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GLI AUTORI DEL NUOVO TESTAMENTO.

RIFLESSIONI SULLA LORO


ATTENDIBILITA’

Vito Sibilio

Sulla falsariga del contributo da me pubblicato sulla datazione dei Vangeli nel
numero precedente di questa rivista, nelle pagine che seguono ho formulato una
riflessione sull’attendibilità degli autori del Nuovo Testamento. Per molti secoli la
fine drammatica della maggior parte di loro, ossia il martirio, è bastata ad eliminare
qualsiasi dubbio sulla loro credibilità. Poi una certa critica pregiudizialmente ostile
non solo ha negato l’unità compositiva dei testi evangelici e di molti altri
neotestamentari, ma anche messo sistematicamente in dubbio la stessa nozione di
martirio, con un revisionismo storico pernicioso le cui estreme manifestazioni si
hanno in quegli studi pseudo-critici che negano la realtà stessa delle persecuzioni
sistematiche ai cristiani.
Come si evince dal contributo già pubblicato, lo scrivente si riallaccia a quelle
correnti critiche recentissime che, come la Jerusalem School of Synoptic Research o
la Escuela Exegetica de Madrid, ritengono ormai superata la Critica delle Forme.
Del resto basta leggere un Vangelo anche in lingua volgare per individuare una
precisa identità ed unità stilistica, che da sola depone a favore dell’esistenza di un
autore, la cui credibilità va ovviamente vagliata. Peraltro, annoto che una critica
filologica avulsa da considerazioni di carattere più ampio di solito implica sempre
una frantumazione testuale e una disintegrazione identitaria dell’autore; cosa che
ovviamente non depone a vantaggio di questo metodo, purtroppo ancora molto in
voga negli sudi biblici. Stando a questa metodologia quasi nessun autore del VT e
del NT è identificabile; del resto vittime illustri di questo zelo ipercritico sono anche
Platone, Omero, Shakespeare, Maometto e tanti altri. Quello che ho scritto sulla
datazione dei Vangeli valga per esprimere la mia idea di interdisciplinarietà nello
studio dei testi. Gli autori neotestamentari sono persone concrete, sono per lo più
quelli che noi conosciamo. E possono essere valutati nella loro credibilità; anzi
devono essere vagliati in tal senso, data la natura straordinaria di quanto narrano.
Per quanto concerne l’ipercritica relativa alle notizie sul martirio della maggior
parte degli autori in questione, penso possa essere agevolmente accantonata alla
luce di quelle metodologie più recenti atte ad enucleare la verità storica soggiacente
anche a fonti leggendarie o relativamente tardive, tenendo anche conto del fatto che
in molti casi noi abbiamo notizie su vari personaggi storici solo attraverso fonti
relativamente tardive.
E’ infine evidente che la morte violenta degli agiografi del NT è di per sé una prova
storica significativa della loro credibilità, della loro onestà. In effetti in questa nostra
epoca, simile a quella romana del I sec. per tanti versi, i molti movimenti religiosi
alternativi che nascono e prosperano con dinamiche sociologiche simili a quelle del
Cristianesimo primitivo – pur senza eguagliarne la fecondità spirituale e la capacità
di irraggiamento – spesso possono essere valutati solo attraverso i loro fondatori,
troppe volte mossi palesemente da interessi personali che quindi ne inficiano la
credibilità e l’autorevolezza. Questa cosa invece non si riscontra negli autori del
NT. Anzi avviene il contrario.
In quanto segue vedremo di vagliare l’attendibilità storica delle notizie sul martirio
dapprima degli Evangelisti, poi degli altri autori del NT e infine di tutti gli
Apostoli, la cui predicazione, orale e scritta, è sempre alla base della Buona Novella
e della pretesa, stupefacente e ancora oggetto di dispute, che il Verbo si sia fatto
Carne, sia morto e sia risorto. Qualunque cosa si creda in merito, alla luce di
considerazioni analoghe a quanto vado ad enunciare, non si potrà mai classificare
l’insieme di quegli autori come mentitori volontari, perché troppo alto fu il prezzo
che essi pagarono alla coerenza dopo decenni di sforzi e traversie per diffondere la
nuova fede.

STORICITA’ DEL MARTIRIO DEGLI AUTORI DEL NT

Per determinare la sorte dell’evangelista e apostolo Matteo dobbiamo iniziare dai


dati che abbiamo a disposizione, meno contraddittori di quanto sembri di solito. Le
antiche fonti sembrano non essere concordi nell’indicare il luogo della missione di
Matteo e quindi del suo martirio. Vengono indicate la Siria 1, la Persia2, la
Macedonia3, l’Etiopia4. Qui viene ambientato il suo supplizio, per quegli autori che
si dilungano su di lui abbastanza per parlarne. Solo che per le fonti più antiche – III
sec., Martyrium Sancti Matthaei- venate di gnosticismo5, l’Evangelista sarebbe stato

1
E. JACQUIER, St. Matthew, in Catholic Encyclopaedia, vol. X (1913).
2
Ambrogio, Isidoro, nonché il Martirologio Geronimiano, che lo dà martire lì, ma sbaglia la
collocazione della città di Tarrium che invece sarebbe nell’Etiopia caucasica, elemento utile
all’identificazione del reale luogo del supplizio.
3
Memorie Apostoliche di Abdia (VI-VII sec.). Nella prefazione di quest’opera, che spesso citeremo, un
autore latino identificato di solito con Giulio Africano (160/170-240), contemporaneo di Origene,
dice di aver reso latina la versione greca, di Eutropio, dell'originale ebraico di Abdia, vescovo di
Babilonia ordinato dagli apostoli Giuda e Simone. Ma Giulio Africano è anteriore a Eutropio (IV
sec.); inoltre lo scritto è occidentale perchè l'autore conosce la Vulgata, e utilizza come fonte Rufino
e Gregorio di Tours, accanto ad Atti apocrifi più antichi, ripuliti dalle tendenze ereticali e spesso di
origine orientale. La compilazione è probabilmente opera di un ecclesiastico franco della fine del
VI sec., mentre gli originali possono risalire almeno al III-IV sec., identificando l’Africano con un
altro autore ignoto ed Eutropio col segretario di Costantino (IV sec.).
4
Socrate, Historia Ecclesiastica, XIX (V sec.); Rufino (IV sec.); Martirologio Romano.
5
Qui on line la maggior parte degli Atti apocrifi cui farò riferimento nell’edizione del Tischendorf:
http://archive.org/stream/Tischendor.III.Apocrypha.NT.KD.Apost.Patrum.Tischendorf.others.1851
-1898.8volume/03.ActaApostolorumApocrypha.v3.Tischendorf.Lipsius.Bonnet1898._djvu.txt
martirizzato nell’Etiopia tra il Caucaso e il Caspio, mentre quelle successive,
rigorosamente ortodosse, gli fanno rendere testimonianza a Cristo nell’Etiopia a
sud dell’Egitto6. A questo dato va aggiunto quello dell’eresiarca Eracleone (145-
180), il quale, secondo Clemente Alessandrino (150-215), sosteneva che Matteo fosse
morto di vecchiaia7.
Cerchiamo di sceverare il vero dal falso. L’Apostolo predicò agli Ebrei in Palestina
fino al 42.8 Dispersi gli Apostoli nelle varie regioni toccate loro in sorte per
l’evangelizzazione mondiale, Matteo lasciò la Palestina, anche se non
definitivamente. Privilegiando le fonti più antiche, ossia le gnostiche, la
collocazione del martirio è l’Etiopia caucasica, ossia la Colchide, ai tempi di
Polemone II (38-62 [74]), re cliente dei Romani, e dell’annessione neroniana (62), che
la inserì nella provincia del Ponto 9. La Colchide era un Regno ellenizzato, ove si
parlava greco e presumibilmente aramaico (attestato in Abkhazia, a nord, e in
Armenia a sud-est), e dove quindi Matteo avrebbe potuto operare con facilità. E’
ovvio privilegiare la notizia più antica 10, al netto delle sovrapposizioni tra il ciclo
matteano e quello di Mattia, facilmente discernibili negli apocrifi. Bisogna inoltre
registrare la presenza di Giudei nel Ponto, come attestano gli Atti 2, 9-11, quando
enumerano gli Ebrei e i proseliti presenti a Gerusalemme per la Pentecoste del 30;
avendo gli Apostoli la prassi di rivolgersi dapprima ai circoncisi della Diaspora, è
questo un elemento per preferire una missione matteana in quell’area piuttosto che
altrove, in luoghi non elencati nel NT. Altro elemento importante è l’indirizzo della
2 Pt, rivolto anche ai fedeli del Ponto, a prova dell’evangelizzazione della zona. La
Lettera contenutisticamente è databile al 61-62, ma paleograficamente risale al 50. E’
logico supporre che questa evangelizzazione pontina sia attribuibile ad uno o più
Apostoli, facendo il paio con la tradizione 11. Peraltro nella Colchide la città di Gonio
o Nevvader conserva ancora le vestigia dell’antica tomba dell’Apostolo 12, prima

