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6.1. Introduzione
Friedrich August von Hayek è stato una delle figure intellettuali più
significative del XX secolo. Filosofo dai molteplici interessi, grande pensatore
liberale e premio Nobel per l’economia nel 1974, Hayek è autore di un’opera
vastissima che sta esercitando una grande influenza in ambito economico, filosofico
e politico.
Hayek nacque l’8 maggio del 1899 a Vienna in una famiglia di accademici e
di alti funzionari, nella quale la vita intellettuale ed universitaria aveva grande
importanza. Tuttavia il giovane Hayek non fu uno studente brillante: una grande e
disordinata curiosità intellettuale gli impedì di concentrarsi con dedizione su
discipline specifiche. Come lui stesso ebbe modo di confessare, se prendeva appunti
non poteva capire ciò che ascoltava e, incapace di ricordare le spiegazioni dei suoi
professori, era costretto a riprodurre ex novo e con grande sforzo i ragionamenti che
desiderava esporre. Nell’articolo Two Types of Mind (HAYEK, 1975: 60-67), Hayek
attribuì la vivacità intellettuale che lo caratterizzava proprio al suo processo
mentale, in apparenza disordinato ed intuitivo; cosa che lo distinse da altri teorici
della Scuola Austriaca, come Böhm-Bawerk o lo stesso Mises, i quali erano in grado
di esporre oralmente la propria materia con grande rigore e chiarezza.
Terminata la Prima Guerra mondiale e ritornato dal fronte (dove contrasse la
malaria ed apprese un po’ di italiano), Hayek entrò all’Università di Vienna, a quel
tempo un brulichio di correnti e di fermenti intellettuali senza pari nel mondo. Per
un certo periodo pensò di studiare psicologia; tuttavia, solo molto più tardi, nel
1952, Hayek pubblicò uno studio specifico, dal titolo The Sensory Order, in cui sono
esposti i fondamenti epistemologici della sua concezione (HAYEK, 1952b). Dopo
questa breve parentesi, rivolse il proprio interesse alle scienze giuridiche e sociali,
specializzandosi in economia politica sotto la direzione di von Wieser, il più
eclettico rappresentante della seconda generazione della Scuola Austriaca.
Come ha affermato lo stesso Hayek, in quegli anni le proprie idee politiche
non si differenziavano dal resto dei suoi compagni: egli era un socialista ‘fabiano’ il
quale, seguendo l’insegnamento del suo maestro Wieser, pensava che un benigno
intervento dello Stato fosse in grado di migliorare l’ordine sociale. Fu la lettura
dell’analisi critica di Socialism che nel 1922 convinse Hayek ad abbandonare i suoi
giovanili ideali socialisti. Da allora e grazie all’interessamento di Wieser, Hayek
iniziò una stretta collaborazione professionale con Mises, inizialmente nell’Ufficio
delle Riparazioni di guerra diretto dallo stesso Mises e, successivamente, come
direttore dell’Istituto Austriaco del Ciclo Economico, fondato anch’esso da Mises. In
breve tempo divenne così uno dei partecipanti più assidui e propositivi del
seminario misesiano.
Hayek deve al contatto con Mises il punto di partenza di quasi tutta la sua
opera di teoria economica. Grazie a lui, egli abbandonò gran parte
dell’impostazione datagli da Wieser e si ricollegò al filone ortodosso della
concezione austriaca dell’economia, difendendolo di fronte alle velleità di teorici
positivisti, quali Schumpeter, o di quelli più inclini al modello di equilibrio, come
Wieser. Le relazioni fra il maestro Mises e il discepolo Hayek furono tuttavia
particolari. Da una parte di grande ammirazione e rispetto. Dall’altra, in certi
periodi e circostanze, di distanza. Pur enfatizzando la sua indipendenza intellettuale
nei confronti di Mises, Hayek riconobbe tuttavia il debito nei confronti delle sue
idee.
