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Carta delle vocazioni faunistiche

della Regione Emilia Romagna


aggiornamento 2006

Status e distribuzione di specie di Uccelli e


Mammiferi di interesse faunistico,
gestionale e conservazionistico

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UCCELLI

a cura di Pier Paolo Ceccarelli, Mario Bonora, Stefano Gellini

STATUS E DISTRIBUZIONE DI SPECIE NIDIFICANTI DI INTERESSE


FAUNISTICO, GESTIONALE E CONSERVAZIONISTICO

INTRODUZIONE

La relazione che segue include le specie di uccelli trattate nella precedente edizione della Carta
delle vocazioni (Toso et al. 1999) ed inoltre tutte le altre specie di uccelli di ambiente terrestre
riportate nella Direttiva Uccelli presenti nel territorio della Regione Emilia-Romagna.
L’aggiornamento delle informazioni relative a status e distribuzione degli uccelli in oggetto è
stato attuato disponendo di nuove conoscenze ricavate in particolare da:
Atlante degli uccelli nidificanti nelle province di Forlì-Cesena e Ravenna (Gellini e Ceccarelli
2000); dati relativi al triennio 1995-1997.
Atlante degli uccelli nidificanti nella provincia di Bologna (Tinarelli et al. 2002); periodo 1995-
1999.
Atlante degli uccelli nidificanti nel Piacentino (Ambrogio et al. 2001); periodo 1995-2000.
Atlante degli uccelli nidificanti a Reggio Emilia, Uccelli in città (Gustin 2002); biennio 1999-
2000.
Atlante degli uccelli nidificanti nella provincia di Ravenna (Provincia di Ravenna e Sterna,
relazione inedita); triennio 2004-2006.
Atlante degli uccelli nidificanti nella provincia di Forlì-Cesena (in elaborazione) (Provincia di
Forlì-Cesena e Sterna); triennio 2004-2006.
Resoconto ornitologico dell’Emilia-Romagna; anni 2002-2003-2004 (Giannella e Tinarelli 2003,
2004, 2006).
Check-list degli uccelli dell’Emilia-Romagna dal 1900 al giugno 2003 (Bagni et al. 2003).
Riviste ornitologiche: Rivista Italiana di Ornitologia, Avocetta, Picus.
Schede della Rete Natura 2000 in Emilia-Romagna (Tinarelli 2005).
Sono stati utilizzati anche dati inediti di Sterna (in particolare per Rimini e Ferrara) e Asoer.

Per le province di Piacenza, Bologna, Forlì-Cesena, Ravenna, Rimini e parte di Ferrara si


dispone quindi di una situazione riferita nel complesso all’ultimo decennio (1995-2006).

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Non sono invece disponibili al momento informazioni aggiornate per parte delle province di
Parma, Reggio Emilia, Modena e Ferrara; per queste province sono stati recuperati i dati della
Carta del 1999 che si riferiscono praticamente al decennio precedente (1980-1995); in particolare
le informazioni sono quelle ricavate da:
L’avifauna nidificante nella provincia di Parma (Ravasini 1995); periodo 1980-1995.
Atlante degli uccelli nidificanti in provincia di Modena (Giannella e Rabacchi 1992); periodo
1982-1990.
Le categorie fenologiche riportate sono relative al territorio regionale e sono tratte da Bagni et al.
2003.

ACCIPITRIFORMI

FALCO PECCHIAIOLO Pernis apivorus


Nidificante estivo, migratore regolare.
In Regione l’areale appare oggi leggermente ampliato rispetto a quello del 1999 con il numero
delle tavole occupate che passa dalle 51 di allora a 59 (pari al 34,3% del totale). Sono migliorate
le informazioni sulla certezza della nidificazione che riguarda attualmente 48 tavole (27,9%),
grazie soprattutto ad una più precisa ricerca nel Bolognese dove gran parte delle indicazioni
precedenti, quasi unicamente di eventualità, diventano ora certe.
Non sono confermate le presenze (eventuali) nella fascia orientale della Regione, ovvero
nell’Appennino riminese e nelle zone ferraresi del Parco del Delta.
La carta mostra una prevalente distribuzione nelle zone centrali ed occidentali dell’Appennino
dove la specie risulta nidificante anche a quote basse: 100 m nel Bolognese (Tinarelli et al.
2002), 152 m nel Parmense (Ravasini 1995), 145 nella Vena del Gesso ravennate (Bonora
inedito); la maggior parte delle coppie è comunque distribuita ad altitudini medio-alte, dai 500 m
al crinale; nel Forlivese solo la parte alta dell’Appennino risulta frequentata.
Nel valutare la distribuzione va tenuto presente che l’epoca tardiva del movimento migratorio
(maggio-inizio giugno) può portare ad una sovrapposizione fra individui migranti e coppie
nidificanti, creando possibilità di errate valutazione della presenza riproduttiva; tenuto conto di
questo è tuttavia molto probabile una reale minore diffusione nella parte orientale
dell’Appennino.
In Italia è stimata una popolazione di 600-1000 coppie (Brichetti e Fracasso 2003); quella
regionale era stimata in 100-300 coppie (Chiavetta 1992) con un valore massimo forse troppo
ottimistico; per i nuclei più consistenti le valutazioni più recenti indicano 40 coppie nel

