1 Le ricerche per la pubblicazione di questo testo sono state svolte nel 2009 in
Berkeley presso la Robbins Collection, School of Law (Boalt Hall) University
of California, grazie all’invito del suo Direttore Laurent Mayali, Lloyd M.
Robbins Professor of Law, al quale desidero esprimere la mia gratitudine.
2 Come ricostruito con accenti fortemente critici dall’Heffter, l’atto finale del
congresso di Vienna, durato dal 1 novembre 1814 al 25 maggio 1815,
celebrato il 13 giugno dello stesso anno coinvolse Austria, Francia, Gran
Bretagna, Portogallo, Russia, Prussia e Svezia; l’atto fondativo della Santa
Alleanza e della Pentarchia risale al 26 settembre 1815 (Auguste G. Heffter,
Le droit international public de l’Europe, traduit sur la 3. ed. de l’original
allemand et augmentée d’un tableau politique de l’Europe, des nouveaux
traités et de la jurisprudence française par Jules Bergson, Berlin: Schroeder,
Paris: Cotillon 1857, pp. 474–475).
Claudia Storti 51
sorgere delle questioni “nazionali”, dall’inasprimento dei rapporti con
l’Impero ottomano, dalle ripercussioni provocate nei rapporti tra gli Stati
europei dall’insurrezione delle colonie spagnole e portoghesi nell’America
latina, mentre il problema della schiavitù diventava a sua volta un tema
cruciale di dibattito nell’ambito della dottrina giusinternazionalistica. 3
A quel tempo, inoltre, per studiosi, statisti e diplomatici, i principii del
diritto delle genti valevano soltanto per le questioni relative alle nazioni
cristiane e “civilizzate” dell’Europa alle quali si erano aggregati gli Stati Uniti
d’America. Tale opinione risaliva ai padri del diritto delle genti ed era stata,
per così dire, positivizzata nel trattato di Utrecht del 1713 tra Francia e
Inghilterra con la stipulazione di una pace che intendeva garantire «christiani
orbis justo potentiae equilibrio». Le altre nazioni, che cristiane e civili non
erano, o delle quali non si avevano se non cognizioni incerte – anche a causa
della loro resistenza ad uscire dall’isolamento, come era, ad esempio, il caso
della Cina – erano escluse non solo dalla produzione, ma anche, di norma,
dall’applicazione di tali regole ed erano eventualmente soggette – secondo
l’approfondita recente ricerca di Luigi Nuzzo alla quale per tali aspetti rinvio
– «ai principi universali di giustizia del vecchio diritto naturale». 4
3 Una sintesi efficace e “a caldo” dei problemi che agitarono l’Europa tra 1815 e
1861 si trova in Henry Wager Halleck (1815–1872), International Law or
Rules regulating the Intercourse of States in Peace and War, San Francisco: H.
H. Bancroft & Company 1861, che ho potuto consultare nella più tarda
edizione di Baker Sherston (1846–1923), Halleck’s International Law or
Rules regulating the Intercourse of States in Peace and War, fourth Edition
thoroughly revised and in many parts rewritten by Sir G. Sherston Baker,
judge of County Courts, recorder of Barnstaple and Bidefors, Associate of the
Institut de droit International, assisted by Maurice N. Drucquer Barstow,
Scholar, of the Middle Temple, Barrister at Law, vol. I, London: Kegan Paul,
Trench, Trübner & co. Ltd., 1908, pp. 28–35. Cfr. inoltre Andrea Rapisardi
Mirabelli, Storia dei trattati e delle relazioni internazionali, (Istituto per gli
Studi di Politica Internazionale, Manuali di politica internazionale 21), Milano
1940, pp. 178–193 e id., Le congrès de Westphalie. Ses negociations et ses
resultats au point de vue de l’histoire du droit des gens (ouvrage couronné par
la Faculté de Droit de l’Université de Leyde, Prix du Legatum Visserianum,
1926), in: Bibliotheca Visseriana Dissertationum Ius internationale illustran-
tium, t. VIII, XX, Lugduni Batavorum, apud E. J. Brill 1929, pp. 12–14. Per
quanto concerne le premesse fisiocratiche del dibattito ottocentesco sulla
schiavitù cfr. ora, anche per i riferimenti bibliografici, Pernille Røge, The
Question of Slavery in Physiocratic Political Economy, in: Governare il mondo.
L’economia come linguaggio della politica nell’Europa del Settecento, a cura di
Manuela Albertone, Milano: Fondazione Giangiacomo Feltrinelli 2009,
pp. 149–169.
4 Luigi Nuzzo, Un mondo senza nemici. La costruzione del diritto inter-
nazionale e il controllo delle differenze, in: Quaderni fiorentini 38 (2009),
Claudia Storti 53
Dal punto di vista della dottrina, invece, come già al tempo del-
l’“invenzione” del diritto delle genti quale ramo speciale del diritto tra Cinque
e Seicento, 8 si riproposero nell’Ottocento e in un mondo che già si sentiva, per
così dire, globalizzato, 9 i dibattiti che avevano connotato la formazione delle
teorie dei padri del ius gentium, sia con riguardo al metodo per la formazione
di tale diritto, sia con riguardo ai rapporti tra diritto naturale e diritto inter
nationes. 10 In particolare, la denuncia dei rischi insiti nella sottovalutazione
Claudia Storti 55
I diversi rivoli del dibattito sul diritto internazionale nella prima metà
dell’Ottocento danno l’impressione di trovarsi in una vera e propria palestra.
In questa palestra, docenti universitari e diplomatici, soprattutto, ma anche
alcuni giudici, ciascuno ispirato dalle esigenze dei rispettivi rami di attività –
l’insegnamento o la politica, e in certi casi l’uno e l’altra, oppure, infine, la
soluzione giudiziaria di casi concreti – non mancarono di esporre ciascuno
“il” proprio sistema per una “scienza” del diritto internazionale. Per quanto
universalmente utilizzato, il termine sistema ha assunto nei singoli autori
connotazioni differenti: da semplice somma di regole specificamente ap-
plicabili ai rapporti tra nazioni e priva di un effettivo tessuto connettivo, ad
enunciazione di una rete di principii fondanti dai quali si pretendeva di
ricavare tramite un procedimento “rigorosamente” deduttivo regole applica-
bili ai casi concreti. Del resto, anche il termine scienza ebbe una molteplicità di
significati: per lo più fu limitato ad indicare il complesso dei principii teorici
che avrebbero potuto venire in soccorso nell’interpretazione di prassi o
convenzioni dubbie; solo in pochi casi, fu riferito ad un organico complesso
di principii che avrebbe dovuto sostituire – o modificare, ove contrastanti – le
regole applicate per consuetudine e convenzionali.
Un ulteriore aspetto della produzione “scientifica” di quel periodo merita
di essere rilevato. Alcuni autori intervennero su questi temi con più opere e di
alcune di queste furono pubblicate successive edizioni con varianti o aggiunte,
in molti casi di non poco conto, da parte degli stessi autori: varianti dovute
talora al rapido succedersi degli eventi e alla necessità di aggiornamento,
tal’altra a veri e propri aggiustamenti delle rispettive teorie. Non sempre è
stato possibile, però, reperire nelle biblioteche tutte le successive edizioni di
una stessa opera e questo ha reso la ricerca ancor più complessa, senza che
purtroppo sia stato possibile colmare tutte le lacune.
Non si può, inoltre, negare che, nel pensiero di molti, l’orientamento
politico abbia prevalso su quello giuridico. Questo condizionò ovviamente
tutta la conseguente trattazione della vasta problematica giusinternazionali-
stica soprattutto con riguardo ai temi fondamentali dell’equilibrio politico e
dell’intervento che erano stati precipuo oggetto del concerto tra le cinque
potenze europee. Tali temi continuavano a costituire il punto centrale del
dibattito sul diritto internazionale nella prima metà dell’Ottocento – nono-
stante che, fin dal secolo precedente, il Rousseau avesse deplorato il mito
dell’equilibrio in quanto utile soltanto a mascherare «pretesti» 13 – ed ebbero
una gamma di soluzioni tanto variegata quanti furono gli autori che ne
trattarono.
Ecrits sur l’abbé de Saint-Pierre, Textes établis et annotés par Sven Stelling-
Michaud, Paris: Gallimard 1964, pp. 563–589, in part. p. 570.
14 Pellegrino Rossi, Droit des gens intervention, in: Revue française giugno
1838 e in: Mélanges d’économie politique, d’histoire et de philosophie, publiés
par ses fils, vol. I, Paris: Guillaumin 1857 (dal quale si cita, che ho potuto vedere
grazie alla cortesia di Luigi Lacché), pp. 443–477, in part. p. 443. Cfr. a questo
proposito Augusto Pierantoni, Storia degli studi del diritto internazionale in
Italia dell’avvocato Augusto Pierantoni professore straordinario di diritto
internazionale e costituzionale nella R. Università di Modena, Modena: coi
tipi di Carlo Vincenzi 1869, pp. 96–101 e Stefano Mannoni, Potenza e
ragione. La scienza del diritto internazionale nella crisi dell’equilibrio europeo,
(Per la storia del pensiero giuridico moderno 54), Milano: Giuffrè 1999, p. 13.
Sulla figura di Pellegrino Rossi anche per i riferimenti bibliografici rinvio a
Luigi Lacchè, Un italiano a Ginevra, alla ricerca della patria comune,
introduzione a P. Rossi, Per la Patria comune. Rapporto della Commissione
della Dieta ai ventidue Cantoni sul progetto d’Atto federale da essa deliberato a
Lucerna, Mandria, Roma: Lacaita 1997; id., Tra politica e diritto, ovvero Rossi
e la Monarchia di Luglio, in: id. (a cura di), Un liberale europeo: Pellegrino
Rossi (1797–1848), Milano: Giuffrè 2001, pp. 70–108; id., La libertà che
guida il Popoli, Le Tre Gloriose Giornate del luglio 1830 e le “Chartes” nel
costituzionalismo francese, Bologna: il Mulino 2002, in part. pp. 164–173.
Sull’influenza dell’opera costituzionalistica di Pellegrino Rossi cfr. Guglielmo
Negri, Pellegrino Rossi e la scuola italiana di diritto costituzionale, in: Un
liberale europeo. Pellegrino Rossi, pp. 109–115, in part. p. 113.
Claudia Storti 57
A guardar bene fu proprio la continuità del principio indiscusso e indiscu-
tibile dell’uguaglianza ed indipendenza degli Stati 15 – perno del diritto inter-
nazionale dal momento in cui era divenuto un ramo specifico della scienza
giuridica – che, paradossalmente, nei primi decenni dell’Ottocento si frappose
sia alla possibilità di aggregare il consenso sulla definizione e sulla
“sistemazione” scientifica di diritto internazionale, sia alla possibilità di dare
attuazione ad altri principii fondamentali del diritto di natura e delle genti che
comunque i Paesi “civilizzati” riconoscevano in astratto come fondamentali.
Il primato “scientifico” del principio dell’uguaglianza ed indipendenza
degli Stati, sostenuto sia da diplomatici e statisti, sia da coloro che si
consideravano teorici puri della “scienza” internazionalistica, finiva per
impedire che fosse messo in discussione «le droit du plus fort». 16 Tra tanti
Stati teoricamente uguali tra loro, il potere “reale” garantiva a talune nazioni
il primato sulle altre. La possibilità di imporre i termini delle convenzioni e di
controllare il rispetto delle consuetudini riduceva le probabilità di affer-
mazione e attuazione di principii e diritti differenti quantunque essi, sia dal
punto di vista scientifico, sia da quello, per così dire, pratico o positivo delle
nazioni “civilizzate”, apparissero come superiori e meritevoli di tutela.
La combinazione del principio dell’uguaglianza e dell’indipendenza delle
nazioni con quello della natura convenzionale del diritto internazionale, quale
massima espressione della “libera” volontà delle nazioni, finiva per consoli-
dare il primato dei più forti in termini di potere reale. Il principio
dell’uguaglianza, sancito sia dal diritto scientifico sia da quello positivo e
convenzionale, prevaleva su qualsiasi altro principio fondamentale del diritto
naturale delle genti che fosse apparso con esso in rotta di collisione e, in
sostanza, escludeva la libertà di decidere se reagire alla violazione che ne fosse
stata attuata nei fatti o nei trattati.
La deriva politica, impressa al diritto delle genti dal congresso di Vienna e
dai trattati stipulati per porre rimedio allo squilibrio provocato dall’impresa
15 Cfr. tra gli altri: Travers Twiss (1809–1897), The Law of Nations considered
as Independent Political Communities, vol. I, On the Rights and Duties of
Nations in Time of Peace, Oxford: Clarendon Press 1884, p. 5 e Carl
Schmitt, Il nomos della terra (n. 4), pp. 163–178.
16 L’espressione in Bluntschli, Le droit international codifié (1870) (n. 3),
pp. 8–10 e, con alcune varianti (1881), pp. 9–11. Alla fine degli anni Sessanta,
alle soglie della guerra franco-prussiana, il Bluntschli, pur fiducioso che il
progresso avrebbe portato anche nel campo del diritto internazionale al
perfezionamento della “razza umana”, scriveva «Les obstacles que rencontre
le droit international sont encore grands, mais pas assez grands cependant pour
en empêcher l’existence», ibidem (1870), p. 10.