Dal 1931, grazie anche ad un altro partecipante del seminario di Mises, Lionel
Robbins, Hayek insegnò fino al 1949 presso la London School of Economics,
divenendo così il principale esponente in Inghilterra della Scuola Austriaca. Hayek
si distinse sempre per avere un’ammirabile cortesia accademica con tutti i suoi
oppositori, ai quali contestò solamente gli errori intellettuali. Come accadde nel
corso delle polemiche con i teorici socialisti, con Keynes, con Knight e con gli
esponenti della Scuola di Chicago, ai quali si oppose non soltanto su questioni
metodologiche, ma anche su questioni di teoria monetaria, del capitale e dei cicli
(HAYEK, 1994: 126-29). Tuttavia, egli non ebbe mai una parola di lamento o di
rimprovero, nemmeno quando fu oggetto di ingiusti e furibondi attacchi da parte di
Keynes, o quando gli fu opposto il veto dai membri del dipartimento di Economia
di Chicago, la cui arroganza intellettuale impedì loro di accettare nelle proprie fila
un “teorico della Scuola Austriaca”. Hayek, pur senza ricevere alcuno stipendio
ufficiale, dato che la sua remunerazione era a carico di una fondazione privata, fu
così costretto a far parte del dipartimento di Pensiero Sociale e Morale della stessa
Università, dove si dedicò alla sua opera monumentale The Constitution of Liberty
(HAYEK, 1960).
Hayek non ebbe molta fortuna nelle vicende personali. Nel 1949 provocò un
grande dolore alla sua famiglia quando decise di divorziare per sposarsi con un
amore sfortunato della sua gioventù, una sua cugina la quale, per un malinteso, si
era sposata con un altro uomo e che, una volta vedova, egli rincontrò casualmente
durante una visita ai suoi parenti viennesi dopo la Seconda guerra mondiale. Tale
decisione ebbe per Hayek e per la sua famiglia ripercussioni negative. I suoi amici
inglesi, capeggiati da Robbins, lo emarginarono e pare anche che il dispiacere per il
divorzio causò la morte della sua prima moglie (sebbene questo sia sempre rimasto
un tema di cui Hayek ed i suoi più prossimi amici non vollero mai parlare). In ogni
caso, Hayek si riconciliò con Robbins solo molti anni dopo, in occasione del
matrimonio di suo figlio Laurence mentre, durante gli anni cinquanta e gran parte
degli anni sessanta, fu indotto ad un ‘volontario esilio’ negli Stati Uniti. In quegli
anni Hayek iniziò a soffrire di problemi di salute: inizialmente ebbe problemi legati
al metabolismo, che gli provocarono uno straordinario dimagrimento ed un
conseguente indebolimento; in seguito una progressiva sordità lo convertì in un
intellettuale chiuso in un suo mondo personale. Infine, costanti crisi di depressione
lo prostrarono e ne ridussero per lunghi periodi la produttività intellettuale. Nel
prologo di Law, Legislation and Liberty, infatti, Hayek dichiara che, in alcuni
momenti, arrivò addirittura a pensare che i problemi di salute gli avrebbero
impedito di terminare il proprio libro (HAYEK, 1973-79, I: 1-7). È difficile
comprendere fino a che punto le travagliate vicissitudini personali abbiano
rafforzato in Hayek la convinzione dell’importanza che i comportamenti morali di
tipo pattuito svolgono nel preservare la vita individuale e sociale dell’uomo;
tuttavia, dall’enfasi che egli concesse a tale tematica nelle proprie opere, si ricava
l’impressione che questo fosse, per esperienza diretta, un aspetto delle sue idee
particolarmente sentito.
I problemi di salute scomparvero quasi miracolosamente, quando Hayek
ricevette il premio Nobel per l’economia nel 1974, l’anno seguente alla morte di
Mises. Da allora percepì che stava uscendo dall’isolamento accademico ed
intellettuale ed iniziò una frenetica attività che lo condusse a viaggiare per tutto il
mondo e a pubblicare vari libri (l’ultimo fu The Fatal Conceit, pubblicato quando
aveva quasi novant’anni). L’attribuzione del premio Nobel nel 1974, può essere
considerata come la data di rinascita della moderna Scuola Austriaca.