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Parmense (Ravasini 1995), 25-50 coppie nel Bolognese con possibile tendenza all’aumento
(Tinarelli et al. 2002).
La Regione è interessata da un discreto movimento migratorio che può riguardare svariate
migliaia di individui (Chiavetta 1992); il transito avviene su fronte ampio, senza particolari rotte
migratorie; in qualche caso però sono stati individuati percorsi autunnali con discreti passaggi
come quello che risalendo il Savio valica il Passo dei Mandrioli (FC): qui il massimo giornaliero
è stato osservato il 24/8/02 con 63 individui (Premuda et al. 2006).
Nella Lista Rossa italiana (LIPU e WWF 1999) la specie è dichiarata vulnerabile, in quella della
Regione (Gustin et al. 1997) è a status indeterminato. Al momento tuttavia non sembrano
esistere particolari minacce in ambito regionale, a parte quelle derivanti da elettrocuzione o
collisione con linee elettriche, come documentato anche localmente (Tinarelli e Tirelli 2003); i
rischi potrebbero derivare soprattutto dalle eventuali future installazione di impianti eolici che
rappresentano gravi pericoli per tutti i grandi rapaci. In campo nazionale i rischi per la specie
derivano principalmente come noto dall’attività venatoria illegale durante il passo nelle regioni
italiane meridionali.

NIBBIO BRUNO Milvus migrans


Popolazione italiana con fluttuazioni o in deciso decremento, stimata tra 700 e 1200 coppie,
distribuite in particolare nelle regioni settentrionali intorno ai laghi prealpini e principali aste
fluviali, nelle Maremme toscane e laziali, in Puglia e Basilicata (Brichetti e Fracasso 2003).
Poco comune nella Pianura Padana a sud del Po (Meschini e Frugis 1993; Brichetti e Fracasso
2003). Definito migratore regolare e nidificante irregolare dalla check-list dell’Emilia-Romagna
(Bagni et al. 2003), è specie ad Alta priorità di conservazione secondo la Lista Rossa regionale
(Gustin et al. 1997).
I dati storici disponibili per la Pianura padana (Aldrovandi 1599; Ginanni 1774), pur nella
difficoltà di confronto delle denominazioni di epoche antecedenti la tassonomia attuale, fanno
credere che la specie non sia mai stata comune negli ultimi secoli.
Popolazione dell’Emilia-Romagna già stimata intorno a 5-30 coppie (Chiavetta 1992); la
consistenza attuale è sicuramente inferiore (1-10 coppie).
Nidifica nelle aree planiziali, particolarmente nelle golene e in prossimità dei principali corpi
idrici. In assenza di vegetazione igrofila spontanea può utilizzare anche pioppeti coltivati.
Dati sufficientemente documentati riportano sporadiche e irregolari nidificazioni in varie
province. A Piacenza è stato osservato nidificante lungo il Po nel 1984 (Battaglia, com.pers). A
Parma è riportato nidificante irregolare con un numero massimo di 1-3 coppie per anno

