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PAROLE E REALTÀ
DELL’AMICIZIA MEDIEVALE
© Copyright 2012 by Istituto Superiore di Studi Medievali “Cecco d’Ascoli” - Ascoli Piceno
ISBN 978-88-89190-97-5
SECONDA GIORNATA
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1 Cfr. L. Braca, L’amicizia negli scritti di Aelredo di Rielvaux. Una conoscenza puntiforme,
in Civiltà monastica e riforme. Nuove ricerche e nuove prospettive all’alba del XXI secolo, cur.
G.M. Cantarella, «Reti Medievali» (Rivista», 11/1 2010), url: http://www.rivista.redimedie-
vali.it, 1-24.
2 N. D’Acunto, «Amicitia monastica». Considerazioni introduttive, ivi, pp. 1-7: 3-4; cfr.
il mio I monaci di Cluny, Torino 20106, pp. 63-65.
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3 Cfr. S. Freud, Un sogno di Cartesio: lettera a Maxime Leroy (1929), trad. it. in S.
Freud, Opere, 11, Torino 1978, pp. 549-551.
4 C. Malaparte, La pelle, Milano 1978 (ma 1° ed. 1949), pp. 73, 114; comunque passim.
Per san Pier Damiani E. D’Angelo ha usato la seguente espressione: «La presenza di rela-
zioni sessuali “incestuose” ai livelli alti di prelatura espone la Chiesa al rischio della crea-
zione di sette omertose, legate da vincoli morbosi difficilissimi da spezzare»; e anche: «un
andazzo, durato secoli, che aveva contribuito a condurre la Chiesa sull’orlo di quel baratro
morale, cui solo la Riforma potette probabilmente strapparla» (San Pier Damiani, Liber
Gomorrhianus, ed. E. D’Angelo, Alessandria 2001, pp. 109, 110). Cfr. Kr. Skwierczyñski,
L’apologia della Chiesa, della società o di se stesso? Il «Liber Gomorrhianus» di s. Pier
Damiani, in Pier Damiani: l’eremita, il teologo, il riformatore (1007-2007). Atti del XXIX
Convegno del Centro Studi e Ricerche Antica Provincia Ecclesiastica Ravennate (Faenza-
Ravenna, 20-23 settembre 2007), Bologna 2009 (Ravennatensia, XXIII), pp. 259-279: 260-
261, 279. E ora Skwierczyñski, Mury sodomy. Piotra Damianiego «Ksiêga Gomory» i walka
z sodomi¹ wœród kleru, Kraków 2011.
5 Rimando al mio A margine. Riflessioni minime, in Civiltà monastica e riforme. Nuove
ricerche e nuove prospettive cit., pp. 1-17: 5.
6 H.J. Kuster - R.J. Cormier, Old Views and New Trends. Observations on the Problem
of Homosexuality in the Middle Ages, «Studi Medievali», III ser., 25 (1984), pp. 587-610.
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7 Laelius de amicitia 20.1; Bellum Catilinae 20.4. Braca, L’amicizia negli scritti di
Aelredo di Rielvaux cit., pp. 22-23; D’Acunto, «Amicitia monastica» cit., pp. 2-3. Bonizonis
episcopi Sutrini Liber ad amicum, ed. E. Dümmler, Hannoverae 1891 (M.G.H., Libelli de
lite, I), pp. 568-620.
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8 The Letters of Peter the Venerable, ed. G. Constable, I, Cambridge (Mass.) 1967, n.
179, pp. 421, 422. Cant. I.6, Ps. 41.2-3.
9 G. Constable, Nicholas of Montiéramey and Peter the Venerable, in Constable, The
Letters of Peter the Venerable, II, Cambridge (Mass.) 1967, pp. 316-330: 316. Opere di San
Bernardo, ed. F. Gastaldelli, VI/2, Lettere II, Milano 1987, n. CCXCVIII, p. 280 (dopo il
1152: ibid., p. 279 nota 1).