Hayek volle sempre rimanere al margine dell’attività politica. Considerava
incompatibile il ruolo dell’intellettuale che doveva fare della ricerca scientifica il
riferimento della vita, con la figura del politico, sempre obbligato a sottomettersi al
volere dell’opinione pubblica per conseguire voti (HAYEK, 1991: 35ss.). Perciò egli
reputava che con il passare del tempo sarebbero stati molto più fecondi gli sforzi
indirizzati al dialogo fra gli intellettuali (progetto di cui è frutto la fondazione della
Mont Pélerin Society), o ad incidere sull’opinione pubblica (Hayek dissuase
Anthony Fisher dall’entrare in politica, convincendolo sulla maggiore utilità di
creare istituti, come l’Institut of Economic Affairs e in seguito l’Atlas Research
Foundation, per diffondere l’ideale liberale in tutto il mondo). È difficile pensare che
senza le iniziative strategiche di Hayek si sarebbe potuto produrre quel
cambiamento nell’opinione pubblica e nell’ambito intellettuale che portarono alla
caduta del muro di Berlino ed alla rivoluzione liberal-conservatrice che ebbe luogo
con Ronald W. Reagan negli Stati Uniti e con Margaret Thatcher in Inghilterra, e che
tanta influenza hanno avuto e continuano ad avere in tutto il mondo.
Hayek ebbe un particolare rapporto con la religione. Battezzato come
cattolico, fin da giovane abbandonò la pratica religiosa e divenne agnostico. Ma con
il passare degli anni, comprese sempre più l’importanza dalla religione nel regolare
l’osservanza delle norme pattuite su cui si basa la società e, in particolare,
l’importanza che i teologi spagnoli del Siglo de Oro ebbero per la moderna scienza
economica e sociale. Il mondo intellettuale rimase sorpreso quando, nel 1993, il
pensatore cattolico Michael Novak rese pubblica la lunga conversazione personale
che il papa Giovanni Paolo II ebbe con Hayek prima della morte di quest’ultimo
avvenuta nel 1992. Segni inequivocabili della presenza del pensiero di Hayek
possono ritrovarsi nell’Enciclica Centesimus annus e, in particolare, nei capitoli 31 e
32 (NOVAK, 1993a e 1993b). Non si saprà mai se Hayek, dichiaratosi agnostico, negli
ultimi momenti della sua vita abbia potuto compiere i passi necessari per
comprendere ed accettare quell’essere supremo «antropomorfico che superava, di
gran lunga, la sua capacità di comprensione». Ciò che possiamo affermare con
certezza è che Hayek comprese più di ogni altro i rischi di una tracotante
deificazione della ragione umana ed il ruolo chiave che la religione svolge per
evitarli, fino al punto che, come lui stesso afferma nella frase conclusiva del suo
ultimo libro, «da siffatta questione può dipendere la sopravvivenza della nostra
civiltà» (HAYEK, 1988: 226).
6.2. Le ricerche sul ciclo economico e il problema del tempo
Non deve sorprendere che Hayek, fin dall’inizio, si sia opposto ai teorici di
tradizione neoclassica i quali, di fronte alla propria incapacità di applicare la teoria
dell’utilità marginale al denaro e alla loro mancanza di un’adeguata teoria del
capitale, si confrontavano con i problemi del momento attraverso un’ottica
esclusivamente macroeconomica.
In questo modo Hayek espresse il suo dissenso verso la teoria quantitativa
della moneta, sostenuta dagli economisti neoclassici in generale e dalla Scuola di
Chicago in particolare, la quale, «data la sua indole macroeconomica, si concentra
soltanto sul livello generale dei prezzi e soffre di un’incapacità sostanziale nello
scoprire gli effetti che sulla struttura relativa dei prezzi produce un’espansione dei
mezzi di pagamento disponibili. Essa non contempla, pertanto, le conseguenze più
gravi del processo inflazionistico: l’erroneo investimento di risorse e la generazione
di una corrispondente disoccupazione» (HAYEK, 1976b: 68-69).