6
In senso proprio l’Etiopia è Put o la Nubia. Ma da Erodoto la regione georgiana era detta anche
Etiopia, in quanto ai Persiani si attribuiva la colonizzazione della regione con deportati dell’Alto
Egitto.
7
Stromateis IV, 9, 73. Alcuni autori dipendenti da Clemente riprendono questa notizia.
8
Cfr. V. SIBILIO, La datazione dei Vangeli. Una messa a punto della situazione, in Christianitas I /1
(2013), pp. 46-51 con bibliografia in apparato.
9
Nel 395 questo lembo di Impero assunse addirittura la denominazione di Pontus Polemoniacus.
10
Suffragata anche dalla testimonianza del Martirologio Geronimiano (dopo il 431) anche se in una
cornice geografica inesatta.
11
Per la datazione del fr. 7Q10 che contiene una parte di 2 Pt e per l’analisi contenutistica della
Lettera fatta dal Robinson cfr. SIBILIO, op.cit., pp. 25-26.76-77. EUSEBIO, Hist. Eccl. 1, 1 attribuisce
l’evangelizzazione del Ponto a Pietro.
12
La fortezza di Gonio (anticamente chiamata Apsaros, o Apsaruntos), è un forte romano nella
regione dell'Agiaria, parte della Colchide, nella odierna Georgia occidentale. Si trova sulla costa
del Mar Nero, 15 km a sud di Batumi, alla foce del fiume Chorokhi, e a 4 km a nord del confine
turco. Il più antico riferimento alla fortezza è di Plinio il Vecchio, nella Naturalis Historia 6.4. C'è
che, di traslazione in traslazione, le sue spoglie giungessero a Salerno nel IX sec. 13
Va peraltro aggiunto che il ciclo narrativo dell’apostolato di Matteo, il cui termine
non può essere oltre il 7014, è sostanzialmente identico nella struttura essenziale in
tutte le fonti. Perciò è storicamente attendibile, con la sua azione alla corte di un
Re15, la sua predicazione contro l’idolatria, la sua taumaturgia, la predicazione della
verginità e il martirio per gelosia 16. Particolare interessante: i nomi propri dei
personaggi, nelle fonti ambientate in Nubia, sono persiani o greci; questo però era
possibile solo in Colchide e attesta la dipendenza delle fonti ortodosse da quelle
venate di gnosticismo e la conservazione quindi di un ciclo narrativo antico 17. Altro
anche un riferimento all'antico nome del sito in Appiano, nel De bello Mithridatico 15.101. Nel II
secolo era una città romana ben fortificata all'interno della Colchide. La città era conosciuta anche
per il suo teatro e l'ippodromo. La tomba di San Matteo si crede essere all'interno della fortezza di
Gonio. Tuttavia il governo georgiano vieta attualmente ogni scavo nei pressi della presunta tomba.
Altri scavi archeologici sono comunque in corso sulla base della fortezza. Le mura della fortezza
hanno una lunghezza totale di 900 metri.
13
Ignota è l’occasione in cui il corpo di Matteo venne traslato in Occidente: una tradizione
leggendaria pone questo avvenimento verso il 370 a opera di marinai che lo avrebbero portato
dalle coste etiopiche a Velia. Di qui, dopo che la cittadina fu conquistata dai barbari nel 412,
sarebbe stato trasferito e nascosto in Lucania, in una località detta ad duo flumina presso
Casalvelino. Il Martirologio Romano ricorda al 6 di maggio l’arrivo del corpo di Matteo a Salerno
dalla Lucania: ve lo avrebbe portato, in quel giorno dell’anno 954, il re longobardo Gisulfo I (946-
977). Questa tradizione risale al Chronicon Salernitanum, redatto da un anonimo cronista nel
monastero di San Benedetto a Salerno nel 978, e ad altri due testi medievali che con esso
concordano. A Salerno le reliquie, di cui si era persa notizia per più di un secolo, furono
nuovamente ritrovate nel 1080 e poste nella cripta della Cattedrale consacrata da papa Gregorio
VII, dove tuttora riposano. La data del 1080 è storicamente attestata dalla lettera che il 18 settembre
di quell’anno il Papa scrisse all’arcivescovo di Salerno Alfano, in cui viene menzionato il
ritrovamento.
14
La data convenzionale del martirio di Matteo è il 70. Ma se accettiamo la notizia degli Atti di
Matteo e delle Memorie Apostoliche di Abdia per cui egli morì sotto il Re del paese ove evangelizzava,
il suo martirio va retrodatato almeno al 62, l’ultimo anno utile, quello in cui la Colchide divenne
provincia romana sotto Nerone, il quale tolse a Polemone II la regione in questione lasciandogli
solo il resto del suo Stato. Francamente mi sembra la soluzione più logica, in quanto se Matteo
fosse stato martirizzato dai Romani sotto Nerone, l’agiografia non avrebbe fatto cadere un
particolare tanto significativo. Se prendiamo per buona l’indicazione apocrifa di ventitrè anni di
ministero matteano in Etiopia, allora dobbiamo collocare il martirio non prima del 65. Il 70 è data a
cui si arriva facendo arrivare in Etiopia Matteo nel 45 e scalcolando dal computo dei ventitrè anni
gli anni del Concilio di Gerusalemme (48-49)
15
Cfr. Le Memorie Apostoliche di Abdia, VI-VII sec., sez. su Matteo (l. VII), qui
http://www.profezieonline.com/memorie-apostoliche-di-abdia.html in trad. it. e gli Atti di Matteo,
dei secc. IV-V, qui http://www.ccel.org/ccel/schaff/anf08.vii.xxxii.html in trad. ingl.
16
Probabilmente di spada, anche se non mancano versioni più cruente, come la lapidazione, la
decapitazione, il rogo. Alle condizioni summenzionate non credo sia giusto destituire di ogni
fondamento storico il Martyrium pontino di Matteo, come affermava il Lipsius. Dobbiamo
discernere la possibile amplificazione mitica dal nucleo storico, assai visibile ancora oggi.
17
Cfr. sempre le Memorie Apostoliche di Abdia.
elemento indicativo, Matteo compete con due maghi che sono dualisti, che possono
identificarsi con due esponenti del clero zoroastriano, presente in Armenia e nel
Caucaso, ma non in Nubia. Peraltro, la collocazione del martirio matteano in
Colchide rende ragione delle altre regioni indicate dagli antichi come luoghi
dell’apostolato dell’evangelista. Egli, lasciata la Palestina per sfuggire alla
persecuzione di Erode Agrippa, dovette avviarsi verso la Siria. Potrebbe avervi
indugiato predicando agli Ebrei ivi residenti per arrivare ai quindici anni di
apostolato tra i connazionali attribuitigli da Ireneo. Da qui, nel 45, varcato il confine
nell’Adiabene, attraversò la regione e raggiunse l’Armenia, fino ad arrivare in
Colchide. In questo modo potè evangelizzare anche alcune aree dell’Impero
Partico. Potrebbe aver raggiunto la Macedonia via mare in circostanze legate alla
predicazione di Andrea18, per poi ritornare via terra in Colchide passando per
Ierapoli19 dove risiedeva l’apostolo Filippo. Di certo dovette abbandonare la
Colchide almeno intorno al 48 per il Concilio di Gerusalemme, ritornandovi poi
definitivamente nei primi anni Cinquanta. La delocalizzazione del ciclo matteano in
epoca successiva dovrebbe essere attribuibile sia alla dimenticanza dell’onomastica
geografica del I sec.- per i cambiamenti radicali occorsi successivamente 20- sia per la
volontà di depurare il ciclo stesso di elementi gnostici saldandolo alla vicenda,
altrimenti senza continuazione, dell’Eunuco di Candace convertito dal diacono
Filippo, descritta negli Atti (come fa appunto lo Pseudo-Abdia) 21. Invece
ininfluente è la testimonianza di Eracleone, che da buon gnostico voleva svilire il
martirio, per cui lo negò ad uno dei principali ministri della Parola scritta 22, mentre
la notizia della morte di Matteo a Gerusalemme sembra alludere alle persecuzioni
di Erode Agrippa e alla latitanza alla quale l’apostolo dovette consegnarsi per
sfuggirgli; il che nel tempo potrebbe essere stato frainteso e preso alla lettera 23. Non
vi è dubbio alcuno quindi del martirio di Matteo.
Meno complicata la situazione di Marco. Del suo martirio ci dà notizia Girolamo
(347-420)24, che lo data all’anno ottavo di Nerone (54-68) in Alessandria d’Egitto,
ossia nel 62-6325. In quell’anno Aniano (62-82) gli successe nella Sede episcopale
18
Cfr. le Memorie Apostoliche, capitolo su Andrea (l. VI).
19
Cfr. JACQUIER, op. cit.
20
La regione fu denominate Iberia.
21
Una volontà analoga potrebbe aver spinto chi dipende da Clemente di Alessandria (come
Ippolito di Roma [170 ca-235]) a negare il martirio di Matteo, per screditarne la notizia, venata di
gnosticismo nella Passio del III sec.
22
Cfr. JACQUIER, op. cit.
23
Cfr. JACQUIER, ibid.
24
De Viris Illustribus, VIII.
25
Il ruolo centrale di Marco nell’evangelizzazione dell’Egitto potrebbe dipendere anche dal fatto
che egli fosse nativo di Cirene, come crede la Chiesa Copta. Alcuni critici ipotizzano che Pietro,
intorno al 61, sia passato per l’Egitto, datando topicamente la sua Seconda Lettera da Babilonia,
sobborgo di Alessandria, e non quindi crittogramma di Roma. Cfr. G.FEDALTO, Il toponimo di 1 Pt
alessandrina26. L’Evangelista era ancora vivo, come s’intende da 2 Tim 4,11, quando
questa Lettera fu scritta; ma datandola al 58 con il Robinson si evita di collocare il
suo martirio in un lasso di tempo troppo stretto o addirittura posteriore alla data
tradizionale27. Non vi è alcun motivo per ritenere che Marco abbia lasciato la sua
Sede senza morire, in quanto nulla nelle fonti lo lascia intendere né vi sono
tradizioni in merito28. Gli Atti di Marco attribuiscono il suo martiro al
trascinamento, dietro un cavallo, lungo le strade della città 29; resoconto confermato
dal Chronicon Paschale30. Il silenzio delle antiche fonti greco-latine sulle modalità del
martirio è imputabile al fatto che il resoconto più antico degli Atti dell’Evangelista
fu redatto in copto nel I sec., per cui rimase nel circuito interno della Chiesa egizia,
con un fenomeno simile a quello delle tradizioni della Chiesa Siriaca 31. Solo dopo,
entro il IV sec., furono tradotti in greco e, tra il 360 e il 370, in etiopico 32.
Su Luca la questione è meno semplice. Gli autori antichi (Clemente, Ireneo [130-
202], Origene [182-254], Eusebio [263-339], Girolamo) non parlano del suo martirio.
Tuttavia il loro silenzio non è una prova assoluta del fatto che Luca non sia stato
martirizzato, come spesso si pretende. Il Prologo Antimarcionita (II sec.), coevo di

