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Paracelso e la scienza divina dell'uomo
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Paracelso e la scienza divina dell'uomo

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In questo lavoro, forse per la prima volta, viene presentato il pensiero di Paracelso secondo un aspetto unitario, nel quale il medico, il filosofo, l’astrologo, il mago e l’alchimista sono sintetizzati nella figura del Maestro di Ermetismo, la Scienza divina dell’uomo. Il suo insegnamento mirava a risvegliare nei discepoli quell’intelligenza Solare che ogni uomo possiede allo stato latente dentro di sé.
Il punto cruciale di tutto il pensiero paracelsiano, che l’opera di Carlo Nuti ha il merito di mettere in primo piano, è che le pratiche dell’alchimia di laboratorio e le applicazioni terapeutiche della spagyria, non costituiscono in alcun modo il nucleo sostanziale di tutta l’opera di Paracelso ma sono solo un’applicazione secondaria rispetto al cammino di perfezionamento interiore.
Il volume è arricchito da testi di Paracelso mai pubblicati prima in italiano, dalla ricostruzione del suo metodo diagnostico e terapeutico, da un indice cronologico di tutte le sue opere e da un prezioso glossario dei principali termini da lui utilizzati.
LanguageItaliano
PublisherOm Edizioni
Release dateMar 8, 2020
ISBN9788892720077
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    Paracelso e la scienza divina dell'uomo - Carlo Nuti

    Seconda Edizione

    © Copyright 2018

    OM EDIZIONI

    Tutti i diritti letterari ed artistici sono riservati.

    È vietata qualsiasi riproduzione, anche parziale, di quest’opera.

    Qualsiasi copia o riproduzione effettuata con qualsiasi procedimento (fotografia, microfilm, nastro magnetico, disco o altro) costituisce una contraffazione passibile delle pene previste dalla legge 11 marzo 1957 dei diritti d’Autore.

    carlo.g.nuti@gmail.com

    Prima edizione

    © 2014 Luglio - OM EDIZIONI

    Via I Maggio, 3/E – 40057 Quarto Inferiore (BO) – Italy

    Tel (+39) 051 768377 – (+39) 051 767079

    info@omedizioni

    www.omedizioni.it

    ISBN

    : 978-88-95687-76-6

    ISBN

    e

    B

    ook: 978-88-9272-004-6

    CARLO G. NUTI

    PARACELSO

    E LA SCIENZA DIVINA DELL’UOMO

    C:\Users\User\Documents\00_SAGGIO_BRANI\FIGURE_NUMERATE_LIBRO\RITRATTI_PARACELSO\FIGURA_G.jpg

    PREFAZIONE DI

    Loris Solmi

    POSTFAZIONE DI

    Alessandro Bozzi

    A tutti i Raminghi

    della Terra di Mezzo

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    Prefazione

    di Loris Solmi

    PARACELSO E LA TRADIZIONE ALCHIMICA

    Non c’è testo di storia della medicina che, arrivato al 1500, non dedichi un intero capitolo o una corposa parte di esso a Philippus Aureulus Theophrastus Bombastus von Hohenheim, detto Paracelsus o Paracelso; la ragione di questa doverosa citazione è dovuta al fatto che egli è concordemente ritenuto il padre della moderna farmacologia.

    È risaputo che Paracelso non aveva un carattere molto accomodante – secondo Jung concorsero a renderlo un uomo scabro e tagliente sia il fatto di essere nato fra le impervie alpi svizzere, che di appartenere all’indomito segno dello Scorpione – ma siamo sicuri che di fronte ad una constatazione del genere sarebbe scoppiato in una risata fragorosa, accompagnata da una salace battuta sull’acume degli studiosi moderni.

    La verità è che Paracelso, per primo, ha insegnato ai medici e ai farmacisti della sua epoca il modo per impiegare efficacemente i metalli nella terapia. Basta sfogliare una qualunque materia medica dell’epoca per rendersi conto che i rimedi erano tratti quasi esclusivamente dal regno vegetale; se si eccettuano i pochissimi riferimenti a terre e minerali posti alla fine di detti trattati, le istruzioni relative all’impiego dei metalli erano pressoché assenti o assolutamente sporadiche.

    Nondimeno il 1500, che fu un secolo più di navigatori che di santi, vide una diffusione impressionante della sifilide a livello mondiale, e il rimedio più efficace – di fatto l’unico – per contrastarne i gravi sintomi nelle fasi avanzate, era il mercurio, metallo da sempre molto caro agli alchimisti. Si vedeva che bastava cominciare a somministrare il mercurio per assistere ad una repentina regressione dei sintomi, i quali però ricomparivano presto quando se ne sospendeva la somministrazione. Peccato che il mercurio sia altamente tossico, per cui, continuando la somministrazione seppur in dosi minime, si finiva per procurare al paziente una intossicazione da mercurio, cosa davvero poco auspicabile.