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(Ravasini 1995). A Reggio Emilia nel 2005 ha nidificato in un pioppeto coltivato,
successivamente abbattuto. Una nidificazione si è avuta anche l’anno successivo a qualche
chilometro di distanza. A Bologna una coppia negli anni ’80 ha nidificato per più stagioni
successive nella golena del Reno presso Sasso Marconi (Leoni, com.pers). Individui quantomeno
estivanti sono osservati frequentemente intorno alle zone umide di Molinella. A Ferrara una
coppia ha nidificato nel Bosco della Mesola presso la foce del Po di Volano (Passarella 1996). A
Ravenna è documentata una nidificazione del 1954 nella Pineta di S.Vitale (Brandolini 1961)
Nel Riminese negli anni ‘80 sono riferiti casi ripetuti di estivazione che potrebbero essere
interpretabili come nidificazione eventuale (Foschi e Gellini 1987).
La presenza di individui estivanti di cui non si accerta l’attività riproduttiva è più consistente
nelle province occidentali della Regione e in prossimità del Po per la maggior vicinanza alla
popolazione nidificante presente in Lombardia e Veneto. Per altre aree, tra cui la provincia di
Bologna, il fenomeno è in regresso rispetto a uno-due decenni fa probabilmente in conseguenza
della contrazione delle vicine popolazioni della pianura lombarda (Mason et al. 1999).
Gli individui in migrazione sono stimati da Chiavetta (1992) in alcune migliaia. Tuttavia finora
non sono state evidenziate vie importanti per questo rapace in Emilia-Romagna. Pochi individui
osservati lungo la costa adriatica nel corso di un campo di osservazione primaverile nel 2005
presso Volano (Premuda, in stampa) ed altri nelle valli a sud di Parma e di Bologna (Premuda et
al. 2006). Osservazioni mirate alla migrazione post nuziale dei rapaci in vallate dell’Appennino
romagnolo (Bonora et al. 2005) non hanno evidenziato il passaggio di questo migratore.
Vi sono infine rari casi di svernamento avvenuti nella Bonifica del Mezzano (FE) e nell’Oasi
della ex risaia di Bentivoglio (BO).
Le aree golenali in cui nidifica sono soggette a frequenti lavori idraulico-forestali e
trasformazioni con l’eliminazione della vegetazione naturale per l’impianto di pioppeti artificiali
soggetti a pratiche colturali. In un caso nel 2005 si è ottenuto di differire l’abbattimento di un
pioppeto fino all’involo dei pulli (Bagni, com.pers). In un caso una coppia che nidificava in una
proprietà demaniale è stata definitivamente allontanata a causa della costruzione di strutture
recettive per l’accesso dei visitatori.
La frequentazione di discariche di rifiuti urbani espone gli individui ad avvelenamento da
prodotti impiegati in tali impianti per il controllo dei roditori.

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BIANCONE Circaetus gallicus
Definito migratore regolare e nidificante dalla check-list dell’Emilia-Romagna (Bagni et al.
2003), è specie rara, con coppie isolate distribuite in pochi siti secondo la Lista Rossa regionale
(Gustin et al. 1997).
In Emilia-Romagna è stimata una popolazione inferiore alle 20 coppie (Chiavetta 1992) o di 5-
10 coppie (Gustin et al. 1997) che nidificano ad altitudini tra 200 e 800 m. slm.
L’areale di nidificazione è limitato alle province occidentali. A Parma sono state individuate due
coppie nel 1990 in rimboschimenti di Pinus nigra a quote di 800-1000 m. s.l.m;
successivamente si sono localizzati fino a 7 territori riproduttivi in comprensori di media
montagna (Ravasini 1995). A Piacenza è riferita la presenza di 2-7 coppie in ambienti collinari e
di bassa montagna. I rimboschimenti artificiali di Pinus nigra rappresentano il sito di
nidificazione usuale (Ambrogio et al. 2001; Battaglia 2002). Queste coppie si possono
considerare una propaggine della popolazione ligure e toscana, considerando che in Emilia-
Romagna la presenza di altre certamente nidificanti più a est non è riportata in letteratura.
La popolazione italiana è stimata in 350-400 coppie concentrate particolarmente nell’Appennino
ligure ed Alpi Occidentali, Prealpi venete, regioni Tirreniche centrali, Calabria e Basilicata.
(Brichetti et al. 1992; Brichetti e Fracasso 2003).
L’intera fascia collinare dell’Emilia-Romagna tra Reggio e Rimini è interessata dalla presenza di
estivanti, per lo più subadulti, di cui non si è accertata finora attività riproduttiva (Premuda e
Bagni 2003; Ceccarelli 2003). In provincia di Bologna sono presenti mediamente oltre 10
individui che frequentano vallate aperte caratterizzate da calanchi e pascoli tra il torrente Idice e
il fiume Santerno. Si possono osservare voli territoriali e apparenti comportamenti di
corteggiamento, senza che siano state riscontrate nidificazioni. Sono stati osservati fino a 7
individui, prevalentemente immaturi, in un dormitorio comune occupato per più anni successivi
(Premuda 2004). Più ad est la presenza è regolare tra le valli di Senio-Marzeno-Samoggia ed
ancora più ad est nelle basse colline tra Bidente-Savio e Marecchia.
I flussi migratori attraverso la regione sono definiti scarsi e dell’ordine di 300 individui
(Chiavetta, 1992), valore probabilmente sovrastimato. Le vie principali di migrazione infatti
interessano l’Italia peninsulare lungo la costa Tirrenica con un passaggio di molte centinaia di
individui (Agostini et al. 2004) mentre il flusso che segue l’Adriatico è trascurabile
(Borioni1993; Pandolfi e Sonet 2006).