5, 13 nell’esegesi di Eusebio di Cesarea, in “Vetera Christianorum” XX (1983), pp. 461-466. Altri che il
toponimo sia relativo alla Babilonia mesopotamica. Per la smentita di queste tesi cfr. J.N.D.KELLY,
The Epistles of Peter and Jude, Londra 1969, pp. 17-20.
26
EUSEBIO, Historia Ecclesiastica, II, 24.
27
Cfr. SIBILIO, op.cit., p. 76.
28
Quando Paolo scrive la Seconda Lettera a Timoteo, Pietro era ancora vivo e Marco in Oriente.
Non c’è motivo di credere che la predicazione di Marco in Egitto sia successiva alla morte di Pietro,
anche perché, stando a Girolamo, Pietro morì prima. Appare logico supporre anzi che Marco,
martirizzato Pietro, lasciasse definitivamente l’Italia e si stabilisse in Egitto. Durante i suoi viaggi
col Principe degli Apostoli si colloca il suo passaggio nelle Venezie, in particolare ad Aquileia,
presumibilmente entro il 50, quando inizierebbe il pontificato di Ermagora (50-70).
L’evangelizzazione della città è infatti da attribuirsi a giudeo-cristiani e quindi risale ad un’epoca
anteriore al 70, dando vigore alle tradizioni sulla presenza di Marco in città, come del resto fanno
le provate e stabili relazioni tra la Chiesa aquileiense e quella alessandrina, quasi che, a distanza di
tanti chilometri, avessero un denominatore comune, quello petrino, riconosciuto dagli antichi
documenti ecclesiastici e veicolato a suo tempo da Marco, collaboratore di Pietro.
29
Nell’828 il corpo del Santo fu poi oggetto di un “sacro furto” da parte dei Veneziani e portato
nella loro città.
30
Cfr. sull’ arg. L.VAN DER ESSEN, s.v., in Catholic Encyclopaedia (1908);
http://www.newadvent.org/cathen/03730b.htm
31
E’ tendenziale l’isolamento delle letterature in lingue orientali rispetto a quelle greco-latine,
anche nell’ambito ecclesiastico. Un caso parallelo e molto più significativo verte sul ciclo
assunzionista. Cfr. V. SIBILIO, Su alcuni aspetti della mariologia medievale, in “Marianum –
Ephemerides Mariologiae” LXVI (2004), pp. 623-658; ed. anche nel forum www.latheotokos.it
dell’I.S.S.R. San Luca di Catania (2009).
32
G.LUSINI, Gli Atti Apocrifi di Marco, in “Aethiopica” XII (2009), pp. 7- 47; Lusini non ritiene
tuttavia che gli Atti di Marco abbiano una preistoria testuale che risalga al I sec.
http://journals.sub.uni-hamburg.de/aethiopica/article/view/92
Ireneo e di poco antecedente a Clemente e a Origene, nonché anteriore di molto a
Eusebio e Girolamo, fa di Luca un martire a Tebe in Beozia, a ottantaquattro anni di
età. Nessuno può affermare che il Prologo, integrato nel IV sec., sia stato modificato
anche nella parte che parla della fine del III Evangelista. Giulio Africano (160/170-
240) nella Praefatio Lucae ci dice che l’Evangelista, vissuto sempre celibe, avendo
scritto il Vangelo in Acaia, morì in Bitinia, senza precisare se sia stato martirizzato;
la notizia è ripresa da Girolamo. Ma la Bitinia potrebbe essere entrata in gioco per
un errore di copista al posto della Beozia. Al martirio di Luca allude Gregorio di
Nazianzo (335-394). Elia di Creta (secc. XI-XII), commentando Gregorio, afferma
che Luca soffrì per il Vangelo come Giovanni, quindi senza il martirio cruento.
Gaudenzio di Brescia (†dopo il 406) lo fa morire a Patrasso come Andrea, alludendo
al suo martirio. Girolamo gli attribuisce ottantaquattro anni di vita 33 e Niceforo (XIV
sec.) lo fa morire nell’80. Epifanio (310-403) narra che egli predicò in Dalmazia
(dove c'è una tradizione in tal senso), Gallia (o Galazia se ci fu errore di copia),
Italia e Macedonia. Girolamo scrive di lui : “Sepultus est Costantinopoli , ad quam
urbem Vigesimo Constantii anno, Ossa ejus cum reliquiis Andreae Apostoli
translata sunt34.” Tirando le somme, possiamo affermare che, privilegiando le fonti
più antiche, Luca sia morto martire, che il luogo del martirio fu la Beozia, e che l’età
del suo supplizio fu quella di Domiziano (81-96), quando presumibilmente
l’Evangelista raggiunse l’età tradizionale della sua morte, appunto ottantaquattro
anni, ponendo la sua nascita in un lasso di tempo che vada dall’anno 0 al 10.
Tradizionalmente si crede che Luca sia stato ucciso appendendolo ad un ulivo 35.
Per Giovanni, non vi sono perplessità. Tutti gli autori antichi attestano che egli non
fu martirizzato, ma che ampiamente soffrì per il Vangelo. Girolamo in particolare
scrive: "Giovanni, Apostolo prediletto di Gesù, figlio di Zebedeo e fratello di
Giacomo decollato da Erode, [..] avendo Domiziano decretato la seconda
persecuzione nel quattordicesimo anno dopo Nerone [ossia nell’81 n.d.r.], egli fu
relegato nell’isola di Patmos; sotto Nerva tornò ad Efeso, ove morì di vecchiaia,
sessantotto anni dopo la Passione di Cristo [ossia nel 98-99 n.d.r.] 36 ." Non mancano
ipotesi che retrodatano il suo esilio 37. Morto Nerone nel 68 e impostisi i Flavi,
Domiziano, reggente a Roma dal gennaio al giugno del 70 mentre il padre