    Fu proprio Paracelso a venire in aiuto ai medici della sua epoca, dando loro quel paio di consigli che lo fanno considerare unanimemente il padre della moderna chimica farmaceutica.

    Il problema, disse loro Paracelso, non sono i metalli e nella fattispecie il mercurio, anzi, i metalli sono un rimedio potentissimo se lo si sa adoperare, il problema sono le dosi.

    Ma noi ne diamo pochissimo – replicarono costoro.

    Quello che per voi è pochissimo, per l’essere umano è una enormità, quindi dovete ridurre drasticamente le dosi.

    Però se le riduciamo ulteriormente poi diventa talmente piccola la quantità che non è più possibile pesarla e gestirla con precisione.

    Paracelso allora spiegò che la soluzione a questo problema era semplicissima: bastava somministrare un sale metallico anziché il metallo puro, ed essendo tutti i sali solubili in acqua, diluendolo non vi erano più limiti alla possibilità di riduzioni delle dosi, per di più conoscendo sempre l’esatta quantità somministrata. La moderna chimica farmaceutica è cominciata così.

    Infatti, come possiamo constatare leggendo la bugiardina (Paracelso con tutto il suo sarcasmo non avrebbe saputo trovare un nome migliore per indicare il foglietto illustrativo dei prodotti farmaceutici) che per legge deve accompagnare ogni farmaco, il principio attivo viene somministrato giornalmente in frazioni di milligrammi, e spesso e volentieri si tratta di un sale metallico: permanganato di..., o bitartrato di …, e così via.

    Tutto ciò non fu un semplice escamotage tecnico, fu una vera e propria rivoluzione che capovolse la situazione, tanto è vero che nelle materie mediche attuali i princìpi attivi tratti dal regno vegetale sono, in percentuale, tanti quanti erano i metalli al tempo di Paracelso.

    Poi è venuto il progresso e manco i sali minerali si usano più, bensì delle mostruose molecole di sintesi che in natura non esistono, le quali ci guariscono e ci devastano allo stesso tempo sotto lo sguardo curioso dei chimici moderni i quali, allegramente incuranti di non seguire più le orme della natura, pensano ormai di saper fare molto meglio di essa.

    Dunque c’è del vero nell’affermazione che Paracelso sta all’origine della moderna iatrochimica, ma questo non per volontà di Paracelso, poiché le sue indicazioni erano volte a orientare i medici in tutt’altra direzione.

    Per comprendere nel modo giusto il senso delle indicazioni che egli diede, occorre prima di tutto chiedersi se Paracelso ha attinto queste preziose conoscenze da qualcuno o le ha scoperte da solo.

    Non possiamo non chiedercelo, perché a questo punto diviene oltremodo significativo ricordare che il termine greco pharmakon, anticamente non significava solo rimedio ma anche veleno, quasi che i medici antichi fossero ben consapevoli di come la natura, più saggia e intelligente persino dei chimici moderni, spesso ponga fianco a fianco il principio vitale e quello velenoso, quasi che essa, come noi del resto, ami proteggere e nascondere i suoi beni più preziosi.

    Se gli antichi lo sapevano, Paracelso potrebbe benissimo aver appreso da qualcuno questo tipo di conoscenza, trasmessa segretamente nei secoli perché invisa alla cultura egemone da Costantino in poi.

    Certo è un’ipotesi, ma è un’ipotesi che va sempre più prendendo piede presso gli studiosi man mano che la scoperta di antichi documenti consente di riscontrare una somiglianza effettiva e sorprendente fra le teorie e le pratiche insegnate nei templi terapeutici della Mesopotamia e dell’Egitto, detti Case della Vita, nei templi di Esculapio della civiltà greco-latina, le pratiche cui erano dediti i Terapeuti, così simili alla comunità degli Esseni da venire spesso confusi con loro, e buon ultimo proprio quel sapere ermetico-alchimico che ha animato nel XVI, XVII e XVIII secolo tutta la terapeutica ermetica e rosicruciana, di cui Paracelso stesso si proclama ripetutamente figlio e continuatore.

    È importante chiarire questo, sennò il lettore rischia di fare la stessa confusione che hanno fatto e fanno gli storici della medicina: Paracelso non ha insegnato le procedure di laboratorio che hanno dato vita alla moderna chimica farmaceutica perché intendeva semplicemente insegnare a ridurre le dosi di una determinata sostanza, ma perché andava alla ricerca, dentro e dietro alla sostanza, di un principio sottile che sostanza non è più ma, come si direbbe oggi, è energia o ancor meglio energia informata. Non era dunque un problema di quantità ma semmai di qualità.