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ALBANELLA MINORE Circus pygargus
Nidificante estiva, migratrice regolare.
L’areale regionale appare sostanzialmente sovrapponibile rispetto alla Carta del 1999, con un
aumento delle tavole che passano da 60 a 75 (43,6% del totale); l’incremento, che interessa in
particolare le aree di pianura bolognese e ferrarese, può rientrare nella dinamica fluttuante delle
popolazioni nidificanti che caratterizza questa specie. Le tavole con indicazione certa di
riproduzione (49 pari al 28,5%) risultano concentrate nel basso Appennino (soprattutto da Rimini
a Bologna, e Parma), nella zone umide costiere e nell’immediato retroterra (Ravenna, Ferrara), in
zone golenali del Po (Parma, Piacenza); è probabile che le ricerche in corso per gli atlanti di
Modena e Reggio possano riempire i vuoti che attualmente appaiono nell’Appennino di quelle
province.
La popolazione italiana è stimata in 260-380 coppie con andamento fluttuante (Brichetti e
Fracasso 2003). Le stime per la Regione vanno da 70-140 (Chiavetta 1992) a 85-110 (Gustin et
al. 1997) a 70-140 (Marchesi e Tinarelli 2007), contingenti che risultano di importanza nazionale
in quanto rappresentano circa il 40% della popolazione italiana; a livello locale vengono indicate
20-30 coppie nel Bolognese (Tinarelli et al. 2002), 15-18 nel Parmense (Ravasini 1995). Il
movimento migratorio interessa la Regione con importanti contingenti ipotizzati in 2-3.000
individui (Chiavetta 1992).
Nella Lista Rossa italiana (LIPU e WWF 1999) la specie figura fra quelle vulnerabili; a livello
regionale viene considerata “altamente vulnerabile” (Gustin et al. 1997) essendo infatti esposta
ad una serie importante di minacce: quella principale deriva dalla sua abitudine di deporre anche
nei seminativi con il rischio di perdita delle nidiate durante le operazioni di falciatura meccanica;
sono auspicabili al riguardo interventi gestionali con operazioni di salvaguardia dei nidi durante
il lavoro delle macchine operatrici, interventi già attuati felicemente in passato con finanziamenti
regionali (Chiavetta 1992). Altri rischi sono di origine ecologica per la perdita di siti riproduttivi
causata dal rimboschimento naturale di ambienti aperti collinari, o per predazione dei nidiacei da
parte di carnivori; altri derivano da azioni umane dirette e indirette: caccia illegale,
contaminazione da pesticidi, elettrocuzione, alterazioni dell’habitat e disturbo nelle zone
golenali.

ASTORE Accipiter gentilis


Sedentario nidificante, migratore regolare e svernante secondo la Check-list dell’Emilia-
Romagna (Bagni et al. 2003); la Lista Rossa regionale (Gustin et al. 1997) la considera specie
rara le cui coppie isolate sono distribuite in pochi siti.

