quelle zone? In diversi casi
si svilupparono vere e proprie forme di culto per propiziare il ritorno dei
cargo attraverso diversi rituali. Vennero creati dei simulacri a forma di aereo.
Alcuni indigeni che avevano fatto da guida ai soldati, e che avevano visto le
piste di atterraggio degli aerei, “mimarono” le manovre che il personale a
terra eseguiva per indirizzare gli aerei verso l’atterraggio. Altri accesero
fuochi di segnalazione, e così via. In breve, queste gestualità divennero dei
riti che si mischiarono ad altre credenze antiche possedute dagli indigeni,
creando di fatto una nuova religione. C’è voluto davvero poco per
trasformare dei semplici esseri umani, perfino degli aerei, in delle sorte di
divinità. Il tutto in un brevissimo arco di tempo, solo alcuni anni”.
Dei semplici uomini che volavano su degli aerei vennero considerati divinità
solo per aver lanciato qualche scatola di cibo e poco altro ad una popolazione
più arretrata dal punto di vista tecnologico. Questo può essersi ripetuto anche
per esseri simili agli umani ma che venivano “da fuori”? Ne parleremo
ancora.
Il fattore religione
L’importanza culturale di Göbekli Tepe, probabilmente, è addirittura
superiore alla sua valenza archeologica. Fino a questo ritrovamento, si
pensava che dall’epoca della sua comparsa, ossia circa 200.000 anni fa, fino a
grossomodo alla fondazione della civiltà sumera nel 5.000 a.C., l’homo
Sapiens fosse stato sostanzialmente un cacciatore-raccoglitore nomade. Si
pensava che successivamente, con la scoperta graduale delle tecniche
dell’agricoltura e dell’allevamento del bestiame, l’homo Sapiens divenne
gradualmente sedentario, e abbia costruito i primi insediamenti umani, che
col tempo divennero città. Il concetto di “Dio”, in questo schema, è
successivo all’inizio della civiltà. Secondo gli antropologi l’idea di Dio è
stata sostanzialmente una invenzione umana elaborata quando, al sicuro
dentro le loro città, gli homo Sapiens ebbero il tempo di farsi domande su sé
stessi e sul mondo.
Ma tra i resti del cibo consumato all’interno di Göbekli Tepe non è stata
ritrovata alcuna traccia di carne proveniente da animali da allevamento. Sono
stati trovati abbondanti resti di carne consumata sul posto, ma si trattava
esclusivamente di selvaggina. Questo vuol dire che la gente che frequentava
Göbekli Tepe non allevava animali, ma erano cacciatori. Inoltre, non è stato
ritrovato nulla che indichi che i frequentatori di Göbekli Tepe fossero degli
agricoltori. Gli unici cereali ritrovati erano selvatici. Le evidenze dimostrano
che erano dei cacciatori-raccoglitori.
Anche tutti coloro che, ancora prima degli abitanti di Göbekli Tepe, dipinsero
esseri “non umani” o “divinità con la testa di animale” sulle pareti delle
caverne in Indonesia, erano “solo” dei cacciatori. Ciononostante, come
abbiamo visto precedentemente, è più che evidente che il concetto di esseri
“non umani”, e quindi “esseri superiori”, era chiaramente presente nella loro
mente, al punto che venivano rappresentati nella vita di tutti i giorni,
addirittura in scene di caccia. Questa affermazione mette in crisi l’idea che
solo gli agricoltori-allevatori fossero stati in grado di partorire il concetto di
Dio, che poi si diffuse nel mondo.
Questo dato di fatto, innegabile, è un vero terremoto per l’antropologia. Se
Göbekli Tepe fosse, tra le altre cose, un centro religioso, come sostiene la
quasi totalità degli archeologi, questa sarebbe la prova che il concetto di
“divinità”, da cui poi deriva il concetto di religione, non è un prodotto
dell’urbanizzazione umana. Sarebbe piuttosto vero il contrario. Gli umani
avrebbero in qualche modo “visto” o “concepito” l’esistenza delle divinità, e
per venerarle avrebbero costruito dei centri di culto. Per essere più vicini a
questi “centri sacri”, simili a Göbekli Tepe, gli uomini antichi avrebbero
quindi iniziato ad “urbanizzarsi”, dando vita nei secoli e nei millenni a
villaggi e poi a città costruiti attorno ai “centri sacri”.
In questo nuovo schema, l’agricoltura e l’allevamento del bestiame sarebbero
solo delle soluzioni pensate per sfamare un gran numero di persone che si
concentravano in spazi sempre più stretti per motivi fondamentalmente
religiosi, almeno nella fase iniziale. (Ovviamente parliamo del fenomeno
dell’urbanizzazione collegato alla nostra civilizzazione più recente. Se prima
dello Younger Dryas, si erano sviluppate delle città che poi sono state
distrutte, quel fenomeno di urbanizzazione può essere stato legato ad altri
motivi).
Se le cose stanno così, questa “svolta” non è avvenuta nel 5.000 a.C. come si
pensava. Qui ci troviamo come minimo nel 9.500 a.C., e tutto lascia pensare
che la comunità che ha costruito Göbekli Tepe sia di migliaia di anni più
antica di quelle costruzioni. Le prime scene teriantropiche, infatti, sono di
circa 30.000 anni più antiche, risalenti ad almeno 45.000 anni fa. Come
abbiamo detto più volte, Göbekli Tepe ridisegna la nostra preistoria.
7 – I due monoliti

Secondo diversi archeologi, i due monoliti centrali a forma di T, situati al


centro delle strutture circolari di Göbekli Tepe, sono probabilmente “la
chiave” per interpretare l’intero sito, e altri siti simili che si trovano nei
paraggi. Finora il loro reale significato resta un mistero. Passiamo quindi ad
analizzare i monoliti presenti nel cosiddetto “recinto D”. Questi due monoliti
sono alti poco meno di 6 metri, spessi circa 30 centimetri e larghi circa 140
centimetri. Moltiplicando il loro volume per il peso della pietra con cui sono
stati realizzati, si stima che debbano pesare circa 15 - 20 tonnellate. La testata
del monolite è più larga del resto del corpo, per cui mostra la tipica forma a
“T” del resto dei pilastri che si trovano a Göbekli Tepe. I due monoliti al
centro dei cerchi di pietra sono gli unici ad avere una base su cui incastrarsi, e
possono quindi reggersi in piedi da soli, senza doversi appoggiare ad alcun
muro.
La prima “stranezza” dei monoliti risiede proprio nella loro forma e nella loro
posizione. Se fossero stati solo dei pilastri usati per uno scopo puramente
edilizio, avrebbero avuto una pianta quasi quadrangolare e sarebbero stati
incastrati al suolo. Invece il sistema di mettere una base al pavimento su cui
incastrare i monoliti li rende molto “mobili”. Non è affatto detto, quindi, che
abbiano occupato sempre quella posizione.
Inoltre, la loro forma sottile e allungata li rende molto più simili a delle stele
che a degli elementi architettonici. La differenza tra una stele ed un pilastro
risiede fondamentalmente nella forma e nello scopo per cui viene costruito.
La stele, con un lato largo e uno molto corto, nasce con il preciso scopo di
essere incisa. Il pilastro invece, di solito è solo un elemento architettonico.
Quindi questi due monoliti, che hanno la forma di una stele, sono stati creati
con il preciso scopo di rappresentare qualcosa. Solo come seconda funzione
probabilmente aiutavano a reggere un tetto molto leggero in legno.
C’è un secondo aspetto a cui prestare attenzione. Chiediamoci: si tratta forse
di due statue? La risposta è: “No!”. Nelle immediate vicinanze di Göbekli
Tepe è stata ritrovata la statua nota come “Adamo di Urfa”, o “Statua di
Balıklıgöl”. Secondo gli archeologi la statua ha almeno 11.000 anni. È alta
1,90 metri e ritrae in maniera piuttosto realistica le fattezze di un essere
umano. Altri scavi effettuati nelle vicinanze hanno dimostrato che i
costruttori di questo sito erano perfettamente in grado di creare sculture
umane abbastanza realistiche. Inoltre, il sito di Göbekli Tepe è pieno di statue
e sculture di animali realizzate con grande realismo. È quindi chiaro che se i
costruttori di Göbekli Tepe avessero voluto realizzare due idoli a forma
umana, sarebbero stati perfettamente in grado di farlo. Evidentemente i due
monoliti non dovevano rappresentare due esseri umani, ragion per cui non
hanno fattezze umane.
Una prima ipotesi
Perché i due monoliti sono stati creati in questo modo? La prima possibilità è
che quelle due stele sono molto più antiche di Göbekli Tepe. Infatti, se questi
due monoliti fossero una raffigurazione molto elementare di due esseri
umani, probabilmente questi blocchi di roccia potrebbero avere anche
120.000 anni. Perché? Le due figure sono state scolpite a petto nudo, e con le
gambe scoperte. Sono in effetti nude, ad eccezione di un perizoma che copre
le loro parti intime. Se i monoliti rappresentassero esseri umani, questo
indicherebbe che sono stati realizzati quando il clima era piuttosto caldo.
Questo indica che le due statue possono provenire o da un luogo caldo, o da
un periodo caldo.
L’esame del radiocarbonio ci dice che Göbekli Tepe è stata costruita circa
12.000 anni fa, alcuni secoli dopo l’inizio dello Younger Dryas, che si
verificò circa 12.800 anni fa. In quel periodo faceva troppo freddo a qualsiasi
latitudine per poter andare in giro nudi. Questo vuol dire che i due monoliti
sono stati scolpiti necessariamente in un tempo precedente, quando la
temperatura era più calda. Oppure, in un luogo differente. Se le statue
provenivano da un “luogo caldo”, allora sono state scolpite molto lontano dai
monti della Turchia, e sono un dono di gente venuta dai caldi mari dei tropici.
Sundaland? È una seria possibilità. Infatti, come vedremo in seguito, questa
che sembra essere una provocazione, può avere una base consistente su cui
poggiare.
Se viceversa i monoliti sono un “prodotto locale”, allora la loro realizzazione
va spostata di molto indietro nel tempo. Volendo riassumere a grandi linee
quello che è accaduto dal punto di vista climatico, circa 115.000 anni fa è
iniziata l’ultima era glaciale. Questa si è conclusa bruscamente circa 14.500
anni fa. Da quel periodo in poi un “caldo relativo” si è fatto sentire,
provocando il disgelo nel Nord Europa e successivamente nell’Emisfero Sud.
La temperatura media globale è aumentata tra i 7 e i 14 gradi centigradi. Ma
come si nota dalla tabella delle temperature, il periodo di caldo non è stato
prolungato. Tutt’altro. Dopo un innalzamento improvviso delle temperature
circa 14.500 anni fa, in poco tempo queste hanno iniziato a scendere
altrettanto bruscamente.
Successivamente, circa 12.800 anni fa, è addirittura tornata una mini era
glaciale, chiamata Younger Dryas, che è durata per diversi secoli, e che ha
riportato la temperatura a livelli dell’era glaciale precedente. La temperatura
è poi risalita tra gli 11.000 e i 10.000 anni fa, per poi non scendere più. Da
questo si comprende che i due periodi in cui la gente andava in giro con solo i
perizomi, prima della costruzione di Göbekli Tepe, è il periodo di tempo
compreso tra 14.000 e 14.500 anni fa, o quello precedente a 115.000 anni fa.
Solo in questi due periodi di tempo la descrizione dei monoliti poteva avere
un senso.
Ovviamente non possiamo essere dogmatici, visto che potevano esistere delle
forme di “micro-clima” particolari. Ma, in linea generale, è davvero difficile
pensare che nel periodo in cui venne costruita Göbekli Tepe sulle colline
della Turchia, durante il gelo portato dallo Younger Dryas, la gente se ne
andasse in giro con i perizomi. Ovviamente potrebbe esistere la possibilità
che i monoliti fossero contemporanei a Göbekli Tepe, ma che ritraessero
umani dei tempi in cui faceva caldo. Ma affinché questo sia possibile, ci
dovrebbero essere altri “monoliti” da cui “copiare” il soggetto, visto che
diversamente non si sarebbe preservata la memoria dei “tempi in cui faceva
caldo”. Ma questi altri monoliti non sono ancora stati ritrovati.
Una seconda ipotesi
L’osservazione sulla nudità dei due monoliti pone chiaramente la loro
realizzazione in un periodo di tempo decisamente caldo (che non può essere
certo l’era glaciale o lo Younger Dryas). Dal punto di vista artistico, invece, è
probabile che gli scultori originali di Göbekli Tepe non fossero del tutto privi
di capacità artistiche. Infatti, anche se tutto il monolite sembra molto
“spartano”, e fortemente stilizzato, questo non è vero per alcuni dettagli.
Ad esempio, la cintura che avvolge entrambe i monoliti al fianco, è
estremamente accurata. Si vede chiaramente che si tratta di due perizomi
ricavati dalla pelle di un animale, e si notano anche le zampette e la coda
dell’animale ucciso e scuoiato. La cintura di uno dei due monoliti riporta
raffigurazioni molto precise. Anche le raffigurazioni sulla parte frontale della
testata del monolite, e una sulla parte laterale, conservano un tratto
estremamente nitido e preciso. È evidente che questi dettagli sono stati
realizzati da artisti abili nel loro lavoro, che sapevano lavorare di precisione.
Sembra quindi evidente che i due monoliti non sono stati realizzati da artisti
che non erano in grado di fare di meglio. Piuttosto, gli artisti che li hanno
creati avevano in mente di realizzare proprio quello che tutti vediamo, ossia
due monoliti con vaghe fattezze umane.
I due monoliti rappresenterebbero quindi due esseri non umani (infatti la loro
forma non ha nulla di umano), che però hanno alcuni elementi umanoidi (le
braccia, le mani, e il perizoma). Il fatto che questi monoliti occupassero il
posto più onorevole del sito, al centro dei recinti di pietra, vuol dire che gli
abitanti di Göbekli Tepe li stavano quasi divinizzando. Anche secondo le
dichiarazioni del defunto archeologo Klaus Smith, i due blocchi giganti con
caratteristiche antropomorfe che si trovano al centro dei cerchi di Göbekli
Tepe, non raffigurano semplici esseri umani. Secondo il noto archeologo, il
fatto che il loro volto non sia stato scolpito indica che quelle statue stilizzate
rappresentavano esseri che “vengono dal di fuori”. Che questo “dal di fuori”
sia un posto della psiche umana, del sentimento religioso, o una remota
regione dello spazio, è tutto da stabilire. Una ipotesi, al momento, vale l’altra.
Non si può quindi eludere la domanda: chi erano i “monoliti senza volto”,
che col tempo vennero divinizzati dagli abitanti di Göbekli Tepe? Erano una
rappresentazione dei loro defunti, come dicono alcuni? Erano semplici umani
che si proclamavano superiori agli animali, come dicono altri? Erano il parto
della fantasia di quei cacciatori, che avevano iniziato ad immaginare “in un
tempo molto precoce” degli esseri superiori a loro stessi? O erano il ricordo
di un popolo con cui erano venuti in contatto nel loro passato, e che loro
consideravano superiori? O addirittura erano esseri provenienti dallo spazio?
Continuiamo questa analisi per capirlo.
Senza volto
Un aspetto comune ai due monoliti antropomorfi è che sono stati scolpiti
volontariamente senza volto (o, secondo altri, senza testa). Cosa può voler
dire questo? Va detto che a Göbekli Tepe non è stato ritrovato nessun tipo di
scheletro umano, tanto meno uno scheletro senza testa. Ma, se la gente non
risiedeva in gran numero a Göbekli Tepe (come sembrano indicare diverse
prove), allora vuol dire che i costruttori venivano da qualche altra parte. In
alcuni degli insediamenti umani situati nelle vicinanze, e con una età che si
avvicina molto a quella di Göbekli Tepe (ne parleremo meglio in seguito), gli
archeologi hanno riscontrato un antico rituale che veniva praticato da queste
popolazioni. Quando qualcuno moriva, veniva seppellito dai suoi cari nella
stessa abitazione dove aveva vissuto da vivo.
Qualche tempo dopo aver inumato il cadavere di un defunto, questo veniva
riesumato e gli veniva amputata la testa. Visto che erano i familiari dei
defunti che si preoccupavano di questi rituali, è assai improbabile che questo
gesto avesse qualcosa di dispregiativo o negativo. Probabilmente era un
rituale che, nella mente dei consanguinei sopravvissuti, dava onore e potere al
defunto. In qualche modo lo avvicinava “alle divinità”. Quindi ritrarre degli
umani senza volto equivaleva a dargli onore, come se si trattasse di un semi-
dio.
Ma, a ben guardare, gli abitanti di Göbekli Tepe non erano gli unici a
pensarla così. Tanto per fare un esempio, secondo il libro di Esodo, quando
Mosè scese dal monte Sinai, dopo aver ricevuto la Legge, il suo viso non era
più visibile, perché “emetteva raggi” (vedi Esodo 34:35). Quindi gli israeliti
riconobbero Mosè solo attraverso i suoi abiti, visto che non potevano
discernere il volto. Anche per loro, in quel momento, Mosè non aveva alcun
volto. Se, per assurdo, gli artisti di Göbekli Tepe avessero scolpito il volto di
Mosè in quel momento, lo avrebbero sicuramente realizzato senza alcun
lineamento. Sarebbe stato un “uomo senza testa” o “senza volto”.
Anche nei vangeli viene detto che nel momento della “trasfigurazione”,
quando Gesù manifestò il suo lato celeste, il suo volto non era più visibile,
perché divenne luminoso come il Sole. (Vedi Matteo 17:1-8; Marco 9:2-8 e
Luca 9:28-36). Dal punto di vista degli artisti di Göbekli Tepe, anche lui era
un “uomo senza volto”. Un viso simile (ma con due occhi grandi) compare
anche nelle raffigurazioni dei Nasca, in Sud America. In quel caso l’essere
antropomorfo viene chiamato dai commentatori “l’astronauta”. In diversi
luoghi e in diverse epoche, quindi, l’assenza del volto o della testa in esseri
antropomorfi viene collegata al “super-umano”, a cose celesti. Non c’è
nessuna ragione per cui Göbekli Tepe debba fare eccezione. Quindi l’assenza
del volto nei due monoliti rappresenta qualcosa di non umano, di celeste, più
vicino allo spazio che alla Terra. I due monoliti su cui vengono incise poche
ma chiare fattezze umane, sembrano essere una sorta di “memoriale” o
“ricordo”, di qualcosa o di qualcuno.
Il monolite “A”
Continuando ad esaminare l’aspetto dei monoliti, ci rendiamo conto che,
anche se molto simili tra loro, i due pilastri non sono identici. Ci sono infatti
delle diversità. Per semplificare, chiameremo i due monoliti attribuendo loro
la lettera A e B. Il basamento del monolite B contiene le sculture di una serie
di uccelli, che invece mancano al monolite A. Entrambi i monoliti hanno
scolpito una specie di “perizoma” attorno ai fianchi, ma quella del monolite B
è piena di simboli che possono rappresentare ideogrammi, o una sorta di
proto-scrittura. Questa simbologia manca sul monolite A.
Nel monolite A, nella zona che dovrebbe corrispondere al collo (o alla testa
secondo altri) si trova la raffigurazione stilizzata della testa di un “Bos taurus
primigenius”, in italiano “Uro”. Si tratta dell’antenato del bue odierno. Giulio
Cesare scrisse di questi animali nella Guerra gallica al capitolo 6,28, dicendo:
“[Gli uri] sono leggermente più piccoli degli elefanti, assomigliano ai tori per
aspetto, colore e forma. Sono molto forti, estremamente veloci, non
risparmiano né uomini, né animali che abbiano scorto. I Germani si danno
molto da fare per catturarli per mezzo di fosse, e poi li uccidono: i giovani si
temprano e si esercitano in queste fatiche e genere di cacce. Chi ha ucciso
diversi uri, ne espone le corna pubblicamente, a testimonianza della sua
impresa, ricevendo grandi elogi. Non si riesce ad abituare gli uri alla presenza
degli uomini, né ad addomesticarli, neppure se catturati da piccoli. Le corna,
per ampiezza, forma e aspetto, sono molto diverse da quelle dei nostri buoi.
Sono un pezzo molto ricercato, le guarniscono d'argento negli orli e le usano
come coppe nei banchetti più sontuosi”.
Come abbiamo letto, gli uri erano noti per la loro incredibile potenza e per il
loro temperamento molto aggressivo. Nelle culture antiche ucciderne uno era
visto come un grande atto di coraggio. Il simbolo dell’uro è presente su
diverse incisioni di Göbekli Tepe, come anche negli insediamenti vicini che
furono costruiti fino a 3000 anni dopo. Da essere simbolo di forza e coraggio,
probabilmente il teschio dell’uro col tempo divenne una sorta di divinità.
Perfino la Bibbia (dove l’uro è chiamato re'em) associa questo animale ai
Cherubini e a Dio stesso. Pur identificandolo con il termine “šō·wr”,
applicato di solito al toro comune, in Ezechiele 1:10 gli esseri celesti chiamati
“cherubini” hanno una faccia da toro, o potremmo dire, da uro. Anche
l’apostolo Giovanni, secoli dopo, attorno all’altare di Dio vide una creatura
celeste con la testa di toro (vedi Apocalisse 4:7).
Il monolite A, con il simbolo dell’uro sul suo collo, può quindi ben
rappresentare un essere “che veniva dal di fuori”, ritenuto molto potente e
molto coraggioso. Come vedremo analizzando alcune stele, due esseri “che
venivano dal di fuori” sono descritti come metà umani e metà uccello.
Unendo questi simbolismi, ossia le ali, il toro, e la presenza delle sole mani in
una figura non umana, sembra davvero di vedere qualcosa di molto simile al
cherubino descritto in Ezechiele capitolo 1. La presenza di un perizoma su di
un corpo nudo, nei popoli antichi, di solito associa quella figura al sesso
maschile, come gli ebrei pensavano fossero i cherubini,
Il monolite B
La base del monolite B riporta scolpita una fila di uccelli dall’aspetto
piuttosto “tozzo”, dotati di un forte becco. Come spiegheremo nel dettaglio in
seguito, questo tipo di uccello può raffigurare un rappresentante della
famiglia dei Dromornithidae, simile allo struzzo e all’emù, che viveva solo in
Australia. Poteva raggiungere i 3 metri di altezza e i 500 chilogrammi di
peso. Sono descritti come delle “gigantesche oche carnivore”, vissute tra i
35.000.000 e i 20.000 anni fa. Ma su questo ci torneremo. Il punto che ora
vogliamo evidenziare è che questi strani uccelli alla base del monolite
possono indicare che la scultura è stata realizzata al tempo degli “uccelli
feroci”. Se così fosse, il monolite non potrebbe avere meno di 20.000 –
30.000 anni. Dopo quel periodo, i soggetti da ritrarre, ossia gli “uccelli
feroci”, erano estinti. Questo, quindi, è un ulteriore indizio che addita un
periodo estremamente antico per la realizzazione dei due monoliti.
Simili ai Patung
Entrambi i monoliti non hanno gambe, e in questo sono simili ai Patung della
zona di Sundaland. Il monolite B porta sul lato destro, sotto il braccio,
l’altorilievo di un cane (secondo altri è una volpe). Sembrerebbe voler dire
che il cane sia stato portato, o addomesticato, da quel monolite. La
separazione tra lupo e cane, e il conseguente addomesticamento del cane,
risale secondo diversi studiosi a 40.000 anni fa. Se l’immagine del cane (o
volpe) vicino al braccio del monolite vuole indicare che loro in qualche modo
“portarono i cani”, questa è una ulteriore conferma del tempo antichissimo in
cui vennero scolpiti.
Nel punto in cui si dovrebbe trovare il collo (o il viso secondo altri), questo
monolite ha due strani simboli. Compare una sorta di “H” o “I” ruotata, che si
trova anche sulla sua cintura, ma sembra esservi un buco al centro, fatto
intenzionalmente. Sotto questa H compare un cerchio (che forse in origine era
un disco a cui è stato applicato un buco), con quella che sembra essere una
mezzaluna. Potrebbe essere un simbolo “sole-luna”, ma anche rappresentare
qualcosa di completamente diverso.
Ai due bordi rispetto al simbolo, ci sono due linee che sembrano disegnare i
resti di una doppia “V”. Comparando il monolite con la statua dell’Adamo di
Urfa, la raffigurazione di un uomo trovata nelle vicinanze, si vede che in
quella statua la “doppia V” era situata all’altezza delle spalle e si
congiungeva sul petto, come una collana. Sovrapponendo le due sculture si
comprende che la “H” e il “cerchio e la mezzaluna” dovrebbero trovarsi sul
petto del visitatore, a scopo ornamentale.

Come oggi i religiosi cristiani usano il crocifisso, o i generali usano le loro


medaglie, così evidentemente quei due simboli erano “appesi al collo” dei
monoliti, e in qualche modo li identificavano. Il simbolo dell’uro, “appeso al
collo” del monolite A, lo identificava come un “potente”, attributo dato dalla
Bibbia ai cherubini di Dio. Il simbolo “H” appeso al collo del monolite B, e
presente molte volte nelle sculture di Göbekli Tepe, probabilmente
rappresentava il suo luogo di provenienza, il suo popolo. Questo faceva del
monolite B una sorta di “messaggero”. Il secondo simbolo, il “cerchio con la
mezzaluna”, probabilmente rappresentava il suo rango. Essendo il Sole e la
Luna le cose situate più in alto di tutte per un uomo di quel tempo,
evidentemente quel simbolo indicava qualcuno di altissimo rango.

Resti di un sistema di scrittura?


Anche il monolite B, come il suo compagno, ha una specie di cintura a cui è
appesa la pelle di un animale a 4 zampe munito di una coda, come se fosse un
perizoma. Probabilmente si tratta della pelle di una volpe. I dettagli sono
scolpiti con molta cura. La cintura di questo monolite è forse la cosa più
misteriosa di tutta Göbekli Tepe. Infatti, lungo la fibbia della cintura scorrono
una serie di simboli che sembrano essere delle lettere. Sul davanti si possono
indicare una sorta di “I” maiuscola, con le estremità piuttosto larghe, seguita
da 2 “I” simili ruotate a 90 gradi. Al centro della cintura, direttamente sulla
pelle dell’animale, sembra esserci una grossa “U”, e una più piccola al suo
interno. A destra ci sono quelle che sembrano essere 2 “I” maiuscole, poste
una sull’altra.
Passando ad osservare i fianchi del monolite, nella zona in cui scorre la
cintura, il messaggio è ancora più complesso. Si trovano diverse “U” ruotate
di 90 gradi in entrambi i sensi (possono essere descritte anche come delle “C”
maiuscole). Compare qualcosa di simile a questa scritta: “C C H C H C
(capovolta)”. Gli stessi simboli compaiono anche in altri punti di Göbekli
Tepe. Qualsiasi cosa vogliano dire, non sono la rappresentazione di nessun
animale o di nessuna cosa tangibile. Sono chiaramente dei simboli astratti, e
quindi possono essere considerati degli ideogrammi, se non proprio delle
lettere.
Il defunto prof. Klaus Smith, il responsabile degli scavi, mentre lavorava a
questo sito fece osservare che i disegni presenti sui pilastri di Göbekli Tepe
non sono stati scolpiti a caso, ma hanno un senso molto preciso. Secondo il
professore, oltre a raffigurare animali reali, i disegni contengono anche alcuni
simboli astratti e altri simboli logici. La presenza di simboli astratti e logici
tra i disegni di Göbekli Tepe eleva quelle incisioni ad un nuovo livello, al
punto tale che si possono considerare come i “progenitori” di una forma di
scrittura. Questo paragone esplose come una vera “bomba atomica” nelle idee
degli antropologi, perché la prima forma scritta umana ufficialmente
riconosciuta, quella cuneiforme, compare solo 6.000 – 7.000 anni dopo la
costruzione di Göbekli Tepe.

