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Prof.Cerra
La fisiologia inizia quasi insieme alla filosofia, quando la filosofia e la scienza nascevano insieme come un
tutt’uno chiedendosi il perché della vita sia in termini fisici, metafisici, biologici e così via.
Possiamo dunque dire che la fisiologia è una scienza antica e osservare a partire dalla teoria ippocratica
grandi nomi che hanno contribuito a ciò che è oggi la fisiologia quali Aristotele, Galeno, Malpighi, Galvani,
Golgi, Sertoli e molti altri.
Oggi la fisiologia è una disciplina che si integra con la Biochimica, la Chimica Fisiologica, la Farmacologia, la
Patologia e l’Endocrinologia.
La Fisiologia studia le funzioni dell’organismo, dal livello molecolare a quello cellulare, tissutale, d’organo,
d’apparato e di organismo.
Uno dei principi cardini della fisiologia è quello che va sotto il nome dei Rapporti struttura-funzione.
Quando studiamo la funzione di una qualunque cosa, sappiamo che funziona perché ha una determinata
struttura. Una struttura permette una funzione e quella funzione si appoggia e si basa sul fatto che c’è
quella struttura che garantisce lo svolgimento della funzione. Vedremo che il cuore svolge la sua funzione
per via della sua struttura.
Un altro concetto chiave della fisiologia è l’Omeostasi.
Secondo la definizione di Claude Bernard (XIX secolo) l’omeostasi è la costanza dell’ambiente interno.
L’ambiente interno, gli organismi, le cellule e i tessuti, contengono un loro ambiente che rimane nel tempo
in qualche modo costante, cioè non varia al di la di limiti ristretti, ben definiti (liquido intracellulare,
temperatura, PH ecc).
Però l’organismo, la cellula, il tessuto, l’apparato, vivono in relazione con un’ambiente esterno,
quest’interazione con l’ambiente esterno fa si che quest’ambiente interno possa in qualche modo subire
delle modificazioni. Affinché si mantenga uno stato stazionario di salute è necessario che la struttura che
stiamo considerando (la cellula, il tessuto, l’organo...) siano capaci di reagire alla perturbazione che
proviene dall’ambiente esterno modificando delle sue componenti, cioè reagire allo stimolo con una
risposta che consente a quel parametro di tornare ad uno stato iniziale.
Il nostro organismo è costituito in maniera tale da gestire costantemente una serie di reazioni di risposta a
degli stimoli esterni, cosicché quel componente si mantiene costante.
Quando l’omeostasi viene garantita siamo in uno Stato Stazionario (steady state), se questo stato
stazionario viene mantenuto, ci troviamo in uno Stato di Salute, quando questo stato omeostatico di salute
non viene mantenuto, ci troviamo in uno Stato di Malattia.
La fisiologia si occupa dell’organismo quando è in buona salute.
La fisiologia di cui ci occuperemo è la fisiologia cellulare, tissutale e d’organo.
Il particolare punto focale della fisiologia è l’integrazione delle funzioni attraverso molti livelli di
organizzazione. La più piccola unità strutturale in grado di realizzare tutti i processi vitali è la cellula.
Una barriera di lipidi e proteine chiamata membrana cellulare separa le cellule dal loro ambiente esterno.
Gli organismi semplici sono composti esclusivamente da una cellula mentre gli organismi complessi hanno
molte cellule con differenti strutture e funzioni. L’insieme delle cellule che presentano funzioni correlate
costituiscono i tessuti. I tessuti formano unità strutturali e funzionali denominate organi e gruppi di organi
integrano le loro funzioni per creare apparati (sistemi).
Organizzazione biologica:
Genoma (geni codificati nel
DNA)
Trascrittoma (RNA messagero)
Metaboloma (metaboliti
presenti in particolari
condizioni)
Proteoma (espressione delle
proteine e loro localizzazione)
Fisioma (complesso delle
funzioni)
Diseasoma (insieme delle
condizioni legate ad una
patologia)
Ambiente e Popolazione
Come abbiamo detto un organismo in omeostasi è un organismo in equilibrio. Quest’organismo può andare
in contro a delle variazioni che provengono dall’ambiente interno o dall’ambiente esterno e che possono
indurre l’organismo ad allontanarsi dalla condizione omeostatica di equilibrio. Ogni qual volta che
l’organismo perde l’omeostasi intervengono naturalmente delle reazioni compensatorie. Queste
compensazioni possono portare a buoni risultati e dunque al benessere (condizioni fisiologiche) o ogni qual
volta la compensazione fallisce portare al disordine e alla malattia (condizioni patologiche).
Affinché l’organismo si possa mantenere in condizione omeostatica, queste variazioni, seguono delle
dinamiche cosiddette a feedback, cioè delle retroazioni. Il feedback può essere positivo o negativo.
Feedback positivo: quando uno stimolo attiva il meccanismo di controllo e la risposta che io ho rinforza lo
stimolo iniziale, cioè amplifica lo stimolo. (es. l’ossitocina induce il rilascio di latte, aumenta quindi la
suzione e questo aumenta il rilascio dell’ossitocina)
Feedback negativi: si ha una risposta che inibisce lo stimolo iniziale, cioè limitano lo stimolo. (es. la carenza
di ossigeno ai tessuti, stimola la produzione renale di eritropoietina (EPO) che stimola la produzione di
globuli rossi, quindi i tessuti ricevono più ossigeno e si blocca lo stimolo iniziale)
Omeostasei dei volumi dei
fluidi corporei
-Acqua corporea totale: 42 l
Liquido Liquido
extracell:14 l intracell : 28 l
Membrana
cellulare
Liquido
Plasma
interstiz: 10,5l
3,5 l
Parete
capillare
I vari compartimenti idrici del nostro organismo sono in comunicazione l’uno con l’altro, cioè il liquido
extracellulare e il liquido intracellulare sono in counicazionee. L’acqua transita dall’interno all’esterno della
cellula e viceversa passando attraverso la membrana plasmatica, cioè i compartimenti sono separati, ma
non in maniera stagna, sono separti in maniera tale che possono comunicare tra di loro, in maniera
dinamica.
I soluti e l’acqua entrano attraverso i liquidi extracellulari. Il liquido extracellulare e quello intracellulare
sono in equilibrio osmotico.
L’acqua si sposta seguendo un gradiente osmotico. L’equilibrio tra i compartimenti si realizza spostando
acqua e non soluti.
Membrana cellulare
La membrana cellulare è una struttura di separazione e di comunicazione tra l’ambiente intracellulare e
l’ambiente extracellulare. E’ una struttura estremamente dinamica perché non limita i due compartimenti
separandoli a tenuta stagna ma è una zona di comunicazione. E’ proprio grazie alla comunicazione
attraverso la memrana che le cellule possono vivere nelle condizioni appropriate.
Non è l’unica membrana presente nell’organismo, ma all’interno delle cellule ci sono diverse membrane
intracellulari.
Sostanzialmente la membrana è una tela fosfolipidica costituita da due foglietti fatti da fosfolipidi,
organizzati in maniera da porre le teste polari a contatto con i compartimenti idrici extracellulari e
intracelluari, nel caso della membrana plasmatica, e le code dirette verso l’interno così da formare una
regione con caratteristiche idrofobe, perché si dispongono a contatto con gli acidi grassi, mentre le teste
che rappresentano la regione idrofila, sono a contatto con le zone idriche. All’interno di questa tela
fosfolipidica i fosfolipidi possono compiere una serie di movimenti. I fosfolipidi possono muoversi sul loro
asse, le code possono vibrare e spostarsi, possono migrare da una regione all’altra della membrana,
possono anche scambiarsi dal versante extracellulare al versante intracellulare con il cosiddetto
meccanismo del Flip-flop.
Questi fosfolipidi sono associati con un a serie di catene di olisaccaridi all’esterno, all’interno di questa tela
fosfolipidica sono immerse le proteine della membrana e la membrana non è isolata completamente
rispetto alla cellula ma è solidale con l’interno della cellula in quanto è collegata attraverso il citoscheletro
da proteine come l’actina citoscheletrica o la spectrina.
I due strati della membrana non sono perfettamente simmetrici l’uno con l’altro, c’è una distribuzione
preferenziale dei fosfolipidi nello strato esterno rispetto allo strato interno, nello strato esterno si vanno a
disporre preferenzialmente i fosfolipidi neutri, mentre nello strato interno vanno a disporsi
preferenzialmente i fosfolipidi con carica negativa.
La membrana si lascia attraversare da una
serie di sostanze, la sua natura
fosfolipidica ne determina delle
caratteristiche chimico fisiche molto
particolari, che stabiliscono quali e come
avvengono i trasporti attraverso la
membrana. Diremo dunque che la
membrana è selettivamente permeabile.
Innanzitutto attraverso la membrana
passa con facilità l’acqua. La forza che
muove l’acqua da un compartimento
all’altro è l’osmosi.
Osmosi
L’osmosi è la forza che guida i movimenti dell’acqua attraverso la membrana.
∆𝑷 = 𝑹𝑻(𝚽𝒊 𝒄)
Abbiamo due contenitori, costituiti da due compartimenti C1 e C2, separati da una membrana
semipermeabile, ossia una membrana che possiede dei pori idrici attraversabili dall’acqua. Questa
membrana semipermeabile separa due compartimenti contenenti liquidi diversi. Il liquido nel
compartimento è solo acqua, il liquido nel compartimento due invece è acqua con una soluzione che per
dimensione o per altro non può attraversare i pori idrici. La conseguenza di questa situazione è un richiamo
dell’acqua contenuta nel compartimento uno che va verso il compartimento due. Questa forza è la forza
osmotica. Ciò avviene perché i sistemi tendono all’equilibrio, quindi il gradiente che si genera, che
chiamiamo gradiente osmotico, tra il compartimento uno ed il compartimento due, fa si che ci sia una
forza, che genera l’aumento di volume del compartimento due. L’aumento di volume corrisponde alla
pressione osmotica, ∆𝑷 , cioè la pressione che si genera a seguito di questo flusso di acqua.
Nell’osmosi è l’acqua che passa non le particelle.
La pressione osmotica è definita dalla legge di Vant’Hoff, che dipende dalla costante dei gas, dalla
temperatura assoluta, da un coefficiente osmotico, dal numero di ioni dissociati e dalla molarità del soluto.
L’unità di misura dell’osmosi è l’osmole, che è la quantità di soluto necessaria per avere una pressione
osmotica di 22,4 atmosfere.
Questo flusso osmotico è così importante che avviene sempre all’interno delle cellule.
L’effetto osmotico è ben visibile in esperimenti di base sul comportamento delle cellule all’interno di un
liquido, in funzione della variazione dell’osmolarità del liquido circostante.
Normalmente le cellule sono poste all’interno dei liquidi interstiziali, in condizioni d’uguale valore di
osmolarità. Cioè l’interno delle cellule e l’esterno delle cellule è in equilibrio dinamico che fa si che ci sia
costantemente un passaggio di acqua.
Se noi prendiamo un globulo rosso nel caso dell’isotonicità, e lo mettiamo all’interno di una soluzione che
ha la sua stessa concentrazione di NaCl. In questa condizione il liquido all’interno del globulo rosso ha lo
stesso valore osmotico del liquido all’esterno del globulo rosso.
Se noi prendiamo un globulo rosso e lo mettiamo all’interno di una soluzione ipertonica, ossia cosicché il
liquido extracellulare è ipertonico rispetto al liquido intracelulare, la forza osmotica richiamerà acqua
dall’interno verso l’estero della cellula. Il risultato è che all’interno della cellula si ridurrà la quantità di
acqua che è migrata verso l’esterno. La cellula si svuota di acqua e si raggrinzisce.
Quando invece, il globulo rosso è messo all’interno di un liquido ipotonico, cioè le condizioni di osmolarità
sono tali per cui l’acqua dall’esterno va verso l’interno, la cellula si riempirà di acqua fino a scoppiare.
Questo evento viene chiamato emolisi osmotica. I globuli rossi esplodendo formano i ghost eritrocitari.
Le ombre o ghost eritrocitarie
consentono lo studio della
membrana.
Ovviamente i movimenti di acqua
all’interno delle cellule, non
valgono solo per i globuli rossi,
ma per qualunque cellula.
Non tutto il volume della cellula
entra nello scambio osmotico, le
zone osmoticamente attive sono
le zone localizzate in prossimità
della zona di scambio.
L’acqua passa attraverso la membrana o grazie alle sue caratteristiche chimico fisiche attraverso il doppio
strato fosfolipidico, o mediante canali per l’acqua detti acquaporine.
Le acquaporine non servono soltanto per il passaggio di acqua, ma per il passaggio di urea, glicerolo e altro.
Membrana cellulare
A cavallo della membrana si distribuiscono le specie ioniche in maniera non identica all’intero e all’esterno,
il motivo di ciò è dato dall’accumulo all’interno della cellula di proteine che funzionano come anioni non
diffusibili e quindi impongono agli ioni che invece possono diffondere attraverso la membrana, una forza
che fa si che gli ioni essendo specie cariche si distribuiscano in maniera tale da tendere all’equilibrio e
compensare quest’eccesso di carica negativa all’interno della cellula. L’eccesso di proteine all’interno della
cellula induce un richiamo d’acqua per forza oncotica e quindi consente il turgore cellulare, impone la
distribuzione degli ioni, fa si che l’acqua che entra generi un gradiente osmotico, fa si che l’interno della
cellula sia carico negativamente, ci sia dunque un eccesso di carica che non può essere spostato fuori dalla
membrana.
Nonostante il turgore cellulare generato, le cellule
normalmente non scoppiano perché anche al di
fuori della cellula ci sono degli ioni, che non
entrano nella cellula e quindi consentono un
richiamo d’acqua verso l’esterno. Quindi abbiamo
acqua che entra ed acqua che esce. In più, questa
diversa distribuzione degli ioni all’interno e
all’esterno della cellula fa si che esistano dei
trasporti attivi che favoriscono la distribuzione
asimmetrica degli ioni.
La presenza di questi anioni non diffusibili
all’interno della cellula e la presenza di queste
specie cariche che si distribuiscono in maniera
asimmetrica, fa si che l’interno della cellula sia sempre caratterizzato da un eccesso di carica negativa.
Se noi facciamo la differenza in termini elettrici, tra l’interno della cellula e l’esterno della cellula, vedremo
che l’interno della cellula possiede una prevalenza di carica negativa. Questo avviene in tutte le cellule e va
sotto il nome di potenziale di riposo.
Una cellula a riposo ha sempre l’interno cellulare, il
citoplasma, ricco di cariche negative, mentre all’esterno sono
prevalenti le cariche positive. Questa differenza di potenziale
tra l’interno e l’esterno della cellula, abbiamo detto che va
sotto il nome di potenziale di riposo, la esprimiamo in
millivolt (mV) e la definiamo con il segno meno.
Nell’immagine sono riportati i potenziali di alcuni tipi cellulari
a riposo. E’ importante specificare che si tratta di potenziale a
riposo, perché questo valore cambia in alcuni momenti in
quello che definiremo potenziale d’azione.
Trasporti passivi
Abbiamo detto che la diffusione si divide in
semplice e facilitata, quella semplice è
vettore-indipendente, quella facilitata è
vettore-dipendente.
Diffusione semplice
Nell’immagine abbiamo il classico esempio
in cui è riportato un contenitore separato
da una membrana semipermeabile, che si
lascia cioè attraversare da qualcosa e non
da tutto. Al tempo 0 poniamo in una parte
del contenitore una sostanza diffusibile
qualunque, al tempo 1 la particella seguirà
il suo gradiente, quindi attratta dalla forza di gradiente si sposterà dall’altra parte del contenitore, al tempo
2 la particella raggiungerà l’equilibrio all’interno dei due contenitori, avremo dunque un flusso netto uguale
a zero, cioè tante particelle vanno da sinistra a destra tante vanno da destra a sinistra. Questo avviene
perché la particella è in grado di interagire con la membrana.
La diffusione semplice riguarda sostanze permeanti liposolubili, devono essere dunque in grado di
interagire con la membrana. Si dice essa sia gradiente limitata, cioè se c’è la differenza di concentrazione
tra l’interno e l’esterno della membrana la diffusione può avvenire, altrimenti la diffusione non avviene.
Quando il gradiente di concentrazione è pari a zero la diffusione non avviene. La diffusione semplice ha
inoltre una cinetica di non saturazione, nel senso che all’aumentare della differenza di concentrazione
aumenta in maniera lineare la diffusione, cioè il passaggio, il flusso diffusionale.
Le varie sostanze che attraversano la membrana per diffusione, non la attraversano tutte con la stessa
velocità, non hanno tutte lo stesso flusso diffusionale, perché dipende dalla natura della particella o meglio
dipende dal cosiddetto coefficiente di ripartizione olio/acqua, per cui abbiamo una permeabilità che
incrementa man mano che aumenta il coefficiente di ripartizione olio/acqua.
Ci sono delle sostanze altamente permeabili, tipo l’etano, l’etanolo e sostanze meno permeabili tipo il
glicerolo. L’acqua si posiziona in una condizione di elevata permeabilità.
Anche la dimensione relativa delle molecole influenza la permeabilità, cioè la capacità che hanno queste
sostanze di passare, tanto è vero che possiamo osservare nel grafico che diminuisce la permeabilità
all’aumentare delle dimensioni relative delle molecole.
La diffusione semplice è governata dalla cosiddetta LEGGE DI FICK.
La legge di Fick è un’equazione abbastanza semplice che ci aiuta a calcolare il flusso diffusionale, cioè
quante molecole al secondo passano attraverso la membrana.
∆𝐶
𝐹 = 𝐾𝑑 × 𝐴 ×
∆𝑥
F= flusso diffusionale (mol/sec)
K d = coefficiente di diffusione (m/s)
∆C= differenza di concentrazione (mol/m3 ) (maggiore è il gradiente, maggiore sarà il flusso)
∆x= spessore della membrana (m) (maggiore è lo spessore, minore sarà il flusso)
A= superficie della membrana (m2 ) (maggiore è la superficie, maggiore sarà il flusso)
Possiamo dire che il flusso diffusionale cresce all’aumentare della differenza di concentrazione e
all’aumentare della superficie che si occupa del passaggio.
La legge di Fick non è valida per le molecole cariche perché il potenziale della membrana genera una forza
aggiuntiva che va a sommarsi all’eventuale gradiente di concentrazione.
La legge di Fick non tiene conto delle dimensioni delle molecole e la possiamo rappresentare come una
retta che cresce all’aumentare della differenza di concentrazione.
La legge di Fick ricorda la legge di Ohm per le membrane, secondo la quale la corrente espressa in
Coulomb/s passa attraverso una membrana in base alla conduttanza della membrana che dipende in
questo caso dal numero dei canali, delle vie che sono aperte per il passaggio delle cariche.
Un altro fattore che influenza la velocità di diffusione è la distanza diffusionale, più lontani sono le zone
coinvolte nel trasporto, maggiore è il tempo che la particella impiega per passare attraverso la membrana.
Le particelle più vicine alla membrana sono quelle che passano prima e passano più rapidamente.
Il fatto che la distanza diffusionale determina il tempo del trasporto è un fattore importante per esempio
nel passaggio dei gas respiratori nei tessuti, più distante è il vaso sanguigno dalla cellula che deve ricevere
ciò che proviene dal vaso sanguigno, ad esempio i gas respiratori, maggiore è il tempo.
Diffusione facilitata
La diffusione facilitata avviene sempre secondo gradiente, anche il questo caso in assenza di gradiente la
diffusione non avviene, dunque anche la diffusione facilitata come quella semplice è gradiente limitata.
Come osserviamo nell’immagine, la particella s deve interagire con la
proteina x di membrana, una volta che è avvenuta questa interazione,
la proteina x di membrana cambia conformazione e fa si che la
particella s venga rilasciata sull’altro versante della membrana. E’
quindi necessario che esista un mediatore. La diffusione facilitata
interessa il trasporto di piccole molecole come ad esempio il glucosio,
gli amminoacidi oppure gli ioni. Il trasporto avviene secondo delle
cinetiche particolari, per i trasportatori di piccole molecole si tratta di
una cinetica di saturazione, per cui il flusso diffusionale cresce al crescere della concentrazione. Le proteine
di membrana possono legarsi a degli inibitori di tipo farmacologico e quindi essere incapaci di far avvenire il
trasporto. I trasportatori sono specifici per la sostanza, quindi avremo trasportatori del glucosio, degli
amminoacidi, i canali per il sodio, i canali per il potassio e così via. Le proteine di membrana sono sensibili
alla temperatura, per cui lavorano in maniera ottimale ad un determinato valore termico.
Canali ionici
I canali ionici sono quelle proteine di membrana che mediano il trasporto passivo delle specie ioniche che
essendo cariche elettricamente non potrebbero passare attraverso la membrana per diffusione semplice.
Si genera dunque un varco ricco di acqua
all’interno del quale può passare lo ione
per cui il canale è specifico. La dimensione
del canale è varia, dipende dal tipo di ione
che deve passare.
Questi canali ionici sono proteine
transmembrana, hanno una regione
idrofila, cioè gli amminoacidi di queste
catene peptiche si organizzano in maniera
tale da creare un’attrazione elettrostatica
con lo ione, si riempiono di acqua e
dunque lo ione più vicino al canale perde il proprio guscio di idratazione e interagisce con l’acqua posta
all’interno del canale.
I canali ionici selettivamente selezionano gli ioni che possono attraversarli e come vedremo possiedono
delle diversità funzionali. Sono proteine molto complesse, alcuni sono canali formati da varie subunità
proteiche.
Anche nel caso dei canali, abbiamo diversi tipi di canali che possono essere classificati in quanto possiedono
degli stati funzionali diversi.
I canali ionici hanno due proprietà fondamentali che sono il gating e la selettività. Quasi tutti i canali ionici
localizzati a livello delle membrane cellulari sono in grado di passare, in risposta a segnali specifici, da una
conformazione aperta in cui è ammesso il passaggio degli ioni ad una conformazione chiusa.
Un modello che ci permette di spiegare la transizione tra apertura e chiusura è la presenza di una “porta”
(gate), che è una propaggine molecolare del canale, capace di muoversi in modo da occludere o da aprire il
lume del canale ionico. Il gate è ovviamente costituito da una specifica sequenza amminoacidica.
Ci sono 5 diverse categorie di canali provvisti di gate, che si distinguono in base al meccanismo di gating,
abbiamo infatti: canali controllati dal voltaggio, canali controllati dal ligando, canali controllati dalla
sollecitazione meccanica, canali controllati dalla temperatura e canali controllati dalla luce.
Nei canali voltaggio-dipendenti, la proteina cambia la propria struttura a causa della differenza di
potenziale che c’è sui due lati della membrana.
Nei canali chemio-dipendenti il canale cambia il proprio stato funzionale a causa a causa di un mediatore
chimico che può provenire dallo spazio extra-cellulare, dunque si lega il mediatore e si apre il canale,
oppure da un messaggero intracellulare il quale si lega anch’esso consentendo l’apertura del canale.
Ci sono anche canali che cambiano il proprio stato funzionale in relazioni a cambiamenti di temperatura o
ancora a causa di una reazione alla radiazione luminosa, canali che si attivano a causa di deformazioni
meccaniche della membrana.
Possono inoltre esserci dei canali senza porta (canali di leakage) che sono invece sempre aperti. Infine, ci
sono i canali dell’acqua, le acquaporine, che sono quelle strutture che si inseriscono all’interno della
membrana aumentando la permeabilità della membrana per l’acqua.
La permeabilità ionica della membrana può essere aumentata da sostanze ionofore, come ad esempio la
valinomicina, che è un antibiotico, che si inserisce nella membrana e genera un canale per il potassio,
quindi aumenta la possibilità che la membrana sia attraversata da ioni di potassio i quali si muovono
secondo il loro gradiente elettrochimico.
Questi canali ionici sono come abbiamo detto proteine transmembrana, selettive per uno ione o per una
famiglia di ioni, sono caratterizzati da una specifica conduttanza, che è la capacità che ha la membrana di
lasciarsi attraversare dalla carica. Come abbiamo detto i canali ionici oscillano tra uno stato di apertura e
uno di chiusura per un processo di gating o variazione delle condizioni d’accesso.
I canali possono inoltre essere modulati ad esempio attraverso sostanze farmacologicamente attive, P
possono dunque essere bloccati e subire il fenomeno della desensibilizzazione.
Poiché ogni volta che il canale si apre, passa uno ione,
passa una corrente che può essere positiva o negativa, la
corrente totale della membrana è data dalla somma
delle correnti che passano nei singoli canali.