    Gli arcana che Paracelso ha insegnato ad estrarre dalle sostanze di partenza per farne dei rimedi eccellenti non erano dunque solo ciò che oggi chiamiamo princìpi attivi, ma erano qualcosa di molto più prezioso, che il farmaco deve contenere oltre ai princìpi attivi che pur sono importanti.

    Insegnando le procedure di laboratorio che costituiscono il fondamento della spagyria, Paracelso era ben consapevole che certe sostanze costituivano non la cosa preziosa che egli cercava, ma solo il magnete che la attira e la trattiene, ovvero il loro carrier, il loro veicolatore.

    L’estrazione di certi sali nel procedimento spagirico non mira infatti a far si che il rimedio spagirico contenga gli oligoelementi della pianta, basterebbe mettervi le ceneri depurate per avere questo, ma mira a cercare di afferrare quel principio sottile, e intelligente quasi fosse un file informatico, che solo il principio salino è in grado di veicolare e trattenere.

    Se ciò è inconcepibile per l’attuale chimica farmaceutica, non lo è per la fisica moderna poiché essa sa che è nei cristalli di silicio, o simili, che la cibernetica incamera le miriadi di informazioni che vengono processate e rese disponibili dai nostri computer e cos’altro sono i Sali se non dei piccoli cristalli?

    Lungi da me l’idea di voler fare di Paracelso un fisico ante litteram, ma è innegabile che le più recenti conquiste della scienza comincino a far luce sul fatto che forse gli antichi sacerdozi delle ere precristiane furono molto meno sciocchi e rozzi di quanto non si sia ritenuto fino a poco tempo fa, ma che rozzi e ottusi furono piuttosto quei cristiani prima, e quegli arabi poi che, entrambi nel nome di Dio, giova sottolinearlo, diedero fuoco alla biblioteca di Alessandria. I riferimenti alla spagyria non devono però fuorviare il lettore; se essa non è altro che l’applicazione in ambito prettamente terapeutico dei princìpi dell’alchimia, quest’ultima disciplina costituisce ancora oggi, come è stato sempre, un arcano assai arduo da risolvere.

    Anche in questo caso Paracelso è voluto intervenire facendo chiarezza per mezzo di una mezza rivoluzione, com’è stato sempre nel suo stile. Dal medioevo in poi, prima non se ne trova traccia, il paradigma fondamentale di tutta l’alchimia cristianeggiante è stata la creazione della famosa pietra filosofale, la quale doveva venir preparata a partire da due sostanze fondamentali indicate simbolicamente come mercurio e solfo.

    Essendo considerata un’applicazione particolare della filosofia della natura, furono i princìpi di essa a sancire gli elementi fondamentali del processo, a cominciare da quelli esposti nel De generatione animalium di Aristotele. Non pago, Paracelso decise di fare due cose per dare il proprio contributo alla rinnovata diffusione dell’antica disciplina: aggiunse un terzo principio basilare ai due summenzionati, formando una triade composta da solfo, mercurio e sale; inoltre sovrappose al simbolo della pietra filosofale quello dell’oro potabile, cioè un oro che possa essere bevuto.

    Certamente meno tossico del mercurio, anche con l’aureo metallo però non è il caso di scherzare quando lo si ingerisce in dosi ponderali e per prolungati periodi di tempo, mentre il consumo saltuario dei famosi pasticcini con la foglia d’oro non presenta nessun problema.

    Eppure Paracelso indicò per iscritto nelle sue opere, e oralmente ai medici che lo seguivano, che proprio l’energia aurea era un cardine fondamentale della terapia di un gran numero di malattie. A Paracelso non interessava il metallo oro, ma gli interessava l’informazione aurea che esso contiene, quindi aveva bisogno del nobile metallo solo come elemento di partenza da cui poterlo estrarre.

    I lettori più accorti avranno già capito come e perché, divenuto sempre più difficile venire in contatto con degli spagyristi autentici che conoscessero per davvero l’esatta procedura paracelsiana per estrarre l’Archeus dell’oro, due secoli dopo sia nata nella mente di Hanemann l’idea di trovare un modo molto più semplice e diretto per ottenere un effetto terapeutico similare.

    In mancanza dell’oro potabile di Paracelso, le diluizioni omeopatiche dei vari tipi di sali metallici costituiscono veramente un surrogato degno del massimo interesse, che forse aspetta ancora di essere compreso fino in fondo nelle sue multiformi possibilità applicative. In questa direzione molti passi avanti sono stati compiuti grazie alle indicazioni date da Rudolf Steiner e dai medici antroposofici che continuano la ricerca sulla base delle sue indicazioni.