Questo non vuol dire che le incisioni di Göbekli Tepe siano un vero sistema
di scrittura posseduto da quel popolo. Se questo fosse stato il loro modo di
scrivere, probabilmente il sito sarebbe pieno di questi simboli. Ma non è così.
Questi simboli compaiono molto di rad o a Göbekli Tepe, anche se sono
presenti. Se avevano un sistema di scrittura, perché non compare da nessuna
altra parte? E perché non si è sviluppato in seguito? Non ci sono risposte. Per
questo motivo i simboli sulla cintura del monolite B sono la vera “nota
stonata” di tutto il sito. Se gli scultori potevano aver immaginato nella loro
fantasia qualcosa di simile ai due monoliti (che fossero dei visitatori reali o
immaginari poco importa), sicuramente non potevano aver immaginato il
concetto di “scrittura”. Il “salto” sarebbe stato troppo grande.
E allora cosa ci fanno degli ideogrammi sulla cintura di una scultura
precedente al 10.000 a.C.? Vedere quegli ideogrammi su di una scultura di
12.000 anni fa, corrisponde a vedere un dinosauro a New York. Ma il mistero
si complica ulteriormente. Come vedremo in seguito, nel vicino villaggio di
Jerf el-Ahmar, costruito almeno 11.500 anni fa, prima che venisse inondato
erano stati ritrovati “simboli mnemonici incisi 5.000 anni prima della
comparsa della scrittura”. Esaminandoli, i ricercatori hanno scoperto che
somigliano a dei disegnini, come quelli che si trovano in antiche caverne.
Probabilmente sono i “genitori” o i “nonni” dei geroglifici. Ma sono
completamente diversi dai simboli che compaiono sul monolite B, che
assomigliano invece paurosamente a delle “lettere” o degli “ideogrammi”.
L’unico modo per spiegare quegli ideogrammi presenti sulla cintura del
Monolite B è ipotizzare che non sia “farina del sacco di Göbekli Tepe”.
Quella cintura viene “dal di fuori”. Quei simboli somigliano troppo ad un
sistema di scrittura per essere casuali, ma sono usati troppo di rado nel sito
per poter pensare che siano un prodotto locale. Sembra che nessuno dei
villaggi vicini li abbia mai usati. Ci possono essere quindi solo due ipotesi
plausibili. (1) L’intero monolite appartiene ad un altro luogo e ed un altro
tempo, come tutto finora sembra indicare. (2) Gli scultori che realizzarono il
monolite B hanno semplicemente cercato di “copiare” qualcosa di cui non si
rendevano pienamente conto, qualcosa che potevano anche essere delle
“lettere” o dei “simboli”, facendoli entrare poi nella loro cultura.
I segni sulla cintura di questo monolite potrebbero indicare che un nostro
progenitore ha davvero visto qualcosa di “strano” in passato? Ha cercato di
“copiare” dei simboli che ha visto addosso ad un “visitatore”? Oppure si
tratta di un sistema di scrittura che hanno visto usare a dei “visitatori umani”,
e che hanno cercato goffamente di copiare? Indipendentemente dall’origine
di quei simboli, sembra che ci siano davvero delle “scritte” sulla cintura del
monolite B a Göbekli Tepe. Ma sembra che la scrittura non fosse la loro, e
che non provenga da li. E questo rende quella cintura ancora più inquietante.
Cosa rappresentano
Dopo aver visto nel dettaglio come erano formati i due monoliti, possiamo
dedurre qualcosa in più su cosa o chi rappresentassero? Se i popoli del
passato rappresentavano esseri “non umani” dando loro delle teste di animale,
gli scultori di Göbekli Tepe fanno un passo oltre: li rappresentano senza
volto. Era un modo di dire che non erano umani. Quindi, l’usanza di staccare
la testa ai morti, probabilmente era un effetto di questa credenza, e non una
causa. Togliendo la testa ai morti, e quindi facendoli diventare “senza volto”,
probabilmente si credeva di elevarli allo stesso rango di ciò che i due
monoliti rappresentavano.
Averli raffigurati come delle colonne di pietra probabilmente era un simbolo
della loro potenza. Erano inamovibili come delle colonne. Da notare che il
loro “davanti” corrisponde al lato stretto della stele, e non al lato largo, come
ci si aspetterebbe per delle sculture (sul lato largo, infatti, si possono scolpire
molte più cose). In tutto il mondo, l’unica scultura simile, dove il lato frontale
di un essere vivente viene scolpito sul lato stretto di una stele, si trova a San
Agustín, in Colombia, lo stesso sito che ospita i “gemelli” dei Patung di
Sundaland. Infatti, tra le rovine di San Agustín si può trovare, scolpito su una
roccia stretta e lunga come i monoliti di Göbekli Tepe, uno strano essere
umanoide. Ha la faccia incisa sul lato stretto del blocco di roccia., e ha
braccia e mani disposte in maniera identica. Sembra avere il lato anteriore
“umano” e il lato posteriore, molto profondo, animalesco. A vederlo meglio,
sembra quasi che uno strano attrezzo a forma di animale sia “montato” sulle
spalle di quell’essere umano, con una apertura superiore e una inferiore.
Come dimostra il monolite A, alcuni di quegli esseri erano considerati potenti
e invincibili, come l’uro, il toro selvatico. La ricchezza di simboli del
monolite B indica che alcuni di loro rappresentavano il loro popolo. Se il
cerchio e la mezzaluna rappresentassero il Sole e la Luna, questa sarebbe una
indicazione, almeno nella loro fantasia, che quel monolite avesse un rango
altissimo, o che provenisse addirittura da dove si trovano il Sole e la Luna,
ossia dallo spazio.
È piuttosto evidente che i due monoliti rappresentino esseri “venuti dal di
fuori”, potenti come un uro, discesi da dove si trovano il Sole e la Luna. La
loro forma indica che erano imbrigliati in una struttura che dava loro una
forma strana, come la statua rinvenuta a San Agustín. Inoltre, diversi indizi
additano che, almeno gli originali, vennero realizzati moltissimo tempo prima
della costruzione di Göbekli Tepe (è del tutto possibile che gli originali
vennero usati come “copie” per altri monoliti simili). Tutto ciò era il parto
della fantasia degli scultori, o è solo il tentativo un po' goffo di descrivere,
come meglio erano capaci, qualcosa o qualcuno che videro realmente arrivare
da lontano?
8 – Prima dei Sumeri

Sembra che Göbekli Tepe non avesse abitanti che risedessero in maniera
stabile, o se ci sono stati erano davvero in numero molto esiguo. La
principale motivazione che porta i ricercatori a questa conclusione è che non
è stato ritrovato alcun resto umano, fino ad ora, in quel sito. Nelle culture
della zona, i morti venivano sepolti comunemente nelle abitazioni dove
avevano vissuto da vivi. La mancanza dei resti dei cadaveri, quindi, lascia
pensare che nessuno, o quasi, sia mai vissuto in quel sito in maniera stabile.
Inoltre, sembra che le provviste di acqua disponibili nella zona non fossero
sufficienti per dissetare quotidianamente un insediamento stabile abbastanza
numeroso. Sembra quindi che la gente andasse a Göbekli Tepe, banchettasse
e poi se ne tornasse da dove era venuta.
La domanda a questo punto è: da dove veniva tutta quella gente? Da quanto
ne sappiamo, in quel tempo non esistevano le strade, le popolazioni locali
non conoscevano la ruota, e non usavano i cavalli o altri animali da soma
come mezzo di locomozione. Si andava tutti a piedi su terreni spesso
accidentati, e quindi si poteva percorrere solo qualche chilometro al giorno. È
quindi piuttosto logico pensare che coloro che si recavano in visita a Göbekli
Tepe, ma soprattutto coloro che l’hanno costruita, non provenivano da un
posto “troppo lontano”.
Infatti, per costruire un insediamento come Göbekli Tepe servono dai 300 ai
500 operai, che dovevano lavorare insieme per diverso tempo, forse alcuni
mesi, forse alcuni anni. A questo numero dobbiamo aggiungere i bimbi e gli
anziani che ovviamente li seguivano. Inoltre, vanno aggiunte le donne che
erano sicuramente impegnate a procurare il cibo per tutti, e anche altri
soggetti che si occupavano di altre faccende necessarie. Il numero di persone
coinvolte nella costruzione di Göbekli Tepe poteva raggiungere le 2.000 –
3.000 unità. Per quei tempi, quella era la popolazione di una cittadina di
medie dimensioni.
Inoltre, la costruzione di un sito simile presuppone l’esistenza di una
gerarchia: c’era chi dava ordini e chi li eseguiva. Questo aspetto lascia
pensare che a costruire Göbekli Tepe sia stata una società già organizzata,
che non poteva esistere se gli umani vivevano separati in tende o capanne,
come si riteneva un tempo che facessero gli uomini 12.000 anni fa. Göbekli
Tepe è frutto della collaborazione di cittadini, abituati ad essere organizzati
insieme per conseguire obiettivi comuni. A questo possiamo aggiungere che
non è possibile che tutti avessero la stessa abilità nel lavorare la pietra in
maniera artistica. O non possiamo pensare che tutti avessero la stessa forza
per innalzare i pilastri, o per costruire i muri a secco. Sembra quindi che gli
operai fossero abili in diverse specializzazioni. Per costruire Göbekli Tepe,
almeno alcuni “mestieri” avevano già fatto la loro comparsa da diverso
tempo. Tutto questo rivoluziona l’idea che gli umani di 12.000 anni fa
fossero solo dei cacciatori-raccoglitori “generici”.
Il numero delle persone coinvolte nel progetto, l’evidenza di un’ottima
organizzazione dei lavori, la specializzazione di alcuni operai, mal si concilia
con l’idea che gli abitanti della zona fossero sparsi in piccoli gruppetti
indipendenti. È praticamente impossibile che una comunità non organizzata
possa aver dato vita a Göbekli Tepe. Alle spalle di Göbekli Tepe doveva
esserci uno o più centri urbani, che esistevano almeno da alcuni secoli.
Questo manda in frantumi l’idea che avevamo della cosiddetta “età della
pietra”.
Stiamo dicendo che prima di Göbekli Tepe, anche se è antica di 12.000 anni,
doveva necessariamente esserci almeno una cittadina. Quindi se vogliamo
trovare in maniera realistica chi possano essere stati i probabili costruttori di
Göbekli Tepe, dobbiamo guardare attorno, in un raggio non superiore ai 100
chilometri, se esistevano insediamenti abitati nello stesso periodo di tempo.
Loro sarebbero i principali indiziati della costruzione del sito. Esiste qualche
insediamento che possa corrispondere a questo identikit? Forse uno è stato
trovato.
Jerf el-Ahmar
Circa 20 anni fa, nella totale indifferenza generale, per costruire una diga nel
Nord della Siria, finiva sott´acqua uno degli insediamenti più antichi della
storia umana, probabilmente contemporaneo a Göbekli Tepe. Era stato
ritrovato da pochissimo tempo, quindi c’era ancora moltissimo lavoro da fare
per capire chi lo aveva costruito e perché. Parliamo del sito di Jerf el-Ahmar ,
che venne sommerso quando venne costruita la diga di Tishrin. Le prime
indagini avevano rivelato che era antico di almeno 11.600 anni, ma forse lo
era ancora d più. Bernadette Arnaud, corrispondente di “Archeology” a
Parigi, descrisse in maniera dettagliata tutto l’accaduto. Rileggiamo il suo
pezzo, che dice: “Un sito siriano, unico al mondo, allagato dopo il
completamento di una diga. Era uno degli insediamenti umani più antichi del
mondo.
Nel luglio del 1999, le acque alluvionali della diga di Tishrin, a 75 miglia da
Aleppo, nel nord della Siria, hanno inondato Jerf el-Ahmar (Red Cliffs), uno
degli insediamenti più antichi del mondo, risalente a 11.600 anni fa.
Funzionari siriani hanno detto che la diga avrebbe fornito l'elettricità e l'acqua
tanto necessari per l'irrigazione, lo stesso motivo per cui i funzionari turchi
hanno autorizzato l'inondazione parziale del sito di Eugma, più in alto lungo
l'Eufrate. Ma per Danielle Stordeur e i membri del suo team di ricerca franco-
siriano, che stavano scavando il sito dal 1995, la perdita per l'archeologia è
stata catastrofica. ´Non c'è mai stato nulla di simile ritrovato in Medio
Oriente´, ha detto Stordeur, pochi giorni prima che il sito venisse allagato.
´Ogni scoperta fatta qui non ha fatto altro che evidenziare l'importanza unica
del sito´.
Il team di Stordeur aveva trovato più di 40 case ben conservate, un numero
incredibile per quel periodo di tempo, rivelando un'evoluzione da spazi
abitativi rotondi a spazi abitativi rettangolari. Il team ha scoperto piccole
placche di terracotta con simboli mnemonici incisi 5.000 anni prima della
comparsa della scrittura, e cereali, come il grano, che indicavano le prime
tracce di coltivazione. Infine, pochi mesi prima dell'allagamento, Stordeur
scoprì una struttura di 11.600 anni con panchine che rivestivano le pareti
interne del locale, suggerendo che in quell’ambiente si svolgesse una sorta di
attività rituale comune.
Jerf el-Ahmar, in realtà, è composta da una dozzina di villaggi accatastati uno
sopra l'altro e occupati tra il 9600 e l'8500 a.C. I numerosi strati del sito
possono aiutare gli studiosi a comprendere meglio l'evoluzione da abitazioni
rotonde a abitazioni rettangolari. Si pensava in precedenza che questa
trasformazione si fosse verificata verso la fine del X millennio a.C., ma le
prove erano frammentarie e le sue fasi poco comprese. ´Abbiamo scoperto
case rotonde negli strati più antichi, e quelle rettangolari che le sovrastano´,
dice Stordeur. Circa 11.000 anni fa, in questa curva dell'Eufrate, la gente
imparò a mettere insieme le pietre per formare angoli retti. Questa tecnica ha
dato origine a una grande varietà di stili architettonici rettangolari, ellittici e
semicircolari, gli elementi costitutivi di piccoli villaggi con spazio aperto
progettato. "C'era una gestione civica collettiva, un tentativo di urbanistica",
dice Stordeur. – Fine citazione
Le implicazioni di Jerf el-Ahmar
Purtroppo, oggi non è più possibile visitare quel “tentativo di urbanistica”
antico almeno di 11.600 anni, ossia il fantastico villaggio di Jerf el-Ahmar .
Ma confrontando il materiale fotografico lasciato dagli studiosi che hanno
effettuato gli scavi, con le informazioni pubblicate sui periodici scientifici,
non si può non notare le enormi somiglianze con Göbekli Tepe. È
estremamente probabile che parte della popolazione di Jerf el-Ahmar, abbia
contribuito in qualche modo alla costruzione di Göbekli Tepe. Le
implicazioni di tutto questo sono enormi.
Come abbiamo letto, a Jerf el-Ahmar erano stati ritrovati “simboli mnemonici
incisi 5.000 anni prima della comparsa della scrittura”. Che è un modo
elegante per dire che gli abitanti del posto stavano elaborando un sistema di
scrittura 5.000 anni prima dei Sumeri. Questo potrebbe spostare di almeno
5.000 anni indietro la data della comparsa della scrittura, e di conseguenza,
della civiltà. Per sapere se il tentativo di creare un sistema di scrittura da parte
di quei popoli è andato a buon fine, bisognerebbe continuare a scavare
intorno. E, possibilmente, non inondare i villaggi che vengono scoperti, come
è accaduto a Jerf el-Ahmar. Se questo sistema di scrittura venisse
effettivamente trovato, il “primato” dell’invenzione della scrittura passerebbe
dai Sumeri ai costruttori di Göbekli Tepe.
Secondo le parole del ricercatore francese Stordeur, ci sono chiari segni
dell’inizio della coltivazione di cereali a Jerf el-Ahmar. Lo stesso è stato
notato ad Abu Hureyra, in Siria, ben 12.800 anni fa. Anche il “primato”
dell’introduzione dell’agricoltura, quindi, andrebbe tolto ai Sumeri e dato a
queste popolazioni, più antiche di almeno 5.000 anni. Stordeur ci dice che
avevano rinvenuto almeno 40 case. Gli edifici di Jerf el-Ahmar erano
circolari, come quelli di Göbekli Tepe. Dalle foto scattate alle costruzioni, si
vede che gli ambienti interni di queste abitazioni circolari erano suddivisi,
formando molte stanze. In questo sito le mura delle abitazioni circolari erano
in parte scavate sotto il livello del terreno, e in parte innalzate come delle
normali mura. Considerata la grandezza degli edifici circolari, a Jerf el-
Ahmar potevano vivere comodamente anche 1.000 persone.
Anche a Jerf el-Ahmar erano presenti dei pilastri simili a quelli di Göbekli
Tepe, ma questi erano in legno, e servivano a reggere una copertura che
fungeva da tetto per gli edifici circolari. La copertura era come una sorta di
“Iurta”, realizzata con del legno leggero, lo stesso tipo di copertura che si
sospetta sia stata realizzata per gli edifici circolari antichi di Göbekli Tepe.
Anche nel villaggio di Jerf el-Ahmar erano presenti edifici a pianta
rettangolare, come a Göbekli Tepe. Si svolgevano attività comuni, con locali
adibiti per questo scopo, esattamente come i resti di carne rinvenuti a Göbekli
Tepe testimoniano l’afflusso periodico di un gran numero di persone. Quindi
anche il primato delle “prime città edificate” andrebbe tolto ai Sumeri, e dato
ai costruttori di Göbekli Tepe.
Sul sito di Jerf el-Ahmar sono stati trovati due scheletri senza testa. Ma la
decapitazione è avvenuta dopo la loro morte. Quindi non può considerarsi
come qualcosa di negativo, come una esecuzione violenta. Piuttosto si
trattava di un rituale visto in maniera positiva dalla gente del posto, che
avrebbe dato prestigio al morto. Il concetto degli “uomini senza testa”, e dei
relativi monoliti, era quindi presente a Jerf el-Ahmar come a Göbekli Tepe.
I Natufiani
A completare il quadro di coloro che vivevano attorno a Göbekli Tepe,
possiamo citare il villaggio di Çatalhöyük, situato diverse centinaia di
chilometri ad Ovest. Secondo la datazione del radiocarbonio
corrisponderebbe al 7.400 a.C., ma alcuni studiosi pensano che sia ancora più
antico. Questo villaggio era ormai una cittadina di 8.000 persone. Le strutture
circolari sono sparite, e le case sono tutte rettangolari, messe una sull’altra,
con un’unica apertura sul tetto.
Partendo dal villaggio di Jerf el-Ahmar , passando per Göbekli Tepe, fino ad
arrivare a Çatalhöyük, sembra esserci una evoluzione. Gli edifici di Jerf el-
Ahmar sono circolari e seminterrati, con pochi edifici rettangolari. A Göbekli
Tepe gli edifici circolari sono tutti al livello del terreno, e gli edifici
rettangolari sono molti. A Çatalhöyük ci sono solo edifici rettangolari.
Sembra di assistere ad uno spostamento da Sud a Nord-Ovest, sia geografico
che di tipo tecnologico. Quindi probabilmente i costruttori di Göbekli Tepe
vennero da Sud.
L’insieme di genti che occupava in quel periodo il Sud di Göbekli Tepe viene
chiamato in genere con il termine di “Natufiani”, una cultura inquadrata tra il
12.500 a.C. e il 9.500 a.C. circa. Ma il termine “Natufiani” nei nostri giorni è
estremamente generico. La cultura natufiana è considerata molto insolita
dagli antropologi. Era una popolazione sedentaria anche prima
dell'introduzione dell'agricoltura. Questo è esattamente quanto si è osservato
a Göbekli Tepe. I costruttori, pur essendo dei cacciatori-raccoglitori, e non
degli agricoltori, diedero origine a qualcosa di stabile, e anche di grandioso.
Si ritiene che i Natufiani possano essere gli antenati dei costruttori dei primi
insediamenti neolitici della regione. Si pensa che la più antica città abitata in
maniera continuativa al mondo, ossia Gerico, sia una città natufiana. Questo
li porterebbe ad essere i costruttori dei primi insediamenti stabili al mondo,
scalzando anche i Sumeri.
Come abbiamo detto a proposito di Jerf el-Ahmar, sembra che i primi che
abbiano coltivato deliberatamente la segale siano stati i Natufiani, a Tell Abu
Hureyra, come minimo 12.800 anni fa. In Giordania, a Shubayqa, si trova la
prima prova di pianificazione agricola al mondo, risalente a 14.500 anni fa. A
Raqefet, sul Monte Carmelo, vicino ad Haifa, in Israele, si trova la prima
traccia di produzione di birra, e risale a circa 13.000 anni fa.
Alcune delle prime prove archeologiche sull'addomesticamento del cane
provengono proprio dai siti natufiani. Nel sito natufiano di Ain Mallaha in
Israele, datato 12.000 a.C., sono stati trovati sepolti insieme i resti di un
anziano umano e di un cucciolo di quattro-cinque mesi. Questo dettaglio
richiama alla mente il monolite B di Göbekli Tepe, che porta sulla destra
quello che sembra essere un cane. Anche questo dettaglio avvicina i Natufiani
a Göbekli Tepe .
Le abitazioni dei Natufiani erano semi-sotterranee, come quelle ritrovate a
Jerf el-Ahmar. La sovrastruttura era probabilmente fatta con pannelli di
legno. C’è comunque una netta distinzione tra le costruzioni di Göbekli Tepe
e quelle dei Natufiani in generale. I natufiani non usavano né mattoni di
fango, né rocce nelle loro costruzioni. Usavano solo il legno. Inoltre, le
costruzioni circolari avevano un diametro tra i tre e i sei metri, e contenevano
un camino rotondo centrale. Le costruzioni di Göbekli Tepe erano invece
molto più grandi, erano fatte con roccia di calcare, e al centro non
contenevano un camino, ma avevano i due monoliti centrali.
È quindi piuttosto chiaro che Göbekli Tepe apparteneva ad un periodo di
tempo diverso rispetto alle comuni costruzioni natufiane. Chi è venuto prima?
Le costruzioni di Göbekli Tepe o quelle natufiane in generale? Gli scavi a
Göbekli Tepe hanno dimostrato che le costruzioni più antiche erano più
grandi e di migliore qualità rispetto a quelle più recenti. Inoltre, le indagini
col carbonio 14 indicano che le costruzioni più antiche di Göbekli Tepe
corrispondono al più antico periodo natufiano, o addirittura lo precedono.
In senso lato, quindi, potremmo dire che i “Natufiani” che noi conosciamo
provengono da Göbekli Tepe, piuttosto che il contrario. Da qualche parte
devono esserci i villaggi dei “nonni” dei Natufiani, con abitazioni molto più
grandi di quelle comunemente ritrovate, ed in pietra, molto simili a Jerf el-
Ahmar. Con ogni probabilità sono stati loro i costruttori di Göbekli Tepe. E
avevano sviluppato la loro civiltà molto prima dei Sumeri.
9 – Gli uomini da Sundaland

Alcuni anni fa, ha suscitato una certa curiosità un libro di Bruce Fenton, “The
Forgotten Exodus”. Secondo un articolo comparso sul “New Dawn
Magazine” del luglio 2017, a firma dello stesso Fenton, in questo libro
l’autore sostiene che i primi homo Sapiens in realtà non hanno origini
africane, ma australiane. Secondo Fenton, i primi homo Sapiens sarebbero
migrati dall’Australia in Africa, e non viceversa, come affermano in generale
gli antropologi. Per dare forza a questa idea, Fenton ha evidenziato come
alcuni dei simboli scolpiti a Göbekli Tepe sembrano avere un diretto
collegamento con alcuni simboli usati dagli aborigeni australiani. Ad
esempio, i pilastri di Göbekli Tepe sono a forma di “T”. Similmente, secondo
Fenton, alcune tribù aborigene australiane usano dipingersi una “T” sul petto
a scopo religioso.
Secondo Fenton, a Göbekli Tepe ci sarebbe la raffigurazione di Yingarna,
una divinità aborigena. Nella cultura aborigena, questa divinità è raffigurata
anche come un serpente dai grandi occhi che porta un certo numero di borse.
Nelle borse è presente il seme umano che permette di produrre nuove razze
umane. In altre raffigurazioni Yingarna viene dipinta come una donna
nell’atto di essere fecondata. Il sito di Göbekli Tepe è pieno di raffigurazioni
di serpenti, ma contiene un’unica raffigurazione di una donna. In questo
unico dipinto femminile, la donna viene ritratta a gambe aperte, con un
organo sessuale estremamente vistoso. La sua testa sembra avere una forma
piuttosto strana. Può considerarsi simile a una foglia, o forse più
precisamente, alla testa di un serpente, così come vengono raffigurati a
Göbekli Tepe. Secondo Fenton, questa incisione è molto simile alla
raffigurazione australiana di Yingarna.
Inoltre, come abbiamo accennato, a Göbekli Tepe c’è un simbolo presente su
diversi pilastri. È composto da due semicerchi e da una sorta di “H” al centro.
Almeno in una circostanza, al posto della “H” sembra esserci una “I”.
Nessuno sa cosa voglia significare questo simbolo. Fenton fa notare come nel
libro "The Northern Tribes of Central Australia", di Spencer B., pubblicato
per la prima volta nel 1923, a pag. 58 viene riportato questo simbolo. Infatti,
nella pagina di quel libro è riportata la foto del ritratto di un “uomo della
medicina” della tribù dei Worgaia . Questo aborigeno ha dipinto sul petto un
simbolo molto simile ai due semicerchi con la “I” nel mezzo, che si trova a
Göbekli Tepe. Secondo Fenton, quindi, Göbekli Tepe sarebbe una sorta di
colonia degli aborigeni australiani.
È possibile?
Fenton ha ragione nelle sue affermazioni? Ovviamente tutto è possibile, e
non si può essere dogmatici su argomenti su cui gli stessi ricercatori non sono
ancora in grado di dare risposte certe. Comunque, allo stato attuale delle cose,
non sembra che le tesi di Fenton abbiano una seria base su cui poggiare. È
molto improbabile che gli homo Sapiens siano di origine australiana. Da un
punto di vista antropologico, gli ominidi presenti in Australia, chiamati
australopitechi, erano a tutti gli effetti delle scimmie, e scomparvero, si
pensa, 2 milioni di anni fa. Non c’è nessuna linea di collegamento diretta tra
gli australopitechi e l’homo Sapiens. La ricerca sul DNA ci dice che un
contatto tale da lasciare tracce tra degli esemplari di homo di Denisova (che
era stato sicuramente in Malesia, e quindi a Sundaland) e gli homo Sapiens
occidentali avvenne sicuramente, ma oltre 400.000 anni fa. Ma che dire di
epoche più storiche, più recenti? Allo stato attuale delle cose possiamo
escludere che il popolo di Göbekli Tepe provenga da Sundaland. Sembra
quindi che la teoria degli homo Sapiens provenienti dall’Australia, al
momento sia poco più di una provocazione.
Cosa possiamo dire del simbolo a forma di “T” dipinto sul petto di alcuni
aborigeni? A dire il vero, la “T” (o il Tau), è un simbolo ripreso da
moltissime civiltà in tutta la terra, e molte di queste non sono collegate tra
loro. Inoltre, sembra che a Göbekli Tepe (ad eccezione dei due monoliti
centrali) i pilastri erano a forma di “T” per ragioni architettoniche, e non
simboliche. Infatti, è probabile che sulla cima larga della “T” poggiasse
qualcosa, e questo spiegherebbe la forma dei pilastri.
Da ultimo, si può dire con una certa sicurezza che solo “alcuni” aborigeni
hanno disegnato sul loro petto una specie di “T”, mentre moltissimi altri
hanno disegnato altre figure, anche completamente astratte. Onestamente non
si può dire che il simbolo “T” sia il simbolo “unico” degli aborigeni
australiani, e nemmeno uno dei loro simboli principali. Solo un numero molto
esiguo di aborigeni ha usato questo simbolo, e sembra lo abbiano fatto per
ragioni del tutto personali. Considerata da questo punto di vista, quindi,
questa teoria cade da sola.
Che dire del simbolo delle due mezzelune con la sbarra centrale che compare
su diversi pilastri a Göbekli Tepe, e che sembra sia stato dipinto sul petto di
un “uomo della medicina” della tribù dei Worgaia? Va detto che il simbolo
che compare spesso a Göbekli Tepe è diverso da quello che compare sul petto
di quell’aborigeno. Nel simbolo scolpito sui monoliti di Göbekli Tepe, in
mezzo alle due semilune non c’è un bastoncino, ma una sorta di “H”. In
alternativa, sembra solo in una circostanza, compare una I con le due
estremità molto pronunciate (oppure è una H inclinata di 90 gradi). Sembra
che in nessun caso a Göbekli Tepe compaia un “bastoncino” liscio come sul
petto dell’aborigeno raffigurato. Quindi i due simboli sono solo “simili” e
non “identici”.
Da nessun punto di vista, quindi, né genetico né culturale, si può sostenere
che Göbekli Tepe sia una sorta di “colonia” degli aborigeni australiani. O
almeno, uno può sostenere quello che vuole, ma ha l’onere di provare quello
che dice. Nel caso di Göbekli Tepe, intesa come “colonia” australiana, queste
prove mancano. Viceversa, alcune “tracce” che non provano una
colonizzazione, ma un qualche “contatto” tra una civiltà proveniente da
Sundaland e gli abitanti di Göbekli Tepe potrebbero esistere.
Esploratori da Sundaland?
Un simbolo presente sui monoliti di Göbekli Tepe e che fa parte a pieno
titolo della cultura dell’Oceania, e quindi di Sundaland, è il segno delle due
“U” capovolte a 90 gradi, poste una di fronte all’altra, o se vogliamo di due
“C” maiuscole poste una di fronte all’altra, di cui una ruotata. In effetti
questo è uno dei simboli più importanti della cultura aborigena,
universalmente riconosciuto. Sembra che il simbolo voglia dire “due umani
che si incontrano”. Il luogo dell’incontro dipende da cosa si trova in mezzo
alle due “C” o “U”. Una “U” solitaria inclinata, indica infatti un “essere
umano”, senza pero alcuna attribuzione sessuale.
Questi simboli sono presenti molte volte nelle sculture di Göbekli Tepe. Non
si possono confondere con il simbolo della “mezzaluna”, perché questo è
stato scolpito, per esempio, nel “monolite B” del recinto D, ed è
completamente diverso dalle “C” o “U”. In questo caso la somiglianza tra i
simboli di Sundaland, Sahuland e Göbekli Tepe è innegabile. Certo, potrebbe
anche essere una coincidenza. Ma potrebbe anche non esserlo.
Come abbiamo detto precedentemente, Fenton e altri fanno notare che l’unica
figura femminile ritratta a Göbekli Tepe è una donna sotto alcuni aspetti
simile ad una delle rappresentazioni di Yingarna, la divinità australiana.
Questo può essere vero, ma bisogna dire che in giro per il mondo, anche oggi,
si vedono molti graffiti o disegni simili, anche sui muri. Questi disegni di
donne a gambe aperte non hanno oggettivamente nulla a che fare con la
divinità di Yingarna, o con qualsiasi altra religione.
D’altra parte, si possono fare anche altre considerazioni. Trattandosi di una
immagine unica, questa non è un motivo ricorrente a Göbekli Tepe, ma è una
eccezione. Se si trattasse davvero di una divinità locale, questa immagine
sarebbe stata riprodotta molte altre volte. Ma non è così. Questa immagine è
solo una rappresentazione sessuale? Ovviamente può esserlo. Ma la testa
della donna non sembra avere sembianze umane. Allo stesso tempo, però,
sembra essere nettamente diversa dalle rappresentazioni australiane di
Yingarna.
Sul perché quella donna sembra avere la testa di un serpente, così come viene
di solito rappresentato a Göbekli Tepe, ci possono essere varie spiegazioni. I
lineamenti non sono molto definiti, ma potrebbe trattarsi dell’unica figura
teriantropica femminile della storia antica. (Infatti, ad eccezione degli antichi
egizi, tutte le immagini di umani con testa di animale si riferiscono ad
individui maschi, e non a donne come in questo caso). Si tratterebbe della
prima raffigurazione di una sorta di “dea madre”. Una “nuova versione” di
Yingarna? Potrebbe essere. Ma anche in questo caso, come nei precedenti,
una “singola” somiglianza può indicare, al massimo, un “contatto”, ma non
una fusione culturale. Quindi anche la figura femminile presente a Göbekli
Tepe può indicare che c’è stato un breve ma significativo contatto tra
“visitatori di Sundaland” e abitanti della zona di Göbekli Tepe. Oppure può
essere una seconda coincidenza. Ma c’è un terzo, notevolissimo indizio, che
sembra indicare che ci sia stato un passaggio di almeno un gruppo di
“esploratori” proveniente da Sundaland che in qualche modo ha raggiunto i
costruttori di Göbekli Tepe.
Un uomo a cavallo di un uccello
In una delle stele presenti nel “recinto D” di Göbekli Tepe, chiamata “Stele
dell’Avvoltoio”, sono stati scolpiti diversi soggetti. In basso alla stele è stato
inciso quello che appare chiaramente come un essere umano itifallico e senza
testa. Si tratta di un cadavere? No. Infatti, anche se raffigurato senza testa,
questo uomo non è “sdraiato”, o “seppellito”, o “impalato”, o in qualche altra
posizione associata alla morte. Il piccolo uomo senza testa è scolpito in
posizione verticale, mentre muove il braccio destro e lo piega. Quindi nel
contesto in cui è stato posto, questo essere umano è assolutamente vivo.
Ovviamente gli esseri umani non vivono senza testa. Raffigurandolo in
questo modo, lo scultore ha voluto dire che questo uomo è “senza testa” nel
senso che ha uno “status sociale” simile ai due monoliti senza volto che sono
situati al centro degli edifici circolari di Göbekli Tepe. È un simbolo di onore.
Ma il dettaglio che spicca maggiormente, è che il piccolo uomo senza testa si
trova alle spalle di un uccello enorme. Infatti, il piccolo uomo senza testa è
raffigurato chiaramente su di un uccello gigante, come se lo stesse
cavalcando. Ad una prima impressione superficiale, sembrerebbe quasi un
uomo a cavallo di uno struzzo. È così?
Questo non dovrebbe sorprendere più di tanto noi occidentali. Gli struzzi
venivano usati come animali da lavoro sia dai romani che dagli Egizi, e
probabilmente anche nelle coste del Pacifico. Infatti, in Cina sono stati
ritrovati resti di struzzo risalenti a 25.000 anni fa. Inoltre, in molte parti del
mondo gli struzzi vengono comunemente cavalcati come se fossero dei
cavalli, e ci sono varie competizioni che li riguardano. Quindi se quella stele
raffigurerebbe un uomo cavalcare uno struzzo, non sarebbe nulla di troppo
“straordinario”. Sarebbe solo la conferma che le corse degli struzzi con
fantini umani sono più antiche di quanto pensavamo. La vera domanda è: si
tratta davvero di uno struzzo?
A guardarlo bene, non sembra. Se le proporzioni sono corrette, quell’animale
è alto almeno il doppio di uno struzzo. Il collo dell’uccello è lungo quanto
l’intera altezza dell’umano. Nella realtà si tratterebbe di un uccello alto
almeno 3 metri. Gli artisti di Göbekli Tepe erano in grado di disegnare gli
animali con grande maestria e precisione, e i dettagli non erano mai messi a
caso. Sembra improbabile, anche se non impossibile, che le dimensioni siano
state volutamente esagerate dallo scultore. Inoltre, il becco leggermente
ricurvo, con un taglio tipico del rostro dei rapaci, sembra appartenere al
mondo dei predatori.
La sagoma di questi uccelli ricorda moltissimo quella che gli aborigeni
australiani chiamavano “mihirungs”, un uccello della famiglia dei
Dromornithidae , simile allo struzzo e all’emù, che viveva solo a Sundaland e
Sahuland, o come diciamo oggi, in Australia. Poteva raggiungere i 3 metri di
altezza e i 500 chilogrammi di peso. Sono descritte come delle “gigantesche
oche carnivore”, vissute tra i 35.000.000 e i 20.000 anni fa. L’ultima variante
di questa specie, chiamata Genyornis, era un grosso uccello australiano ormai
estinto, che aveva un’altezza di circa 2 metri ed un peso di 225-230
chilogrammi.
Questa scultura non sembra essere solo una suggestione da parte dello
scultore. Infatti, nel pilastro n. 33 dell’edificio circolare denominato “D”, lo
stesso in cui si trova la Stele dell’Avvoltoio, si trovano raffigurati ben 4
uccelli che per le loro fattezze somigliano moltissimo a dei “mihirungs”. La
somiglianza è davvero notevole. In aggiunta, come abbiamo detto, in altri
punti del sito sono state scolpite delle file di uccelli che sembrano oche molto
tozze, e col becco molto robusto, con delle zampe esageratamente robuste.
Sembrano quasi delle “oche carnivore”. Secondo altri sono solo “oche
normali” disegnate in maniera feroce. Ma è difficile pensare che un animale
innocuo come un’oca possa essere raffigurata in maniera rapace. Sembrano
piuttosto dei “mihirungs” in miniatura.