Quindi noi avremo una membrana, che viene attraversata
da un evento di corrente, il quale dipende dalla quantità di canali che si sono aperti. Possiamo dunque fare
la sommatoria di tutte le singole correnti. Questa corrente dipende dal potenziale della membrana, perché
lo ione è una specie carica dunque è soggetto alla forza chimica e alla forza elettrica, la forza elettrica è
determinata dalla differenza di potenziale che c’è all’esterno e all’interno della cellula, la forza chimica è il
suo gradiente.
Quando un canale si apre, lo ione si sposta così da scaricare un gradiente chimico per raggiungere il suo
equilibrio. L’equilibrio è quel momento in cui le forze che agiscono sullo ione lo hanno distribuito in
maniera tale che il flusso netto sia uguale a zero. Quindi la corrente che si genere su una membrana
dipende dalla somma delle correnti che passano attraverso i singoli canali, che dipende da quanti canali
sono presenti sulla membrana. Questo numero di canali presenti sulla membrana determina la massima
conduttanza della membrana.
I canali si studiano attraverso una tecnica che è tipica dell’elettrofisiologia che è la tecnica Patch clamp. Il
Patch clamp sfrutta la possibilità di isolare una porzione di membrana utilizzando una micro-pipetta in
vetro che viene poggiata sulla membrana la quale viene sigillata e dunque isolata dal resto della membrana.
Questa porzione di membrana potrà comprendere diversi canali ionici. All’interno della pipetta è posta una
soluzione elettrolitica.
Attraverso questa
tecnica è possibile
registrare le
correnti ioniche
che fluiscono
attraverso i canali
ionici presenti. Il
potenziale in
uscita è
proporzionale alla
corrente
applicata all’ingresso invertente (-), cioè alla corrente che passa nel patch di membrana isolato dalla bocca
dell’elettrodo.
Trasporti attivi
I trasporti attivi sono quei trasporti che sfruttano l’energia metabolica che deriva dall’ATP.
Nel trasporto attivo primario, la
particella proteica è in grado essa
stessa di far avvenire l’idrolisi
dell’ATP. Una regione della proteina
agisce da ATPasi, cioè da enzima
idrolitico nei confronti dell’ATP;
poiché l’ATP è una molecola ad alta
energia, l’idrolisi dell’ATP in ADP e
fosfato inorganico fa si che la
particella x venga trasferita
dall’interno all’esterno della cellula.
Possiamo notare nell’immagine che la
particella x all’interno della cellula è
concentrata in quantità minore
rispetto all’esterno della cellula, ciò indica il fatto che il trasporto attivo primario avviene contro gradiente.
Si chiama primario questo tipo di trasporto perché la proteina trasportatrice si occupa non solo di far
avvenire il trasporto, ma anche di idrolizzare l’ATP. Avremo dunque un trasportatore che è allo stesso
tempo un enzima ATPasico.
Nel trasporto attivo secondario, il meccanismo si complica. Il trasporto attivo secondario richiede
sicuramente la necessità di un trasporto attivo primario che idrolizzando l’ATP e con l’energia dell’idrolisi,
prende la particella x dall’interno della cellula e la porta verso l’esterno. Questo trasportatore genera il
gradiente di x. Il trasporto attivo secondario dunque, sfrutta l’energia del gradiente di x per trasportare s da
una zona a bassa concentrazione verso una zona ad alta concentrazione. Anche in questo caso abbiamo un
trasporto contro gradiente, che genera dunque un gradiente.
Trasporto attivo primario
Un esempio di trasporto attivo primario è il trasportatore attivo primario sodio/potassio -ATPasico.
Tutte le cellule contengono la sodio/potassio
ATP-asi. Lo scambio di sodio e di Potassio avviene
in contro-trasporto. Nell’immagine abbiamo una
grande proteina con almeno due subunità che si
dispongono lungo la membrana, una sul versante
extra-cellulare ed una sul versante intra-cellulare.
Nel versante intra-cellulare si trova localizzata una
porzione della proteina che è in grado di
idrolizzare l’ATP, per cui la proteina cambierà
conformazione cosicché due ioni 𝐾 + contenuti
+
all’esterno della cellula entrino nella cellula e tre ioni 𝑁𝑎 contenuti all’interno della cellula fuoriescano
dalla cellula. La 𝑁𝑎+ /𝐾 + − 𝐴𝑇𝑃𝑎𝑠𝑖 prende il sodio dall’interno della cellula (sappiamo che il sodio è
maggiormente concentrato all’esterno della cellula, è uno ione esterno) attivando dunque un trasporto
contro gradiente. Allo stesso modo, il potassio che è maggiormente concentrato all’interno della cellula,
viene spinto contro gradiente dall’esterno all’interno. Tutto ciò avviene grazie all’idrolisi dell’ATP. Questa
pompa è altamente selettiva, si chiama 𝑁𝑎+ /𝐾 + − 𝐴𝑇𝑃𝑎𝑠𝑖 e solo il sodio e il potassio infatti trasporta;
genera la creazione di un gradiente; è sensibile verso veleni metabolici e da agenti specifici come
l’oabanina ed è una pompa elettrogenica. Elettrogenica sta ad indicare che quando funziona sposta tre ioni
sodio contro due ioni potassio, spostando tre cariche positive contro due cariche positive la differenza è
uno. Tre cariche vengono compensate da due cariche, quindi all’interno della cellula rimane una differenza
di carica, c’è una carica positiva in meno, ciò contribuisce a mantenere la negatività dell’ambiente
intracellulare.
Schema di funzionamento:
Allo stato iniziale la pompa è
aperta verso l’interno, è dunque
disposta in maniera tale che gli
ioni 𝑁𝑎+ possano interagire con
la regione interna della pompa.
Tre ioni 𝑁𝑎+ si collocano
all’interno della proteina. A
questo punto avviene la
defosforilazione dell’ATP, viene
dunque staccato un gruppo
fosfato che va a legarsi ad una
porzione della pompa. Questo
legame cambia la conformazione
della pompa che si apre verso
l’esterno, quindi lo ione
𝑁𝑎+ lascia la pompa e se ne va
all’esterno della cellula. In
questo momento la pompa è
aperta verso l’esterno, dunque
due ioni 𝐾 + vicini entrano nella pompa interagendo con essa. A questo punto la pompa viene nuovamente
defosforilata, si stacca nuovamente un gruppo fosfato inducendo un nuovo cambio conformazionale. La
pompa si apre verso l’interno e versa dentro i due ioni 𝐾 + . Dopodiché la pompa è nuovamente pronta per il
ciclo successivo.
Affinché questa pompa possa funzionare è necessario che ci siano il sodio 𝑁𝑎+ , il potassio 𝐾 + e l’ATP.
L’attività di questa pompa è vitale per il corretto funzionamento delle cellule.
Lo schema riassume
le varie ATPasi per il
trasporto ionico.
Trasporto attivo secondario
Un esempio di trasporto attivo secondario è il cotrasporto 𝑵𝒂+ − 𝑫 − 𝒈𝒍𝒖𝒄𝒐𝒔𝒊𝒐(𝑺𝑮𝑳𝑻 − 𝟏), si tratta di
una grande proteina che interviene nell’assorbimento intestinale e nel riassorbimento renale del glucosio.
Sappiamo che all’esterno della cellula la concentrazione di 𝑁𝑎 + è alta, dunque il 𝑁𝑎+ viene trasportato
all’interno della cellula. Il cotrasportatore funziona sfruttando il gradiente del sodio per portare contro
gradiente il glucosio. Il 𝑁𝑎+ si legherà ad una porzione del trasportatore, il Glucosio, allo stesso modo si
legherà ad un’altra porzione del trasportatore, il trasportatore cambia conformazione e rilascia nel fluido
intracellulare l’𝑁𝑎+ e il glucosio. In questo modo il passaggio del glucosio, contro gradiente, è permesso per
il fatto che è stato sfruttato il gradiente del sodio. Normalmente la maggior parte dei trasporti attivi sono
sodio mediati dallo ione sodio, che è spesso considerato la particella motrice dei trasporti attivi secondari.
In molte cellule vi è una sinergia tra i vari tipi di trasportatori che cooperano l’uno con l’altro.
Nelle cellule renali, ci sono le 𝑁𝑎+ /𝐾 + − 𝐴𝑇𝑃𝑎𝑠𝑖 che generano il gradiente del sodio, questo gradiente
del sodio fa si che il cotrasportatore attivo secondario sodio-glucosio, scaricando il gradiente del sodio,
porta dentro il glucosio. Il glucosio entra nella cellula e poi fuoriesce per andare nel sangue utilizzando la
diffusione facilitata, ossia una proteina prende il glucosio all’interno della cellula e lo porta all’interno del
vaso sanguigno.
Potenziale d’azione
Tutte le cellule possiedono un potenziale, definito potenziale di membrana che non è altro che la
differenza di cariche tra l’interno e l’esterno della cellula, con l’interno carico più negativamente rispetto
all’esterno.
In alcune cellule questa condizione è
costante, mentre in altre, dette appunto
cellule eccitabili, il potenziale di
membrana può variare in determinate
situazioni. Questa variazione può essere
definita potenziale d’azione o variazione
di potenziale.
Le cellule eccitabili sono quelle cellule che se opportunamente stimolate possono far variare il loro
potenziale di membrana spostandolo dal valore di riposo. Sono cellule eccitabili le cellule muscolari
scheletriche, le cellule nervose, le cellule muscolari cardiache, le cellule del nodo seno atriale e le cellule
muscolari lisce.
Il potenziale d’azione può essere definito come una variazione rapida e imponente del potenziale di
membrana nel tempo.
Il potenziale d’azione può essere descritto
attraverso un grafico dove collochiamo sull’asse
delle x il tempo (msec) e sull’asse delle y la
differenza del potenziale della membrana (mV).
Nell’immagine è rappresentato il potenziale
d’azione di una fibra nervosa.
Una curva tipica del potenziale d’azione parte dalla
condizione di riposo dove ad un certo punto
insorge uno stimolo il quale provoca lo
spostamento della curva verso valori sempre meno
negativi. Questo momento viene chiamato
depolarizzazione, perché la membrana perde la
propria polarità, non separa più un ambiente
negativo all’interno e positivo all’esterno, ma man
mano che cresce questa differenza inizia a venir
meno fin quando la differenza di potenziale si
annulla, i due versanti della membrana avranno in
questo momento lo stesso valore in termini di
cariche. Si arriva ad un momento il cui il potenziale
di membrana si inverte diventando positivo
all’interno, ciò prende il nome di eccedenza, per
poi raggiungere un picco massimo e nel tempo
ritornare più o meno velocemente al potenziale di riposo. Questa fase di discesa della curva è definita
ripolarizzazione. A volte si ha un’iperpolarizzazione, durante la discesa della curva ci sarà un momento in
cui il potenziale di membrana si abbasserà ancor di più rispetto alla soglia del riposo, per poi ritornare a
stabilizzarsi al valore iniziale di riposo.
I grafici dei diversi potenziali d’azione variano a seconda delle cellule, ci sono però delle caratteristiche
generali comuni ad ogni tipo di potenziale. Innanzitutto, la regola generale fondamentale del potenziale
d’azione è la legge del tutto o nulla, ciò significa che quando una membrana viene stimolata
opportunamente, sé si realizza il potenziale d’azione si realizza al massimo della sua capacità oppure non si
realizza proprio. Poiché si realizzi il potenziale d’azione è necessario che si verifichino delle condizioni. La
prima condizione è che dopo che la membrana è stata stimolata, il valore del potenziale della membrana,
raggiunga un determinato livello definito soglia. Se non viene raggiunto il valore soglia, tipico di ciascuna
cellula, il potenziale d’azione non si genera e la membrana torna verso il suo stato di riposo. Ogni cellula ha
un potenziale d’azione la cui forma è diversa, ossia un’espressione grafica diversa.
Il potenziale d’azione è inoltre autorigenerante ed autopropagante, per cui una volta che avviene in un
punto si autorigenererà e auto propagherà su tutta la membrana.
Il potenziale d’azione, per essere definito tale deve avere un periodo di refrattarietà e si deve propagare
nella cellula seguendo la conduzione ortodromica, si propagherà dunque in un verso senza tornare indietro
nella membrana.
Forme dei principali tipi di potenziale d’azione:
Nelle cellule del cuore, ogni
cellula ha un diverso
potenziale d’azione,
caratterizzato dalla sua forma
particolare.
Nella cellula miocardica
ventricolare, come possiamo
notare dall’immagine, nella
fase di discesa del potenziale
c’è un periodo di
rallentamento che prende il
nome di plateaux. Possiamo inoltre notare come il potenziale d’azione della fibra nervosa sia molto più
rapido rispetto al potenziale delle cellule cardiache, il tempo del potenziale d’azione delle prime
corrisponde nelle seconde alla sola fase di depolarizzazione della membrana.
Le correnti di ogni singolo canale sì autopropagano perché depolarizzano zone limitrofe che erano a riposo.
Questo consente al potenziale di propagarsi nella membrana andando ad invadere delle regioni della
membrana a riposo.
Il potenziale d’azione non può tornare indietro sulla membrana perché alle sue spalle i canali erano in fase
di inattivazione, ciò viene definito conduzione ortodromica.
Nelle cellule nervose la conduzione
può essere continua, nei neuroni
amielinici o saltatoria nei neuroni
mielinici.
Il neurone è la cellula del sistema
nervoso su cui si sviluppa il
potenziale d’azione. I neuroni sono
cellule più o meno grandi costituiti
da un corpo cellulare da cui si
diramano dei prolungamenti
chiamati dendriti. Vi è un
prolungamento più evidente
chiamato assone che termina con
delle regioni che prendono
contatto con il neurone successivo.
Alcuni neuroni nel sistema nervoso
sono inguainati da cellule
accessorie. Alcune cellule della glia
vanno ad avvolgersi attorno all’assone del neurone formando dei manicotti che non sono altro che la
membrana di queste cellule accessorie che gira più volte attorno all’assone. All’interno di questa
membrana è contenuta la mielina che ha una natura lipidica. La natura lipidica della mielina fa si che questa
sia una zona dell’assone isolata elettricamente, dunque le correnti ioniche non riescono a fluire.
Nei neuroni amielinici tutta la membrana è interessata dalle correnti ioniche.
Nei neuroni mielinici, il potenziale d’azione si propaga passando in maniera saltatoria, perché i manicotti di
mielina sono interrotti da alcune zone chiamate nodi di Ranvier in cui la membrana è nuda. I canali
presenti in questa zona sono canali attivabili, per cui la corrente non farà altro che passare da un nodo
all’altro. La conduzione saltatoria è più rapida.
La teoria dei cavi
Lungo la fibra nervosa il segnale si propaga secondo la teoria dei cavi, l’assone di una fibra nervosa, è come
se avesse una zona interna che funziona da conduttore (assoplasma) separato da un conduttore esterno
(fluido extracellulare) per mezzo di uno strato isolante (membrana).
In queste cellule le correnti che
sostengono il potenziale d’azione si
propagano in maniera radiale. Una
frazione della corrente che fluisce
nell’assoplasma esce attraverso la
membrana. Pertanto, l’intensità del
segnale elettrico diminuisce d’ampiezza
col crescere della distanza dal punto
della fibra in cui esso è stato generato.
La velocità con cui si propaga il potenziale dipende dal diametro dell’assone e dalla presenza di mielina.
Potenziale pacemaker
Il cuore è un organo autoritmico, è dunque un organo che
si contrae grazie allo sviluppo autonomo di un potenziale
d’azione nelle cellule del nodo seno atriale.
Questo potenziale d’azione incomincia a generarsi quando
le cellule durante lo sviluppo embrionale manifestano la
propria eccitabilità, cioè intorno all’ottava settimana di
vita intrauterina e rimane fin quando il nostro cuore
smetterà di battere. Il battito del cuore che noi
avvertiamo altro non è che l’espressione finale del fatto
che nelle cellule pacemaker ci sono dei canali che
permettono la genesi del potenziale d’azione. Dalle cellule
pacemaker questa corrente attraversa tutto il cuore e fa
contrarre il muscolo vero e proprio.
Osservando il grafico del potenziale di tale tipo di cellule
possiamo notare che parte da un tratto definito pre-
potenziale che ha un valore instabile, tra 60 e 65 mV. Instabile perché questa cellula raggiunge il suo
potenziale di riposo e lo perde immediatamente, sono infatti cellule costantemente attive nel generare
potenziali d’azione. Nella prima fase del potenziale la membrana tende a depolarizzare lentamente, questa
lenta depolarizzazione è data dall’apertura di alcuni canali che fanno entrare lo ione 𝑁𝑎+ , lo ione
𝑁𝑎+ passa, depolarizza la membrana lentamente e questa membrana man mano che si depolarizza si
avvicina verso il valore soglia. Mentre si aprono i canali che permettono il passaggio dello ione 𝑁𝑎+ ,
cominciano ad aprirsi alcuni canali al 𝐶𝑎2+ , anche questi una volta aperti lasciano fluire all’interno della
cellula una grande quantità di Ca. La depolarizzazione è sostenuta in questo caso dagli ioni 𝐶𝑎2+ , infatti,
questo potenziale prende anche il nome di potenziale al calcio. Il potenziale sale, si raggiunge il massimo,
poi piano piano i canali si chiudono e iniziano ad aprirsi i canali al 𝐾 + e il potassio lentamente fuoriesce da
queste cellule portando fuori dalla cellula anche le cariche positive. La membrana va dunque incontro ad
una ripolarizzazione, il potenziale si riavvicina al valore del potenziale di riposo, ma durante la discesa del
potenziale si aprono dei canali particolari, i canali funny. I canali funny, a differenza degli altri canali ionici
visti finora che si aprivano spinti dalla depolarizzazione, si aprono spinti dalla ripolarizzazione, sono canali
cationici farebbero dunque in teoria passare anche altri ioni oltre al sodio, ma il gradiente elettrochimico
del sodio prevale. Il sodio entra, si genera la depolarizzazione iniziale alla quale fa seguito nuovamente
l’intero processo di generazione del potenziale. Ciò si ripete per tutto l’arco di tempo di vita delle cellule
pacemaker.
Potenziale del miocardio di lavoro
E’ un potenziale molto lungo caratterizzato da un
periodo di stabilità durante la fase di
ripolarizzazione chiamato plateau.
Fase 0 = apertura dei canali al sodio
Fase 1 = corrente transitoria uscente di potassio
Fase 2 = corrente entrante di calcio controbilanciata
dalla bassa corrente uscente di potassio
Fase 3 = correnti uscenti del potassio
Fase 4 = ripristino delle concentrazioni ioniche ad
opera della pompa sodio-potassio
Trasmissione sinaptica
Nel sistema nervoso, questo potenziale d’azione è il linguaggio utilizzato per far avvenire la comunicazione
tra le cellule. Il tessuto nervoso è costituito in maniera importante da neuroni, che sono corredati da cellule
accessorie cosiddette della glia. I neuroni sono le cellule eccitabili per eccellenza del sistema nervoso. I
neuroni sono collegati a formare delle reti estremamente complesse che vanno a costituire i circuiti
nervosi.
Il potenziale d’azione è dunque quell’evento che consente alle cellule nervose di comunicare tra di loro e
con i bersagli. Le cellule nervose svolgono infatti la funzione di recepire il segnale, sarà fisiologicamente
questo lo stimolo che attiverà una membrana di una cellula nervosa, di integrare questo segnale all’interno
delle reti nervose e poi di trasferire sulla cellula, che chiameremo bersaglio, il risultato di questo segnale.
Ciò che avviene nel sistema nervoso è dunque mediato dal potenziale d’azione. Il potenziale d’azione si
propaga sulla membrana delle cellule nervose, raggiungerà la fine della cellula nervosa è dovrà dunque
essere trasmesso alla cellula nervosa successiva. Le regioni giunzionali tra le cellule nervose eccitabili sono
dette sinapsi e permettono la propagazione dell’impulso nervoso.
Possiamo classificare le sinapsi in due famiglie, le
sinapsi cosiddette elettriche e le sinapsi chimiche.
Le sinapsi elettriche sono quelle caratterizzate da un
movimento di ioni da un neurone all’altro attraverso
una connessione fisica diretta.
Le sinapsi chimiche invece, sono quelle sinapsi nelle
quali la trasmissione del segnale avviene attraverso
l’utilizzo di mediatori chimici.
Sinapsi elettriche:
Abbiamo una cellula presinaptica contenente il neurone numero 1, dove si sviluppa il potenziale d’azione e
una cellula postsinaptica dove deve avvenire il passaggio degli ioni. Nelle sinapsi elettriche questo
passaggio avviene in maniera diretta tra la cellula pre e postsinaptica, perché le due membrane prima
distanti si avvicinano con una fessura intorno ai 2-4 nm e su di esse si trovano localizzate delle proteine
chiamate connessine che si organizzano a formare delle strutture chiamate connessoni. Questi connessoni
rappresentano le zone attraverso le quali la membrana può far passare gli ioni.
Se le due cellule fossero separate da una larga fessura le correnti ioniche si disperderebbero nell’ambiente,
quindi il passaggio delle correnti da una cellula all’altra non potrebbe avvenire. Nel caso delle sinapsi
elettriche le cellule hanno le membrane estremamente ravvicinate cosicché le cariche del potenziale
d’azione della cellula presinaptica che si muovono, possono passare alla cellula postsinaptica. Questo può
avvenire perché le due membrane sono tenute insieme dalle connessine. Le connessine sono delle proteine
transmembrana che si trovano sia sulla membrana presinaptica che sulla membrana postsinaptica. In
ciascuna delle membrane si organizzano 6 connessine uguali a formare il cosiddetto connessone. Il
connessone di una membrana si trova perfettamente allineato con il connessone della membrana della
cellula adiacente. Si viene a formare il gap junction.
All’interno di queste subunità che formano il connessone si viene a formare un canale, un poro, ricco di
acqua. Questo poro ricco di acqua ha in se un’ambiente idrofilo all’interno del quale possono fluire gli ioni.
Queste zone della membrana sino dunque zone dove può avvenire in maniera imponente il passaggio degli
ioni dalla cellula presinaptica alla cellula postsinaptica. Di fatto le correnti fluiscono in queste zone definite
a bassa resistenza elettrica. In questa maniera, molto rapidamente si attiva la sinapsi elettrica che è
definita sinapsi di tipo rapido.
Sinapsi chimiche:
Le sinapsi chimiche sono un po' più lente delle sinapsi elettriche e sfruttano la possibilità che la cellula
presinaptica possa utilizzare una sostanza chimica, detta neurotrasmettitore, per trasferire il segnale alla
cellula postsinaptica.
All’interno delle sinapsi chimiche stesse ci saranno sinapsi con diversa velocità, alcune saranno un po' più
rapide, altre un po' più lente, ciò dipenderà sostanzialmente dal tipo di sostanza chimica utilizzata e dal tipo
di canale che si trova sulla membrana.
Nel caso delle sinapsi chimiche le cellule pre e postsinaptiche non sono quasi adese, ma sono separate da
una fessura, chiamata proprio fessura sinaptica o vallo sinaptico.
Le cellule in questo caso sono caratterizzate da alcune vescicole propriamente dette vescicole sinaptiche,
contenute in grande quantità nel terminale assonale. Sono proprio queste vescicole che contengono la
sostanza chimica che la cellula utilizza come neurotrasmettitore. Alcune di queste vescicole sono
localizzate in prossimità della membrana, altre sono un pò più distanti.
Una terminazione sinaptica è strutturalmente costituita da un assone sinaptico dentro cui viaggia il
potenziale d’azione, il terminale arriva in prossimità della cellula postsinaptica e si slarga a formare il
bottone terminale o bottone sinaptico. All’interno vi sono le vescicole e i mitocondri. Questo terminale è
separato dal vallo sinaptico, e la membrana postsinaptica tende ad accogliere il terminale quasi
avvolgendolo così da aumentare anche la superficie di contatto.
All’interno delle vescicole sono contenuti i neurotrasmettitori. Questi neurotrasmettitori possono avere
varia natura chimica e possono essere più o meno grandi. Un neurotrasmettitore molto ricorrente è
l’Acetilcolina. A seconda del tipo di neurotrasmettitore le sinapsi funzioneranno in maniera diversa.
Come possiamo vedere ci sono diversi tipi di neurotrasmettitori: gassosi (NO, CO) non peptidici di basso
peso molecolare (Acetilcolina, catecolamina aa quali GABA, Glicina, noradrenalina, serotonina, istamina,
purine quale adenosina), peptidici
Traffico vescicolare
Alcuni neurotrasmettitori sono prodotti
all’interno del nucleo, maturano all’interno
dell’apparato del Golgi e vengono poi
trasportati nelle vescicole attraverso i
microtubuli del citoscheletro contenuti
all’interno dell’assone. Sui microtubuli
avviene il traffico delle vescicole le quali
vengono legate a delle proteine cargo che
hanno la capacità di muoversi interagendo
con i microtubuli e spostare le vescicole
dalla zona di produzione e di impacchettamento del neurotrasmettitore verso i terminali dove questo
neurotrasmettitore deve essere rilasciato.