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Cfr. Constable, Nicholas of Montiéramey and Peter the Venerable cit., p. 330 nota 64.
11
Ep. n. CCXCVIII cit., p. 278.
12
Cfr. Epistola n. LIII, in Opere di San Bernardo, ed. F. Gastaldelli, VI/1, Lettere I,
Milano 1986, p. 270 (presenta al cancelliere Aimerico due suoi monaci): «Tres in duobus
conspicitis, quoniam absque me esse non possunt, in quorum iugiter pectoribus requiesco,
et quidem securius atque suavius quam in proprio. Mentiri videor, sed ei qui amicitiae vim
numquam sensit, qui virtutem caritatis ignorat, qui non credit multitudinis credentium fuis-
se cor unum et animam unam: Qui ergo videt eos, videt et me, etsi non in meo corpore; et
quod loquuntur ipsi, ego pariter loquor, sed eorum linguis».
13The Letters of Peter the Venerable, ed. cit, n. 152, p. 172 (= Epistola n. CCCLXXXIX,
in Opere di San Bernardo, VI/2 cit., p. 500).
14 Ep. n. CCXCVIII cit., p. 278.
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15 U. Longo, «O utinam anima mea esset in corpore tuo!». Pier Damiani, l’amicitia
monastica e la riforma, in Civiltà monastica e riforme. Nuove ricerche e nuove prospettive cit.,
pp. 1-14: 7ss.. Ep. n. CCXCVIII, loc. cit.: «Nullus perpetua dignior inclusione, nihil ei per-
petuo silentio iustius». Si vedano le stimolanti indicazioni metodologiche di G. Schwedler,
«Damnatio memoriae»-oblio culturale: concetti e teorie del non ricordo, in Condannare
all’oblio. Pratiche della «damnatio memoriae» nel Medioevo, Roma 2010, pp. 5-17.
16 The Letters of Peter the Venerable cit., n. 182, pp. 425-426 (marzo 1151: The Letters
of Peter the Venerable cit., II, p. 220).
17 Ep. n. CCXCVIII, p. 278: «Quis possit dicere ad quam multas personas sub nomine
meo, me ignorante, quae voluit scripsit?».
18 Cfr. Constable, Nicholas of Montiéramey and Peter the Venerable cit., pp. 328-330.
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non fallit, licet homo sub potestate [Mt 8.9; Lc 7.8] sis, mando tamen et
omnino uolo ut uenias»19? un anno prima, in un contesto di grande ed esi-
bita affettività, era stato più allusivo: «Maluissem te meum quam alterius,
sed quia ubique dei es, meum quoque te ubique reputo. Redde ergo uicem,
ut uere te diligentem diligas […] Nosti quod nichil temporalis commodi
praestoler a te, nosti quod nulla alia causa me mouerit ad amandum te, nisi
ea quae sola diligenda erant in te […] quia te litteratum, quia strenuum,
quia quod plus est religiosum»20. E magari è proprio per questo che l’epi-
stolario del Venerabile, curato da lui stesso, si chiude con una lettera anco-
ra a Nicola, che protesta amicizia e insieme impotenza e lucidità: come
potevi pretendere che ti scrivessi durante il mio viaggio in Italia? e anche
al ritorno a Cluny, dove per poco non sono stato sommerso dagli affari
della mia congregazione? Come hai potuto pensare che non ti fossi amico?
E le frasi finali sono caldissime e freddissime insieme: «Dominum abbatem
ut te nobis citissime mittat, rogaui. Tu uero nullo modo citius uenire gra-
ueris. Es enim michi et propter ista et propter quaedam alia multum neces-
sarius. Cursori quod tamdiu moratus est noli imputare, sed michi, excusa-
que eum, apud ceteros. Vale»21. Insomma: non mi metterò in altri proble-
mi con Bernardo solo perché tu insisti, mi sono già esposto molto e forse
troppo (del resto ne è testimonianza lo scambio di lettere, dell’autunno
1150, conservate nell’epistolario di Bernardo22)… ma visto che insisti tan-
to, «non ti sia grave» sbrigarti a venire! Che differenza con il bigliettino
scritto quattordici mesi prima «statim fere» apposta per accusare ricevuta
[…] Etsi conferre minorem maioribus licet, non solum tuum sequeris
Tullium Tullianus, de quo scripsisti […] sed quod est dignius imitaris apo-
stolum apostolicus», e giù a citare II Cor. 10.10-11)27.