Da ultimo, ci sono prove inconfondibili che antichi abitanti dell’Australia


realizzarono dei dipinti raffiguranti dei “mihirungs”. Uno di questi, realizzato
con un pigmento rosso, è stato ritrovato nella Arnhem Land, a Nord
dell’Australia. Secondo diversi studiosi questo dipinto ha almeno 40.000 anni
(e non potrebbe essere diversamente, visto che nessuno potrebbe ritrarre un
uccello estinto da millenni). La somiglianza tra questi uccelli australiani
ritratti in ocra rossa e quelli del pilastro 33 di Göbekli Tepe è impressionante.
Non sorprende se in diversi pensino che sia lo stesso uccello.
Se anche gli uccelli raffigurati nelle stele di Göbekli Tepe fossero davvero
delle Dromornithidae, dei “mihirungs”, questo indicherebbe un qualche tipo
di contatto tra gli antenati dei costruttori del sito di Göbekli Tepe e una
popolazione proveniente dall’Oceania in un periodo simile. Ma anche se i
quattro animali in cima alla stele raffigurassero il suo parente non estinto,
l'Emù, risulterebbe difficile capire come un popolo vissuto nella attuale
Turchia abbia potuto conoscere un uccello che vive solo in Australia.
(Comunque, l'Emù è troppo piccolo per somigliare al “grande uccello”
raffigurato nella Stele dell’Avvoltoio).
Se davvero l’uccello raffigurato è uno della famiglia dei Dromornithidae,
come il Genyornis, questo dettaglio darebbe una indicazione precisa su
quando avvenne il contatto tra gli abitanti di Göbekli Tepe e qualche
popolazione proveniente dall’Oceania: parliamo di un periodo risalente ad
almeno 20.000 anni fa, prima che gli ultimi esemplari di quell’uccello si
estinguessero. Allora la civiltà che ha partorito Göbekli Tepe deve essere
ancora più antica del periodo in cui quell’animale si è estinto. Solo in questo
modo il Dromornithidae può essere diventato un simbolo pittorico da
tramandarsi di generazione in generazione. Ovviamente non stiamo dicendo
che Göbekli Tepe in sé stesso sia così antico (anche se alcune singole parti
potrebbero esserlo). Piuttosto, i ricordi e la gente a cui si riferisce, sono molto
più antichi della stessa costruzione.
Al momento non sono stati ritrovati resti di Dromornithidae al di fuori
dell’Australia. Quindi è improbabile che quel tipo di uccello sia vissuto in
Turchia. Se ha mai messo piedi a Göbekli Tepe, dopo essere venuto, è tornato
indietro con i suoi padroni. Inoltre, solo poche stele ritraggono questi uccelli,
rispetto alla maggioranza che non lo fanno. Quindi quelle sculture non
indicano una colonizzazione da parte di visitatori australiani, o un mescolarsi
di culture. Viceversa, possono ben raffigurare la breve visita di alcuni che
vennero da lontano, forse esploratori, forse profughi, e che lasciarono una
tale impressione nella popolazione locale che entrarono nei loro ricordi
comuni.
È possibile che esploratori di Sundaland siano arrivati fin qui? Ricordiamo
che prima del disgelo si poteva arrivare a piedi da Sundaland fino in Europa.
E ricordiamo anche che è stato provato tramite esami del DNA che almeno
400.000 anni fa gli homo di Denisova raggiunsero la Spagna, la Malesia
(ossia Sundaland) e la Siberia. Ovviamente in questo caso si tratta
probabilmente di lente migrazioni avvenute nel corso di molte generazioni,
ma non dovrebbero sorprenderci viaggi così grandi nel nostro passato.
Ci sono prove schiaccianti che molto tempo prima della costruzione di
Göbekli Tepe, alcuni abitanti della Siberia arrivarono via mare fino in Perù,
diventando i progenitori di quelli che tutti conoscono come i “Nasca”. Fino a
poco tempo fa uno spostamento simile via mare sarebbe sembrato
fantascientifico per uomini di quel periodo. E invece oggi, usando l’esame
del DNA sui resti ritrovati, dobbiamo accettare che gli umani vissuti 20.000
anni fa erano in grado di effettuare una traversata simile, anche se
probabilmente si tennero sotto costa. Se un popolo che non era conosciuto per
le sue doti da navigatore è riuscito a raggiungere il Perù dalla Siberia circa
20.000 anni fa, un popolo di grandi navigatori come sono gli abitanti
dell’Oceania poteva raggiungere il Medio Oriente passando dal Golfo
Persico. Ovviamente il fatto che “potevano” non vuol dire che lo abbiano
fatto, ma è una possibilità reale.
La raffigurazione sulla Stele dell’Avvoltoio sembra indicare che, secondo il
suo scultore, gli “uomini senza testa” cavalcavano un uccello australiano
estinto. Il piccolo uomo a cavallo del grande uccello sembrerebbe indicare
che almeno alcuni esemplari di una qualche specie di questo uccello gigante
erano stati addomesticati. Ma se questo “contatto” ci fosse davvero stato,
allora bisognerebbe capire perché la popolazione di Göbekli Tepe onorava a
tal punto questi visitatori da considerarli “senza testa” (simili quindi ai due
monoliti). Probabilmente era l’onore più grande che gli abitanti di Göbekli
Tepe erano in grado di esprimere. Cosa avevano di così particolare questi
“visitatori” per ricevere un tale onore? Gli abitanti di Sundaland
nascondevano un segreto? Continuiamo la nostra ricerca.
10 – Un mondo che tramonta

Cosa è la famosa “Stele dell’Avvoltoio” di Göbekli Tepe? Con questo


termine si intende un pilastro catalogato con il n. 43 nell’edificio circolare
“D”, all’interno del complesso di Göbekli Tepe. Questo pilastro ha attirato
l’attenzione di molti studiosi a causa della ricchezza dei dettagli contenuti
nella sua decorazione. In molti pensano che l’artista che lo ha decorato abbia
voluto raccontarci una storia. Ma qual era il tema del suo racconto?

Nell’agosto del 2017 il prof. Sweatman e il prof. Tsikrstisis, dell’Istituto di


Ingegneria dell’Università di Edimburgo, dissero di poter dimostrare che il
sito di Göbekli Tepe originariamente era una specie di “centro astronomico”.
I due professori dell’Università di Edimburgo, analizzando la “Stele
dell’Avvoltoio”, dicono di poter datare con precisione quel manufatto,
attribuendolo al 10.950 a.C. ± 250 anni. I due docenti spiegano che la “Stele
dell’Avvoltoio” è in realtà una registrazione su pietra dello Younger Dryas .
Come sono riusciti i professori dell’Università di Edimburgo ad associare la
“Stele dell’Avvoltoio” allo Younger Dryas? Secondo gli studiosi, i vari
animali scolpiti su questo pilastro sono in realtà delle costellazioni. I due
studiosi sono partiti dal presupposto che gli antichi abitanti di Göbekli Tepe
usassero le nostre stesse costellazioni, associate però ad un animale diverso.
Usando il planetario virtuale “Stellarium”, che riesce a ricreare la volta
celeste in qualsiasi periodo della storia, i due studiosi dicono di essere riusciti
a far coincidere quelle raffigurazioni di animali con alcune “costellazioni”
visibili intorno al 10.950 a.C. circa. Secondo loro questa datazione coincide
in maniera sufficiente sia con l’età che si pensa abbia Göbekli Tepe sia con
l’evento dello Younger Dryas.
Secondo il prof. Sweatman e il prof. Tsikrstisis, il sito di Göbekli Tepe non è
solo un osservatorio astronomico, ma anche un memoriale. Infatti, le figure
che rappresentano la volpe e il cinghiale non indicherebbero costellazioni, ma
sciami di meteore, e probabilmente una cometa. Se questo fosse vero, allora
quella stele sarebbe il “ricordo astronomico” di quando gli sciami dei
frammenti delle comete colpirono la Terra. I due studiosi di Edimburgo
affermano che si sarebbe trattato probabilmente di due sciami meteorici
appartenenti alle Beta Tauridi. Questo sciame è stato originato dalla
frantumazione della cometa 2P/Encke.
Siamo in possesso di un’altra prova piuttosto certa (ma appartenente ad un
evento totalmente diverso), dell’impatto nell’atmosfera terrestre di un
frammento proveniente da Beta Tauridi. Il 30 giugno 1908, un meteorite con
un diametro variabile tra i 60 e i 100 metri, probabilmente proveniente dal
medesimo sciame, avrebbe causato una catastrofica esplosione nel cielo della
Siberia, nota come “Evento di Tunguska”. (Secondo le ultime scoperte, il
meteorite, fatto di ferro, non si sarebbe schiantato, ma avrebbe
semplicemente attraversato l’atmosfera in quel punto). A causa della sua
velocità, quel singolo piccolo meteorite avrebbe causato una detonazione di
circa 15 Megatoni, il corrispondente di 1.000 bombe atomiche sganciate su
Hiroshima. Secondo i professori di Edimburgo, l’impatto degli sciami di
meteoriti del 10.950 a.C. si sarebbe verificato nel Nord America. L’effetto
collaterale dell’impatto avrebbe poi generato lo Younger Dryas, una sorta di
“inverno nucleare” esteso a tutta la Terra.
Una diversa interpretazione
L’evento dello Younger Dryas verificatosi circa 12.800 anni fa, è ormai
accettato dalla comunità scientifica, almeno a grandi linee, come un fatto
estremamente probabile. I resti di una o più comete hanno effettivamente
bombardato la Terra, causando l’effetto di una sorta di “Terza Guerra
Mondiale Termonucleare” su gran parte della superficie terrestre. A questo si
associò anche una nuova breve era glaciale. In base a questo, probabilmente i
due professori di Edimburgo hanno ragione nel ritenere che i costruttori di
Göbekli Tepe siano stati testimoni di questo evento catastrofico. Ma,
probabilmente, non tutto quello che è stato affermato dai due studiosi è
corretto.
Innanzitutto, la struttura di Göbekli Tepe non è stata costruita tutta in una
volta, come alcuni vorrebbero far credere. Alcune strutture circolari sono più
antiche di altre. Tutte le strutture circolari sono più antiche di quelle
rettangolari. Inoltre, le strutture situate più in profondità nel terreno sono più
antiche di quelle che si trovano ai livelli più alti. Quindi quello che può essere
valido per la “Stele dell’Avvoltoio” e per l’edificio in cui è situata, non è
necessariamente valido per tutto il resto della struttura. La costruzione “a
strati” di Göbekli Tepe rende impossibile che ogni dettaglio di un singolo
edificio possa essere messo in relazione con altri edifici costruiti in tempi
diversi. Questo incide su alcuni “allineamenti” e “correlazioni” pensate da
alcuni studiosi.
Inoltre, i resti dissotterrati nei nostri giorni non sono esattamente identici a
quello che gli architetti di Göbekli Tepe costruirono. Questo è evidente da
alcuni aspetti. I due monoliti al centro di ogni struttura circolare sono stati
concepiti proprio per essere “spostati” in base al bisogno. Quindi nessuno ci
può assicurare che la posizione odierna dei due monoliti sia la stessa di
12.000 anni fa. Come hanno dimostrato i resti di Jerf el-Ahmar, è
estremamente probabile che sugli edifici di Göbekli Tepe ci fosse una sorta di
copertura leggera, forse in legno, che è andata perduta.
Se questo fosse vero, sarebbe più complicato, anche se non impossibile,
immaginare Göbekli Tepe come un osservatorio astronomico. Il cielo non era
osservabile da dentro i recinti, se questi erano chiusi da una copertura. E non
si può immaginare che in pieno Younger Dryas ci fossero edifici scoperti,
con il freddo che faceva. C’erano altre mura che poi sono state eliminate?
Semplicemente non lo sappiamo. Quindi qualsiasi attuale tentativo di
allineamento tra questi pilastri ritrovati e le stelle del cielo non ha molto
senso.

Inoltre, si nota come la “Stele dell’Avvoltoio” sia scolpita anche nella zona
che attualmente è nascosta da un muretto a secco, da cui spunta solo qualcosa
di simile all’incisione di un cane/volpe e di quello che sembra essere un
piccolo serpente (ma l’identificazione non è chiara in quel punto). Perché
scolpire qualcosa che poi doveva essere parzialmente coperto? L’unica
spiegazione è che la stele venne scolpita in maniera indipendente dal muro.
Quindi non è detto che, quando la stele fu scolpita, si trovasse
necessariamente nel punto in cui si trova oggi. Oppure, come seconda ipotesi,
possiamo pensare che il muretto a secco non faceva parte del progetto
originale, e venne aggiunto successivamente, coprendo quindi parte dei
pilastri.
Uno zoo di pietra
Gli aspetti già menzionati, ci fanno capire come sarebbe un errore pensare
che ogni piccolo dettaglio di Göbekli Tepe sia stato progettato e voluto in
quel modo sin dal suo concepimento. Questo pensiero sarebbe evidentemente
un errore, che potrebbe portare a conclusioni imprecise o affrettate.
Nonostante questo, è possibile che gli animali raffigurati a Göbekli Tepe
rappresentino costellazioni? Oggettivamente è probabile che la raffigurazione
di alcuni animali intagliati su alcuni pilastri a Göbekli Tepe rappresentino
davvero dei gruppi di stelle. L’uomo ha da sempre visto nelle stelle forme e
oggetti della sua realtà quotidiana. Ma anche se alcuni animali scolpiti su
alcune rocce probabilmente rappresentano delle costellazioni, non è detto che
“tutti” gli animali incisi su “tutte” le pietre di Göbekli Tepe rappresentino
“sempre” dei gruppi di stelle.
Se, per fare un esempio, noi vedessimo due pesci, un leone e un ariete
raffigurati in un giornale di astrologia odierno, capiremmo che si tratta di
costellazioni. Se vedessimo gli stessi animali raffigurati in un giornale di
zoologia, capiremmo che sono animali reali. Gli stessi animali vengono
considerati reali o simboli astratti a seconda del contesto in cui compaiono.
Quindi non è tanto l’animale in sé a giustificare la sua attribuzione come
“costellazione” o meno, ma il contesto dove è posto. Qual è il contesto di
Göbekli Tepe?
Nei vari pilastri che formano gli edifici circolari di Göbekli Tepe, i serpenti
vengono spesso raffigurati in gruppo, a volte anche in gruppi molto numerosi.
Non possono quindi rappresentare delle costellazioni, visto che in cielo non
esistono costellazioni identiche che si ripetono in gruppo. Anche le figure di
uccelli, che sembrano essere delle gru, sono state spesso scolpite in gruppi
numerosi nei vari pilastri. Per i motivi che abbiamo già accennato, anche loro
non possono rappresentare delle costellazioni. Anche le “oche carnivore”
sono state spesso scolpite in gruppo. Non possono quindi rappresentare
soltanto costellazioni.

Continuando il nostro esame, notiamo che almeno in un caso un animale


simile ad un leone viene raffigurato mentre azzanna una preda. Il leone in
questo caso viene raffigurato in quanto animale, e non rappresenta una
costellazione. Inoltre, se i disegni dei vari animali rappresentassero solo delle
costellazioni, l’ordine in cui vengono raffigurati dovrebbe seguire uno
schema fisso. Ad esempio, nel nostro moderno zodiaco, il Sagittario segue
sempre lo Scorpione, il Capricorno segue sempre il Sagittario, l’Acquario
segue sempre il Capricorno e così via. Nelle varie raffigurazioni degli animali
di Göbekli Tepe questo invece non avviene. Ad esempio, in una
raffigurazione si vede la sequenza Uro, Volpe, Gru, mentre in un’altra si vede
la sequenza Volpe, Cinghiale e molte Gru. È evidente che questi animali non
rappresentano il susseguirsi di segni zodiacali. Quindi, ne deduciamo che,
anche se è probabile che alcuni degli animali raffigurati a Göbekli Tepe
possano rappresentare delle costellazioni, questa non è la regola. Anzi,
probabilmente è l’eccezione.
Inoltre, nei pochi episodi in cui gli artisti di Göbekli Tepe hanno davvero
voluto rappresentare le costellazioni tramite animali, nessuno può sapere con
assoluta certezza a quali costellazioni si riferissero i vari animali raffigurati.
Voler paragonare a tutti i costi quegli animali alle costellazioni conosciute nei
nostri giorni è un esercizio troppo azzardato, un vero tirare a indovinare.

Da ultimo, si deve osservare che la disposizione di questi


animali/costellazioni scolpite sulle stele, è troppo imprecisa per essere
definita un vero calendario astronomico da cui ricavare una data precisa di un
dato evento. Volerlo fare è una vera forzatura che si basa su argomenti troppo
fragili per definirsi “scientifici”. Nel migliore dei casi si tratta solo di
indicazioni piuttosto vaghe.
11 - Un racconto su pietra

Se vogliamo ragionare in maniera logica e imparziale, dobbiamo mettere da


parte l’idea che la Stele dell’Avvoltoio possa essere usata come una sorta di
“calendario”, utile per ricavare la data precisa di alcuni avvenimenti
astronomici, come ad esempio l’evento dello Younger Dryas. Questo,
onestamente, sarebbe un esercizio con un margine di errore davvero troppo
grande per essere accettabile.

D’altra parte, non si può non notare l’evidente sforzo dell’autore della Stele
dell’Avvoltoio di raccontare una storia. Una storia la cui lettura e
decifrazione sarà sembrata ovvia a chi l’ha creata, ma a noi che non
conosciamo il significato dei simboli usati, risulta essere estremamente
oscura. Volendo essere coerenti, senza dover per forza legare questa storia ad
un evento astronomico o a una data, possiamo cercare di capire a grandi linee
il senso della Stele dell’Avvoltoio tenendo conto del punto di vista di chi l’ha
scolpita. Nulla lascia pensare che sia stata scolpita da un astronomo. Tutto
lascia pensare, invece, che sia stata scolpita da un artista di un tempo lontano,
per comunicarci qualcosa. Cerchiamo quindi di immedesimarci nei suoi
panni, e sforziamoci di vedere la stele con i suoi occhi.

Un primo aspetto che possiamo subito evidenziare, è che la stele nel suo
complesso viene suddivisa in 2 aree, o zone. La prima zona è la parte
superiore del pilastro, la testata, che indichiamo come zona A. La seconda,
che indichiamo come zona B, è la zona sottostante, che abbraccia tutto il
resto della stele. La zona B si può immaginare come un cerchio, il cui centro
è costituito da un piccolo cerchio posto proprio al centro della stele.
A sua volta, la zona B può essere divisa in altre zone più piccole, come i
diversi quadranti di un orologio da polso analogico. Possiamo evidenziare la
zona B1, una zona quasi triangolare che si restringe fino a toccare il disco al
centro della stele. Notiamo le zone B2, B3, B4, che sono sezioni di questo
quadrante, ciascuna con i suoi simboli. Teoricamente può essere aggiunta una
zona B5, visto che anche il bordo del pilastro contiene l’incisione di due
animali. Ma questa zona è da considerarsi un tutt’uno con il resto della zona
B.
La zona A
Concentriamoci ora ad esaminare la “zona A” che si trova in cima alla stele.
Come si può vedere confrontando le altre stele di Göbekli Tepe dove è stato
scolpito un racconto (come la Stele delle Gru), la zona superiore dei pilastri
viene spesso utilizzata come una sorta di intestazione. Come il titolo di un
libro, la zona in alto descrive il contesto del racconto. Come possiamo
descrivere il “titolo” di questa stele? Potremmo usare questa frase: “Quando
sulle nostre case tutto divenne buio”. Vediamo il perché di questa
affermazione.

La prima cosa che notiamo sono tre piccoli archi, attaccati ad un bordo di un
certo spessore. Li abbiamo contrassegnati nell’immagine con i numeri 1, 2, 3.
Secondo alcuni autori questi tre archi rappresenterebbero tre soli che
tramontano. Ma non sembra che questa sia una spiegazione corretta. Se
avesse voluto scolpire tre tramonti o tre albe, lo scultore non avrebbe
realizzato un bordo così evidente attorno ai semicerchi che
rappresenterebbero il sole. Avrebbe semplicemente scolpito tre emicicli senza
nessun bordo. (Infatti, più giù viene inciso un cerchio senza alcun bordo che
raffigura probabilmente il Sole, la Luna, o secondo alcuni la Terra).
Lo spesso bordo attorno ai tre emicicli probabilmente vuole esprimere il
concetto che tra lo spazio all’interno degli emicicli e l’esterno c’era qualcosa
che si interponeva, come un muro circolare. Si può notare che tutti i recinti
più antichi di Göbekli Tepe, come anche quelli di Jerf el-Ahmar, sono a
forma circolare. Al di sotto dei tre emicicli c’è qualcosa molto simile ad un
muro verticale. Si tratta quindi di costruzioni circolari munite di un tetto, in
tutto e per tutto simili agli edifici rinvenuti a Jerf el-Ahmar, e a come
probabilmente erano in origine le strutture a cerchio di Göbekli Tepe. Nella
parte alta della Stele dell’Avvoltoio sono quindi scolpite tre di queste case a
forma circolare.
Nella zona che dovrebbe rappresentare il cielo sulle tre piccole costruzioni
circolari, si vede un motivo con linee a zig-zag, che riempie l’intera
atmosfera al di sopra delle costruzioni. Cosa rappresenta questo motivo?
Ovviamente qualcosa riempiva il cielo, o qualcosa cadeva dall’alto fino a
saturare tutto l’ambiente. Cosa può cadere in maniera così fitta dal cielo, al
punto tale da essere rappresentato da un artista con una linea continua a zig-
zag? Il disegno indica che all’interno dei tre rifugi circolari ci si riusciva a
riparare da quel qualcosa che sembra cadere dal cielo. Infatti, il motivo a zig-
zag non è presente dentro le tre case, che evidentemente vengono descritte in
questo caso come una sorta di “rifugio”.
Si trattava di pioggia o neve? Gli abitanti di Göbekli Tepe vivevano in un
periodo freddo. Erano abituati alle intemperie. Una tempesta di neve non li
avrebbe minimamente impressionati. Probabilmente, quindi, l’elemento a zig-
zag si riferiva ad una sorta di “fall-out” estremamente fitto, che riempiva il
cielo, ma che non riusciva a penetrare all’interno dei tre rifugi semicircolari.
Probabilmente si trattava di nubi di detriti, o polvere, che si mischiavano con
l’atmosfera.
Quei tre muri a semicerchio ben raffigurano le costruzioni in pietra in cui,
durante quel periodo, ci si rifugiava da un evento atmosferico improvviso, e
probabilmente mai visto prima. Essendo pieno di un elemento estraneo,
evidentemente il cielo doveva apparire molto scuro. Di cosa si poteva
trattare? Probabilmente delle cause che portarono allo Younger Dryas. A
causa del bombardamento dei frammenti di cometa, il cielo era diventato
oscuro, e di colpo era tornata una piccola era glaciale. Per sopravvivere
bisognava ripararsi all’interno delle costruzioni. Il tutto è descritto con
sorprendente realismo.
Sembra che questa scultura contenga anche un elemento di carattere
cronologico. A fianco ad ogni rifugio si nota la presenza di un diverso
animale, che abbiamo indicato con i numeri 4, 5, 6. Il primo sembra essere un
uccello, probabilmente una gru. Il secondo sembra essere un uro, un toro
selvatico. La disposizione delle zampe del terzo animale, insieme alla forma
della coda e della testa, lascia pensare che rappresenti qualche forma di
anfibio, una specie di rana con la coda. Comunque, non è possibile la sua
esatta identificazione, ma in questo contesto non è nemmeno indispensabile
sapere esattamente di che animale si tratti.
Non è possibile che la vicinanza degli animali alle costruzioni semicircolari
voglia dire che gli esemplari di quelle specie sono stati allevati dagli abitanti
delle costruzioni raffigurate. La gru, il toro selvatico e in genere gli anfibi
non sono animali da allevamento. Inoltre, come abbiamo detto
precedentemente, a Göbekli Tepe non esiste alcun resto di animali da
allevamento. In questo caso le raffigurazioni dei tre animali potrebbero
indicare dei simboli di alcuni clan. In base alla raffigurazione incisa sulla
stele, se i tre animali dovevano raffigurare dei clan, allora vuol dire che i
componenti di diversi clan si dovettero rifugiare nelle costruzioni
semicircolari a causa di quello che cadeva dal cielo. Ma se questa spiegazione
potrebbe essere realistica per l’uro, visto che molti lo esibivano come trofeo,
non sembra che lo stesso avvenisse per la gru e per la rana. In nessun punto di
Göbekli Tepe questi animali sembrano essere indicati come ornamenti di
qualche clan.
Più realisticamente, quei tre animali in questo contesto possono rappresentare
delle costellazioni. (Come abbiamo detto precedentemente, un singolo
animale può indicare in contesti diverse cose diverse. In questo caso la gru,
che in altri contesti viene raffigurata come un semplice animale, o come
simbolo degli uomini-uccello, sembra assumere il significato di
costellazione). Se i tre animali rappresentano tre diverse costellazioni, allora
l’intera scena descritta in cima alla cosiddetta Stele dell’Avvoltoio
rappresenterebbe un periodo di tempo.

Quali tre periodi di tempo vengono indicati? Ci sono almeno due opzioni. Ad
esempio, i cinesi usano indicare ogni nuovo anno con una costellazione
diversa, chiamandolo, ad esempio, “l’anno del dragone, l’anno del maiale”, e
così via, in base al nome che danno alle costellazioni. Quindi le tre
costellazioni potrebbero indicare un periodo di tre anni. Questo breve periodo
di tempo sarebbe compatibile con la “fase acuta” dello Younger Dryas.
Oppure, loro assegnavano a ciascuna costellazione, in base al suo sorgere da
qualche punto all’orizzonte, un certo periodo di tempo. La raffigurazione dei
tre animali potrebbe voler dire che l’avvenimento sia durato un periodo di
tempo che loro usavano indicare con quelle tre costellazioni. Questo è del
tutto plausibile. Il problema è che noi non possiamo sapere in alcun modo a
quali costellazioni si riferissero, e nemmeno quale periodo di tempo
associassero ad ogni costellazione. Ogni tentativo di associare il loro modo di
suddividere il cielo alle nostre costellazioni, o ricorrendo a fenomeni come la
“precessione degli equinozi” è solo un azzardo. Non abbiamo nessuna prova,
né diretta né indiretta, di queste similitudini. L’unica constatazione che
possiamo fare è che gli animali che identificano queste tre costellazioni sono
molto più piccoli rispetto a quelli incisi nella parte inferiore della stele. Molto
probabilmente, quindi, indicano periodi di tempo più brevi.
Al di là della durata effettiva del periodo descritto sulla cima della Stele
dell’Avvoltoio, sembra abbastanza evidente che l’artista abbia voluto
descrivere un determinato periodo di tempo. Durante quel tempo, qualcosa
dal cielo si abbatteva sulle costruzioni. La linea a zig-zag può indicare
qualche tipo di fall-out di polvere e detriti, associato al buio e al freddo.
Sicuramente si trattava di qualcosa di assolutamente fuori dalla norma, al
punto tale che gli abitanti sono stati costretti a vivere al riparo, in costruzioni
umane o in caverne che servivano da rifugi. La somiglianza con la
descrizione degli effetti dello Younger Dryas è notevole.
Il cerchio della zona B
Se la parte alta della Stele dell’Avvoltoio, ossia la zona A, serve come
“titolo” del racconto, nella parte sottostante, la zona B, abbiamo il racconto
vero e proprio, ovviamente in forma simbolica. L’elemento centrale della
zona B è il cerchio che si trova al centro della scena. Di cosa si tratta?
Secondo alcuni, considerando l’abitudine della gente dei villaggi vicini a
Göbekli Tepe di tagliare la testa ai defunti qualche tempo dopo che erano
stati inumati, e considerando che in basso si vede un uomo senza testa, questa
sfera dovrebbe rappresentare una testa umana. Ma i fatti smentiscono questa
idea. Non solo a Göbekli Tepe non è mai stato trovato un teschio umano
separato dal corpo, ma non sono mai stati ritrovati resti umani di alcun tipo.
Nessuno venne mai decapitato, né da morto né tantomeno da vivo, a Göbekli
Tepe. Quel sito non venne mai usato per seppellire nessuno.
Inoltre, basta vedere l’abilità usata dall’artista per rappresentare i diversi
becchi dei vari uccelli, per capire che era perfettamente in grado di disegnare
una testa umana molto più realistica di un semplice cerchio, se avesse voluto
farlo davvero. Come abbiamo visto esaminando i due monoliti centrali, gli
“uomini senza volto”, o “senza testa”, sono un elemento centrale nella cultura
locale. Il piccolo uomo senza testa rappresenta qualcosa che ha una stretta
connessione con i due personaggi raffigurati dai due monoliti. (Ne abbiamo
parlato approfonditamente nel capitolo 7). Trattandosi di uomini che sono già
“senza testa”, non ci dovrebbe essere nessuna testa da staccare. Quindi quel
cerchio posto al centro della scena deve rappresentare qualcos’altro.