Hayek riprese anche la polemica tra Böhm-Bawerk e Clark sul concetto di
capitale. Nell’opera dal titolo The Pure Theory of Capital(HAYEK, 1941), così come
nell’articolo intitolato The Mythology of Capital (HAYEK,1936: 199-228), egli criticò il
fondatore della Scuola di Chicago, Knight, il quale continuava a sostenere la validità
della concezione mitica del capitale come fondo omogeneo che si auto-riproduce
spontaneamente, ignorando la struttura del processo produttivo costituita da tappe
ed eliminando il ruolo dell’imprenditore quale stimolo costante per la creazione, il
coordinamento e il mantenimento delle stesse. Secondo Hayek, la concezione di
Knight è estremamente pericolosa; ossessionato dall’equilibrio, infatti, egli finisce
per sostenere le erronee teorie del “sottoconsumo” e, indirettamente, le prescrizioni
keynesiane per incrementare in modo artificiale l’effettiva domanda senza
considerare i gravi effetti distorcenti provocati sulla struttura microeconomica della
produzione sociale.
La polemica più importante fu comunque quella che Hayek ebbe con Keynes
durante gli anni trenta (HAYEK, 1995). Hayek iniziò la sua critica in due ampie
recensioni del libro di Keynes Trattato sulla moneta, apparso in Inghilterra quando
Hayek vi giunse agli inizi degli anni trenta. Keynes, da parte sua, contestò con un
furibondo attacco il libro di Hayek Prezzi e produzione, dando vita ad una polemica
tra i due nella quale si delinearono alcuni dei principali aspetti della teoria
monetaria e dei cicli e che oggi, placato l’impetuoso vento keynesiano, sarebbe
necessario riprendere là dove Keynes e Hayek la lasciarono alla fine degli anni
trenta. Hayek critica Keynes per la sua impostazione macroeconomica e per la
mancanza di un’adeguata teoria del capitale che concepisca la struttura produttiva
per tappe: come aveva spiegato Böhm-Bawerk. Inoltre, egli rimproverava a Keynes
di essere caduto nel grossolano mito del “sottoconsumo” e, in concreto, di non
comprendere che si può guadagnare denaro producendo un determinato bene
anche se ne decresce la domanda; ad esempio, quando si compiono degli
investimenti per diminuire i costi di produzione si acquisice una maggiore quantità
di beni di capitale e si genera una struttura produttiva più capital-intensiva nelle cui
tappe più lontane del consumo, sempre che si produca un aumento di risparmio, si
dà lavoro ai fattori di produzione che si liberano nelle tappe più vicine.
Inoltre, secondo Hayek, la ‘cura’ keynesiana per uscire dalla Grande
Depressione altro non è se non «pane per oggi e fame per domani». Effettivamente,
ogni incremento artificiale della domanda aggregata distorcerà gravemente la
struttura produttiva e potrà generare solamente un impiego precario il quale, alla
lunga, metterà in evidenza che si dedica ad attività non redditizie e che, pertanto,
genererà una disoccupazione ancora maggiore. Per Hayek le manipolazioni fiscali e
monetarie prescritte dai keynesiani e dai monetaristi generano gravi distorsioni nel
coordinamento intertemporale del mercato. Perciò egli è a favore di rigidi modelli
monetari e contro il nazionalismo monetario ed i tipi di cambio flessibili, difesi tanto
da Keynes quanto dai teorici della Scuola di Chicago. Così, in un’altro importante
libro dal titolo Monetary Nationalism and International Stability (HAYEK, 1937), egli
dimostra come i tipi di cambio flessibili inducano e facilitino gravi distorsioni reali
nella struttura produttiva, generando recessioni che non si sarebbero prodotte con
dei tipi di cambio fissi. In accordo con Hayek, i tipi di cambio flessibili rendono
difficile il ruolo coordinatore del mercato inducendo inutili distorsioni di origine
monetaria nel processo reale di assegnazione delle risorse.