Claudia Storti 59
godevano soltanto di un’apparenza di libertà, 20 secondo il Martens, avevano
minore dignité e puissance ed erano i diseguali di Heffter, 21 o i «popoli
mercanteggiati a guisa di greggi» per dirla ancora con il Romagnosi. 22 Tali
giuristi dovettero inventare un sistema rigorosamente diverso da quello dei
politici e dei diplomatici allo scopo di realizzare – nei fatti – il principio
dell’uguaglianza dei popoli, come aveva sostenuto a suo tempo l’abbé
Grégoire 23 e come sarà affermato nell’art. 2 della Carta delle Nazioni Unite
con la locuzione uguaglianza sovrana.
Non infrequentemente i molti, soprattutto giuristi, che tentarono di
contrapporsi al pragmatismo dei diplomatici e degli statisti furono etichettati
con il termine di utopisti e le loro proposte connotate come “chimeriche”. Dal
punto di vista metodologico, inoltre, era ben difficile trovare un piano d’intesa
comune, come sarebbe stato indispensabile nel campo dei rapporti inter-
nazionali, sul concetto di scienza e di unità della scienza tra la cultura
giuridica anglosassone e statunitense – entrate con forza nel dibattito nono-
stante la tradizionale refrattarietà ad un inquadramento precipuamente
astratto delle questioni – e quella di civil law, innanzitutto germanica, che
sui grandi quadri teorici aveva fondato i suoi sistemi. 24
Le difficoltà di una costruzione scientifica del diritto internazionale deri-
varono anche dal consolidarsi di una concezione del sistema delle fonti
giuridiche che stentava, malgrado le rassicurazioni dei Bentham e degli
Austin, a riconoscere un diritto che non fosse fatto di leggi. Nell’età delle
codificazioni, solo alle norme scritte si tese a conferire un vero peso specifico
e, come osservò il Bluntschli, era inutile tentar di sostenere, al contrario, che il
diritto, in generale, e il diritto internazionale in particolare, non era fatto solo
di leggi e che, pur senza leggi, il medioevo era stato in grado di creare
costruzioni sapienti come quella del contratto! 25
Si è adottato il termine crocevia, sia in senso cronologico, sia dal punto di
vista della sostanza dei problemi affrontati dagli autori europei e statunitensi
della prima metà dell’Ottocento che considerarono come un rischio effettivo
Claudia Storti 61
Martens, che costituì, anche a detta del Wheaton, per il trentennio successivo
alla rivoluzione francese, il perno di una manualistica giusinternazionalistica
fondata sulla concezione della natura convenzionale del diritto internazionale
e dominata da diplomatici e statisti invece che dalla “scienza”. 27
Fin dai primi anni dell’Ottocento venne, però, progressivamente ingros-
sando la schiera variegata di robusti oppositori sia – dal punto di vista teorico
del sistema delle fonti – della concezione convenzionale e consuetudinaria del
diritto internazionale, sia – da quello politico – del sistema del concerto
europeo e della bilancia politica che in quella concezione trovava il precipuo
fondamento e la ragione della propria giustizia e validità. In Inghilterra, negli
Stati Uniti, in Germania, per dire soltanto dei paesi dai quali provenivano
coloro che riuscirono a far sentire con più forza le loro opinioni, lo scopo di
tali oppositori fu, con accenti e sfumature differenti sul valore e sull’efficacia
delle possibili fonti del diritto internazionale e di singoli principii, quello di
proseguire nell’impresa di definire l’identità di un diritto fondato sulla ragione
e vincolante per tutti i Governi, superiore alla consuetudine e ai trattati e di
assicurarne la vigenza.
Nella costruzione di tali teorie troviamo, oltre alla continua rievocazione
delle fondamentali tendenze espresse dai tre distinti orientamenti di Grozio,
Hobbes – Pufendorf e Leibniz – Wolff, anche una rivalutazione di alcuni
scritti degli ultimi anni del Settecento che, in controtendenza rispetto alla
teoria – politicamente e teoricamente – dominante della natura convenzionale
e consuetudinaria del jus gentium, avevano rivendicato, nella disciplina dei
rapporti internazionali, il primato di regole razionali, universali e vincolanti
per tutti gli Stati.
Le suggestioni di questo movimento intellettuale furono vividamente e
sinteticamente rappresentate da un italiano minore quanto alla fama inter-
nazionale, Ludovico Casanova, avvocato e docente nell’Università pubblica di
Genova del corso di Diritto costituzionale ed internazionale. Di lui è
pervenuto un complesso di lezioni risalenti agli anni 1851–1853. 28 Tali
lezioni, a quanto sembra non concepite dal loro autore per la pubblicazione,
27 Wheaton, Histoire des progrés (n. 11), II, p. 366: «Les progrès qu’a faits le
droit des gens europèen depuis la rèvolution française de 1789, ont été
démontrés, plutôt par des discussions polémiques des hommes d’état et des
diplomates sur les diverses questions pratiques qui ont été soulevées depuis
cette époque, que par les travaux systématiques des publicistes sur le droit
international considéré comme science».
28 Si ricorderà come, nell’ambito del controllo ministeriale sui contenuti
dell’insegnamento universitario, i docenti universitari fossero tenuti ogni anno
a consegnare i testi delle lezioni che avrebbero tenuto al Ministero dell’Uni-
versità.
29 Cfr. in proposito Rapisardi Mirabelli, Storia dei trattati (n. 3), pp. 193–194
e da ultimo, anche per i riferimenti bibliografici, Elisa Mongiano, Le principe
de nationalité et la formation du royaume d’Italie, in: Tra diritto e Storia. Studi
in onore di Luigi Berlinguer promossi dalle Università di Siena e di Sassari,
Soveria Mannelli: Rubbettino 2009, vol. II, pp. 253–272, in part. pp. 256–
257; ead., Il “voto della Nazione”. I plebisciti nella formazione del Regno
d’Italia (1848–60), Torino: Giappichelli 2010; Ead., Il princio di nazionalità e
l’unificazione italiana, in: Verso l’Unità Italiana. Contributi storico-giuridici, a
cura di Gian Savino Pene Vidari, Torino: Giappichelli 2010, pp. 57–79, in
part. pp. 63 ss.; Paola Casana, La prima fase dell’unificazione italiana:
trattati e trattative diplomatiche, ibidem, pp. 81–103; Enrico Genta, La
diplomazia europea e l’unificazione italiana tra 1859 e 1860, ibidem,
pp. 153–170.
30 Cfr. rispettivamente oltre alle lezioni Del diritto internazionale (n. 8), Del
diritto costituzionale. Lezioni del professore Ludovico Casanova ordinate
dall’Avvocato Cesare Cabella, vol. I–II, Genova: Stabilimento Tipografico de
Lodovico Lavagnino 1859–1860. Entrambi i testi furono ripubblicati nel 1869
(a Firenze: Eugenio e F. Cammelli editori-librai) e sucessivamente dallo stesso
Cabella con G. B. Cironi a Firenze (con introduzione e note di E. Brusa) nel
1876.
31 Cesare Cabella, Necrologia dell’autore, in: Del diritto internazionale. Le-
zioni del professore Ludovico Casanova, vol. I, pp. V–XIX, in part. pp. XIV–
XVI.
32 Da queste parole si potrebbe pensare innanzi tutto al System del Savigny che
circolò immediatamente in Italia e cfr. su questo aspetto e sulle fondazioni
giusnaturalistiche della scienza giuridica italiana Paolo Grossi, Scienza
giuridica italiana. Un profilo storico, Milano: Giuffrè 2000, in part. pp. 8–
12; da ultimo, anche per i riferimenti bibliografici, Angela Trombetta,
Savigny e il Sistema alla ricerca dell’ordine giuridico, Bari: Cacucci Editore
2008.
Claudia Storti 63
dell’antica sapienza romana. E si potè conoscere che le immense occupazioni
del foro non gli avevano impedito il seguitare i progressi della scienza». 33
«Animo altero ed indipendente» diede le dimissioni tra il 1843 e il 1844
perché offeso da un atto del Governo, del quale nulla è dato sapere se non che
egli fu denunciato al Ministro Mameli come «predicatore di ribellione». 34 Il
suo rientro nell’Università di Genova avvenne, dopo la trasformazione del
Regno di Sardegna in monarchia costituzionale, nel 1848 con l’introduzione
nella facoltà giuridica del corso di diritto costituzionale pubblico ed inter-
nazionale. 35
Il peso scientifico e il successo didattico di Ludovico Casanova furono
probabilmente superiori a quanto si sia di poi riconosciuto, sia nella formu-
lazione delle successive teorie del costituzionalismo liberale, 36 sia nella
divulgazione delle teorie europee e statunitensi del diritto internazionale
ancora scarsamente note al suo tempo in Italia.
La sua influenza sugli studi successivi non solo fu certamente adombrata
dalla lunga malattia che gli troncò prematuramente la vita, 37 ma fu anche
offuscata dalla crescente, pugnace e versatile figura di Pasquale Stanislao
Mancini al quale, come ben noto, fu attribuito il ruolo di fondatore della
scuola italiana del diritto internazionale. 38
nel secolo 19., Napoli: G. Marghieri 1876; id., I progressi del diritto inter-
nazionale nel secolo XIX, Roma: Pallotta 1899.
39 Pierantoni, Storia (n. 14), p. 154.
40 Brusa, Introduzione (n. 30), p. CCCI ss., CCCLXVII ss. e CCCLXXIV–
CCCLXXVII e mi si consenta di rinviare a Storti Storchi, Il ritorno alla
reciprocità di trattamento. Profili storici dell’art.16, primo comma disp. prel.
del codice civile del 1942, in: I cinquant’anni del codice civile, Atti del
Convegno di Milano 4–6 giugno 1992, (Università degli Studi di Milano.
Facoltà di Giurisprudenza), vol. II Comunicazioni, Milano 1993, pp. 501–557,
in part. pp. 519–521; ead., Ludovico Casanova e le sue Lezioni di diritto
internazionale, in: Giuristi Liguri dell’Ottocento, Atti del Convegno organiz-
zato dall’Accademia Ligure di Scienze e Lettere in collaborazione con
l’Accademia delle Scienze di Torino e l’Istituto Lombardo Accademia di Scienze
e lettere, Genova, 8 aprile 2000, Genova 2001, pp. 53–94, in part. pp. 69 e
93–94.
41 Pierantoni, Storia (n. 14), p. 153.
42 G. Carnazza Amari, Trattato sul Diritto pubblico di pace, Milano: V.
Maisner e compagnia editori 21875, p. 11: «L’opera del Casanova rivela nel
suo autore un uomo perito nella pratica del foro; ma lungi di essere un lavoro
scientifico e metodico, sembra una compilazione di alcune parti della scienza,
priva di quell’intimo legame, che deve rannodarle nei principii fondamentali.
Perocchè si richiede nello stato attuale della scienza un libro, che sia nello
stesso tempo elementare ed approfondito, che abbia il carattere della certezza e
della evidenza, per la quale impone la convinzione, che richiama la fede, e che
senza arrestarsi alle generalità superficiali, ordini la scienza con nesso logico e
Claudia Storti 65
testo di del 1865 di Pasquale Fiore, che esordiva con un atto di omaggio al
Mancini, nel quale era altresì espresso il rimpianto che proprio lui non avesse
avuto ancora il tempo di scrivere un proprio manuale di diritto internazio-
nale. 43
Rintracciare tutte le matrici del pensiero di Ludovico Casanova non è cosa
sempre agevole. Questo è però ben comprensibile se si tiene conto del
precipuo scopo didattico al quale furono ispirati i suoi testi e della libertà
con la quale egli espose le linee del suo pensiero. L’eclettismo che connotò il
pensiero di molti giuristi italiani nei dintorni della metà del XIX secolo fu
certamente anche una caratteristica del giurista genovese. 44
Nella prima metà dell’Ottocento in Italia, i temi del diritto internazionale
pubblico non erano stati sviluppati in trattazioni di carattere generale.
Diversamente, le questioni di conflitto di leggi nello spazio erano state risolte
dalla giurisprudenza dei tribunali dei diversi Stati della penisola con riferi-
mento alla solida tradizione del diritto comune ed erano state sistemate, con
riguardo al Regno di Napoli, in un corposo trattato del 1837 di Nicola
Rocco 45 che fu oggetto anche di un’approfondita revisione della giurispru-
denza da parte dei tribunali genovesi. 46
Claudia Storti 67
stati ammessi nella Facoltà giuridica per effetto del regolamento contenuto nel
decreto reale del 23 ottobre 1849.
Cristoforo Mameli, ministro della pubblica istruzione dal 27 marzo 1849
al 10 novembre 1850, vicino al Mancini che già a Napoli aveva tenuto corsi di
diritto internazionale, 48 si era pertanto risolto a presentare un progetto di
legge per l’istituzione di una nuova cattedra «d’insegnamento speciale della
scienza consolare e diplomatica» avente lo scopo di coordinare «coi principi
del diritto delle genti moderno d’Europa, la speciale esposizione del diritto
marittimo nei suoi rapporti col diritto pubblico, della storia dei trattati, e
specialmente di quelli riguardanti l’Italia, e la monarchia di Savoia in
particolare, degli usi e dello stile diplomatico, e delle attribuzioni consola-
ri». 49 Egli non negava che la “scienza” diplomatica fosse retta nella sua
Claudia Storti 69
erano le pubblicazioni nelle rispettive materie a disposizione dei docenti: «Né
sarebbe a credere che al professore di quelle abbondino libri e commentari,
sulla autorità de’ quali (siccome interviene in altre materie) ei sia licenziato a
poter adagiare le sue lezioni». Le monografie di diritto internazionale e
costituzionale erano bensì numerose; tuttavia, piene di insidie per il «catte-
dratico» che avesse voluto utilizzarle acriticamente senza «nervi di ingegno e
di studio». Si trattava, infatti, di testi elaborati con riguardo agli specifici
contesti e «ai prepotenti interessi, or sia del paese, o del principe, o del partito
che bisognava aiutare» e che presentavano, pertanto, «una meravigliosa
diversità nei principii e negli argomenti».