È evidente che l’autore ha inciso sulla pietra la forma di un disco. Alcuni


pensano che si tratti del disco del Sole. Certo è una possibilità. Infatti, uno dei
simboli presenti sul monolite B sembra essere un emisfero unito ad una
mezzaluna, forse a rappresentare il simbolo Sole/Luna. Ma preso come entità
unica, il Sole visto ad occhio nudo appare come un disco solo all’alba e al
tramonto. Nella restante parte del giorno è visibile solo la corona solare, ma
questa è accecante se vista ad occhio nudo. È piuttosto difficile pensare che il
Sole sia stato rappresentato con un semplice disco, senza i raggi solari che lo
circondano. Un tale disegno non avrebbe rappresentato fedelmente la sua
forte luminosità.
Per gli antichi abitanti di Göbekli Tepe, l’unico disco visibile in cielo senza
particolari problemi era la Luna piena. Il nostro satellite, con la sua debole
luminosità, ogni volta che era visibile come “Luna piena”, poteva essere ben
rappresentato da un disco. Ma sembra sia piuttosto raro che i popoli antichi
rappresentassero la Luna con un disco, visto che per la maggior parte del
tempo il nostro satellite è visibile sotto forma di mezzaluna. Infatti, nel
Monolite B la Luna è rappresentata da una falce.
Non esiste, quindi, una risposta univoca e inconfutabile su cosa rappresenti il
disco nel cielo inciso nella Stele dell’Avvoltoio. L’unica cosa certa è che era
visibile a tutti, essendo posizionato al centro della stele. Alcuni pensano che
si tratti di un disco volante. Questa possibilità non può essere esclusa a priori.
Infatti, non è escluso che si possa trattare di qualcosa di simile al “Falso
Sole” di Fatima. Il 13 Ottobre del 1917, in Portogallo, vicino alla cittadina di
Fatima, tra le 30.000 e le 40.000 persone si radunarono per assistere ad un
fenomeno che era stato preannunciato. Oltre a fedeli e religiosi, erano
presenti anche atei, scettici, giornalisti e professori universitari. Secondo
molti testimoni, ad un certo punto tra le nuvole apparve come un disco opaco
e argenteo, che in molti scambiarono per “il Sole”. (Oggettivamente non
poteva essere il Sole, visto che la nostra stella non è argentea e tantomeno
opaca di giorno).
Secondo molti testimoni questo disco iniziò ad emettere diverse gradazioni di
luce, e a muoversi in maniera veloce e convulsa. Da notare che, anche se il
disco argentato si muoveva, non sembra che le ombre e le luci nella zona
circostante cambiassero in qualche modo. Questa è una ulteriore conferma
che il “vero Sole” continuava a splendere come al solito, e quella gente stava
guardando qualcosa di diverso. Ad un certo punto quel disco iniziò ad avere
un moto a “foglia morta”, e perse gradualmente quota fino a scendere quasi
sulla testa della folla. Ne potevano avvertire il calore, e secondo molti i loro
abiti bagnati vennero asciugati in un raggio di 70 metri, mentre il fenomeno
sembra essere stato visibile da circa 20 chilometri. Chi ha scolpito la Stele
dell’Avvoltoio ha visto lo stesso “Sole”? Non possiamo escluderlo.
L’ultima opzione, che da un punto di vista logico sarebbe la più calzante, è
che quel cerchio raffiguri semplicemente la Terra, sospesa in mezzo alle
costellazioni. Il ragionamento non farebbe una piega, se non ché uno scultore
di 12.000 anni fa non poteva conoscere né la forma della Terra né che questa
era sospesa “tra le stelle”. Sarebbe stato necessario che qualcuno, venuto dal
di fuori della Terra, avesse dovuto spiegare allo scultore che la Terra altro
non è che una “pallina” sospesa tra le costellazioni. Che è, oggettivamente,
quello che è stato scolpito sulla Stele dell’Avvoltoio. Lasciamo che ciascuno
tragga le sue conclusioni.
La zona B1
Attorno a questo “disco” si svolge tutta la scena pensata dallo scultore.
Quello che nella zona A viene riassunto con un’unica immagine, nella zona B
viene spiegato con una serie di immagini. Tutto ruota attorno all’elemento del
disco, come i numeri di un ipotetico orologio da polso si trovano attorno al
suo centro. Continuando la descrizione della Stele dell’Avvoltoio, possiamo
notare le incisioni della “zona B1”, che formano quasi un triangolo
capovolto, immediatamente sotto la “zona A”. In questa parte della stele
compare nuovamente il tema a zig-zag visto nella parte superiore.
Evidentemente questa “fetta” di quadrante descrive il periodo di tempo in cui
dal cielo cadeva un “fall-out” di detriti e polvere, qualcosa da cui doversi
riparare nelle case. Quindi, il racconto sembra dire che c’è stato un periodo di
tempo in cui qualcosa riempiva tutta l’aria circostante, come se cadesse dal
cielo, e che produceva probabilmente un clima freddo che costringeva la
gente a rifugiarsi al chiuso. In quel periodo di tempo la gente è stata costretta
a vivere dentro un riparo. Questo non vuol dire che lo scultore della Stele
dell’Avvoltoio fosse in vita in quel periodo, o che in generale gli abitanti di
Göbekli Tepe assisterono tutti personalmente a quell’evento. Si tratta solo di
una storia scritta su pietra, qualcosa di tramandato dalle generazioni passate,
e che doveva essere tramandato alle generazioni future.
Ad un certo punto questo motivo a zig-zag viene interrotto da una sorta di
muro, o una fila di mattoni. Probabilmente quel muro indica il muretto che
delimitava i recinti circolari di Göbekli Tepe, o di altre strutture simili. Il
muro compare due volte. È interessante notare come alcuni dei recinti
circolari avessero davvero un doppio muro. L’artista sta quindi ripetendo la
scena che compare sulla testata del pilastro, ma da un punto di vista diverso:
l’interno dei recinti. Indica il tempo in cui, a causa di dense nubi e freddo che
calarono improvvisamente nel loro insediamento, dovettero di corsa rifugiarsi
al chiuso.
Tutta la facciata della zona B della stele è costruita come una sorta di
orologio. Prima e dopo la comparsa del “elemento a zig-zag” il cielo era
limpido, e si potevano vedere le costellazioni, simboleggiate dagli animali
incisi sulla stele. Bisogna ora capire da quale verso gira l’orologio. Come
vedremo in seguito, è molto probabile che le incisioni a destra della zona B1
siano quelle che descrivono avvenimenti più recenti. Quindi a sinistra della
zona B1, ossia la zona B2, rappresenta il passato più lontano. Poi accadono
gli avvenimenti della zona B3, poi B4 e B5, e infine il “clou”, descritto nella
zona B1.
I due esseri alati
Non tutte le figure attorno al disco centrale rappresentano delle costellazioni.
Come abbiamo detto precedentemente, alcuni elementi vengono ripetuti
almeno due volte nel contesto. Ma ovviamente non possono rappresentare
“costellazioni gemelle”, perché queste non esistono. Quindi devono
rappresentare qualcos’altro. Fra questi simboli ripetuti troviamo quelli che
sembrano essere due gru, che abbiamo indicato con il numero 13. Ma ad un
più attento esame si nota una particolarità fondamentale. Questi due uccelli
raffigurati hanno gambe che si piegano al contrario, come quelle umane.
Specialmente l’incisione 13 sembra avere la tipica muscolatura delle gambe
umane. Se si paragona questo con l’incisione 2 in alto a sinistra, nella “zona
A”, dove compare una gru, si vede perfettamente che in quel caso questo
uccello è stato scolpito correttamente. Evidentemente le figure 13 e 14
vogliono rappresentare qualcosa di diverso. Non si tratta quindi di un errore
dell’artista, ma di una deformazione intenzionale. Lo scultore ha deciso di
raffigurare in quel punto esseri metà uccello e metà uomo.
Secondo alcuni studiosi, tra cui il defunto Klaus Smith, quelle due gru
rappresenterebbero degli sciamani che, da umani, si trasformerebbero in
uccelli. Questa è senza dubbio una spiegazione interessante e che può avere
una sua logica. Ma non è l’unica. Basta guardare quelle immagini da un
punto di vista diverso, e si comprende che di esseri umani “con le ali” è piena
la mitologia di quella regione. La religione Zoroastriana, Ebraica, Cristiana,
Islamica, ma anche le religioni precedenti che si erano affermate nella zona,
avevano tutte in comune la figura dei “messaggeri celesti”, chiamati angeli,
rappresentati sempre e comunque come esseri umani con le ali. È vero che
tutte queste religioni sono sorte millenni dopo la costruzione di Göbekli
Tepe. Ma è possibile che i due esseri “metà uccello e metà umani” possano
essere il prototipo di queste figure mitologiche, a cui in seguito hanno attinto
le grandi religioni monoteistiche del Medioriente?
Le immagini teriantropiche di Sulawesi risalenti a 44.000 anni fa, l’uomo-
leone scoperto in Germania e datato come risalente a 40.000 anni fa, l’uomo
uccello della “Grotte de Lascaux” in Francia , e qualsiasi altro ritrovamento
simile che verrà scoperto nei prossimi anni, rovesciano completamente l’idea
che avevamo sulla “nascita della religione”. Questi ritrovamenti ci dicono che
“gli dèi” comparvero nella storia umana molto prima di quanto ci si
aspettasse. Anzi, a questo punto si può dire che le realizzazioni artistiche più
significative degli homo Sapiens che sono state ritrovate, raffigurino sempre
e in ogni caso almeno uno di questi esseri mitologici. Diversi ricercatori sono
ora portati a credere che questo concetto, ossia l’idea che gli umani abbiano
avuto contatti con esseri “non umani” e definiti “divinità”, siano essi contatti
reali o immaginari, qualsiasi cosa abbia voluto dire questo nel passato, sia un
concetto vecchio quanto l’homo Sapiens.
Questo aspetto non va preso per scontato. Tanto per fare un esempio, i dipinti
rupestri degli homo Neanderthalensis, molto più antichi di quelli degli homo
Sapiens, risalenti al 65.000 a.C., non raffigurano mai questi esseri
teriantropici. Va detto che le ultime scoperte sul DNA affermano che gli
homo Neanderthalensis possono considerarsi come una semplice variazione
dell’homo Sapiens. Come gli homo Sapiens, anche gli homo
Neanderthalensis dipingevano, creavano piccole statuine, e avevano tutti gli
atteggiamenti tipici dei nostri antenati. L’unica cosa che ci differenziava
nettamente era che l’homo Neanderthalensis era più adatto dell’homo Sapiens
alle rigidità del clima freddo, perché viveva da molto tempo in Europa, che in
quel tempo era una zona molto fredda. Per questo motivo era più tarchiato,
più forte e più peloso.
Gli homo Neanderthalensis, che a differenza dell’homo Sapiens non
ritraevano nei loro dipinti esseri “che vengono dal di fuori”, si estinsero tra il
40.000 a.C. e il 25.000 a.C. Non ne è restato in vita nemmeno uno. Invece,
l’homo Sapiens, nettamente più debole dal punto di vista fisico, sopravvisse.
Ancora nessuno sa spiegarsi in maniera convincente il perché. Si propongono
varie idee, ma per il momento nessuna di esse viene accettata dalla comunità
scientifica come “definitiva”. La risposta può trovarsi, tra le altre cose, nel
contatto, o nella mancanza di esso, con “coloro che venivano dal di fuori”?
La vicinanza, reale o immaginaria, degli homo Sapiens a questi esseri che
provenivano dal di fuori, e la mancanza di questa vicinanza negli homo
Neanderthalensis può essere stato un fattore discriminante? È un’idea
provocatoria, ma considerando quanto poco ne sappiamo sul nostro passato,
non può nemmeno essere “cassata” a priori.
Cosa rappresentano “realmente” i due esseri metà umani e metà uccelli? È
difficile dirlo a 12.000 anni di distanza. Quello che però si può dire, è cosa
rappresentassero per gli artisti di Göbekli Tepe che li hanno realizzati. Come
vedremo in seguito, secondo le leggende o la storia di Göbekli Tepe, questi
due “uomini-uccello” rappresentavano entità celesti che sono intervenute
nella storia degli abitanti del luogo in un preciso periodo storico. Ovviamente
il fatto che gli abitanti di Göbekli Tepe pensavano che questo intervento fosse
davvero accaduto, non è un motivo sufficiente per crederci alla cieca. Il
mondo è pieno di leggende inattendibili. Ma, come vedremo nel prossimo
capitolo, conoscere il loro punto di vista su questo aspetto risulta
indispensabile per chiarire l’idea che questo popolo aveva del suo passato.
Queste due immagini compaiono immediatamente a destra della zona B1.
Quindi la scultura sembra voler dire che, immediatamente prima che si
verificasse lo Younger Dryas (raffigurato nella stele come un “elemento a
zig-zag”), e quindi poco prima di 12.800 anni fa, questi esseri fecero la loro
comparsa. Una descrizione molto più accurata di questo avvenimento
compare nella Stele delle Gru, che esamineremo nel prossimo capitolo.
Il simbolo del serpente
Un altro simbolo ripetuto due o più volte, e che per questo motivo nel
contesto non può indicare una costellazione, è il simbolo del serpente, che
abbiamo indicato con i numeri 8 e 13. In tutto il sito di Göbekli Tepe, sono
stati raffigurati 23 gruppi di serpenti, per un totale di oltre 200 serpenti.
Questo luogo si potrebbe quindi chiamare “il sito del serpente”. Il numero dei
serpenti raffigurati supera di molte volte il numero di tutti gli altri animali
messi insieme. Con poche eccezioni, tutti i serpenti si muovono dall’alto
verso il basso. Sembra, quindi, che cadano dal cielo. Un movimento certo
inusuale per un serpente. Inoltre, nel recinto C, successivo al primo recinto, il
“D”, i serpenti non compaiono. Questo fa pensare che la figura del serpente
non indichi le vipere presenti nella zona, altrimenti sarebbero state raffigurate
in tutti i recinti, e non solo in alcuni.
Nella Stele dell’Avvoltoio, un grosso serpente sembra passare di fronte ai due
uomini-uccello. In alcuni pilastri sembra essere raffigurata una vera invasione
di serpenti. Cosa rappresentano? Molto probabilmente rappresentano comete
o asteroidi. La coda tipica di una cometa è il risultato del vento solare che
soffia sulla sua “chioma”, man mano che questa si avvicina al Sole. Questo
vuol dire che quando è possibile osservare una cometa ad occhio nudo, quasi
certamente questa deve aver già sviluppato la sua “coda”. Man mano che la
cometa si avvicina alla Terra, questa coda estremamente rarefatta diventa
sempre più visibile.
Una cometa estremamente vicina alla Terra, mostrerebbe una “testa” molto
luminosa, e una lunghissima “coda” luminosa al suo seguito. Potrebbe quindi
avere l’aspetto di un “serpente di luce”. Quindi il simbolo del serpente
potrebbe rappresentare effettivamente una cometa che si è avvicinata molto
alla Terra. Spesso, le comete che si avvicinano troppo al Sole, esplodono in
mille pezzi. Se questo fosse accaduto anche a quella cometa, mentre
raggiungeva il suo perielio rispetto alla Terra, per forza di gravità i suoi
frammenti sarebbero precipitati sul nostro pianeta, come sembra sia
effettivamente accaduto. Dal punto di vista di un osservatore del passato,
sarebbe sembrato che da un “grosso serpente di luce” siano nati tantissimi
“piccoli serpentelli di luce”, che è esattamente quello che si vede nelle
sculture di Göbekli Tepe.
Secondo lo scultore, il “grosso serpente” passa davanti ai due uomini-uccello
immediatamente prima che compaia “l’elemento a zig-zag”, quindi
immediatamente prima dello Younger Dryas. Questo è confermato da molti
astronomi e astrofisici, secondo cui una o più comete si avvicinarono alla
Terra, esplodendo. I loro frammenti bombardarono la Terra provocando come
effetto collaterale lo Younger Dryas. Possiamo dire che il simbolo del
serpente, nella Stele dell’Avvoltoio, rappresenta un evento accaduto circa
12.800 anni fa, quando una o più comete, o frammenti di esse, impattarono
sulla Terra. Secondo lo scultore, gli uomini-uccello, o i prototipi degli
“angeli”, in quel periodo di tempo erano già qui.
Il simbolo dei monoliti
Il terzo elemento che si ripete due volte, e che quindi non può raffigurare una
costellazione, è rappresentato da due bastoncini disposti perpendicolarmente
tra loro, con entrambe le estremità ingrossate. Sembrano quasi una “I”
maiuscola e una “I” ruotata a 90 gradi. Li abbiamo indicati con il n. 14.
Questo è forse il simbolo più profondo tra quelli raffigurati nella stele, perché
non rappresenta qualcosa di reale, come un animale o un uomo. Viceversa,
rappresenta un’idea o un concetto. È quindi un vero ideogramma, un concetto
messo per iscritto da uomini vissuti almeno 12.000 anni fa.
Come abbiamo detto in precedenza, questo è lo stesso simbolo che compare
sulla cintura di uno dei due monoliti posti al centro dell’edificio circolare “D”
a Göbekli Tepe. Possiamo ritrovarlo rispettivamente a destra e a sinistra del
perizoma di quel monolite. Che relazione c’è tra gli avvenimenti descritti
nella stele e quel simbolo? L’artista vuole forse dirci che i due monoliti
compirono qualche azione in quel punto del racconto? Se il cerchio al centro
di tutto dovesse rappresentare la Terra, allora sembra che lo scultore indichi
che la cometa (rappresentata dal Serpente), si trovava tra i due uomini-uccello
(che erano vicini alla Terra) e i due monoliti, che erano oltre la cometa.
Questo porrebbe i due monoliti, o ciò che essi rappresentano, chiaramente
“nello spazio”.
C’è un dettaglio che potrebbe essere una coincidenza o qualcosa di voluto.
Ingrandendo l’immagine, si vede come la “coda del serpente” sembra
generarsi da uno dei due simboli dei monoliti, quasi come se la “cometa”
provenisse da loro. Non sembra essere solo un caso, perché cambiando i
soggetti, la Stele delle Gru sembra dire esattamente la stessa cosa.
(Ovviamente, il fatto che lo scultore fosse convinto che la cometa provenisse
da due “oggetti” nello spazio, non vuole dire che il racconto sia
automaticamente vero. Stiamo solo cercando di decifrare quello che lo
scultore voleva esprimere).
Volendo riassumere, da questo dettaglio della stele sembra di capire che,
mentre la cometa che ha causato lo Younger Dryas sfrecciava nel cielo, da
questa parte si trovavano esseri che apparivano come se fossero “alati” (e la
cui presenza compare in tutti i testi sacri mediorientali, dove vengono
chiamati “angeli”). Oltre la cometa c’erano altri esseri solo vagamente umani,
descritti con la potenza di un uro, probabilmente l’essere vivente più potente
conosciuto da quegli abitanti. La cometa sembrerebbe provenire da uno dei
due schieramenti. Lo scultore voleva descrivere una fantasiosa “guerra tra
divinità”? Stava assistendo davvero ad uno scontro tra esseri celesti? O erano
solo degli osservatori? Erano lì per aiutare? Riprenderemo in seguito il
discorso. Ad ogni modo, in base ai dati disponibili, tutto questo dovrebbe
essere accaduto circa 12.800 anni fa.
Un aspetto cronologico
Osservando il racconto scolpito sulla Stele dell’Avvoltoio, si nota che le
incisioni continuano anche sul bordo piatto dalla parte destra della roccia.
Visto che questo non accade negli altri punti della stele, è segno che
evidentemente lo scultore aveva bisogno di “più spazio” per terminare il suo
ragionamento. Sul bordo della stele è stata incisa quella che sembra essere
una grossa formica (per altri è un ragno), che abbiamo indicato con il numero
15. Le antenne in cima alla testa e le tre paia di zampette sembrano indicare
in maniera netta che si tratti di una formica (i ragni normalmente hanno otto
zampe e non hanno le antennine). Ma la cosa strana, che fa credere ad alcuni
che si tratti di un ragno, è il corpo della formica che è stata incisa. Ha una
pancia talmente gonfia da far credere che sia un ragno. Non sembra che
attualmente in natura esistano formiche simili. Almeno non nei nostri giorni.
Per trovare una formica “monstre” di quel tipo, con un ventre molto gonfio,
dobbiamo pensare che si tratti di una “formica regina”, che ha il ventre molto
più grande del resto del corpo, perché partorisce tutte le larve della colonia.
Ma questa non sembra essere una spiegazione convincente. La possibilità che
un essere umano, durante la sua vita, possa vedere una formica regina è
estremamente limitata. Ne esiste solo una ogni formicaio, e trascorre tutta la
sua vita da “regina” all’interno di esso.