Al fine di illustrare le grandi differenze tra l’impostazione austriaca di Hayek
e l’impostazione macroeconomica di keynesiani e monetaristi, si riassumono le
stesse nel seguente quadro sinottico.
Tabella 6.1
Due modi differenti di concepire l’economia
Scuola Austriaca Scuola Neoclassica
(monetaristi e keynesiani)
1. Il tempo svolge un ruolo essenziale. 1. Viene ignorata l’influenza del tempo.
2. Il “capitale” è concepito come un insieme 2. Il capitale è concepito come un fondo omogeneo che si
eterogeneo di beni di capitale che si consumano autoriproduce.
costantemente e che è necessario riprodurre.
3. Il processo produttivo è dinamico ed è 3. Si concepisce una struttura produttiva in equilibrio,
disgregato in molteplici tappe di tipo verticale. unidimensionale ed orizzontale (flusso circolare della rendita).
4. Il denaro danneggia il processo modificando 4. Il denaro danneggia il livello generale dei prezzi. Non si
la struttura dei prezzi relativi. considerano cambiamenti nei prezzi relativi.
5. Spiega i fenomeni macroeconomici in termini 5. Gli aggregati macroeconomici impediscono di analizzare le
microeconomici (variazioni nei prezzi relativi). realtà microeconomiche sottostanti.
6. Dispone di una teoria sulle cause istituzionali 6. Non hanno una vera teoria dei cicli. Le crisi sono
delle crisi economiche che spiega il loro carattere prodotte da cause esogene (psicologiche e/o errori di
ricorrente. politica monetaria).
7. Dispongono di una elaborata teoria del capitale. 7. Non possiedono una teoria del capitale.
8. Il risparmio svolge un ruolo primario e 8. Il risparmio non è importante. Il capitale si produce
determina un cambiamento longitudinale nella lateralmente (più dello stesso) e la funzione di produzione è
struttura produttiva e nel tipo di tecnologia che fissa ed è data dallo stato della tecnica.
si utilizzerà.
9. La domanda di beni di capitale varia 9. La domanda di beni di capitale varia nella stessa
inversamente alla domanda dei beni di consumo. direzione della domanda dei beni di consumo.
Ogni investimento esige un risparmio e,
pertanto, una diminuzione temporale del
consumo. 10. I costi di produzione sono oggettivi, reali e si
10. Si suppone che i costi di produzione siano considerano dati.
soggettivi e non siano dati. 11. Sono i costi storici di produzione a determinare i prezzi
11. Sono i prezzi di mercato a determinare i costi di mercato.
di produzione e non il contrario. 12. Il tipo di interesse tende ad essere determinato dalla
12. Il tipo di interesse viene considerato come un produttività od efficenza marginale del capitale ed è
prezzo di mercato determinato dalle valutazioni concepito come il tasso interno di ritorno che corrisponde
soggettive di “preferenza temporale”, che si alla corrente sperata di rendimento con il costo storico di
utilizza per scontare il valore attuale della produzione dei beni di capitale (che si considera dato ed
corrente futura di rendimenti a cui tende il invariabile). Si crede che a breve termine, il tipo di
prezzo di mercato di ogni bene di capitale. La interesse sia un fenomeno prevalentemente monetario.
manipolazione del tipo di interesse da parte
delle banche centrali e la banca con “riserva
frazionaria” generano cicli ricorrenti di
espansione (artificiale) e recessione.
6.4. Il dibattito con i socialisti e la critica dell’ingegneria sociale
A partire dal 1949, anno in cui lascia la London School of Economics per
trasferirsi all’Università di Chicago, nel programma di ricerca di Hayek si registra
un importante cambiamento. Da quella data in poi, infatti, egli si dedicherà
principalmente allo studio dei condizionamenti giuridici ed istituzionali della
società libera, ponendo così in secondo piano le sue ricerche di teoria economica.