Si sarebbe dovuto, infine, prendere in considerazione l’opportunità di
elevare lo stipendio che era stato proposto per tale insegnamento, in consi-
derazione di diversi aspetti: il padre di questa scienza, Ugo Grozio, era stato
«allievo» dell’italiano Alberico Gentili e tra i principali artefici si potevano
annoverare i Saint-Pierre, i Rousseau, i Bentham, i Kant, i Cobden. Tale
insegnamento avrebbe avuto ad oggetto la «ricostituzione della nazionalità» e
la realizzazione di tale fine avrebbe assicurato «la pace del mondo civile». 54
Sulla base di tali considerazioni il Parlamento subalpino promulgò la legge
del 14 novembre 1850 sull’istituzione di una cattedra autonoma di diritto
pubblico esterno e internazionale privato nella facoltà giuridica di Torino. 55
Come ben noto, il corso fu inaugurato a Torino nel 1851 dal Mancini con la
“rivoluzionaria” prolusione sulla quale si diffuse ampiamente anche Augusto
56 Pierantoni, Storia (n. 14), pp. 127–150; id., I progressi del diritto inter-
nazionale (n. 38), pp. 60–63. Cfr. in proposito anche Storti Storchi,
Ricerche (n. 48), pp. 306–311; Jean-Louis Halpérin, Entre nationalisme
juridique et communauté de droit, Paris: Presses Universitaires de France 1999,
p. 69; Nishitani, Mancini und die Parteiautonomie (n. 48), p. 37.
57 Sui precedenti degli studi giuridici a Genova: L’archivio dell’Università di
Genova, a cura di Rodolfo Savelli, Atti della Società ligure di Storia Patria,
n. s. 33 (1994); Riccardo Ferrante, L’Académie di Genova attraverso i
rapports degli ispettori dell’Université impériale (1809): gli studi giuridici, in:
Le università minori in Europa (secoli XV–XIX). Convegno internazionale di
Studi. Alghero, 30 ottobre – 2 novembre 1996, a cura di Gan Paolo Brizzi e
Jacques Verger, (Università degli Studi di Sassari. Dipartimento di Storia.
Centro interdisciplinare dell’Università di Sassari. Commission Internationale
pour l’Histoire des Universités), Soveria Mannelli: Rubbettino 1998, pp. 509–
531.
58 Gazzetta dei Tribunali, Genova a. II(1850), n° 74–75. Parere emesso dalla
Commissione della Facoltà di Legge in Genova intorno a un progetto di
regolamento per gli studi legali, qualche cenno in Storti Storchi, Ludovico
Casanova (n. 40), pp. 57–59.
Claudia Storti 71
L’accento della commissione genovese sul «sistema» e sul «metodo» anti-
cipa la premessa al corso di diritto internazionale del Casanova da lui stesso
delineato come strumento fondamentale di emancipazione dei popoli: sotto
questo profilo, tale insistenza sembra riflettere il tentativo del giurista ge-
novese di elaborare una teoria per il Risorgimento e per l’indipendenza
politica dell’Italia fondata su solide basi razionali e scientifiche.
Per raggiungere gli scopi che lui, come altri patrioti italiani, si erano
prefissi, il Casanova scelse un trampolino di lancio forse meno originale,
rispetto alla teoria di un Mamiani 59 o alla costruzione ideata dal Mancini
della nazione come soggetto di diritto pubblico, ma probabilmente più sottile
in quanto più spendibile nel rapporto con gli Stati che dirigevano il concerto
europeo. Come è stato ben illustrato, le istanze nazionalistiche si dimostraro-
no poco utilizzabili sia nell’immediato sul piano della trattativa diplomatica,
sia nel lungo termine. 60
Nella seconda metà dell’Ottocento si manifestarono le crepe dell’adozione
del principio della nazionalità come criterio per la soluzione dei conflitti di
leggi nello spazio e della parificazione della condizione giuridica degli stranieri
introdotte per volontà dello stesso Mancini nel codice civile italiano del 1865.
Fallì anche il progetto di un codice internazionale di diritto internazionale
privato del giurista napoletano 61 ed ebbe, inoltre, una fortuna modesta e
tardiva il saggio di codificazione del diritto internazionale sia pubblico sia
privato elaborato e pubblicato a Torino da un esponente della dottrina
“umanitaria” del cosmopolitismo, Augusto Paroldo, nel fatidico 1851, anno
dell’inizio dell’insegnamento del Casanova e del Mancini nelle Università del
Claudia Storti 73
docente precisò nell’introduzione alla prima edizione che i numerosi casi
pratici esaminati nelle note erano destinati soprattutto agli studenti non
frequentanti. 66 Oggetto dell’insegnamento era non soltanto la teoria, ma
anche la pratica del droit des gens, trattata in esercitazioni settimanali tenute
in parte in lingua tedesca, in parte nella lingua francese che era ormai divenuta
presque universelle in Europa soprattutto nei rapporti internazionali. A
questo motivo si doveva appunto l’adozione del francese per l’intero manua-
le, 67 che fu tradotto nel 1795 negli Stati Uniti, prima ancora che in Inghilterra,
con una dedica dell’editore Thomas Bradford a George Washington. 68
Lo schema del trattato corrispondeva alla tripartizione di personae, res e
actiones e tale rimase nella sua struttura essenziale nelle due revisioni
successive. In quella tedesca del 1796, il Martens inserì una critica minuziosa
e in alcuni punti feroce al progetto di codice del diritto delle genti dell’abbé
Grégoire. L’accantonò a causa dell’idea “chimerica” di un diritto uniforme ed
universale, 69 con il pragmatismo del diplomatico abituato agli “incidenti” e
con il realismo di chi conosceva la differenza tra «les cabinets d’étude et ceux
des souverains». 70
I materiali del “sistema” del Martens consistevano nelle costituzioni e negli
usi dell’Europa, la cui specialità era ben stata evidenziata dai fondatori del
parties du globe, par Geo. Fred. de Martens, Berlin: A. Mylius 1801 nonché
Paris Strasbourg 1801. La raccolta di casi celebri di diritto internazionale
Erzählungen merkwüdiger Fälle des neueren Europäischen Völkerrechts, in
einer practischen Sammlung von Staatsschriften aller Art in teutscher und
französischer Sprache (Göttingen 1800 e 1802) fu ripubblicata con il titolo
Causes célèbres du droit des gens dal nipote Charles, dopo la sua morte
(Leipzig: chez F. A. Brockhaus 1827).
66 Martens, Précis du droit des gens (n. 65), vol. I, Introduction 1788, pp. 6–7.
67 Martens, Précis du droit des gens (n. 65), vol. I, Introduction 1788, pp. 7–9.
68 Summary of the law of nations, founded on the treaties and customs of the
modern nations of Europe with a list of the principal treaties, concluded since
the year 1748 down to the present time, indicating the works in which they are
to be found, by Mr. Martens, professor of law in the University of Göttingen,
translated from the French by William Cobbett, Philadelphia: Thomas Brad-
ford 1795. La prima edizione inglese del 1802 per iniziativa dello stesso
traduttore, il celebre William Cobbett (1763–1835), fu intitolata A compen-
dium of the law of nations, founded on the treaties and customs of the modern
nations of Europe: to which is added, a complete list of all the treaties,
conventions, compacts, declarations, &c. from the year 1731 to 1788, inclu-
sive, indicating the several works in which they are to be found, by G. F. von
Martens …, and the list of treaties, &c. brought down to June, 1802, by
William Cobbett, London: Cobbett and Morgan 1802.
69 Martens, Précis du droit des gens (n. 65), vol. I, Introduction 1796, e cfr. ad
es. in tema di présèance: p. 23 e sulla non ingerenza p. 14; cfr. anche oltre § 8.
70 Martens, Précis du droit des gens (n. 65), vol. I, Introduction 1796, p. 23.
71 Per riferimenti a Grozio e Bynkershoek, cfr. anche oltre n. 115, 140 ss, 215, 277.
72 Montesquieu, De l’esprit des loix, ou Du rapport que les loix doivent avoir
avec la constitution de chaque gouvernement, les mœurs, le climat, la religion,
le commerce, etc. A quoi l’auteur a ajoute des recherches nouvelles sur les loix
romaines touchant les successions, sur les loix françoises et sur les loix
feodales. – Derniere edition, revue, corrigée et considerablement augmentée
par l’auteur, Amsterdam: aux depens de la Compagnie 1749; id., Esprit des
lois par Montesquieu avec les notes de l’auteur et un choix des observations de
Dupin, Crevier, Voltaire, Mably, La Harpe, Servan, etc., Paris: Firmin Didot
1849.
73 Gabriel Bonnot de Mably (1709–1785), Le droit public de l’Europe fondé
sur les traités (Amsterdam 1748 ed. I), che ho visto nella terza edizione di
Genève, par la Compagnie des Libraires 1764 e in id., Œuvres complètes de
l’abbé de Mably, t. V, Paris: chez Bossange, Masson et Brisson Libraires 1797,
pp. 155–452. Nello stesso volume è pubblicato Principes des négociacions
pour servir d’introduction au droit public de l’Europe fondé sur les traités
(pp. 1–154), mentre nel volume XII delle Œuvres sotto il titolo Étude de
l’histoire et manière de l’écrire si trovano i trattati sulla storia del Mably: Des
différens genres d’histoire. Des études par lesquelles il faut se préparer à
l’écrire. Des histoires génèrales et universelles (pp. 245–308) e Des histoires
particulières; quel en doit etre l’objet. Observations ou règles communes à tous
les genres d’histoire (pp. 309–383).
74 Mably, Etude de l’histoire et manière de l’écrire (n. 73), p. 45.
75 Scritti politici di Gabriel Bonnot de Mably, a cura di Aldo Maffey, (Classici
politici), Torino: Utet 1965, pp. 31–38 e 589–672.
76 The Revolutionary Diplomatic Correspondence, vol. 3, pp. 278 ss. J. Adams to
the President of Congress, Briantree, 1779, august 4 Considerations on the
general state of affairs in Europe as far as they relate to the interests of the
United States, consultabile nel sito della Library of Congress http://memory.
loc.gov/cgi.
Claudia Storti 75
quanto distinte per la loro tradizione “dal resto del mondo”. 77 Dall’esame dei
caratteri delle diverse tipologie di ordinamento giuridico, 78 il giurista passava
all’analisi delle rispettive dignité e puissance, constitution e religion. 79 Dignité
e puissance, come vedremo tra breve, ebbero per il docente di Göttingen una
sorta di riconoscimento, per così dire, teorico in tema di intervento. Oggetto
della scienza erano sia le fonti del diritto “positivo” (i trattati, le convenzioni
tacite, l’uso, la prescrizione in merito alla quale si discuteva se fosse fonte del
diritto naturale oppure positivo); sia i diritti degli Stati (corrispondenti agli
interessi interni ed esterni delle nazioni); sia la perdita di tali diritti. 80 La terza
parte concerneva la trattazione dei mezzi utilizzati per negoziare e dirimere le
controversie, dai trattati, alla costituzione di ambasciate, a ritorsioni, rap-
presaglie e guerre. 81
Dopo che dal 1808 si era dedicato quasi esclusivamente agli affari di Stato,
nel 1820 il Martens ripubblicò con considerevoli ampliamenti il suo Précis.
Dichiarò che tale terza edizione era stata fortemente sollecitata a causa
dell’esaurimento della precedente e certamente fu un’occasione ch’egli non
si lasciò sfuggire sia per confermare, nonostante il succedersi vorticoso degli
eventi nel frattempo intervenuti, la propria fedeltà al “sistema” adottato fin
dalla prima edizione del 1788, 82 sia per contrastare talune opinioni del
Klüber con particolare riguardo, appunto, ai temi dell’intervento e dell’equi-
librio. 83
Sotto il primo profilo, ribadendo la convinzione che la costituzione interna
dei singoli Stati era decisiva nella conduzione degli affaires étrangers, 84 con il
titolo Les droits qui peuvent appartenir à une Nation sur la Constitution de
l’autre, pur riconoscendo il principio della libertà nella scelta della forma di
ordinamento, ammise il “diritto” di una potenza di intervenire sia per esigere
l’adempimento di obblighi contratti a tale riguardo da un’altra nazione a
seguito della stipulazione di eventuali trattati, sia allo scopo di adottare
misure difensive in caso che modifiche “costituzionali” mettessero a rischio
la sua sicurezza. 85
77 Martens, Précis du droit des gens (n. 65), vol. I, Introduction 1821, pp. 37–
38.