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Confrontando i dati attuali con quelli della precedente Carta delle Vocazioni, la specie risulta
certamente nidificante in 29 tavolette che ospitano una o più coppie (più 4 con nidificazioni
eventuali) contro le precedenti 21 (più 7 eventuali). Ciò in parte riflette conoscenze più
approfondite ottenute soprattutto nell’Appennino romagnolo dove recentemente sono state
intraprese ricerche specifiche, e nell’Appennino bolognese.
La specie, che necessita di formazioni forestali ad alto fusto (Kerward 2006), è fortemente
limitata in tutto il comprensorio di pianura dall’assenza di boschi strutturalmente idonei e non
disturbati, mentre colonizza in modo pressoché continuo tutta la zona dell’alto Appennino.
Generalmente legata nella nostra zona alla presenza di conifere, è stata notevolmente
avvantaggiata dai programmi di rimboschimento condotti nei decenni scorsi ad opera delle
amministrazioni pubbliche. E’ riscontrata infatti in rimboschimenti di Pino nero, Abete bianco,
Abete rosso, Douglasia. Nelle Foreste Casentinesi non nidifica, salvo eccezioni, nei versanti ad
Abietifagetum ma seleziona i rimboschimenti artificiali puri di conifere. Occasionalmente lo si è
trovato nidificante in boschi di latifoglie a bassa quota o in castagneti abbandonati (Colombari,
oss.pers).
La popolazione della regione è stata stimata inferiore alle 50 coppie (Chiavetta 1992; Gustin et
al. 1997). Dai dati attuali questa stima può essere elevata a 50-80 coppie. Favoriscono la specie il
generale miglioramento del patrimonio forestale e la diminuita pressione venatoria che, anche
una volta cessata la deliberata persecuzione dei predatori, abbastanza spesso è vittima di
abbattimenti illegali.
La popolazione italiana è stimata in 500-800 coppie (Brichetti e Fracasso 2003) distribuite
sull’arco alpino e nell’Italia continentale dove è presente la sottospecie nominale, e in Sardegna
con 50-70 coppie appartenenti alla sottospecie A.gentilis arrigonii endemica di Corsica e
Sardegna oggetto di un Piano di Azione dell’Unione Europea.
Fattori di minaccia per la specie sono rappresentati dalla frammentazione dell’habitat forestale
ad alto fusto, dagli abbattimenti o lavori forestali in stagione riproduttiva, dall’eccessiva
rimozione dei rinnovi e alberi morti che limita il numero delle prede potenziali, dal disturbo
causato da attività del tempo libero in prossimità dei nidi (ricerca prodotti del sottobosco,
escursionismo, motocross), intrappolamenti accidentali in pollai, colombaie o altre strutture di
allevamento.
Si deve anche ricordare che un considerevole numero di rapaci, tra cui particolarmente gli astori,
viene accidentalmente catturato (e legalmente deve essere rilasciato) in trappole autorizzate per il
controllo selettivo dei Corvidi.

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SPARVIERE Accipiter nisus
In parte sedentario, migratore regolare, svernante.
L’attuale distribuzione regionale appare ampliata decisamente rispetto ai dati della Carta del
1999.
La specie risulta presente in 98 tavole (57% del totale) contro le 73 di allora, con un aumento
percentuale del 34,2%; in particolare appare molto migliorata la distribuzione nelle province di
Piacenza, di Forlì-Cesena ed in parte di Bologna.
L’ampliamento può essere in parte determinato da una più precisa e capillare ricerca per gli
ultimi atlanti provinciali, ma è opinione diffusa che la specie sia in espansione, soprattutto nelle
zone collinari che risultano in pratica completamente occupate; l’espansione riguarda anche
nuove zone di pianura (in gran parte tuttavia senza prove certe di nidificazione), in una vasta
zona di campagna a nord di Modena e Bologna, e con due casi isolati nell’ambito del Parco del
Delta; da segnalare la nidificazione nella periferia urbana di Reggio Emilia (Gustin 2002).
La nidificazione appare accertata in 82 tavole (47,7%); in particolare viene riportato
l’accertamento della riproduzione anche nel Forlivese (che non figurava nella precedente
indagine) con 14 tavole. La completa assenza di segnalazioni lungo l’asta del Po, dal Reggiano
alla costa adriatica, è probabilmente da imputare a carenza di informazioni, visto che nella parte
occidentale del corso del fiume la presenza è pressoché continua.
La popolazione italiana è stimata in 2.000-4.000 coppie con tendenza all’incremento (Brichetti e
Fracasso 2003); è probabilmente da rivedere in aumento, almeno nel valore minimo, la
valutazione regionale di 300-800 coppie (Chiavetta 1992); stime parziali più recenti indicano
110-130 coppie nel Parmense (Ravasini 1995) e 60-100 coppie nel Bolognese (Tinarelli et al.
2002). Vengono stimati in Regione alcune centinaia di individui svernanti e diverse migliaia di
migratori (Chiavetta 1992).
Anche a livello nazionale viene indicata una generale tendenza all’incremento numerico e
all’espansione territoriale negli ultimi due decenni (Brichetti e Fracasso 2003).
Come tutte le specie dei rapaci, lo Sparviere è esposto a minacce derivanti da azioni dirette
(caccia illegale, in particolare per gli individui svernanti) o indirette dell’uomo (uso di pesticidi,
elettrocuzione, collisione con cavi aerei o impianti eolici).