Ma questo ci dice anche della cautela con cui ci si deve avvicinare a que-
sto mondo degli affetti, senza escludere nulla (come invece faceva un inor-
ridito Huizinga a proposito dell’«amicizia greca»28), ma anche senza
lasciarsi troppo prendere dalle svenevolezze, dai sentimentalismi testuali e
dalle costruzioni retoriche di adulazione e corteggiamento (si pensi a quan-
to Pier Damiani scriveva all’imperatrice Agnese fra il 1065 e il 1066 per
invitarla a rassegnarsi alla vita monastica: «poiché sono lontano dalla
vostra santa presenza e in questo tempo non posso essere insieme a voi,
assai mi dolgo e sospiro in quotidiano lamento»29), e senza lasciarsi anda-
re a giudizi di difficile probabilità sul personal charm, «the indescribable
quality which, like physical beauty, can dazzle the mind’s eye and blind the
judgment»30, e includere tutto: e qui le considerazioni generali di Huizinga
conservano il loro valore, e le si potrebbero integrare con quelle, recentis-
sime, di Barbara Rosenwein31. Bisognerebbe allora fare uno sforzo per sot-
trarsi il più possibile alle suggestioni della contemporaneità (ad esempio,
non leggere il racconto dell’assassinio del prete «a puero, quem familiario-
rem habebat» che fa Guiberto di Nogent come se appartenesse all’età
post-tridentina o ai tempi nostri)32, pur sapendo che non è possibile…
Si tratta di comunicazioni scritte: e con le parole ci si misura a vicenda,
ci si avvicina e ci si comprende (è con compiacimento che Attone di Troyes
rispondeva nel 1141 a Pietro in un modo che a noi, se ancora afflitti dai
pre-giudizi crociani sulla retorica, potrebbe apparire affacciato sul limite
della scortesia: «Repressi autem me, ne eloquentia uestra paupertatem uer-
borum meorum sepeliret»)33, ma anche ci si tiene a distanza. Certe volte lo
si sottolinea: nel 1149 san Bernardo scrisse a Pietro il Venerabile che non
avrebbe sempre dovuto prenderlo alla lettera: «Multitudo negotiorum in
culpa est, quia dum scriptores nostri non bene retinent sensum nostrum,
ultra modo acuunt stilum suum, nec videre possum quae scribi praecipi».
Un’affermazione importante che potrebbe dare importanti indicazioni di
metodo allo studioso e riproporre la domanda: se l’autore fa corpo con un
gruppo scelto di scrittori, fino a che punto si può indagare lui? dove ini-
ziano loro34? Che ne sarebbe, insomma, della cosiddetta autorialità, tanto
più di fronte all’ammissione dell’assenza di controllo sulla pagina scritta?
ma, a questo, dobbiamo proprio crederci come voleva Bernardo?
Daccapo. Diffidenti, noi? lucidi, strumentali, loro?
Ma allora: uomini soli, tutti, noi e loro.
Sempre in guardia, loro, certo. Sempre attenti. Sempre consapevoli del
fatto che il «privato» non si dava – e dunque la loro comunicazione è tanto
più preziosa in quanto è offerta al pubblico, quel pubblico scelto (eletto) in
grado di decifrarla… Quel pubblico che proprio per questo si sentirà am-
messo al grande privilegio di partecipare del mondo dei grandi che comu-
un’espressione molto vicina a questa è stata usata da Claude Carozzi per sintetizzare
Adalberone di Laon e il codice della regalità: «cette qualité indescriptible qu’est la beauté»
(C. Carozzi, D’Adalbéron de Laon à Humbert de Moyenmoutier: la désacralisation de la roy-
auté, in La cristianità dei secoli XI e XII in Occidente: coscienza e strutture di una società,
Milano 1983, pp. 67-84: 72).