78 Ibidem, De la diversité des Constitutions des Etats de l’Europe, pp. 97–108.
79 Ibidem, vol. I, Introduction 1788, p. 4.
80 Ibidem, p. 5.
81 Ibidem, p. 6.
82 Ibidem, Introduction 1821, p. 32.
83 Cfr. § 7.
84 Martens, Précis du droit des gens (n. 65), vol. I, p. 75.
85 Ibidem, pp. 178–82.
Claudia Storti 77
prevenire, anche con il ricorso alle armi, l’eccessiva crescita di uno di loro o
l’eccessivo indebolimento dello Stato che aveva la funzione di contrappeso. Le
minacce all’equilibrio potevano essere di diversa natura. Potevano, ad esem-
pio, consistere nell’acquisizione del controllo su uno Stato che, da un punto di
vista esclusivamente formale, conservava la sua indipendenza; oppure nella
stipulazione di nuove alleanze; o ancora nell’indebolimento di uno Stato
“cuscinetto”. Gli strumenti per conservare l’equilibrio erano del pari di
diversa natura e tra questi avevano un ruolo essenziale, innanzitutto, le
alleanze. 92
L’equilibrio politico non aveva soltanto una valenza generale, ma poteva
riguardare anche aree più limitate come l’Italia piuttosto che la Germania, gli
Stati Uniti, ovvero il mare. Era comunque essenziale per l’Europa più che per
le altre parti del mondo e, nonostante le sue imperfezioni ed abusi, non poteva
essere tacciato «de chimère ou de charlatanerie politique, ni rejeté comme
superflu, condamné comme illégitime, ou rayé du droit des gens». 93
Il contrasto tra queste opinioni e quelle del Klüber, infine, era, a dire del
Martens, più apparente che reale, più di forma che di sostanza, dato che anche
il professore di Heidelberg aveva compreso nell’elenco dei diritti naturali delle
genti quello di mettere in atto azioni di difesa in caso di ingiusto e smisurato
accrescimento di una potenza straniera. 94 Dopo l’impresa di Napoleone che
aveva tentato di soggiogare tutte le nazioni «dont nominalement la souverai-
neté était encore conservée», i trattati conclusi tra il 1814 e il 1819 sem-
bravano al Martens aver assicurato le «repos de l’Europe». In aggiunta, in
considerazione del fatto che la maggior parte delle potenze aveva preso parte
alla loro stipulazione, ciascuna di loro doveva essere autorizzata a prendere
provvedimenti qualora la ripartizione dei territori e dei possessi stabilita da
quei trattati fosse stata messa a rischio. A questo punto, concludeva il
Martens, era irrilevante discutere se il sistema dell’equilibrio fosse fondato
sul diritto naturale delle genti oppure sui trattati. 95
Claudia Storti 79
Nel 1795 – anno di pubblicazione di due volumi sui fondamenti e sulla storia
del law of nations dell’inglese Robert Ward 100 – e in coincidenza (tra 1795 e
1796) con le edizioni statunitensi, come rilevato, delle opere del Martens e del
Law Lectures, New York, printed by G. Forman for the Author 1795 (rist.
Littleton Colo.: F.B. Rothman 1991), p. III On the law of nations). Nel 1798,
con l’appoggio di John Jay divenne Justice of the Supreme Court. Cfr. John
Duer (1782–1858), A discourse on the life, character, and public services of
James Kent, late chancellor of the state of New-York, delivered by request,
before the judiciary and bar of the city and state of New-York, April 12, 1848,
New-York: D. Appleton & Company; Philadelphia: G. S. Appleton 1848, in
part. pp. 10–33. Il suo contributo al miglioramento delle procedure e al
consolidamento del ruolo della Corte Suprema e delle sue decisioni dipese
non soltanto dalla sua fermezza e dedizione al lavoro, ma anche dallo studio
esteso, dopo gli anni della laurea, ai testi della scienza giuridica europea in
lingua francese (Domat Pothier ecc.) e alla cultura classica greca e latina, se-
condo gli insegnamenti di Selden, Hale, Holt e Mansfield (Duer, A discourse,
pp. 33–39). Curò soprattutto le questioni di diritto internazionale (in part.
p. 38) e si dedicò alla redazione dei reports delle decisioni dal 1803 (pp. 40ss).
Nel 1814 assunse l’incarico di Chancellor of the State, nella riformata Court of
Equity e lo mantenne fino al 1823 (pp. 52–57). Una ventina di reports di
decisioni di James Kent è compresa in United States reports: cases adjudged in
the Supreme Court, Washington: U.S. Govt. Print. Off. 1798, nonché in A
digest of the decisions of the Supreme Court of the United States from the
Establishment in 1789 to January term, 1829, New York: Banks, Gould
[1829]. Terminata l’attività giudicante, durante il secondo periodo di insegna-
mento al Columbia College, scrisse (Duer, A discourse, pp. 70–72) i Com-
mentaries on American Law, New York: Halsted 1826–1830, che sostituirono
negli Stati Uniti i Commentaries on the Laws of England del Blakstone (Duer,
A discourse, pp. 78–79) ed ebbero un numero ingente di ristampe e amplia-
menti, in parte da lui stessi curati per tutta la durata della sua vita (1832, 1836,
1840 e 1844), in parte postumi e resisi necessari anche per il fatto che le sue
opinioni erano continuamente citate nelle corti locali e federali (ibidem, p. 73).
Tra questi cfr. in particolare Kent’s Commentary on International Law, revised
with notes and cases brought down to the present time, ed. by J. T. Abdy, LL.
D., Barrister at Law, Regius Professor of Laws in the University of Cambridge
and Law Lecturer at Gresham College, Cambridge: Deighton, Bell, and co.,
London: Stevens and Sons 1866 (ripubblicato ancora nel 1878).
100 Robert Plumer Ward (1765–1846), An Enquiry into the Foundations and
History of the Law of Nations in Europe from the time of the Greeks and
Romans, to the age of Grotius, by Robert Ward of the Inner Temple. Esq.
Barrister at Law, in two volumes, London, printed by A. Strahan and W.
Woodfall, for J. Butterworth 1795, in part. vol. I, pp. 329–344 e vol. II,
pp. 231–250. Ward fu anche autore di un trattato sulla guerra per mare e sui
diritti degli stati neutrali A Treatise of the relative rights and duties of belli-
gerent and neutral powers, in maritime affairs: in which the principles of
armed neutralities, and the opinions of Hubner and Schlegel are fully discus-
sed; t. 2: An essay on contraband being a continuation of the treatise of the
relative rights and duties of belligerent and neutral nations, in Maritime affaire,
Claudia Storti 81
Martens, 107 dalla stretta connessione tra i caratteri del diritto pubblico
interno e il conseguente atteggiamento assunto dagli Stati nei rapporti inter-
nazionali. 108
Una trentina d’anni più tardi, nei primi Commentaries on American Law
ideati innanzitutto a scopo didattico e pubblicati tra il 1826 e il 1830,
nonostante ribadisse come l’adesione ai principi del diritto internazionale
europeo fosse stata espressa dal Congresso a suo tempo in piena auto-
nomia, 109 il Kent attenuò l’originaria connotazione relativistica del Law of
Nations e, malgrado la rinnovata adesione alle tesi di Montesquieu e Vattel, –
manifestò espressamente la necessità di integrare la teoria dei rapporti inter-
nazionali con il ricorso ai principi razionali e morali. 110
Claudia Storti 83
quello della non interferenza: «It is a necessary consequence of this equality
that each nation has a right to govern itself as it may think proper, and no one
nation is entitled to dictate a form of government, or religion, or a course of
internal policy to another». La necessità di giustificare la recente esperienza
dell’indipendenza statunitense era, ad evidenza, alla radice del pensiero del
Kent, che indicava tuttavia come autorità per lo svolgimento del proprio
pensiero Grozio, 115 Vattel 116 e Rutherforth. 117
Il rispetto dell’indipendenza altrui aveva un limite nel diritto di auconser-
vazione; la difesa dei propri diritti tramite la guerra, inoltre, era giustificabile
soltanto in caso di pericolo grave, certo ed imminente, come più di recente
avevano sostenuto, in dottrina, il Klüber e, nei fatti, il governo inglese con
riguardo alla crisi sudamericana. All’autorità di quest’ultimo e a quella di
Pinheiro – Ferreira il Kent riferiva le soluzioni, da adottarsi caso per caso, in
merito all’eventuale sostegno da offrirsi ai ribelli nei confronti del loro
governo e al riconoscimento di un nuovo Stato. 118
115 Hugo Grotius, De iure belli ac pacis libri tres in quibus ius naturae et
gentium, item iuris publici praecipua explicantur, ed. P. C. Molhuysen prae-
fatus est C. van Vollenhoven, Lugduni Batavorum: A. W. Sijthoff 1919, Lib. I,
cap. 3 Belli partitio, sec. 8 e cfr. in part. 2. «Sicut multa sunt vivendi genera,
alterum altero praestantius, et cuique liberum est ex toto generibus id eligere
quod ipsi placet; ita et populus eligere potest qualem vult gubernationis
formam: neque ex praestantia huius aut illius formae, qua de re diversa
diversorum sunt iudicia, sed ex voluntate ius metiendum est» (il corsivo è di
chi scrive). Kent forse citava Grozio da Vattel o da Rutherforth, data la tardiva
diffusione del testo di Grozio negli Stati Uniti sulla quale cfr. oltre n. 244 ss.
116 Vattel, Le droit des gens (n. 11), liv. II, chap. IV § 54: «C’est une conséquence
manifeste de la liberté et l’indépendance des nations, que toutes sont en droit de
se gouverner comme elles le jugent à propos, et qu’aucune n’a le droit de se
mêler du gouvernement d’une autre». Ne conseguiva che nessuno Stato
avrebbe potuto ergersi a giudice della politica interna di un altro Stato,
quantunque nel caso di esercizio del diritto di resistenza di un popolo contro
il sovrano tirannico, le potenze straniere, purché questo non desse adito a
«odieuses manœuvres contre la tranquillité des états», avrebbero potuto dare
sostegno ai ribelli, come già era avvenuto in diverse circostanze (§§ 55–56,
pp. 273–276).
117 Thomas Rutherforth (1712–1771), Institutes of natural law being the
substance of a course of lectures on Grotius De jure belli et pacis. Read in
S. Johns College, Cambridge, by T. Rutherforth, d. d. F. R. S. Archdeacon of
Essex and Chaplain to her Royal Highness The Princess Dowager of Wales,
vol. II, Cambridge [Eng.]: printed by J. Bentham 1756, in which are explaned
The rights and obligations of mankind considered as members of civil societies,
in part. vol. II, chap. IX–X.
118 Kent, Commentaries on American Law 1826 (n. 99), pp. 21–23 e anche
5
1844, p. 23. Oltre che a Grozio e a Vattel il riferimento era a Klüber e cfr.
sopra n. 98 et oltre n. 194.
119 Joseph Story (1779–1845), giudice nella corte suprema dei neonati Stati Uniti
d’America, docente a Harvard, interprete della nuova costituzione americana e
della giurisprudenza di equity tra vecchio e nuovo mondo, “antenato”
statunitense del dritto comparato e dello stesso diritto “americano”, nonché
autore di un trattato di diritto internazionale privato, sul conflitto delle leggi
che esordisce con un’ampia rassegna della dottrina continentale sul diritto delle
genti a partire da Bartolo da Sassoferrato. Joseph Story, Commentaries on the
conflict of laws foreign and domestic in regard to contracts rights and remedies
and especially in regard to marriages, divorces, wits, successions, and judg-
ments, Boston 11835; Boston: Little, Brown, and company 1883 (dal quale
cito), in part. pp. 414–417 sul quale si può vedere, innanzitutto, un importante
capitolo di Max Gutzwiller, Le développement historique du droit inter-
national privé, in: Recueil des Cours 29, IV (1929), pp. 332–351. Tra le
raccolte di scritti dello Story: The miscellaneous writings of Joseph Story,
associate justice of the Supreme Court of the United States and Dane Professor
of law at Harvard University, edited by his son William W. Story (1852),
Union, N.J.: Lawbook Exchange, 2000; Joseph Story. A collection of writings
by and about an eminent American jurist. Selected and edited by Mortimer D.
Schwartz and John C. Hogan, New York: Oceana Publications 1959.
Nell’ambito dei numerosi studi sull’opera e sull’attività di Joseph Story mi
limito ad indicare: Roscoe Pound (1870–1964), The place of Judge Story in
the making of American law, Cambridge [Mass.]: University Press 1914;
Eduard Lambert, L’ancêtre américain du droit comparé; la doctrine du juge
Story, par Édouard Lambert et J. R. Xirau, Paris: Recueil Sirey 1947.
Claudia Storti 85
sostenuto l’assenza di giurisdizione degli Stati Uniti su un vascello francese, di
proprietà di Francesi, in acque extraterritoriali e la consegna del vascello
catturato non a questi ultimi bensì al governo francese. 120 Le incriminazioni
erano fondate sulla violazioni delle leggi francesi, degli slave trade acts degli
Stati Uniti e del law of nations.
Le premesse alla decisione erano molto articolate: innanzitutto, i titoli
prodotti dagli attori non erano sembrati sufficienti per confermare l’elemento
della nazionalità francese della nave; in secondo luogo, la corte non aveva
ritenuto di poter accondiscendere alle pressioni del procuratore distrettuale
(district attorney) affinché, accogliendo l’eccezione di giurisdizione presentata
dal governo francese, si astenesse dal giudizio sul merito e consegnasse la
nave, diversamente da quanto preteso dagli attori, al suo console in modo che
la decisione della causa fosse trasferita ai tribunali della Francia. Story
rilevava che, da parte sua, non avrebbe avuto alcuna difficoltà a rimettersi
alle indicazioni così ricevute (indicazioni o auspici, beninteso, e non ordini,
poiché il governo non aveva il potere di dare direttive alla corte), dato che
questo gli avrebbe consentito di esimersi dalla grave responsabilità di decidere
un caso così complesso. Gli era stato tuttavia impossibile adeguarsi a tale
indicazione, poiché gli attori (non volendo evidentenemente sottostare nem-
meno alla giurisdizione francese) si erano opposti a tale procedura e avevano
insistito per ottenere personalmente dalla corte la restituzione del vascello.
Nonostante le richieste dei governi statunitense e francese, la corte aveva
dovuto pertanto sottostare al dovere imposto dalla legge di pronunciare
sentenza. 121
120 United States v. The Schooner La Jeune Eugenie, Raibaut and Labatut,
Claimants, United States. Circuit Court, First Circuit, 1822. Il testo integrale
è reperibile on line http://www.archive.org/details/areportcasejeun00circgoog.