POIANA Buteo buteo


In parte sedentaria, migratrice regolare, svernante.
E’ probabilmente la specie dei rapaci diurni più comune nella Regione ed appare in espansione
rispetto alla carta del 1999: la presenza riproduttiva viene indicata in 127 tavole (73,8% del

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totale) contro le precedenti 95 (+33,6%); l’accertamento della nidificazione riguarda 111 tavole
(64,5%).
Il confronto fra le due carte mostra una distribuzione sostanzialmente immutata a monte della
Via Emilia, salvo una migliore copertura nell’Appennino piacentino che appariva disertato
nell’indagine precedente, probabilmente per un difetto di informazione. L’espansione riguarda
quindi le zone di pianura, in particolare il Bolognese, il Ravennate, le zone costiere ferraresi, le
adiacenze del Po piacentino; nella pianura orientale esistevano già alcune segnalazioni, limitate
però ad indicazioni di eventuale riproduzione, mentre attualmente figurano nidificazioni certe
localizzate nelle aree protette costiere (Pineta di Classe, Punte Alberete) e nella pianura
antropizzata bolognese. Va detto che l’insediamento nella pianura riguarda al momento poche
coppie isolate, essendo l’espansione limitata dalla scarsità degli alberi adatti ad accogliere il
nido; possono sopperire grandi alberi o boschetti isolati e i boschi fluviali.
Le massime densità si riscontrano nella bassa e media collina con sufficiente copertura arborea
alternata agli spazi aperti necessari alla caccia; nel Parco dei Gessi bolognesi ad esempio sono
state registrate 12 coppie in 50 kmq (Colombari in Tinarelli et al. 2002), densità (24 cp/100 kmq)
che appare tra le più alte anche a livello nazionale. A quote prossime al crinale appenninico le
densità si riducono notevolmente a causa della estesa copertura boschiva.
In Italia sono stimate 4.000-8.000 coppie con trend in aumento (Brichetti e Fracasso 2003); in
Regione sono valutate 500-1000 coppie (Chiavetta 1992), con stime locali di 90-95 nel Parmense
(Ravasini 1995) e 150-200 nel Bolognese (Tinarelli et al. 2002). I contingenti svernanti nella
Regione possono essere di un migliaio di individui, quelli migratori di diverse migliaia
(Chiavetta 1992).
Lo status della popolazione è da considerarsi buono, con relative minacce rappresentate dalle
uccisioni illegali (da lamentare purtroppo la pratica ancora attiva delle esche avvelenate,
pericolose anche per questa specie), dalle collisioni con cavi aerei, dall’elettrocuzione; in
particolare la mortalità dovuta alle linee elettriche è documentata anche localmente (Tinarelli e
Tirelli 2003; Chiozzi e Marchetti 2000), mortalità che potrebbe essere ridotta con interventi di
messa in sicurezza, ad esempio mediante sostituzione dei conduttori con cavi Elicord. Per i
grandi veleggiatori come la Poiana un grave pericolo può inoltre essere rappresentato da impianti
eolici posti sulle rotte migratorie.

AQUILA REALE Aquila chrysaetos


Definita sedentaria nidificante dalla check-list dell’Emilia-Romagna (Bagni et al. 2003), è specie
ad Alta priorità di conservazione secondo la Lista Rossa regionale (Gustin et al. 1997).

