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Il Realismo:

Già intorno al 1850 il romanticismo inizia a dare i primi segni di cedimento ed è in


questo momento storico che in Francia, gli artisti scelgono una maggiore adesione alla
realtà del proprio tempo, senza fughe nella storia del passato o nel mondo dei
sentimenti e della religione. Il grande sviluppo scientifico e tecnologico, che
caratterizza questi anni fa presto capire che la scienza rischia di sconvolgere il
rapporto tra uomo e natura, mentre l’industria tende a costituire una forma nuova di
schiavitù. Il Realismo quindi segue quell’entusiasmo per i progressi della scienza e
della tecnica che avevano caratterizzato la fine del XVIII secolo e l’inizio del XIX
secolo.

Sul piano sociale ed economico si cominciarono a sentire sempre più gli effetti della
Rivoluzione industriale. L’abbandono dell’artigianato e dell’agricoltura determinò una
notevole riconversione sociale da parte di classi di popolazione che si riversarono sul
settore delle industrie. I problemi di questo fenomeno furono l’inurbamento eccessivo
delle città e il peggioramento delle condizioni di vita delle classi del proletariato
urbano. Questa situazione creò notevoli tensioni sociali e portò alla nascita delle
teorie socialiste. Nel 1848 ci furono nuove tensioni politiche in Francia e, dopo nuovi
moti rivoluzionari, fu deposta la monarchia e proclamata la seconda repubblica. È
proprio in questo clima che iniziarono a sorgere le prime teorie artistiche del
Realismo nelle arti figurative ad opera di Gustave Coubert e Honoré Daumier.
Attraverso le loro opere il Realismo assume una posizione di ferma denuncia contro le
ingiustizie della società, facendo proprie le rivendicazioni delle masse e partecipando
attivamente alla vita politica; conseguentemente producendo un grande imbarazzo in
quel panorama artistico francese che considera ancora l’arte il luogo nobile di fatti
epici e grandiosi. Del resto la descrizione delle sofferenze delle classi inferiori, la cui
colpa é socialmente imputabile proprio agli interessi della grande borghesia, non può
ricevere un’accettazione entusiasta dalla stessa grande borghesia che viene così
palesemente denunciata. Con altri artisti come Jean-François Millet e Jean-Baptiste
Camille Corot il Realismo si esprime invece con maggiore distacco, esprimendo
pacatamente i sentimenti, la religiosità e la serietà del lavoro degli umili e per questo
è maggiormente accettato.

Gustave Coubert

L'atelier del pittore, dipinto da Courbet nel 1854-55 è una altra opera enorme, molto
impegnativa, che ha richiesto all'artista parecchi studi preparatori. Ma è anche molto
complessa, piena di significati e allegorie, spiegate dello stesso Courbet in una lettera
inviata all'amico Champfleury. Già il lungo titolo scelto dal pittore è molto indicativo sulle
sue intenzioni: "L'atelier del pittore, allegoria reale che determina sette anni della mia
vita artistica". L'opera è infatti piena di simboli, metafore e ricordi personali dell'artista.
Il dipinto ha uno sviluppo orizzontale e si presenta come la veduta di un interno. Lo sfondo,
velato dalla penombra appare neutro e porta lo sguardo in primo piano. La scena si apre su
un grande studio, affollato di personaggi, con dimensioni al naturale, ad ognuno di loro
Courbet affida un ruolo di metafora e un significato particolare.

L'artista si rappresenta al centro mentre dipinge un paesaggio, come era solito fare nella
natia Ornans. Il suo lavoro viene osseervato con attenzione osservato da una modella nuda
e da un bambino: due immagini simboliche della verità, intesa come  fonte di ispirazione
della sua pittura.
Il bambino che osserva è una traduzione quasi letterale che sta a significare: "guardare il
mondo con gli occhi di un bambino", cioè con innocenza e in modo obiettivo, senza alcun
criterio di giudizio.
La modella nuda è invece un riferimento classico alla figura allegorica della Nuda Verità,
come viene tradizionalmente rappresentata nella pittura fin dai secoli precedenti. Il nudo
femminile è anche riferito all'opera di Rembrandt, uno dei maestri a cui si ispira la pittura
di Courbet.

Tutti gli altri personaggi sono divisi in due gruppi, disposti a sinistra e a destra del pittore,
riprendendo la spartizione tipica del "Giudizio universale" delle opere medievali.

Sulla sinistra sono rappresentati tutti personaggi definiti da  Courbet come "la gente che
vive della morte", intendendo come persone legate alle passioni e ai bisogni puramente
materiali. Sono riferimenti diretti alla realtà sociale, alle sue miserie e alle sue necessità,
ma anche portatori di signuificati allegorici: il rabbino indica la religione, ma anche
l'emarginazione sociale riferita agli ebrei. Il bracconiere con i cani rinvia allo svago, ma
è rappresentato mentre guarda in basso, dove ci sono uno strumento musicale, un cappello
piumato e un pugnale: simboli di un Romanticismo ormai superato. Il mercante è il simbolo
del commercio, ma allude anche all'attaccamento ai beni materiali, all'avidità. La
prostituta allude al vizio e alla degradazione morale. Il pagliaccio è riferito al teatro, ma
anche al trucco alla maschera intese come indici di falsità. La madre irlandese seduta a
terra mentre allatta un bambino, è uno dei simboli più drammatici. Allude alla grave crisi
economica e sociale che aveva travolto l'Irlanda in quegli anni, e diventa un simbolo di
miseria. Sullo sfondo c'è anche una statua di san Sebastiano, che rappresenta l'arte
accademica. Ha una posa innaturale perchè Courbet detestava le sue regole false e
soffocanti.
Il teschio sul giornale allude a una frase del filosofo Proudhon, amico del pittore: ''i
giornali sono i cimiteri delle idee''.