    Ma il punto cruciale di tutto il pensiero paracelsiano, che l’opera di Carlo Nuti ha il merito indiscusso di mettere forse per la prima volta in primo piano, è che per quanto interessanti possano essere le pratiche dell’alchimia di laboratorio, o le applicazioni terapeutiche della spagyria, esse non costituiscono in alcun modo il nucleo sostanziale di tutta l’opera del nostro ma ne sono soltanto una applicazione secondaria.

    Il fine ultimo, e quindi primo, dell’alchimia intesa in senso proprio, e non secondo una delle sue molteplici applicazioni secondarie, tutte egualmente possibili, è ed è sempre stato la trasmutazione dell’alchimista stesso, non di qualsivoglia materia.

    Per dirla tutta, i metalli da trasmutare siamo noi esseri umani, divisi dalla filosofia ermetica in sette tipi principali secondo gli insegnamenti che la tradizione iniziatica attribuisce al mitico Ermete Trismegisto, come chiunque può andarsi a leggere nel Corpus Hermeticum.

    Trasmutazione spirituale prima di tutto, ma non solo, se bisogna dar credito alle chiarificazioni apportate da Mircea Eliade che è stato, se non il più grande, uno fra i più grandi storici delle religioni del secolo XX.

    Da questo punto di vista l’alchimia sarebbe non solo la più perfetta metafora del cammino iniziatico, ma sarebbe più esattamente ancora un arcano complesso di allegorie e di simboli inteso ad indicare come questo cammino possa essere percorso nella pratica, alludendo direttamente ai suoi mezzi e ai suoi metodi operativi. Non teoria dunque ma pratica di realizzazione spirituale e da qui l’appellativo pertinentissimo di scienza divina dell’uomo. Concretezza per concretezza, al fine di facilitare la comprensione degli arcani trasmutatori, Paracelso avrebbe pensato bene di accostare all’alchimia la terapeutica ermetica, da intendersi non come una forma arzigogolata della moderna fitoterapia, magari integrata da un trattamento a base di metalli sotto forma di qualcosa di simile all’omeopatia o agli oligoelementi, ma una vera e propria terapeutica integrale, riprendendo quel sapere sacro che veniva praticato nelle Case della Vita egizie o babilonesi, e che per vie sotterranee sarebbe giunto sino agli autentici rosacroce, contemporanei di Paracelso. In questa forma di terapeutica integrale, le virtù delle piante, delle pietre e dei metalli, possono e devono venire integrate non solo con quelle degli astri (il lettore è pregato di non confondere le semplicistiche nozioni della moderna astrologia psicologica con la concretezza e la profondità dell’antica astrologia medica o, come veniva allora chiamata, iatromatematica) ma anche con quanto ci ha conservato e trasmesso la tradizione magica col suo patrimonio di segni e di scongiuri, ultima sopravvivenza delle dottrine e delle pratiche delle antiche caste sacerdotali.

    Lo stesso Platone nel Carmide, a un suo allievo afflitto dal mal di capo, suggerisce di prendere una tal erba, recitarvi sopra un apposito scongiuro, per poi fare una tisana e berla. Niente di nuovo sotto il sole quindi se persino Platone ricorreva a mezzi simili. Ma a chi pensasse che tutto ciò basti e avanzi per avere un sistema terapeutico completo, Paracelso risponderebbe che non è così, poiché la differenza più grande la fa non il rimedio ma il terapeuta, quando egli riesce a diventare medico ermetico prima e taumaturgo poi.

    Cercare di diventare un medico ermetico per Paracelso significa sottoporsi per lunghi anni a un preciso e severo allenamento volto a risvegliare, prima di tutto attraverso la volontà e l’immaginazione sapientemente abbinate, le forze latenti nel corpo dell’uomo e le capacità inesplorate della sua psiche. I modi di questo vero e proprio cammino di trasmutazione dell’essere sono esattamente ciò che insegnano l’ermetismo e l’alchimia, la quale, simbolicamente parlando, è la via più perfetta e più breve per creare dentro di sé l’oro potabile o la pietra filosofale che dir si voglia.

    Solo quando può disporre dell’oro non volgare ma dei filosofi, il medico ermetico diviene un vero taumaturgo, cioè un essere umano che, per mezzo di pensieri, parole e opere, è in grado di rigenerare la vita laddove essa risulti depauperata, essendone divenuto signore. La tesi di fondo del pregevole saggio scritto da Carlo Nuti, è che dopo aver appreso questo metodo dai suoi maestri, Paracelso ne avrebbe fatto lo strumento d’insegnamento principale per far progredire i suoi allievi sul cammino iniziatico, perpetuando così una tradizione spirituale che risalirebbe alla notte dei tempi.