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Rispetto alla precedente carta delle Vocazioni del 1999 si nota una presenza più diffusa sul
territorio. Ciò in parte è attribuibile a un precedente difetto delle conoscenze.
La popolazione italiana presenta attualmente un trend positivo. Le stime più aggiornate
considerano presenti 476-541 coppie, per due terzi concentrate sull’arco alpino dove la specie ha
praticamente saturato la capacità portante (Fasce e Fasce 2003; Brichetti e Fracasso 2003). In
Appennino sono stimate 57-69 coppie. E’ verosimile che la maggiore antropizzazione, la minore
disponibilità di ungulati selvatici e il bracconaggio mantengano la popolazione appenninica al di
sotto delle potenzialità. In Appennino Tosco-Emiliano sono conosciute 16-22 coppie nidificanti
di cui 9 nei confini dell’Emilia-Romagna (Bonora et al. in stampa). I siti potenzialmente idonei
alla specie sono stimabili per l’Appennino Tosco-Emiliano in un terzo in più rispetto a quelli
occupati. Le coppie sono più concentrate nelle parte ovest della regione e più isolate
nell’Appennino romagnolo, fenomeno analogo a quanto accade sul versante toscano, attribuibile
alle differenti caratteristiche orografiche del territorio.
Una coppia possiede generalmente più nidi all’interno del proprio territorio riproduttivo che
vengono utilizzati con rotazioni irregolari. Possono essere distanziati da poche decine di metri a
molti chilometri (oltre dieci nel caso di due coppie in Emilia-Romagna). La rappresentazione
topografica per la specie risente di questo fenomeno, in quanto non è possibile rappresentare i
nidi alternativi di una stessa coppia che ricadono in elementi cartografici diversi.
La produttività risulta nella norma, mediamente di 0,5 giovani involati per coppia ogni anno con
estremi tra 0,15 e 1,0 nell’arco di 15 anni per le due coppie rispettivamente più e meno
produttive. Non sono eccezionali i casi di due giovani involati per coppia.
Oltre agli adulti nidificanti, sono presenti giovani dell’anno e subadulti di cui è nota la grande
facilità di spostamento, nati localmente o provenienti da altre aree, che frequentano in particolare
le zone collinari caratterizzate da vasti spazi aperti e calanchi. La presenza di immaturi,
difficilmente quantificabile con precisione, è stimabile intorno a 7-10 individui (Bonora et al. in
stampa). In alcuni casi si sono osservati immaturi che hanno frequentato la stessa area per diversi
anni e si sono successivamente spostati una volta assunto l’abito riproduttivo.
Le praterie di crinale, sfruttate per l’alimentazione, ricadono inoltre nell’home range di almeno 7
coppie nidificanti sul versante toscano.
Per questi motivi l’areale frequentato dalla specie (coppie riproduttive e immaturi) deve essere
considerato coincidente con le zone aperte collinari e montane specialmente a minore grado di
antropizzazione.
I fattori di minaccia per l’aquila sono rappresentati dal disturbo in prossimità del nido in stagione
riproduttiva per lavori forestali o attività legate al tempo libero (escursionismo, raccolta di

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prodotti del sottobosco, fotografia naturalistica). Si verificano ancora sporadici ma significativi
episodi di bracconaggio.
La collisione con elettrodotti è altro fattore documentato che incide particolarmente sui giovani
appena dopo l’involo. L’installazione sui crinali di generatori eolici, di grandi dimensioni e in
serie anche di decine di elementi, costituisce il principale pericolo per la conservazione della
specie.

FALCONIFORMI

GRILLAIO Falco naumanni


Migratore regolare e nidificante irregolare secondo la Check-list dell’Emilia-Romagna (Bagni et
al. 2003), non è classificato dalla Lista Rossa regionale (Gustin et al. 1997).
Specie a distribuzione europea e centroasiatica, la popolazione europea attuale è di 12-18000
coppie, la metà circa delle quali localizzate nella penisola iberica dove tuttavia sarebbero state
presenti oltre centomila coppie fino agli anni ’60 (Cramp e Simmons 1980). In Italia la
popolazione è inferiore a 4000 coppie, delle quali 3000 insediate nelle regioni meridionali
(Basilicata e Puglia) e nelle principali isole: 200 in Sardegna, 500 in Sicilia (Brichetti e Fracasso
2003). Sono sporadiche le presenze in altre regioni meridionali; è estinto in Italia centrale dove
sono riportate nidificazioni in Toscana, all’Isola d’Elba e all’Argentario, fino agli anni ’80
(Massa 1992).
Nel panorama di contrazione dell’areale riproduttivo e del numero di coppie, la specie è stata
segnalata nidificante per la prima volta in Emilia-Romagna in provincia di Parma nel 1990
(Bagni et al. 2003). Nel Ferrarese, nella bonifica del Mezzano, nel 2003 una coppia ha nidificato
senza successo in un nido di Gazza (Tinarelli 2004); il tentativo non si è ripetuto negli anni
successivi. Nelle Valli di Mirandola (MO) una coppia ha nidificato nel 2005; nella stagione
successiva a questa se ne sono aggiunte altre per un totale di 6 coppie riproduttive (Giannella
com.pers).
La regione è interessata da un passaggio di migratori già definito scarso ed irregolare (Chiavetta
1992) che è diventato più consistente negli ultimi anni. Presenze prolungate a tarda estate di
diverse decine di individui sono state segnalate nella zona collinare a sud di Bologna (Fusini et
al. 2006) e nella fascia calanchiva del Forlivese (Ceccarelli et al. 2006).
I fattori di minaccia per la specie sono rappresentati, in gran parte dell’areale riproduttivo e di
svernamento, dall’intensificazione delle pratiche agricole, con il passaggio a forme di
conduzione diversa di aree adibite a pascolo o a colture estensive; ciò comporta oltre alla minor