Quando la vescicola
arriva nella parte attiva
della membrana, le
proteine cargo rilasciano
le vescicole che vanno ad
addensarsi nelle zone
attive, pronte vicino la
membrana per essere
rilasciate.
Quando le vescicole sono arrivate in prossimità della membrana presinaptica avviene il processo
dell’esocitosi.
In alcuni momenti le sinapsi con il neurotrasmettitore si attivano, ciò avviene quando la cellula presinaptica
viene stimolata da un potenziale d’azione.
Che succede quando arriva un potenziale d’azione nella cellula presinaptica?
Un potenziale d’azione depolarizza il terminale
assonale, raggiungendo il bottone sinaptico. Quando
arriva al terminale sinaptico, la depolarizzazione
portata dal potenziale d’azione fa aprire dei canali per
il 𝐶𝑎+2 voltaggio dipendenti. Questi canali si trovano
in prossimità della zona attiva. Con l’apertura di questi
canali il 𝐶𝑎+2 entra massivamente nella cellula
legandosi ad una proteina calcio legante, la
calmodulina. Una molecola di calmodulina lega
quattro ioni 𝐶𝑎+2 , si forma dunque un complesso
calcio-calmodulina che va ad attivare una proteina k
chinasi di tipo 2 (proteina chinasi calcio-calmodulina
dipendente). Questa chinasi II agisce come le altre
chinasi andando a fosforilare un substrato, in
particolare una proteina legata alle vescicole, la
sinapsina.
Quando la sinapsina viene
fosforilata dalla chinasi II si stacca
dalla vescicola. Quando la
sinapsina è legata alla vescicola,
questa non può interagire con la
membrana plasmatica, ma
essendosi staccata, la vescicola
può interagire con la membrana
plasmatica. La vescicola arriva in
prossimità della membrana
plasmatica e fonde la propria
membrana con quella del
terminale e le molecole di
neurotrasmettitore fuoriescono
per esocitosi.
Recettore legato a
secondi messaggeri
I recettori per i neurotrasmettitori possono essere classificati in recettori ad azione diretta e recettori ad
azione indiretta. I recettori ad azione diretta sono i cosiddetti recettori canale, sono quei canali ionici
attivati dal ligando, chemio dipendenti. Il recettore in questo caso permette si l’ancoraggio del
neurotrasmettitore, ma è dotato anche all’interno di un varco per gli ioni. Nel caso dell’Acetilcolina il
recettore appartiene alla famiglia dei recettori nicotinici anche chiamati ionotropici. Sono recettori rapidi,
l’azione indotta dall’acetilcolina attraverso questo tipo di recettori è un’azione rapida.
I recettori ad azione indiretta sono chiamati anche recettori metabotropici, sfruttano cioè il metabolismo.
Sono anche noti come recettori legati a secondi messaggeri. Alcuni neurotrasmettitori come l’Ach possono
avere sia recettori ad azione diretta che recettori ad azione indiretta.
Un recettore ad azione indiretta è una proteina di membrana che ha sicuramente una zona extracellulare
che lega il suo ligando specifico, ma tale canale ionico è questa volta separato dal recettore. Questi
recettori sono infatti legati a secondi messaggeri intracellulari. Nel caso dei recettori muscarinici, per l’Ach,
questi sono accoppiati a proteine G, principali proteine trasduttrici del messaggio intracellulare. Queste
proteine G che possono essere stimolatorie o inibitorie, si attivano e come risultato si avrà la modulazione
del canale ionico. Queste sinapsi sono sinapsi lente.
Quando una sinapsi si attiva quello che si realizza nella cellula post-sinaptica, prima ancora che si realizzi un
potenziale d’azione è una variazione elettrica della membrana che prende il nome di potenziale post-
sinaptico. Il potenziale post-sinaptico, a differenza del potenziale d’azione che segue la legge del tutto o
nulla, è un potenziale graduato. I potenziali post-sinaptici sono potenziali locali graduati, la loro intensità
dipende dall’ampiezza dello stimolo. In altre parole, questi potenziali graduati hanno un’intensità che
dipende dalla quantità di corrente che passa e questo a sua volta dipenderà dalla quantità di canali che si
sono aperti. Possiamo avere un potenziale post-sinaptico inibitorio o eccitatorio.
Potenziale post-sinaptico eccitatorio:
Quando il neurotrasmettitore va a legarsi
al suo recettore, lo ione positivo passa
attraverso questo canale che si apre,
entra nella membrana generando una
depolarizzazione.
Osservando i grafici abbiamo
inizialmente il potenziale della
membrana post- sinaptica prima
dell’attivazione della sinapsi, in una condizione dunque di riposo. In seguito all’ingresso delle cariche
positive si crea dunque una depolarizzazione, questa è indicata come potenziale sinaptico unitario e
corrisponde alla variazione di potenziale che si ha quando sulla membrana arriva un quanto di
neurotrasmettitore. Nelle vescicole il neurotrasmettitore è contenuto in quanti. Quando degranula una
sinapsi, va cioè in esocitosi, rilascia il neurotrasmettitore dunque una serie di quanti. Ciascuno di questi
quanti contiene un certo numero di molecole di neurotrasmettitore che va a legare un certo numero di
recettori. Un certo numero di canali si aprirà e un determinato valore di corrente verrà generata. Poiché
quando la sinapsi si attiva non si libera solo il neurotrasmettitore di una vescicola, ma di molte vescicole,
sulla membrana post-sinaptica arriveranno tanti quanti di neurotrasmettitore i cui effetti si sommeranno e
genereranno intorno alla sinapsi quello che va sotto il nome di potenziale post-sinaptico. In questo caso le
correnti entranti sono positive avremo dunque una depolarizzazione maggiore. Nel grafico successivo
abbiamo un potenziale più ampio che rappresenta un potenziale post-sinaptico eccitatorio.
Possiamo notare che il potenziale si
svolge attorno alla membrana e che
trattandosi di un potenziale graduato man
mano che ci allontaniamo dal punto di
insorgenza dello stimolo l’intensità della
variazione del potenziale è minore. Il
potenziale raggiunge dunque valori più
bassi rispetto al precedente.
Allontanandoci maggiormente
osserviamo come il potenziale decade nel
tempo raggiungendo valori sempre più
bassi, fino ad arrivare a valori sottosoglia.
Possiamo dunque notare che il potenziale post-sinaptico è un potenziale che decade nel tempo e nello
spazio. Il potenziale eccitatorio, come quello inibitorio, si genera e la sua intensità se non diventa
potenziale d’azione si estingue allontanandoci fisicamente sulla membrana dal luogo della
somministrazione ma allo stesso tempo allontanandoci dal tempo della somministrazione.
Potenziale post-sinaptico inibitorio:
Il processo è lo stesso solo che in questo caso
entreranno nella membrana attraverso i canali
che si apriranno, ioni negativi.
Il neurotrasmettitore dunque attiverà
direttamente o indirettamente il canale
favorendo l’ingresso delle cariche negative che
iper-polarizzeranno la membrana. Ancora una
volta si può registrare il potenziale sinaptico
unitario. Ossia quello dato da questo pacchetto di neurotrasmettitore che si somma a quello dei
neurotrasmettitori rilasciati dalle altre vescicole fino ad avere un potenziale post-sinaptico inibitorio, cioè
la membrana si allontana dal valore del riposo e assumendo valori sempre più negativi all’interno si
allontana ancor più dalla soglia.
Alcune sinapsi funzionano proprio come sinapsi inibitorie, alcuni neurotrasmettitori come ad esempio il
GABA, neurotrasmettitore associato ad un canale per il cloro, in cui il GABA funziona proprio inibendo
l’attività sinaptica.
Non tutto quello che passa nelle reti nervose ha una funzione eccitatoria. I potenziali inibitoti non possono
diventare potenziali d’azione ma possono diventare potenziali post-sinaptici eccitatori.
Quando su una cellula arrivano una serie di potenziali d’azione ad alta frequenza, avremo che si
scaricheranno una serie di vescicole di neurotrasmettitore. L’intensità del potenziale graduato, post-
sinaptico eccitatorio, dipende da quanto neurotrasmettitore è stato rilasciato, dunque da quante vescicole
hanno partecipato all’esocitosi, ciò a sua volta dipende da quanti potenziali d’azione arrivano nel tempo su
quella sinapsi. I potenziali che giungono sulla membrana si distribuiscono intorno ad essa in maniera radiale
dalla zona d’insorgenza dello stimolo fino ad arrivare ad una zona chiamata zona trigger. La zona trigger è
una zona ricca di canali voltaggio dipendenti al Na, cioè di canali che hanno la capacità di aprirsi quando
arrivano queste correnti, di far dunque attivare il ciclo di Hodgkin e dunque se il potenziale in questa zona è
abbastanza da superare la zona soglia, parte il potenziale d’azione.
Sulle cellule arrivano solitamente terminazioni sinaptiche che possono essere asso-somatiche, asso-
assoniche o asso-dendritiche. Su ciascun neurone possono arrivare più neuroni con sinapsi che potrebbero
essere o eccitatorie o inibitorie. Ciò sta a significare che sul neurone ricevente devono essere presenti sia
canali che possono dar luogo a potenziali depolarizzanti, sia canali che possono dar luogo a potenziali iper-
polarizzanti. Può dunque capitare che sulla stessa cellula arrivi una sinapsi eccitatoria e una sinapsi
inibitoria.
A sinistra abbiamo una sinapsi
eccitatoria dove sono coinvolti i canali
al sodio, si genera un potenziale post-
sinaptico eccitatorio e questo
potenziale se è di bassa intensità non
arriva alla soglia e decade nel tempo,
ma se è di alta intensità supera la soglia
e fa partire il potenziale d’azione.
A destra invece abbiamo una sinapsi su
cui arriva il suo potenziale d’azione ma
in questo caso si attivano dei canali per
il cloro. Entra il cloro e si genera un
potenziale post-sinaptico inibitorio.
Se sullo stesso neurone arrivano
entrambi le sinapsi, quando agisce
l’eccitatoria il potenziale post-sinaptico subisce una depolarizzazione, arriva alla soglia e fa partire il
potenziale d’azione. Se si attiva la sinapsi inibitoria, si genera il potenziale post-sinaptico inibitorio, il
potenziale sale non raggiunge la soglia e decade nel tempo. Ma se a questo potenziale sinaptico inibitorio
fa seguito subito dopo l’attivazione della sinapsi eccitatoria si ha una depolarizzazione. Ma tale
depolarizzazione trova una membrana iper-polarizzata per cui la variazione del potenziale non è tale da
portare la membrana al raggiungimento della soglia.
L’effetto eccitatorio ed inibitorio delle sinapsi è un effetto sommabile. Possiamo avere una sommazione
temporale, quando si sommano stimoli consecutivi o una sommazione spaziale quando si sommano due
stimoli che avvengono in due diversi punti della membrana contemporaneamente.
Per inibire una cellula nervosa è necessario portare la membrana verso l’iperpolarizzazione.
Nell’inibizione pre-sinaptica il neurone eccitatorio (1) scarica, la sinapsi si attiva e parte un potenziale
d’azione verso il neurone numero due, il quale arriva in prossimità dei bersagli e ramifica andando a
raggiungere tre cellule bersaglio. Su due di queste cellule bersaglio c’è il rilascio del neurotrasmettitore
perché il potenziale induce l’esocitosi, il neurotrasmettitore lega il recettore e si ha la risposta. Nel ramo
che porta alla terza cellula bersaglio, prima del terminale assonale l’assone viene raggiunto da un neurone
inibitorio (3), si tratta in questo caso di una sinapsi asso-assonica. Questo neurone inibitorio quando viene
attivato scarica e induce l’iperpolarizzazione del terminale. Quando il potenziale d’azione arriverà in questo
tratto iper-polarizzato non riuscirà a passare perché la membrana sarà lontana dalla soglia. Quindi ancor
prima di arrivare alla sinapsi viene impedito il rilascio del neurotrasmettitore.
La zona muscolare che accoglie il bottone sinaptico è fittamente ripiegata e costituisce la placca motrice.
Questa zona del muscolo scheletrico sarà definita come altamente funzionale.
Quando il motoneurone arriva al tessuto scheletrico si
va innanzitutto a formare la cosiddetta unità motoria,
formata dal neurone e dalla fibra muscolare. Il neurone
motore ha nel punto d’incontro della fibra un vasto
territorio d’innervazione, può dunque controllare una
superficie muscolare molto elevata. Un solo stimolo che
raggiunge il neurone motore può dunque raggiungere
una vasta area muscolare. Il risultato è la contrazione
del muscolo.
Il terminale assonale in questione è ricco di vescicole
che contengono come neurotrasmettitore
l’Acetilcolina. L’Acetilcolina è dunque il mediatore della
trasmissione neuro-muscolare. Quando arriverà il
potenziale d’azione nel neurone motore, l’Acetilcolina verrà rilasciata dalle vescicole. A questo punto si
degranula l’ACh e vengono rilasciati i quanti di ACh, questi andranno a legare i recettori posti sulla placca
motrice. Accano ai recettori dell’ACh si trovano tutti gli apparati di regolazione della concentrazione ionica.
L’Acetilcolina si legherà dunque ai recettori che sono recettori canale. L’apertura dei canali favorirà il
passaggio dello ione 𝑁𝑎+ e perciò l’interno della cellula muscolare scheletrica acquisirà cariche positive.
Acquisendo cariche positive si ha un potenziale di placca che ci ricorda il potenziale post- sinaptico
eccitatorio. Allontanandoci dalla placca si registra un potenziale d’azione. Poiché lo stimolo viaggia
arrivando a diverse sinapsi, date le innumerevoli ramificazioni del neurone, si formano diversi potenziali di
placca i quali possono essere tra loro sommati consentendo la genesi di un potenziale d’azione.
Abbiamo due tipi di recettori canale per l’ACh, N1 ed N2.
N2 è quello utilizzato nel sistema muscolare
scheletrico;
N1 è utilizzato nei Gangli del Sistema nervoso
autonomo.
Possiamo notare che avremo il potenziale d’azione muscolare solo dopo che sarà terminato il potenziale
d’azione nervoso. C’è dunque un periodo di latenza. Questa distanza temporale precede l’evento che
chiameremo contrazione.
Come nei potenziali post-sinaptici eccitatori, anche nella placca motrice, se registriamo il potenziale
d’azione in prossimità della placca, vedremo il potenziale di placca come se fosse un potenziale post-
sinaptico eccitatorio. Allontanandoci dalla placca motrice il potenziale d’azione perde il potenziale di placca.
I potenziali di placca decrescono al crescere della distanza.
SISTEMA NERVOSO
Il sistema nervoso è il meccanismo principe di regolazione del funzionamento dei vari organi, apparati,
cellule e sistemi di cui parleremo. Esso presiede al controllo omeostatico facendo si che la funzione svolta
dai neuroni possa essere utilizzata dai circuiti omeostatici che rispondono alle perturbazioni che vengono
dall’ambiente interno o dall’ambiente esterno. Queste perturbazioni vengono percepite da recettori. (la
parola recettore è utilizzata sia per descrive le proteine di membrana capaci di legare il ligando sia per
descrivere delle cellule nervose capaci di recepire gli stimoli).
Il recettore utilizza il sistema nervoso attraverso delle vie che portano il segnale a dei centri di
integrazione. Questi centri di integrazione sono nel sistema nervoso centrale, elaborano il segnale che
viene mandato attraverso nei neuroni a degli effettori che provocano una risposta. (RIFLESSO NERVOSO
SEMPLICE)
Accanto al sistema nervoso, lo stesso ruolo di controllo omeostatico è affidato al sistema endocrino, cioè
agli ormoni. Anche in questo caso avremo una perturbazione dall’ambiente interno o esterno, avremo
anche qui un sensore, che recepisce il segnale e lo integra. A questo punto le cellule secernenti di tale
sistema producono un ormone che raggiunge l’effettore e genera una risposta. (RIFLESSO ENDOCRINO
SEMPLICE)
I due tipi di sistemi omeostatici si possono integrare, nel cosiddetto RIFLESSO NEURO-ENDOCRINO
COMPLESSO, anche in questo caso la perturbazione viene avvertita da un recettore che attraverso una via
nervosa lo comunica al sistema nervoso centrale, avviene l’integrazione e il neurone in uscita non arriva
direttamente sull’effettore ma su una cellula endocrina che poi produrrà un ormone che raggiunge
l’effettore generando una risposta.
Il primo controllo omeostatico è affidato al sistema nervoso a causa dei tempi velocissimi. Accanto a questo
c’è il sistema endocrino che ha però tempi più lunghi.
Il sistema nervoso si divide in un sistema
nervoso centrale, formato da encefalo e midollo
spinale, e in un sistema nervoso periferico,
formato da nervi cranici e nervi spinali.
Abbiamo le fibre afferenti (afferiscono, vanno al
sistema nervoso), ossia neuroni che partono
dagli organi di senso (occhio) e vanno verso il
sistema nervoso centrale. Accanto alle fibre
sensitive afferenti, abbiamo le fibre cosiddette
motrici o efferenti (vanno dal sistema nervoso
agli organi effettori). Gli organi effettori possono
essere i muscoli scheletrici che sono raggiunti
dalle fibre efferenti del sistema nervoso
somatico, volontario e il muscolo cardiaco, il muscolo liscio e le ghiandole che sono raggiunti dalle fibre
efferenti del sistema nervoso autonomo, involontario. Il sistema nervoso autonomo si divide in simpatico e
parasimpatico.
Il neurone
Il neurone come possiamo vedere ha un corpo
cellulare che contiene il nucleo, il nucleolo e gli
organuli. Da questo corpo cellulare partono una
serie di prolungamenti chiamati dendriti che sono
quelle su cui arrivano ad esempio le sinapsi asso-
dendritiche. Dal neurone parte il monticolo
assonico anche detto cono d’emergenza, da cui
parte l’assone il quale può ramificare tramite
assoni collaterali. L’assone, in questo caso mielinico, terminalmente perde la guaina mielinica e ramifica in
delle terminazioni che finiscono poi con i bottoni sinaptici. L’impulso nel neurone iene raccolto sui dendriti
oppure sul corpo cellulare, il potenziale diventa potenziale d’azione nel monticolo assonico o nel primo
nodo di Ranvier. La mielina avvolge l’assone formando i manicotti, ed è un isolante elettrico.
Alcuni tipi di neuroni:
Il sistema nervoso
La periferia sensoriale è popolata da cellule che vengono definite recettori sensoriali. La parola recettore
può essere facilmente confusa con il recettore per il neurotrasmettitore o per l’ormone, in quel caso
parleremo di molecole, mentre nel caso dei recettori sensoriali parliamo di cellule sensoriali.
Queste cellule reagiscono agli stimoli trasformandoli in potenziale d’azione e attraverso questo linguaggio
elettrico riescono a trasferire l’informazione alle regioni centrali dove viene raccolta, integrata ed
elaborata. Dalla periferia sensoriale al sistema nervoso arriva il segnale attraverso l’impulso sensitivo,
viaggiando su delle vie nervose, cioè dei neuroni.
Attraverso delle fibre viene prodotta al termine dell’integrazione dell’informazione, una risposta motoria.
La risposta motoria, rappresentata da nervi motori ossia strutture composte da più neuroni, raggiungono la
periferia motoria, costituita dai muscoli scheletrici lisci, cardiaci e ghiandole. I neuroni che arrivano sui
muscoli scheletrici vanno a costituire i neuroni motori efferenti del sistema nervoso somatico. Nel caso
delle fibre che arrivano al muscolo cardiaco, al muscolo liscio e alle ghiandole vengono detti neuroni motori
efferenti del sistema motorio involontario, cioè autonomo, che si divide in simpatico e parasimpatico.
Neuroni
I neuroni possono essere suddivisi in neuroni multipolari, neuroni bipolari e neuroni pseudounipolari o a
T.
Inibizione laterale
L’inibizione laterale è un meccanismo di comunicazione tra neuroni prossimali,
vicini l’uno all’altro. Lo troviamo nella visione e nella sensibilità tattile. Se
consideriamo ad esempio uno spillo e andiamo a pungere la cute, avvertiamo il
dolore in un punto ben preciso che identifichiamo sulla nostra superficie corporea,
questa sensazione si disperde e diminuisce man mano che ci allontaniamo dalla
zona nella quale abbiamo ricevuto la puntura. Questa localizzazione puntiforme
ben identificata è dovuta proprio al fatto che i neuroni sensoriali primari che
percepiscono lo stimolo vengono attivati e genereranno dunque un potenziale
d’azione. Il neurone che percepisce direttamente la puntura genera il potenziale
d’azione con una frequenza di scarica maggiore rispetto ai neuroni ad esso laterali
che genereranno anch’essi potenziale d’azione ma ad una frequenza minore. Il neurone che scarica a
maggiore frequenza, rilascia un numero notevole di molecole di neurotrasmettitore. Come possiamo
notare dall’immagine il neurone di secondo ordine centrale ha due ramificazioni laterali oltre alla centrale,
queste due ramificazioni sono ramificazioni inibitorie. Dunque, solo il neurone ti terzo ordine direttamente
allineato con il neurone a scarica maggiore verrà attivato mentre, i due laterali non vengono attivati a causa
dell’inibizione avvenuta prima delle terminazioni sinaptiche dei neuroni di secondo ordine.
Il segnale si ripulisce nella sua regione principale e arriverà così chiaro, nitido, non distribuito.
Tutto ciò succede perché nel nostro sistema nervoso esistono le vie di feedback.
C’è dunque un segnale in input che viene percepito da una
periferia sensoriale, viene trasmesso alle reti nervose e questo
segnale prevede che le reti nervose possano essere attivate fino
alla fine i anche limitate durante il circuito attraverso i feedback
negativi.
Arco riflesso
L’arco riflesso è il circuito nervoso più semplice che possiamo vedere ed è quello che media le cosiddette
azioni riflesse. Con azioni riflesse intendiamo ad esempio l’azione del riflesso patellare, cioè quel riflesso
che fa scattare la gamba in avanti quando qualcosa batte sul tendine rotuleo. Tutte le azioni riflesse sono
caratterizzate dal fatto che apparentemente sono senza controllo. L’azione riflessa viene generata in un
tempo così rapido che l’azione viene prima ancora che noi ci accorgiamo venga compiuta.
Sono azioni molto rapide in quanto si sviluppano su circuiti nervosi molto brevi, costituiti da una periferia
sensoriale (la mano vicino ad una fonte di calore, zona di cute a contatto con la fiamma), una via nervosa
afferente (neurone afferente che sente il bruciore sulla mano e attraverso la radice dorsale del nervo
spinale lo porta nelle regioni del collo posteriore di sostanza grigia), un interneurone e una via motoria che
parte dal midollo spinale esce ventralmente e raggiunge l’organo effettore (muscolo scheletrico che si
contrae facendo spostare il braccio dalla fonte di calore). Quest’azione prevede il contributo di tre neuroni
e poiché i neuroni funzionano attraverso i potenziali d’azione e per ogni potenziale d’azione nervoso ci
voglio 2-3 ms, e dato che le fibre sono mieliniche quindi la conduzione è saltatoria, quindi rapida, il riflesso
sarà sommariamente molto rapido.
Questo tipo di riflesso si chiama riflesso polisinaptico, perché è costituito da più sinapsi, almeno due.
Il riflesso monosinaptico, invece, è ad
esempio il riflesso patellare. Qui è
coinvolto un numero di neuroni ancor
più basso, vi è all’interno del muscolo
scheletrico un recettore che viene
stirato quando il martelletto preme sul
tendine rotuleo. Poiché i tendini sono
solidali con il muscolo, come si stira un
po' il tendine si stira il muscolo
scheletrico. La terminazione recettoriale
si chiama proprio recettore di stiramento, questo recettore attivandosi genera un potenziale d’azione che
viaggia attraverso il neurone sensoriale passando attraverso il ramo dorsale e arriva nel midollo spinale,
perde la mielina quando entra nell’H grigia e arriva a livello ventrale dove va a sinaptare direttamente con
un neurone motore, il quale esce nella radice ventrale si unisce al nervo spinale e raggiunge lo stesso
muscolo che era stato stimolato dallo stiramento, si attiva la placca motrice e il muscolo si contrae
consentendo il piegamento dell’arto. In questo caso abbiamo solo due neuroni e una sola sinapsi. Questo
riflesso è ancora più rapido del precedente, polisinaptico.
Questo tipo di rete nervosa è una rete molto semplice che consente di effettuare delle azioni molto rapide
in risposta ad uno stimolo. Gli elementi sempre presenti in un arco riflesso sono innanzitutto i neuroni
sensoriali, una periferia sensoriale che sente lo stimolo, qualunque esso sia. Lo stimolo deve poi essere
trasformato in potenziale d’azione da una zona chiamata encoder, una zona grilletto. Ci deve essere poi
una via afferente che arriva al sistema nervoso centrale, una via efferente ed un organo effettore.