31 Cfr. B.H. Rosenwein, Emotional Communities in the Early Middle Ages, Ithaca NY-
London 2006, pp. 28-29.
32 Guibert de Nogent, Autobiographie, éd. et trad. E.-R. Labande, Paris 1981, III.XI,
p. 374.
33 The Letters of Peter the Venerable cit., n. 95, p. 256.
34 Epistola n° CCCLXXXVII, in Opere di San Bernardo, VI/2 cit., p. 498 (la datazio-
ne, con eccellenti interrogativi metodologici, ivi, pp. 497-499 nota 2).
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nicano fra loro e insieme saprà di esserne, proprio perché testimone, so-
stanzialmente escluso, ma anche che in questo modo può disporre dei
modelli per creare un nuovo più specifico e appropriato mondo di relazio-
ni, fatto su misura, e che a sua volta potrebbe ispirare altri a fare altrettan-
to, innescare altri mondi, innervare altri circuiti… Il mondo dell’amicizia,
cioè, è probabilmente un modello: dunque con una sua forza pragmatica
oltreché pregnante.
35 Cfr. ancora Longo, «O utinam anima mea esset in corpore tuo!» cit., pp. 12ss.
36The Letters of Peterthe Venerable cit., n. 182, pp. 425-426: «et qui meam de te esu-
riem satiare nequeo, saltim hanc breui tempore iocundo ac dulci tuo colloquio releuabo.
Vere iocundo, uere dulci. Nam si talis est stilus tuus, qualis est animus tuus? Si talis littera
tua, qualis lingua tua? Non es enim, non es talis, quales quidam loquaces stilo, muti aelo-
quio, uel econuerso profusi loquentes, muti scribentes». Il contesto è trasparente: si riferi-
sce a conversazioni!
37 Cfr. ancora i miei I monaci di Cluny cit., p. 61; È esistito un «modello cluniacense»?,
in Dinamiche istituzionali delle reti monastiche e canonicali nell’Italia dei secoli X-XII,
Negarine di S. Pietro in Cariano 2007, pp. 61-85: 61-62. Sull’attività di Nalgodo è fonda-
mentale il pioneristico studio di M.L. Fini, Studio sulla «Vita Odonis reformata» di Nalgodo.
Il Fragmentum mutilum del codice latino NA 1496 della Bibliothèque Nationale di Parigi,
«Atti dell’Accademia delle Scienze dell’Istituto di Bologna», Cl. di Scienze Morali, a. 69°,
Rendiconti, 63/2 (1974-1975), pp. 35-147, che tanto più andrebbe ripreso in quanto in que-
sti decenni la ricerca ha messo a punto nuove prospettive e nuovi modelli di interpretazio-
ne della storia cluniacense, monastica e delle istituzioni ecclesiastiche; ad esempio l’osser-
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vazione che l’A. faceva a proposito dell’«impegno speculativo, in qualche maniera scolasti-
co» e dei «valori piuttosto retorico-dialettici» dell’opera (p. 103) potrebbe ora essere
apprezzata meglio proprio in ragione dei nuovi contesti che sono stati delineati.
38 Cfr. G. Duby, Guillaume le Maréchal ou Le meilleur chevalier du monde, Paris 1984,
p. 62.