33
De Vir. Ill., VII.
34
De Vir. Ill., VII. Per gli spostamenti delle reliquie, da Tebe a Costantinopoli e da qui in Occidente,
fino a Padova cfr. L. BIANCHI, San Luca testimone della Fede che unisce, in “30Giorni” 2 2004, con
una disamina delle analisi scientifiche sui suoi resti mortali,
http://www.30giorni.it/articoli_id_2949_l1.htm
35
Gli Atti di Luca, redatti in copto, non sono più antichi, nella versione a noi giunta, della fine del
IV sec.
36
GIROLAMO, De viris illustribus, IX
37
G. EDMUNDSON , The Church in Rome in the First Century, Londra 1913; SIBILIO, La datazione,
p.70.
Vespasiano (69-79) e il fratello Tito (79-81) assediavano Gerusalemme, avrebbe già
da questa data esiliato Giovanni Apostolo a Patmos, dove questi scrisse
l’Apocalisse prima ancora che il Tempio fosse distrutto e con una nitida memoria
della persecuzione di Nerone (14, 8; 18, 2; 11, 1 ss.; 13; da cfr. per l’Edmundson con
Tacito, Hist. 3, 72.83; 4, 1). Avvenuto il rientro di Vespasiano, Giovanni potè lasciare
Patmos per dedicarsi alla stesura del Quarto Vangelo.
Del martirio di Pietro nessuno dubita. Le fonti antiche lo danno unanimemente a
Roma sotto Nerone nel 6738, al termine di una vita densa di prove e sofferenze per
Cristo che avevano compensato il triplice rinnegamento delle prime ore del
Venerdì Santo. Sono il Vangelo di Giovanni (60-98) – che in 21, 18 allude al martirio
petrino ma non indica il luogo - Clemente Romano (92-101) nella sua Lettera ai
Corinti (70)39 in 1-2. 5,1-4 (riscontrata per le persecuzioni in Tacito, Annales 15, 38-
44), l’Apocalisse di Giovanni (69-81) al cap. 11, Ignazio di Antiochia (35-107) nella
sua Lettera ai Romani, l’Ascensione di Isaia in 4, 2ss. (100 ca.), l’Apocalisse di Pietro
(100 ca.). Seguono Dionigi di Corinto (†174), Ireneo di Lione, la testimonianza di
Gaio sul tropaion di Pietro in Vaticano attestata da Eusebio e risalente al 200 40,
Tertulliano (160-220), che confermarono la notizia dai tre continenti del
Cristianesimo e dell’Impero Romano.
Da allora non vi è voce discordante. Il ciclo agiografico su Pietro, riunito negli Atti
di Pietro, narra il martirio per crocifissione a testa in giù sul colle Vaticano 41 (Atti di
Vercelli [190 ca.]42, Martirio di Pietro [I-V sec.]43, i Frammenti Copti del Museo
Borgiano [mss. del IV-V sec.], Atti di Pietro e Paolo dello Pseudo-Marcello [V
sec.]44)45. L’archeologia ha confermato la collocazione tradizionale della tomba