A destra ci sono tutti gli amici e i sostenitori di Courbet, da lui definiti come "la gente
che vive della vita" intendendo persone vive intellettualmente, la vita a cui si riferisce
Courbet è soprattutto una vita spirituale.

Seduto sul tavolo Baudelaire che legge è il rappresentante della poesia. I due visitatori
sono le personificazioni della mondanità e del buon gusto. Il bambino disteso a terra che
disegna è metafora dell'apprendimento, ma è anche indice di un approccio all'arte libero
da ciondizionamenti, quindi "antiaccademico". I due innamorati sono un diretto riferimento
all'amore, inteso in senso universale. L'uomo seduto che osserva il pittore è lo scrittore
Champfleury, autore di un saggio sul Realismo, e simbolo della prosa. Più indietro, verso lo
sfondo, si trova Proudhon, filosofo anarchico che ha avuto una forte influenza sul pensiero
politico e rivoluzionario di Courbet, rappresenta la filosofia. Promayet con il suo violino
imn mano, rappresenta la musica.

Da punto di vista tecnico, il trattamento della materia pittorica è molto vario, si notano
ampie superfici vuote, ora levigate da una stesura leggera e distesa, ora dense i colore
grumoso, trattato con la spatola. Courbet ha lavorato alcune zone del dipinto a macchie, in
una sorta di trattamento compendiario, e in altre si concentra su particolari resi con
minuzia e precisione, come il gatto, il cane, lo scialle della donna a destra,
ecc. Nell'insieme il dipinto si compone di una gamma scura di colori, su cui si accendono
alcune macchie più pure e luminose. La luce è diffusa e attenuata, ma una vera fonte non
si lascia identificare, rimane un po' misteriosa. Lo spazio è descritto sommariamente,
accennato, prevale piuttosto un'atmosfera sospesa e poetica che suggerisce la
rappresentazione simbolica.
Nel quadro ci sono tutti i generi appartenenti alla pittura di Courbet: paesaggio, ritratto,
natura morta, vedute d'interni, animali.

Il quadro, presentato all'esposizione universale di Parigi del 1855, venne rifiutato dalla
giuria: Così Courbet decise di organizzare in proprio una mostra personale in un Padiglione
del realismo, eponendo questo e altri suoi dipinti.

Il Funerale a Ornans, del 1849-50 è un quadro spettacolare e di dimensioni enormi (misura oltre tre
metri per sei e mezzo) che esposto al Salon viene giudicato molto aspramente come un omaggio alla
volgarità e alla bruttezza. Le figure sono state definite rozze, grottesche, senza ''decoro'', ma
soprattutto questo quadro è stato ritenuto offensivo perchè troppo vero.
Il tema della morte, i colori cupi, i personaggi così mesti, e a grandezza naturale, risucchiano lo
spettatore in uno spettacolo desolante, pieno di angoscia. E poi così grande, come se si trattasse di
pittura storica o religiosa, (che è quella a cui sono spesso affidati insegnamenti morali, esempi da
seguire) è stata una miscela esplosiva per il pubblico dell'epoca, l'opera venne considerata come
una pericolosa trasgressione.
Di fatto Courbet nel suo lavoro persegue un obiettivo che è l'opposto dell'idealizzazione, sia
neoclassica che romantica e crea uno spettacolo che non solo non è piacevole, ma appare
come volutamente sgradevole. Eppure Courbet mostra la realtà com'è, non la giudica, la lascia
senza filtri, alla meditazione dello spettatore. Il cane in primo piano, la posa dell'uomo in ginocchio
e la fossa proprio in primo piano, davanti allo spettatore sono veramente insopportabili per la
mentalità borghese dei suoi tempi.
Per la composizione Courbet fa riferimento all'antichità classica: la disposizione dei personaggi
ricorda quella di un fregio antico e rinvia all'Ara Pacis. Dall'arte romana imperiale riprende anche le
componenti  ritrattistica e della solennità d'insieme. Come è consuetudine per l'artista francese,
questo dipinto è stato realizzato dopo una laboriosa preparazione, poichè è compoposto da oltre
cinquanta ritratti degli abitanti del piccolo borgo di Ornans. Figurano tutti, il padre, gli amici del
pittore, il sindaco, le donne più anziane, i chierichetti, il cane...Ognuno di loro si reca dal pittore
per posare in questo quadro.
I colori hanno un'importanza fondamentale: domina il nero e una gamma di colori spenti, sui quali
spiccano a contrasto i bianchi, i rossi e i verdi molto vivi. L'effetto di tristezza è accentuiato anche
dal paesaggio desolato, immerso in un tramonto invernale e con lo sfondo del cielo velato

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