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1156 era appunto una figura di primissimo piano, indica che ha saputo
costruirsi una carriera progressiva e inarrestabile… A lume di buon senso
è difficile pensare che fosse soltanto un uomo di Guglielmo I, cioè che
fosse arrivato nel regno solo nel 1154: in tre anni non si fa tanta strada, a
meno che non si appartenga a qualche famiglia di rilievo, di quelle che
lasciano tracce di sé; ma non è il caso del nostro. Se, invece, fosse arrivato
in Sicilia negli anni di Ruggero II, anzi nell’età di Roberto di Selby o
Thomas Brown, allora avrebbe potuto fare il proprio apprendistato pro-
prio nei centri dell’amministrazione del regno: e questo lo renderebbe anzi
uomo degli apparati «burocratici», dunque renderebbe comprensibile il suo
protagonismo nella difesa dei notai di corte contro Stefano del Perche
(1167-1168) nonché, prima dell’arrivo di quest’ultimo, la sua vicinanza a
Matteo di Salerno, con cui siede nel consiglio di reggenza insieme con il
qa’id Pietro.
Matteo ha fatto carriera perché è uomo di Maione, il qa’id Pietro per-
ché è uomo del diwán che ha goduto incondizionatamente della fiducia del
re, di Riccardo l’inglese possiamo solo constatare il fatto che la sua scalata
sociale gli ha fatto raggiungere uomini che una decina d’anni prima erano
già ai livelli più alti del regno; ma sappiamo anche che nel 1161 era stato,
insieme a Romualdo di Salerno, l’ispiratore della rivolta con cui la plebe
palermitana aveva liberato Guglielmo I dalla prigionia dove l’aveva ristret-
to la congiura dei nobili, e il portavoce ufficiale del re durante la regia epi-
fania ai palermitani: «hec et his similia que rex non sine lacrimis demissius
loquebatur, electus Siracusanus, vir licteratissimus et eloquens, ad popu-
lum referebat»; a lui, e non a Romualdo, era toccato essere la voce e la paro-
la del re…
«Licteratissimus et eloquens»: condizioni che non lo rendevano diver-
so da quei literati di professione che venivano cooptati nel servizio dei re
d’Inghilterra e degli arcivescovi di Canterbury o York e potevano trovare
impiego, ad esempio, nello Scacchiere: anche il luogo di formazione (le
scuole di Parigi) era il medesimo; supporlo nelle clientele di qualcuno chia-
mato in Sicilia dall’Inghilterra darebbe fondamenti più credibili alla sua
vertiginosa carriera. Riprendiamo brevemente il confronto fra le traiettorie
del Becket e di Riccardo: 1155, cancelliere del regno d’Inghilterra il
Becket, non sappiamo nulla di Riccardo; 1156/57, Riccardo eletto di Sira-
cusa e in ascesa alla corte palermitana; 1162, Becket arcivescovo di Can-
terbury; 1164 il Becket è esule presso Luigi VII da novembre; 1166,
Riccardo è designato da Guglielmo I al vertice del consiglio di reggenza in
Sicilia, anche se la regina-vedova preferirà in quel ruolo il qa’id Pietro;
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40 The Letters of Peter the Venerable cit., n. 152, p. 172; n. 180, pp. 423, 424.
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Tedet animam meam uitae meae [Iob.10.1]. Quare? Quia non quod uolo
hoc ago, sed quod odi illud facio. Datum est michi hoc, et nescio si desu-
per, ac uelut insuperabile accidens, fere a puero michi inhesit, ut pene sem-
per impellar ad haec quae nolo, et repellar ab his quae uolo. Et licet haec
dicam, non sum tamen de illis, qui non sunt contenti de sorte sua, qui pro-
pria fastidiunt, aliena ambiunt» (Pietro a Nicola, marzo 1151)41. Ma c’è
una voce discreta42 che, pur avendo il carattere di un vero e proprio ápax,
si propone con lucidità e saggezza: «Sed si negotiis credimus, quando
negotia finem habebunt?» (Attone di Troyes a Pietro il Venerabile, 1141)43.
Mi verrebbe quasi da dire: questa si, è la voce di un amico vero…
Sono voci che vengono dal passato, e che, come sempre fa la storia, non
insegnano nulla. Ma possono indurci a sostare e pensare*.