Hayek smise di interessarsi alla discussione teorica allorché essa, negli anni
cinquanta e sessanta, si indirizzò sui concetti macroeconomici derivati dalla
“rivoluzione keynesiana”, e decise di aspettare che passasse la bufera scientista,
continuando nel frattempo il lavoro di ricerca sulla nascita e l’evoluzione delle
istituzioni inaugurata da Menger. Il risultato dello sforzo compiuto nei tre decenni
successivi fu la pubblicazione di due testi di fondamentale importanza: The
Constitution of Liberty e la trilogia Law, Legislation and Liberty (HAYEK, 1960; 1988).
Sarebbe impossibile esporre in questo libro i contributi di Hayek alla teoria
giuridica e politica, per i quali si rimanda allo studio di Paloma de la Nuez (DE LA
NUEZ, 1994). In questa sede si può soltanto sottolineare l’evidente concatenazione
logica fra i contributi di Hayek alla teoria economica, alla teoria del diritto e alla
teoria politica. Secondo Hayek, infatti, il socialismo, basandosi sull’aggressione
istituzionalizzata e sistematica contro l’attività umana mediante una serie di ordini o
di comandi coattivi, implica la scomparsa del concetto tradizionale di diritto inteso
come una serie di norme generali (ossia applicabili a tutti indistintamente) ed astratte
(dal momento che stabiliscono un ampio margine per l’azione individuale senza
prevedere alcun risultato concreto del processo sociale). In questo modo, le leggi in
senso materiale vengono sostituite da un ‘diritto’ spurio costituito da un
conglomerato di ordini, regolamenti e comandi di tipo amministrativo nei quali si
specifica quale dovrà essere il contenuto concreto del comportamento di ciascun
essere umano. Così, nella misura in cui l’interventismo economico si estende e si
sviluppa, le leggi in senso tradizionale cessano di agire come norme di riferimento
per il comportamento individuale ed il loro ruolo viene preso da ordini o comandi
coattivi emanati dall’organo direttivo (eletto o no democraticamente) denominato
da Hayek ‘legislazione’. In opposizione al concetto generico di ‘diritto’, la legge perde
così il suo ruolo e la sua funzione pratica e resta limitata a quegli ambiti, regolari od
irregolari, ai quali non si estende in maniera effettiva l’incidenza diretta del regime
interventista.
Dall’altro lato, come effetto secondario ma di grande importanza, gli agenti,
perdendo il punto di riferimento costituito dalla legge in senso materiale,
modificano la loro personalità, perdono l’abitudine ad adattarsi alle norme generali
di carattere astratto ed, anche se lentamente, assimilano ed osservano sempre meno
le norme tradizionali di condotta. Inoltre, visto che l’elusione delle direttive può
essere in molte occasioni un’esigenza imposta dalla stessa necessità di sopravvivere
ed in altre una manifestazione dell’esito della funzione imprenditoriale corrotta che
tende a generare il socialismo, la non osservanza della norma viene considerata da
gran parte della popolazione come una lodevole manifestazione dell’ingegno
umano che si deve ricercare ed incoraggiare, piuttosto che come la violazione di un
sistema di norme la quale possa pregiudicare la vita sociale. Il socialismo incita
pertanto a violare la legge, la priva di contenuto e la corrompe, discreditandola
completamente a livello sociale e, come conseguenza, fa in modo che i cittadini
perdano ogni rispetto per essa.