38
Come indica Eusebio nel suo Chronicon.
39
Cfr. SIBILIO, ibid., p. 37, che riprende le tesi del Robinson sulla datazione della Lettera ai Corinzi.
40
Hist. Eccl., 2, 25-27.
41
Attestato anche da LATTANZIO, De mortibus persecutorum 2, 6; ORIGENE, Commentarium in
Genesim 3; EUSEBIO, Hist. Eccl., 3, 1,2.
42
Depurati degli elementi encratici e gnostici, nonché di quelli folklorici, gli Atti di Vercelli
contengono notizie storiche senz’altro attendibili, come unanimemente riconosciuto.
43
Il Martirio è attribuito tradizionalmente a Lino (67-76), il secondo Papa. La retrodatazione della
Lettera ai Corinti di Clemente dovrebbe spingere a non trascurare l’origine subapostolica del
documento, anche se la redazione può aver subito dei rifacimenti fino al V sec.
44
Le articolate relazioni che gli Atti di Marcello individuano tra Pietro, Paolo e la corte neroniana
trovano una inaspettata conferma negli studi di G.G.GAMBA, Petronio Arbitro e i cristiani. Ipotesi
per una lettura contestuale del Satyricon, Roma 1997, che legge il Satyricon come una parodia del
Cristianesimo a cui sia Nerone che Petronio si sarebbero temporaneamente avvicinati. Che tra il
Satyricon e il Vangelo di Marco vi siano poi richiami, è cosa nota da tempo, così come si sa che il
secondo era noto ai membri del ceto equestre e della corte. Per cui il valore storico di questi Atti e
la stessa loro composizione vanno riconsiderati in una luce più favorevole.
45
Testo it. in http://www.profezieonline.com/atti-di-pietro.html
petrina laddove oggi sorge la Basilica di San Pietro 46 e ha fornito altri riscontri al
ciclo petrino in Roma47.
Anche dell’apostolo Paolo, il più prolifico scrittore del NT, abbiamo l’assoluta
certezza del martirio. Esso è attestato dalla Lettera di Clemente Romano ai Corinzi
(5,2), dall’Apocalisse di Giovanni al c.11, da Ignazio di Antiochia nella sua Lettera
ai Romani; ulteriori testimonianze significative si hanno in Tertulliano 48, Eusebio49 e
Girolamo50. La prima narrazione del martirio si ha negli Atti di Paolo (190-200), per
la precisione nella parte denominata Martirio di Paolo, che è una delle parti che,
autonomamente, ci ha conservato il testo originario, anche se frammentario; le altre
sono gli Atti di Paolo e Tecla (Codice G, Papiro Copto di Heidelberg, Papiro Greco
di Amburgo e Papiro Copto di Bodmer) 51, la Lettera dei Corinzi a Paolo e la III
Lettera di Paolo ai Corinzi52. “Tradizioni successive preciseranno due altri elementi.
L’uno, il più leggendario, è che il martirio avvenne alle Aquae Salviae, sulla Via
46
La sepoltura di Pietro a Roma è assolutamente certa. L’altare centrale della Basilica fu costruito
da Clemente VIII (1592-1605) sopra la Memoria dell’Apostolo. Giovanni Paolo II (1978-2005) ha
rimesso in comunicazione la Confessione con la Tomba di Pietro. Sotto l’altare clementino vi è
quello di Callisto II (1119-1124), che a sua volta sormonta quello di Gregorio Magno (590-604).
Proseguendo, s’incontra il monumento quadrangolare di marmo bianco e porfido rosso voluto da
Costantino nel 312, al livello di 0,20 m., quello della Basilica da lui voluta. Tra i suoi muri
racchiude una costruzione ancora più remota: un’edicola su base rettangolare di otto metri per
quattro, il “Campo P”, circondato da stanze funerarie del 130-150, nel sito di una vasta necropoli
del II – III sec., che ingloba una serie di luoghi funerari ancora più antichi. Sul lato ovest sorge il
“Muro Rosso”, del 146-161. Due nicchie sovrapposte sono scavate nel Muro, in cui sporge una
lastra di travertino con due colonnine di marmo bianco; nel selciato un’apertura chiusa da una
lastra, con un nascondiglio rivestito di marmo, che aveva contenuto le spoglie di Pietro. E’ questo
il Trofeo descritto da Gaio nel 160, il monumento che descrive il trionfo del martirio. Edificato con
difficoltà in quel punto preciso, aveva ragion d’essere perché lì era tumulato Pietro. Il “Muro G”,
posteriore al Rosso, ma anteriore al Monumento costantiniano, contenente un loculo di 77 cm per
29 per 31 rivestito di marmo greco, aveva poi ospitato i resti dell’Apostolo per evitare
profanazioni. Il complesso corrisponde a una tomba povera, detta “Theta”, assieme ad altre tre
posizionate nei pressi del sepolcro petrino, e risalente agli anni 69-79, quelli di Vespasiano, che salì
al trono un anno dopo la morte di Pietro. A partire dalla prima metà del III sec., una elegante
tomba cristiana della Gens Iulia fu costruita per onorare la vicina sepoltura del Pescatore. Gli scavi
sono stati condotti tra il 1939 e il 1949 e poi tra il 1953 e il 1958. Nel 1963 le ossa rinvenute dal
loculo del Muro G furono riconosciute, in seguito ad accertamenti scientifici, come quelle di un
uomo di sessanta-settanta anni, robusto, frammiste a stoffa tinta di porpora e a oro, nonché a terra
del luogo. Con esse c’era un frammento con l’iscrizione greca: Pietro è qui dentro. Oggi la tomba è
visibile ai pellegrini per i lavori ordinati da Papa Woityla.
47
Cfr. C.P.THIEDE, Il Papiro Magdalen, Casale Monferrato 1997, pp. 91-96 (ed. orig.: Rekindling the
Word. In search of Gospel Truth, Leominster 1995.
48
De Praescriptione Haereticorum, 36.
49
Historia Ecclesiastica 2, 25, 5.6-7.
50
De Vir. Ill., 5,8.
51
Testo it. in http://www.profezieonline.com/atti-di-paolo.html
52
Testo it. in http://www.profezieonline.com/corrispondenza-apocrifa-di-s.-paolo.html
Laurentina, con un triplice rimbalzo della testa, ognuno dei quali causò l'uscita di
un fiotto d'acqua, per cui il luogo fu detto fino ad oggi “Tre Fontane” (Atti di Pietro
e Paolo dello Pseudo Marcello). L’altro, in consonanza con l'antica testimonianza,
già menzionata, del presbitero Gaio, è che la sua sepoltura avvenne non solo “fuori
della città... al secondo miglio sulla Via Ostiense”, ma più precisamente “nel podere
di Lucina”, che era una matrona cristiana (Passione di Paolo di Abdia 53). Qui, nel
secolo IV, l’imperatore Costantino eresse una prima chiesa, poi grandemente
ampliata tra il secolo IV e V dagli imperatori Valentiniano II, Teodosio e Arcadio.
Dopo l’incendio del luglio 1823, fu qui eretta l’attuale Basilica di San Paolo Fuori le
Mura.54”Anche di questi eventi l’archeologia ha fornito conferma 55.
Il martirio di Giacomo il Minore è anch’esso fuori dubbio. Giacomo subì il martirio
a Gerusalemme nel 62 (a seconda che il computo abbia l'estremo incluso o, più
probabilmente, escluso), dopo trent’anni di pontificato sulla comunita’ giudeo-
cristiana, sotto il sommo sacerdozio di Anano (62-63), come attesta Giuseppe
Flavio, nelle Antichità giudaiche56 ; secondo il breve accenno di Giuseppe, Giacomo
fu fatto lapidare assieme ad altri cristiani.
Per quanto riguarda l’ultimo degli scrittori del NT, Giuda Taddeo, abbiamo una
situazione intricatissima. Dobbiamo anzitutto ricordare che Niceforo Callisto nel
XIV sec. lo fa missionario in Giudea, Galilea, Samaria e Idumea. La maggior parte
degli autori greci affermano che Taddeo morì di morte naturale. Invece, secondo gli
autori siriaci egli sarebbe stato martirizzato. Sulla loro scia si muovono gli autori
armeni e georgiani, nonché i persiani. Per tutte le fonti, dopo la dispersione degli
Apostoli, l'attività di Giuda Taddeo si sarebbe svolta a Edessa, in Osroene; cosa
perfettamente possibile perché il Regno di Osroene, indipendente dal 142 a.C. al
244 d.C., era all’epoca un fiorente centro di cultura semitica, legato da vincoli di
vassallaggio al Re dei Re dei Parti. Un documento dell'archivio di Edessa, che
Eusebio di Cesarea cita nella sua "Storia Ecclesiastica" e dice di aver visto, presenta
uno scambio di lettere fra Gesù e il toparca Abgar V Ukkama di Edessa (4-7; 13-50),
intercorso dieci giorni prima della Passione: Abgar lo pregò di recarsi da lui in
Edessa per guarirlo da una malattia; Cristo rispose che poteva svolgere la sua
missione solo in Israele, ma che in seguito avrebbe mandato alla sua corte uno dei
suoi discepoli. Dopo l’Ascensione dunque, secondo Eusebio, l'apostolo Tommaso
avrebbe inviato ad Abgar uno dei Settantadue discepoli, di nome Taddeo, chiamato
anche Addai. Nella Dottrina di Addai, uno sviluppo dell'antica leggenda risalente
53
Testo it. in http://www.profezieonline.com/memorie-apostoliche-di-abdia.html
54
BENEDETTO XVI, Allocuzione ai pellegrini in Udienza Generale, 4 febbraio 2009.
55
Il sepolcro dell’Apostolo è stato riportato alla luce da sotto il pavimento della Basilica a lui
dedicata nel corso degli scavi fatti tra il 2002 e il 2006 sotto la guida di Giorgio Filippi. Le ossa di
Paolo sono state identificate con quelle rinvenute sotto l’Altare della Confessione della Basilica di
San Paolo Fuori le Mura, nel 2008
56
20,200. Cfr. anche Eusebio, Hist. Eccl., 2,1,4; 2,23; Girolamo, De vir. ill. 2
all'anno 400 circa, leggiamo la notizia che il messo inviato ad Abgar dipinse e portò
al toparca il Mandylion, l'immagine di Cristo. Ma Eusebio intende che l'apostolo
Taddeo e Addai siano la stessa persona57. E’ evidente che la lettera non è autentica58.
Ma l’evangelizzazione di Edessa e la sua conversione ufficiale si possono datare
proprio intorno al 40. E ci sono buoni motivi per fare proprio di Giuda Taddeo
l’apostolo della città e supporre qualche contatto tra Abgar V e Gesù. Infatti Giuda
Taddeo, passando da Edessa nel 45, si portò poi nelle regioni limitrofe della
Palestina, nell'Arabia, in Siria, in Libano e in Mesopotamia, come attestano gli Atti
di Taddeo, probabilmente redatti sin dal III sec. in siriaco ma giunti a noi in una
versione greca del VI-VIII sec.59 Tali Atti, che mescolano le notizie su Taddeo e su
Addai, fanno morire il protagonista di morte naturale 60. Di converso, una Passio
Simonis et Judae esiste dal IV-V sec. Altre fonti dicono che Taddeo avrebbe sofferto il
martirio a Beirut o ad Aradus in Fenicia, oppure - secondo lo storico armeno Mosè
di Khorene (410-490), che lo imputa a re Sanatruce (50-67) - nel 66 a Weriosphora in
Artasia. Le fonti georgiane fanno Taddeo martire in Iberia secondo i Georgiani. Il
cap. VI delle Memorie Apostoliche di Abdia -che, come abbiamo detto, è del VI-VII
sec.61- narra che Taddeo abbia incontrato l'apostolo Simone lo Zelota in Persia,
insieme al quale la evangelizzò e in tredici anni percorsero le province dell'Impero
arsacide. Giunti nella città di Suanir (vicino a Tabriz città della regione
dell’Azerbaigian), i due Apostoli furono uccisi da sassate e colpi di mazza da
fanatici zoroastriani, e per questo l'arte mette in mano all'apostolo Giuda una
pesante mazza. Poi sarebbe stato sepolto con Simone a Babilonia. Sul luogo del suo
martirio si trova una chiesa intitolata al santo chiamata «Qara Kelisa» (Chiesa Nera)
che in Armenia è meta di pellegrinaggi, più volte restaurata e nel 2008 è dichiarata
57
1, 13, 1-22. La Dottrina d'Addai dice che fu l'apostolo Giuda Tommaso ad inviare ad Edessa Addai.
La Dottrina d'Addai presenta probabilmente una conciliazione fra tre tradizioni: una che attribuiva
proprio a Giuda Taddeo l'evangelizzazione della Siria; un'altra, testimoniata dagli Atti di Tommaso,
da Efrem Siro e nella Peregrinatio Aetheriae, che narra dell'evangelizzazione dell'India da parte
dell'apostolo Tommaso, il quale finisce martirizzato proprio ad Edessa; la terza, di origine
probabilmente locale, che attribuiva proprio a Addai l'evangelizzazione di Edessa e di tutta la
Mesopotamia. Il nome Giuda Tommaso comunque compare, oltre che nella Vetus Syra, negli Atti di
Tommaso, in Efrem, nella Dottrina d'Addai e in greco nello stesso Eusebio; viene ricondotto
probabilmente alle tradizioni presenti nel Diatessaron di Taziano. Cfr. J. W. DRIJVERS, Facts and
problems in early Syriac-speaking Christianity, in «East of Antioch», London 1984, pp. 157-175, in part.
158-159. Prodotto forse dalla confusione e somiglianza fra i nomi Addai e Taddeo, Addai in
Eusebio diventa Taddeo.
58
Nonostante il parere favorevole di pochi studiosi, anche se prestigiosi, come Marta Sordi. E’
inconcepibile che l’unico testo scritto di Gesù non sia rimasto nei Vangeli canonici. E’ possibile che
Gesù abbia inviato al toparca un messaggio verbale.
59
Qui in trad. ingl.: http://www.ccel.org/ccel/schaff/anf08.vii.xxxvi.html
60
In quello stesso periodo anche Ippolito di Roma sembra ignorare la fine cruenta dell’Apostolo,
sebbene non conosca il siriaco. Ma la sua posizione può dipendere da scarsa documentazione.
61
Testo it. in http://www.profezieonline.com/memorie-apostoliche-di-abdia.html
patrimonio mondiale dell’umanità dall’Unesco. Ciò è descritto. Quale resoconto è
più credibile? Innanzitutto, la fonte più antica, la Passio Simonis et Judae, attesta il
martirio. Analogamente Mosè di Khorene, di poco posteriore. I luoghi indicati dalle
fonti armene, siriache e georgiane coincidono: l’Iberia è, dal V sec. in poi, il nome
dell’antica Colchide; è a ridosso dell’Artasia, nell’Armenia settentrionale; la città di
Suanir è nella zona e ha una memoria monumentale legata al martirio; essa può
presumibilmente identificarsi con Weriosphora. L’ambientazione minoritaria del
martirio ad Aradus si può imputare a qualche errore paleografico che mescoli
questo nome con quello del fiume Araxes, da cui prende il nome l’Artasia e la sua
metropoli, la capitale dell’Armenia, Artaxes. La convergenza di questi dati esclude
che il martirio sia avvenuto in Libano. Il ciclo di Taddeo ha ambientazioni
storicamente plausibili nelle Memorie di Abdia. L’Apostolo contesta il culto solare di
Suanir, che è chiaramente zoroastriano. I maghi già sconfitti da Matteo si ritrovano
come suoi avversari e rinnovano contro di lui una predicazione dualista,
tipicamente mazdaica, che rimanda agli ambienti persiani. Il contesto storico
coonesta la narrazione del martirio: re Sanatruce fu un fanatico zoroastriano, che
fece apostatare l’Osroene dalla religione cristiana; anche suo fratello, Tiridate I
d’Armenia (…†…) – sul cui trono Sanatruce salì nel 91 rimanendovi fino al 109 –
era uno zelante seguace di Ahuramazdah, che non dovette essere ben disposto
verso l’Apostolo e gli Ebrei in genere. Sia Tiridate che Sanatruce erano Arsacidi,
ossia di stirpe iranica, non semitica. Tiridate poi divenne re cliente di Nerone che lo
incoronò in Italia nel 66, quando presumibilmente il sovrano armeno esportò in
Italia il culto di Mitra. L’Armenia di Tiridate era una nazione dove si parlava
correntemente l’aramaico, oltre che il greco. Il regno di Tiridate, segnato da
sconvolgimenti politici (perse il trono nel 53-54 e nel 58-63) nel quadro delle lotte
romano-partiche, potè essere favorevole ad una predicazione nuova come quella
del Cristianesimo, salvo poi scatenare una reazione quando la sua posizione si
rafforzò con gli accordi tra Nerone e la Partia. Inoltre il martirio di Giuda Taddeo è
riscontrato dai cicli agiografici di Simone lo Zelote e ha addentellati con quelli di
Matteo, Bartolomeo e Tommaso, custoditi anch’essi nelle Memorie di Abdia. Come
può però spiegarsi che il martirio di un Apostolo non sia recepito dalla tradizione
della Grande Chiesa, attestata dagli Atti di Taddeo? Nel periodo in cui sono scritti
sia gli Atti greci che le Memorie – attribuendo ad entrambi la più alta datazione
possibile e la simultaneità – la Grande Chiesa e le Chiese etniche d’Oriente sono
separate per le dispute cristologiche. L’autore greco degli Atti potrebbe aver voluto
delegittimare l’origine apostolica delle Chiese scismatiche, non solo facendo morire
Giuda Taddeo in Libano, ma di morte naturale. Il chierico franco autore delle
Memorie, appartenendo ad una Chiesa meno coinvolta nelle dispute, avrebbe
invece fatto sfoggio di erudizione usando fonti orientali più antiche. Ovviamente
anche Mosè di Khorene e le fonti dello Pseudo-Abdia potrebbero aver voluto
nobilitare le proprie Chiese, attribuendone la fondazione a un Apostolo e facendolo
morire martire nel proprio territorio. Anche se nel loro caso si dovrebbe riscontrare
che tra gli Armeni e i Siriaci d’Occidente, monofisiti, e i Siriaci d’Oriente, nestoriani,
presumibilmente rappresentati da Mosè e dalle fonti dello Pseudo-Abdia, non
correva più buon sangue di quanto ne corresse tra entrambi e gli ortodossi. Inoltre
gli Atti hanno presumibilmente un archetipo siriaco più antico di tutti gli altri testi
di cui parliamo. Appare inverosimile che la notizia del martirio di un Apostolo,
peraltro assai nobilitante, fosse ignorata da un autore del III sec. e nota ad altri
successivi. Ma gli Atti hanno un difetto: mescolano le notizie su Taddeo e quelle su
Addai. Nessuno ci garantisce che parlando della fine di Taddeo tramandassero
quelle, che essi reputavano vere, su Addai, sul quale ancora più fortemente si può
sospettare che abbiano pesato intenti denigratori o su cui almeno un autore greco
poteva, ragionevolmente, essere meno informato. Perciò gli Atti sembrano essere
meno attendibili della tradizione siriaco-armeno-persiano-georgiana. Il silenzio di
Eusebio sul martirio di Taddeo non è una prova del fatto che non sia accaduto, ma
che la Grande Chiesa e la corte imperiale non aveva in merito notizie
sufficientemente dettagliate. Non va inoltre dimenticato che il ciclo di Taddeo,
tramandato in aramaico ma ambientato in Armenia, potè essere fissato nella lingua
di quel popolo solo nel V sec., quando ne fu fissato l’alfabeto, rimanendo fino ad
allora in una sorta di limbo in cui le varie fazioni ecclesiastiche e politiche potevano
trascurarlo o riprenderlo secondo il proprio comodo. Perciò possiamo ritenere
sufficientemente fondato quanto segue: Taddeo percorse tutta la Palestina;
dall’Idumea passò in Arabia petrea nel 42 e poi in Libano. Qui subì persecuzioni e
passò in Siria. Dalla Siria andò oltre i confini dell’Impero Romano, in Osroene, nel
45. Intorno al 52 cominciò a percorrere l’Impero partico con Simone lo Zelota e, nel
66, prima della morte di Sanatruce, per istigazione di costui e del clero mazdaico, fu
martirizzato nei domini del fratello Tiridate, magari mentre questi era a Roma per
l’investitura neroniana e suo fratello poteva maggiormente spadroneggiare. Quanto
andiamo a dire su Simone lo Zelota e su Tommaso possono confermare questa
ricostruzione.
Simone lo Zelota, secondo la Legenda Aurea che si basa anch’essa sulle Memorie
Apostoliche di Abdia- che come dicevamo parla di questo Apostolo insieme a Giuda
Taddeo, di cui dice che è il fratello- predicò in Persia e in Armenia e morì nelle
stesse circostanze in cui fu martirizzato l’altro. La notizia è riportata anche dai
Martirologi di Adone (IX sec.), di Beda (VIII sec.), di Usuardo (IX sec.) e dal
Geronimiano (V sec.), nonché da Venanzio Fortunato (535-603), vescovo di Poitiers,
alla fine del VI secolo, che, riprendendo l’apocrifa Passio Simonis et Iudae (datata,
come dicevo, al IV-V sec.), indica per entrambi il martirio comune 62. Una sua tomba