    È verosimile questa ipotesi? Secondo me sì, a patto che la terapeutica paracelsiana venga integrata con i manuali teurgici del suo maestro Tritemio che, come è ormai acclarato, Paracelso possedeva in forma manoscritta a dai quali attingeva abbondantemente. Del resto è a tutti noto che nel ‘600 e nel ‘700, seguendo le orme di Paracelso, i Rosacroce sancirono addirittura nei loro statuti l’obbligatorietà dell’esercizio gratuito della medicina ermetica, facendone il loro primo dovere nei confronti dell’umanità sofferente.

    Se sul finire del ‘700 l’ammirazione nei confronti di Cagliostro fu tale da farlo chiamare divino, ciò fu dovuto soprattutto al fatto che egli, proprio come avevano fatto Paracelso e l’italianissimo Giuseppe Francesco Borri, prima ancora di visitare le corti delle teste coronate d’Europa, si recava nei sobborghi delle piccole e grandi città, dove abitavano le persone più povere, per curarle gratuitamente con tutti i mezzi a sua disposizione. Buon ultimo di questa ininterrotta catena di Maestri, ha fatto lo stesso anche Giuliano Kremmerz agli inizi del XX secolo e, per quanto mi consta, continuano a fare ancora oggi i loro moderni continuatori. Con quali risultati, mi si chiederà? In tutta franchezza, molto diversi da persona a persona, ma mai nulli.

    Guarigioni a parte, un ottenimento è sempre garantito al ricercatore: il divenire immune dalle mode culturali imperanti, posto che un amore disinteressato per il prossimo e un autentico anelito alla Luce lo animi.

    Per l’uomo moderno, ormai quasi del tutto disorientato e disperso, non è cosa da poco. Ciò gli deve consentire, se non altro, di poter sperimentare e fare proprio il motto che Paracelso scelse come propria divisa: Alterius non sit qui suus esse potest – Non sia d’altri chi può essere di sé stesso.

    INTRODUZIONE

    Il mio approccio alla conoscenza di Paracelso risale alla prima metà degli anni ‘80 quando, curiosando nella biblioteca di Vinci Verginelli,¹ la mia attenzione fu richiamata da un libro in inglese, Paracelsus, Selected Writhings,² un’antologia di brani scelti e selezionati tra le pagine dell’immensa produzione letteraria di Paracelso. Non ricordo quanto ne sapessi allora intorno a quella figura, sicuramente ne ignoravo la grandezza. Comunque lo chiesi in prestito per poterlo leggere e poi tradurre. Male non ti farà fu la laconica risposta dello studioso di Ermetismo. Ne tradussi una prima parte, che correggemmo assieme. Fu durante questa correzione che imparai molte cose su Paracelso: Vinci prendeva spunto da ogni argomento per spaziare sulla sua dottrina e sull’Ermetismo in genere. Io ascoltavo e prendevo appunti. In seguito mi regalò la preziosissima raccolta dell’opera di Paracelso in latino nell’edizione Palthenius,³ che gli era stata donata da Giuliano Kremmerz⁴ (per tradurne alcuni brani?).

    Il mio lavoro su Paracelso è continuato, anche se in maniera non costante: con la collaborazione di alcuni amici, ho terminato la traduzione; ho catalogato e schedato il contenuto dell’opera omnia nei volumi che mi erano stati regalati. Nel tempo ho raccolto quanto era stato pubblicato in italiano su e di Paracelso. La curiosità su questo autore è andata sempre aumentando; cercavo di capire e approfondire la conoscenza del suo pensiero e del suo ruolo svolto nel periodo storico molto complesso in cui è vissuto. Dopo molti anni alcuni amici mi hanno invitato a mettere in ordine la traduzione e ad arricchirla con altri brani, ma soprattutto a fornire un’adeguata introduzione.

    Ho notato come i diversi autori che avevano scritto di lui si suddividevano prevalentemente in due categorie interpretative: filosofica e medica. Era carente una visione fondamentalmente ermetica, che solo parzialmente è stata studiata.⁵ Mi sono messo a rileggere e studiare secondo questa visione. Lungi dal sentirmi in grado di farne un’opera critica, ho cercato di raccogliere e mettere in fila il materiale selezionato per evidenziarne gli spunti salienti dal punto di vista ermetico.