Un ampio estratto è pubblicato in Dickinson, A selection of cases and other
Readings on the law of Nations (n. 17), pp. 13–20, in part. pp. 13–14.
121 Ibidem, in part. p. 19: «[…] But at a late period in this cause, by direction of
the president, a suggestion has been filed by the District Attorney, expressing a
willingness to yeld up the vessel to French government, or its consular agent,
for the purpose of remitting the case for ultimate adjudication to the domestic
forum of the sovereign of the owners. To a suggestion of this nature this court
is bound to listen with the most respectful attention. It is understood to be, not
a direction to the court, for that is beyond the reach of executive authority, but
an intimation of the wishes of the government, so far as its own rights are
concerned, to spare the court any farther investigation. If it had seemed fit to
all parties, whose interests are before the court, to agree to the course held out
by this suggestion, it would have relieved my mind from a weight of
responsibility, which has most haevily pressed upon it. But the French
claimants resist this course, and require, that the property should be delivered
over to their personal possession, and not to the possession of their souvereign.
Under such circumstance this court must follow the duty prescribed to it by
law, independently of any wishes of our own government or of France».
122 Ibidem, p. 15. Il commercio degli schiavi comportava «corruption and plunder
and kidnapping. It creates and stimulates unholy wars for the purpose of
making captives. It desolates whole villages and provinces for the purpose of
seizing the young, the feeble, the defenceless, and the innocent. It breakes down
all the ties of parent, and children, and family, and country. It shuts up all
sympathy for human suffering and sorrows. […]».
Claudia Storti 87
Alcuni principii fondamentali (doctrines) che la Gran Bretagna e gli Stati
Uniti avevano di recente considerato elementi del law of nations e posti in atto
non erano ancora stati riconosciuti dalle altre nazioni: cionostante erano stati
sanzionati con la confisca dei beni, nella convinzione che essi corrispondes-
sero a diritti e doveri fondamentali delle nazioni tanto di quelle belligeranti
quanto di quelle neutrali. Altre regole del diritto delle prede, considerate come
fondamentali da Gran Bretagna e Stati Uniti, avevano provocato persino una
decisa ostilità negli illuminati e potenti Stati europei, come il diritto di
perquisizione e la regola secondo cui «free ships do not make free goods» e
nondimeno continuavano ad essere applicati da quesi due Paesi sulla base di
ragioni incontrastabili anche alle navi di altre nazioni. 123
In ogni caso, era inequivocabile, secondo lo Story, che qualsiasi regola
ragionevolmente e correttamente dedotta dai diritti, dai doveri e dagli
obblighi morali delle nazioni dovesse essere teoricamente considerata come
parte integrante del diritto delle nazioni: «But I think it may be unequivocally
affirmed, that every doctrine, that may be fairly deduced by correct reasoning
from the rights and duties of nations, and the nature of moral obligation, may
theoretically be said to exist in the law of nations». 124 Era ben vero che
l’effettività di queste regole avrebbe potuto subire attenuazioni o deroghe in
conseguenza dell’opinione contraria delle nazioni evidenziata dalla prassi e
dalle consuetudini, ma, come egli non esitava a replicare, nessun genere di
prassi aveva il potere di cancellare la distinzione tra il bene e il male.
L’esistenza di un principio fondamentale ed eterno era indipendente dal suo
riconoscimento e dalla pratica attuazione da parte degli Stati in particolari
momenti storici. In aggiunta, ogni nazione era libera di rendere esecutivo il
principio più giusto quando, come nel particolare caso in esame, entrambe
avessero convenuto sulla ingiustizia o sulla crudeltà dell’ atto posto in essere
da una di loro.
Nel caso specifico della tratta degli schiavi, infatti, che costituiva una
violazione sia dei principii fondamentali ed universali del law of nations, sia di
uno degli essenziali doveri cristiani, sia delle massime eterne di giustizia e della
morale, si doveva innanzitutto affermare che tale pratica era inaccettabile per
qualsiasi sistema giuridico fondato sull’autorità della ragione o della religio-
ne: «and it is sufficient to stamp any trade as interdicted by public law, when
123 A questo proposito, si può ritenere che lo Story facesse riferimento appunto ai
principi sottostanti allo Slave Trade Act britannico del 1807 che gli Stati Uniti
avevano sottoscritto nello stesso anno.
124 Ibidem, p. 17.
Claudia Storti 89
schiavi e rilevò tra l’altro, contrariamente a quanto sostenuto dal giudice
Story, che, proprio al tempo della decisione della corte suprema appena
ricordata, in Francia, non solo non vi erano stati atti formali di abolizione
della tratta, ma anche che l’opinione pubblica era insensibile al problema. 126
La coraggiosa teoria di Story ebbe, come egli stesso aveva previsto, esiti
diplomatici disastrosi. Adams, allora segretario di Stato degli Stati Uniti, con
una nota al ministro francese, dovette rinunciare formalmente a svolgere
ispezioni su qualsiasi nave e non soltanto sulle navi battenti bandiera francese,
in alto mare e in tempo di pace, motivate dall’esigenza di sopprimere la tratta
degli schiavi e riconobbe un’indennità al governo francese per la cattura del
schooner La Jeune Eugenie oggetto appunto della controversia appena
esaminata. 127
Fu così che, proprio in nome dell’indipendenza e della libertà delle nazioni,
solo tre anni più tardi, la tesi sostenuta da Story fu completamente smentita
dal chief justice John Curtis Marshall in occasione del celebre caso Antelo-
pe. 128
Una nave di bandiera venezuelana, che aveva a bordo schiavi africani
catturati in successivi scali da trafficanti portoghesi, spagnoli e da un
americano, era stata trovata in acque territoriali statunitensi e catturata. La
proprietà dei circa duecento ottanta schiavi era stata rivendicata dai consoli
spagnolo e portoghese e dall’imprenditore statunitense John Smith che
sosteneva di averli catturati jure belli. Il governo degli Stati Uniti li rivendicava
a sua volta sia con riguardo al fatto del cittadino americano che aveva violato
le leggi statunitensi, sia perché si riteneva legittimato a concedere la libertà
agli schiavi in applicazione delle leggi statunitensi e del law of nations. 129
126 Henry Wheaton, Enquiry into the validity of the British claim to a right of
visitation and search of American vessels suspected to be engaged in the
African slave-trade, Philadelphia: Lea & Blanchard 1842, in part. p. 49.
127 Cfr. in proposito Dickinson, A Selection (n. 17), p. 25.
128 John Marshall nel 1782 fu eletto alla House of Delegates della Virginia e fu
sostenitore della ratifica della Costituzione americana; sotto la presidenza di
George Washington rifiutò diversi incarichi federali, eccettuato quello di
membro della commissione istituita per intensificare i rapporti con la Francia.
Fu successivamente eletto al Congresso, collaborò con il presidente John
Adams e nel 1801 fu nominato Chief Justice della Corte Suprema. Le sue
decisioni furono fondamentali per la fissazione di alcuni punti cardine del
sistema costituzionale statunitense e per il rafforzamento dell’autorità della
Corte Suprema come terzo potere dello Stato. Morì nel 1835 ed è celebrato tra
I Padri Fondatori degli Stati Uniti quantunque non avesse sottoscritto né la
dichiarazione di indipendenza, né la costituzione. Jeremiah Mason disse di lui
che era riuscito ad evitare il fallimento del nuovo Stato.
129 The Antelope, The Vice-Consuls of Spain and Portugal, libellants. United
States. Supreme Court. 1825, in: Dickinson, A Selection (n. 17), pp. 20–25, in
part. p. 20. (Il testo completo in Henry Wheaton, Reports of cases argued
and adjudged in the Supreme court of the United States. February term, 1816[
– January term, 1827), I–XII, New York: R. Donaldson 1825, vol. X, p. 66,
che non ho potuto consultare).
130 Dickinson, A Selection (n. 17), p. 21.
Claudia Storti 91
dunque, la tratta degli schiavi era legale e qualora una nazione vi avesse
rinunciato, questo era irrilevante per tutte le altre, dato che lo stesso diritto
internazionale, i cui contenuti erano appunto stabiliti dalla pratica generale,
era fondato sul principio della perfetta uguaglianza delle nazioni: «Russia and
Geneva have equal rights. It results from this equality, that no one can
rightfully impose a rule on another». 131
Nessuna nazione aveva il potere di imporre una regola alle altre, né di
prescrivere i principi del diritto delle nazioni: nel caso specifico, tale traffico
rimaneva legale per tutti gli Stati che non l’avevano proibito. Quanto alle
procedure di ispezione delle navi, gli Stati Uniti non potevano che limitarsi a
condannare le navi battenti bandiera americana che avevano catturato navi
straniere senza che queste avessero violato il diritto statunitense. 132
Il contrasto tra le due sentenze, dopo l’incidente diplomatico che la prima
aveva provocato, evidenzia, con un esempio concreto e più di qualsiasi
trattazione teorica, come l’efficacia del diritto internazionale potesse essere
messa in discussione, sia sotto il profilo del sistema delle fonti, sia sotto quello
dei contenuti. Il contrasto tra la libertà dell’individuo e la libertà delle nazioni,
evidente in tema di schiavitù e di tratta degli schiavi, metteva chiaramente in
luce come qualsiasi violazione di un principio fondamentale del diritto
naturale compiuta con atto interno o trattato o per prassi, in quanto derivante
dalla indiscussa e indiscutibile libertà e indipendenza degli stati medesimi,
rischiasse di togliere validità al complessivo sistema del law of nations. A
questo proposito, era già ben chiaro come solo un ridimensionamento del
principio dell’indipendenza e della libertà delle nazioni avrebbe consentito la
piena affermazione del diritto internazionale come tale.
strictures on the late production of Mons. de Colonne, 3rd. ed., with additions,
London: printed for G. G. J. and J. Robinson 1791 e cfr. sulla vita e l’opera di
James Mackintosh: J. G. Marvin, Sketch of the Life of Sir James Mackintosh,
in: James Mackintosh, Discourse on the study of the law of Nature and
Nations, together with a collected list of works upon International Law,
Boston: Pratt and Company 1843 (dal quale cito), pp. XV–XVII.
134 Edmund Burke (1729–1797), Reflections on the revolution in France and on
the proceeding in certain societies in London relative to that event in a letter
intended to have been sent to a gentleman in Paris, London: J. Dodsley in Pall-
Mall, 21790 e cfr. ora Edmund Burke, edited by Iain Hampsher Monk,
Farnham, Burlington: Ashgate 2009.
135 Il testo del discorso fu pubblicato con il titolo Discours de James Mackintosh
sur l’étude du droit naturel et du droit des gens, traduit par M. Royer Collard,
anche in Wheaton, Histoire des progrès (n. 11), t. II, pp. 449–455 e cfr. anche
pp. 59, 176–177 e 393 ss.
136 Mackintosh, Discourse (n. 133), in part. p. 46: «Hence the writers on
general jurisprudence have considered states as moral persons; a mode of
expression which has been called a fiction of law, but which may be regarded
with more propriety as a bold metaphor, used to convey the important truth,
that nations, though they acknoledge no common superior, and neither can nor
ought to be subjected to human punishment, are yet under the same obligations
to practise honesty and humanity, which would have bound individuals, if they
were no compelled to discharge their duty by the just authority of magistrates,
and if they could be conceived even to have ever subsisted without the
protecting restraints of government».
Claudia Storti 93
La definizione generale di law of nature indicava che tali regole e principi
dovevano essere adottati per promuovere la felicità dell’uomo (i Principles of
International Law e i Principles of Morals and Legislation del Bentham erano
stati pubblicati nel 1789). 137 La coscienza umana rendeva tali regole immu-
tabili: «in other words, as long as he continues to be man, in all the variety of
times, places, and circumstances, in which he has been known, or can be
imagined to exist». 138
Era indubbio che esistessero tra le nazioni europee più stretti legami, dovuti
alle più varie cause: dalla dominazione dei «Goti» che aveva loro impresso i
caratteri «of the rude but bold and noble outline of liberty», alla religione
comune, dall’analogia di comportamenti, istituzioni, linguaggio, religione e
civilizzazione, alle relazioni commerciali, dalla contesa per il potere, allo
studio delle scienze e soprattutto ad una comune sensibilità («and above all,
that general mildness of character and manners which arose from the
combined and progressive influence of chivalry, of commerce, of learning
and of religion»). La gestione di tali vincoli aveva reso essenziale la ricerca e la
formazione di «a precise and comprehensive code of the law of nations» che si
era realizzata a partire dal Seicento, quando la rinascita del sapere, tramite il
superamento della barbarous dottrina medievale e lo studio scientifico della
storia e della letteratura romana, era andata di pari passo con un assesta-
mento nella distribuzione del potere tra gli Stati europei: «after that regular
distribution of power and territory which has subsisted, with little variation,
until our times». 139
James Mackintosh si era dedicato ad una rilettura dell’opera di Grozio. Di
quest’ultimo celebrava, innanzitutto, oltre alle straordinarie doti di carattere,
la capacità di contemperare incarichi pubblici di altissimo livello e impegno
scientifico, 140 che lo avevano condotto, non solo a dare una nuova struttura
tium cura Facultatis Iuridicae Lugduno-Batave edita, t. VI, nr. XIII), Lugduni
Batavorum: E. J. Brill 1926, pp. 1–81, in part. pp. 34–36.
141 Mackintosh, Discourse on the study of the law of Nature and Nations
(n. 133), pp. 53–57.