Per trovare una formica simile che poteva essere vista durante la vita di un
uomo normale, dobbiamo andare molto indietro nel tempo, e scomodare la
“Titanomyrma lubei”, una formica preistorica estinta, che era grande quanto
un piccolo colibrì. Ma secondo molti studiosi, questa formica è scomparsa
prima che l’homo Sapiens avesse fatto la sua comparsa sulla Terra. La
“formica panciuta” è un errore dell’artista, o la raffigurazione di qualche
parente di questo insetto preistorico che esisteva ancora in quel tempo, e che
poi si è estinto? Non possiamo saperlo.
Vicino alla formica è stato inciso una specie di scorpione, ma che sembra
possedere soltanto le due chele, senza zampette, e con la coda molto più
lunga di uno scorpione normale. Lo abbiamo indicato con il numero 16.
Sembra raffigurare un Mixopterus, una specie di “scorpione preistorico”
lungo circa 75 centimetri. Ma anche se la somiglianza è notevole, c’è un
problema: anche questo animaletto doveva essere già estinto quando sulla
Terra è comparso l’homo Sapiens. Da dove l’artista abbia preso un
Mixopterus come “modello” è davvero un mistero. La risposta più semplice è
che esisteva in quel tempo una specie di artropode, simile al Mixopterus, che
poi si estinse.
Possiamo notare che in una sola stele compaiono almeno tre animali
“apparentemente preistorici”, che si pensa fossero già estinti al tempo della
realizzazione di Göbekli Tepe. (1) Un uccello gigante della famiglia dei
Dromornithidae (forse un Genyornis). (2) Una specie di scorpione preistorico
estinto, forse un parente stretto del Mixopterus (3) Una formica gigante
estinta, simile alla “Titanomyrma lubei”. Ovviamente qualcuno potrà pensare
che siano stati errori dell’artista, o che abbia lavorato di fantasia. E questo
può senz’altro essere vero. Ma se a questo aggiungiamo che anche i due
monoliti hanno caratteristiche che sembrano spostarli di molto nel passato, le
domande su quanto fossero antichi i ricordi a cui potevano attingere gli
abitanti di Göbekli Tepe diventano imbarazzanti. Le informazioni contenute
nella Stele dell’Avvoltoio potrebbero essere tra le più antiche della storia
umana. (La stele stessa, invece, come vedremo, può avere circa 12.000 anni).
In ogni caso, cosa rappresentano la “formica panciuta” e lo “scorpione dalla
lunga coda”? Rappresentano sicuramente delle costellazioni, e costituiscono
il “fattore tempo” di questa scena. È come se lo scultore abbia voluto dirci:
“Nel periodo compreso tra la comparsa della costellazione della
Titanomyrma lubei e la comparsa della costellazione del Mixopterus, è
apparsa la cometa che poi ci ha colpiti”. Di questo periodo di tempo
conosciamo solo il finale, lo schianto avvenuto circa 12.800 anni fa. Non
siamo in grado di dire a che periodo di tempo corrispondano le due
costellazioni, ossia quando la cometa iniziò ad apparire nel cielo. Però,
analizzando il resto della stele, possiamo farci un’idea di massima.
Il resto della stele
Abbiamo isolato i simboli che descrivono quello che è accaduto circa 12.800
anni fa, ossia: (1) Il “serpente”: gli abitanti locali hanno visto sfrecciare nel
cielo una cometa. (2) la “formica panciuta” e lo “scorpione dalla lunga coda”:
questo avvenimento è avvenuto mentre quelle due costellazioni, a noi ignote,
erano visibili. (3) I due uomini-uccello e i due simboli dei monoliti: durante
quel periodo erano presenti esseri che “venivano dal di fuori”, e la cometa è
nata dai monoliti. (4) Il triangolo con il “motivo a zig-zag”: dopo lo schianto,
tutto il cielo si riempì di qualcosa di scuro, e gli abitanti furono costretti a
vivere al chiuso per un certo periodo di tempo, probabilmente a causa anche
del freddo intenso.
Proseguendo in senso antiorario, lo scultore ci dice anche cosa accadde
“prima” che la cometa apparisse nel cielo. Il simbolo con il numero 11 è uno
scorpione. L’animale raffigurato è identico in tutto e per tutto ad un
“Hottentotta hottentotta”, una specie di scorpioni ancora oggi presente in
Turchia. Solo un dettaglio lo rende diverso dagli attuali scorpioni:
l’animaletto ucciso sembra avere due antenne sulla testa, che normalmente gli
scorpioni del nostro tempo non possiedono. (Il modo con cui queste
protuberanze vengono raffigurate, rende improbabile che si tratti dei cheliceri
di uno scorpione). Si tratta anche in questo caso di una specie scomparsa? O
di un errore dello scultore?
Con ogni probabilità questo scorpione rappresenta una costellazione. Non
esiste nessuna prova che la loro costellazione dello scorpione corrisponda a
quella che noi usiamo chiamare nello zodiaco con lo stesso nome. La ragione
è semplice: nel cielo non esiste nessuno scorpione. È solo la nostra fantasia
che ci fa unire con punti immaginari le luci delle varie stelle, e in base a chi le
osserva quei punti possono ricordare uno scorpione, o un granchio, o una
lucertola. Quello che a noi interessa sapere è che, secondo lo scultore, durante
il periodo di tempo in cui era visibile la costellazione dello scorpione accadde
qualcosa. Cosa?
Il simbolo 10 rappresenta rispettivamente un uccello enorme e un piccolo
uomo senza testa (o senza volto) che sembra essere sopra di lui. Ne abbiamo
già abbondantemente parlato in precedenza. La sproporzione tra il grande
collo dell’uccello e il piccolo umano senza testa è troppo marcata per essere
casuale. Sembra che l’artista voglia dire che, mentre era visibile la
costellazione dello scorpione, i loro antenati si incontrarono con uomini
venuti in groppa a degli struzzi giganti. Uccelli di quelle dimensioni sono
esistiti solo in Oceania. Lo scultore descriverebbe quindi un incontro tra
“esploratori” venuti da Sundaland, e i loro antenati. Questi “esploratori”
vengono descritti come “senza testa” in segno di rispetto. Nel loro
linguaggio, è come se fossero stati considerati dei semi-dei. Furono loro ad
aver insegnato agli abitanti locali il culto dei monoliti senza testa? O furono
addirittura loro a fargliene dono? Ad ogni modo il piccolo uomo è itifallico, e
quindi è evidente che si tratti di esseri umani. A quanto può risalire questo
incontro? Gli uccelli giganti australiani si estinsero tra i 30.000 e i 20.000
anni fa. Se il grande uccello veniva da Sundaland, l’incontro deve essere
precedente alla sua estinzione.
Alcuni ipotizzano che, quando nelle antiche sculture si vedono uomini a
cavallo di uccelli giganti, questi rappresentino degli aerei. Allo stato attuale
delle cose, non esiste nessuna traccia che una civiltà passata avesse una
tecnologia tale da permettere loro di avere aerei come i nostri moderni caccia.
Potevano invece possedere degli strumenti più semplici per il volo, come dei
deltaplani, che permettevano loro di librarsi in aria usando le correnti? Questo
non può essere escluso del tutto, visto che in Siberia e in Perù sono stati
ritrovati dei geoglifici sul terreno talmente grandi (si parla anche di alcuni
chilometri) che possono essere osservati solo in volo. Leonardo da Vinci
aveva progettato “macchine volanti” diversi secoli prima che la nostra
tecnologia producesse degli aerei. Quindi non è qualcosa di impossibile a
priori. Ma finché nulla di tutto questo viene ritrovato, restano solo ipotesi da
confermare. Comunque, di questo parleremo in seguito.
Avvenimenti passati
Continuando ad osservare i simboli che si trovano sempre più a sinistra,
continuiamo il nostro viaggio nel tempo nella memoria degli abitanti di
Göbekli Tepe. Si nota subito che, mentre sul lato destro i simboli si
accavallano per quanto sono numerosi, man mano che ci si sposta verso
sinistra questi diventano meno numerosi. Questo è piuttosto naturale, perché
andando indietro nel tempo, i ricordi sono sempre più vaghi e imprecisi.
Purtroppo, da questo punto in poi la stele risulta parzialmente rovinata, quindi
la sua lettura è solo un tentativo. Altri due simboli, che abbiamo indicato con
i numeri 8 e 9, sono parzialmente nascosti dal muro in cui la stele è stata
incastonata. Da quello che si vede sembra trattarsi di una volpe comune, e di
un secondo serpente. Ma il riconoscimento non è facile.
Se quello che si vede è un serpente, questo è più piccolo del precedente.
Sembra che lo scultore voglia dirci che, immediatamente prima della
comparsa della costellazione dello Scorpione, apparve in cielo un’altra
cometa. Per essere ricordata, doveva essere qualcosa di impressionante.
Infatti, confrontando la Stele delle Gru, si comprende come anche questa
prima cometa abbia generato uno sciame di meteore che ha colpito la Terra.
Ma non sembrano essere descritti fenomeni associati a questa cometa. Quindi
o gli impatti sono stati più leggeri, oppure l’evento è accaduto in un luogo
lontano.
Immediatamente vicino al simbolo del serpente, compare quello del
cane/volpe (ammesso che l’animale sia quello). Rappresenta una
costellazione, ed è un’altra indicazione di tipo temporale. Ma manca un pezzo
della stele, quindi non possiamo dire cosa indichi. Il racconto termina con la
figura che conferisce il nome a questa stele, ma che a conti fatti, sembra
essere la meno significativa. Infatti, si aggiunge il simbolo numero 7, che
raffigura un avvoltoio dal collare. L’avvoltoio sembra tenere sulla sua ala il
cerchio centrale, o potrebbe essere solo una coincidenza. Secondo lo scultore
il loro “tempo” inizia con la costellazione dell’Avvoltoio.
Riassumendo
Volendo usare simboli più moderni per raffigurare il racconto della Stele
dell’Avvoltoio, questa potrebbe essere raffigurata come nell’immagine in
questa pagina. Riassumendo quanto detto finora, possiamo dire che gli
elementi chiave sono quattro: (1) Il disco centrale. (2) Il triangolo capovolto.
(3) Gli animali che si trovano attorno al disco centrale. (4) Altri simboli che
raccontano eventi. Nella Stele dell’Avvoltoio sono raffigurati alcuni animali
disposti attorno al cerchio che potrebbe rappresentare la Terra. Di questi
animali, quelli che dovrebbero rappresentare delle costellazioni, a partire da
sinistra, sono: l’Avvoltoio, la Volpe/il Cane, lo Scorpione, la Formica e il
Mixopterus.
È evidente che il modo in cui queste costellazioni sono state incise non mira
assolutamente alla “precisione astronomica”. L’artista che ha realizzato la
Stele dell’Avvoltoio non stava incidendo una carta stellare. Infatti, come è
facile notare, all’appello mancano le tre costellazioni incise nella “Zona A”,
vale a dire l’Uro, la Rana e la Gru “normale”. Il numero complessivo delle
costellazioni conosciute dagli abitanti locali salirebbe quindi ad 8, ma
esaminando le altre stele del sito sembra che gli abitanti di Göbekli Tepe ne
annoverassero molte di più. Quindi la Stele dell’Avvoltoio rappresenta solo
alcune costellazioni di fra le tante usate dalla gente di quel tempo per
immaginare il cielo.
Alcuni pensano che, nell’insieme, la stele descriva il cielo come lo vedevano
gli abitanti di Göbekli Tepe. Ma è poco probabile che la soluzione sia questa.
Diversi simboli incisi, come abbiamo detto precedentemente, non
rappresentano delle costellazioni, ma “eventi” di cui quel popolo era stato
testimone. Se la stele rappresentasse la mappa del cielo in maniera statica,
senza movimenti, questo vorrebbe dire che tutti gli eventi raffigurati nella
stele si sarebbero verificati contemporaneamente. Ma, come abbiamo visto
nei paragrafi precedenti, questo non può essere corretto.
Il modo in cui sono state disposte le costellazioni, tutte attorno al disco
centrale, sembra voglia dire che ruotassero attorno ad esso. (Che il disco
rappresenti la Luna o la Terra poco importa). Non può trattarsi di un
movimento reale di quelle costellazioni intorno ad un punto centrale. Le
costellazioni ruotano in quel modo solo al Polo Nord e al Polo Sud. Per
questo motivo, nemmeno questa spiegazione può essere quella giusta. Deve
quindi trattarsi di una “rotazione” di tipo logico, e non reale.
Questo ci porta a ritenere che, per l’artista che le ha incise, quelle 5
costellazioni rappresentavano 5 diversi periodi di tempo. (Lo stesso
ragionamento sembra valere per le tre costellazioni che sormontano i tre
rifugi nella zona A). Queste 5 costellazioni usate dall’artista e poste in
cerchio attorno alla Terra (o qualsiasi cosa il cerchio rappresenti) erano quelle
che gli servivano per rappresentare una specie di “orologio”. Come le lancette
dell’orologio indicano di volta in volta un numero diverso, e in questo modo
scandiscono il passare del tempo, allo stesso modo l’osservatore poteva
ripercorrere a ruota diversi avvenimenti che erano accaduti nel lontano
passato del suo popolo.
In questa specie di “orologio”, o “calendario circolare”, si nota che
l’elemento che occupa tutta la parte alta, e che divide letteralmente il
calendario in due, è una sorta di triangolo capovolto. Guardando ancora più
in alto, nella “zona A”, lo scultore indica cosa facessero gli abitanti di
Göbekli Tepe in quel tempo: erano dentro i rifugi per ripararsi dal “elemento
a zig-zag”, l’evento conosciuto come Younger Dryas.
Secondo gli archeologi (ed è confermato anche dal suo contenuto), questa
stele è stata incisa verso il 10.000 a.C. Dalle informazioni ricavate dagli
antropologi, sembra che i primi resti di homo Sapiens nella zona risalgano a
circa il 60.000 a.C. Quindi, in linea di massima, la stele può raccontare
avvenimenti che si verificarono tra il 60.000 e i 10.000 a.C. Questo vuol dire
che, in media, ogni “costellazione” potrebbe anche indicare un periodo
approssimativo di 10.000 anni (Ovviamente non stiamo dicendo che sia per
forza così, ma è solo un ragionamento indicativo per capire di che arco di
tempo stiamo parlando).
Non sappiamo in base a quali cicli astronomici lo scultore assegnasse ad ogni
costellazione la durata di un certo periodo di tempo, e non è nostra intenzione
tirare a indovinare. Questi dettagli ci sono semplicemente ignoti.
Considerando che non era intenzione dello scultore fornire delle date precise,
possiamo parlare solo di “datazioni indicative”.
Analizzando la stele, abbiamo compreso che gli avvenimenti sono stati
descritti in senso antiorario. Il “triangolo capovolto” è quindi il “gran finale”,
e gli avvenimenti descritti raccontano come si è arrivati a quell’evento.
Partendo quindi dalla sinistra del triangolo, e procedendo in senso antiorario,
il primo simbolo che troviamo è quello dell’Avvoltoio. Trattandosi della
rappresentazione di una costellazione, questa non raffigura un evento, ma un
periodo di tempo. Ci troviamo circa nel 60.000 – 50.000 a.C., e la
popolazione è uscita dal “collo di bottiglia genetico” dovuto al “grande
freddo”. (Ne abbiamo parlato in “Cassandra 3 – Il cammino dei
sopravvissuti”). La costellazione successiva in senso antiorario, la Volpe, ci
porta attorno al 50.000 - 40.000 a.C. Quella successiva, lo Scorpione,
indicherebbe il 40.000 - 30.000 a.C. circa. Procedendo in senso antiorario
troviamo la costellazione della Formica, che indicherebbe un periodo di
tempo intorno al 30.000 - 20.000 a.C. L’ultima costellazione è quella del
Mixopterus , che ci porterebbe verso il 20.000 - 10.000 a.C., che è
esattamente il periodo di tempo in cui si pensa sia stata scolpita questa stele.
Parallelamente a queste 5 costellazioni, sulla stele sono stati incisi 5 eventi,
che evidentemente erano della massima importanza per gli abitanti locali. Se
si osserva la stele, si nota come questi 5 eventi non si trovino precisamente
tra una costellazione e l’altra, ma sparsi un po’ al loro interno. Questo rende
ancora più evidente che non era intenzione di chi ha realizzato la stele creare
un vero “calendario” o un vero “orologio” da lasciare ai posteri. Le datazioni
vanno fatte “a occhio”, e quindi sono largamente imprecise. Si può solo
comprendere in linea di massima a quale millennio si riferiscono i vari eventi.
Una lettura di un antico racconto
Con questo in mente, notiamo che in quella stele tutto ha inizio con la
costellazione dell’Avvoltoio, che sembra quasi tenere in mano il cerchio
centrale, o la Terra. Perché? Probabilmente la gente del posto vedeva gli
avvoltoi abbattersi sui cadaveri lasciati sul terreno. È quindi naturale che
venissero associati alla morte, e di riflesso alla vita. È probabile che
rappresentassero il confine con l’ultraterreno. Quindi, la prima costellazione
che gli abitanti del posto riuscirono a identificare in qualche modo, venne
associata all’Avvoltoio. Questo può coincidere con il periodo di tempo in cui
quella popolazione arrivò nella zona. Perché possiamo affermarlo?
Le Grotte di Lascaux sono un complesso di caverne che si trova nella Francia
sud-occidentale. Sono chiamate “la cappella sistina del Paleolitico”, perché
su questa grotta verso il 15.500 a.C., e quindi circa 17.500 anni fa, vennero
dipinte delle stupende scene di animali, tra cui l’uro. Come riferisce un
recente numero di Focus, una entoastronoma francese, Chantal Jégues-
Wolkiewiez, asserisce di aver individuato in alcuni di questi animali delle
costellazioni, tra cui quelle dell’uro e dell’unicorno. Secondo la studiosa, le
grotte vennero scelte in base al loro ingresso, che in determinati periodi
dell’anno permettevano particolari allineamenti con le stelle.
Se questo risultasse vero (e molti indizi sembrano accreditare almeno nei
punti principali questa idea), questo vorrebbe dire che già 5.000 anni prima di
Göbekli Tepe esistevano astronomi, o come minimo astrofili, che avevano
già tratteggiato la mappa delle loro prime costellazioni. Sorprendentemente,
quindi, l’astronomia è un’attività che precede l’agricoltura e la pastorizia, e
nessuno può dire con precisione quando sia iniziata. Forse, è compagna
dell’uomo da sempre. È quindi probabile che la prima costellazione
identificata dagli abitanti di Göbekli Tepe risale grosso modo al periodo di
tempo in cui questi si stabilirono nella zona.
Continuando ad esaminare i simboli incisi sulla stele in senso antiorario,
troviamo la costellazione della Volpe/del Cane. Anche questo simbolo è
parzialmente coperto, e quindi la sua identificazione non può essere del tutto
certa. Da quel poco che si vede, il simbolo sembra simile al cane che compare
in uno dei due monoliti. Ma non possiamo sapere cosa ci sia nella parte
coperta, quindi inutile speculare.
Il primo “evento” che compare in senso antiorario dopo la costellazione del
Cane/Volpe, è un serpente. Sulla stele, comunque, questo simbolo è
parzialmente coperto da un muretto. Abbiamo detto che il simbolo del
serpente rappresenta una cometa o un meteorite. Questo vorrebbe dire che, in
quel periodo di tempo, è precipitato un meteorite o una cometa non di
proporzioni estintive, ma sufficientemente grande da dover essere
menzionato tra gli avvenimenti “memorabili”.
Fino ad oggi sono stati rinvenuti 3 diversi crateri che, verso il 45.000 a.C., si
sono formati in seguito all’impatto di corpi celesti con la Terra: il Meteor
Crater in Arizona, lo Xiuyan in Cina, e il Lonar in India. Sembra che questi
crateri si siano formati come risultato dell’impatto di un asteroide/cometa del
diametro compreso tra 1 e 2 chilometri. L’esplosione derivata dall’impatto
deve essere stata violentissima, pari a una potentissima bomba all’idrogeno di
svariati megatoni. Il “piccolo” serpente della stele può riferirsi a uno di questi
impatti, o a qualche altro di cui non siamo ancora a conoscenza. Comunque,
secondo la Stele delle Gru anche questa cometa si sarebbe rotta in mille
pezzi, bombardando la superficie del suolo.
Dopo la costellazione della Volpe, compare la costellazione dello Scorpione.
In corrispondenza di questa costellazione, e quindi verso il 30.000 a.C., si
verifica il secondo evento “degno di nota” nella storia dei costruttori di
Göbekli Tepe. Nella stele compare un piccolo uomo senza testa sopra un
enorme uccello. Come abbiamo spiegato precedentemente, probabilmente
questa incisione si riferisce all’incontro degli antenati dei costruttori di
Göbekli Tepe con umani che cavalcavano dei grandi uccelli, forse dei
Genyornis. Diversi indizi sembrano indicare che provenivano dal Sud-Est
Asiatico, dalla zona di Sundaland e Sahuland. Il contatto con quella
popolazione, per dover essere ricordato tra i “grandi eventi”, in qualche modo
deve aver profondamente influito sulla vita della gente del posto.
Probabilmente sono stati portatori di nuove conoscenze, o nuovi culti. Furono
loro, in seguito, a costruire Nan Madol, i Patung e le Kalambas? È molto
probabile. (Ne parliamo in maniera approfondita nel prossimo volume).
Continuando in senso antiorario, troviamo la costellazione della Formica, che
ci porta al 20.000 a.C. circa. La costellazione successiva, quella del
Mixopterus , ci porta intorno al 10.000 a.C. Tra queste due costellazioni, si
vede un vero “accavallarsi di simboli”, che corrisponde ad un “accavallarsi di
eventi”. Evidentemente, secondo chi ha inciso la stele, in quel periodo si sono
verificati una serie di avvenimenti di natura “epocale”. A partire da sinistra, il
primo evento descritto è quello dei due esseri metà uccello metà uomo,
l’archetipo degli “angeli”. L’artista indica che, in qualche modo, i suoi
antenati erano venuti in contatto (reale o presunto) con queste entità. Di chi o
di cosa si trattava? Indipendentemente dal fatto che ci sia stato davvero
questo contatto, o che si trattasse solo di una legenda popolare, questo
avvenimento è molto diverso da quello descritto dal piccolo uomo senza testa
a cavallo di un grande uccello. Gli uomini a cavallo degli uccelli vengono
descritti fondamentalmente come esseri umani, probabilmente molto avanzati
culturalmente, e quindi percepiti come delle semi-divinità.
Viceversa, gli uomini-uccello non sono più esseri umani. Sono esseri simili
agli umani, ma capaci di volare. Erano quindi qualcosa di non umano.
Possiamo considerarli divinità, o esseri provenienti da altri pianeti. Dal punto
di vista degli umani di 10.000 anni fa che abitavano Göbekli Tepe, tra le due
cose non ci sarebbe stata alcuna differenza. Che ruolo hanno avuto queste
entità? Un’altra stele, la “Stele delle Gru”, che esamineremo a fondo nel
prossimo capitolo, si occupa di rispondere a questa domanda.
Immediatamente a destra dei due “angeli” si trova il simbolo di un grosso
serpente. Quel simbolo inciso ci dice che, secondo l’autore, dopo la comparsa
“degli angeli”, la Terra è stata colpita da una grossa cometa. (Più
precisamente, secondo i ricercatori, si tratterebbe di uno sciame di comete
che si fecero in mille pezzi prima di raggiungere la Terra, creando un vero e
proprio bombardamento di frammenti). Sappiamo che a questo punto ci
troviamo in un tempo pari a circa 12.740 anni fa. Le città e i villaggi che si
trovarono lungo la traiettoria dei frammenti di cometa vennero disintegrati.
Quelli che si trovavano nelle vicinanze dei luoghi dell’impatto vennero rasi al
suolo dall’onda d’urto. Quelli che restarono in piedi dovettero affrontare il
gelo dello Younger Dryas.
Ancora più a destra del serpente è stato inciso il simbolo contenuto nella
cintura di uno dei due monoliti. Viene posizionato tra la cometa e le due
costellazioni: un chiarissimo riferimento a qualcosa che si trovava nello
spazio. La coda del serpente è piegata in maniera tale che sembra provenire
dal simbolo dei monoliti. Quindi, secondo l’artista che ha realizzato la stele,
la coda della cometa sembrava provenire dal secondo monolite. Può essere
una allusione alla possibilità che l’impatto sia stato causato dai monoliti,
come una sorta di “punizione divina”? È molto probabile che il senso del
racconto sia quello.
È utile ricordare un punto fondamentale: nella Stele dell’Avvoltoio non è
narrata nessuna “verità assoluta”. Sono scolpiti avvenimenti che, secondo
l’autore della stele, sono accaduti nel lontano passato del suo popolo. Ma non
è affatto detto che tutti corrispondano a fatti reali. Potrebbero anche essere
semplici leggende tramandate di generazione in generazione. Li prendiamo
quindi per ciò che sono, semplici parti di un racconto antico. Ma abbiamo
anche visto che affiancando a questi racconti la storia geologica e
antropologica della Terra, almeno in alcuni dei punti principali elencati,
questi racconti non sembrano affatto una leggenda, ma poggiano su fatti
davvero accaduti.
L’intera scena potrebbe essere considerata come una sorta di cronologia, utile
non a tenere il computo del tempo, ma ad avere una sorta di “elenco degli
eventi da non dimenticare”. Ma, come ci si poteva aspettare, la Stele
dell’Avvoltoio non è, e non poteva essere, l’unica cronaca dei “grandi eventi”
descritti dagli artisti di Göbekli Tepe. Anche altri pilastri nella stessa zona
sembrano raccontare i dettagli di questi avvenimenti, anche se probabilmente
la Stele dell’Avvoltoio contiene il racconto più accurato. Esaminiamo nel
prossimo capitolo un altro di questi “racconti su pietra” che sono attualmente
disponibili. Probabilmente, col tempo, ne verranno trovati altri.
12 – Attaccati?

Come abbiamo detto nel capitolo precedente, oltre alla Stele dell’Avvoltoio,
altri pilastri a Göbekli Tepe contengono il racconto di avvenimenti accaduti
nel lontano passato. Alcune di queste storie si riallacciano in maniera diretta
al racconto contenuto nella Stele dell’Avvoltoio. Una di queste storie
compare nel pilastro n. 33 dell’edificio circolare denominato con la lettera
“D”, lo stesso in cui si trova la Stele dell’Avvoltoio. Chiameremo il pilastro
33 con il nome di “Stele delle Gru”.
L’intestazione
Come per le altre stele che formano i “recinti di pietra”, anche in questo caso
il pilastro è composto da un lato largo e da un lato corto, che corrisponde allo
spessore della stele. La parte alta del pilastro è un po' più ampia del resto
della stele, formando la classica “T” dei pilastri di Göbekli Tepe. Nella parte
superiore della stele, compare una sorta di “intestazione”. In questo caso sono
stati scolpiti quelli che, ad un esame superficiale, possono sembrare 4 grossi
struzzi. Ma il loro collo, il loro becco e la loro testa è incisa in maniera molto
simile al “grande uccello” cavalcato “dall’uomo senza testa” visto nella Stelle
dell’Avvoltoio, e ad altri uccelli simili che compaiono nel sito. Si tratta
quindi dello stesso tipo di uccello gigante, le cui fattezze ricordano gli uccelli
della famiglia dei Dromornithidae, gli uccelli giganti australiani. Potrebbe
trattarsi quindi di quattro Genyornis.

A cosa si riferiscono questi uccelli? Altri due pilastri ci aiutano a capire il


senso di questa immagine. Nel pilastro P1 del recinto “A”, successivo di
alcuni secoli al recinto “D”, si assiste ad una “stilizzazione” del tema dei
serpenti. L’intreccio dei serpenti che cade dall’alto, e che sembra stia per
colpire una pecorella, è disegnato quasi come se fosse una “rete”. Questa
forma stilistica successiva, evidentemente, serve ad indicare che i serpenti
erano numerosissimi.
Lo stesso tema “a rete”, che indica una moltitudine di serpenti, è presente
anche nel pilastro P12 del recinto “C”. Anche se in questo recinto, successivo
al recinto “D”, non compaiono serpenti disegnati normalmente, in questo
pilastro si vede chiaramente come dietro gli “uccelli giganti” si cela quella
sorta di “rete” di serpenti. Abbiamo detto precedentemente che, nella
simbologia della Stele dell’Avvoltoio, i serpenti rappresentano i frammenti
delle comete caduti circa 12.800 anni fa. Tutto lascia pensare che anche nella
Stele delle Gru gli sciami di serpenti abbiano un significato simile. Non si
tratta quindi di serpenti letterali, ma di sciami di frammenti di comete.