Anche per Simone come per Matteo e Giuda e Giovanni Ippolito di Roma non conosce il
62

martirio. Ma come per gli altri due Apostoli martirizzati nel Caucaso la sua ignoranza si deve al
è attestata a Komanis (Nicopsis) in Abkhazia dal monaco Epifane nel IX sec. Le
reliquie di Simone e Giuda sono da sempre unite: da Babilonia a Roma, dove
ancora si conservano. Fonti greche lo fanno predicare nel Bosforo Cimmerio (Gli
Atti di Andrea [150-200]), in Asia Minore, in Egitto, in Africa settentrionale, in
Britannia (dove sarebbe stato martirizzato nel Lincolnshire, secondo la Sinossi dello
Pseudo-Doroteo di Tiro [V sec-]). Fonti etiopi lo identificano con Simone, fratello di
Gesù, martirizzato in Gerusalemme, di cui fu vescovo sin dal 62, nel 107 63 sotto
Traiano64.
Facendo una scrematura, possiamo porre questi punti fermi. Le fonti più antiche
(IV-V sec.) accreditano il martirio congiunto di Simone e Giuda 65. La ricostruzione
dello Pseudo Abdia ha una cornice storica nel complesso plausibile, come
dicevamo parlando di Giuda Taddeo. Le testimonianze erudite sul suo sepolcro
tendono a sovrapporsi, essendo i confini meridionali del Bosforo Cimmerio molto
vicini a quelli settentrionali dell’Abkhazia, dove quindi si troverebbe Khomanis, da
identificarsi con Nicopsis, che a sua volta prenderebbe il nome dal fiume
dell’Abkhazia del Nord. Forse colà vi fu una prima sepoltura (o una traslazione di
qualche reliquia) prima che il corpo fosse trasferito a Babilonia e da lì, tramite altre
stazioni intermedie, a Roma con quello di Giuda. Questa traslazione è possibile
perché in Abkhazia sorgeva all’epoca un Regno di Iberia, in cui si parlava greco e
aramaico e il cui re Mitridate I (58-106) era filosemitico e accolse molti profughi
ebrei dopo la distruzione di Gerusalemme nel 70. Non è da escludere che, prima di
entrare nell’Impero degli Arsacidi, abbia evangelizzato l’Asia Minore (meta di tanti
altri suoi confratelli), alcune regioni dell’Africa (che non risulterebbero altrimenti
toccate da alcun Apostolo) e lo stesso Egitto. Completamente sballate invece le
testimonianze dello Pseudo Doroteo e degli incauti che lo hanno poi citato,
mandando Simone in Britannia: probabilmente l’autore, nel pieno delle lotte