142 Ibidem, in part. pp. 56–57: «He was not such a stupid and servile cast of mind,
as to quote the opinions of poets and orators, of historians and philosophers,
as if they were judges, from whose decision there were no appeal. He quotes
them as he tell us himself, as witnesses whose conspiring testimony, mightily
strengthened and confirmed by their discordance on almost every other
subject, is the conclusive proof of the unanimity of the whole human race on
the great rules of duty and the fundamental principles of morals. […] Surely no
system of moral philosophy can disregard the general feelings of human nature
and the according judgement of all ages and nations. But where are these
feelings and that judgement recorded and preserved? In those very writings
which Grotius is gravely blamed for having quoted. The usages and law of
nations, the events of history, the opinions of philosophers, the sentiments of
orators and poets, as well as the observation of common life are, in truth, the
materials out of which the science of morality is formed; and those who neglect
them are justly chargeable with a vain attempt to philosophize without regard
to fact and experience, the sole foundation of all true philosophy».
143 Ibidem, p. 58.
Claudia Storti 95
adottare nei rapporti internazionali senza riguardo alle attitudini e ai caratteri
nazionali.
Grazie al progresso delle conoscenze, derivato anche dall’approfondimento
dei contatti diretti con tutte i popoli della terra, uomini di cultura e filosofi
erano giunti alla conclusione che con poche, marginali eccezioni, pur nella
varietà dei governi e delle istituzioni e nonostante la spettacolare moltitudine
di usi e riti, le medesime verità e i medesimi principii, quasi «guardiani» della
società umana, erano riconosciuti e rispettati da tutte le nazioni e uni-
formemente insegnati. 144 L’opera di Montesquieu, doveva pertanto essere
apprezzata, nonostante alcuni difetti che lo scozzese non mancava di rilevare,
per la considerazione generale secondo la quale «the spirit of laws will still
remain, not only one of the most solid and durable monument of the power of
human mind, but a striking evidence of the inestimable advantages which
political philosophy may receive from a wide survey of the various conditions
of human society». 145
Fu questo scritto del Mackintosh, più che i suoi successivi interventi alla
Camera di Comuni sul tema del riconoscimento delle repubbliche
dell’America centrale e meridionale, che sembra aver avuto maggior influenza
sul Wheaton e dopo di lui su Ludovico Casanova. 146
Possiamo ben dire che le tesi scientifiche del Mackintosh tardarono, invece,
ad attecchire in Inghilterra. Un’acuta analisi dei caratteri della “scienza” del
Law of nations fu condotta dall’inglese William Oke Manning, un autore per
lo più dimenticato dagli storici di diritto internazionale, che nel 1839, tre anni
dopo la prima edizione degli Elements di Henry Wheaton, segnalò il para-
dosso della dottrina inglese e propose la propria opera come il primo
«systematic treatise on the Law of Nations by an english writer». 147
L’Inghilterra era stata la culla di questa disciplina giuridica, grazie all’opera
di un rifugiato straniero, Alberico Gentili, e quella di Richard Zouch, 148
leges quae rem militarem, & ordinem personarum nec non juris & judicii
maritimi ad quam quae navigationem et negotiationem maritimam respiciunt,
referuntur, Oxoniae: Excudebat Leonardus Lichfield 1640; The jurisdiction of
the admiralty of England asserted, against Sr. Edward Coke’s Articuli admi-
ralitatis, in XXII chapter of his jurisdiction of courts, London: Printed for
Francis Tyton, and Thomas Dring 1663), ha lasciato opere di diritto civile e
feudale: Elementa iurisprudentiæ: definitionibus, regulis, et sententijs selectio-
ribus iuris civilis illustrata, Oxoniæ: Excudebat Iohannes Lichfield 1629; Cases
and questions resolved in the civil-law, collected by R. Zouche, Oxford:
Printed by Leon. Lichfield, for Tho. Robinson 1652; Descriptio iuris et iudicii
feudalis, secundum consuetudines Mediolani & Normanniæ pro introductione
ad studium iurisprudentiæ Anglicanae, Oxoniæ: Excudebat Iohannes Lichfield
1634. Un suo giudizio in materia di responsabilità penale degli ambasciatori e
di immunità delle sedi diplomatiche fu pubblicato in Solutio quæstionis veteris
et novæ, sive de legati delinquentis judice competente dissertatio, in quam Hug.
Grot. eadem de re sententia explicatur, expenditur, & adseritur, avctore
Richardo Zoucheo … cum notis & animadversionibus Christiani Henelii,
Coloniæ ad Sprevum: impensis R. Völckeri 1669; A Dissertation Concerning
the Punishment of Ambassadors, Who Transgress the Laws of the Countries
where they reside; founded upon the Judgment of the Celebrated Hugo Grotius
clear’d from many Objections, and exemplify’d with various Arguments and
Authorities, both Antient and Modern. Written Originally in Latin by the
Learned Dr. Richard Zouch, sometime Professor of the Civil Law in the
University of Oxford, done into English, with the Addition of a Preface
concerning the Occasion of Writing this Treatise, by D.J. Gent, London:
Printed by J. Darby, and Sold by S. Baker, at the Black-Boy and Anchor in
Pater-noster-Row, M.DCC.XVII. Sue decisioni e pareri divennero anche og-
getto di un’opera collettanea pubblicata a Boston Extracts from Godolphin,
Sea laws, Jenkins, Malyne, Zouch and Exton of all the parts of those treatises
which relate to the admiralty jurisdiction in cases of contracts: also, the
commission of George III to the Vice Admiralty Court in New Hampshire
in 1776, and an abstract of the records of the Vice Admiralty Court in
Massachusetts prior to the revolution, Boston: Howe & Norton 1826. Cfr.
sulla dottrina inglese di età moderna e su Richard Zouch: Peter Stein, English
Civil Law Literature, in: Ins Wasser geworfen (n. 8), pp. 979–992, in part.
pp. 986–989.
149 Manning, Commentaries on the law of Nations (n. 147), Preface, pp. V–VI.
Claudia Storti 97
questo diritto consisteva, infatti, nella fissazione di principi generali e nella
deduzione da tali principi astratti delle conseguenze pratiche. Era pertanto
estraneo al modo di ragionare degli Inglesi, notoriamente insofferenti alle
astrazioni, 150 e più consentaneo alla «jurisprudence of the continent», che
aveva sviluppato criteri metodologici di questo genere nello studio del diritto
romano, e alla Scozia, dove il genio di James Mackintosh aveva prodotto il
breve scritto sul law of nations, rimasto purtoppo incompiuto in quanto
l’autore non era mai riuscito a dare alle stampe tutti i frutti del suo lavoro. 151
Nelle trattazioni sul law of nations non si poteva prescindere da un
ragionamento sui principi generali e proprio a questo cercò di corrispondere
William Oke Manning. 152 L’indeterminatezza del diritto internazionale si
evidenziava persino nella difficoltà di trovare un’esatta denominazione per la
materia. Il termine inglese law, pur nell’indubbia molteplicità di significati
(come egli sosteneva nella critica ad Austin), 153 non era sinonimo di jus, ma
corrispondeva piuttosto sia a law, sia a right, sia ad obbligazione morale. La
traduzione più corretta di jus gentium, invece che law of nations, sarebbe
stata quella di rights of nations, simile al francese droit public e proprio in tal
senso James Mackintosh aveva utilizzato la locuzione law of nations.
Il problema del diritto internazionale (secondo la denominazione della
quale Bentham aveva rivendicato la paternità) non stava, naturalmente,
soltanto nella denominazione, ma anche nei contenuti. 154 La contrapposizio-
ne tra il metodo giuridico britannico (ad eccezione di quello del Mackintosh) e
la jurisprudence continentale derivava dalla refrattarietà degli Inglesi ad
utilizzare il diritto di natura come fondamento del diritto internazionale. A
suo giudizio, proprio per questo gli Inglesi avevano evitato uno studio
sistematico del law of nations. Principi quali the cultivation of the soil,
commerce, the care of the public ways, money, piety and religion, justice
and polity erano considerati soltanto come «tedious common-places to
politicians in this country» e del tutto irrilevanti rispetto al law of nations
155 Ibidem, p. 3.
156 Richard Wildman (1802–1881), Institutes of International Law, by Richard
Wildman, Esq., of the Inner Temple, Barrister at Law, Recorder of Not-
thingham, vol. I, International Rights in Time of Peace, London: William
Benning & co., Law Booksellers 1849, e Philadelphia: T. & J. W. Johnson
1850, p. 36.
157 Ibidem, pp. 23 ss.
158 Wildman, Institutes of International Law (n. 156), vol. I, p. 36–37: «To
ascertain the unwritten law of nations, says Chief Justice Marshall, we resort to
the great principles of reason and justice; but as these principles will be
differently understood by different nations under different circumstances, we
consider them as being in some degree fixed by a series of judicial decisions».
159 Ibidem, pp. 24 ss.
160 Ibidem, pp. 6 ss.
161 Robert Phillimore (1810–1885), Commentaries upon International Law by
Robert Phillimore M. P. of the College of Advocates and of the Middle Temple,
author of the Law of Domicil, vol. I–III, Philadelphia: T. & J. W. Iohnson, Law
Booksellers 1854, vol. I, p. XI n. o e p. XXIII.
162 Ibidem, History of International Jurisprudence in England, pp. XI–XXIII. Tali
considerazioni furono oggetto di una sua lettera a Gladstone e cfr. The practice
and courts of civil and ecclesiastical law, and the statements in Mr. Bouverie’s
Claudia Storti 99
dovuto, infatti, considerare che quantomeno dall’epoca dei Tudors, i maggiori
studiosi, docenti ed esperti, collaboratori della Corona per le questioni
relative ai rapporti internazionali, erano stati civilians. 163 Egli elencava, tra
i più celebri, Richard Zouch, successore di Alberico Gentili nella cattedra di
Oxford, Leoline Jenkins, 164 George Lee, 165 celebrato da Montesquieu e da
Vattel per la sua risposta al memoriale del re di Prussia, 166 secondo nella
storia della giurisprudenza inglese soltanto a Lord Mansfield, e, infine,
appunto, Lord William Scott Stowell. 167
A proposito di Stowell giudice della corte dell’Admiralty per l’intera durata
del periodo napoleonico e autore di un trattato sul diritto delle prede, già
celebrato da William Owe Manning e da James Kent per la sua imparzia-
lità, 168 Phillimore sostenne, inoltre, che le sue decisioni sarebbero state
improntate dalla concezione della superiorità del diritto delle genti sul diritto
consuetudinario e convenzionale inevitabilmente condizionato, invece, dalla
“forza” e dalla “convenienza”. 169 In realtà, come rilevato anche dal Kosters,
speech on the subject, examined, with observations on the value of the study of
civil and international law in this country, in a Letter to the Right Hon. W. E.
Gladstone, by Robert Phillimore, London: W. Benning 1848.
163 Phillimore, Commentaries upon International Law (n. 161), vol. I, pp. XVII
ss.
164 Ibidem, pp. XIX–XX con riferimenti a William Wynne (1649–1711), The life
of Sir Leoline Jenkins, ambassador and plenipotentiary for the general peace at
Cologne and Nimeguen and secretary of state to K. Charles II, and a compleat
series of letters from the beginning to the end of those two important treaties,
London: Printed for J. Downing 1724.
165 Reports of cases argued and determined in the Arches and Prerogative Courts
of Canterbury, and in the High Court of Delegates containing judgments of the
Right Hon. Sir George Lee, by Joseph Phillimore, London: Saunders and
Benning 1832–33; Frederic Thomas Pratt (1799–1868), Law of contra-
band of war: with a selection of cases from the papers of the Right Hon. Sir
Geo. Lee and an appendix, containing extracts from treaties, miscellaneous
papers, and forms of proceedings. With the cases to the present time, London:
W. G. Benning & co. 1856.
166 Phillimore, Commentaries upon International Law (n. 161), vol. I, pp. XX–
XXI.
167 Ibidem, vol. I, pp. XXI–XXII.
168 Manning, Commentaries on the law of Nations (n. 147), pp. 45–47.
169 Phillimore, Commentaries upon International Law (n. 161), vol. I, p. 59:
«Lord Stowell [1745–1836], in one of those judgments in the British High
Court of Admiralty which contain a masterly exposition of the principles of
International Jurisprudence, speaking of the Mahometan States in Africa,
observed “it is by the law of treaty only that these nations hold themselves
bound, conceiving (as some other people have foolishly imagined) that there is
no other law of nations, but which is derived for positive compact and
convention. The true principle is clearly stated in manifest of Great Britain
to Russia, in 1780: “His Majesty” it is said in that state paper, “has acted
towards friendly and mutual powers according to their own procedure
respecting Great Britain, and conformable to the clearest principles generally
acknowledged as the Law of Nations, being the only law between powers
where no treaties subsist, and agreeable to the tenor of his different engage-
ments with others; those engagements have altered this primitive law by
mutual stipulations proportioned to the will and convenience of the contrac-
ting parties”».
170 Jan Kosters (1874–1951), Les fondements du droit des gens: contribution à la
théorie générale du droit des gens, (Biblioteca Visseriana. Dissertationum Ius
Internationale Illustrantium, t. IV), Lugduni Batavorum: J. Brill 1925, in part.
pp. 83–84. Cfr. inoltre: Edward Stanley Roscoe (1849–1932), Lord Sto-
well: his life and the development of English prize law, London: Constable
1916 (con review di Reaburn Green in Harvard Law Review [1917],
pp. 660 ss.); Charles Spencer March Phillipps, Jurisprudence, London:
John Murray 1863, passim e in part. p. 3; Henry J. Bourguignon, Sir
William Scott, Lord Stowell, judge of the High Court of Admiralty, 1798–
1828, Cambridge, New York: Cambridge University Press 1987.