Ma a quale sciame di comete si riferisce? Il messaggio, infatti, può avere


diversi significati. Il primo è che gli “uccelli giganti” provenienti da
Sundaland, e i loro cavalieri, si trovassero a Göbekli Tepe quando ci fu il
bombardamento di meteoriti che portò allo Younger Dryas. Ma questo
porterebbe l’incontro tra gli uomini che venivano da Sundaland e gli abitanti
locali a 12.800 anni fa circa. Questo sembra molto improbabile, visto che in
quel tempo gli animali descritti dovevano già essere estinti da almeno 10.000
anni.
Se guardiamo meglio nella Stele dell’Avvoltoio, come abbiamo visto
precedentemente, notiamo che non compare solo uno, ma ben due “serpenti”.
Questo indica che ci sono stati non uno, ma due impatti con una cometa. Il
primo serpente era stato scolpito molto vicino al simbolo dello Scorpione.
Questo vuol dire che, nel ricordo dello scultore, il primo bombardamento di
frammenti di cometa avvenne nel periodo di tempo della costellazione dello
Scorpione. Immediatamente sotto all’incisione dello Scorpione, compariva un
uomo senza testa a cavallo di un uccello enorme, probabilmente appartenente
alla famiglia dei Dromornithidae. Questo vuol dire che il primo
bombardamento di comete si verificò in un periodo di tempo molto vicino a
quando gli abitanti di Göbekli Tepe incontrarono il popolo a cavallo dei
“grandi uccelli”, il popolo di Sundaland.
La Stele delle Gru, insieme alle altre Stele di Göbekli Tepe, potrebbero voler
dire la stessa cosa. I grandi uccelli comparvero in un periodo molto vicino al
primo bombardamento delle comete di cui gli scultori di Göbekli Tepe
ebbero notizia, che è diverso dal “secondo bombardamento” che poi portò
allo Younger Dryas. In questo caso le due stele racconterebbero due episodi
simili ma diversi.
Ma esiste anche una seconda possibilità. Ossia che questo racconto si
riferisca a qualcosa che avvenne nella “Terra degli uccelli giganti”, ossia
Sundaland e Sahuland. In questo caso gli uccelli non rappresenterebbero
esemplari di Genyornis ancora in vita in quel tempo, ma semplicemente il
“popolo a cavallo dei grandi uccelli”. Questo spiegherebbe perché
l’intestazione della stele è occupata da questi animali. La stele vorrebbe dirci,
quindi, che anche loro, il “popolo di Sundaland”, subirono il bombardamento
di meteoriti. Questa potrebbe essere una spiegazione logica, ma implica che
da Sundaland qualcuno sia arrivato per poterlo raccontare.
I ricercatori hanno stabilito che in tre circostanze, nel 12.500 a.C., nel 9.500
a.C. e nel 5.500 a.C., la banchina dell’Antartide ha avuto dei cedimenti
improvvisi, dovuti al disgelo. Questa enorme mole di ghiaccio sciolto ha
provocato tre diversi innalzamenti improvvisi dell’acqua a Sundaland.
Specialmente i primi due eventi, quello del 12.500 a.C. e del 9.500 a.C.
possono aver spinto la gente di Sundaland molto lontano da casa loro.
Arrivarono di nuovo fino a Göbekli Tepe? Non può essere escluso.
Secondo gli studi sugli effetti dello Younger Dryas effettuati dalla dottoressa
Monica Karmin e dai suoi collaboratori, per conto della Genome Research, la
zona di Sundaland è stata una di quelle maggiormente colpita dal fenomeno
del “Collo di bottiglia genetico” successivo. È quindi del tutto possibile che,
se davvero Göbekli Tepe è stata raggiunta da “fuggitivi” o “esploratori”
provenienti da Sundaland, questi avranno condiviso la loro amarissima
esperienza della loro fine come popolo. Ad ogni modo, l’intestazione del
racconto è molto triste. Mostra i grandi uccelli senza i loro cavalieri.
L’intento dello scultore, forse, era quello di descrivere come e quando i
cavalieri dei “grandi uccelli” smisero di esistere come popolo.
Il racconto della zona B1
Guardando il lato largo della Stele delle Gru, la scena è praticamente identica,
anche nei dettagli, a quella che compare nella zona in alto a destra della Stele
dell’Avvoltoio. Nel lato largo della Stele delle Gru si vedono due esseri alati,
praticamente identici a quelli descritti nella Stele dell’Avvoltoio. Sono due
uccelli simili a due gru ma che hanno gambe chiaramente umane. Sono
quindi esseri metà umani e metà uccelli, l’archetipo degli “angeli”. Sono
esseri considerati delle divinità, o che provenivano da “oltre la Terra”. Questa
stele dimostra come questa iconografia, ossia i due esseri alati semi-umani,
era un tema fondamentale nella cultura che ha prodotto Göbekli Tepe. Si
tratta evidentemente di un ricordo profondamente impresso nella loro storia.
Subito accanto ai due “angeli”, come nella Stele dell’Avvoltoio, compaiono i
simboli che si trovano sulla cintura del monolite B del recinto “D”. Il simbolo
viene ripetuto diverse volte, anche se la roccia, piuttosto consumata in quel
punto, ne rende un po’ difficile la visualizzazione. Anche secondo questa
stele, questi due gruppi di entità (gli “angeli” e i monoliti), erano presenti nel
medesimo periodo di tempo, mentre nel cielo passava una o più comete.
Questo dettaglio dell’incisione può avere due significati. La prima
spiegazione è di ordine temporale. Immaginiamo che la stele raffiguri una
linea del tempo che va da sinistra verso destra. In questo caso potremmo dire
che le due figure alate e i due monoliti comparvero immediatamente prima
dello sciame di comete, ma che i due eventi si accavallarono almeno per un
periodo. Questo spiegherebbe perché uno dei due esseri alati viene visto
sovrapposto allo sciame di serpenti/comete.
Un secondo possibile significato, invece, è molto più inquietante. Se la
sovrapposizione non indicasse un aspetto cronologico, l’incisione sembra
voler dire che uno sciame di serpenti (nella parte sottile del pilastro se ne
vedono altri), sembra provenire da uno dei due esseri alati. In questo secondo
caso, lo scultore credeva (a torto o a ragione, ma non è questo che ci interessa
al momento), che parte del bombardamento di comete sia stato causato da
questi esseri celesti. La Stele dell’Avvoltoio, anche se fa partire il “serpente”
dai due monoliti, e non dai due “angeli”, dice fondamentalmente la stessa
cosa. Nella Stele dell’Avvoltoio si vede chiaramente come la “coda del
grande serpente” è piegata da un lato. In questo modo l’animale sembra
provenire dal simbolo dei due monoliti. Sarebbe come dire che la cometa era
originata da quegli esseri celesti. Nella Stele delle Gru compare lo stesso
identico concetto. La “dipartita” degli “uomini senza volto” a cavallo dei
grandi uccelli, sarebbe avvenuta “con la forza”, con un vero bombardamento
a tappeto “ante litteram”. Infatti, secondo lo scultore, il bombardamento di
comete sarebbe stato causato o pilotato dai due esseri alati.
Ovviamente è solo un racconto, e non è detto che sia tutto vero. Può darsi che
lo scultore di Göbekli Tepe abbia solo voluto dare un significato
comprensibile ad un fenomeno per lui inspiegabile. Abbiamo visto nei
capitoli precedenti come la distruzione di una città vicino al Mar Morto,
sempre dovuta ad una cometa, può aver dato origine al mito di Sodoma e
Gomorra. È stato un tentativo di razionalizzare qualcosa di inspiegabile.
Oggettivamente, anche il bombardamento di comete che viene descritto nella
Stele delle Gru, deve aver provocato morte e distruzione tra gli abitanti di
quel tempo. I superstiti si saranno dati delle risposte, anche immaginarie, su
quale fosse stata la causa di tutto ciò. Una punizione “celeste” da parte di
esseri alati potrebbe essere la risposta che si sono dati. Tutte le possibilità,
quindi, restano aperte.
Resta il fatto che, purtroppo per loro, i frammenti di comete precipitati in
quel periodo erano assolutamente reali. Ammettendo per un attimo che i due
esseri alati dovessero appartenere alla leggenda, e che lo stesso si possa dire
per i due monoliti, che dire del resto? Il popolo degli “uomini senza volto”
che sembra essere stato spazzato via da questo evento, era ugualmente
leggendario? Oppure, almeno nei suoi elementi essenziali, è esistito davvero?
Anche se la conclusione secondo cui le comete fossero originate da esseri
celesti può essere stata una loro deduzione, i dettagli contenuti in queste stele
sono troppi, e troppo distanti dalla vita di uomini di 12.000 anni fa, per essere
soltanto il frutto di leggende.
Secondo Nik Pope
Ora facciamo un balzo di almeno 12.000 anni. Lasciamo le colline della
Turchia, e facciamo un giro per la grande Londra del XXI secolo. Qui
troviamo un gentile signore, Nik Pope, che oggi fa il giornalista e saggista.
Ma fino a poco tempo fa, il signor Pope ha fatto qualcosa di molto diverso.
Ha lavorato per circa 25 anni nel Ministero della Difesa (MOD) del Regno
Unito. Ma non era un impiegato qualsiasi. Dopo essere stato mandato in
missione su diversi fronti, come in Afganistan o in Iraq durante la “Guerra
del Golfo”, Il signor Pope venne scelto per lavorare in un dipartimento
davvero speciale. Dal 1991 al 1994 venne impiegato in una sezione chiamata
Secretariat (Air Staff), nota come Sec (AS) 2a. Il suo compito era quello di
visionare tutte le segnalazioni riguardanti avvistamenti di UFO (in italiano
OVNI), per verificare che non vi fossero dei pericoli per la Difesa del Regno
Unito.
Secondo le sue stesse parole, Pope accettò questo incarico con grande
diffidenza, visto che lui non credeva minimamente in questi UFO. Il
materiale “segreto” che visionò durante il suo lavoro, evidentemente gli fece
cambiare idea. Infatti, dopo 4 anni si dimise dal suo incarico in segno di
protesta contro il Ministero della Difesa del Regno Unito, perché a suo dire
non aveva un comportamento corretto nei confronti di questo tema. In poche
parole, Pope sostiene che i militari inglesi non dicevano tutta la verità su
questo argomento.
Abbiamo fatto questa breve digressione su Nick Pope per un motivo molto
specifico. Mentre la stragrande maggioranza di coloro che si occupano di
“UFO” o di “Alieni” crede fondamentalmente che siano amici, Pope è di un
parere diametralmente opposto. Secondo lui, che evidentemente ha avuto
accesso a materiale di cui noi non disponiamo, “non è detto che siano tutti
amici lì fuori”, riferendosi a civiltà che si trovano oltre la Terra. Il signor
Pope non fa mistero che, al tempo delle sue dimissioni dal Ministero della
Difesa, ha firmato delle liberatorie per cui è tenuto a mantenere il segreto sul
materiale che ha visionato. Quindi non ha mai raccontato nulla di quello che
ha studiato, tranne ciò che è già di dominio pubblico. Eppure, in una
circostanza, ha “lanciato un sasso” nascondendo poi subito la mano. Ha
invitato a rileggere l’episodio della “Torre di Babele”, contenuto nel libro di
Genesi, con occhi diversi. Cosa vuol dire davvero quel racconto, se togliamo
la sua “aurea religiosa”?
Il primo “attacco alieno” documentato
La cosa può lasciare sconvolti alcuni, ma il racconto della Stele delle Gru e
della Stele dell’Avvoltoio, non sono gli unici ad affermare che esseri “celesti”
hanno in qualche modo “attaccato” un popolo di umani. Ne parla a chiare
lettere anche la Bibbia, nel suo libro di Genesi. Anche in questo caso, come
nel caso della Stele delle Gru, sottolineiamo che il fatto che Genesi ne parli,
non rende questo avvenimento automaticamente vero. Ma è una interessante
coincidenza da esaminare.
Tra le storie e le leggende del libro della Genesi, ce ne sono alcune che sono
anteriori alla nascita di Israele come popolo, e quindi quei racconti non
riguardano la loro storia nazionale. Tra queste storie di respiro “globale”,
viene riportata la “leggenda della Porta del Cielo”, meglio nota come “la
storia della Torre di Babele”. Questa storia è contenuta in Genesi 11:1-9, che
dice:
Inizio citazione - Ora tutta la Terra aveva una sola lingua e un solo
lessico.
Avvenne che venendo da Est trovarono una zona pianeggiante nella
terra di Sin-Ar e vi si stabilirono.
Poi si dissero l’un l’altro: “Venite! Facciamoci dei mattoni e
cuociamoli al fuoco”. Quindi usarono mattoni al posto delle pietre e
bitume al posto della malta.
“Venite!”, dissero. “Costruiamoci una città e una torre con la cima
alta fino ai cieli, e facciamoci un nome, così non saremo dispersi
sulla faccia di tutta la Terra”.
Ma Yahweh scese ad osservare la città e la torre che i figli di Adàm
avevano costruito.
E Yahweh disse: “Sono un solo popolo e hanno una sola lingua. E
questo è quello che si sono messi in testa di fare. Ora, qualunque
progetto avranno in mente, niente sarà impossibile per loro da
raggiungere. Venite, scendiamo, e confondiamo la loro lingua, così
che nessuno di loro comprenda la lingua dell’altro”.
Così Yahweh li disperse da quel punto fin su tutta la Terra, e un po’
alla volta smisero di costruire la città.
Ecco perché fu chiamata Migdàl Bavèl, perché là Yahweh confuse la
lingua di tutta la terra, e da lì Yahweh disperse gli uomini su tutta la
Terra. – Fine citazione.
Una notevole coincidenza tra il racconto di Genesi e la Stele delle Gru,
riguarda chi divenne il bersaglio di questo “attacco” da parte di Yahweh e
degli altri che con lui “scesero” sulla Terra. Genesi racconta di un popolo che
veniva da Est, dalla stessa direzione da cui sarebbe arrivato il popolo degli
“uomini senza volto”, da Sundaland. Secondo Genesi, questo popolo che
veniva da Est era in grado di costruire “una torre” la cui cima poteva
raggiungere i cieli. Nel linguaggio moderno diremmo un “grattacielo”. Era
implicitamente un popolo molto avanzato nella costruzione dei megaliti.
In aggiunta a questo, viene detto che “il popolo che arrivava da Est” voleva
costruire una città. Questa dichiarazione oggi non susciterebbe scalpore, visto
che esistono decine di migliaia di città in tutto il mondo. Ma, in Genesi, il
racconto della Torre di Babele segue immediatamente quello del Diluvio.
Quindi il popolo venuto dall’Est non voleva costruire solo “una città”, ma la
“prima città in assoluto” dopo il Diluvio. Era quindi un popolo di nomadi che
voleva urbanizzarsi, e quindi progredire come civiltà. La stessa cosa che, ad
un certo punto, fecero a Göbekli Tepe e nelle vicinanze, verso il 10.000 a.C.
Ma, dal racconto, si capisce che questo sarebbe accaduto già una volta 50.000
anni prima, poco tempo dopo l’avvenimento che la Bibbia descrive come un
“Diluvio”. (Ne parliamo approfonditamente su “Il cammino dei Sopravvissuti
– Cassandra 3). Quindi, se il racconto di Genesi fosse vero, questo vorrebbe
dire che tra la civiltà che ha seguito il disgelo avvenuto circa 15.000 anni fa, e
il “Collo di bottiglia genetico” di 75.000 anni fa, che noi chiamiamo
“Diluvio”, ci sarebbe stato in mezzo un altro tentativo di civilizzazione,
spazzato via da esseri esterni alla Terra.
Il racconto riporta il pensiero di “Yahweh”, che avrebbe detto: “Sono un solo
popolo e hanno una sola lingua, ed ecco quello che hanno cominciato a fare.
Ora, qualunque progetto possano avere, niente sarà impossibile per loro da
realizzare”. Pur di impedire questa “evoluzione incontrollata” degli umani,
Yahweh sarebbe stato disposto a “scendere” sulla Terra insieme ad altri suoi
simili (infatti invita altri esseri celesti dicendo “Venite, scendiamo, e
confondiamo la loro lingua”). Si parla di un vero e proprio attacco contro gli
umani, per confondere le loro menti e obbligarli con la forza a continuare ad
essere “cacciatori-raccoglitori”, senza poter quindi urbanizzarsi.
Secondo il racconto, come conseguenza di questo “attacco”, col tempo gli
edificatori smisero di costruire sia la “torre” che la città. Impedendo la
costruzione della città, di fatto questo “Yahweh” impediva la loro evoluzione
culturale e tecnologica. (Come abbiamo spiegato in “Cassandra 2 – Alla
ricerca del libro di Yahweh”, il nome “Yahweh” era il nome con cui il popolo
nomade degli Shasu chiamava la propria divinità protettrice. Fu solo in
seguito che questo nome venne affibbiato al “Dio di Israele”). La storia del
libro di Genesi non menziona il mezzo usato per bloccare la costruzione della
città.
Quanto di attendibile c’è in questo aspetto del racconto della Torre di Babele?
Eliminando gli argomenti “mitici”, ci restano alcuni punti importanti.
Secondo questo racconto, gli “uomini che provenivano da Est” decisero di
non essere dispersi in tutta la Terra, ma di costruirsi una città. Questa
dichiarazione ha una valenza fondamentale. Prima della fondazione delle
prime città sumere, è opinione comune che gli uomini fossero davvero
“dispersi in tutta la Terra” come cacciatori-raccoglitori. Ora abbiamo
scoperto che non è esattamente così. Insediamenti come Jerf el-Ahmar e
Göbekli Tepe ci dicono che gli uomini iniziarono ad urbanizzarsi almeno
5.000 anni prima. Ma prima di questi insediamenti stabiliti circa 12.000 anni
fa, gli uomini erano davvero dei cacciatori-raccoglitori, che si muovevano in
piccoli gruppi, e si spostavano in continuazione. Col tempo, costruirono
piccoli villaggi come Jerf el-Ahmar, e nel corso dei secoli, alcuni di questi
divennero le prime città del nostro passato recente, che include gli ultimi
10.000 anni circa.
Secondo il racconto di Genesi, questo processo è stato bloccato almeno una
volta, dopo che gli umani si erano ripresi dal “Collo di bottiglia genetico”
verificatosi 75.000 anni fa, e volevano urbanizzarsi. Anzi, il racconto dice
esplicitamente che gli umani vennero obbligati dopo quell’evento a
“disperdersi in tutta la Terra”. Come abbiamo spiegato nel volume “Il
cammino dei sopravvissuti – Cassandra 3”, il “collo di bottiglia genetico”,
che le leggende chiamano “Diluvio”, si verificò mentre tutti gli umani si
trovavano in Nord Africa. L’antropologia ci dice che proprio dopo questo
evento, gli homo Sapiens, per qualche motivo non chiaro, partirono di lì per
emigrare in tutta la Terra. Questo evento viene chiamato dai ricercatori come
“Out of Africa”, ossia “fuori dall’Africa”. Sorprendentemente, questo è
esattamente quello che dice il racconto di Genesi. Infatti, il racconto dice che
dopo il Diluvio gli umani si sparsero in tutta la Terra. Come facesse lo
scrittore a sapere che di lì gli uomini migrarono in tutta la Terra è davvero un
mistero, visto che noi lo abbiamo scoperto solo pochi decenni fa. A meno che
lo scrittore, chiunque egli sia, abbia davvero assistito a quell’evento epocale.
Ma il libro di Genesi fa qualcosa in più. Ci dice anche perché questo è
avvenuto. Secondo il racconto della Torre di Babele siamo stati “forzati” a
migrare in tutta la Terra, contro la nostra volontà. È vero? Secondo la Stele
delle Gru e la Stelle dell’Avvoltoio, almeno una seconda volta, decine di
migliaia di anni dopo, è accaduto qualcosa di simile. Gli umani sarebbero
stati nuovamente colpiti per il volere di “esseri superiori”, che avrebbero
“deviato” una o più comete per farle precipitare sulla Terra. O almeno, questo
è ciò che loro pensavano.
Ribadiamo che il “Collo di bottiglia genetico” di 75.000 anni fa, e il
bombardamento dei frammenti delle comete di 12.800 anni fa, sono fatti reali
e documentati dalla scienza. Viceversa, le spiegazioni che le varie culture
hanno dato a questi avvenimenti non possono considerarsi fatti scientifici “a
priori”. Nel migliore dei casi è la loro interpretazione dei fatti. Dobbiamo
quindi prenderli per quello che sono, non una “verità assoluta”, ma il loro
punto di vista, che può essere corretto o completamente sbagliato. Servono
altre prove. D’altra parte, non si può non vedere come i riscontri e le
coincidenze sono davvero numerose.
La distruzione della conoscenza
Il tema del “rallentamento forzato” dell’evoluzione dell’uomo è trattato in
maniera schietta e senza giri di parole nel famoso dialogo “Crizia”, scritto da
Platone circa 2.600 anni fa. Volendo riassumere brevemente il contenuto, in
questo brano Solone, un famosissimo statista ateniese vissuto tra il 638 e il
558 a.C., cerca di far colpo su dei sacerdoti egiziani dimostrando la sua
conoscenza degli avvenimenti antichi. I sacerdoti egiziani bonariamente lo
deridono, dicendo che le storie dei greci sull’antichità dell’uomo sono poco
più di semplici favole. Non solo questo: gli spiegano anche il perché.
Tra le altre cose gli dicono: “… tutte le cose degne di essere ricordate che
accadono, da voi o in un altro luogo, sono scritte e conservate nei templi. Ma
non appena qualcuno del vostro popolo o di un popolo vicino inventi l'uso
della scrittura e di tutto ciò che serve per la città, ecco che di nuovo, nel giro
di pochi anni, come una malattia si abbatte il terribile Diluvio dal cielo. Di
voi lascia vivi solo coloro che sono ignoranti nelle lettere e nelle arti. In
questo modo voi diventate di nuovo dal principio come bambini, non sapendo
nulla di ciò che accadde da noi, né di ciò che accadde presso di voi, e che
avvenne in tempi antichi.
Dunque, queste vostre genealogie che hai appena esposto, caro Solone, sono
poco diverse dalle favole dei bambini. In primo luogo, perché voi ricordate
un solo Diluvio della terra, mentre in precedenza ve ne sono stati molti altri.
In secondo luogo, voi non sapete che nella vostra regione, presso di voi, ha
avuto origine la stirpe più onorevole e più nobile di uomini, dai quali
provenite tu e tutta la città che adesso è vostra, essendo allora rimasto un
piccolo seme; ma voi lo ignorate perché i superstiti per molte generazioni
morirono muti per non conoscere la scrittura…”.
In parole povere, il sacerdote egiziano gli dice che su molti popoli, tra cui i
greci, si ripeteva una distruzione “ciclica” della conoscenza. Un evento
distruttivo come il Diluvio colpiva un popolo, e particolarmente la sua classe
intellettuale. Con la scomparsa degli intellettuali e della scrittura, scompariva
anche la memoria di quel popolo, che ad ogni “reset” era convinto di ripartire
sempre da zero. Fa davvero impressione leggere questo ragionamento in un
dialogo di 2.600 anni fa.
Nel suo “Crizia”, Platone aggiunge: “Gli dèi, infatti, un tempo si divisero a
sorte tutta quanta la Terra. Sarebbe difatti un ragionamento non giusto
pensare che gli dèi ignorino ciò che conviene a ciascuno di loro, e che poi
non cerchino di procurarselo. … Dopo esservisi stabiliti, come i pastori le
loro greggi, ci allevavano beni propri e proprie creature. Ma lo fanno senza
usare violenza con la forza fisica sul corpo, come i pastori che conducono al
pascolo le bestie sotto i colpi della sferza. Lo fanno nel modo in cui si tratta
un animale docile, guidando da poppa, attaccandosi all'anima con la
persuasione come un timone, secondo il loro volere. In questo modo
guidavano e governavano tutto il genere umano”. In pratica Platone dice che
con la distruzione della conoscenza, e con opera di persuasione sotto forma
della religione, esseri superiori conducevano gli umani dove volevano.
Ovviamente non perché Platone disse quelle parole bisogna prenderle per
“oro colato”. Può anche essere una riflessione sulla fragilità della famiglia
umana. Ma se uniamo questa riflessione, a quella della Torre di Babele, e alle
Stele di Göbekli Tepe, ne uscirebbe fuori che gli umani sono sottoposti a
“cicli distruttivi” che di fatto “resettano” la nostra cultura e la nostra società.
Per così dire, ripartiamo sempre da Adamo ed Eva, senza sapere che ogni
“Adamo ed Eva” non è che la replica di un film visto già chissà quante volte.
13 - Il fattore tempo

Nella stele dell’Avvoltoio, probabilmente per ragioni di spazio, per indicare il


bombardamento delle comete è stato inciso un solo grosso serpente. Un unico
serpente potrebbe far pensare che si sia schiantata un’unica cometa.
Viceversa, nella Stele delle Gru, nella parte larga della stele compare un
intero gruppo di serpenti proveniente da uno degli esseri alati. Questo vuol
dire che la cometa ha generato uno sciame di detriti che ha colpito la Terra.
Inoltre, se si esamina anche il lato corto della stele, si può notare come gli
sciami di serpenti provengano praticamente dai quattro punti cardinali. Tutto
questo sembra dare ragione ai ricercatori che affermano che in quella
circostanza non si sia schiantata una singola cometa sulla Terra. Piuttosto si
trattava di migliaia di frammenti di una o più comete, che piovvero
praticamente da ogni direzione, bombardando la Terra.
Un orologio interno
Come nel caso della Stele dell’Avvoltoio, anche la Stele delle Gru contiene
una specie di “orologio interno”, che fornisce una sorta di cronologia
dell’evento. Anche in questo caso, questa specie di “orologio” non serve a
datare in maniera precisa gli eventi, ma a fornire delle indicazioni di massima
sull’epoca in cui si sono verificati i fatti.
Nella Stele dell’Avvoltoio l’aspetto cronologico della scena è stato descritto
con una raffigurazione di tipo circolare. Tutta la scena ruotava in senso
antiorario intorno ad un disco posto al centro. Viceversa, nel caso della Stele
delle Gru, la cronologia ha un aspetto “verticale”. Si tratta infatti di una
successione di avvenimenti che vengono descritti nella stele con piccole
incisioni che si susseguono in ordine verticale. Un aspetto importante è che
gli avvenimenti scorrono dal basso verso l’alto. Quindi la base del lato corto
della stele racconta l’inizio della storia, e la sommità la sua conclusione.
Il simbolo che si trova nella zona più in basso della stele, e che abbiamo
contrassegnato con la lettera “g”, purtroppo non è chiaramente visibile.
Sembra essere un artropode con le antenne sulla testa, e sembra avere quattro
paia di zampette. Non può essere una formica, visto che quell’insetto ha solo
3 paia di zampe. La parte restante della scultura è sotto il terreno, e quindi
non si capisce esattamente che animale sia. La roccia è rovinata, quindi non si
capisce nemmeno se la prima coppia di zampette abbia o meno le chele. Ad
ogni modo, vista la forma che si intuisce e la sua posizione, deduciamo che
quel piccolo animale dovrebbe essere uno scorpione, o qualcosa di molto
simile ad esso (anche lo scorpione sulla Stele dell’Avvoltoio è stato scolpito
con qualcosa sulla testa che sembrano essere “due antenne”).
Quindi “l’orologio interno” della Stele delle Gru ci dice che vengono descritti
avvenimenti che si verificano dopo la comparsa della costellazione dello
Scorpione. Nei tre archi in cima alla stele dell’Avvoltoio compaiono tre
piccoli animali, uno accanto a ciascun arco. Come abbiamo detto, sembrano
essere costellazioni che descrivono un periodo di tempo. Comunque, in
proporzione, questi tre animali sono molto più piccoli degli altri che
compaiono nella parte bassa della stele. Quindi, probabilmente indicano un
periodo di tempo più breve. Nella Stele delle Gru, una di queste “mini-
costellazioni” compare subito dopo lo Scorpione, ed è raffigurata come un
Uro. L’abbiamo indicata con la lettera “f”. Probabilmente la coppia
“Scorpione + piccolo Uro”, nella mente dello scultore, voleva dire qualcosa
tipo “Millennio + secolo”, o “decennio + anno”, o qualcosa del genere.
Ovviamente non siamo in grado di dire a che periodo di tempo ammonti
esattamente questa combinazione di simboli.
Salendo ancora più in alto lungo la stele, si vede come la costellazione
successiva sia quella della Formica, con la lettera “d”. Questa costellazione
compare anche sulla Stele dell’Avvoltoio, sul bordo corto. Dal punto di vista
temporale, ci troviamo esattamente nel punto in cui, secondo la Stele
dell’Avvoltoio, nel cielo si vide una cometa, che poi diede origine allo
Younger Dryas. La Stele delle Gru dice la stessa cosa. Prima e dopo la
costellazione della Formica, da destra e da sinistra, quasi a “circondarla”, si
vedono tantissimi serpenti, da ogni direzione. Il senso di questa descrizione è
che il numero di frammenti di meteore che colpisce la Terra sembra essere
altissimo.
Dopo la costellazione della Formica compaiono i due simboli dei monoliti,
che abbiamo indicato con la lettera “b”. In mezzo ai due simboli dei monoliti
compare un gruppo di serpenti, che abbiamo indicato con la lettera “c”.
Questi vanno dall’alto verso il basso, come se “piovessero” sulla Terra.
Questa è la replica di quanto viene descritto nella parte larga della stele. Ma
in quel punto lo scultore descrive la scena in modo che siano due “angeli” a
liberare i serpenti. Quindi la Stele delle Gru sembra voler essere più precisa
della Stele dell’Avvoltoio anche sotto questo aspetto. Sembrerebbe che siano
stati i due “angeli” a scagliare la maggioranza dei meteoriti sulla Terra
durante il “primo tempo”. Successivamente anche i due monoliti fanno lo
stesso, ma in quantità minore.
A questo punto si nota come ai due bordi della stele inizi il “motivo a zig-
zag” che avevamo visto anche nella Stele dell’Avvoltoio, e che abbiamo
indicato con la lettera “a”. Questo simbolo indica probabilmente un “fall-out”
di polvere e detriti associato al freddo, che costrinse la gente a rifugiarsi al
riparo per un notevole periodo di tempo. Lo scultore, quindi, ci dice che dopo
questo primo bombardamento iniziò lo Younger Dryas, una nuova breve era
glaciale. Ma aggiunge un altro particolare. Il bombardamento delle comete,
anche se in tono molto minore, continuò anche durante lo Younger Dryas.
Questa doppia conferma ci fa capire che, sia che si trattasse di una leggenda o
di un fatto realmente accaduto, il racconto descritto nella Stele dell’Avvoltoio
e nella Stele delle Gru era parte integrante del retaggio di quel popolo. Loro
erano davvero convinti che le cose fossero andate così, e le hanno incise sulla
roccia, forse per tramandare questa conoscenza ai posteri. La parte alta del
bordo della Stele delle Gru sembra avere altri simboli, che purtroppo sono
irrimediabilmente cancellati dal passare del tempo.
Tirando le somme
Molte delle incisioni sulle pietre di Göbekli Tepe raccontano soltanto storie
di battute di caccia di uomini del passato, o descrivono paesaggi a loro noti. È
quindi errato voler vedere in ogni particolare di quelle sculture un mistero da
svelare. Allo stesso tempo è probabile che su una minoranza di esse, come la
Stele dell’Avvoltoio e la Stele delle Gru, gli artisti di Göbekli Tepe abbiano
voluto tramandarci qualcosa di più importante: un ricordo, vero o
leggendario, di cose accadute nel loro passato.
Comunque, il semplice fatto che quegli antichi artisti abbiano sentito la
necessità di tramandare le loro storie, non le rende automaticamente vere.
Questi ricordi vanno quindi presi con le dovute cautele. Infatti, i racconti
contenuti nelle varie stele tramandano solo quello che gli antichi abitanti di
Göbekli Tepe “credono” che sia accaduto. Ma resta, appunto, solo una loro
convinzione. Allo stesso tempo va riconosciuto che alcuni aspetti di quei
racconti, come il bombardamento di frammenti di cometa, il “grande freddo”
dovuto allo Younger Dryas, l’esistenza di uccelli giganti, e diversi altri
aspetti che abbiamo menzionato, hanno un riscontro diretto nella scienza.
Quindi, almeno in parte, i ricordi trasmessi da quella popolazione hanno un
fondamento di verità.
Fino a questo punto abbiamo visto come nella attuale Turchia è stato
ritrovato un insediamento megalitico risalente ad almeno 12.000 anni fa,
chiamato Göbekli Tepe. Alcune incisioni su queste antichissime sculture
sembrano riferirsi a popoli dell’Oceania, o Sundaland. Interpretando i vari
disegni, sembra che una popolazione proveniente dall’Australia li abbia
visitati in un tempo particolare. Questo popolo venne considerato “senza
testa”, un attributo che gli abitanti di Göbekli Tepe davano solo alle divinità.
Se gli uomini a cavallo dei grandi uccelli che giunsero a Göbekli Tepe,
provenienti dall’Oceania, erano davvero i costruttori di Nan Madol, dei
Patung e delle Kalambas, allora la possibilità che si trattasse di un popolo
tecnologicamente più avanzato è concreta. (Non si parla di dischi volanti o
armi nucleari, ma di semplice superiorità tecnologica. Anche saper lavorare il
ferro, o conoscere l’uso della ruota, renderebbe “tecnologicamente superiore”
un popolo rispetto ad un altro che non possiede queste conoscenze). Questo
spiegherebbe, almeno in parte, la “divinizzazione” di questi visitatori da parte
degli abitanti di Göbekli Tepe. La domanda è: come mai quel popolo
dell’Oceania sembra essersi evoluto molto prima della loro controparte
Europea?
Proprio sull’aspetto della rapidità dell’evoluzione, si apre un “giallo”. Che
questo popolo sia esistito o sia solo una leggenda, resta il fatto che Nan
Madol, con la sua costruzione “impossibile”, non è una leggenda, ma una
affascinante realtà. I Patung che sembrano essere “piovuti dal cielo” sono li,
sia in Indonesia che in Colombia. Le Kalambas, a qualsiasi cosa servissero,
sono lì, sia nel Laos che in Indonesia. Ma tranne le incisioni che li ricordano
nel loro passaggio a Göbekli Tepe, di questo “antico popolo” non c’è quasi
traccia. Gli archeologi stanno cercando in ogni modo un qualche tipo di
civiltà a cui collegare queste creazioni. Ma finora tutte le ricerche non hanno
dato esito. Nessuna ricerca archeologica, mitologica, antropologica,
etnologica o storica ha fornito informazioni sull’età, la provenienza o lo
scopo dei Patung e delle Kalambas. Anche le informazioni su Nan Madol
sono troppo contraddittorie per considerarsi definitive. Il buio più totale
circonda questo popolo. Che fine hanno fatto?
Il giallo si tinge di “rosso” cercando di “leggere” le stele di Göbekli Tepe. La
prima stele, la Stele dell’Avvoltoio, ci dice in maniera generica che circa
12.800 anni fa una pioggia di frammenti di comete ha colpito la Terra,
innescando lo Younger Dryas. Questi due aspetti sono scientificamente
dimostrabili, e sono dati come fatti praticamente certi. Quello che non può
essere dimostrato, invece, è un dettaglio di questa stele. La cometa, descritta
come un serpente, sembra essere originata da una entità “celeste”. Per lo
scultore, il bombardamento di comete non sarebbe un fatto casuale, ma
doloso, voluto da queste “entità”.
La seconda stele che abbiamo analizzato va molto oltre queste accuse
generiche. L’intestazione della Stele delle Gru dipinge proprio gli “uccelli
giganti” che dovrebbero essere stati cavalcati da questo “popolo di
Sundaland”. In questa stele gli “uccelli giganti” vengono ritratti senza i loro
cavalieri. E nel racconto viene descritto nel dettaglio come esseri non umani
bombardarono la terra con comete. Furono loro a “togliere dalla sella” degli
uccelli giganti quei cavalieri? Sembra essere l’accusa di un genocidio. Fu
questa la fine improvvisa dei costruttori di Nan Madol?
Da ultimo, la Bibbia, nel suo racconto della Torre di Babele, ci dice
chiaramente che non sarebbe la prima volta che questo accade. Già in
passato, secondo il libro di Genesi, un certo “Yahweh” avrebbe radunato i
suoi simili per impedire agli umani di urbanizzarsi e civilizzarsi. Ovviamente
si tratta solo di racconti. Il mondo è pieno di miti, e potrebbero esserlo anche
questi, o almeno in parte. La domanda per capire se si tratta di miti o meno è:
ma esistono davvero esseri non umani che hanno visitato regolarmente la
Terra? Risponderemo a questa domanda nel prossimo capitolo.
14 – Siamo soli?
Siamo soli nell’Universo? A questa domanda, oltre il 99% dei componenti
della comunità scientifica oggi risponderebbero con un secco: “No, non
siamo soli nell’Universo”. Questa affermazione ormai è diventata sempre
meno un’opinione personale di un singolo scienziato, e sempre più una
constatazione oggettiva. Infatti, con l’avvento dei nuovi telescopi, tra cui il
famoso Hubble, si sono scoperti un numero estremamente elevato di
“esopianeti”, ossia pianeti situati al di fuori del nostro sistema solare. Molti di
questi esopianeti si trovano in una “zona abitabile”, ossia percorrono
un’orbita attorno ad una stella che permette al pianeta di avere una
temperatura favorevole alla vita.
Inoltre, diversi di questi esopianeti avrebbero una massa paragonabile a
quella della Terra. La forza di gravità esercitata su eventuali esseri viventi,
quindi, non sarebbe né troppo forte né troppo debole. In aggiunta a tutto
questo, se in passato si riteneva che l’acqua fosse l’elemento più raro
dell’Universo, oggi si inizia a capire che è semmai il contrario. Diversi
pianeti e satelliti del sistema solare contengono acqua, in varie forme. Quindi
è del tutto probabile che l’acqua sia un elemento piuttosto comune
nell’Universo.
Tutti questi aspetti sono stati osservati scrutando una porzione davvero
piccola, infinitesimale, dell’Universo conosciuto. Moltiplicando il numero di
pianeti “abitabili” trovati in questa piccola zona di ricerca, per i milioni di
miliardi di stelle simili al nostro Sole di cui è composto l’Universo, si ottiene
un numero di pianeti “potenzialmente abitabili” di svariati miliardi. È
probabile che in almeno alcuni milioni di questi esopianeti si sia sviluppata la
vita, ed è del tutto plausibile che in almeno alcune migliaia di essi la vita
abbia raggiunto uno sviluppo del tutto simile a quello della razza umana, se
non addirittura molto più progredito. Quindi la probabilità che esistano forme
di vita intelligenti e tecnologiche nell’Universo è infinitamente più alta della
probabilità che non ce ne siano. Ecco perché la comunità scientifica dà ormai
praticamente per certo che ci siano altre civiltà intelligenti là fuori.
Ci stanno cercando?
Dando per certo che queste forme di vita intelligenti esistano, ci poniamo una
domanda ulteriore: queste civiltà stanno esplorando lo spazio? Anche in
questo caso, la risposta può essere solo affermativa. L’homo Sapiens esiste da
non più di 200.000 anni. Eppure, non appena l’uomo ha avuto la tecnologia
per farlo, ha mandato satelliti e sonde verso ogni pianeta del Sistema Solare,
e anche al di fuori del Sistema Solare. Diversi umani hanno già lasciato il
pianeta Terra per far visita al nostro satellite, la Luna, e si stanno
programmando viaggi per mandare esseri umani su altri pianeti, come ad
esempio Marte.
Se ci pensiamo, i 200.000 anni di esistenza della razza umana sono un tempo
davvero insignificante rispetto agli svariati miliardi di anni di esistenza
dell’Universo. Non sembra quindi che siamo la forma di vita intelligente più
antica dell’Universo. È molto più probabile che siamo tra gli ultimi arrivati
sulla scena. È del tutto realistico, perfino logico, pensare che esistono forme
di vita intelligenti dotate di una tecnologia sufficientemente evoluta, e che
esistano da milioni di anni prima di noi. Ed è altrettanto realistico pensare che
questi esseri intelligenti abbiano iniziato ad esplorare lo spazio attorno a loro
molto prima di noi.
Ci hanno trovati?
Questa ovvietà ci obbliga a porci un’altra domanda: fin dove si sono spinte
queste civiltà nell’esplorazione dello spazio attorno a loro? Sono già arrivate
ad esplorare la Terra? In effetti, l’assoluta certezza dell’esistenza di altre
forme di vita nello spazio, fa sì che la domanda da porsi non è più “se il
pianeta Terra ha mai avuto un contatto con una civiltà extraterrestre”, ma
piuttosto “quando il pianeta Terra ha avuto o avrà un contatto con una civiltà
extraterrestre”. Perché parliamo di “pianeta Terra” e non di “civiltà umana”?
Il proverbiale egocentrismo umano ci fa credere che la Terra sia nata con noi,
con la nostra civiltà. Ma questa è una palese bugia.
Il pianeta Terra è vissuto tranquillamente senza di noi per oltre 4,5 miliardi di
anni, e sembra essersela cavata benissimo. Noi, con i nostri miseri 200.000
anni di esistenza come specie, siamo gli ultimi arrivati anche sulla scena
terrestre. Questo vuol dire che, nei passati 4,5 miliardi di anni, una o più
civiltà non umane, teoricamente, abbiano potuto tranquillamente visitare il
nostro pianeta, o anche colonizzarlo, mentre l’homo Sapiens semplicemente
non esisteva. È un boccone amaro da mandare giù per alcuni, ma è meglio
iniziare ad aprire gli occhi.
L’Universo esiste da almeno 13.000.000.000 di anni (ammesso che abbia
avuto un vero inizio, cosa non del tutto scontata). Sulla Terra esistevano
forme di vita estremamente complesse come i dinosauri già 230.000.000 di
anni fa. Esiste qualche ragione di tipo scientifico che abbia impedito ad
eventuali civiltà extraterrestri di visitare il nostro pianeta durante il periodo in
cui l’uomo nemmeno esisteva sulla Terra?
L’unica vera obiezione che si può fare alla possibilità che forme di vita aliene
abbiano visitato la Terra in passato, o nel nostro presente, riguarda le distanze
che ci separano dalle altre stelle o dalle altre galassie. In base alla Teoria
della Relatività, attualmente riteniamo che un oggetto non possa spostarsi ad
una velocità uguale o superiore a quella della luce. Ma anche ammesso che si
riesca a viaggiare a questa fantastica velocità, occorrerebbero circa 100.000
anni solo per attraversare la nostra galassia, e altrettanti per tornare indietro.
Rapportata alla nostra breve vita di circa 70 – 80 anni, anche viaggiare alla
velocità della luce non sarebbe sufficiente nemmeno per permetterci di
esplorare uno dei bracci della nostra galassia, figurarsi l’Universo.
I pianeti del nostro Sistema Solare sembrano essere privi di vita intelligente
evoluta. Quindi, se la Terra è stata visitata da altre forme di vita intelligenti in
passato, o nel presente, queste vengono probabilmente da molto lontano.
Questi eventuali visitatori, che sistema di trasporto hanno usato o usano per
poter viaggiare nel cosmo? Bisognerebbe ipotizzare che esista una Fisica che
noi non conosciamo, e che consenta di poter viaggiare perfino a migliaia di
volte più veloce della luce, ad esempio curvando lo spazio. O addirittura di
viaggiare nel tempo o in altre dimensioni (il tempo, infatti, è solo una delle
diverse dimensioni esistenti). Ma su questo punto, gli stessi scienziati che
ammettono candidamente di credere che c’è vita intelligente nello spazio,
storcono il naso.
Infatti, questi modi di spostarsi “alternativi”, anche se ipotizzabili in base alla
fisica relativistica e quantistica, per ora sono solo “ipotesi”, e il loro utilizzo
pratico è sperimentabile sono nei film di fantascienza. Ecco perché diversi
scienziati, benché del tutto certi che esista vita intelligente nell’Universo,
sono piuttosto scettici quando si parla di visitatori alieni sulla Terra. Ma
l’obiezione è solo di natura tecnica, che si potrebbe riassumere in questa
frase: “Esistono di sicuro, ma secondo la nostra Fisica non sarebbero in grado
di raggiungerci, come noi non siamo in grado di raggiungere loro”.
Hanno lasciato tracce?
Finora, a quanto ne sappiamo, non è ancora stato trovato nessun oggetto che
possa essere definito senza ombra di dubbio un “marcatore tecnologico”.
Questo vuol dire che non è stato trovato nessun oggetto artificiale,
appartenente a ere passate, che possa essere associato in maniera
inequivocabile ad un tempo o una civiltà diversa da quella umana. O almeno,
noi come specie non siamo ancora riusciti ad identificare qualcosa di simile
sulla Terra. Ecco perché da alcuni anni a questa parte stiamo ristudiando il
nostro passato con occhi nuovi. Il ragionamento è semplice: se si trovasse un
oggetto chiaramente artificiale, e si arrivasse alla conclusione che in nessun
modo gli umani di quel tempo possano averlo realizzato, allora quel
manufatto diventerebbe un “marcatore tecnologico”. Sarebbe una prova
evidente che qualcuno, non umano, ha come minimo contribuito a crearlo.
In giro per il mondo sono stati ritrovati “oggetti insoliti”, che sembrano
ritrarre astronauti o navi spaziali, ma bisogna ammettere che questa è solo
una nostra interpretazione. Per sapere cosa fossero davvero quelle
raffigurazioni, bisognerebbe interrogare gli artisti che le hanno realizzate, e
questo oggettivamente non è più possibile.
Quindi, nella migliore delle ipotesi, quegli artisti hanno cercato di raffigurare
qualcosa di strano che loro avevano visto. Ma tenendo conto che la società
antica era più dominata dalla superstizione che dalla scienza, è davvero
difficile dare a questi disegni o statuette un valore scientifico. Potevano voler
raffigurare di tutto. Ovviamente potevano anche raffigurare un alieno, ma
questo accostamento è tutto da provare, ed è solo uno dei molti significati
attribuibili a quegli oggetti
Inoltre, tutti gli oggetti ritrovati sono costruiti con materiale tipico del loro
tempo, come pietra, argilla o rame. Non è mai stato ritrovato alcun tipo di
circuito digitale, o nanotecnologia, o qualcosa di simile. Ma su questo punto,
non tutti sono unanimi come una volta. Alcuni rispettabili ricercatori iniziano
ad avanzare un’idea che solo qualche tempo fa avrebbe generato le risa della
comunità scientifica, ma che oggi viene presa con la dovuta serietà.
Cerchiamo di spiegarla.
Una riflessione profonda
Alle volte, dei ricercatori occidentali hanno voluto avere contatti con una
civiltà meno sviluppata, per motivi pacifici o di studio. Sia che questa civiltà
si trovasse nella giungla amazonica, nella giungla africana o in quella del
Sud-Est asiatico, questi ricercatori pacifici hanno cercato di preservare la
cultura locale. Quando i ricercatori hanno dimorato presso di loro, hanno
cercato il più possibile di costruire case o rifugi simili agli abitanti locali, di
nutrirsi di cibi locali, usare attrezzatura locale e imitare i modi e i costumi
locali. Si è cercato di fare in questo modo per non distruggere la loro cultura,
che non sarebbe sopravvissuta se i visitatori avessero fatto sfoggio di
elicotteri, computers, raggi laser e ogni ritrovato moderno. I visitatori
sarebbero apparsi come delle semi-divinità a cui sottomettersi, e questo non è
mai lo scopo di chi arriva “in pace”.
Alcuni archeologi, quindi, si iniziano a chiedere: e se una civiltà proveniente
da un altro pianeta avesse fatto lo stesso con noi? Se una civiltà molto simile
a quella umana, in passato, fosse entrata in contatto con noi per fini pacifici o
di studio? Se non hanno voluto alterare troppo la nostra cultura, e si siano resi
il più possibile simili a noi, costruendo edifici in pietra simili agli edifici
locali, e avessero lasciato sculture simili a quelle locali? In questo caso noi
vedremmo oggetti fabbricati con materiali antichi, come il calcare o il
granito, ma lavorati con una tecnologia estremamente moderna. Questo è
esattamente quello che vediamo in molte zone della Terra: oggetti in pietra
dura, come granito, lavorati in una maniera tale che per le popolazioni di quel
tempo e di quel luogo sarebbe stato impossibile.
Ovviamente questa sarebbe “l’ultima risposta”, da prendere in considerazione
solo se non si riuscisse a trovare una spiegazione più convenzionale su come
quei popoli antichi siano riusciti a realizzare certe costruzioni (ne parleremo
ampiamente in un prossimo volume). Ma, almeno in un numero
estremamente limitato di casi, i decenni passano, e nonostante gli sforzi dei
ricercatori, le “altre risposte” iniziano a scarseggiare. Sempre più persone
iniziano quindi a prendere in considerazione “l’ultima risposta”.
Che relazione ha tutto questo con Göbekli Tepe? Il ragionamento secondo il
quale, se un popolo alieno “venisse in pace” sulla Terra, noi non riusciremmo
probabilmente nemmeno a distinguerli, ha un grande fondamento di logica e
razionalità. Questo vorrebbe dire che, parlando in termini generali, se un
popolo alieno venisse sulla Terra sfoggiando la sua alta tecnologia, sarebbero
implicite le sue intenzioni ostili. Questo vuol dire che, se davvero gli scultori
di Göbekli Tepe videro qualcosa in cielo, talmente spaventosa da fargli
credere che fossero dei “semi-dei”, allora non c’è da meravigliarsi se abbiano
subito reazioni ostili da parte loro. Se sono voluti apparire come divinità,
allora volevano impaurirli e, forse, sottometterli.
Tutto questo è teoria. Ma venendo alla pratica, abbiamo prove che entità
aliene siano mai venute in contatto con la Terra? Per rispondere a questa
domanda, non useremo fonti provenienti dal web, o da vari scrittori o blogger
che possono avere i loro interessi ad affermare una cosa piuttosto che
un’altra. Viceversa, chiederemo a chi ha la tecnologia, le competenze e le
risorse finanziarie per dare risposte che possono essere considerate almeno
“attendibili”: le forze armate di alcuni degli stati più avanzati del mondo. Ne
parleremo nel prossimo capitolo.
15 – Visitatori moderni