    Così è nato questo testo, che è cresciuto progressivamente. Si tratta di qualcosa di più ampio di un’introduzione e molto meno di uno studio sistematico e completo. Lo considero come un punto di partenza, un ‘avvio’, per approfondire gli studi. La traduzione della raccolta di brani ha rappresentato la base di partenza della documentazione, in quanto mi ha consentito un contatto mirato, orientato e non casuale con le fonti, cioè coi libri preziosissimi che erano appartenuti a Giuliano Kremmerz.

    All’inizio di questo mio lavoro mi sono chiesto quale potesse esserne il contributo. Non è mai stata mia intenzione scrivere un compendio onnicomprensivo su Paracelso; non ne sono in grado; troppo vasta è la sua opera per poterla sintetizzare. Ho cercato di mettere in fila una serie di riflessioni e di elementi di base per introdurre il lettore alle sue opere ed eventualmente incuriosirlo. Molti aspetti del suo pensiero sono di difficile comprensione e non possono essere qui né commentati né spiegati. La maggior parte dei suoi scritti riguarda insegnamenti spirituali la cui natura deve rimanere esclusivo patrimonio interiore del singolo lettore. Per poterli approfondire deve essere da guida l’ispirazione e non la ragione, tantomeno la cultura filosofica sofista negazione della legge divina, secondo l’opinione del nostro Autore. Questo volume è rivolto a tutti quelli che, pur conoscendo Paracelso, hanno informazioni parziali e incomplete e vorrebbero conoscerne di più.

    Ho insegnato per quasi quaranta anni nell’Accademia universitaria una materia molto tecnica, e non ho mai aderito alle logiche di quella cultura, che è in larga misura orientata a esaminare le cose in relazione alle parole e all’artificio delle idee, perdendo di vista la visione sintetica della conoscenza e della sapienza. È stato il metodo paracelsiano della ricerca di questi valori che ha orientato il mio progetto di raccontare la sua visione ma soprattutto il suo approccio. Sono consapevole di essere riuscito solo in minima parte in tale obiettivo, anche perché il mio mestiere non è quello dello scrittore. La mia formazione tecnica, se può aver limitato alcuni aspetti relativi l’approfondimento di qualche argomento trattato, mi è stata di aiuto in senso pragmatico. Il mio approccio allo studio e all’insegnamento è sempre stato orientato verso gli aspetti pratici e non teorici; questo può essere un punto di risonanza che mi ha spinto a leggere e ad ammirare profondamente Paracelso, ma soprattutto a seguirne gli aspetti operativi: la teoria si costruisce dalla pratica, e non viceversa.

    La raccolta curata dalla Jacobi è stata una fonte di documentazione. Quando ho ripreso la traduzione che ne avevo fatto mi sono accorto di non condividerne i criteri di organizzazione dei contenuti; in ogni caso mi è stata molto utile. Nel tempo ho arricchito la base documentaria con altri testi tradotti dagli originali e da altre lingue con la collaborazione di alcuni amici: in particolare Liber Paramirum (Malattie del Tartaro, Malattie della Matrice, Malattie invisibili, ecc.), De Viribus Membrorum, alcuni capitoli di Astronomia Magna seu Philosophia sagax, e singoli brani sparsi. Tutto questo materiale ha dato un ulteriore impulso al mio lavoro e mi ha messo in condizione di sviluppare meglio il mio ragionamento. Il risultato di queste traduzioni formerà un secondo volume, di cui in quest’opera il lettore troverà numerosi estratti. Le citazioni che riporto in nota fanno riferimento alle raccolte Sudhoff, De Tournes e Palthenius e i relativi brani saranno inclusi nel volume di cui sopra.

    Un altro limite scaturisce dal fatto che i riferimenti delle citazioni, che ho messo in nota, derivano da fonti diverse che non sono state rese omogenee. Me lo ha fatto notare un amico accademico; ho cercato di renderle uniformi il più possibile, lasciando comunque il riferimento ai diversi testi da cui ho preso ciascuna citazione. Da altri libri, scritti alla fine del XVI secolo da alcuni paracelsisti, ho potuto ricostruire il metodo che Paracelso usava per estrarre dalle diverse piante oli, essenze, distillati, quintessenze spagyriche, ecc.

    Giunto alla fine ho deciso di pubblicare questo scritto, non per presunzione ma su richiesta di coloro che hanno letto i diversi stati di avanzamento di questo lavoro e mi hanno sollecitato in questo senso.

    Organizzazione del volume

    Come si vede, vi sono una prefazione e una postfazione. Ho chiesto di scriverle a due amici che sono stati di fondamentale aiuto nella revisione del mio lavoro.

    La Prefazione è di Loris Solmi; è un attento e profondo studioso di filosofia antica, di astrologia classica e di storia dell’Ermetismo. Tra i temi che ha approfondito in particolare vi sono Paracelso e la spagyria.