171 Phillimore, Commentaries upon International Law (n. 161), vol. I, p. XXIII.
172 Ibidem, vol. I, p. 64 ss.
173 Ibidem, vol. I, pp. 149–150. Sull’evoluzione successiva del suo pensiero
Nuzzo, Un mondo senza nemici (n. 4), pp. 1351–1354.
174 Johann Ludwig Klüber (1762–1836) prese parte al congresso di Vienna per
tutta la sua durata e ne curò la redazione degli atti in otto volumi, nonché una
sintesi in due volumi sulla fondazione della confederazione germanica: Johann
Ludwig Klüber, Acten des Wiener Congresses in den Jahren 1814 und 1815,
Erlangen: Johann Jakob Palm, J. J. Palm und Ernst Enke 1815–1818, 1835 e
id., Quellen-Sammlung zu dem öffentlichen Recht des Teutschen Bundes,
enthaltend die Schlußakte des Wiener Congresses, den Frankfurter Territorial-
receß, die Grundverträge des Teutschen Bundes und Beschlüsse der Bundes-
versammlung von allgemeinerem Interesse, 3., sehr verm. Aufl., Erlangen 1830
(anche on line http://books.google.it/books?id=C4ZBAAAAYAAJ&printsec=
frontcover&dq), e cfr., in proposito Eckhardt Treichel und Jürgen Mül-
ler, Quellen zur Geschichte des Deutschen Bundes. Ein Forschungsprojekt der
Historischen Kommission bei der Bayerischen Akademie der Wissenschaften,
http://www.ahf-muenchen.de/Forschungsberichte/Jahrbuch2000/Treichel.shtm
175 «Les agitations qu’ont éprouvées les Etats de l’Europe pendant vingt-cinq ans,
ne manqueront d’apporter quelques changemens ou modifications aux princi-
pes du droit des gens positif, qu’on a en vain espéré de voir déjà sanctionnés
par le Congrés de Vienne; mais il y a tout lieu de croire que ces changemens ne
seront ni assez nombreux ni assez prochains pour devoir retarder la publica-
tion de ce livre»: Johann Ludwig Klüber, Droit des gens moderne de
l’Europe par Jean Louis Klüber, Stuttgart: J. G. Cotta 1819, t. I, p. 6 e cfr. in
generale Préface, pp. 3 ss. Il testo di Klüber ebbe un’edizione tedesca nel 1821
con il titolo Europäisches Völkerrecht, e una nuova edizione accresciuta
francese nel 1831 (Droit des gens moderne de l’Europe par Jean Louis Klüber
avec un supplément contenant une bibliothèque choisie du droit des gens,
Paris: chez J.-P. Aillaud libraire, Rio de Janiero: chez Souza, Laemmert et c.ie
1831.
176 Così, in part. nell’edizione del 1831: Klüber, Droit des gens moderne, t. I,
pp. 10–11. Lo studio della «diplomazia» comprendeva, inoltre, l’apprendi-
mento di un gran numero di scienze «connesse»: la storia prima di tutto, la
statistica, l’economia politica e nazionale, l’arte militare, il diritto pubblico
naturale e positivo interno ed esterno, l’arte di negoziare, la pratica politica ivi
compresa la crittografia, nonché un gran numero di scienze sussidiarie tra le
quali la geografia, la diplomatica, la genealogia (pp. 13–14).
177 Johann Jacob Moser (1701–1785), Grundsätze des jetz üblichen europä-
ischen Völkerrechts in Friedenszeiten, auch anderer unter denen europäischen
Souverainen und Nationen zu solcher Zeit fürkommender willkürlicher Hand-
lungen, Franckfurt am Main: 1763; Dietrich Heinrich Ludwig Freiherr
von Ompteda (1746–1803), Litteratur des gesammten sowohl natürlichen als
positiven Völkerrechts. Nebst vorangeschickter Abhandlung von dem Um-
fange des gesammten sowohl natürlichen als positiven Völkerrechts, und
Ankündigung eines zu bearbeitenden vollständigen Systems desselben, Regens-
burg: J. L. Montags sel. Erben 1785. Il lavoro di Ompteda era stato proseguito
da Carl Albert von Kamptz (1769–1849), Neue Literatur des Völkerrechts
che non ho potuto consultare e cfr. in proposito Sherston, Halleck’s Inter-
national Law (n. 3), pp. 30–31.
178 Klüber, Droit des gens moderne de l’Europe (n. 175), 1819, t. I, pp. 3–4.
179 Ibidem, 1819, pp. 4.
dans la nature des relations réciproques des états. Il faut les éclaircir, autant que
possible, par l’histoire, les traiter sans préjugé, avec discernement et impartia-
lité, sans donner dans les hypothèses, et sans abuser de formes rationales ou de
spéculations métaphysiques. La mèthode dogmatico-historique est préférable à
celles purement dogmatiques, historiques, ou raisonnantes. Le publiciste doit
être l’ami zélé de la vérité, de l’impartialité, et du bon sens. La discussion des
controverses, ainsi que les éclaircissemens par des exemples intéressans et
illustres, sont réservés à l’exposition verbale».
186 Cfr. sopra testo corrispondente a n. 80 ss.
187 Klüber, Droit des gens moderne de l’Europe (n. 175), 1819, t. I, p. 65 ss. e
1831, pp. 61 ss.
188 Ibidem, 1819, p. 6 e cfr. anche 1831, §§ 34–35, pp. 61–64 Usage des nations
ben distinti dal diritto delle genti positivo o naturale.
189 Ibidem, 1819, p. 19 e 1831, pp. 6–7: «c’est une pure idée des diplomates ou
politiques, très-vague, simplement fondée dans un sentiment de convenance, à
qui manque par conséquent le caractère essentiel d’une source du droit des
gens».
190 Ibidem, 1831, pp. 65–66.
198 Le droit international de l’Europe (1857) (n. 2), p. 2 e (1883) (n. 197), n. 1,
p. 3 e p. 15. Il riferimento era a Wheaton, Eléments du droit international par
Henry Wheaton ex-ministre des Etats-Unis d’Amérique prés la cour de Prusse,
membre honoraire de l’Acadèmie royale des sciences de Berlin, membre
correspondant de l’acadèmie des Sciences morales et politiques dans l’Institut
de France, t. I–II, Leipzig: Brockhaus & Averarius Editeurs; Paris: A. Durand
Libraire 1848, t. I, p. 18.
199 Heffter, Le droit international de l’Europe (1857) (n. 2), p. 2.
200 Ibidem, (1857), p. 3; (1883), pp. 5–6.
201 Ibidem, (1857), p. 4; (1883), pp. 7–8.
202 Ibidem, (1857), pp. 1–2; (1883) p. 2 e cfr. anche § 6 Le droit public européen
(1857), pp. 8 ss.; 1883, p. 2 per il riferimento a «notre Europe chrétienne».
203 Cfr. in part. ibidem, Caractère des lois internationales (1857), pp. 4–5; (1883),
pp. 7–9.
204 Ibidem, (1857), p. 6; (1883), p. 10.
205 Ibidem, (1857), p. 7; (1883), p. 11.
206 Ibidem, (1857), p. 7; (1883), pp. 18–20.
210 Sull’opera di Carl Kaltenborn von Stachau (1817–1866), Kritik des Völker-
rechts, Leipzig: G. Mayer 1847, Zur Geschichte des Natur- und Völkerrechts
sowie der Politik, b. I. Das Reformationszeitalter vor Hugo Grotius, Leipzig:
G. Meyer 1848; Grundsätze des praktischen europäischen Seerechts: beson-
ders im Privatverkehre, mit Rücksicht auf alle wichtigeren Partikularrechte,
namentlich der Norddeutschen Seestaaten, besonders Preussens und der Han-
sestädte, sowie Hollands, Frankreichs, Spaniens, Englands, Nordamerikas,
Dänemarks, Schwedens, Russlands, etc., Berlin: C. Heymann 1851; cfr.
Mannoni, Potenza e ragione (n. 14), pp. 18–22.
211 Cfr. ora l’ampia disanima dell’opera del Kaltenborn di Nuzzo, Un mondo
senza nemici (n. 4), pp. 1337–1344.
212 William Penn, Essay towards the Present and Future Peace of Europe, by
Establishment of an European dyet, Parliament or Estate (1693–1694) e cfr. in
proposito George William Knowles, Quakers and peace with an introduc-
tion and notes by G. W. Knowles, of the Middle Temple, Barrister-at-Law, (The
Grotius Society Publications. Texts for students of international relations 4),
London: Sweet & Maxwell 1927, in part. pp. 4–5.
213 Charles-Irenée Castel (1658–1753), Abrégé du Projet de paix perpetuelle
inventé par le Roi Henri le Grand, aprouvé par la Reine Elisabeth, par le Roi
Jacques son successeur, par les Republiques & par divers autres Potentats,
aproprié a l’Etat présent des Affaires Générales de l’Europe, démontré infini-
ment avantageux pour tous les Hommes nés & à naitre, en générale et en
particulier pour tous les Souverains & pour les Maisons Souveraines, par Mr.
L’Abbé de Saint-Pierre de l’Académie Française, a Rotterdam: chez Jean
Spaniel Beman 1729 e cfr. in proposito anche Manning, Commentaries on
the law of Nations (n. 147), pp. 79–80.
214 Sully’s Grand Design of Henry IV from the Memoirs of Maximilien de Béthune
duc de Sully (1559–1641), with an Introduction by David Ogg, Fellow and
Tutor of New College, (The Grotius Society Publications, Texts for Students of
Works (n. 218), vol. II, pp. 535–560 anche in Jeremy Bentham’s Plan for an
universal and perpetual peace with an Introduction by C. John Colombos of
University College and the London School of Economics and of the Middle
Temple, Barrister-at-Law, (The Grotius Society Publications. Texts for students
of international relations 6), London: Sweet and Maxwell 1927, in part.
pp. 11–44 (dal quale si cita).
220 Cfr. con particolare riguardo alla Gran Bretagna, Jeremy Bentham’s Plan for an
universal and perpetual peace (n. 219), proposition I, pp. 13–18. Cfr. ora sul
dibattito relativo alle colonie spagnole del sud-America tra Sette e Ottocento,
anche per i riferimenti bibliografici e con particolare riguardo all’opinione di
Bentham, Federica Morelli, Dall’Impero alla nazione: l’economia politica e
le origini del costituzionalismo nell’America spagnola, in: Governare il mondo
(n. 4), pp. 203–223, e in part. pp. 222–223.
221 Jeremy Bentham’s Plan for an universal and perpetual peace (n. 219), pro-
position XIII, pp. 26–27.
222 Ibidem, proposition XIV, p. 27.
223 Henry Grégoire (1750–1831) nel 1788 aveva scritto sull’uguaglianza degli
ebrei e di poi si pronunciò per la liberazione degli schiavi, ma non per
l’indipendenza delle colonie, e fu eletto deputato degli Stati Generali francesi
nel 1789. Il testo della Déclaration du droit des gens fu presentato alla
Convention Nationale il 18 giugno 1793 mentre erano in discussione i capitoli
della costituzione dell’anno I, Des rapports de la République française avec les
nations étrangères, concernenti la dichiarazione di amicizia e di alleanza a tutti
i popoli “liberi” e il principio del non intervento. Cfr. in proposito: L.
Chevalley, La déclaration du droit des gens de l’abbé Grégoire 1793–1795.
Etude sur le droit international public intermédiaire. Thèse pour le doctorat
présentée et soutenue par Mme L. Chevalley, Président M. G. de Lapradelle,
239 Elihu Burritt (December 8, 1810 – March 6, 1879) filantropo e attivista, lottò
contro la schiavitù e per la pace, Lincoln lo inviò come console degli Stati Uniti
a Birmingham. Il movimento The Friends of Peace, da lui promosso nel 1848
nella prima riunione di Brussels. (Davis Ozora Stearns, Elihu Burritt: an
Apostle of international Brotherhood, New Britain, Conn. 1907).
240 Si trova una cronaca di questa riunione in Deutsche Schnellpost, 23. Aug.
1850: «Friede ist besser dann Krieg, weil ungewiss ist der Sieg. Aus diesem
Grunde haben die Freunde des Friedens um jeden Preis schon lange an der
Herstellung eines allgemeinen Weltfriedens gearbeitet und für diesen Zweck
Friedenskongresse im Jahre 1848 zu Brüssel, 1849 zu Paris, 1850 zu Frankfurt
a. M. abgehalten. Eins der tätigsten Mitglieder dieser Friedensgesellschaft,
Elihu Burrit, hat als Mittel die Einsetzung eines Völkergerichtshofs vorge-
schlagen».
241 Georg Wilhelm Friedrich Hegel (1770–1781), Grundlinien des Rechts
oder Naturrecht und Staatswissenschaft im Grundrisse, Berlin: Nicolaische
Buchhandlung 1821. Hegel, che io «maledico» per le sue opinioni sull’utilità
della guerra (Casanova, Del diritto costituzionale [n. 40], I, p. 57). Di Hegel,
Casanova condivideva («che forse ha ragione») soltanto le osservazioni sul
tema della confederazione.
242 A digest of the law of maritime captures and prizes, New-York: R. M’Dermut
& D.D. Arden 1815.