Secondo Hayek alla corruzione del concetto di diritto così concepito, è legata
un’analoga corruzione del concetto e dell’applicazione della giustizia. La giustizia, in
senso tradizionale, consiste nell’applicazione equa per tutti delle norme astratte di
condotta materiale che costituiscono il diritto penale ed il diritto privato. Non è un
caso che la giustizia sia rappresentata con gli occhi bendati, posto che essa deve
essere innanzi tutto cieca, nel senso che, nell’applicazione del diritto, non deve
lasciarsi influenzare «né dalle donazioni del ricco, né dalle lacrime del povero»
(Levitico, cap. 19, versetto 15). Corrompendo il tradizionale concetto di diritto, il
socialismo modifica anche il tradizionale concetto di giustizia. Nel sistema socialista
la ‘giustizia’ coincide infatti con l’arbitraria valutazione dell’organo politico-
direttivo o del giudice, sulla base dell’impressione, più o meno emotiva, che
produce sugli stessi il “risultato finale” e concreto del processo sociale che si crede
di percepire in un dato istante e che, intrepidamente, si cerca di organizzare
dall’alto mediante comandi coattivi. Non sono più, pertanto, i comportamenti
umani ad essere giudicati, bensì il ‘risultato’ percepito dagli stessi all’interno di un
contesto spurio di ‘giustizia’, alla quale si aggiunge l’aggettivo qualificativo ‘sociale’
con la finalità di renderla più attraente per coloro i quali la devono subire.
Dall’ottica opposta della giustizia tradizionale, non esiste nulla di più ingiusto del
concetto di “giustizia sociale”, poiché essa si basa su una visione, impressione o stima
dei ‘risultati’ dei processi sociali al cui margine stia il comportamento individuale di
ogni attore dal punto di vista delle norme del diritto tradizionale.
Per Hayek, la funzione del giudice nel diritto tradizionale è quindi di indole
meramente intellettuale, non dovendo egli lasciarsi influenzare né dalle proprie
inclinazioni emotive, né dal suo personale apprezzamento per le ragioni di una
parte o dell’altra. Se, come accade nel socialismo, si impedisce l’applicazione
oggettiva del diritto, permettendo che la decisione giuridica avvenga sulla base di
impressioni soggettive ed emotive, finirà per scomparire ogni tipo di sicurezza
giuridica e presto gli attori cominceranno a rendersi conto che qualunque pretesa
può ottenere protezione giuridica, in maniera tale che si tende ad impressionare
favorevolmente un giudice. Si crea così una condizione favorevole a litigi e
controversie che, uniti al caos determinato dal groviglio di comandi coattivi sempre
più imperfetti e contraddittori, pone i giudici in una tale situazione di sovraccarico
da rendere il loro lavoro sempre più inefficiente ed insostenibile. In tal modo, si
determina un progressivo processo di decomposizione che si conclude soltanto con
la virtuale scomparsa della giustizia in senso tradizionale così come dei giudici
stessi i quali vengono trasformati in semplici burocrati al servizio del potere
politico, con l’incarico di controllare il rispetto dei comandi coattivi da esso emanati.
Nella tabella 6.2, in una prospettiva hayekiana, vengono indicate
sistematicamente le principali differenze e le loro ripercussioni sul concetto e
sull’applicazione del diritto e della giustizia, fra il processo spontaneo (basato sulla
funzione imprenditoriale e la libera interazione umana) ed il sistema di
organizzazione (basato sul comando e sulla coazione istituzionale).
Tabella 6.2
PROCESSO SOCIALE SPONTANEO SOCIALISMO
Basato sulla funzione imprenditoriale (Aggressione istituzionale e sistematica contro la funzione imprenditoriale e l’azione umana)
(interazione sociale non aggredita)
1. Il coordinamento sociale si produce spontaneamente, grazie alla funzione 1. Si cerca di imporre dall’alto il coordinamento sociale in modo deliberato e coattivo
imprenditoriale che continuamente scopre ed elimina i disequilibri sociali, che si attraverso comandi, ordini e regolamenti coattivi emanati dal potere (ordine gerarchico — da
modellano in opportunità di guadagno (ordine spontaneo). hieros, sacro e archein, comandare — ed organizzato).