Bisogna ammettere che, nei nostri giorni, le uniche organizzazioni in grado di


poter gestire in maniera seria ed efficace la questione “alieni” ruotino tutte
attorno alle organizzazioni militari. Radar ad onde millimetriche, sistemi di
rilevazioni agli infrarossi, telecamere superveloci, sensori laser, sono tutte
tecnologie a cui solo i militari hanno accesso, e solo loro hanno il permesso
di usarle. Loro sono gli unici, quindi, a poter registrare i dati di un
avvistamento “alieno”, essendo certi che non si tratti di un qualche tipo di
allucinazione umana. Le macchine possono sbagliarsi, ma non hanno
allucinazioni. Ecco perché, sull’argomento “alieni”, i militari ne sanno più di
chiunque altro.
Nei tempi moderni, i primi militari a vedere “cose strane” in cielo furono i
piloti americani e inglesi. Questi volavano con i loro bombardieri sopra la
Francia e la Germania durante la Seconda guerra mondiale e negli anni
immediatamente successivi, tra il 1942 e il 1952. Molti di loro si accorsero di
essere seguiti da “strane luci” o “globi luminosi”. Questi avvistamenti si
moltiplicarono al punto tale che i piloti pensarono si trattasse di un’arma
nazista, e chiamarono queste luci con il nome di “foo fighters”. Dal canto
loro anche i piloti tedeschi osservavano lo stesso fenomeno, e pensavano si
trattasse di un’arma degli eserciti alleati. Fu solo con la fine della guerra che
si comprese che quelle luci non appartenevano a nessuno degli eserciti che si
combattevano in Europa.
Con la fine della Seconda Guerra mondiale questi avvistamenti si
moltiplicarono a dismisura, fino a che nel 1952 si potevano contare punte di
27 avvistamenti al giorno nei soli Stati Uniti d’America. I militari americani
diedero quindi vita a dei programmi per catalogare e studiare questi oggetti
che solcavano il cielo.
I triangoli
Benché per additare gli “oggetti volanti non identificati”, i giornali, i film e le
televisioni usino comunemente il termine “disco volante”, in realtà secondo i
rapporti dei militari non sono questi gli oggetti non identificati più visti nel
cielo. Su circa 100.000 segnalazioni di fenomeni atmosferici non identificati,
eliminando gli “incerti”, si nota una casistica molto precisa.
• 17.631 Vengono definiti come “luci” generiche.
• 14.475 Vengono definiti come “sfere” o “luci a forma di sfera”.
• 15.931 Vengono definiti come “luci circolari”.
• 12.700 Vengono definiti come “triangoli”.
• 7.500 Vengono definiti come oggetti a forma di “disco”.
• 3.146 Vengono definiti come oggetti a forma di sigaro.
Confrontando le statistiche si nota che, escludendo i fenomeni di tipo
“luminoso” (dietro una luce ci può essere un oggetto di qualsiasi forma), la
gran parte degli avvistamenti di oggetti “solidi” non identificati riguarda
oggetti a forma triangolare. Gli avvistamenti dei cosiddetti “dischi volanti”
sono solo una minoranza del totale. Questo è un aspetto notevole. Tutta
l’industria di Hollywood e quella fantascientifica ha sempre messo davanti
agli occhi delle persone l’assioma che un oggetto misterioso deve essere “per
definizione” simile a un disco volante. Allora, tutta la gente che afferma di
aver visto qualcosa di diverso, un triangolo in cielo, non può essere stata
spinta da fenomeni di “emulazione”. La probabilità che abbia visto davvero
qualcosa è quindi molto più elevata.
In particolare, dagli anni 80 - 90, molti militari (e tantissimi altri non militari)
hanno avvistato oggetti definiti come “triangoli neri”, e le descrizioni sono
molto simili tra loro. Questi triangoli possedevano una forte luce bianca
vicina ad ogni vertice del triangolo, e una debole luce rossa al centro. Sono
stati descritti in generale come oggetti piuttosto piccoli, della grandezza di un
deltaplano o di un piccolo aereo da turismo. Non emettevano suoni quando
volavano. In altre circostanze sono stati avvistati “triangoli” che, viceversa,
avevano una sagoma enormemente più grande, stimata da alcuni della
grandezza compresa tra i 500 e i 1000 metri. Questi enormi oggetti sono
comparsi addirittura su delle metropoli, vicino basi nucleari, in luoghi alla
vista di tutti. Non hanno cercato in nessun modo di essere “discreti”, evitando
di essere avvistati. Secondo alcune ricerche avvenute in ambienti governativi,
sembra che i voli dei “triangoli” avvengano sempre nelle vicinanze di
installazioni altamente “sensibili”, come depositi di armi nucleari, centrali
nucleari o altre strutture simili.
Gli avvistamenti più noti dei “triangoli neri”, e più difficili da spiegare, sono i
seguenti:
• Il caso di Carson Sink del 24 luglio 1952
• Il caso della foresta di Rendlesham del 27 Dicembre 1980
• La cosiddetta “Ondata belga” del 1989 - 1990
• Il caso di Cosford-Shawbury, nel Regno Unito, del 31 marzo
1997
• L’avvistamento di Phoenix, negli USA, del 31 marzo 1997
• Il caso di St. Clair, negli USA, del 5 gennaio 2000
• Il caso di Tinley Park, negli USA, fra il 2004 e il 2006
• Gli incontri con le squadre di cacciabombardieri del gruppo di
battaglia delle superportaerei USS Nimtz e USS Theodore
Roosevelt, nel 2004 e nel 2014.
Analizziamo nel dettaglio i più eclatanti.
1980 – Il caso Rendlesham - Bentwaters
Il testimone principale del “Caso Rendlesham - Bentwaters” è stato Charles I.
Halt, nato nel 1939, Colonnello dell’Aviazione degli Stati Uniti d’America.
Durante la sua carriera prestò servizio nel Vietnam, in Giappone e in Corea.
Dopo di questo venne assegnato come vicecomandante della base di
Bentwaters, a Suffolk, in Inghilterra, vicino alla foresta di Rendlesham. Il 16
Marzo 1951 la base di Bentwaters era stata affidata all’Aviazione degli Stati
Uniti, che ne fece la principale base NATO in Europa. Ospitava la più grande
base di caccia al mondo, oltre a bombardieri strategici dotati di armi nucleari.
Essere il vicecomandante generale di quella base rendeva Charles I. Halt una
delle persone più affidabili dell’intero blocco della NATO.
Il 27 Dicembre 1980, alle ore 3:00, nella foresta di Rendlesham si videro
strane luci. Vennero quindi mandati alcuni agenti a verificare di cosa si
trattasse. Alla base di Bentwaters tutti erano convinti che fosse precipitato un
aereo da turismo nelle vicinanze, visto che per un attimo il radar aveva
segnalato qualcosa. Tre militari della base si recarono sul posto per
controllare, ma non trovarono nessun aereo precipitato. Piuttosto videro una
strana luce fuori dalla base, che non riuscirono a identificare. Uno dei militari
si avvicinò fino a poterlo toccare, e vide un oggetto di piccole dimensioni,
triangolare, con delle scritte che a lui sembrarono ideogrammi o una sorta di
geroglifici. Dopo pochi minuti, l’oggetto si sollevò e volò via ad una velocità
impressionante.
Riguardo a questo contatto, c’è un aspetto interessante che venne riportato in
seguito dai soldati. I tre militari, nel momento in cui si avvicinarono
all’oggetto, erano convinti che fossero passati solo pochi minuti prima della
sua partenza. In realtà, vedendo in seguito l’orologio, si accorsero che erano
passati 45 minuti. I militari testimoniarono che avevano avvertito una sorta di
distorsione temporale quando si erano avvicinati all’oggetto, come se il
tempo avesse iniziato a scorrere più piano. I tre militari stesero quindi un
rapporto ufficiale da sottoporre ai loro superiori
Il 28 Dicembre 1980, alle ore 6:00, il vicecomandante Charles I. Halt venne
informato di quello che era accaduto la notte precedente nella foresta. Charles
I. Halt minimizzò l’accaduto, e suggerì ai militari di scrivere nel loro rapporto
finale che avevano visto soltanto delle luci, e nulla di più. La cosa sembrò
finire lì.
Il 31 Dicembre 1980, alle ore 22:00, mentre alla base di Rendlesham
festeggiavano l’ultimo giorno dell’anno, sia il Comandante della base che il
vice Comandante vennero chiamati in disparte da un altro tenente. Il tenente
disse loro: “L’UFO è tornato”. Il vicecomandante Halt prese con sé un
gruppo di uomini, un rilevatore di radiazioni e un registratore, ed uscì
immediatamente dalla base per ispezionare il fenomeno. Il vicecomandante
Halt si portò con sé la metà delle forze di sicurezza della base di Rendlesham,
inclusi sette veicoli carichi di soldati, più diversi militari specializzati, tra cui
un esperto in disastri. Trattandosi di una base NATO contenente armi
nucleari, era suo dovere proteggerla da qualsiasi probabile minaccia, anche se
questa non era chiaramente identificata.
Dopo aver esplorato la foresta e avendo constatato che non c’era nessun
pericolo reale per la base, il vicecomandante Halt disse alla maggioranza dei
soldati di rientrare, per non far credere all’opinione pubblica che la base fosse
sotto attacco. Poi si diresse personalmente con una squadra di pochi uomini
nel luogo del presunto avvistamento.
Ad un certo punto il rilevatore di radiazioni registrò anomalie, e seguendo
questa traccia i militari vennero guidati in una piccola zona di foresta dove
era evidente che i rami degli alberi erano stati spezzati. Sul terreno c’era la
chiara impronta di un oggetto triangolare. L’impronta era poco più grande di
quella che avrebbe lasciato un deltaplano. I livelli di radiazione registrati dal
contatore erano dieci volte più alti di quelli della norma. I militari ebbero
quindi la prova che qualcosa di materiale, e non una semplice luce, era
davvero atterrata lì nelle ore precedenti, anche se non erano in grado di dire
cosa fosse.
Dopo un po’ i soldati videro nuovamente la luce rossa delle sere precedenti
muoversi tra gli alberi della foresta. Avvicinandosi alla luce, i soldati videro
un oggetto ovale luminoso di color rosso, con un centro nero, che si muoveva
a zig-zag a poco più di un metro d’altezza dal suolo. La luce si avvicinò ai
soldati, e di colpo si divise in cinque oggetti bianchi per poi scomparire. Poco
dopo videro a circa 1.000 metri di altezza 5 oggetti ellittici in formazione che
si muovevano a grande velocita, creando disturbo alle apparecchiature radio.
Non riuscirono a capire se fossero 5 oggetti distinti, o 5 luci appartenenti ad
un unico oggetto di grandi dimensioni (come quello che apparirà anni dopo
su Phoenix, negli USA).
Alcuni militari videro che questo oggetto emanava fasci di luce sui depositi
di armi della vicina base NATO, come se effettuassero una specie di
scansione (da notare che in quegli anni le scansioni laser non erano ancora
state inventate). Mentre la formazione degli oggetti andava via, uno di questi
si fermò sui soldati puntando il raggio di luce dello spessore di una matita
vicino ai loro piedi, come una intimazione a non cercare di seguirli.
Indipendentemente da cosa fossero quelle luci e quell’oggetto triangolare, la
sicurezza della base di Rendlesham, una base NATO di importanza
strategica, era stata violata. Trovandosi in piena Guerra Fredda, nessuno
poteva escludere a priori che si trattasse di qualche sorta di “aereo
sperimentale” in possesso dell’URSS. Potenzialmente quell’incidente poteva
scatenare una guerra. Il tenente Halt era consapevole che raccontare quello
che aveva visto insieme ai suoi uomini avrebbe potuto compromettere la sua
carriera militare. Ma era anche il vicecomandante della base, ed era quindi
obbligato a scrivere ai suoi superiori un rapporto completo e veritiero di
quello che era accaduto. Visto che la base americana era sul suolo inglese, il
rapporto venne inviato al Ministero della Difesa inglese. Stranamente, senza
fare alcuna indagine, il Ministero della Difesa affermò che l’incidente non
aveva compromesso la sicurezza della base. Il caso venne quindi subito
chiuso, e il tenente Halt e i suoi uomini non subirono alcuna conseguenza. Si
fece finta come se il fatto semplicemente non fosse mai accaduto.
Nel 1994, Nik Pope, impiegato in una sezione nota come Secretariat (Air
Staff) Sec (AS) 2a del Ministero della Difesa britannico, con la mansione di
accertarsi che gli avvistamenti di UFO non mettessero a rischio la difesa del
Regno Unito, si trovò a riesaminare l’incidente della base di Rendlesham-
Bentwaters. Si rese subito conto che c’erano delle anomalie nel modo in cui
venne trattato quell’episodio da parte delle autorità militari. Oltre a dire che
non si era verificato alcun problema per la sicurezza della base, non ci fu una
risposta ufficiale del governo su cosa fosse realmente accaduto. Nessuno
spiegò cosa fosse quell’oggetto, né da dove provenisse. Inoltre, c’era un
curioso “errore”. Secondo uno degli addetti al radar, l’atterraggio di
quell’oggetto era stato segnalato per alcuni secondi dal radar della base. Ma a
causa di un “errore” burocratico, la traccia radar d quell’avvistamento non era
stata conservata, ma distrutta subito dopo.
Nik Pope intervistò quindi il sergente James Pennistone, che la sera in cui
avvenne “l’incidente” era il responsabile della sicurezza della base di
Rendlesham - Bentwaters. Lui era stato uno dei tre soldati che il 27 Dicembre
1980 alle ore 3:00 era andato fuori della base, credendo che fosse precipitato
un aereo nelle vicinanze. Il militare tracciò per Nik Pope uno schizzo di
quello che avevano visto, e disegnò una sorta di veicolo triangolare, del tutto
simile all’impronta che il giorno dopo il tenente Halt e suoi uomini avevano
visto sul terreno. Il sergente rivelò che da quell’oggetto proveniva un forte
disturbo elettrico alle apparecchiature radio, e che la zona risentiva di forti
cariche elettrostatiche, rilevabili in tutto il territorio circostante.
Il sergente Pennistone e i suoi compagni osservarono l’oggetto per 45 minuti
circa, e notarono delle strane scritture ai suoi bordi, che ricordavano loro
vagamente i geroglifici egiziani (ovviamente il sergente non era un
egittologo, e quindi la sua conoscenza dei geroglifici era del tutto
superficiale). Secondo Pennistone circa 80 militari della base avevano visto
l’oggetto decollare, ma avevano ricevuto l’ordine di trattare il caso come Top
Secret.
Molti anni dopo, quando un gruppo di avvocati riuscì ad obbligare il governo
USA a “desegretare” alcuni documenti inerenti a oggetti “non identificati”,
alcuni di questi militari, compreso il vicecomandante Halt, decisero di parlare
e descrivere quello che avevano visto.
1989 – Ondata Belga
Il 28 Novembre 1989, verso le ore 17:00, diversi agenti della polizia belga
videro due oggetti triangolari, con una differente luce posta ad ogni angolo
del triangolo, fluttuare nelle vicinanze della città. Molta altra gente inondò di
telefonate la polizia dicendo di aver visto oggetti simili nelle vicinanze. Tra
gli agenti che si misero a dare la caccia agli oggetti c’era Dieter Plummans,
ispettore capo della polizia di Kelmis, che insieme al suo collega in quel
momento era a caccia di spacciatori al confine con l’Olanda. Ma si vide
costretto a cambiare obiettivo quando, come altri agenti, ricevette via radio
l’ordine di inseguire un oggetto misterioso a forma triangolare. Anche in
questo caso dall’oggetto era visibile una luce lampeggiante ovoidale rossa,
come quella vista vicino alla base di Rendlesham-Bentwaters. Altri 13 agenti
di polizia fecero rapporto dell’avvistamento dello stesso velivolo triangolare,
tutti vicino alla città di Eupen. Altri 60 civili videro la stessa cosa e
chiamarono la polizia.
Il giorno dopo, il 29 Novembre, il comandante generale dell’aeronautica
belga Wilfred de Brouwer venne messo a capo di una commissione di
inchiesta. Il comandante rivelò in seguito che ci furono circa 143
avvistamenti simili in quel periodo nell’aria di Eupen. Il Comandante Wilfred
de Brouwer si mise immediatamente in contatto con il Pentagono, negli USA,
per sapere se avessero fatto sul Belgio dei voli con aerei di tipo “stealth”. La
risposta fu immediata e negativa: gli aerei “stealth” non avevano fatto alcun
tipo di volo sul Belgio nella data indicata. (Questo è un dettaglio notevole. Ci
troviamo nel 1989, mentre il primo aereo “stealth” americano, F-117
Nighthawk , che ha una forma vagamente triangolare, era entrato in servizio
il 15 Ottobre 1983, ed era stato impiegato per la prima volta a Panama nel
1989. Il secondo aereo “stealth”, il B2 Spirit, aveva effettuato il suo primo
volo il 17 Luglio 1989. La loro esistenza era segretissima, e solo un generale
della NATO poteva chiedere informazioni riguardo ai loro piani di volo.
Questo testimonia che le indagini vennero effettuate ai massimi livelli).
Col passare dei giorni gli avvistamenti continuarono, e coinvolsero piloti di
aerei, agenti di polizia, personale diplomatico, ricercatori scientifici, tutta
gente considerata molto affidabile. Le testimonianze erano tutte molto simili:
tutte le persone coinvolte avevano visto la stessa cosa, ossia dei triangoli neri
con delle luci muoversi silenziosamente nel cielo.
L´11 Dicembre 1989, nella cittadina di Ernage, in Belgio, il Colonnello
André Amond, ingegnere civile e direttore delle infrastrutture per l’esercito
belga, si accorse che un oggetto triangolare simile a quello descritto dai
giornali lo seguiva affiancando la sua macchina. Quando lui si fermava,
l’oggetto si fermava. Quando ripartiva, l’oggetto ripartiva. A suo dire era
evidente che cercava proprio lui. Alla fine, il Colonnello decise di scendere
dalla macchina. L’oggetto lo raggiunse a breve distanza, emettendo un fascio
di luce nella sua direzione. Successivamente sfrecciò via ad una velocità
impressionante, senza emettere alcun suono. Il Colonnello si dice
assolutamente certo che né nel 1989 né oggi poteva esistere un oggetto
fabbricato dall’uomo che potesse manovrare come l’oggetto visto da lui. Il
Colonnello Amond aggiunse il suo rapporto a quello di molti altri membri
delle forze di sicurezza belga. A quel punto il governo belga autorizzò lo
“scramble”, o intercettazione aerea, con gli aerei da combattimento F-16 se ci
fossero stati ulteriori avvistamenti nel territorio del Belgio.
Il 30 Marzo 1990, alle ore 01:00, Yves Milberg, uno dei piloti della 350ª
squadriglia belga situata a Glons, venne chiamato ad effettuare uno
“scramble” a bordo del suo F-16. La notte del 30 Marzo 1990 il radar aveva
segnalato un avvistamento “misterioso” ad est di Bruxelles. Venne dato
l’ordine immediato di “scramble” a due caccia F-16, che si alzarono
immediatamente in volo. L’oggetto venne “agganciato” dalle strumentazioni
di bordo. Secondo i piloti sembrava avere la forma di un diamante.
Inizialmente volava a bassa quota, a circa 1833 km/h, una velocità
supersonica molto superiore a quella a cui vola normalmente un aereo da
combattimento a quell’altitudine. (A bassa quota gli aerei trovano una
resistenza dell’aria molto più forte, e quindi volano tutti molto più
lentamente. A bassa quota si vola normalmente a meno di 800 km/h). Ma le
variazioni di direzione e di altitudine di quell’oggetto erano talmente rapide e
imprevedibili, che ci volle poco ai due esperti piloti per capire che non si
trovavano di fronte ad un aereo, né di linea né militare. Secondo la
testimonianza dei piloti, che sono i massimi esperti in materia, la tecnologia
umana non è in grado di far cambiare di quota e di velocità un oggetto a quel
modo. I caccia F-16 attivarono le armi di bordo, pronti a colpire. Ma
ripetutamente i loro caccia perdevano il contatto con l’oggetto, fino a
perderlo definitivamente.
Stranamente, secondo le fonti “ufficiali”, solo uno dei due F-16 registrò le
informazioni sull’oggetto misterioso. L’altro no. Non essendoci due prove
radar distinte di quanto visto dai piloti, il governo belga non può confermare
“ufficialmente” il tentativo di “scramble” da parte dei due F-16. O almeno
questo è quanto è stato dichiarato alla stampa.
Il 4 Aprile 1990, alle ore 22:00, nella cittadina di Basecles, nella zona di Petit
Rechan, un giovane di cui si conosce “ufficialmente” solo il nome, “Patrick”,
per caso scattò una foto a uno di questi oggetti triangolari, e consegnò il
negativo ad un gruppo di esperti. Un fisico nucleare della Accademia Militare
Reale di Bruxelles, il professor Mark Cascherouch, esaminò per circa 1 anno
la diapositiva, avvalendosi di tutte le strumentazioni all’avanguardia.
Successivamente il negativo venne analizzato dal professor André Marion,
fisico nucleare dell’Università di Parigi, e da altri scienziati in giro per il
mondo. Questi scienziati si dissero convinti che la diapositiva non era un
falso. Il professor Marion disse di comprendere dalla diapositiva che un
campo magnetico circondava l’oggetto fotografato. Questo lasciò supporre
che il veicolo si spostasse grazie a un motore magneto-dinamico, il che
spiegherebbe l’assenza di alcun rumore proveniente dall’oggetto. I motori di
un cacciabombardiere umano, invece, emettono un suono talmente assordante
che il personale addetto al decollo su una portaerei deve portare cuffie
protettive, o rischierebbe di diventare sordo.
Circa 21 anni dopo, un giovane che disse di essere lo stesso “Patrick” che
aveva scattato la foto, contattò l’emittente tedesca RTL dicendo che quella
foto era un falso artigianale. Questa confessione “anonima” e non “provabile”
ha lasciato molti nel dubbio che si tratti solo di un mitomane. Infatti, non si
conosce né la vera identità di chi ha scattato la foto e consegnato il negativo,
né quella di colui che ha detto si tratti di un falso.
Successivamente il Comandante Wilfred de Brouwer, che aveva avuto
l’incarico di fronteggiare “l’Ondata Belga” di avvistamenti, raccontò che i
fenomeni durarono per circa 18 mesi. Vennero segnalati in tutto circa 2000
avvistamenti. Di questi, circa 600 sono stati considerati meritevoli di
approfondimento. Di questi, circa 500 sono rimasti senza una spiegazione.
Pur non potendosi sbilanciare nello spiegare di cosa si trattasse, il
Comandante Wilfred de Brouwer, ha potuto dire cosa NON erano di sicuro
quegli oggetti: non erano aerei, non erano elicotteri, non erano dirigibili, non
erano droni e non erano aerei ultraleggeri. Non era nulla di “nostro”.
1997 – Il caso di Phoenix, Arizona
Ma i militari non sono le uniche voci attendibili che ci informano che negli
ultimi anni la Terra è stata “osservata” da oggetti non di origine umana.
Anche importanti uomini politici hanno ammesso che sono accadute cose non
spiegabili. Ad esempio, il 13 Marzo del 1997, alle 20:15, circa 10.000
persone hanno visto un oggetto a forma triangolare, o di boomerang, largo
circa 1 chilometro, con 5 luci sottostanti, muoversi lentamente sui cieli di
Phoenix. Tutte le radio e le televisioni diedero la notizia, e una enorme folla
di gente si riversò sulle strade per osservare il fenomeno.
Successivamente l’aeronautica militare spiegò l’evento dicendo che verso le
22:00 del 13 Marzo avevano lanciato dei razzi luminosi vicino alla città.
Secondo loro, vedendo queste luci in cielo in formazione, la gente le avrebbe
confuse con un unico oggetto scuro molto grande. Ma, come molti giornalisti
e altri hanno fatto notare, l’avvistamento del “grande triangolo nero” nel cielo
era stato riportato verso le 20:15, e non alle 22:00, quando furono sparati i
razzi di segnalazione. Quindi, anche se verso le 22:00 effettivamente furono
visibili vicino alla città una formazione di luci provenienti dai razzi di
segnalazione (e vennero anche filmati), si trattava di due eventi nettamente
diversi, separati tra loro da un intervallo temporale di circa 2 ore.
Un certo Mitch Stanley, un astrofilo, che osservò le luci usando il suo
telescopio dobsoniano attrezzato con un oculare Tele Vue 32 mm, disse che
le luci non erano altro che aerei in formazione. Le autorità si affrettarono a
diffondere questa versione. Ma né l’aeronautica militare né quella civile
hanno mai segnalato la presenza di formazioni di aerei quella sera sulla città
di Phoenix. Quindi Mitch Stanley non avrebbe potuto osservare nulla del
genere. Entrambe le spiegazioni, del tutto superficiali e in contraddizione sia
tra loro sia con gli eventi che in migliaia avevano osservato quella sera, sono
sembrate a molti solo un tentativo da parte delle autorità per mettere a tacere
il caso.
John Fife Symington III (New York, 12 agosto 1945) era stato Governatore
dello Stato dell’Arizona (di cui fa parte la città di Phoenix) tra il 6 Marzo del
1991 e il 5 Settembre del 1997. Era quindi il Governatore al tempo
dell’avvistamento del “grande triangolo nero” in cielo. In un primo momento,
dopo i fatti del 13 Marzo, il Governatore ridicolizzò la popolazione di
Phoenix che aveva riferito l’avvistamento. Addirittura, si presentò in
conferenza stampa con un suo collaboratore travestito da alieno, per dare
l’impressione che i cittadini di Phoenix stessero ingigantendo qualcosa di
ridicolo e fantasioso. Ma circa dieci anni dopo, quando non rivestiva più
cariche pubbliche, in una intervista confessò di aver volontariamente mentito
alla popolazione riguardo a quell’avvistamento. Disse di averlo fatto a fin di
bene per evitare il panico tra la gente, che secondo lui si sarebbe
inevitabilmente generato se il Governatore di uno Stato avesse confermato