Quando si parla di riflesso si parla sempre di una via nervosa che media le azioni riflesse.
Possiamo notare come l’azione riflessa si sviluppa subito seguendo la via nervosa precedentemente
descritta, ma al livello del centro integratore del midollo spinale il neurone sensoriale sinapta con
l’interneurone mandando un prolungamento che fuoriesce dall’H grigia e va nella sostanza bianca salendo
poi all’encefalo. Quindi una parte dell’impulso nato dallo stimolo, oltra a generare la risposta motoria viene
comunicato alle regioni encefaliche che integrano il segnale in entrata generando altri tipi di risposte.
I recettori
E’ definita periferia sensoriale tutta quella parte di organismo che contiene recettori sensoriali, cellule in
grado di recepire gli stimoli, distribuite su sistemi di tipo somatico e sistemi di tipo viscerale. Avremo perciò
una sensibilità somatica ed una sensibilità viscerale.
Le cellule recettoriali possono essere
classificate in funzione del luogo dove
si trovano e della funzione che
svolgono. Innanzitutto, è importante
distinguere i recettori intesi come
proteine recettrici intracellulari o sulla
membrana responsabili del legame con
il proprio ligando a seguito di cui viene
attivata una cascata cellulare, dai
recettori sensoriali i quali convertono i
vari stimoli in segnali elettrici.
I recettori sensoriali possono essere
suddivisi in recettori periferici,
localizzati fuori dall’encefalo e
recettori centrali, localizzati nell’encefalo o in prossimità dell’encefalo. Ai recettori centrali appartengono
quelle cellule che si occupano della sensibilità gustativa, olfattiva, uditiva e della vista. Nell’occhio vi è
infatti la porzione di tessuto nervoso più esterna al corpo, più superficiale.
I recettori periferici vengono classificati in funzione dello stimolo che riescono a percepire, avremo dunque
i chemocettori, recettori che percepiscono sostanze chimiche quali il pH o alcuni gas chimici; gli
osmocettori che percepiscono le variazioni di osmolarità; i termocettori i quali percepiscono i cambiamenti
di temperaura; i barocettori sensibili alla variazione della pressione; i propriocettori che ci consentono
costantemente di riconoscere e percepire la posizione del nostro corpo nello spazio; altri meccanocettori
(anche i barocettori sono recettori meccanici) che percepiscono le vibrazioni, la sensibilità tattile; i
nocicettori, cosiddetti recettori per il dolore. I recettori per il dolore secondo alcune ipotesi sono molto
simili ai recettori per la temperatura, tant’è vero che ad altissime o a basse temperature la sensazione che
percepiamo dalla temperatura è associata ad una sensazione dolorifica, alcuni recettori sono dunque
coinvolti nella mediazione congiunta della termocezione e della nocicezione.
Recettori sensoriali
Nell’immagine abbiamo ad esempio da una
parte i recettori gustativi, dall’altra i recettori
tattili.
Possiamo notare come nella cavità orale ed in
particolare sulla superfice della lingua, sono
presenti delle zone che contengono i pori
gustativi dentro i quali sono collocati i bottoni
gustativi all’interno delle quali si trovano le
cellule gustative ossia i recettori. La cellula
recettiva sporge attraverso dei microvilli
entrando a contatto con la cavità orale. Su
queste membrane gli stimoli chimici vanno a
legarsi, il che implica la presenza di molecole
recettrici del gusto. La cellula gustative non sono neuroni propriamente detti, esse terminano all’interno
della lingua ma vengono raggiunte da fibre afferenti che ricevono sinapsi da queste cellule, attivano la fibra
dendritica e portano le informazioni recepite dalla cellula gustativa verso le regioni centrali.
L’altra immagine rappresenta uno spaccato della pelle dove possiamo notare il derma, l’epidermide, i peli
contenuti nei bulbi piliferi attorno ai quali sono presenti ad esempio i recettori del pelo. Il recettore del
pelo è una terminazione nervosa che arriva lì dove inizia il fusto del pelo e poiché il pelo è alloggiato in
questa struttura anatomica che lo contiene e fuoriesce sulla superficie della cute, ogni volta che il pelo
cambia angolo all’interno di questo alloggiamento il recettore del pelo sente il cambiamento di direzione. E’
per questo che noi sentiamo per esempio la pelle d’oca, meccanismo di risposta omeostatica
all’abbassamento della temperatura. Il nostro organismo infatti, percepisce l’abbassamento della
temperatura esterna come disagio e reagisce attivando delle micro-contrazioni muscolari, responsabili dei
brividi; accanto alla risposta involontaria del muscolo c’è una risposta che coinvolge dunque anche i peli, la
cosiddetta pelle d’oca. La pelle d’oca viene permessa dal controllo sul bulbo pilifero del muscolo erettore
del pelo, che si contrae facendo drizzare il pelo e permettendo dunque la pelle d’oca.
Questa è una parte della sensibilità della cute, accanto a questa c’è la sensibilità data da altre strutture
nervose, terminazioni nervose libere, cellule organizzate in maniera molto particolare come gli organi di
Ruffini, il corpuscolo di Meeisner e il corpuscolo di Pacini.
Nell’olfatto, le cellule olfattive a differenza di quelle gustative sono delle vere e proprie cellule nervose. Le
molecole odoranti che si trovano prevalentemente disperse nell’aria, entrano nelle cavità nasali i recettori
olfattivi si attivano e inviano segnali elettrici. Le cellule olfattive hanno una porzione cellulare che sporge
all’interno del lume delle cavità nasali e che viene raggiunta dalle molecole odoranti. Sulla membrana di
queste cellule olfattive, di questi recettori olfattivi, si trovano i recettori olfattivi in termini molecolari, cioè
ci sono proteine attivate dal legame con la molecola odorante. Saranno in questo caso ad esempio canali
ionici. Queste cellule olfattive mandano segnali elettrici verso le regioni superiori attraverso una rete
intricata che arriva ai glomeruli olfattivi. I glomeruli olfattivi, collocati all’interno del bulbo olfattivo,
raccolgono le sinapsi provenienti dalla periferia olfattiva, queste sinapsi convergono su neuroni che
mandano il segnale verso altre regioni cerebrali.
Tipi di recettori sensoriali
Abbiamo sostanzialmente tre tipi di
organizzazione di base.
-Il primo tipo, più semplice presenta delle
terminazioni nervose libere e un assone
che passa dal corpo cellulare e che continua
sinaptando con il resto del sistema nervoso.
In questo caso la cellula non è uguale in
tutta la sua struttura, ma una porzione di
Adattamento recettoriale
Alcuni recettori hanno meccanismi funzionali diversi,
classificabili in quello che prende il nome di adattamento
recettoriale. L’adattamento recettoriale ci dice quanto il
recettore è in grado di adattarsi allo stimolo. Alcuni recettori
sono in grado di adattarsi allo stimolo, altri si adattano
lentamente o ancora non si adattano.
Ci sono dunque recettori che rimangono operativi per tutta la
durata dello stimolo, questi vengono chiamati recettori di
tipo tonico, non si adattano dunque allo stimolo o si
adattano lentamente.
Accanto questi recettori di tipo tonico, ci sono i recettori di tipo fasico, questi vanno in fase con lo stimolo,
si attivano quando lo stimolo arriva (recettori fasici on) oppure quando lo stimolo termina (recettori fasici
off).
Nel caso in cui abbiamo invece recettori fasici-tonici, questi si adattano parzialmente, si attivano quando
arriva lo stimolo e poi man mano si adattano allo stimolo.
Prima di arrivare nella corteccia però, queste vie passano nel talamo che è
una regione che raccoglie le informazioni somato-sensoriali, è dunque un
centro proiettivo che precede l’integrazione.
Esempio:
La miosina appartiene alle proteine motrici, è una proteina complessa. All’interno del sarcomero ne
troviamo molte disposte a formare dei fasci. Questi fasci sono formati dall’affiancamento in parallelo delle
molecole di miosina. Ogni molecola di miosina è costituita da una coda e da una testa. La testa è collegata
alla coda attraverso una zona di cerniera. Nel filamento di miosina, filamento spesso, le molecole di miosina
sono disposte affiancate coda contro coda.
Come avviene la contrazione muscolare
scheletrica?
Ciò che da avvio alla contrazione è l’attivazione del
terminale assonale, quindi il rilascio
dell’Acetilcolina e l’attivazione dei recettori
nicotinici che si trovano localizzati nella placca.
Nella placca si genera dunque il potenziale di
placca, varie placche si attivano, i potenziali di
placca si sommano e danno luogo al potenziale
d’azione che come tutti i potenziali d’azione viaggia
sulla membrana andando nelle zone dove la
membrana è a riposo. Camminando sulla
membrana nelle zone a riposo, scende all’interno
dei tubuli trasversi. La regione dei tubuli trasversi
viene invasa dal potenziale d’azione andando
dunque incontro a depolarizzazione. Questa
depolarizzazione che diffonde all’interno del tubulo
trasverso è l’evento che attiva la contrazione muscolare. La contrazione muscolare si attiva perché questo
potenziale d’azione arriva nel tubulo trasverso e incontra dei canali ionici voltaggio-dipendenti per il calcio,
questi sono in grado di legare in maniera selettiva farmaci della famiglia delle diidropiridine e vengono per
questo anche chiamati recettori DHP o recettori per le diidropiridine. Quando questo recettore si attiva, si
apre il canale al calcio e il calcio entra, nello stesso tempo però questo recettore DHP che è localizzato sul
tubulo trasverso è collegato da un punto di vista molecolare con un’altra struttura che è presente sul
reticolo sarcoplasmatico. All’interno delle cisterne del reticolo vi è una quantità di ioni calcio molto elevata
tanto che una parte del calcio viene legata a delle proteine calcio-leganti che appartengono alla famiglia
delle calsequestrine. Queste proteine calcio-leganti riducono la quantità di calcio libero. Dunque, ogni volta
che arriva un potenziale d’azione, il Ca che è contenuto all’interno delle cisterne del reticolo, fuoriesce
dando luogo alla contrazione.
Muscolo scheletrico:
Come abbiamo visto il segnale viene
raccolto in periferia e viene trasferito
attraverso le vie nervose agli organi
effettori.
Nel muscolo scheletrico il primo evento è
rappresentato dall’attivazione del
terminale assonale che induce il rilascio
del potenziale d’azione. Viene dunque
indotto il rilascio del neurotrasmettitore,
cioè l’Acetilcolina, questa si lega ai
recettori nicotinici presenti sulla
membrana muscolare, si genera un
potenziale di placca a cui fa seguito il
potenziale d’azione che si propaga e
invade tutta la membrana della fibra
muscolare scheletrica per raggiungere
quelle porzioni definite tubuli trasversi,
cioè quelle invaginazioni della membrana
all’interno della cellula. La membrana entra nella cellula, depolarizza e questa depolarizzazione dà inizio a
quegli eventi che portano sulla cellula muscolare delle modificazioni funzionali cosicché alla fine il muscolo
andrà in contrazione.
Un’unità funzionale importante di questo processo è quella che viene definita Calcium Release Unit, cioè
l’unità di rilascio del calcio.
Questa è costituita dal tubulo trasverso e
dalle cisterne del reticolo sarcoplasmatico
organizzate a formare una triade (tre unità
che si ripetono in maniera regolare
all’interno di un muscolo). All’interno di
questa triade il tubulo trasverso svolge il
ruolo di portare il segnale che arriva dalla
placca motrice. E’ dunque quella porzione
di membrana che andrà incontro a
depolarizzazione e a seguito di questa
depolarizzazione il primo degli eventi
intracellulari che si attiva è il rilascio del
calcio, l’incremento della concentrazione di
calcio libero nel citoplasma dovuto o
all’ingresso di calcio dall’esterno o all’ingresso di calcio nel citoplasma proveniente dalle cisterne del
reticolo. Per capire come funziona tale meccanismo dobbiamo vedere quali sono gli effettori molecolari
dell’accoppiamento eccitazione-contrazione. Sulla membrana del tessuto muscolare, sul sarcolemma, si
osserva la presenza di una proteina, che è una proteina canale con affinità per il calcio, voltaggio
dipendente di tipo L. Questa proteina si trova nel tubulo trasverso e poiché è in grado di legare i farmaci
della famiglia delle diidropiridine, viene anche chiamato recettore per la diidropiridina (DHPR). Quando il
potenziale d’azione arriva nel tubulo trasverso, questo recettore DHPR si attiva, l’attivazione di questo
recettore induce l’apertura del canale che esso contiene per il calcio e il calcio entra all’interno della cellula.
Nel muscolo scheletrico quest’ingresso di calcio all’interno della cellula non è rilevante come lo è nel
muscolo cardiaco. Quello che è rilevante nel muscolo scheletrico è che questo recettore DHPR è accoppiato
dal punto di vista molecolare ad un’altra proteina, anche questa è una proteina canale che si trova però
localizzata sulle membrane delle cisterne del reticolo. Questa proteina per la capacità di legare
selettivamente la rianodina, viene chiamato recettore per la rianodina (RyR). Questo accoppiamento di
DHPR e RyR è il requisito funzionale che consente l’attivazione del meccanismo intracellulare della
contrazione. All’interno delle cisterne del reticolo il calcio è impacchettato con proteine calcioleganti quali
la calsequestrina che consentono di tenere bassa il più possibile la concentrazione di calcio. Quando arriva il
potenziale d’azione il recettore DHPR si attiva e interagisce con il recettore RyR, quest’interazione fa si che
il recettore RyR cambi conformazione aprendosi e facendo fuoriuscire una grande quantità di calcio.
Una volta che il calcio è uscito dalle cisterne va a
legarsi al sistema di inibizione troponina-
tropomiosina. La troponina come abbiamo visto
è un proteina formata da tre subunità :
troponina C, troponina I e troponina T delle
quali la troponina C è in grado di legare il Calcio.
La tropomiosina, normalmente, quando il
muscolo è a riposo va a collocarsi in maniera
tale che da far si che si frappone fra la testa
della miosina e l’actina. Ogni monomero di
actina globulare ha un sito di legame per la testa
della miosina. Se non ci fosse la tropomiosina
avverrebbe il legame tra miosina ed actina.
Quando non c’è il calcio
dunque la tropomiosina sta lì e
funge da sistema inibitorio.
Quando però arriva il calcio,
questo andrà a legarsi alla
subunità C della troponina e la
codificazione conformazionale
di questa proteina fa si che si
modifichino anche le altre
subunità. Questa modifica fa
spostare il filamento di
tropomiosina.
Quando c’è il calcio dunque, la
miosina è legata all’actina,
quando il calcio va via, invece, il
sistema troposina-
tropomiosina si va a porre come ostacolo tra la testa delle miosina e il filamento di actina. Avviene una
interazione molecolare che è fondamentale per la contrazione perché è il momento in cui le due proteine
contrattili entrano in contatto tra di loro e la miosina che ha come caratteristica il fatto di avere una
regione flessibile tra la coda e la testa, proprio a livello di questa regione flessibile fa variare l’angolo.
Poiché la testa è legata al filamento di actina, questo spostamento della testa della miosina (colpo di forza)
si trascina l’actina-G. Avviene dunque lo scorrimento di un filamento su un altro di 10nm.
Poiché avvenga questo scorrimento è necessario che ci sia il contributo dell’ATP.
L’ATP serve nella contrazione non solo per dare alla
miosina la capacità di modificare l’angolo tra la
testa e la coda, ma svolge anche un ruolo nel
distacco delle teste. Quello che avviene va sotto il
nome di ciclo dei ponti trasversi. Un ponte trasverso è quello che si realizza nel momento in cui la testa
della miosina lega l’actina. Arriva dunque un potenziale d’azione, aumenta il calcio libero nel citoplasma,
viene spostato il sistema inibitorio troponina-tropomiosina e la testa della miosina può legare l’actina. In
questa condizione, la testa della miosina che contiene in se un sito ATPasico e dunque i prodotti dell’idrolisi
dell’ATP (ADP e Pi) ha alta affinità per l’actina. Avviene dunque il legame con l’actina e si forma il complesso
A-M٠ADP٠Pi, il quale dopo il colpo di frusta libera ADP e Pi. Questo processo avviene
contemporaneamente per tutte le teste di tutti i filamenti di miosina presenti in tutte le fibre muscolari.
Dopo la liberazione di ADP e Pi si forma il complesso acto-miosinico A-M ad altissima affinità che rimane
legato finchè non interviene una seconda molecola di ATP. Questo momento del ciclo dei ponti trasversi
viene chiamato momento di rigor. Il rigor è quel momento in cui la testa della miosina è legata ll’actina e
non è dunque presente l’ATP nel complesso. C’è un momento di rigor per ogni atto di contrazione. (rigor
mortis = quando le cellule di un organismo non più vivo non sono più in grado di produrre ATP a livello
mitocondriale e quindi consumato l’ATP a disposizione non può più avvenire il distaccamento dei complessi
acto-miosinici formatisi, ciò determina la rigidità cadaverica).
Dopo il momento di rigor, arriva una seconda molecola di ATP che si lega alla testa della miosina. In questo
momento la miosina ha bassa affinità per l’actina e dunque si stacca dal filamento di actina. Dopo tale
distaccamento la testa della miosina è pronta per attaccare evenetualmente un altro monomero di actina
grazie allo scorrimento dei filamenti oppure nel caso in cui si riduce la concentrazione di calcio tornando
alle condizioni pre-contrazione e si placa il potenziale d’azione, di dare luogo ad un rilassamento del
muscolo.
Possiamo vedere che il risultato dello
scorrimento dei due filamenti è l’accorciamento
del sarcomero, l’avvicinamento delle due strie Z.
Le strie Z che erano ad una determinata distanza
vengono avvicinate verso il centro del filamento,
verso la zona M di 10nm in 10nm. Infatti ogni
testa della miosina sposta il filamento di 10nm.
Considerando i vari sarcomeri messi insieme,
questi spostamenti sono responsabili alla
contrazione muscolare.
La contrazione si interrompe, nel caso del muscolo scheletrico, perché si interrompe il potenziale d’azione
dunque il muscolo scheletrico non è più stimolato dal motoneurone, la placca motrice torna silente, la
membrana ritorna a valori di potenziale di riposo, il tubulo trasverso non è pù attivo, i recettoti DHPR e i
recettori RyR sono nello stato di quiete e il calcio smette dunque di uscire dal reticolo. Ma poiché ciò
avviene subito dopo la contrazione, il citoplasma è ricco di calcio e finchè il calcio rimane libero nel
citoplasma, la contrazione può sempre avvenire. Se la contrazione è però giunta al termine il calcio libero
deve essere rimosso dall’interno della cellula. Al termine della contrazione il calcio viene
ricompartimentalizzato, una parte del calcio viene portata fuori dalla membrana attraverso le pompe del
calcio della membrana (ATPasi calcio dipendenti), dall’altro lato del calcio entra dal citoplasma all’interno
del reticolo sarcoplasmatico attraverso delle pompe, le cosiddette pompe SERCA. Le pompe SERCA sono
localizzate nella regione longitudinale del reticolo. Il calcio fuoriuscito inizialmente dall apertura dei
recettori DHPR e RyR rientrerà dunque longitudinalmente attraverso le pompe SERCA.
Il meccanismo complessivamente descritto è un meccanismo energeticamente molto dispendioso, per cui
serve una grande disponibilità energetica per la contrazione che viene data attraverso una serie di eventi
metabolici particolarmente imponenti in muscoli tipo il cuore dove la contrazione non è un evento che si
interrompe.
L’ATP necessario viene prodotto dal ciclo di
Krebs e dalla fosforilazione ossidativa come via
aerobica, in parte dalla via anaerobica ,
dall’idrolisi della creatina fosfato e dalla glicolisi.
Sono dunque necessari substrati capaci di
intervenire nei processi che portano alla
formazione dell’ATP, quali il glucosio, il
glicogeno, la creatina fosfato. Poiché avvenga la
produzione di ATP nella via aerobica che è quella
a più alto rendimento energetico, è necessario
che ci sia l’Ossigeno che proviene dal sangue.
Nel sangue l’O si trova legato all’emogliobina,
arriva a livello del muscolo e diffonde per
gradiente all’interno della cellula muscolare,
viene immagazzinato dalla mioglobina, che è la proteina muscolare che funziona come deposito di ossigeno
per essere poi reso disponibile per gli eventi aerobici.
E’necessario dunque il rifornimento dei muscoli scheletrici di substrati energeticamente ad alto
rendimento, capaci di fornire ciò che serve per sostenere l’energetica a livello mitocondriale.
Muscolo cardiaco:
L’organizzazione del muscolo cardiaco è molto simile a quella del muscolo scheletrico. Abbiamo le striature,
quindi dei sarcomeri ben identificabili come quelli del muscolo scheletrico, abbiamo delle proteine,le
isoforme cardiache, non vi sono in questo caso le triadi ma le diadi. Le diadi sono costituite dal tubulo
trasverso e da una sola cisterna a differenza delle triadi che hanno due cisterne.
Abbiamo dunque un tubulo e una cisterna che è la terminazione del reticolo. Anche in questo caso la diade
è il luogo dove avviene il rilascio del calcio quando arriva il potenziale d’azione. Nel cuore il potenziale
d’azione non è dato dall’attivazione del motoneurone α. Il cuore è un organo involontario ed autonomo, è
regolato dal sistema nervoso autonomo ma non è controllato dal sistema nervoso somatico.
Lo stimolo che attiverà la contrazione nel cuore non è quindi l’attivazione della placca motrice. L’evento che
nel cuore da origine alla contrazione è la generazione del potenziale d’azione nelle cellule del nodo seno-
atriale. In queste cellule si genera il potenziale al calcio, lento, che si propaga da una cellula all’altra grazie a
zone di giunzione dove sono presenti giunzioni comunicanti (gap junction), le quali generano nella
membrana una bassa resistenza elettrica favorendo la fluizione degli ioni. Il potenziale d’azione che si
genera nel nodo seno-atriale, viaggiando da una cellula all’altra attraverso le giunzioni comunicanti che si
trovano nei dischi intercalari, depolarizza la membrana e arriva nei tubuli trasversi. Anche qui il potenziale
incontra nei tubuli trasversi i canali al calcio di tipo L (DHPR) che si aprono facendo entrare il calcio. Il calcio
dopo essere entrato va subito a legarsi al recettore RyR. I due recettori sono sempre accoppiati come nel
caso del muscolo scheletrico, ma in questo caso è il calcio stesso che legandosi al RyR, fa aprire il recettore
facendo così uscire il calcio dal reticolo. Questo meccanismo viene chiamato nel cuore rilascio del calcio
indotto dal calcio. Si genererà un cosiddetto spark di calcio, ciò un incremento rapidissimo della
concentrazione del calcio nella calcium release unit, il calcio viene poi sfruttato per la contrazione del
cuore, per la trascrizione , viene portato all’interno dei mitocondri e interviene nel metabolismo e alla fine
della contrazione viene recuperato ad opera delle SERCA e viene rimandato all’interno del reticolo verso le
cisterne.
E’ necessario che avvenga un ottimo
reimpacchettamento. Qundo il calcio si
libera nel citoplasma, il muscolo si contrae il
cuore va in sistole, durante la sistole il
calcio viene riportato nelle cisterne, in
assenza di calcio il muscolo non è più
contratto e si rilassa, va dunque in diastole.
Nel cuore avviene costantemente un
rilascio di calcio e un recupero di calcio.
Il recupero del calcio anche qua avviene
attraverso le pompe SERCA che agiscono
sotto controllo operato da una proteina
regolatrice che si chiama fosfolambano. Il fosfolambano è normalmente collegato alle SERCA , è un
pentamero nella forma inattiva ed è un monomero nella forma attiva. Quando il fosfolambano è collegato
alle SERCA blocca l’attività della proteina, inibisce cioè la pompa; quando viene fosforilato dalla PKA o dalla
calciocalmodulina chinasi, si stacca invece dalle SERCA che può dunque recuperare il calcio. Il recupero di
calcio è massimo durante la diastole e minimo durante la sistole.
Tutte queste proteine quali per esempio la PKA la CaMkII sono bersagli di regolazione ad opera di cascate
intracellulari come la stimolazione adroenergica del cuore. Vedremo che il cuore è sotto il controllo da
parte del sistema nervoso autonomo, il sistema nervoso simpatico attraverso le catecolammine stimola
l’attività cardiaca, le catecolammine attraverso i loto recettori accoppiati a proteine G inducono la
produzione di AMP ciclico, la produzione della PKA che va ad esempio a fosforilare il fosfolambano così da
facilitare il recuper del calcio e la disponibilità del calcio per la contrazione successiva.