2. Il protagonista del processo è l’uomo, che agisce ed esercita la funzione imprenditoriale 2. Il protagonista del processo è il governante (democratico o meno) ed il funzionario (colui
creativa. che agisce attenendosi agli ordini ed ai regolamenti amministrativi emanati dal potere).
3. I vincoli di interazione sociale sono di tipo egemonico, nei quali alcuni comandano ed
altri obbediscono. Se si tratta di una “democrazia sociale” le “maggioranze” obbligano le
3. I vincoli di interazione sociale sono di tipo contrattuale e le parti coinvolte scambiano “minoranze”.
beni e servizi in accordo con norme giuridiche di tipo materiale (legge). 4. Prevale il comando o regolamento che, indipendentemente dal suo valore formale, è un
4. Prevale il concetto tradizionale di legge in senso materiale, intesa come norma astratta di ordine specifico di contenuto concreto che impone di compiere cose determinate in
contenuto generale, che si applica indistintamente a tutti senza considerare alcuna circostanze particolari e che non è applicata a tutti in modo uguale.
circostanza particolare. 5. I comandi ed i regolamenti sono emanazioni deliberate dal potere organizzato, altamente
imperfette ed erronee data la situazione di ignoranza che non può essere eliminata nella
5. Le leggi ed istituzioni che rendono possibile il processo sociale non sono state create quale il potere si trova sempre in relazione con la società civile.
deliberatamente, ma hanno un’origine evolutiva e consuetudinaria ed incorporano un
enorme volume di esperienze e d’informazione pratica accumulata di generazione in 6. Esige che un fine o un insieme di fini prevalga imponendosi a tutti mediante il sistema di
generazione. comandi. Ciò provoca conflitti e violenze sociali irresolvibili ed interminabili, che
6. Il processo spontaneo rende possibile la pace sociale, ogni attore, nel rispetto della legge, impediscono la pace sociale.
utilizza la sua conoscenza pratica e persegue i suoi fini privati, cooperando pacificamente
con gli altri e disciplinando spontaneamente il suo comportamento in funzione di altri
individui che perseguono fini distinti. 7. La “libertà” si intende come il poter ottenere i fini concreti che si desiderano in ogni
7. La libertà si intende come assenza di coazione od aggressione (sia istituzionale che momento (attraverso un semplice atto di volontà, comando o capriccio).
asistematica). 8. Prevale il senso spurio di “giustizia nei risultati” o “giustizia sociale”, intesa come
uguaglianza nei risultati del processo sociale, al margine del quale ci sia stato il
8. Prevale il senso tradizionale di giustizia, che suppone l’applicazione della legge comportamento (corretto o no dal punto di vista del diritto tradizionale) degli individui
materiale in maniera uguale per tutti, indipendentemente dai risultati concreti che si implicati nello stesso.
producono nel processo sociale. L’unica uguaglianza che si persegue è l’uguaglianza di
fronte alla legge, applicata da una giustizia cieca di fronte alle singole differenze degli 9. Prevale l’aspetto politico nella vita sociale ed i nessi fondamentali sono di tipo “tribale”:
uomini. a) lealtà al gruppo ed al suo capo; b) rispetto dell’ordine gerarchico; c) aiuto al “prossimo”
9. Prevalgono le relazioni di tipo astratto, economico e commerciale. I concetti spuri di lealtà, conosciuto (“solidarietà”) e noncuranza e disprezzo per gli “altri” esseri umani più o
“solidarietà” e ordine gerarchico non vengono presi in considerazione. Ogni attore regola meno sconosciuti, membri di altre “tribù”, dei quali si diffida o che si considerano
il suo comportamento in base alle norme di diritto materiale ed è partecipe di un ordine “nemici” (significato spurio e miope del termine “solidarietà”).
sociale universale, non essendoci per lui né “amici”, né “nemici”, ne vicini né lontani, ma
solamente una grande quantità di esseri umani per lo più sconosciuti, con i quali
interagisce con reciproca soddisfazione ogni volta più ampia e complessa (senso corretto
del termine solidarietà).