fatto che le fonti che li riguardavano erano legate a un milieu culturale lontano da quello
dell’autore. Del resto lo stesso Ippolito subì una sorte analoga: autore greco nella Roma latina,
antipapa e martire, fu dimenticato da Agostino e Girolamo che due secoli dopo conoscevano i suoi
scritti ma non sapevano chi fosse stato.
63
La menzione di Attico, cioè Tiberio Claudio Attico Erode, legato di Giudea dal 100 al 103, pone il
martirio di Simeone ai primi anni del regno di Traiano, a Pella in Palestina, come si deduce ancora
da Eusebio di Cesarea (Hist. Eccl., III, 5, 3). 
64
Così viene descritto il martirio da Egesippo, vissuto nel II secolo e citato da Eusebio di Cesarea
(Hist. Eccl., III, 32, 3. 6): «Alcuni di questi eretici accusarono Simeone, figlio di Cleofa, di essere
discendente di Davide e cristiano; egli subì così il martirio, all’età di centoventi anni, sotto Traiano
Cesare e il consolare Attico. […] il figlio dello zio del Signore, il suddetto Simeone figlio di Cleofa,
fu denunciato dagli eretici e giudicato anch’egli per lo stesso motivo, sotto il consolare Attico.
Torturato per molti giorni, testimoniò la sua fede in modo tale, che tutti, compreso il consolare, si
stupirono di come un uomo di centoventi anni potesse resistere tanto; e fu condannato alla
crocifissione». 
65
Le loro reliquie ancora oggi sono venerate insieme nella Basilica di San Pietro.
cristologiche, voleva delegittimare le Chiese nestoriane e monofisite allontanando
da esse la memoria della predicazione apostolica. L’identificazione tra Simone lo
Zelota e Simone fratello di Gesù appare tuttavia impossibile, stando alla
testimonianza di Eusebio ed Egesippo, il quale infatti non afferma che i due siano la
medesima persona. Tuttavia, anche se volessimo prendere per buona – come molti
facevano un tempo – questa indicazione, a maggior ragione non potremmo
dubitare del martirio del nostro Apostolo.
Il martirio di Bartolomeo o Natanaele è anch’esso attestato nelle antiche fonti. Una
Passio Sancti Bartholomaei esiste dal IV-V sec. in greco, venato di nestorianesimo; vi è
un testo parallelo in latino; entrambi si rifanno ad un racconto originale perduto.
Spintosi fino in India, ossia in Arabia meridionale, dove portò con sé copie del
Vangelo ebraico di Matteo66, dovette costeggiare la Penisola Araba, giungere in
Mesopotamia, risalirla predicando tra i Parti e penetrare dapprima in Licaonia e
forse fino alla Frigia, predicando a Laodicea 67, per poi anch’egli recarsi in Armenia,
nome generico che si riferisce al Caucaso, nella parte orientale, corrispondente
all’attuale Azerbaigian, all’epoca l’Albania Caucasica, nella cui capitale Albanopolis
(Baku o Derbent) fu martirizzato per scuoiamento, crocifissione e decapitazione dal
crudele re Astiage68. La scarsa conoscenza della storia dell’Albania Caucasica non ci
permette di contestualizzare bene. Comunque sembra che l’Apostolo abbia
convertito il re Polimio, suscitando l’ira del fratello maggiore, re anche lui, che
appunto lo fece uccidere, tra il 60 e il 68. Le sue reliquie sono state trasportate a
Benevento e Roma69.
Per quanto concerne Tommaso, partì nel 42 e si recò a evangelizzare la Siria e poi,
per primo, ad Edessa, dove già aveva inviato Addai nel 30. Lasciata Edessa dove gli
subentrò Giuda Taddeo, entrò, anche questa volta presumibilmente per primo, in
Mesopotamia dove fondò la comunità cristiana di Babilonia. Percorse l’Impero

66
La peregrinazione in Arabia Felix è notizia di Eusebio e Girolamo. Eusebio ci informa che
Panteno (†200) trovò una copia del Vangelo ebraico di Matteo in quelle terre (Hist. Eccl., V, 10, 3).
La peregrinazione è dunque compresa tra il 42 e il 45.
67
La notizia della Licaonia si deve allo Pseudo Dionigi nel IV-V sec.
68
Isidoro di Siviglia nel VII sec., il Martirologio di Beda nell’VIII e le Memorie Apostoliche di
Abdia danno questa notizia basandosi, specie quest’ultima, sulla Passio Bartholomaei. Testo it.:
http://www.profezieonline.com/memorie-apostoliche-di-abdia.html. Qui il martirio avviene per
bastonate. In genere gli Occidentali oscillano nelle modalità del martirio; quella classica dello
scuoiamento s’impone con Isidoro. Gli Orientali insistono sulla crocifissione. Il sadismo
dell’esecuzione si confà alla tradizione iranica, che poteva aver influenzato i Caucasici (Astiage è
nome medo).
69
Anastasio I traslò le reliquie a Darae in Mesopotamia nel 507 o ad Anastasiopoli in Frigia dove
sono nel 546. Nel 580 sono trasportate a Lipari. Nell’838 il principe longobardo Sicardo se le porta
a Benevento per salvarle dai musulmani. Nel 999 Ottone III ne porta una parte cospicua a Roma
sull’Isola Tiberina. Per cui esse oggi sono divise tra Roma e Benevento. Una ricognizione delle
reliquie beneventane ha evidenziato frammenti ossei in più reliquiari.
Partico. Successivamente, come racconta Eusebio di Cesarea, si spinse fino
all'India70. A Tassila, sull’alto corso dell’Indo, convertì il re indo-partico Gundaforo
(21-47). Il nome è effettivamente attestato tra i sovrani indo-partici del I secolo d.
C.71 Da Tassila, Tommaso avrebbe proseguito via mare la sua missione procedendo
verso sud, fino nel Malabar. Negli Atti di Tommaso 72 - testo del III secolo,
presumibilmente redatto da uno gnostico dopo il 235 sulla base di memorie più
antiche, poi riscritto da un cristiano ortodosso – si narra la missione indiana
dell’Apostolo. Questi iniziò la sua predicazione nella città portuale di Muziris, ai
tempi del re Uthiyan Cheralathan (..-74), dove arrivò nel 52 (l’anno in cui Simone e
Giuda iniziarono a evangelizzare l’Impero Partico), legata al commercio romano,
dove viveva una fiorente colonia ebraica, alla quale come da prassi si rivolse prima
che ai pagani. Dopo aver convertito alcuni ebrei, molti indiani, la maggior parte dei
quali apparteneva alle caste superiori, furono evangelizzati. La tradizione riferisce
che le città del Kerala in cui San Tommaso fondò una comunità cristiana furono:
Maliankara (oggi Malankara Dam), Kottaikkavu, Niranam, Kollam e
Gokamangalam (oggi Kothamangalam). Successivamente si recò in Cina73. Al
ritorno cominciò a evangelizzare le popolazioni della costa orientale del
subcontinente indiano, e qui morì a Mailapur (trascritta comunemente come
Mylapore), sulla costa del Coromandel74. L'Apostolo fu ucciso trafitto da una lancia,
70
EUSEBIO, Hist. Eccl., III, 3.1, che cita Origene. Le testimonianze sono numerose: Girolamo,
Ambrogio, Gregorio di Nazianzo, il De vitis apostolorum. «Tra le fonti ricordate», scrive Ilaria
Ramelli, «in particolare il De vitis apostolorum lascia supporre che l’itinerario dell’evangelizzazione
tomistica sia proceduto dall’area mesopotamica, attraverso quella partica, fino alle regioni indiane,
in una chiara progressione verso l’Oriente, affermando che Tommaso, secondo la tradizione,
predicò ai Parti, ai Medi, ai Persiani, agli Ircani, ai Battriani e ai Magi e morì a Calamina d’India».
Anche le tradizioni indiane concordano sull’arrivo di Tommaso e sui dettagli. Furono per primi i
portoghesi, nel 1533, a registrarle direttamente dalla voce degli abitanti del Malabar. Cfr.
G.RICCIARDI in 30Giorni, http://www.30giorni.it/articoli_id_165_l1.htm?id=165
71
La comunità Cristiana fondata da Tommaso nell’Impero Indo-Partico fu travolta dall’invasione
degli Yuhezi alla fine del I sec.
72
Testo it.: http://www.profezieonline.com/atti-di-tommaso.html
73
Cfr. P.SORMANI, San Tommaso Apostolo della Cina?, in “Studi Cattolici” 574 (2008).
http://www.rassegnastampa-totustuus.it/modules.php?name=News&file=article&sid=2664
74
«La tomba», spiega la Ramelli, «si trovava nella cosiddetta “casa di san Tommaso”, una chiesa a
pianta rettangolare dotata di cappelle, molto antica e ormai in rovina, che non conteneva
immagini, ma solo croci e aveva attorno molte altre tombe e monumenti […]. La tomba di
Tommaso era notevolmente al di sotto del livello della cappella corrispondente: la cappella e la
chiesa stessa furono dunque costruite successivamente su una tomba di età sensibilmente
anteriore». Datarla non era facile. Finché, nel 1945, ad Arikamedu, a sud di Mailapur, fu rinvenuta
una stazione commerciale romana. Nel suo strato più antico, i mattoni sono assolutamente identici
a quelli della tomba di Tommaso. E proprio in questo strato furono rinvenute ceramiche datate al I
secolo d. C.: «Dunque», conclude la Ramelli, «la tomba di Tommaso presenta probabilmente la
medesima fattura muraria di una stazione commerciale romana della seconda metà del I secolo d.
C. e sembra risalire al medesimo periodo». Cit. in RICCIARDI, ibid.
per ordine del re Misdaeus, forse da identificarsi col sovrano Kocengannan, che nel
70 costruì un tempio a Shiva. Il martirio avvenne su una collina nei pressi
dell'attuale Chennai, capitale del Tamil Nadu, il 3 luglio dell'anno 72 75, ove ancora
una croce ricorda il suo sacrificio.
In quanto all’apostolo Filippo, non vi sono problemi significativi per riconoscerne il
martirio. Non è il caso di confondere i suoi atti con quelli dell’evangelista Filippo,
come fanno alcuni, a causa del fatto che entrambi avevano delle figlie. Infatti nel
ciclo a lui dedicato l’apostolo ha tre figlie, mentre l’evangelista ne aveva quattro (At
21, 8); qualsiasi sovrapposizione avrebbe conservato il numero delle figlie invece di
accrescerlo. Egli, evangelizzatore della Scizia per vent’anni (42-62), e poi della
Grecia, della Lidia e della Frigia, concluse a Gerapoli la sua vita, come attesta
Policrate di Efeso nella sua lettera a Vittore I del 189-198 76. Gli Atti di Filippo (fine
IV sec.) descrivono il suo martirio anche se in modi leggendari 77; le fonti confluite
nelle Memorie Apostoliche di Abdia, più antiche anche se la redazione è più
recente degli Atti, confermano i luoghi e le circostanze generiche 78. Scampata infatti
la persecuzione di Nerone, Filippo fu crocifisso per ordine di Domiziano (81-96)- e
non di Traiano come dicono gli Atti - intorno all’86. Le notizie della sua morte in
tarda età per ragioni naturali, legate alle polemiche gnostiche contro il martirio
cristiano, sono false. Nel 2008 a Pamukkale un'equipe di archeologi italiani guidati
da Francesco D'Andria dell'Università di Lecce ha identificato in un sepolcro nei
resti dell'antica Gerapoli una tomba che è stata poi identificata come la sepoltura di
Filippo. La notizia è stata resa nota nel 2011. La tomba è stata rinvenuta vuota. Le
spoglie mortali del santo, infatti, sono custodite nella Basilica dei Santi XII Apostoli
in Roma. Le iscrizioni e la presenza di un luogo di culto antico attorno all'edicola
sacra confermano, tuttavia, l'identificazione della camera sepolcrale con quella