L’immagine riassume il sistema di funzionamento
della contrazione muscolare.
Muscolo liscio:
Il muscolo liscio è organizzato in maniera
completamente differente rispetto al muscolo
scheletrico e al muscolo cardiaco. Le cellule del
muscolo liscio sono innanzitutto delle cellule
affusolate che non hanno all’interno un apparato
contrattile come quello del muscolo scheletrico
seppure contengono le proteine contrattili actina
e miosina. Dal punto di vista di organizzazione
cellulare possiamo distinguere il muscolo liscio in
un muscolo liscio unitario ed un muscolo liscio
multiunitario. Il muscolo liscio unitario è per
esempio quello che forma la tonaca media
dell’apparato gastrointestinale , si chiama così
perché le cellule sono collegate tra di loro da giunzioni comunicanti, sono dunque tra di loro accoppiate
elettricamente come lo sono le cellule del muscolo cardiaco. Quest’accoppiamento fa si che le cellule si
contraggano in risposta ad uno stimolo, tutte contemporaneamente come se fossero una singola cellula.
Nel muscolo liscio multiunitario, invece, le cellule non sono accoppiate elettricamente ma ognuna si
comporta come un’entità separata.
Il muscolo liscio viene modulato in risposta agli stimoli che arrivano da parte del sistema nervoso
autonomo. I rami nervosi del sistema nervoso autonomo presentano lungo l’assone degli slargamenti che si
chiamano varicosità all’interno delle quali ci sono le vescicole con il neurotrasmettitore. Questo
neurotrasmettitore viene rilasciato in prossimità delle cellule del muscolo liscio e modula l’attività cellulare
così da modulare la contrazione. IL muscolo liscio può essere indotto a contrarsi o a rilassarsi dal sistema
nervoso autonomo. Mentre nel muscolo scheletrico la stimolazione nervosa causava la contrazione e al
termine del potenziale d’azione il rilassamento, il muscolo liscio può andare incontro in maniera attiva a
contrazione oppure a rilassamento.
Le unità contrattiti del muscolo liscio sono organizzate sempre con un filamento spesso centrale di miosina
e dei filamenti di actina che sporgono collegati a delle strutture chiamate corpi densi, costituiti da un
agglomerato di proteine. L’apparato contrattile oltre ad essere ancorato ai corpi densi è ancorato anche
alla membrana cellulare. Nella condizione rilassata la cellula ha una struttura fusiforme, mentre nella
condizione contratta l’apparato contrattile si accorcia, la cellula diventa globosa, si avvicinano i corpi densi
l’uno all’altro e questo fa si che venga tirata anche la membrana a cui l’apparato contrattile è collegato.
La contrazione nel muscolo avviene sempre
per scorrimento dei filamenti. La miosina nel
muscolo liscio è organizzata in fasci anche
qui con le teste sporgenti rispetto alle code,
però le teste sporgono in verso opposto da
un lato e dall’altro. Da entrambi i lati le teste
prendono rapporti con i filamenti di actina.
Quando avviene la contrazione il filamento di
actina superiore si muove verso sinistra e il
filamento di actina inferiore si muove verso
destra. La conseguenza a ciò è che i corpi densi,
equivalenti più o meno delle strie , si
avvicinano, in questo modo avviene il
cambiamento di struttura della cellula che
diventa globosa.
I meccanismi di contrazione sono più o meno gli
stessi di quella del muscolo scheletrico. Il calcio
dell’ambiente extra-cellulare entra nella cellula
perché qualcosa modulerà lo stato di apertura dei
canali che potranno essere voltaggio dipendenti,
chemio dipendenti, controllati da ormoni.
Quando aumenta la concentrazione del Calcio
all’interno della cellula viene liberato il Calcio
anche dal reticolo sarcoplasmatico. Il calcio si lega
alla calmodulina, si forma il complesso calcio-
calmodulina Ca-CaM , il quale va ad attivare una
chinasi che si trova nella catena leggera della
miosina. La catena leggera della miosina del
muscolo liscio è substrato di un’attività chinasica
e la chinasi di tale catena leggera va a fosforilare
le catene leggere della miosina aumentando
l’attività ATPasica della miosina stessa. La miosina
sarà dunque in grado di interagire con l’actina e di far avvenire un maggior numero di ponti trasversi.
Questo genera lo scorrimento dei filamenti e dunque la tensione muscolare.
Quando ha termine la contrazione, il calcio che è
libero nel citoplasma, o ritorna nel reticolo ad opera
delle ATPasi del reticolo o viene mandato fuori dalla
cellula o ancora viene scambiati attraverso lo
scambiatore 𝑁𝑎+ - 𝐶𝑎2+ . Il 𝐶𝑎2+ è dunque rilasciato
dalla calmodulina (CaM). La miosina fosfatatsi
rimuve il fosfato dalla miosina, riducendone
l’attività ATPasica. La riduzione dell’attività ATPasica
della miosina determina la diminuzione della
tensione muscolare.
Questa contrazione ha un suo limite quando il muscolo raggiunge il massimo della sua capacità, si accorcia,
il tendine si allunga e i neuroni sensoriali disseminate all’interno del tendine vengono attivati, si attiva
l’organo tendineo del Golgi. Questo organo tendineo del Golgi mediante un riflesso polisinaptico blocca la
scarica dei motoneuroni α.
Il muscolo ha così raggiunto il massimo della sua forza di lavoro e tornando all’esempio con i pesi arriva a
non riuscire a tenere l’aggiunta dell’ultimo peso, il muscolo si rilasserà e i pesi cadranno.
Questo meccanismo è un feedback protettivo negativo del muscolo che si attiva quando si raggiunge il
massimo della capacità dell’apparato muscolare-tendineo-osseo di sostenere la contrazione di questo
muscolo.
Istante per istante viene dunque
regolata la forza muscolare da un
punto di vista nervoso attivando
una serie di riflessi.
Tutto ciò richiede che il muscolo
abbia l’adeguato rifornimento
energetico che ricava come
abbiamo già visto per l’energetica
della contrazione dalla
fosforilazione ossidativa, dalla
glicolisi anaerobia ma anche dalla
glicolisi aerobia.
Lo sviluppo della forza fa si che
incrementi il consumo di ossigeno
che rende necessario il consumo di
substrati energetici tipo la creatina
fosfato.
SANGUE ED EMODINAMICA
Il sangue è un tessuto connettivo di tipo liquido e di colore rosso, questa particolare colorazione viene
attribuita dalla presenza nel sangue di particolari pigmenti respiratori. Il pigmento respiratorio per
eccellenza contenuto nel sangue dei mammiferi è rappresentato dall’emoglobina che conferisce al sangue
un caratteristico colore rosso.
Il sangue è quel tessuto che mette in comunicazione tutti i distretti del nostro organismo. Il sangue scorre
attraverso un sistema di vasi che partono dal cuore e vengono in contatto con tutti gli organi, i tessuti e le
cellule del nostro organismo.
Il sangue è presente in una quantità variabile tra l’uomo e la donna, nei maschi la quantità di sangue
circolante è pari a circa 5-6 l, nelle donne intorno ai 4-5 l.
Il sangue svolge principalmente tre funzioni principali, che sono quella di trasporto, di regolazione e di
protezione.
Attraverso il sangue vengono principalmente veicolati gas, nutrienti e proteine che servono per
l’integrazione tra tessuti ed ambiente esterno. Tramite il sangue viene veicolato ad esempio l’ossigeno
atmosferico, ossigeno che entra nel nostro organismo attraverso la respirazione e che dai polmoni viene
veicolato con tutte le cellule proprio attraverso il sangue. Sempre attraverso il sangue, il prodotto di scarto
del metabolismo, dunque la CO2, viene trasportata dalle cellule al sistema respiratorio per essere poi
eliminata all’esterno. Oltre a questi due gas, che sono i gas principali deputati alla funzionalità cellulare, il
sangue trasporta nutrienti e cataboliti. Trasporta dunque i nutrienti assunti con la dieta verso gli organi, i
tessuti e le cellule che devono rifornirsi per svolgere le loro funzioni e da queste cellule prende i cataboliti,
cioè i prodotti di scarto del metabolismo e li trasporta verso gli organi deputati all’escrezione.
Il sangue trasporta anche ormoni che si comportano da mediatori chimici e vengono veicolati da esso trai
diversi distretti.
Infine, il sangue trasporta anche calore in quanto è deputato alla regolazione della temperatura che
effettua attraverso due meccanismi che sono la vasocostrizione e la vasodilatazione.
Altra funzione importante è quella di regolazione del pH dei liquidi corporei, infatti nel sangue si ritrovano
una serie di componenti che nel loro insieme costituiscono dei veri e propri sistemi tampone fisiologici che
impediscono ai liquidi corporei di andare in processi di alcalosi o acidosi. Nel sangue in particolar modo
ritroviamo tre principali sistemi tampone che sono il sistema tampone acido carbonico/bicarbonato, il
sistema fosfato e il sistema tampone delle proteine del sangue (emoglobina).
Altra funzione di regolazione del sangue è quella di idratazione cellulare, sono presenti per questo motivo
diverse proteine la cui presenza è responsabile di quella che viene definita pressione osmotica, cioè quella
pressione che si genera all’interno dei vasi e che solitamente interviene nel trattenere i liquidi. Grazie alla
pressione osmotica e in presenza di un'altra pressione che gioca a livello dei vasi e che è quella idraulica o
idrostatica, vengono favoriti i processi di filtrazione e assorbimento che sono alla base dell’idratazione
della cellula.
Oltre alla funzione di trasporto e di regolazione, il sangue svolge un importante funzione di protezione.
Protezione principalmente da infezioni attraverso anticorpi e fagocitosi, ma anche protezione da perdite di
sangue in seguito a lesioni del vaso che avviene principalmente attraverso l’attivazione del processo
emostatico.
Il sangue come abbiamo detto è un tessuto connettivo di natura liquida ed essendo un tessuto connettivo
avrà sicuramente al suo interno una componente cellulare. La componente cellulare rappresenta il 45% del
tessuto sanguigno ed è costituita principalmente da tre elementi figurati che sono gli eritrociti o globuli
rossi, i leucociti o globuli bianchi e le piastrine. Questi componenti figurati si trovano immersi all’interno di
una componente liquida che è rappresentata dal plasma. Il plasma rappresenta il restante 55% del sangue,
è una soluzione di colore giallino ed è composta principalmente da soluti quali sali inorganici, da proteine e
da acqua. Le proteine rappresentano circa il 7% della componente plasmatica e si distinguono a loro volta
in tre grosse categorie: le albumine, le globuline e il fibrinogeno. Le albumine sono le proteine che
intervengono principalmente nella regolazione della pressione osmotica e quindi nell’idratazione cellulare.
Le globuline sono a loro volta distinte in tre categorie che sono le globuline di tipo alfa, le globuline di tipo
beta e le globuline di tipo gamma. Alfa e beta rappresentano le globuline deputate al trasporto di gas o
nutrienti, mentre le gamma globuline sono rappresentate principalmente dagli anticorpi e svolgono quella
che è la funzione protettiva del sangue. L’ultima categoria di proteine presenti nel sangue è rappresentata
dal fibrinogeno, precursore della fibrina, che è la proteina che interviene invece nel processo emostatico.
Se aumenta l’attività muscolare, ad esempio, la cellula muscolare va incontri ad un aumento della glicolisi
anaerobia che comporta un aumento degli intermedi che regolano la glicolisi. Questo acido DPG, che è
proprio un intermedio della glicolisi, se aumenta può andare a competere con l’O2 per il legame sull’Hg.
Leucociti:
I leucociti si distinguono, come abbiamo detto, principalmente
in tre classi che sono quelle dei granulociti, dei linfociti e dei
monociti. Sono cellule deputate alla difesa dell’organismo,
sono molto meno numerose degli eritrociti, rappresentano
infatti solo lo 0,1% della componente cellulare.
A differenza degli eritrociti sono delle cellule complete, hanno
infatti il nucleo e gli organuli intracellulari. In alcuni casi sono
cellule polinucleate, non hanno dunque un solo nucleo ed il
nucleo può essere diviso in più lobi.
Piastrine:
Un'altra classe di cellule appartenente alla componente cellulare del sangue è rappresentata dalle
piastrine. Le piastrine, così come i globuli rossi non possono essere definite delle vere e proprie cellule in
quanto derivano dalla frammentazione citoplasmatica di cellule giganti multinucleate, i megacariociti del
midollo emopoietico delle ossa (200-400.000 per mm3), e sono quindi prive di nucleo e di organuli cellulari.
Come i globuli rossi hanno una certa emivita, dopodiché vengono degradate. Le piastrine sopravvivono in
media per 10 giorni.
1/3 delle piastrine viene rimosso dalla circolazione ed è trattenuto dalla milza dove va a costituire un
materiale cellulare di riserva.
Le piastrine sono delle frammentazioni del citoplasma e presentano al loro interno numerosi granuli che
vengono distinti in due categorie principali che sono i granuli densi e i granuli α.
I granuli densi contengono principalmente serotonina, calcio, ADP ed ATP.
I granuli α, invece, contengono fibrinogeno nonché una serie di fattori che intervengono nella regolazione
del processo emostatico, nella fase della coagulazione. Infatti, le piastrine rappresentano gli elementi
cellulari essenziali per il processo di emostasi e di coagulazione del sangue.
Emopoiesi:
Il processo attraverso il quale vengono prodotte tutte le cellule sanguigne, prende il nome di emopoiesi.
L’emopoiesi avviene in distretti specifici dell’organismo che vengono definiti come organi ematopoietici.
Questi organi ematopoietici sono diversi nella vita fetale e nell’adulto. Nell’embrione il primo organo
ematopoietico è rappresentato dal sacco vitellino, man mano che l’embrione si sviluppa, altri organi come il
fegato, l milza e il midollo osseo rosso possono svolgere funzione ematopoietica. Nell’adulto l’unico tessuto
con funzione ematopoietica è il midollo osseo rosso e in alcuni casi possono intervenire anche i linfonodi e
la milza.
Questi tessuti sono deputati principalmente alla produzione di una cellula che viene definita cellula
staminale totipotente. Questa cellula staminale totipotente ha la capacità di differenziarsi sotto specifici
stimoli in cellule staminali unipotenziali ognuna delle quali dà origine ad una linea cellulare emopoietica.
Tutte le cellule del sangue si originano dunque a partire da un unico precursore che è questa cellula
staminale totipotente.
Il processo ematopoietico è un processo abbastanza complesso.
Possiamo vedere
come da un'unica
cellula che è la
cellula staminale
totipotente, che
prende il nome di
emocitoblasto, si
differenziano poi
delle linee cellulari
che daranno
origine a eritrociti,
piastrine e globuli
bianchi che a loro
volta si
distingueranno in
granulociti,
linfociti e monociti.
Il sangue che esce dal cuore attraverso le arterie, si distribuisce in vasi di calibro sempre più piccolo che
ramificano fino ad arrivare ai vasi più piccoli dell’organismo che sono i capillari. Prima di arrivare ai capillari
abbiamo arterie chiamate arteriole e metarteriole. Dall’altro lato dopo il capillare ci saranno le venule.
Nella circolazione sistemica le vene portano sangue deossigenato e le arterie portano sangue
ossigenato;
Nella circolazione polmonare le vene polmonari portano al cuore sangue ossigenato e le arterie
polmonari portano ai polmoni il sangue deossigenato.
Emodinamica
Le leggi che governano lo scorrimento del sangue all’interno dell’apparato cardiocircolatorio sono descritte
dall’emodinamica, che è una scienza biofisica nella quale i principi della dinamica dei fluidi vengono
applicate alla circolazione del sangue.
Le leggi dell’idrodinamica sono solitamente applicate a fluidi ideali quali ad esempio l’acqua. Nel caso del
sangue non abbiamo un fluido ideale, il sangue è un fluido non Newtoniano.
Inoltre, i vasi in cui scorre il sangue a differenze dei tubi idrici, non sono tubi rigidi ma sono tubi che hanno
una loro capacità di modificare il proprio calibro.
Le grandezze e i concetti utilizzati in emodinamica sono la velocità, la pressione, la densità, il flusso e la
resistenza.
Abbiamo innanzitutto vasi di calibri
differenti. I due circuiti, il piccolo e
il grande circolo sono collegati tra
di loro attraverso il cuore che è
organizzato in due metà, la metà
destra e la metà sinistra che
costituiscono due pompe.
La metà destra riceve il sangue
deossigenato, la metà sinistra
riceve e trasmette il sangue
ossigenato.
Questo circuito è alimentato dal
fatto che la pompa emodinamica,
cioè il cuore, riesce a svolgere le
sue attività di pompa proprio
perché subisce delle modificazioni e fa si che si riesca a mantenere costante nel tempo anche se in maniera
oscillatoria, con dei massimi e dei minimi, lo scorrimento del sangue. Questa pompa immette cioè nel
circuito un volume di sangue adeguato alla capacità che ha questo circuito di contenerlo.
L’attività del cuore è un’attività pulsatoria, va dunque incontro a dei massimi e dei minimi di attività, si
contrae ed espelle il sangue, lo manda nel circuito vascolare, si rilassa e accoglie il sangue che viene dal
circuito vascolare.
Per far avvenire ciò i vasi devono avere la capacità di dilatarsi per accogliere il sangue in arrivo, devono
dunque essere elastici. Questa elasticità del sangue è una garanzia di buon funzionamento dei vasi che
consente anche grazie al cosiddetto ritorno elastico al vaso di dare un ulteriore spinta energetica al sangue
facendolo procedere nel suo moto. È inoltre un sistema che lavora contro la forza di gravità.
Il massimo del volume del sangue come possiamo vedere nell’immagine è contenuto nei vasi di tipo
venoso, le vene, le venule e i seni venosi (circa il 60%). I seni venosi sono strutture un po' slargate dove si
raccoglie il sangue prima di convergere nelle venule.
Il 13 % circa è contenuto nel distretto arterioso, solo il 7% è contenuto a livello dei capillari e a livello del
cuore.
All’interno del sistema vascolare di tutto l’apparato cardiocircolatorio, il sangue si muove seguendo un
gradiente di pressione, si muove cioè spinto da una forza insita nel gradiente pressorio, andando da zone a
pressione maggiore in zone dove la pressione è minore.
Quando parliamo di pressione, parliamo di una forza che nel caso della pressione arteriosa è la forza
esercitata dal sangue sulla parete dei vasi, alla quale si oppone la forza esercitata dalla parete dei vasi verso
il sangue, contiene una forza propulsiva data dall’azione di pompa del cuore che si contrae e impartisce una
forza al sangue che transita attraverso le arterie.
All’interno di questo sistema non ci sono mai zone di vuoto, non ci sono mai punti in cui il sangue non c’è,
ce ne potrà essere di più o di meno ma il vuoto non c’è mai. Il vuoto genererebbe una pressione negativa,
un gradiente molto forte, che attirerebbe tutto il liquido nella zona dove c’è il vuoto.
Parliamo di portata dell’apparato circolatorio come quel volume che transita attraverso una sezione
dell’apparato circolatorio, per esempio la sezione di un vaso, al secondo (ml/s). Questo valore è dato dal
rapporto tra la pressione di perfusione media in mmHg (differenza di pressione nei vasi a monte e quella a
valle) divisa per la resistenza. La resistenza è quella forza che si oppone al passaggio. La resistenza idraulica
di un vaso dipende dalla capacità che ha un vaso di farsi permeare dal sangue, di farsi perfondere dal
sangue.
In funzione delle differenti caratteristiche strutturali, i vasi possono avere una capacità di distendersi,
chiamata anche compliance, distendendosi accolgono il sangue. Maggiore è la compliance maggiore sarà la
capacità del vaso di accogliere il sangue.
La rigidità è invece il concetto inverso rispetto alla compliance, più un vaso è rigido per la maggiore
presenza di collagene rispetto all’elastina e più non si lascerà distendere dall’arrivo dell’onda pressoria.
Ciò dipende anche dall’elasticità della parete e dalla tensione della parete, la quale dipende a sua volta
dalla pressione e dal diametro. Il diametro del vaso e la natura biologica della parete sono quelli che
contribuiscono in maniera importante a determinare le proprietà della parete vascolare.
Nel sistema cardiocircolatorio ciò che sostiene la circolazione è innanzitutto la pressione cosiddetta
pressione propulsiva della pompa, cioè la capacità che ha il cuore di generare delle pressioni e far si che
questo si traduca in una spinta propulsiva al sangue che è contenuto nel suo interno.
Il cuore genera pressioni per spostare volumi. Affinché il lavoro svolto dal cuore di generare pressioni per
spostare volumi sia efficace, bisogna che l’apparato cardio circolare sia in grado di ricevere questi volumi, ci
sarà quindi una pressione di riempimento dell’apparato cardiovascolare, necessaria perché il sistema
vascolare si riempia.
La circolazione dipende dunque dalle caratteristiche fisiche geometriche dei condotti (il calibro, lo
spessore della parete, la lunghezza del singolo vaso, la disposizione in serie o in parallelo con gli altri vasi, la
capacità dei vasi di distendersi e di contrarsi) e dalle proprietà reologiche del sangue (viscosità e densità).
Poiché il flusso circolatorio è garantito solo se il sistema è in condizioni di “troppo pieno”, l’omeostasi del
circolo è garantita dalla congruità tra il volume ematico circolante e le dimensioni del letto vascolare.
Uno dei concetti cardine dell’emodinamica è il concetto di flusso. Il flusso è la quantità di sangue che passa
nell’unità di tempo attraverso un vaso o una sezione dell’apparato cardiovascolare.
𝐹 = 𝑉 × 𝑆𝑣𝑎𝑠𝑜 cm/s x cm2 = cm3/s = ml/s
Il flusso dipende dal volume e dalla sezione del vaso cardiovascolare.
La gittata cardiaca è invece la quantità di sangue che i ventricoli sx e dx pompano rispettivamente
nell’aorta e nell’arteria polmonare nell’unità di tempo.
𝐺𝑐 = 𝐺𝑠 × 𝑛
Legge di Poiseuille
Una delle leggi principali che descrive l’emodinamica è la cosiddetta legge di Poiseuille.
È una legge che è stata scoperta per via
empirica dalle osservazioni cliniche del
medico francese Poiseuille.
Questa legge descrive il flusso del sangue,
cioè descrive come arriviamo ad ottenere i
valori di flusso per il sangue tenendo conto
della pressione e della resistenza.
La legge di Poiseuille dice in linea generale
che il flusso è direttamente proporzionale al
gradiente di pressione ed è inversamente
proporzionale alla resistenza, crescerà
all’aumentare del raggio, piccoli aumenti di
raggio daranno grandi aumenti di flusso, e
diminuirà all’aumentare della viscosità del sangue e all’aumentare della lunghezza del vaso.
La resistenza di un vaso dipende dalla viscosità del sangue, dalla lunghezza di un vaso, da π e dal raggio del
vaso elevato alla quarta potenza (r4).
La resistenza opposta da un vaso al passaggio del sangue aumenta all’aumentare della viscosità del sangue
e all’aumentare della lunghezza del vaso. Diminuisce invece all’aumentare del raggio, poiché il raggio è alla
quarta potenza, piccoli incrementi di raggio danno effetti sulla resistenza.
Nell’immagine abbiamo un contenitore nel
quale la colonna dell’acqua è quella che esercita
una pressione. Dal contenitore fuoriescono due
vasi di diversa grandezza.
A parità di pressione, di lunghezza e di liquido, il
calibro del vaso influenzerà il flusso. Dal vaso ad
alta resistenza si raccoglie a parità di pressione
un flusso minore, il flusso è maggiore invece, nei
vasi a resistenza più bassa.
Nei vasi il calibro come abbiamo detto può
variare variando lo stato di contrazione delle
cellule muscolari lisce che compongono la
tonaca media del vaso. Se queste cellule si contraggono il vaso diminuisce il proprio calibro mentre se si
rilassano il vaso aumenta il proprio calibro.
Il flusso sarà dunque condizionato dal variare del calibro nel vaso.
In un circuito normalmente le resistenze di
condotti posti in serie si sommano.
Anche alcuni vasi sono in serie, l’aorta che
esce dal cuore ad esempio, è in serie rispetto
al cuore.
Se come abbiamo detto sommiamo le
resistenze in serie, avremmo una resistenza
all’infinito e il flusso si interromperebbe
perché ci vorrebbero delle pressioni
elevatissime.
In realtà nel sistema vascolare, abbiamo
condotti in serie e condotti in parallelo.
Nelle resistenze in parallelo non sarà più la somma della resistenza ma 1/Rtot= 1/R1+1/R2…
Il fatto che i condotti sono in parte in parallelo, non porta all’infinito le resistenze periferiche.
Il grande circolo viene anche detto ad alta resistenza, mentre il distretto polmonare è un distretto a bassa
resistenza.