l’accaduto.
In una intervista al The Daily Courier in Prescott, quello che era ormai l’ex-
governatore Symington disse: “Io sono un pilota e ne so abbastanza su
qualunque veicolo possa volare. (L’oggetto in volo sopra Phoenix) era più
grande di qualunque cosa io abbia mai visto, e rimane un mistero. Altre
persone l'hanno visto, persone affidabili … Era enorme e inspiegabile. Chi sa
da dove è venuto? Molte persone l'hanno visto, e l'ho visto anche io. È stato
drammatico. Non potevano essere luci, perché era troppo simmetrico. Aveva
un profilo geometrico, una forma costante”.
Symington ha inoltre detto di aver chiamato quella stessa sera il capo della
Guardia Nazionale e, tramite il suo staff, la vicina base dell’Aeronautica
Militare degli USA di Luke, per avere informazioni. Nessuno di loro ne
sapeva niente, e nessuno era in grado di dire cosa fosse quell’oggetto. I radar
non lo rilevavano, anche se alcuni piloti affermavano di aver avuto un
contatto visivo. L’avvistamento è durato poco meno di due ore.
Perfino il famoso senatore americano John McCain, uno degli uomini politici
più importanti degli USA, si occupò del caso di Phoenix, cercando di avere
risposte. Secondo la testimonianza di un pilota, due caccia F-15 della US Air
Force vennero lanciati all’inseguimento di quell’oggetto, anche se non era
stato rilevato dai radar. I piloti avrebbero effettivamente visto un oggetto che
si dirigeva verso l’aeroporto di Sky Harbor, mentre scendeva di quota. I piloti
non erano stati in grado di stabilire cosa fosse. In una dichiarazione ufficiale,
l’Aeronautica Militare degli USA, però, ha negato questa intercettazione.
2004 – Coinvolta la US Navy
Negli anni recenti, anche la US Navy, ossia la marina militare americana, ha
rilasciato sia filmati che dichiarazioni in relazione ad avvistamenti fatti dai
propri uomini, ad occhio nudo o tramite mezzi tecnologici, che non sembrano
avere una spiegazione di origine terrestre. Analizziamo ora alcuni di questi
casi dove, oltre alle dichiarazioni di esperti militari, seguono i tracciati e i
filmati di alcuni dei sistemi di sorveglianza più avanzati del pianeta: i radar e
i sistemi di rilevazione degli incrociatori lanciamissili della classe
Tychonderoga, quelli delle superportaerei nucleari della classe Nimtz (la USS
Nimtz e la USS Theodore Roosevelt), e i sensori degli aerei F18 Super
Hornet F/A, gli aerei a cui la Marina degli Stati Uniti affida la sua capacità di
difesa, ricognizione e attacco.
Il 4 Novembre 2004, la superportaerei nucleare USS Nimtz, venne coinvolta
in un caso che è stato catalogato con il nome “FLIR1”. L’avvenimento è
accaduto nei pressi di San Diego, in California. L’incrociatore lanciamissili
della marina degli Stati Uniti USS Princeton si trovava in una zona a circa
150 km da San Diego. Nei giorni precedenti al 4 Novembre 2004, grazie al
suo avanzatissimo radar AN / SPY-1B, la nave da guerra aveva rilevato
alcuni deboli segnali radar non identificati. Il sottufficiale capo della Marina,
Kevin Day, riferisce di aver notato nuovamente sul radar, il 10 Novembre
2004, sei giorni dopo, una decina di oggetti non identificati. Questi oggetti
vennero notati anche da un “radar volante” modello Grumman E-2 Hawkeye.
Secondo i militari questi oggetti avevano una velocità troppo bassa per
trattarsi di aerei, in quanto viaggiavano a circa 150 km/h. Un aereo normale
precipiterebbe ad una velocità così bassa.
Il fenomeno si ripresentò 4 giorni dopo, il 14 Novembre, verso le 9:30 del
mattino. Questa volta Kevin Day diede ordine a due cacciabombardieri F/A-
18 E/F Super Hornet, appartenenti al gruppo di volo della portaerei Nimtz,
che si trovavano in zona e in volo, di dirottare verso gli oggetti sconosciuti.
La visibilità era eccellente, il mare era calmo.
La prima grande “stranezza” si verificò quando l’oggetto a cui i due aerei
avrebbero dovuto dare la caccia, precipitò in un solo secondo da circa 10.000
metri fino a livello del mare, fermandosi di colpo sul pelo dell’acqua. Una
accelerazione di questa entità è ritenuta fisicamente impossibile. Non esiste
nessun tipo di aereo o di oggetto costruito dall’uomo che può scendere di
10.000 metri in pochi istanti e poi fermare di colpo la sua discesa. Nessun
oggetto di tipo naturale avrebbe mai potuto accelerare in quel modo e poi non
colpire l’acqua.
I piloti inizialmente non videro nessun oggetto, ma una specie di “ombra” che
increspava l’acqua, larga una sessantina di metri. Poi comparve un oggetto a
forma cilindrica con i due lati estremi a forma emisferica. Il cilindro era
molto corto. Dopo non molto tempo l’oggetto iniziò a salire, seguendo gli
aerei. Quando i piloti tentarono una manovra per intercettarlo, l’oggetto diede
una accelerazione talmente impressionante che non solo sparì dalla vista dei
piloti, ma anche la strumentazione di bordo degli stessi aerei perse ogni
contatto con l’oggetto.
L’incrociatore Princeton rilevò nuovamente l’oggetto a circa 100 km da loro,
indicando che aveva viaggiato a svariate volte oltre la barriera del suono.
Quando nuovi caccia vennero mandati per l’intercettazione, l’oggetto era
nuovamente scomparso. Dopo il ritorno della prima squadra sulla portaerei
Nimtz, una seconda squadra decollò verso le 12:00, questa volta dotata di una
telecamera a infrarossi avanzata (pod FLIR). Questa videocamera ha
registrato un oggetto volante non identificato in un video.
Il filmato all’infrarosso effettuato da uno dei caccia, in qualche modo venne
reso disponibile il 16 dicembre 2017. Circa 1 anno e mezzo dopo, la Marina
degli Stati Uniti d’America dichiarò che quel filmato era autentico, ma che
non aveva autorizzato in alcun modo la sua diffusione. Joseph Gradisher,
portavoce ufficiale del vicecapo delle operazioni navali per la guerra
dell’informazione della Marina degli Stati Uniti d’America, verso il 10
Settembre 2019, a nome della Marina Militare degli Stati Uniti dichiarò: “La
Marina designa gli oggetti contenuti in questi video come fenomeni aerei non
identificati”. Tradotto vuol dire: le immagini sono reali, ma non sappiamo
cosa siano.
Secondo Gradisher, le indagini su oggetti non identificati sono motivate dal
pericolo che rappresentano per i piloti. Ha affermato: “Le incursioni di
[fenomeni aerei non identificati] rappresentano un pericolo per la sicurezza
degli aviatori e un problema di sicurezza per le loro operazioni”. Poi ha
aggiunto: “La Marina sta studiando le incursioni osservate nei tre video
rilasciati”, e ha ammesso che questi avvistamenti “si verificano
frequentemente”. Joseph Gradisher ha sottolineato che quel video è
considerato ancora Top Secret, e quindi non dovrebbe comparire in rete.
Ad ogni modo, le parole di Joseph Gradisher a nome della Marina Militare
degli Stati Uniti d’America restano nella storia come la prima ammissione
diretta, esplicita e ufficiale da parte di un organismo di uno Stato, che i
“fenomeni aerei non identificati” non sono una fantasia di persone squilibrate
o “allucinazioni di gruppo”. Sono avvenimenti reali, registrati dai mezzi di
intercettazione più sofisticati del mondo, quelli dei modernissimi aerei da
guerra occidentali. Probabilmente è stata la prima volta in assoluto in cui un
“oggetto non identificato” è stato filmato da un sistema di tipo militare,
togliendo sul nascere qualsiasi obiezione che possa essere una “fake news”.
Nell’estate del 2014, un’altra superportaerei nucleare, la USS Roosevelt,
venne coinvolta in un caso che venne archiviato con il nome di “GoFast”. Il
tenente Ryan Graves era un militare laureato in ingegneria aerospaziale,
pilota istruttore della Marina Militare USA, con dieci anni di esperienza come
addestratore sulle portaerei. Aveva alle spalle decine di voli in missioni di
guerra sui cacciabombardieri in Medio Oriente. Era un vero “Top Gun”
dell’aviazione della Marina Militare USA, non una matricola qualsiasi.
Nel 2014 il tenente Ryan si trovava vicino alla base di Virginia Beach, nella
zona in cui operava il gruppo navale della superportaerei nucleare Theodor
Roosevelt. Il tenente stava conducendo l’addestramento del suo squadrone di
piloti F18 Super Hornet F/A, i Red Rippers. Ad un certo punto uno dei radar
della squadriglia segnalò una strana traccia radar. Uno dei piloti riuscì a
stabilire il contatto visivo con l’oggetto, e riferisce di aver visto sfrecciare nel
cielo “un cubo all’interno di una sfera”, e gli angoli del cubo toccavano la
sfera. Secondo i piloti, ad un certo punto questo oggetto si posizionò tra due
aerei, causando quasi una collisione, dopo di che sparì. In seguito, i piloti
hanno riferito ai loro superiori che gli oggetti non avevano motore visibile, o
pennacchi di scarico simili a quelli che escono dai motori dei jet, e che
potevano raggiungere i 30.000 piedi di altezza (circa 10.000 metri) a velocità
ipersoniche.
Ma la cosa non fini li. Questi oggetti si sono ripresentati nella zona per circa
due mesi, di continuo. Molti piloti li videro, e i radar di molti F18 imbarcati
sulla portaerei li tracciarono. Vennero realizzati anche dei video usando la
strumentazione ad infrarossi degli aerei. Il tenente Ryan Graves ha riferito:
“Questi oggetti sono rimasti là fuori tutto il giorno”. Nel suo rapporto, che è
stato inviato anche al Pentagono, ha aggiunto: “Mantenere un aereo in aria
richiede una quantità significativa di energia. Con le velocità che abbiamo
osservato (riguardo a questi oggetti), 12 ore di volo da parte loro sono 11 ore
in più di quanto ci aspettassimo”.
Il tenente Ryan Graves ha dichiarato che uno squadrone di UFO ha seguito il
suo squadrone di caccia su e giù per la costa orientale degli Stati Uniti per
diverse settimane. E a marzo 2015, dopo che la superportaerei Roosevelt
venne dispiegata nel Golfo Persico, Graves disse che gli UFO riapparvero.
“Abbiamo avuto problemi con loro quando siamo usciti in Medio Oriente”,
ha detto il tenente Graves. Lui e altri piloti hanno deciso di parlare perché ciò
che hanno visto ha sollevato preoccupazioni per la sicurezza nazionale.
Secondo il Times, nel 2015, a seguito di questa serie di avvistamenti UFO, la
Marina degli Stati Uniti ha pubblicato linee guida ufficiali per il personale.
Tutti i dati saranno classificati come informazioni sensibili e non saranno resi
disponibili al pubblico.
La Marina, stranamente, non avvia nessuna investigazione e non emana
nessun comunicato. La faccenda resta Top Secret finché il 16 Dicembre 2017
viene rilasciato un breve filmato di questo evento effettuato con la telecamera
ad infrarossi di uno degli aerei. Nel 2018 la Marina Militare degli Stati Uniti
dichiara questo fenomeno come autentico e non spiegabile.
Dopo il fenomeno definito “GoFast”, l’equipaggio della portaerei nucleare
USS Theodore Roosevelt è rimasta coinvolta in un altro avvistamento,
classificato con il nome di “Gimbal”. In particolare, il 21 Gennaio del 2015 i
caccia F18 Super Hornet F/A hanno individuato e filmato, con le loro
strumentazioni di bordo, un oggetto nel cielo che appariva al sensore a
infrarossi come una chiazza scura che girava su sé stessa, emettendo calore al
suo esterno. Un altro pilota, il tenente Accon, ha affermato: “Sembrava che
fossero a conoscenza della nostra presenza, perché si muovevano attorno a
noi”. Secondo il tenente, “quando una strana traccia si presenta per la prima
volta sul radar, è possibile interpretarlo come un falso allarme, ma quando
più sensori rilevano la stessa identica cosa, e poi questa compare sul display,
diventa una certezza”.
Accon disse al Times di aver avvistato due volte gli UFO, durante voli a
distanza di pochi giorni. Ha anche affermato che sebbene le apparecchiature
di localizzazione, i radar e le telecamere a infrarossi sui suoi aerei rivelassero
entrambe le volte questo oggetto, non è stato in grado di filmarli con la
fotocamera del casco.
Come per il caso “Flirt1” e il caso “GoFast”, anche nel caso del fenomeno
noto come “Gimbal” tutti i video e i tracciati dell’avvistamento vennero
inviati al Pentagono, e considerati Top Secret. Come per gli altri due casi,
anche nel caso di “Gimbal” il 17 Dicembre del 2017 venne rilasciato un
brevissimo filmato dell’avvistamento, e nel 2018 la Marina degli Stati Uniti
lo ha dichiarato autentico, anche se non era in grado di dire di cosa si
trattasse.
Alcuni ricercatori amatoriali o dilettanti hanno ipotizzato che i sensori a
infrarossi dei Super Hornet 18 - F/A abbiano filmato il calore dato dallo
scarico di un aereo in lontananza. Ma questa spiegazione offende
l’intelligenza dei lettori. Infatti, il rivelatore ad infrarossi è solo una delle
tante strumentazioni di rilevamento in possesso delle portaerei nucleari classe
Nimtz, degli incrociatori Tychonderoga e dei caccia bombardieri. Questi
mezzi da guerra riescono ad individuare oggetti grandi come una palla da
baseball ad oltre 100 chilometri di distanza, a patto che siano di metallo e che
non dispongano di dispositivi tipo “stealth”. Se si fosse trattato di un aereo di
linea, questi avrebbero volato con il trasponder acceso, segnalando la loro
presenza a tutti gli aerei e torri di controllo della zona. Ma questo non è
avvenuto. Se fosse stato un aereo da guerra americano, sarebbe stato
immediatamente riconoscibile con i codici amico/nemico. Se fosse stato un
prototipo stealth americano, ai piloti sarebbe stato semplicemente detto: “È
uno dei nostri, non ne parlate in giro”. Ma non è stato così.
Era forse un aereo nemico? Nessuno degli aerei più avanzati in possesso a
paesi stranieri può nemmeno sognare di eguagliare le prestazioni di
quell’oggetto volante, che, per inciso, trovandosi in territorio americano,
avrebbe scatenato una guerra se fosse stato scoperto come appartenente a
Cina o Russia. Cosa era? Se persino la Marina Militare degli Stati Uniti ha
dovuto ammettere che quell’oggetto non corrisponde a nessuno degli aerei, o
dei prototipi di aerei, di sua conoscenza, e a nessun fenomeno fisico o
atmosferico di loro conoscenza, non resta che credergli, visto che in passato
erano riusciti a trovare una spiegazione (anche fasulla) per la gran parte di
questo tipo di fenomeni. Se poi consideriamo che le Forze Armate USA
dispongono di un budget di 700.000.000.000 di dollari all’anno, hanno tutti i
mezzi tecnologici necessari per capire se qualcosa che vola è di origine
umana o meno.
Col tempo il tenente Ryan ha rilasciato ulteriori dettagli dell’avvistamento
all’emittente History TV. Il tenente rivela che gli oggetti mostrati dal
Pentagono sono solo una parte di quelli filmati. Si trattava di una vera
squadriglia di oggetti non identificati, che volavano liberamente vicino ai
cacciabombardieri USA. C’era 1 oggetto centrale che restava fermo, e 5
oggetti in formazione che gli giravano intorno. Il tenente Ryan, con la sua
esperienza da addestratore di cacciabombardieri, ha spiegato come
quell’oggetto ha compiuto manovre teoricamente impossibili se fatte con
mezzi aerei disponibili nei nostri giorni. L’oggetto, infatti, ha compiuto una
manovra cambiando direzione ad angolo retto, vale a dire a 90 gradi, di
colpo. Questo è, per i nostri sistemi umani, attualmente impossibile. Un
oggetto che resta fermo, immobile, in altezza, nonostante un vento contrario
di 120 nodi, che ruota a 90 gradi e prende velocita supersoniche di colpo, non
è costruito da uomini (e non può avere uomini al suo interno, visto che una
accelerazione simile ucciderebbe qualsiasi essere umano).
Alcune riflessioni
Prima dell’avvistamento alla base NATO di Bentwaters nel 1980, i “triangoli
volanti” non facevano parte degli oggetti comunemente associati agli UFO.
Probabilmente l’unico film di fantascienza che ha goduto di una certa fama e
che ha proposto UFO vagamente triangolari è stato “La Guerra dei Mondi”,
nel 1953. L’industria della fantascienza presentava quasi esclusivamente
“dischi volanti”, anche se di diversa fattura. Quindi nel 1980 il
vicecomandante della base e i suoi uomini videro un fenomeno relativamente
nuovo. Non potevano essere stati condizionati da qualcosa vista in TV o al
cinema.
Inoltre, non potevano nemmeno essere persone in cerca di “fama” o con
manie di protagonismo, visto che, consultando i documenti, si legge che tutti
i militari mantennero il segreto per circa 20 anni, finché il Freedom Act tolse
il vincolo di segretezza ai documenti che parlavano del caso. Il rapporto fatto
dai militari non venne mai messo in dubbio dai loro superiori, e la loro sanità
mentale e capacità operativa non venne mai messa in dubbio da nessuno. I
loro rapporti vennero accettati come veritieri da tutti.
Anche i fatti accaduti in Belgio nel 1990, che riguardarono anche le più alte
sfere militari delle forze armate della nazione, vennero confermati da rapporti
ufficiali dei vari militari. Nessuno all’interno della gerarchia militare mise
mai in discussione che qualcosa di non conosciuto stesse volando sui cieli del
Belgio. Semplicemente dissero che non avevano idea di cosa si trattasse.
Implicitamente ammisero la totale impotenza dei mezzi militari a
disposizione contro quegli oggetti che raggiungevano velocità pazzesche.
Inoltre, quando nel 1990 i militari e molti cittadini del Belgio videro e
inseguirono dei “triangoli volanti”, nessuno di loro era a conoscenza di
quanto era avvenuto a Rendlesham – Bentwaters, visto che per almeno altri
10 anni quei fatti erano stati archiviati come Top Secret. E allora perché gli
oggetti avvistati in Belgio avevano esattamente la stessa forma di quelli visti
nella base di Rendlesham – Bentwaters?
Anche quello che accade in Arizona, a Phoenix, nei cieli di una città con oltre
1 milione e mezzo di abitanti, era qualcosa di troppo grande per essere
considerato come una allucinazione collettiva. Nei cieli della città doveva
esserci per forza qualcosa che ha attirato l’attenzione della popolazione. Il
fatto che le autorità militari della vicina base asserirono che alle 20:15 di
quella sera il cielo sulla città fosse completamente sgombro, non può essere
preso sul serio. Come rivelò il Governatore dell’Arizona molti anni dopo,
probabilmente nemmeno i militari sapevano cosa fosse quell’oggetto. Da un
punto di vista militare questo equivale a dire di non essere in grado di
garantire la sicurezza di un pezzo di cielo del proprio paese. Per i militari
questo è uno smacco difficile da digerire.
A Bentwaters venne visto un oggetto triangolare della grandezza di un
deltaplano. In Belgio vennero visti centinaia di oggetti simili, della stessa
grandezza. Invece a Phoenix videro un “triangolo” con una apertura alare
stimata attorno ad un chilometro. Sembra quasi che ci sia stata una
progressione lineare negli avvistamenti dei “triangoli”. A Bentwaters se ne
videro pochi, di cui sembra che uno solo abbia toccato terra. In Belgio
accadde la stessa cosa, ma gli “esploratori” erano molti di più. Il passo
successivo, a Phoenix, sembra indicare la presenza di una sorta di “astronave
madre” gigantesca che sorvola una grande metropoli.
È quindi un fenomeno che ha una data di inizio ben precisa, il Dicembre del
1980. Circa 10 anni dopo è ricomparso in maniera massiccia, in Belgio, e 7
anni dopo in maniera ancora più massiccia a Phoenix. Dopo questo ultimo
“sorvolo” i “triangoli neri” sono spariti. (successivamente la US Navy ha
filmato strane “luci”, ma non erano “triangoli neri”). Torneranno ancora?
Conclusione
Se l’Apocalisse ha mai avuto una data, questa è il 10.794 a.C., circa 12.800
anni fa. Il filosofo Platone, riportando una storia raccontata dai sacerdoti
egiziani Psenofi di Eliopoli e Sonchi di Sais, ci dice che proprio in quel
secolo Atlantide veniva distrutta nel giro di un giorno e di una notte. Non
solo questo, ma anche tutte le truppe della vittoriosa Atene morivano insieme
ai loro odiati nemici. I più recenti studi sul nostro DNA, portati avanti da una
equipe di oltre 100 scienziati provenienti da tutto il mondo, guidati dalla
dottoressa Monica Karmin, per conto della Genome Research, ci dicono che
proprio in quel periodo è iniziato il “Secondo grande collo di bottiglia
genetico” della razza umana, noto come “Catastrofe del cromosoma Y”. In
diverse parti del mondo, ci fu un crollo demografico verticale. Verso il 5.000
a.C. la popolazione mondiale era praticamente dimezzata.
Recenti studi di geologia ci dicono che a partire da quell’anno alcune comete
precipitarono sulla Terra, con risultati disastrosi. Le stesse pagine della
Bibbia raccontano di un intero gruppo di città incenerito da un misterioso
“fuoco che cadde dal cielo”. E recentissime scoperte archeologiche ci dicono
che un antico popolo, finora sconosciuto, ha scolpito un messaggio in codice
sulla pietra, risalente proprio a quel periodo. Durante gli scavi sono state
ritrovate alcune stele che raccontano una storia inquietante: gli ultimi giorni
di quel popolo, a causa di qualcosa di spaventoso che proveniva dal cielo. In
questo messaggio ci viene detto che ricevettero dei “Visitatori” che influirono
profondamente nella loro storia. Quel messaggio era un avvertimento per chi
sarebbe venuto dopo di loro? Stavano soltanto tramandando una leggenda?
Descrivevano fatti più grandi di loro, che non si riuscivano a spiegare? O
dobbiamo considerare quelle stele come il “diario dell’ultima Apocalisse”
subita dall’umanità?
Da una breve disamina di documenti militari riguardo agli OVNI, o UFO,
comprendiamo che non ci sarebbe stato nulla di strano se gli abitanti di
Göbekli Tepe avessero visto strani oggetti in cielo, o avessero incontrato
“esseri provenienti dal di fuori”. Dopo 12.000 anni, esperti piloti di caccia
militari e altri operatori professionisti delle forze armate, con decenni di
carriera sulle spalle, continuano a vedere le stesse cose. A questo punto, il
racconto di Göbekli Tepe è perfettamente plausibile.
Questo non vuol dire che tutto quello che descrissero nelle loro stele sia vero.
Può darsi che alcuni dettagli non siano stati compresi, o siano stati interpretati
male. Tanto per fare un esempio, la vicinanza di questi “visitatori” alle
comete può averli indotti a credere che siano stati loro a mandarle, ma può
essere solo una loro deduzione errata. Ma da quando perfino la US Navy ha
gettato la spugna, ammettendo pubblicamente l’esistenza di questi fenomeni,
quanto descritto nelle stele di Göbekli Tepe “può essere vero”.
Questo spiegherebbe i vari riferimenti della Bibbia, dei sacerdoti egiziani
tramite Platone, e di molte altre culture, secondo cui in realtà gli umani sono
“sotto osservazione” quasi da sempre. Ma chi sono questi “osservatori”? Da
quanto sono qui? E cosa vogliono? Affronteremo queste domande, con lo
stesso rigore e sobrietà, in un prossimo volume della serie Cassandra.
Riferimenti
Nature - “Evidence of Cosmic Impact at Abu Hureyra, Syria at the Younger
Dryas Onset (~12.8 ka): High-temperature melting at >220 0   °C”.
Potential Consequences of the YDB Cosmic Impact at 12.8 kya: Climate,
Humans, and Megafauna - James P. Kennett
Advances.sciencemag.org - A large impact crater beneath Hiawatha Glacier
in northwest Greenland - Kurt H. Kjær
Genome.cshlp.org - A recent bottleneck of Y chromosome diversity coincides
with a global change in culture - Monika Karmin
“Collo di bottiglia della popolazione umana del tardo Pleistocene, inverno
vulcanico e differenziazione dei moderni umani”, pubblicato dal professor
Stanley H. Ambrose nel 1998
Animals in the symbolic world of Pre-Pottery Neolithic Göbekli Tepe, south-
eastern Turkey: a preliminary assessment – Joris Peters, Klaus Schimdt
Mattias Oskarsson, Analysis of the origin and spread of the domestic dog
using Y-chromosome DNA and mtDNA sequence data, Division of Gene
Technology, School of Biotechnology, Royal Institute of Technology (KTH),
Stockholm, Sweden, 2012
Stephen Oppenheimer, Out-of-Africa, the peopling of continents and islands:
tracing uniparental gene trees across the map, Philosophical Transactions of
The Royal Society B (2012)
Tatiana M Karafet, Fernando L Mendez, Herawati Sudoyo, J Stephen
Lansing and Michael F Hammer, Improved phylogenetic resolution and rapid
diversification of Y-chromosome haplogroup K-M526 in Southeast Asia,
European Journal of Human Genetics (2015)
Using Ancient Mitochondrial DNA Signatures, PLoS ONE 7(7)
Peter Savolainen et al, Out of southern East Asia: the natural history of
domestic dogs across the world, Cell Research 26:21-33, 2015
Platone, Opere complete, 6 Editori Laterza, Roma 2003
Altri libri della serie “Cassandra”
Cassandra 1 – Oltre l’orizzonte del tempo
151 pagine
Pubblicato da Amazon.
Versione Kindle - ASIN: B07N98BZS9
Versione cartacea – ASIN: 1091796505

Alla ricerca del libro di Yahweh


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Il cammino dei sopravvissuti (Cassandra Vol. 3)


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Versione cartacea – ASIN: B08FP38RNK

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