75
Gli Atti di Tommaso e Sant'Efrem, riportano che le reliquie di Tommaso furono trafugate – per
salvarle dalla profanazione dei persecutori - e trasferite a Edessa già dall'anno 230. Il 13
dicembre 1144 Edessa subì la conquista musulmana e le reliquie di Tommaso furono portate via
nell'isola di Chios. Da qui infatti sono pervenute alla cittadina di Ortona, in Abruzzo, insieme
alla pietra tombale, il 6 settembre 1258, ad opera di Leone Acciaiuoli, capitano delle tre galee
ortonesi alleate della flotta di Venezia nello scontro contro quella di Genova al largo di Acri. Il
Martirologio Romano e Isidoro di Siviglia pongono la data del martirio il 21 dicembre del 72.
Nel 1984 ne è stata eseguita una ricognizione scientifica, che attribuì le ossa a un individuo di
sesso maschile, morto in un'età compresa tra i 50 e i 70 anni, con uno zigomo fratturato da un colpo
di lama affilata, forse causa della sua morte. Più recentemente, l'esame della raffigurazione
dell'apostolo e dell'iscrizione presenti sulla lastra tombale ha fatto ragionevolmente ipotizzare a
Paola Pasquini una sua collocazione cronologica nel III secolo, e ritenere probabile la sua
provenienza dalla zona di Edessa.
76
In EUSEBIO, Hist. Eccl., III, 31, 3, che riprende Origene.
77
http://www.metareligion.com/World_Religions/Christianity/Other_Books/
New_Testament_Apocrypha/acts_of_philip.htm#.Ue6xztJM9sk
78
Testo it: http://www.profezieonline.com/memorie-apostoliche-di-abdia.html
appartenuta all'apostolo Filippo. Le reliquie, traslate prima a Costantinopoli e poi a
Roma (560), sono venerate nella Chiesa dei SS. XII Apostoli, assieme a quelle
dell’apostolo Giacomo il Minore. Le ricognizioni del 1873 mostrarono la solidità
della tradizione del VI sec., distinguendo i resti di due individui maschi.
Anche il martirio di Andrea è un dato certo. Eusebio di Cesarea ricorda che
Andrea viaggiò in Asia Minore ed in Scizia (ossia la Sarmazia), lungo il Mar Nero,
toccando tutte le sue coste79. Gli Atti di Andrea80 (II-III secc., composti dagli Atti di
Andrea e Matteo, da quelli di Andrea e Pietro [con le varianti dei codd. Vaticano
Greco 807 e 807 e Petroburgense Gr. 94, nonché del Papiro Copto di Utrecht e del
Frammento della Bodleyan Library] e dal Martirio di Andrea [V sec.], tutti in greco,
basati su originali ormai perduti), purgati dei loro elementi gnostici e manichei,
sono fonte fededegna quando affermano che l’Apostolo predicò in Epiro 81 e Tracia,
per poi passare in Grecia82 e in Acaia83 in particolare; la Passione di Andrea
sviluppa il racconto del suo martirio a Patrasso nel 60, per ordine del proconsole
Egea, su una croce decussata. La notizia è ripresa da Girolamo84.

Infine, anche di Mattia, l’apostolo associato, possiamo attestare il martirio. Al netto


della sovrapposizione con il ciclo di Matteo – e quindi dell’opinione di Eracleone
che lo faceva morire naturalmente e del suo martirio in Etiopia – di Mattia
possiamo dire ciò che afferma il Martirologio di Floro (IX sec.) e il Breviario
Romano, che lo fanno predicare in Macedonia e Palestina, per poi farlo martirizzare
dal sommo sacerdote Anano mediante lapidazione, col colpo di grazia inflitto da un
soldato romano con un colpo di scure che gli tagliò il capo, nel 62. Era
evidentemente nel novero di coloro che furono uccisi con Giacomo il Minore. Infatti
in Gerusalemme fu rinvenuto il corpo dell’Apostolo da Elena, nel 325, e da qui poi
traslato a Roma e infine a Treviri, anche se non completamente, dove è attestato dal
1127. Ulteriori dettagli vengono da fonti minori greche della Tradizione: fu con
Pietro e Paolo ad Antiochia, poi in Cappadocia, indi ad Amasea; poi a Sebaste ed
Edessa, col solo Andrea; toccò la Colchide e tornò in Palestina, dove morì nelle
circostanze descritte.
Infine, la tradizione attesta il martirio di Barnaba in quel di Cipro, intorno al 60.
Autore della Lettera agli Ebrei per il Robinson, se datiamo questa al 65, la sua morte

79
Hist. Eccl., III, 1. Niceforo parla esplicitamente di Cappadocia, Galazia e Bitinia, nonché della
Terra degli Antropofagi, (Tessaglia?) degli Sciti e del Bosforo.
80
Testo it.: http://www.profezieonline.com/atti-di-andrea.html
81
Notizia confermata da Gregorio di Nazianzo.
82
Affermazione anche di Teodoreto di Ciro. In Grecia visitò anche la Macedonia e la Tessaglia.
83
Asserito anche da Girolamo.
84
Le reliquie furono trasferite a Costantinopoli nel 356 da Costanzo II con quelle di Luca e Timoteo,
mentre il capo rimase a Patrasso. Pietro di Capua le portò ad Amalfi nel 1208. La testa fu portata in
S. Pietro in Vaticano da Patrasso (1462) e da qui a Costantinopoli (1964). 
deve seguire questa data. Diversamente, se anticipiamo quella composizione, il
Santo potè morire nella data tradizonale.
Abbiamo quindi questa cronologia: 42- Martirio di Giacomo figlio di Zebedeo; 60-
Supplizio di Andrea; 60-66- Martirio di Barnaba; 60-68- Tormento di Bartolomeo;
61-62- Martirio di Marco; 62-70-Morte di Matteo; 62-Supplizio di Giacomo di Alfeo
e di Mattia; 66-Martirio di Simone lo Zelota e di Giuda Taddeo; 67-Supplizio di
Pietro e Paolo; 72-Morte di Tommaso; 84-94-Tormento di Luca; 86-Martirio di
Filippo; 98-99-Morte di Giovanni. Perfettamente combaciante con la cronologia
biblica neotestamentaria da me proposta nel contributo precedente 85.

85
Cfr. SIBILIO, op. cit.

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