243 Wheaton, Reports (n. 129). Wheaton mosse causa per violazione dei diritti di
autore contro la sintesi dei suoi reports effettuata da Richard Peters, A full
and arranged digest of the decisions in common law, equity, and admiralty, of
the courts of the United States from the oganization of the government in 1789
to 1847, in the Supreme, Circuit, District and Admiralty courts reported in
Dallas, Cranch, Wheaton, Peters, and Howard’s Supreme Court Reports; in
Gallison, Mason, Paine, Peters, Washington, Wallace, Sumner, Story, Baldwin,
Brockenbrough, and M’Lean’s Circuit Court Reports; and in Bees, Ware,
Peters, and Gilpin’s District and Admiralty reports, with an appendix contai-
ning the Rules and orders of the Supreme Court of the United States, and the
Rules of the Circuit Court of the United States in proceedings in equity,
established by the Supreme Court, Philadelphia: Carey and Hart 1848.
244 Cornelis van Vollenhoven (1874–1933), The Growth of Grotius de iure
belli ac pacis as it appears from contemporary correspondence. Lectures
delivered in Columbia University, July 1925, (Bibliotheca Visseriana disserta-
tionum Ius Internationale illustrantium cura Facultatis Iuridicae Lugduno-
Batave edita, t. VI, nr. XVI), Lugduni Batavorum: E. J. Brill 1926, pp. 5–44,
in part. pp. 34–35.
245 David-Bailie Warden (1778–1845), On the origin, nature, progress and
influence of consular establishments, Paris: Smith, 1813, anche nella tradu-
zione francese, De l’origine, de la nature, des progrés, et de l’influence des
établissemens consulaires, par Bernard Barrère, Paris: J. G. Dentu 1815.
David Bailie Warden si laureò a New York al medical college. Dopo essere
stato segretario del generale John Armstrong ambasciatore a Parigi nel 1804,
fu per quarant’anni console a Parigi. Membro dell’Académie française costituì
due biblioteche che furono acquistate dall’Università di Harvard nel 1823 e
dalla biblioteca statale di New York nel 1840. Pubblicò: Inquiry concerning
the Intellectual and Moral Faculties and Literature of the Negroes (Paris 1810);
Description of the District of Columbia (1816); Statistical, Political, and
Historical Account of the United States of North America (3 vols., Edinburgh
1819); L’art de verifier les dates, chronologie de l’Amerique (10 vols., Paris
1826–1844); Bibliotheca Americana Septentrionalis, etc. (1820); Recherches
sur les antiquités de l’Amerique Septentrionale (1827); Bibliotheca Americana
(1831).
rilevato che, come lui, già il D’Aguesseau aveva indicato la scorrettezza del
termine normalmente utilizzato di droit des gens, che come quello di law of
nations alla lettera corrispondeva piuttosto a quello di diritto interno e
proposto l’adozione del termine droit entre les gens.
255 Advertisement to the first edition January 1, 1836, che ho potuto vedere in
Elements of international law, The literal reproduction of the edition of 1866
by Richard Henry Dana (n. 249), p. XIX. Il frammento è citato anche da
Nuzzo, Un mondo senza nemici (n. 4), p. 1326.
256 Cfr. oltre testo a n. 264.
257 Advertisement to the first edition (n. 255): «a portion of human history
abounding in fearful transgressions of that Law of Nations which is supposed
to be founded on the higher sanction of the Natural Law (more properly called
the Law of God)».
258 Il riferimento era evidentemente all’espressione “persone morali’: «the nature
and the extent of the obligations between the indipendent societies of men
called States».
259 Wheaton, Eléments du droit international (n. 198), vol. I, pp. 50–52, in part.
p. 51. Cfr. per qualche cenno a tale questione al mio Foedus amicitia e societas:
Alberico Gentili fra tradizione e innovazione, in: Alberico Gentili (San Ginesio
1552 – Londra 1608). Atti dei Convegni nel quarto centenario della morte,
vol. II, San Ginesio 11–12–13 settembre 2008, Oxford e Londra, 5–6 giugno
2008, Napoli L’Orientale, 6 novembre 2007, Milano: Giuffrè Editore 2010,
pp. 333–376, in part. pp. 365–366.
260 Sulla critica di Heffter alla recensione di Wheaton cfr. sopra n. 195–200.
261 Advertisement to the first edition (n. 255).
262 Cfr. sopra n. 137.
263 Préface, in: Wheaton, Éléments du droit international (n. 198), Paris le 15
avril 1847, rispettivamente p. V e p. VI.
264 Sull’evoluzione del sintagma “civilized nations” cfr. n. 286–287 e Nuzzo, Un
mondo senza nemici (n. 4), pp. 1346–1354.
265 Wheaton, Éléments du droit international (n. 198), p. 5.
266 Ibidem, p. 2.
267 Ibidem, p. 6 con rinvio a Bentham, The Works (n. 218), vol. II, Principles of
international law, Essay I, Objects of International Law, p. 537: «If a citizen of
the world had to prepare an universal international code, what would he
propose to himself as his object? Il would be the common and equal utility of
all nations: this would be his inclination and his duty».
268 Nella prefazione a Codex juris gentium diplomaticus, Guelferbyti: J. Ch.
Meisnerum, 1747.
269 Richard Cumberland (1631–1718), De legibus Naturae Disquisitio Philo-
sophica in qua earum forma, summa Capita, Ordo, Promulgatio & Obligatio
e rerum natura investigantur quinetiam Elementa Philosophiae Hobbianae
cum moralis tum civilis considerentur et refutantur, Londini: Typis E. Flesher
1672, cap. V De lege naturae eiusque obligationis § 1.
270 Wheaton, Éléments du droit international (n. 198), pp. 4–6, con riguardo a
Grotius, Introduction.
271 Thomas Hobbes (1588–1679), De cive, the English version entitled in the first
edition Philosophicall rudiments concerning government and society, a critical
edition by Howard Warrender, Oxford: Clarendon, 1983, XIV, § 4.
272 Samuel Pufendorf (1632–1694), De iure naturae et gentium libri octo, cum
integris commentariis virorum clarissimorum Jo. Nicolai Hertii atque Joannis
Barbeyraci accedit eris scandica recensuit et animadversionibus illustravit
Gottfridus Mascovius, t. I, Francofurti & Lipsiae: Ex officina Knochiana
1744, lib. II, cap. III De lege naturali in genere, § 23 il riferimento era al
frammento «Nam nos positivum aliquod ius gentium, a superiore profectum,
negamus» (p. 221).
273 Wheaton, Éléments du droit international (n. 198), p. 7.
274 Ibidem, p. 8; ad esempio la teoria generale non stabilisce quali siano i mezzi di
distruzione consentiti in guerra, mentre la circoscrizione dei mezzi lecitamente
applicabili è definita dall’uso generale. Cfr. in proposito anche sopra testo
corrispondente a n. 168–170.
275 Cfr. ad esempio «omnes consentiunt legatis male habitus vel ob odium
Principis, qui misit, vel ob explicata eius mandata, quamvis acerbiora, violari
ius Societatis Humanae, quae ex pactis tacitis inducitur» Bynkershoek, De
foro legatorum (n. 215), cap. XVIII de moribus Gentium quod ad forum
legatorum in criminibus, p. 147 col. B.
276 Wheaton, Éléments du droit international (n. 198), p. 9 ss. con riguardo a
Bynkershoek, De foro legatorum, cap. XIX Rursus de exemplis, ex usu
Gentium, & quae contra dici possint, pp. 149–150.
its probable evils, in case they shall violate maxims generally received and
respected»).
282 Wheaton, Éléments du droit international (n. 198), vol. I, p. 24 con riferi-
mento a Friedrich Carl von Savigny, System des heutigen Rechts, B. I,
Berlin: Weit und comp. 1840, Kap. II, § 11 Völkerrecht, pp. 32–34 e, conclu-
deva il Savigny: «Eine solche Anwendung aber hat einen rein sittlichen
Character, und nicht die Natur eines positiven Rechts».
283 Wheaton, Éléments du droit international (n. 198), vol. I, pp. 24–25 e per la
ricostruzione degli eventi e dei trattati che dal 1829 avevano provocato tale
inversione della politica europea nei confronti dell’Impero ottomano cfr. ora
Nuzzo, Un mondo senza nemici (n. 4), pp. 1354–1356.
284 Elements of international law, by Richard Henry Dana (n. 249), p. 19, n. 8.
285 Wheaton’s International Law, Japanese Edition, with Japanese diacritical
Marks, Kyoto 1865, cit. in Elements of international law, by Richard Henry
Dana (n. 249), p. 608.
286 Mackintosh, Discourse on the study of the law of Nature and Nations
(n. 133), in part. p. 63.
287 Cfr. in proposito Nuzzo, Un mondo senza nemici (n. 4), p. 1335.
288 Rossi, Droit des gens intervention (n. 14), p. 446.
289 Augusto Pierantoni, Pellegrino Rossi. Discorso di Augusto Pierantoni già
professore di diritto internazionale nella R. Università di Modena ora Profes-
sore di diritto costituzionale nella R. Università di Napoli, Padova: Minerva
1872, p. 58.
295 Così anche Vattel, Le droit des gens (n. 11) e cfr. sopra n. 116.
296 Rossi, Droit des gens intervention (n. 14), p. 448.
297 Ibidem, pp. 448–449.
302 Rossi, Droit des gens intervention (n. 14), p. 449 «On a dit qu’il y a
intervention lorqu’un Etat, se mêlant des affaires d’un autre Etat, prétend en
modifier le système politique».
303 Così anche nell’edizione del 1848: Wheaton, Éléments du droit international
(n. 198), vol. I, rispettivamente, pp. 108 ss. e 131 ss.
304 Rossi, Droit des gens intervention (n. 14), pp. 450–453.
313 Ibidem, pp. 471–472. Così era avvenuto nel 1827 allorché Francia, Russia ed
Inghilterra erano intervenute per risolvere la crisi tra l’Impero ottomano, che
non era più in grado di riconquistare la Grecia, e la Grecia dove nessun partito
era in grado di prendere solidamente in mano le redini del potere.
314 Se l’Austria conculcava l’indipendenza degli Stati italiani per accrescere la
propria potenza, sarebbe stato possibile per la Francia, la Russia e la Prussia
fare altrettanto con gli Stati indipendenti secondari circostanti? L’intervento è
un crimine e come tale poteva essere solo represso, non imitato.
come parte del diritto naturale, ossia come diritto delle genti naturale, egli
teneva conto della impossibilità di assimilare completamente le nazioni, quali
persone morali, agli individui e quindi il diritto naturale al diritto delle genti. Il
Casanova rilevava altresì come il Pufendorf aggiungesse, inoltre che, come il
diritto civile costituisce una positivizzazione dei principi immutabili del diritto
naturale, così il diritto delle genti volontario costituiva un adattamento e
un’attenuazione del rigore del diritto naturale delle genti obbligatorio per
effetto del consenso presunto delle nazioni. A tale sistema avrebbero aderito
Vattel e Bynkershoek con taluni adattamenti. Mentre Bynkershoek riteneva che
i fondamenti del diritto delle genti fossero in primo luogo la ragione e in via
subordinata l’uso, Vattel, oltre a distinguere e a modificare il fondamento di
validità del diritto delle genti volontario, aveva introdotto la categoria del
diritto delle genti arbitrario o convenzionale e quella del diritto consuetudi-
nario. La ratio non l’autorità costituiva l’“anima” del Jus gentium. A tale
sistema avrebbero aderito molti autori tra i quali Wheaton, con il sostenere che
le nazioni civili concepiscono il diritto internazionale come l’insieme delle
regole di condotta «que la raison deduit comme étant conformes à la justice de
la société qui existe parmi les nations indépendantes en y admettant toutes les
définitions ou modifications qui peuvent être établies par l’usage et le consen-
tement général» e cfr. sopra testo corrispondente a n. 277–278.
323 Casanova, Del diritto internazionale (n. 9), I, pp. 27–29 e cfr. sopra § 6.
324 Ibidem, p. 38.
325 Il fondamento consuetudinario non era sufficiente per trasformare in diritto usi
invalsi tra le genti, ma contrari alla ragione, come quelli di uccidere i prigionieri
di guerra o ridurli in schiavitù o, come tuttora accadeva in Europa, di catturare
le navi commerciali battenti bandiera nemica, impadronirsi delle merci e
catturare l’equipaggio, ovvero di sterminare le popolazioni civili. Ibidem.
rispettivamente pp. 40–42: «Si vedrà che scopo della guerra non è già il
distruggere, ma paralizzare le forze del nemico, quelle forze cioè che impiega
a combatterci; si vedrà che così in mare come in terra, sono soltanto gli uomini
e le cose destinate alla guerra, che devono subirne le conseguenze; si vedrà che
oltrepassata questa linea, non vi hanno più limiti alla devastazione ed alla
340 Casanova, Del diritto internazionale (n. 9), I, p. 39; pp. 66–67. Sull’unione
reale e disuguale degli Stati che formano l’Impero austriaco cfr. anche pp. 76–
77.
341 Ibidem, p. 69.
342 Tanto che, come già il Klüber, egli considera inefficace ai fini dell’esistenza di
uno stato il «riconoscimento», ibidem, p. 71.
343 Ibidem, pp. 71 ss
344 Ibidem, p. 79.
345 Ibidem (1858), p. 81.
351 Mancini, Della nazionalità come fondamento del diritto delle genti (n. 346),
p. 50.
352 Ibidem, p. 52.
353 Ibidem, p. 53.
354 Ibidem, p. 62.
355 Alberico Gentili, Il diritto di guerra (n. 8), Lib. II, cap. XIII Quand’è che una
tregua può dirsi violata?, p. 282 [310] = De iure belli, p. 182.
356 Così Casanova, Del diritto internazionale (n. 9), I, p. 29.
Claudia Storti