    La Postfazione è di Alessandro Bozzi, umanista e studioso di lettere antiche e moderne e che insegna in Germania; ha avuto l’immensa pazienza di leggere le versioni dei diversi stati di avanzamento del lavoro dandomi stroncature, preziosi consigli e suggerimenti.

    Il presente studio è articolato secondo tre temi principali.

    Nella prima parte ho ricostruito il pensiero di Paracelso secondo l’ipotesi interpretativa che ho assunto: quella ermetica. Nella mia analisi ho seguito, per quanto possibile, l’evoluzione cronologica degli scritti, così come sono datati nella raccolta fatta da Karl Sudhoff.⁶ Nel presente volume tutte le citazioni riprese dalla Raccolta Sudhoff sono indicate con l’abbreviazione S.w. Per quanto riguarda la ricostruzione del metodo spagyrico per la preparazione delle medicine e l’estrazione delle quintessenze dalle piante ho fatto riferimento, come detto, a testi di suoi seguaci.⁷ Alla fine di alcuni capitoli ho scritto una breve sintesi dei contenuti secondo la chiave interpretativa che ho seguito nella stesura del volume. Queste sintesi parziali non sostituiscono la sintesi finale ma si sommano a essa.

    Nella seconda parte ho riportato alcuni tratti relativi alla vita di Paracelso. Non si tratta di una ricostruzione biografica, esito di ricerche d’archivio nelle città ove è vissuto; ho fatto riferimento alle ricostruzioni dei più qualificati studiosi paracelsiani, i cui lavori, alcuni dei quali dettagliati, documentati e accurati, sono molto più esplicativi ed esaustivi di quello presentato in queste pagine. Ricostruire la vita di un Maestro è sempre un’operazione delicata, spesso al limite del lecito, perché gli aspetti umani dell’esistenza terrena appartengono solo alla sfera personale; ho considerato il solo messaggio lasciato. Nella vita di Paracelso, come in quella di altri maestri, vi sono stati lunghi periodi di cui rimangono solo brevissime note, che sono del tutto insufficienti per spiegare quanto avvenuto in quegli anni. Su quei momenti e fasi della sua vita è giusto e doveroso tacere.

    Nella terza parte riporto una breve ricostruzione della principale bibliografia paracelsiana e l’indice di tutte le opere secondo la raccolta Sudhoff, della quale ho riportato l’indice originale e la traduzione in italiano.

    Conclude il volume un breve Glossario, molto elementare, dei principali termini usati da Paracelso e citati in questo volume.

    Ringraziamenti

    I lavori complessi si possono portare avanti solo con l’aiuto e il contributo di molti preziosi amici che voglio ricordare e ringraziare.

    Il primo pensiero di gratitudine va, postumo, a Vinci Verginelli, che ha visto nascere la mia curiosità per Paracelso, l’ha guidata e finalizzata. Il dono della Raccolta Palthenius, appartenuta a Giuliano Kremmerz, è stato, e continua a essere, fonte inesauribile di ricerca e approfondimenti.

    L’amico Alessandro Bozzi mi ha aiutato nella traduzione di brani dal tedesco e dal latino. Ha letto i diversi stati di avanzamento di questo lavoro, a partire da quando era formato da sole venti pagine, spronandomi ad andare avanti con critiche e incoraggiamenti.

    Loris Solmi, uno dei più seri studiosi di Ermetismo e delle dottrine esoteriche comparate in Italia, esperto di spagyria, ha letto pazientemente il testo dandomi preziosissimi consigli e indicazioni che mi hanno portato a riscrivere alcuni paragrafi, per correggere imprecisioni e migliorarne la forma.

    Lo stesso vale per i preziosi consigli e le acute osservazioni di Nadia Garattoni.

    Nicola Scardicchio ha letto il primo canovaccio, incoraggiandomi a proseguire e approfondire alcuni argomenti. Mi ha sempre spronato a portare a termine il lavoro.

    Il mio amico Marco Sarandrea, uno dei veri e rari conoscitori della natura, stimatore oltre che produttore di ottimi amari, ma soprattutto una delle massime autorità italiane (se non europee) nella preparazione di farmaci e rimedi naturali, mi ha sempre incoraggiato a portare a termine il lavoro. Alcune lunghe e piacevoli serate a parlare dall’amico comune Vittorio (il miglior ristorante che io conosca) hanno accompagnato tutto il mio lavoro.

    Marco Bellinzoni è stato un prezioso revisore dei testi negli aspetti editoriali e filologici.

    Vito Pesce, internauta esperto e studioso di Paracelso, mi ha fornito alcune edizioni esistenti in rete di testi dei quali di volta in volta ho avuto bisogno.