Importante è che esca tanto sangue quanto ne entra.
Il cuore è diviso in
quattro camere,
due camere
chiamate atri e due
camere chiamate
ventricoli, può
essere diviso in una
metà destra e in
una metà sinistra e
per ogni metà
avremo un atrio e
un ventricolo.
Il cuore ha una
forma globosa con
una porzione
conica che è la
porzione
ventricolare che
termina con l’apice
ventricolare. Nella parte superiore vi è la base del cuore, dove sono contenuti gli atri. Gli atri sono separati
dai ventricoli da due regioni che presentano dei lembi valvolari, questi si chiamano osti atrioventricolari.
Tali valvole servono per evitare il reflusso, saranno dunque aperte o chiuse a seconda del momento in cui le
consideriamo. In questo modo il sangue può dirigersi dagli atri verso i ventricoli senza tornare indietro, a
meno che non siano presenti dei difetti valvolari che vanno recuperati chirurgicamente. Le valvole
disfunzionali vengono dette incompetenti.
Il sangue quindi dagli atri va verso i ventricoli passando dagli osti atrioventricolari e poi dai ventricoli
fuoriesce nei vasi arteriosi, i quali sono governati da valvole che sono in questo caso semilunari.
Una differenza importante tra atri e ventricoli è che la parete degli atri è una parete sottile, mentre le
pareti dei ventricoli sono delle pareti molto più spesse, in particolare il muro ventricolare del ventricolo
sinistro è molto più spesso ripetto al ventricolo destro. In entrambi i casi, il tessuto che costituisce entrambi
le pareti è tessuto muscolare cardiaco.
Atrio destro e atrio sinistro sono separati tra di loro dal setto interatriale, ventricolo destro e ventricolo
sinistro sono separati dal setto interventricolare. Nei mammiferi non c’è comunicazione tra i due atri o tra i
due ventricoli.
All’interno delle cavità ventricolari, il muscolo ventricolare forma delle estroflessioni che si chiamano
muscoli papillari collegati attraverso delle fibre connettivali, le corde tendinee ai lembi valvolari.
Queste corde tendinee consentono durante la contrazione cardiaca la perfetta chiusura dei lembi valvolari.
Una parte importante all’interno del cuore è quella che si occupa di generare e veicolare l’impulso elettrico.
Il muscolo cardiaco abbiamo detto essere un muscolo striato, come quello scheletrico, ma involontario
come quello liscio, non ha cioè le placche motrici, non si contrae perciò quando arriva il potenziale d’azione
da parte del motoneurone.
Il cuore è regolato dal sistema nervoso ma non parte l’attività cardiaca in base all’arrivo di un potenziale
d’azione come avviene nel muscolo scheletrico.
Il cuore è un organo autonomo ed in particolare è dotato di una sua autoritmicità, si contrae in maniera
pulsatoria poiché è in grado di generare da solo in proprio battito, il potenziale d’azione che fa si che tutto il
cuore si possa contrarre. Questo potenziale d’azione si sviluppa all’interno delle cellule del nodo seno-
atriale, in quella regione posta nell’atrio destrio vicino allo sbocco delle vene cave, dove c’è una massa di
tessuto cardiaco che non è altro che un tessuto muscolare modificato, non più in grado di contrarsi, ma con
una capacità elettrica. In questa regione si svilupperà dunque il potenziale pacemaker.
Nel nodo seno-atriale si genera questo impulso elettrico che si propaga da cellula in cellula attraverso il
sistema di conduzione. Le fibre di conduzione si propagano in parte verso il ventricolo, formando il nodo
atrio-ventricolare da cui partono due rami di cellule elettriche che vanno a formare il fascio di Hiss che
decorre all’interno del setto interventricolare attraverso una branca destra ed una branca sinistra, arriva
all’apice ventricolare, ramifica formando delle fibre più disperse nel tessuto, le fibre del Purkinie e risale
nella parete ventricolare così da raggiungere tutte le zone del cuore.
Sistema di conduzione
Sistema
coronarico
Il cuore è irrorato dai vasi coronarici, anche questi arteriosi e venosi, che prendono il sangue che fuoriesce
dal ventricolo sinistro attraverso un piccolo foro nella zona di uscita dell’aorta chiamato ostio coronarico, e
lo portano a tutte le cellule cardiache.
Tale circolazione coronarica è fondamentale perché il cuore è un organo ad alto consumo energetico la cui
attività è costante e richiede perciò un approvvigionamento di ossigeno e nutrienti molto alto.
Come un normale tessuto c’è dunque un sangue che porta al cuore i nutrienti e l’ossigeno ed un sangue che
porta via dal cuore i metaboliti e le sostanze di scarto.
Il cuore è formato da un miocardio comune che è quello visivamente più presente, costituito da cellule
muscolari dotate di eccitabilità, contrattilità, refrattarietà e in grado di condurre lo stimolo perché
accoppiate elettricamente le une alle altre attraverso le zone a bassa resistenza elettrica.
Accanto c’è il miocardio di conduzione, dotato di eccitabilità, contrattilità estremamente ridotta,
refrattarietà prolungata, conduzione, automatismo e ritmicità.
Con “miocardio” si intende il potente muscolo cardiaco, che forma il cuore e permette la sua azione
propulsiva. È composto per il 70% da fibre muscolari, mentre il restante 30% è costituito principalmente
da tessuto connettivo e da vasi. Il miocardio è un ibrido dei due tessuti muscolari presenti nel corpo
umano; riconosciamo, infatti, caratteristiche appartenenti al tessuto muscolare scheletrico (tessuto
muscolare striato) e altre caratteristiche del tessuto muscolare liscio. Fondendo insieme caratteristiche
di entrambi i tessuti, il cuore può raggiungere le migliori prestazioni per quanto riguarda la sua funzione
di pompa, cioè possiede capacità di contrazione rapida e potente, pur rimanendo resistente e
performante sul “lungo periodo”. Il miocardio è lo strato più spesso della parete cardiaca ed è
composto dal cosiddetto “miocardio di lavoro”, cioè la parte pulsante, e dal “miocardio di
conduzione”, ovvero la parte trasmittente l’impulso. La struttura del miocardio è rivestita internamente
da endotelio chiamato endocardio mentre, per la parte esterna, da una membrana sierosa
detta pericardio.
L’endocardio ha il compito di rivestire internamente il cuore ed è un tessuto molto sottile, a sua volta
suddivisibile in tre strati: l’endotelio, la lamina propria e lo strato sottoendocardico (nel quale si trovano
anche le diramazioni terminali del sistema di conduzione cardiaco).
Il pericardio è una sottile membrana di origine mesodermica che circonda il cuore. Questa struttura,
spessa circa 20 µm, è costituita da due strati distinti:
-pericardio fibroso è lo strato più esterno;
-pericardio sieroso è lo strato più interno e aderisce perfettamente a tutte le parti piane e a tutte le
insenature del miocardio. Il pericardio sieroso è costituito da due foglietti di origine celomatica,
il foglietto parietale (costituito da uno strato di cellule mesoteliali e da uno strato fibroso di collagene
secreto da particolari cellule dette pericardiociti), e un secondo, il foglietto viscerale (anche chiamato
epicardio), a livello dell’origine dei grossi vasi del peduncolo vascolare, costituito solo da uno strato di
mesotelio. Fra i due foglietti del pericardio sieroso sono presenti normalmente da 20 a 50 ml di liquido
chiaro roseo -detto liquido (o liquor) pericardico.
L’epicardio, come abbiamo appena visto, è il foglietto viscerale che – assieme al foglietto parietale –
compone il pericardio, cioè il rivestimento esterno del cuore; è costituito da mesotelio (simile
all’endotelio), da uno strato di tessuto adiposo e da uno strato detto “sottoepicardico”, in cui si
osservano i rami più grossi delle coronarie.
Funzione cardiaca
La funzione cardiaca può essere controllata attraverso dei parametri, detti parametri cardiaci.
Il cuore come sappiamo è un organo pulsatile, la sua attività subisce momenti di rilassamento e momenti di
contrazione. Quest’alternarsi di contrazione e rilassamento ha una sua ritmicità che è espressa dalla
frequenza cardiaca (battiti/minuto). I battiti sono quelli che noi percepiamo e altro non sono che le
contrazioni del cuore.
Il cuore ha una sua frequenza che si aggira intorno ai 65/70 battiti al minuto in condizioni di riposo. Tale
frequenza non è costante ma è fisiologicamente variabile.
Inoltre, come sappiamo, il cuore genera pressioni per spostare volumi, un altro parametro per valutare il
funzionamento del cuore consiste nel verificare la capacità del cuore di spostare volumi. Ciò può essere
verificato analizzando la gittata. Abbiamo una gittata sistolica ed una gittata cardiaca, la gittata sistolica è il
volume di sangue che lascia i ventricoli per andare nelle arterie ad ogni battito (ml di sangue/battito).
Questo valore è fondamentale perché se il cuore lavora generando pressioni per spostare volumi, è bene
che siano corretti i volumi che devono essere spostati.
La gittata cardiaca è data invece dagli ml di sangue espulsi nell’unità di tempo. (gittata sistolica x
frequenza).
Ogni volta che il cuore varierà la propria frequenza, se la gittata sistolica rimane costante, varierà la gittata
cardiaca.
Al livello del nodo seno atriale si genera un
potenziale d’azione che si propaga attraverso le
pareti atriali, arriva nel nodo atrio-ventricolare e
attraverso la branca destra e la branca sinistra del
fascio di His arriva all’apice e raggiunge tutte le fibre
del Purkinje.
Le fibre hanno la capacità di condurre l’impulso a velocità differente.
La refrattarietà assoluta è un meccanismo importantissimo di salvaguardia per il cuore, perché dato che
tutta l’attività cardiaca è data dal succedersi di potenziali d’azione, variando la frequenza di generazione dei
potenziali, la refrattarietà garantisce la sincronicità. Il muscolo cardiaco non è inoltre tetanizzabile, i
potenziali non sono sommabili.
I due meccanismi sono connessi tra di loro e garantiscono la corretta e lineare ritmicità del cuore.
Esistono vari tipi di
potenziali perché sulle
varie cellule cardiache
sono presenti diversi
tipi di canli.
La mutazione di uno
solo dei canali sono
causa di diversi
problemi, come ad
esempio la morte in
culla.
Tutto ciò si traduce
nelle cellule cardiache
nella contrazione.
Il ciclo cardiaco
Il cuore è quell’organo che agisce come una pompa emodinamica che grazie all’alternarsi di fasi di
contrazione, chiamata sistole e di rilassamento, chiamata diastole, causate da una serie di eventi elettrici fa
si che si generino pressioni per spostare volumi.
Si tratta di una pompa che ha un’attività ciclica pulsatoria non intermittente, questa attività ciclica si
sviluppa in ciò che viene chiamato ciclo cardiaco.
Il ciclo cardiaco descrive gli eventi che avvengono nel cuore e che si ripetono ciclicamente a seguito del
generarsi nelle cellule del nodo seno-atriale del potenziale d’azione pacemaker che abbiamo visto si
distribuisce poi a tutto il cuore attraverso il sistema di conduzione e che si rigenera spontanemente nelle
cellule pacemaker fornendo la capacità auto-ritmica al cuore.
Poiché il potenziale d’azione del pacemaker è l’evento numero uno dell’attività cardiaca e si ripete
ciclicamente, tutti gli eventi conseguenti a questo potenziale sono eventi ciclici.
Il ciclo cardiaco è dato sostanzialmente dall’alternarsi di sistoli e diastoli, cioè di fasi di contrazione
conseguenti all’arrivo dell’onda del potenziale d’azione e diastoli, cioè fasi di rilassamento, quando il cuore
è elettricamente a riposo.
Ogni ciclo cardiaco è costituito da una sistole, una protodiastole e una diastole, nell’uomo il ciclo ha una
durata di circa 0,8 sec ed ha inizio con la constrazione degli atri in quanto gli atri sono i primi che ricevono
l’onda di depolarizzazione e pertanto sono i primi che vanno in contrazione.
La durata del ciclo è condizionata dalla frequenza
cardiaca, cioè dalla velocità con la quale il potenziale
d’azione si genera a livello del nodo seno-atriale.
Il ciclo cardiaco sarà più lungo se i potenziali d’azione
sono più distanziati tra loro, sarà più corto se i
potenziali pacemaker saranno più vicini tra loro.
Poiché si tratta di un ciclo è importante vedere ciò che avviene in questa serie di eventi ripetitivi che
abbiamo detto partono dalla depolarizzazione delle cellule del nodo seno-atriale dalla quale tutto dipende.
E’ importante precisare che ciò che noi analizzeremo è il ciclo cardiaco della metà sinistra del cuore.
L’andamento delle pressioni è uguale in termini di salire e scendere in entrambi le metà del cuore ma
variano i valori raggiunti.
All’interno del cuore di sinistra, al livello del ventricolo, si sviluppa una pressione intraventricolare molto
più alta rispetto a quella che si sviluppa nel ventricolo di destra. Così come la pressione all’interno dell’aorta
è molto maggiore della pressione all’interno dell’arteria polmonare.
I due cicli, cuore destro e cuore sinistro, hanno una dinamica uguale, ma variano i valori della pressione.
Restano invece uguali i valori dei volumi registrati a destra e a sinistra.
Partiamo dunque ad analizzare il grafico di Wiggers proprio dala depolarizzazione delle cellule pacemaker.
Quando le cellule pacemaker depolarizzano e dunque c’è il potenziale d’azione, il muscolo cardiaco atriale è
rilassato. Il fatto che il muscolo sia rilassato fa si che all’interno degli atri ci sia un valore di pressione basso
quasi pari a 0.
Nel momento in cui incomincia l’onda di depolarizzazione questa invade la muscolatura atriale che riceve
un’onda elettrica. Attraverso le gap junction l’onda elettrica passa dal tessuto di conduzione al miocardio e
depolarizza la membrana delle cellule muscolari cardiache atriali. La conseguenza di questo è che le cellule
attivano il rilascio di calcio, si libera il calcio e si attiva l’apparato contrattile.
Quando il muscolo cardiaco va in contrazione le camere atriali incrementano la propria pressione, in questo
caso l’atrio di sinistra, aumenta dunque la pressione registrata nella camera atriale sinistra.
Man mano che passa il tempo l’onda di depolarizzazione passa dagli atri ai ventricoli attraverso il fascio di
His e le fibre del Purkinje, quindi la contrazione si sposta dagli atri verso i ventricoli.
Nel ciclo cardiaco infatti si contrae prima l’atrio e poi il corrispettivo ventricolo, subito dopo che incrementa
la pressione atriale, la pressione ventricolare aumenta molto rapidamente perché le cellule del miocardio
ventricolare vanno incontro ad una contrazione in risposta all’onda elettrica arrivata, questo fa si che
all’interno delle camere ventricolari la contrazione induca un incremento della pressione.
Nel momento in cui inizia il potenziale d’azione nelle cellule pacemaker il sangue proveniente dalla vena
polmonare in questo caso o dalla vena cava se parlassimo della metà destra, sta riempiendo gli atri.
L’atrio sinisto si riempie quindi di sangue, ma questo sangue , prima ancora che l’atrio comincia a contrarsi,
scende direttamente nel ventricolo corrispondente perché le valvole atrio-ventricolari sono aperte. Quando
incomincia la contrazione atriale la pressione che si genera all’interno dell’atrio, rapidamente supera la
pressione che si genera all’interno del ventricolo e il sangue viene spinto all’interno del ventricolo
corrispondente che già si stava riempiendo.
Osservando la curva del volume ventricolare, vediamo che quando incomincia la contrazione degli atri,
aumenta la curva della pressione, il ventricolo è già quasi completamente pieno perché le valvole atrio-
ventricolari ( in questo caso la bicuspide e la mitrale) sono aperte, quindi il sangue che si muove dall’atrio a
pressione maggiore al ventricolo a pressione minore, riempie i ventricoli; quando gli atri vanno in
contrazione il sangue contenuto nell’atrio viene spinto con forza attraverso la valvola ancora aperta e
completa il riempimento ventricolare.
Man mano che l’onda di contrazione dagli atri passa ai ventricoli comincia dunque la contrazione
ventricolare che si esprime con un incremento della forza. La cavità ventricolare sarà in questo momento
piena di sangue che non può tornare nell’atrio in quanto la volvola atrio-ventricolare è chiusa e questo
sangue non riesce ad uscire dal ventricolo perché la valvola che separa il venricolo all’aorta, la semilunare
aortica, è chiusa. La valvola è chiusa perché l’aorta ha una pressione maggiroe di quella del ventricolo.
In questo momento il volume ventricolare non cambia, quindi questa fase di sistole ventricolare è una fase
che avviene senza cambiamento di volume. Questa fase di sistole prenderà il nome di sistole
isovolumetrica (ausometrica). Quando la contrazione del ventricolo continua, la pressione all’interno del
ventricolo raggiunge il valore della pressione aortica e lo supera, a questo punto si apre la valvola aortica, il
ventricolo continua a contrarsi ma l’incremento di pressione coincide con una diminuizione del volume. Il
volume del ventricolo diminuisce perché il sangue si trasferisce dal ventricolo verso l’aorta.
Aumenta il flusso aortico, gli ml di sangue che spariscono dal ventricolo si trasferiscono nell’aorta. Il flusso
aortico raggiunge il suo massimo quando il grafico della pressione ventricolare e aortica altrettanto
raggiungono il suo massimo. Questo tempo si sviluppa in coincidenza con la contrazione ventricolare, man
mano che però passa il tempo i ventricoli ripolarizzano, ci troviamo infatti nell’onda T
dell’elettriocardiogramma. La contrazione ventricolare incomincia dunque a diminuire, la forza sviluppata
dalla contrzione incomincia a diminuire, diminuisce anche la pressione all’interno del ventricolo. In questa
fase finisce la sistole e incomincia la cosiddetta diastole, cioè il rilassamento ventricolare. Il rilassamento
atriale era già incominciato, perché come l’onda elettrica passa dagli atri ai ventricoli, la muscolatura atriale
si rilassa e il sangue ricomincia a riempire gli atri.
Man mano che il muscolo si rilassa diminuisce la pressione fin tanto che la pressione ventricolare diventa
più bassa della pressione aortica.
Fin quando la pressione ventricolare è più alta della pressione aortica il sangue lascia il ventricolo, il volume
ventricolare diminuisce, nella prima fase coincidente con la sistole che si chiamerà in questo caso
isotonica,lo spostamento del sangue è molto rapido. Questa fase si chiama anche fase di eiezione rapida.
Dopo che si è raggiunto il massimo e la pressione ventricolare inizia a diminuire, diminuisce anche la
velocità con la quale il volume ventricolare diminuisce. Il sangue va sempre dal ventricolo all’aorta, ma il
flusso aortico lentamente diminuisce. Questa fase si chiama fase di eiezione lenta o anche diastole
isotonica in quanto avviene a volume variabile ma a pressione che tende il più possibile ad essere costante.
Diminuiscono via via sia la pressione del ventricolo sia la pressione aortica, quando la pressione ventricolare
diventa più bassa della pressione aortica si chiudono le valvole aortiche. Il sangue che ha lasciato il
ventricolo e va nell’aorta non può tornare indietro nonostante il gradiente pressorio potrebbe essere
favorevole. A questo punto il flusso aortico è al minimo, il sangue avanza, il ventricolo si rilassa intanto che i
valori della pressione ventricolare scendono al di sotto di quelli della pressione atriale.
In questo periodo avviene quella che va sotto il nome di diastole o rilassamento isovolumico. Il volume
ventricolare ha raggiunto il suo minimo e rimane costante per tutto il tempo della diastole isovolumetrica.
La diastole isovolumetrica finisce quando la pressione ventricolare diventa più bassa della pressione atriale,
si riaprono le valvole atrio-ventricolari e il sangue che stava arrivando nell’atrio si trasferisce nel ventricolo
attraverso le valvole aperte. Seguendo il gradiente pressorio incomincia dunque il riempimento
ventricolare. La curva del volume ventricolare sale in quello che va sotto il nome di riempimento rapido o
riepimento passivo. Questo riempimento ventricolare continua fino a che un altro potenziale d’azione non
si genera nel nodo seno-atriale, l’atrio si contrae e il riempimento ventricolare si conclude quando durante
la sistole degli atri il sangue viene spinto dentro i ventricoli dalla contrazione atriale.
I ventricoli si riempiono dunque all’inizio in maniera passiva molto rapidamente attraverso le valvole aperte
ma il termine del riempimento ventricolare è determinato dall’incremento della pressione dovuto alla
contrazione atriale che spinge il sangue all’interno dei ventricoli.
Possiamo registrare i toni cardiaci, che sono tendenzialmente 4, due sono i toni principali, gli altri sono toni
minori. I toni cardiaci sono dovuti ai vortici del sangue che sbatte contro le parete, al rimbalzo delle valvole,
al movimento e al rumore che fanno i lembi valvolari quando si chiudono o quando si aprono o ancofra al
passaggio del sague con moto turbolento.
Sul grafico del ciclo cardiaco possiamo anche rappresentare quello che avviene a livello coronarico. Le
coronarie ricevono il sangue in uscita dal ventricolo, però tali coronarie hanno valori di flusso coronarico
minimo in coincidenza con la sistole ventricolare, perché la contrazione della parete del ventricolo genera
una forza prevalente che tende a far chiudere i vasi coronarici che sono meno permeabili al sangue di come
non lo sono quando il ventricolo è in diastole. Il rilassamento ventricolare riduce le forze extra-vasali sulle
coronarie per cui il flusso coronarico raggiunge il massimo durante la diastole. Si dice che è un flusso
pulsatile.
Possiamo valutare inoltre un indice di funzionalità cardiaca
importante che è la velocità con la quale il ventricolo si contrae.
Molte sostanze, quali ad esempio le catecolamine come la
noradrenalina, agiscono sulla contrazione aumentando la velocità
con la quale il ventricolo si contrae.
Le catecolamine inducno effetti di potenziamento della contrazione,
sia in termini di forza sviluppata, sia in ternmini di velocità.
Per valutare la velocità occorre calcolare la derivata dello sviluppo
della pressione nel tempo.
In condizioni normali possiamo notare nel grafico una curva
continua. Questa curva può variare per effetto della noradrenalina
ad esempio.
L’attività del cuore può essere influenzata sia sulla velocità di contrazione sia sulla velocità di rilassamento.
Possiamo dunque avere sostanze che hanno un effetto che chiameremo inotropo, cioè che influenza la
forza di contrazione e un effetto che chiameremo lusitropo che riguarda la velocità con la quale il cuore si
rilassa.
Pressione arteriosa
Quando il sangue viene pompato fuori dal ventricolo
durante la sistole ventricolare, viene eiettato attraverso
le valvole semilunari, aortiche o polmonari, e si dirige
verso le arterie aorta e polmonari le quali di distendono
in quanto vasi elastici con una parete avventizia ricca di
elastina in grado di distendersi accogliendo l’onda
ematica che arriva la quale esercita una pressione sulle
pareti dei vasi.
I vasi si distendono con un effetto elastico chiamato
mantice e successivamente durante la diastole tornano
nella posizione precedente in cui generano il ritorno
elastico. Ciò fa si che nei vasi successivi alle arterie il sangue arrivi in modo continuato senza gli sbalzi
pressori che invece ci sono all’uscita dal cuore (si smorza l’onda pressoria dell’aorta).
Considerando il grafico della pressione, possiamo notare che vicino al cuore, nel ventricolo sx l’oscillazione
dell’onda è elevata, man mano si riduce l’oscillazione nelle arterie per ridursi via via e far scendere anche i
valori della pressione, fino ad arrivare ai capillari e alle vene.
La pressione arteriosa è la pressione che il sangue esercita sulle pareti delle arterie, il valore sarà
determinato dal sangue stesso che perfonde le arterie e dalla resistenza che esse oppongono.
La pressione arteriosa è determinata dalla gittata cardiaca (volume di sangue che lascia il cuore), dalle
resistenze periferiche ovvero da quanto i vasi si lasciano perfondere dal sangue, dalla distensibilità dei
vasi e dal volume ematico (quantità di sangue circolante).
I vasi possono essere più o meno distensibili, i
vasi elastici sono distensibili.
L’elasticità è una proprietà dei vasi che tende a
diminuire con la senescenza, le cattive abitudini
(fumo delle sigarette ad esempio), cattivi
abitudini alimentari, stress ossidativo.
Se un vaso ha una distensibilità ridotta la
pressione esercitata dal sangue è maggiore di
quella esercitata sulle pareti vascolari tipo l’aorta
di distensibilità normale.
Quando la distensibilità è ridotta aumenta la
pressione perché il vaso non si distende e quindi
la pressione esercitata dal sangue sulle pareti
vascolari cresce.