    Donatella Salvadori è stata paziente raccoglitrice di materiale e traduttrice dal tedesco di alcuni brani particolarmente ostici.

    Gaetano di Marco mi ha aiutato nella raccolta del materiale iconografico.

    Manuela Elmi ha curato l’elaborazione grafica delle immagini.

    Carlo G. Nuti

    NOTE

    1 Vinci (Vincenzo) Verginelli (Corato 1903 – Roma 1987) ermetista, professore di lettere antiche e moderne, poeta e scrittore è stato discepolo osirideo di Giuliano Kremmerz. In gioventù è stato per breve periodo allievo di Gabriele D’Annunzio. Nella seconda metà degli anni ‘20 frequentò la casa di Benedetto Croce. Il suo libro più conosciuto è Bibliotheca Hermetica, Nardini editore, Firenze, 1986. Si tratta di un catalogo alquanto ragionato di antichi testi ermetici che aveva raccolto assieme all’amico fraterno e musicista Nino Rota, e donati, nel 1986, alla biblioteca dell’Accademia Nazionale dei Lincei. Si tratta di una delle più ricche e importanti collezioni di testi ermetici antichi in Italia. Scrisse questo catalogo come risposta a una carenza in quel campo già lamentata da Kremmerz. All’inizio degli anni ‘50 pubblicò un libro di poesie, Ceneri di Paradiso. È stato l’autore dei testi delle opere e degli oratori di Nino Rota. È unanimemente considerato come uno dei più autorevoli e stimati ermetisti italiani della seconda metà del secolo scorso.

    2 Si tratta dell’edizione in inglese di: Jolande Jacobi, Theophtastus Paracelsus, Lebendiges Erbe, (Teofrasto Paracelso, un’eredità vivente), Rasher Verlag, Zurich, 1942. Questo libro fu tradotto in inglese da Norbert Guterman con il titolo Paracelsus, Selected Writhings (Paracelso, scritti scelti) e pubblicato in due edizioni diverse: Routledge & Kegan Paul, Ltd. London, 1951; Bollingen Foundation, New York. 1958. La Jacobi (Budapest 1890 - Zurigo 1973) è stata allieva e collaboratrice di Jung (1875 - 1961) a partire dal 1927.

    3 Francoforte 1603, in dodici tomi e sei volumi.

    4 Giuliano Kremmerz (Portici 1861 - Beausoleil 1930) era il nome iniziatico di Ciro Formisano; uno dei più grandi maestri di Ermetismo di tutti i tempi.

    5 Cfr. F. Hartmann, Il Mondo magico di Paracelso, Edizioni Mediterranee, Roma, 1987. Talvolta è difficile condividere le forzature interpretative che questo autore fa delle opere di Paracelso.

    6 Karl Sudhoff, Paracelsus. Sämtliche Werke. Medizinische, naturwissenschaftliche und philosophische Schriften. (Paracelso. Opere complete. Scritti medici, scientifici e filosofici). Per indicare i testi di questa raccolta nelle citazioni bibliografiche utilizzerò l’abbreviazione S.W. Volumi 6-9, Monaco di Baviera 1922-25, O. W. Barth. Volumi 1-5, 10-14, Karl Sudhoff, e Wilhelm Matthießen, Monaco di Baviera – Berlino 1928-1933, R. Oldenbourg.

    7 L. Thurneysser, J. B. van Helmont, N. Le Fêvre tra i principali.

    8 carlo.g.nuti@gmail.com

    PROPOSIZIONE INTERPRETATIVA

    Paracelso è una figura complessa e poco conosciuta; la sua opera è stata studiata prevalentemente negli aspetti della filosofia e della medicina. L’alchimia è stata vista per lo più come sinonimo della tecnica di preparazione dei farmaci e non nel suo significato dottrinale iniziatico.

    Raramente, e spesso in maniera incompleta, soprattutto dal XVIII secolo in poi, è stato visto come un Maestro che ha posto le basi di una Scuola di Ermetismo, nella quale ha ripreso e e restituito le regole, le leggi e i metodi di una tradizione sacerdotale millenaria sviluppata in tutti i suoi gradi: dal noviziato fino al magistero. Nel portare avanti la sua opera fondativa ha utilizzato anche la medicina come arte sacra e veicolo principale, ma non unico, di diffusione del suo messaggio. Abbinava l’insegnamento dell’arte di Esculapio con quello di arti fondamentali e tradizionali, quali la filosofia della natura, l’astrologia, l’alchimia e la magia intese come elementi fondamentali del cammino iniziatico. Anche se fu un grandissimo medico, innovatore

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