Nello stesso tempo, la pressione aumenta quando aumenta la gittata per cui aumenta il volume espulso
che esercita una maggiore pressione sui vasi.
Il postcarico influenzerà anche l’attività cardiaca, se c’è una resistenza a valle il cuore sarà costretto a
sviluppare una forza maggiore per poter superare le resistenze periferiche, ciò avviene nelle condizioni di
ipertensione.
La pressione arteriosa viene rappresentata graficamente con un’oscillazione registrata nell’andamento
della pressione nelle arterie, questa pressione raggiungerà un valore massimo detto pressione sistolica
(pressione generata durante la sistole ventricolare quando il sangue lascia il ventricolo e va nelle arterie)
diversa dalla pressione diastolica, valore minimo (pressione registrata quando termina la sistole
ventricolare e inizia la diastole), corrispondente anche al minimo flusso arterioso.
La differenza tra le due pressioni, tra massimo e minimo, è data dalla pressione di polso.
I valori di pressione variano con il variare dell’età, dei ritmi circadiani, delle fasi di sonno e di veglia,
dell’attività fisica, dello stato emotivo, dello stress da catecolammine o ancora della digestione.
Esistono range fisiologici al di fuori dei quali avremo delle variazioni patologiche; l’OMS (Organizzazione
Mondiale della Sanità) ha definito due categorie di valori: valori normali e valori di ipertensione (aumento
della pressione sistolica/diastolica) o ipotensione (diminuzione della pressione sistolica/diastolica).
Come abbiamo detto le due divisioni del sistema nervoso autonomo, raggiungono gli stessi organi
bersaglio. In questi organi bersaglio spesso si trovano sia le fibre simpatiche che le fibre parasimpatiche.
Le due divisioni però, mediano effetti differenti, uno dei due indurrà stimolazione e l’altro indurrà
inibizione. Dunque, uno stimolerà l’effetto, darà l’effetto di potenziamento dell’attività di quelle cellule,
quindi di quell’organo, un altro invece darà rallentamento di quell’attività, bloccando l’attività.
E’ sbagliato pensare che il sistema nervoso simpatico sia un sistema generalmente stimolatore, mentre il
parasimpatico sia prevalentemente inibitore. Ciò è vero solo su alcuni organi, su altri è esattamente il
contrario.
Quando le due divisioni sono presenti contemporaneamente, una medierà un effetto stimolatorio, e l’altra
medierà un effetto inibitorio. In particolare, il simpatico avrà un effetto stimolatorio di quegli organi e di
quegli apparati che consumano energia. Il parasimpatico invece tende ad aumentare l’attività di quegli
organi e di quegli apparati che servono per recuperare energia e quindi per esempio il tratto gastro-
intestinale, noi ricaviamo energia dai nutrienti che ingeriamo durante il pasto e quest’energia che è quella
contenuta all’interno dei legami chimici degli alimenti viene utilizzata dai substrati energetici che devono
essere digeriti e poi assorbiti per raggiungere le varie cellule.
Il sistema nervoso,
soprattutto il sistema
nervoso simpatico presiede
alla cosiddetta risposta
“combatti o scappa”. La
risposta “combatti o scappa”
è una risposta di
sopravvivenza che consente
all’organismo di attivare una
risposta che o gli fa
affrontare la situazione di
emergenza oppure lo fa
allontanare dalla situazione
di emergenza. In queste
situazioni il sistema nervoso
simpatico andrà a potenziare
l’attività di quegli organi che
in quella data risposta consumano energia, mentre il sistema nervoso parasimpatico andrà a ridurre
l’attività di quegli organi che dovrebbero recuperare l’energia.
Affinchè tutto questo avvenga è necessario che gli organi bersaglio coinvolti siano ricchi di recettori
colinergici o adrenergici.
Accanto al simpatico e al parasimpatico c’è un’altra divisione del sistema nervoso autonomo che è il
sistema nervoso enterico.
Il sistema nervoso enterico è il sistema nervoso che
controlla localmente l’attività dell’apparato
gastroenterico. Questo sistema nervoso è a sua
volta controllato dal sistema nervoso autonomo
simpatico e parasimpatico, ma ha una sua
caratterizzazione che lo rende come se fosse una
divisione aggiuntiva del sistema nervoso autonomo.
Questo sistema è paragonato ad un piccolo cervello
in quanto contiene tutti gli elementi che abbiamo
visto nel sistema nervoso. Abbiamo terminali
sensoriali, fibre sensoriali, interneuroni, neuroni
efferenti ed organi bersaglio (muscolo o ghiandole).
In alcuni casi i neuroni del sistema nervoso enterico fuoriescono dalla parete dell’organo enterico e
raggiungono i gangli autonomi, esterni, extra-murali, per poi controllare quest’attività e creare degli archi
riflessi molto corti.
Le fibre si organizzano in questo sistema prevalentemente all’interno di due plessi, il plesso sottomucoso di
Meissner e il plesso mienterico di Auerbach (si trova nella parete muscolare). Ogni plesso è costituito da
piccoli gangli autonomi connessi da fibre amieliniche.
Il sistema nervoso enterico contiene dunque tutto il necessario per vivere di vita propria. In realtà però,
oltre ad avere una sua autonomia dal sistema nervoso autonomo è anche controllato e comunica con esso.
Nell’immagine possiamo osservare uno schema di intestino,
abbiamo la mucosa e la sottomucosa dove abbiamo il plesso
di Meissner.
Tra la muscolatura longitudinale e la muscolatura circolare
abbiamo invece il plesso mienterico (di Auerbach).
Entrambi i plessi sono raggiunti da fibre parasimpatiche
postgangliari che stimolano l’attività di questi neuroni e da
fibre simpatiche postgangliari che inibiscono l’attività di
questi neuroni.
Ciò perché come abbiamo detto il sistema nervoso parasimpatico è uno stimolatore dell’attività
gastroenterica, mentre il sistema nervoso simpatico è un inibitore dell’attività gastroenterica.
Asse ipotalamo-ipofisi
L’asse ipotalamo-ipofisi è una struttura funzionale che rappresenta il punto di raccordo tra il sistema
nervoso e il sistema ormonale.
Gli ormoni sono delle sostanze che svolgono delle azioni su organi bersaglio, sono molecole di natura
differente che possono essere classificati in vari modi.
Quando siamo in un distretto dal metabolismo vigoroso avremo una diminuzione di ossigeno e una
maggiore produzione di CO2 e dei metaboliti vasodilatatori per cui la muscolatura liscia si distenderà,
diminuiranno le resistenze ed il flusso a valle sarà favorito.
Quando il distretto è a riposo e si ha una diminuzione del metabolismo, ci sarà una maggiore disponibilità
di ossigeno ed una minore produzione di adenosina, anidride carbonica, protoni, potassio per cui si avrà
una vasocostrizione ed il flusso si ridurrà a causa dell’incremento delle resistenze.
Tutto questo influenza la pressione arteriosa.
Il tono arteriolare a riposo è regolato
dall’equilibrio fra sostanze vasocostrittrici e
vasodilatatrici. Sui vasi agisce un po' tutto,
agisce l’attività nervosa, l’attività metabolica,
agisce il tono miogeno, per cui i vasi sono
modulati dalla variazione del tono arteriolare.
Questo permette la regolazione rapida della
perfusione della pressione a cui si associano
effetti indotti da ormoni con attività
vasocostrittrice (angiotensina, vasopressina) o
vasodilatatrice (adenosina).
Funzione renale
La filtrazione rappresenta il primo evento nella formazione dell’urina e produce circa 180 L/giorno di liquido
filtrato detto ultrafiltrato glomerulare nell’uomo, tale evento permette la rimozione dal sangue di acqua e
soluti non proteici.
Affinché possa avvenire la filtrazione dev’esserci da un lato il sangue, dall’altro una struttura dove si
raccoglie questo filtrato prodotto ed un setto filtrante.
ADH (vasopressina)
La renina è contenuta all’interno dei granuli delle cellule granulari, nella parete dell’arteriola afferente.
Affianco vi è un terminale nervoso simpatico, quindi le cellule granulari possiedono recettori β-adrenergici.
Si attiva il terminale nervoso e si attiva il rilascio della renina contenuta nei granuli. La renina è un enzima,
l’aspartil proteinasi, come tutte le altre proteine viene prodotta a livello del nucleo e nella forma inattiva,
cioè nella forma di zimogeno, viene processata all’interno dell’apparato del Golgi. Viene impacchettata
all’interno di granuli dove matura, da prorenina inattiva diventa renina matura. La forma inattiva presenta
solitamente dei residui che devono poi essere eliminati durante la maturazione, normalmente sono più
lunghe di quello che poi sarà l’enzima effettivo, sono inattivi i termini enzimatici e per questo vengono
chiamati zimogeni.
La prorenina matura all’interno dell’apparato del Golgi e viene conservata nel pool di granuli secretori, una
parte viene secrete in maniera costitutiva ed una parte in maniera regolata. La secrezione costitutiva è
quella che consente costantemente alla cellula di dar luogo ad una secrezione di renina, la secrezione
regolata invece, è quella che si attiva quando arriva lo stimolo per la produzione della renina, per cui alla
renina che viene secreta in maniera costitutiva si aggiunge la renina che invece viene secreta in modalità
regolata, cioè sotto stimolo.
La renina è il primo degli enzimi della catena enzimatica.
Questa catena enzimatica prevede che ci siano dei
substrati e degli enzimi. La renina prodotta va nel
sangue dove incontra il suo substrato, che è
l’angiotensinogeno (451 aa) prodotto a livello del
fegato.
La renina lavora sul angiotensinogeno per andare a
generare un peptide che è l’angiotensina I, peptide di 10
amminoacidi, che costituisce il primo degli effettori del
sistema ed è ancora substrato di un altro enzima
chiamato enzima di conversione dell’angiotensina o
ACE.
Quest’enzima ACE lavora sull’angiotensina I per produrre angiotensina II (octa peptide), principale
effettore del sistema o meglio il primo ad essere stato scoperto, ma non l’unico.
Dall’angiotensina II, attraverso un aminopeptidasi si stacca l’amminoacido N-terminale e si produce
l’angiotensina III che attraverso l’angiotensinasi fa produrre dei frammenti peptidici.
In alternativa agli enzimi renina e ACE che avviano il sistema, altri enzimi svolgono funzioni simili, cioè
intervengono in questa cascata enzimatica, enzimi come ad esempio la catepsina D che come la renina
svolge quest’azione di clivaggio dell’angiotensinogeno o la chimasi, catepsina A, che svolgono l’azione di
produzione dell’angiotensina II, o altri enzimi tipo la catepsina G, l’attivatore tissutale del plasminogeno che
saltano la tappa intermedia dell’angiotesina I e vanno direttamente a produrre l’angiotensina II.
Il sistema renina-angiotensina è un sistema abbastanza complesso, costituisce uno dei bersagli terapeutici
d’elezione nel trattamento dell’ipertensione arteriosa.
Una parte del sistema costituisce il RAS classico, quello che è stato studiato a lungo e che solo nell’ultimo
periodo è stato recuperato. Esiste oltre al RAS classico anche un altro RAS che ramifica utilizzando degli altri
enzimi, uno tra i quali è l’ACE II, omologo all’ACE ma che svolge funzioni differenti perché sempre
lavorando sull’angiotensina I che è substrato comune, va a produrre l’angiotensina 1-9 che è a sua volta
capace di dare delle azioni come le altre.
L’ACE II interviene poi sul substrato angiotensina II per produrre l’angiotensina 1-7 e poi si producono altre
angiotensine. Dall’angiotensina II si produce l’angiotensina A, dall’angiotensina A sempre l’ACE II va ad
agire per produrre un altro peptide che è l alamandina il quale ha degli altri effetti.
Questo sistema si attiva quando l’organismo va
incontro ad uno stato di ipotensione, ad una
stimolazione β adrenergica, ad una diminuzione
del carico di sodio tubulare.
Quando si abbassa la pressione arteriosa, aumenta
l’attività simpatica attraverso i centri di controllo
bulbari dell’attività cardiovascolare. La maggiore
attività simpatica va ad agire sulle cellule
juxtaglomerulari attraverso i recettori β-
adrenergici, e si stimola la produzione della renina.
Allo stesso tempo direttamente attraverso il
feedback tubulo-glomerulare il carico di sodio va a
stimolare le cellule juxtaglomerulari e la riduzione della velocità di filtrazione glomerulare sempre
attraverso tale feedback va a modulare mediante il rilascio di sostanze paracrine la secrezione di renina.
La renina una volta in circolo va ad agire sull’angiotensinogeno.
L’angiotensinogeno abbiamo detto essere una
glicoproteina epatica prodotta stimolata da una serie di
fattori quali ad esempio l’ormone adenocorticotropo
(ACTH), dai glucocorticoidi, dagli estrogeni, dalla stessa
ANG II con un feedback di autopotenziamento.
L’ANG II è anche un ormone di emergenza in quanto
possono verificarsi delle condizioni di ipotensione
severa, uno di questi è il caso dell’emorragia. In
presenza di una perdita di sangue massiva, il primo
degli effetti che si ha è una riduzione imponente del
volume di sangue, la riduzione della volemia causa un
immediato abbassamento della pressione arteriosa (la quale dipende dal volume ematico, dall’attività
cardiaca, dalle resistenze periferiche, dalla compliance vascolare), viene attivato il sistema renina-
angiotensina ma è la stessa angiotensina che sostiene ed aiuta la produzione dell’angiotensinogeno.
Si produce l’ANG I che ha degli effetti sulle cellule cromoaffini, sul sistema nervoso centrale e sul sistema
vascolare.
Ma il suo ruolo principale è però quello di produrre ANG II essendo substrato dell’ACE.
Affinché l’ANG II possa indurre le sue azioni, deve agire a livello delle cellule muscolari lisce vascolari, a
livello del corpuscolo renale, a livello dei podociti, a livello del mesangio, dell’epitelio tubulare, e deve
andare a stimolare la sete.
Effetto dipsogeno:
La stimolazione della sete è un meccanismo molto
particolare. Il grafico in basso è un grafico ottenuto
su ratti da laboratorio esposti a dosi crescenti di
angiotensina. Si è osservato che aumentando le
dosi di ANG II i ratti andavano a bere con maggiore
frequenza.
Questo effetto è un effetto che è garantito dal fatto
che nelle regioni cerebrali coinvolte nella
regolazione dell’osmolarità e nella regolazione
della sete, sono presenti cellule in grado di sentire
l’osmolarità dei liquidi corporei, ma sono anche
bersaglio dell’angiotensina perché contengono
recettori per l’angiotensina.
L’effetto che induce l’ingestione di acqua è un effetto
chiamato effetto dipsogeno.
Quando viene prodotta la renina dalle cellule
juxtaglomerulari, questa va ad attivare la cascata e
l’angiotensina va ad agire direttamente a livello dei siti
responsabili dell’effetto dipsogeno e va ad indurre
l’ingestione di acqua. Ciò è importante perchè se si è
abbassata la pressione arteriosa e se l’angiotensina va ad
agire per stimolare gli effetti per ridurre le perdite dei
liquidi ma per aumentarne l’assorbimento, è necessario
che i liquidi ci siano, per esempio a livello intestinale.
Quando si attiva il RAS in presenza di un abbassamento
della pressione arteriosa andare a stimolare l’ingestione
dell’acqua è sicuramente un grande vantaggio in quanto
aumenta la disponibilità di acqua che può essere assorbita e veicolata all’interno del sangue per andare ad
aumentare anche il volume ematico.
Bisogna tener conto che l’angiotensina induce la produzione di aldosterone, il quale fa recuperare il sale, se
non ci fosse in parallelo una quota di acqua che entra insieme al sale avremmo un incremento
dell’osmolarità. Questo non avviene perché l’angiotensina va ad indurre anche la produzione di
vasopressina, quindi recupera anche acqua, ma allo stesso tempo fornisce l’acqua stessa che può essere
recuperata.
Accanto a questo, il sistema renina-
angiotensina va ad agire in armonia con un
altro sistema ormonale che è quello dei peptidi
natriuretici atriali.
I peptidi natriuretici atriali sono degli ormoni
peptidici prodotti prevalentemente all’interno
dei granuli dei miociti atriali. I tre principali
sono ANP, BNP e CNP a cui si associano DNP
(veleno dei serpenti) e VNP (pesci) scoperti più
recentemente.
Vengono prodotti come la renina inizialmente
in una forma prepro, inattiva, vengono
impacchettati all’interno di granuli e vengono
poi rilasciati nel sangue o in maniera costitutiva o in maniera regolata. Questi ormoni svolgono un’azione
contro-regolatoria rispetto al sistema renina-angiotensina.
La funzione
dell’apparato
gastro-intestinale è
anche sotto
controllo da parte
degli stimoli quali la
vista, l’odorato, ma
anche il ricordo del
cibo.
L’attivazione dei
recettori sensoriali,
ma anche di alcune
vie della memoria
legata al processo
alimentare, fa si che
questi intervengano
nelle vie fin ora
viste.
Una buona parte dell’attività gastrointestinale
è affidata ad una serie di archi riflessi.
Questi archi riflessi hanno le caratteristiche di
un arco riflesso viscerale comune, sono
costituiti da un recettore sensoriale, da una
fibra afferente, da un neurone di
integrazione, da una fibra efferente e
dall’organo bersaglio.
I riflessi gastrointestinali possono essere
anatomicamente collocati all’interno della
stessa parete dell’organo che si va a
considerare, in questo caso si parlerà di
riflesso intrinseco. Sono intrinseci quei riflessi
che coinvolgono esclusivamente il sistema
nervoso enterico, cioè quello contenuto
all’interno delle pareti, sono dunque riflessi locali e sono riflessi brevi, rapidi. Una porzione del riflesso è il
neurone sensoriale che percepisce lo stimolo che gli arriva dalla regione del lume, per esempio, e attiva
l’arco riflesso.
Accanto a questo riflesso di tipo intrinseco ci sono riflessi di tipo estrinseco che possono essere brevi o
lunghi. Questi riflessi sono estrinseci perché lasciano la parete gastrointestinale. Il neurone sensoriale
fuoriesce dalla parete, quindi lascia il sistema nervoso enterico e raggiunge un ganglio del sistema nervoso
autonomo. Qui sinapta con un neurone che appartiene al sistema nervoso autonomo e che torna verso la
parete gastrointestinale, dove incontra un interneurone il quale a sua volta sinapta con il neurone
effettore. I riflessi estrinseci possono essere brevi, quando arrivano fino al ganglio prevertebrale, o lunghi,
se arrivano fino al nucleo motore dorsale del vago a livello del bulbo.
Gli stimoli per questi riflessi derivano proprio dalla presenza del cibo all’interno del canale.
La peristalsi abbiamo detto essere un evento
motorio che consente alla massa di transitare in
direzione aborale, allontanandosi dalla bocca e
andando verso l’ano. Il riflesso peristaltico è un arco
riflesso, il primo degli eventi di questo arco riflesso è
la presenza della massa all’interno del canale. Come
conseguenza la parete del canale si distende perché
accoglie la massa, questa distensione fa si che
vengano mandati dei segnali agli interneuroni.
Questi interneuroni potranno essere eccitatori o
inibitori, sono eccitatori i neuroni in direzione ab-
orale, mentre quelli inibitori sono quelli in direzione opposta. Come risultato dell’attivazione di quest’aro
riflesso i neuroni eccitatori andranno ad attivare le regioni muscolari alle spalle della massa, che si
contrarranno, mentre si rilasseranno le regioni davanti alla massa. Man mano che la massa transita andrà a
stimolare i recettori posti un po' più avanti e si attiveranno le stesse catene di neuroni. Il risultato di questi
archi riflessi fa si che si inibisca la contrazione davanti alla massa e che si attivi la contrazione alle spalle
della massa.
I riflessi, oltre a quello peristaltico, sono moltissimi e sono comuni nell’attività gastrointestinale. Alcuni di
questi sono il riflesso gastrocolico e il riflesso duodenocolico, questi rappresentano l’attivazione della
motilità gastrointestinale in corrispondenza con l’assunzione del cibo. Il riflesso gastrocolico è il riflesso che
va dallo stomaco al colon, mentre, quello duodenocolico va dal duodeno al colon.
Lo stimolo per questi riflessi è l’assunzione del pasto. Il pasto entra all’interno dello stomaco, distende la
parete gastrica, si attiva il riflesso che è un riflesso estrinseco corto che arriva ai gangli simpatici
prevertebrati e viene stimolata la motilità del colon. La stessa cosa avviene nel duodeno.
Quest’evento prepara il tratto gastrointestinale consentendoli di accogliere il pasto ingerito.
LA MASTICAZIONE
Il processo della digestione si svolge sia meccanicamente e si parla di motilità che chimicamente facendo
quindi riferimento agli enzimi ed alle caratteristiche dei vari secreti (salivare nella bocca, gastrico nello
stomaco, succo enterico nell’intestino, succo pancreatico, bile), secreti che vengono prodotti e rilasciati
permettendo che le diverse porzioni interessate al transito dell’alimento si preparino a riceverlo.
Il primo secreto è rappresentato dalla saliva nella bocca, liquido che interviene nella fase iniziale del
processo digestivo che prevede il primo trattamento del cibo tramite la masticazione e di conseguenza
l’insalivazione; l’alimento viene portato nella bocca (atto volontario), segue così la fase elaborativa
rappresentata dalla triturazione meccanica del cibo ad opera dei denti durante la masticazione, atto
volontario e involontario, involontario perché inizia con il riflesso masticatorio dato dalle presenza del cibo
nella bocca e volontario dal momento che l’atto masticatorio può essere interrotto in qualsiasi momento: è
un atto involontario perché presiede un arco riflesso molto rapido ma è anche sotto controllo della volontà.
Il riflesso masticatorio richiede la presenza del cibo in bocca e che si controllino in maniera coordinata le
vie nervose che regolano l’attività contrattile dei muscoli della masticazione (temporale, pterigoideo,
massetere) dei muscoli delle guance, del palato e della lingua; il controllo nervoso è affidato ai nervi
trigemino, glossofaringeo e vago.
Il riflesso masticatorio inizia quando il cibo entra in bocca: quando la bocca è priva di cibo i muscoli della
masticazione sono contratti e la mascella inferiore (mandibola) sia sollevata, al contrario, quando si
abbassa la mascella inferiore e si abbassano i muscoli il cibo viene portato nella bocca e in quel momento i
pressocettori presenti nella cavità orale si rilassano la mandibola si abbassa per gravità, si allenta la
pressione e si rimuove l’inibizione con conseguente chiusura della mascella inferiore siccome vengono
riattivati i nervi che fanno contrarre i muscoli masticatori: così continua ciclicamente l’atto di
abbassamento e sollevamento della mandibola.
LA SALIVA
LA DEGLUTIZIONE
Il movimento del bolo è garantito dalla presenza delle onde di pressione che si muovono nell’esofago;
quest’ultimo è ricoperto nel lume da un epitelio squamoso pluristratificato e resistente al trauma nella
porzione basale ha uno strato di cellule germinative, ogni volta che passa il cibo il bolo entra in contatto con
le cellule superficiali dell’esofago questa parte dell’epitelio le squama e le cellule basali lo rigenerano
costantemente essendo cellule staminali in costante duplicazione, nella regione a salire verso il lume le
cellule che si sono duplicate migrano differenziandosi per andare a sostituire le cellule portate via durante
la deglutizione: se il bolo è ben umidificato, il passaggio attraverso l’esofago riduce i traumi sull’epitelio
esofageo che resta protetto anche grazie alla sua capacità rigenerativa.
LO STOMACO
Nella regione della grande curvatura, si trovano cellule pacemaker che fungono da punto d’avvio delle
onde elettriche che danno luogo alle contrazioni gastriche estremamente articolate.
La regione dello stomaco prossimale funge da serbatoio del cibo che ha una muscolatura più sottile a
differenza di quella dello stomaco distale che ha una muscolatura più robusta ed è coinvolto nel
rimescolamento e nella triturazione (funzioni meccaniche), lo stomaco permette la continuazione degli
eventi digestivi a carico del bolo che transitando nello stomaco diventa chimo.
Le varie porzioni dello stomaco hanno una capacità contrattile differente: lo stomaco prossimale è
caratterizzato da contrazioni lente e prolungate, si rilassa per via riflessa durante la deglutizione siccome il
riflesso del cibo che arriva nello stomaco come bolo venga accolto da uno stomaco prossimale rilassato;
invece, lo stomaco distale si contrae dopo il pasto in maniera fasica dopo circa 3 contrazioni al minuto,
contrazioni che si sovrappongono ad onde lente generate dal pacemaker gastrico, che si dirigono verso la
regione distale (piloro) accompagnate da due successive contrazioni degli anelli della muscolatura circolare.
Sulla superficie dell’epitelio mucoso si trovano una serie di puntini detti fossette gastriche che
rappresentano lo sbocco nel lume delle ghiandole gastriche o ghiandole ossintiche ovvero ghiandole
esocrine, introflessioni della mucosa che vanno verso la regione della sottomucosa profondamente e sono
caratterizzate dal fatto che le cellule epiteliali che compongono la ghiandola hanno capacità secernente
infatti sono in grado di produrre diversi secreti quindi si troveranno all’esterno cellule mucose ovvero
cellule che producono il muco, immagazzinato all’interno di vescicole che lo secernono all’esterno con un
meccanismo di esocitosi; scendendo si trovano: cellule parietali, cellule mucose del collo, cellule endocrine,
cellule principali (nel fondo della ghiandola): queste cellule secernono i loro prodotti i quali vengono versati
nel canale che sbocca verso la superficie dello stomaco, invece, le cellule endocrine producono ormoni che
vengono versati nel sangue che passa in circolo.
FUNZIONI GASTRICHE
Tali cellule producono il succo gastrico ovvero una secrezione prodotta in quantità abbondanti durante la
giornata fino a 3 L/giorno.
• A causa della presenza di HCl ha un pH=1-2 circa, acido che viene prodotto dalle cellule parietali od
ossintiche e viene prodotto insieme ad una sostanza detta fattore intrinseco prodotto solo da queste
cellule, usato per l’assorbimento della vitamina B12: l’attività delle cellule parietali è stimolata
dall’acetilcolina, dalla gastrina, dall’istamina;
• Le cellule mucose del collo ghiandolare producono il muco e il bicarbonato con scopo tamponante nei
confronti dell’acido gastrico;
• Posizionate nella parete vi sono le cellule principali che producono i due enzimi che si trovano nello
stomaco ovvero pepsina (pepsinogeno) e lipasi gastrica;
• Inoltre vi sono le cellule simil-enterocromaffine che producono l’instamina, le cellule D che producono
la somatostatina e le cellule G che producono la gastrina;
• Il secreto prodotto dalla ghiandola gastrica contribuisce da un lato alla produzione di succo gastrico e
dall’altro alla modulazione umorale di molti dei processi gastro-intestinali inclusa la produzione di succo
gastrico;
SECREZIONE GHIANDOLE GASTRICHE
LA PRODUZIONE DI HCl
Per il funzionamento delle cellule vi è una produzione basale di HCl e le cellule sono sottoposte all’azione
modulatoria di sostanze quali somatostatina, instamina, gastrina, acetilcolina.
La gastrina controlla in maniera positiva il rilascio di HCl attraverso il controllo del calcio insieme
all’aceticolcolina con i recettori muscarinici di tipo M3 stimola la produzione di HCl, un altro controllo è
operato dalla somatostatina e dall’instamina: è una produzione basale.
Nel secreto gastrico, insieme all’HCl si trovano gli enzimi, il pepsinogeno, la pepsina, il bicarbonato, il
fattore intrinseco, il muco; tutta la mucosa gastrica è popolata da cellule mucipare che secernono questa
soluzione mucosa che contiene acqua, bicarbonato, polimeri della proteina mucina.
La mucina è una glicoproteina che viene continuamente prodotta nelle cellule mucose collo, immagazzinata
nei granuli e costantemente rilasciata ma la produzione è stimolata dall’acetilcolina: il muco forma una
barriera protettiva a ridosso dell’epitelio, questo è necessario per l’elevata corrosività di HCl quindi se
rimanesse a contatto con le cellule della parete gastrica queste si corroderebbero per la presenza
dell’acido. Il muco forma uno strato di gel che intrappola il bicarbonato al fine di creare uno stato
fisicamente protettivo ed un gradiente di pH in modo che a contatto con la parete cellulare pH=7 mentre il
lume gastrico sia pari a 2; sulla superficie del gel mucoso si dispongono una serie di fosfolipidi che
prendono con questo contatto tramite le loro teste polari e mandano le code apolari verso il lume gastrico
formando un’ulteriore barriera per respingere l’aggressione di HCl.
Quando la funzionalità della mucosa verso la produzione del muco è alterata la scarsa disponibilità di muco
fa sì che si generino le ulcere gastriche (la barriera epiteliale non è protetta dal muco e HCl accede alle
cellule provocando ustioni della parete gastrica ovvero ulcere che possono persino arrivare al
sanguinamento se la corrosione operata dall’acido arriva fino ai vasi sanguigni.
SECREZIONE GASTRICA
La fase cefalica coincide con la fase preparatoria nella bocca, incrementa la produzione della saliva e a
livello dello stomaco inizia ad aumentare la produzione di succo gastrico.
Una serie di riflessi condizionati incluso il gusto, la masticazione e la deglutizione attraverso la mediazione
del SNC utilizzando delle fibre vagali fanno sì che le cellule delle ghiandole gastriche siano stimolate a
produrre il succo gastrico: comunicando ciò che succede al cervello, le fibre del nervo vago si attivano
mediante potenziali d’azione, raggiungono lo stomaco e sinaptano sui neuroni del sistema nervoso enterico
i quali sono neuroni che, utilizzando l’acetilcolina, agiscono sui recettori M3 e stimolano la produzione di
HCl; nel frattempo i neuroni enterici controllano l’attività delle cellule G e inducono la produzione della
gastrina la quale agisce per via endocrina, si dirige verso il sangue e stimola le cellule parietali a produrre
HCl contemporaneamente gli stessi neuroni enterici bloccano l’attività delle cellule D che interrompono la
produzione della somatostatina la quale è un inibitore della produzione di gastrina di cui viene lasciata
libera la sua produzione. Dopo che sono state prodotte tutte queste sostanze, il cibo arriva nello stomaco in
cui inizia la fase gastrica controllata da riflessi che partono dalla parete gastrica, contemporaneamente
diminuisce la produzione della saliva ma incrementa la produzione gastrica dato che il cibo che entra nello
stomaco distende le pareti e questa distensione parietale viene sentita dai meccanocettori (di cui le pareti
sono ricche), questi recettori sensibili allo stiramento, che appartengono al sistema nervoso enterico,
vanno a sinaptare sulle cellule che rilasciano acetilcolina che stimolano la produzione di HCl, utilizzando
fibre del nervo vago afferenti, informano poi il SNC del fatto che lo stomaco contiene il cibo siccome la
parete è distesa; nel frattempo, i prodotti della digestione proteica stimolano le cellule G a produrre a
gastrina che si dirige nel sangue e stimola la produzione di HCl.
Quando il cibo, durante la contrazione dello stomaco distale, viene spinto verso la regione pilorica inizia lo
svuotamento gastrico o meglio il cibo transita dallo stomaco verso l’intestino e così inizia la fase intestinale
che nella saliva corrisponde ad una scarsa produzione di saliva mentre diminuisce la secrezione che avviene
nello stomaco: man mano che il chimo transita dallo stomaco verso l’intestino entra nell’intestino una
quota di chimo acido e si abbassa di conseguenza il pH del duodeno, nel frattempo nel duodeno entrano
lipidi (contenuti nel chimo e in parte trattati dalle lipasi salivare e gastrica), carboidrati (digeriti grazie all’α-
amilasi) e nello stomaco entra una soluzione iperosmotica (liquido ricco di sostanze). Questo transito del
chimo attiva una serie di risposte inibitorie che bloccano l’attività di secrezione delle cellule dello stomaco,
quindi bloccano la secrezione acida, la motilità gastrica ed inibita la secrezione di tutto il secreto gastrico; il
chimo che transita attiva una serie di stimoli nel duodeno che vanno a bloccare l’attività di secrezione dello
stomaco. Contemporaneamente, questa fase è accompagnata dall’attivazione della produzione pancreatica
dato che il duodeno accoglie il succo pancreatico prodotto in fasi.
SVUOTAMENTO GASTRICO
Lo svuotamento avviene per onde di contrazione successive siccome il meccanismo prevede una prima
onda di contrazione che parte dalla regione della grande curvatura dirigendosi verso antro pilorico, trova lo
sfintere pilorico aperto e viene fatta fuoriuscire una piccola porzione di chimo dallo stomaco verso il
duodeno: terminata quest’onda di contrazione il piloro si chiude, parte così una seconda onda di
contrazione che spinge nuovamente la massa verso il duodeno in cui trova il piloro chiuso e torna indietro
in questo modo si rimescola il cibo con un meccanismo detto retropulsione; successivamente, la terza onda
di contrazione trova il piloro aperto e passa l’altro fiotto di chimo dallo stomaco verso il duodeno
(meccanismo controllato da archi riflessi): esiste la sindrome da rapido svuotamento che coincide con
perdita di coscienza, sudorazione, in questi casi bisogna ridurre la quantità di chimo che si trova nello
stomaco in modo che nel duodeno arrivi una quantità molto piccola.
ESPANSIONE
PANCREAS
SECREZIONE PANCREATICA
1. Fase cefalica: si ha l’incremento della produzione di saliva e del succo gastrico (limitata);
2. Fase gastrica: si riduce la produzione di saliva ed aumenta quella del succo gastrico, inizia ad
aumentare quella del succo pancreatico;
3. Fase intestinale: la produzione del succo gastrico aumenta quando il chimo acido arriva
nell’intestino tenue, abbassa il pH duodenale il quale induce il rilascio di secretina la quale stimola
le cellule duttali a produrre bicarbonato, le sostanze contenute in questa massa alimentare
predigerita stimolano le cellule del duodeno e del digiuno a rilasciare la colicistochinina, principale
stimolatore della secrezione pancreatica (pancreozimina); questi stimoli attivano riflessi vagovagali,
vengono recepiti da chemocettori che stimolano le fibre vagali afferenti che arrivano al SNC e
tramite fibre efferenti vagali ritornano sul pancreas stimolando la secrezione;
Si ottengono prodotti della digestione mediante scissione dei legami, idrolisi dei legami e si producono
sostanze semplici assorbibili a livello delle singole cellule che diventano materiale energetico da cui si
possono poi sintetizzare nuovamente le sostanze.
L’elaborazione delle macromolecole è sostanzialmente chimica ma è preceduta da un’elaborazione
meccanica della massa alimentare che viene trattata sin dalla bocca in maniera meccanica e in maniera
chimica per poter essere semplificata.
L’ossigeno contenuto nell’aria ispirata, dall’aria va verso il globulo rosso e l’anidride carbonica dal globulo
rosso va verso l’aria.
Man mano che il sangue transita dal capo arterioso verso le vene polmonari, la pressione parziale
dell’ossigeno aumenta, sale, arriva a 40 mmHg e fuoriesce con 104 mmHg perfettamente in equilibrio con
l’ossigeno dell’aria.
Al contrario l’anidride carbonica entra dal lato arterioso carico di CO2, questo essere carico di CO2
corrisponde 45 mmHg e fuoriesce povero di CO2, dove povero di CO2 corrisponde a 40 mmHg.
Possiamo notare come le due curve seguono due andamenti opposti.
All’interno dei polmoni l’aria arriva con un valore di circa
100 mmHg, arriva il sangue con 40 mmHg e fuoriesce con
100 mmHg. L’ossigeno si lega all’emoglobina saturandola,
va verso il cuore di sinistra e viene dirottato verso i tessuti,
cede l’ossigeno man mano fino ad arrivare ai 40 mmHg
valore con il quale il sangue ritorna a destra per poi
ritornare ai polmoni.
L’anidride carbonica fa il percorso inverso, all’interno dei
polmoni l’aria arriva a 40 mmHg, arriva il sangue con 45/46
mmHg e fuoriesce dai polmoni avendo perso 5/6 mmHg di
CO2, segue il percorso che conosciamo per poi riprendere il
circolo.
In entrambi i casi, sia nel caso dell’ossigeno che nel caso
dell’anidride carbonica lo scambio avviene per diffusione semplice e dunque per gradiente di pressione
parziale.
Gli atti respiratori sono una inspirazione, atto nel
quale l’aria viene condotta dentro il sistema
respiratorio e una espirazione atto nel quale l’aria
viene portata al di fuori dei polmoni. Gli atti
respiratori sono atti involontari, possiamo controllarli
m c’è una base autonoma e involontaria di questa
dinamica ciclica dei movimenti respiratori. Affinchè
tutto questo possa avvenire è necessario che si
coinvolgano una serie di muscoli, che sono i muscoli
sternocleidomastoideo, intercostale interno,
intercostale esterno, obliquo, i muscoli addominali e
il diaframma. Alcuni di questi muscoli vengono
coinvolti durante gli atti espiratori, come ad esempio
gli intercostali interni e gli addominali; altri durante
l’inspirazione; il diaframma, che è il muscolo che separa i visceri dalla cassa toracica subisce una
contrazione vigorosa spostandosi. Durante l’inspirazione il diaframma scende, durante l’espirazione il
diagramma risale. Questo gioco di diaframma che scende e che sale si associa al movimento della gabbia
toracica che durante l’inspirazione si distende e durante l’espirazione si riduce.
Affinché tutti questi atti respiratori possano
avvenire in modo corretto è necessario tener
conto delle pressioni che sono vigenti
all’interno della cassa toracica. Queste
pressioni sono determinanti per la
respirazione perché aiutano a generare quei
gradienti che da un lato consentono la
distensione del polmone e dall’altro lato
consento all’aria di transitare, generano infatti
quelle variazioni di pressione rispetto a quella
atmosferica che fanno entrare o uscire l’aria,
aiutano nel transito dell’aria.
Normalmente quando il polmone è a riposo è
disteso perché c’è una tensione elastica
esercitata dalla cassa toracica che genera una torsione verso l’esterno. Il polmone viene tirato verso
l’esterno, nello stesso tempo il polmone esercita una trazione verso l’interno e il bilancio di queste due
forze mantiene il polmone in una condizione distesa ma rilassata a riposo.
Durante gli atti respiratori cambiano i gradienti di pressione, all’interno della regione del sacco pleurico la
pressione è leggermente negativa e diventa ancora più negativa alla fine della inspirazione. Questa
pressione negativa esercita una forza che facilita l’ingresso dell’aria.
Quando la pressione intrapleurica aumenta e sale ad esempio in presenza di pneumotorace cioè di lesione
del foglietto pleurico parietale, il polmone non riesce a distendersi perché alla base della funzionalità
polmonare vi è l’elasticità del polmone, il polmone riceve l’aria e si distende grazie a delle forze elastiche,
grazie ad un gioco di pressioni che viene facilitato dai muscoli respiratori. Se però all’interno delle pleure
aumenta la quantità di aria che c’è in quanto si è generata una condizione appunto nota come
pneumotorace è chiaro che la pressione che la pressione che c’è nelle pleure supera la capacità di
distensibilità del polmone e il polmone collassa quindi non può partecipare agli atti respiratori.
Tutto parte perché si avvia una scarica elettrica, cioè
un potenziale d’azione, nei neuroni del nucleo del
tratto solitario (NTS) i quali vanno a far contrarre i
muscoli respiratori nella respirazione autonoma e la
contrazione dei muscoli respiratori fa espandere la
cavità toracica. In questo modo la pressione
all’interno delle pleure diminuisce e aumenta la
pressione transpolmonare. I polmoni aumentano di
volume, all’interno degli alveoli scende la pressione
per cui si abbassa la pressione alveolare al di sotto
della pressione atmosferica e l’aria entra nei
polmoni seguendo proprio questo gradiente.
A questo punto si interrompe la scarica nei neuroni del tratto solitario e quindi si interrompe il potenziale
d’azione.
I muscoli che avevano contribuito alla inspirazione si rilassano, la cavità toracica si riduce di volume, la
pressione intrapleurica aumenta mentre diminuisce quella transpolmonare. Si riduce il volume polmonare,
la pressione alveolare torna nuovamente superiore a quella atmosferica e l’aria può defluire nei polmoni.
Quando questo movimento avviene quello che
si verifica è che cambiano in maniera ciclica i
volumi all’interno delle cavità polmonari.
Nella inspirazione e nella espirazione normale
normalmente viene mobilizzato un volume
corrente di circa 500 ml. Il volume corrente è
proprio il volume che su mobilita durante gli
atti respiratori normali, la differenza che c’è tra
il massimo al termine di una inspirazione
normale e il minimo al termine di una
espirazione normale.
Il volume di aria che viene mobilizzata può
variare con delle espirazioni profonde, in
questo caso possiamo arrivare a mobilizzare
anche un altro litro di aria fino ad arrivare a lasciare nei polmoni un volume residuo di circa 1200 ml.
Dell’aria immessa attraverso delle inspirazioni profonde arrivando a riempiere un volume di circa 5/6 l a
secondo della cassa toracica con differenze tra maschi e femmine, arriviamo ad un volume massimo che
rappresenta la capacità polmonare totale. Di questo volume non tutto entra a contatto con lo spazio
respiratorio, quindi c’è un volume respiratorio e un volume che va a stare nel cosiddetto spazio morto,
nella zona dove non avvengono gli scambi. Possiamo calcolare le varie frazioni che ci dicono le varie
capacità polmonari, abbiamo la capacità polmonare totale che è una capacità funzionale inspiratoria che
rappresenta il massimo del volume che possiamo immettere con l’inspirazione o il massimo del volume che
possiamo emettere con l’espirazione; e la capacità vitale, cioè quella che comprende il volume di riserva
espiratoria e il volume di riserva inspiratoria.
Perché tutto questo funzioni bene è necessario
appunto che l’aria giunga ai polmoni con una
certa frequenza. Gli atti respiratori sono ciclici, le
scariche nei neuroni del tratto solitario sono
cicliche e vanno a definire proprio quella che è la
frequenza ventilatoria, ossia la frequenza con la
quale l’aria giunge in prossimità della superficie
respiratoria. Questa ventilazione può avere una
frequenza che nell’adulto corrisponde a circa 12-
20 atti respiratori al minuto.
Conoscendo la frequenza respiratoria e
conoscendo i vari volumi possiamo calcolare il
volume alveolare al minuto (Va).
Possiamo inoltre calcolare il rapporto ventilazione
perfusione che rappresenta uno dei parametri respiratori più importanti, tale rapporto non è altro che il
rapporto tra il volume alveolare al minuto (Va) e il flusso di sangue polmonare (Q). Tale parametro ci aiuta a
capire quanto è efficiente lo scambio tra l’aria contenuta negli alveoli e il flusso sanguigno nei capillari
polmonari. Questi due parametri devono andare in armonia tra di loro, nel senso che l’aria deve permanere
all’interno degli alveoli un certo tempo così come il sangue deve permanere all’interno dei capillari il tempo
sufficiente per far avvenire lo scambio.
Nel caso del polmone dei mammiferi l’aria entra ed esce dagli alveoli e il sangue invece passa, in altri
animali avviene diversamente, ad esempio nelle branchie dei pesci o ancora nei polmoni degli uccelli.
Il polmone compie dunque un lavoro per far avvenire correttamente questa ventilazione ed una parte di
questo lavoro serve per vincere la resistenza del polmone ad espandersi.
La facilitazione per l’espansione polmonare è garantita da una glicoproteina che è il surfactant, che riduce il
lavoro ventilatorio riducendo la tensione superficiale degli alveoli.
Il surfactant è una sostanza prodotta dalle cellule
alveolari di II tipo. Il surfactant è un tensioattivo,
cioè una miscela di sostanze formata da
fosfolipidi, quali prevalentemente la
fosfatidilcolina, da lipidi neutri, da acidi grassi, da
apoproteine e da ioni calcio. Sostanzialmente
questa sostanza a base lipidica si distribuisce sulla
superficie dell’alveolo. Viene prodotta sin dalla
vita intrauterina a partire dalla 25° settimana e si
completa 6 settimane prima del parto, tanto è
vero che nei neonati prematuro proprio la
mancanza di surfactant porta allo sviluppo della
sindrome da stress respiratorio del neonato.
Normalmente in qualunque tipo di interfaccia aria-
liquido, la superficie del liquido è sottoposta ad
una tensione, come se fosse una specie di
stiramento. Quando il liquido è l’acqua si
sviluppano legami a idrogeno tra le molecole
d’acqua e l’acqua tende a creare questa tensione
come di stiramento.
Anche nel caso dei polmoni questa tensione
superficiale è data dalle interazioni delle molecole
di liquido tra l’aria e le cellule alveolari.
Se non ci fosse il surfactante la tensione
superficiale rimarrebbe alta e ci vorrebbe più forza
per riuscire a distendere le bolle più piccole.
Questo perché risponde alla legge di Laplace che
dice che la pressione all’interno di una bolla (alveolo) è maggiore se la bolla è più piccola ed ha la stessa
tensione superficiale.
La presenza del surfactante fa si che si riduca la pressione superficiale e quindi a livello delle due bolle la
pressione risulta uguale, per cui si riempiono di aria nello stesso modo gli alveoli grandi e gli alveoli piccoli.
Non c’è il collasso alveolare di chi prevale tra l’alveolo grande e l’alveolo piccolo.
Questi meccanismi prevedono che ci siano degli
impulsi nervosi che attivano tutto l’intero
meccanismo muscolare, questi meccanismi nervosi
sono localizzati nei centri superiori, nei cosiddetti
centri respiratori bulbari o ancora a livello del ponte.
Tra bulbo e ponte ci sono dei circuiti neuronali
estremamente complessi che presiedono proprio al
controllo degli atti respiratori, deve partire un
potenziale d’azione che da avvio alla contrazione,
ma questa contrazione deve avere un termine.
Normalmente quando la respirazione è tranquilla i
muscoli coinvolti nella respirazione sono il
diaframma che è innervato dal nervo frenico, i
muscoli intercostali esterni che sono innervati dai
nervi intercostali, questi hanno i corpi cellulari nel midollo spinale e ricevono le informazioni proprio dai
centri respiratori pontini.
I centri nervosi per gli atti respiratori sono: il centro respiratorio bulbare con un gruppo respiratorio dorsale
e un gruppo respiratorio ventrale; ed i centri respiratori pontini, con il centro preumotassico e il centro
apneustico.
Il ritmo respiratorio di base viene generato dal gruppo
respiratorio dorsale dal quale partono dei seganli
nervosi “a rampa”, cioè ci sono delle cellule
autoritmiche che generano una rampa di potenziali,
cioè un’attività di scarica dei potenziali d’azione
inizialmente lenta, che aumenta velocemente per un
paio di secondi, poi queste scariche di potenziale si
fermano, i neuroni e i centri rimangono silenti per 3
secondi, dopodiché il polmone ritorna nelle condizioni
iniziali ed incomincia nuovamente la rampa
respiratoria.
Questi meccanismi nervosi, muscolari, sono sotto
controllo nervoso.
Tutto parte dalle cellule pacemaker del centro
generatore del ritmo, però sono sotto controllo
non solo le attività di queste cellule ma anche le
vie aeree, i muscoli respiratori, lo stato di
contrazione dei vasi sanguigni che portano e che
si trovano a livello polmonare, le ghiandole
mucose che popolano l’apparato respiratorio.
Per cui avremo un controllo prettamente vagale al
parasimpatico che da costrizione delle vie aeree,
dilatazione dei vasi sanguigni e aumento di
secrezione ghiandolare; ed in controllo simpatico
che è esattamente il contrario.
C’è poi un controllo di tipo non adrenergico non colinergico (NANC) di tipo sia inibitorio sia stimolatorio.
Sono coinvolte sostanze tipo la sostanza P, il peptide intestinale vasoattivo, quindi si tratta di un controllo
non solo nervoso ma anche umorale.
In molti casi questi peptidi o queste sostanze aggiuntive all’acetilcolina e alla noradrenalina funzionano da
neuromodulatori quindi sono prodotti da neuroni.
Il controllo della respirazione sostanzialmente è
affidato all’azione di chemocettori e
meccanocettori. I chemocettori sentono la
pressione parziale di ossigeno, la pressione
parziale di anidride carbonica e il pH, quindi la
loro presenza nel sangue va a stimolare i
chemocettori che controllano i centri
respiratori bulbari che attraverso gli impulsi
nervosi vanno verso il midollo spinale,
controllano i muscoli respiratori e mobilizzano
la gabbia toracica facendo variare volumi e
pressioni polmonari. Questa variazione di
volumi e pressioni polmonari viene sentita dai
meccanocettori che popolano le pareti della
cassa toracica e tutta la regione che è coinvolta nella respirazione e anche i meccanocettori vanno a
comunicare ai centri respiratori bulbari.
Il centro respiratorio bulbare riceve gli impulsi dai chemocettori e dai meccanocettori.
Il risultato è una variazione della ventilazione e quindi un controllo degli scambi a livello della membrana
alveolo capillare, per cui da un lato viene regolata la ventilazione, dall’altro lato viene regolata anche la
perfusione, perché anche questa dipende dall’attivazione dei chemocettori.
Anche l’attività cardiaca viene regolata in funzione della presenza di O2, CO2 e acqua.