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disponibilità di territori di caccia anche una riduzione degli invertebrati. L’afforestazione
spontanea o artificiale causa ugualmente una perdita di habitat. La disponibilità di cavità idonee
per la nidificazione è ridotta dal recupero e ristrutturazione di edifici rurali tradizionali. Infine
nella nostra regione dove il Grillaio nidifica in nidi di Gazza, pratiche non consentite quali lo
sparo al nido per il contenimento dei Corvidi può comportare la perdita dei pochi riproduttori
presenti. Il Grillaio è oggetto di un Piano di Azione della Unione Europea.

GHEPPIO Falco tinnunculus


In parte sedentario, migratore regolare, svernante.
L’areale riproduttivo regionale è in notevole ampliamento verso le zone pianeggianti che
apparivano evitate nella Carta del 1999. E’ evidente infatti l’occupazione di tanti nuovi territori
di pianura, anche ad agricoltura intensiva: tutta la provincia di Ravenna appare coperta, ed anche
le zone litorali del Ferrarese, tutta la bassa bolognese; rimangono scoperte alcune zone di pianura
del Ferrarese, Modenese e Reggiano, probabilmente solo per mancanza di informazioni recenti.
Peraltro l’incremento deve ritenersi reale e non determinato da una maggiore intensità della
ricerca ornitologica, trattandosi di una specie di facile rilevamento e che nidifica in siti ben
evidenti (cavità in abitazioni abbandonate, nidi vecchi di Corvidi) e che pertanto non poteva
sfuggire alle osservazioni nei decenni scorsi. Si tratta di un trend positivo che inverte la
situazione di drastico calo nella Pianura Padana iniziato a metà del secolo scorso (Brichetti e
Fracasso 2003).
E’ confermata la copertura continua dell’Appennino, che appare completata anche nella
provincia di Piacenza.
Le tavole occupate, che erano 98, sono attualmente 144 (83,7% del totale) con un incremento del
47%; le indicazioni di nidificazione certa riguardano 127 tavole (73,8%).
Questa situazione può far ritenere in aumento la popolazione nidificante in Regione, la cui ultima
stima è di 500-1000 coppie (Chiavetta 1992); stime locali indicano nel Parmense 100-110 coppie
(Ravasini 1995) e nel Bolognese 180-250 coppie (Tinarelli et al. 2002); la stima del Modenese di
30-40 coppie (Giannella e Rabacchi 1992) appare oggi certamente inadeguata.
La popolazione italiana è stimata in 8.000-12.000 coppie (Brichetti e Fracasso 2003).
Il transito migratorio nella Regione viene stimato in svariate migliaia di individui, il contingente
svernante in alcune centinaia (Chiavetta 1992); la valutazione degli svernanti va probabilmente
aggiornata in aumento.

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In Europa è specie considerata in declino, classificata SPEC3 ovvero specie con status di
conservazione sfavorevole e popolazione non concentrata nel continente, mentre in ambito
italiano risulta in ripresa (BirdLife International 2004).
Localmente le minacce per la specie sono rappresentate dalla caccia illegale, da elettrocuzione e
impatti con cavi aerei, dalla riduzione di aree aperte collinari e montane, dalla ristrutturazione
delle abitazioni abbandonate. A beneficio della specie potrebbero essere utilizzati speciali nidi
artificiali a cassetta da installare in ambienti agrari, pratica attuata con successo in molti paesi
europei ed anche in Toscana, Lazio e nel Modenese (Rabacchi 1999).

FALCO CUCULO Falco vespertinus


Nidificante estivo, migratore regolare secondo la Check-list dell’Emilia-Romagna (Bagni et al.
2003)
Specie nidificante di recente acquisizione, la prima riproduzione è stata osservata vicino a Parma
nel 1995 (Ravasini 1996). A questa hanno fatto seguito nel Parmense altre segnalazioni di
piccole colonie di consistenza inferiore a 10 coppie (Sponza et al. 2002). L’insediamento ha
interessato successivamente le Province di Modena e di Ferrara (Tinarelli 1997) e di Piacenza
(Ambrogio et al. 2001). In Provincia di Bologna si è avuta una nidificazione nel 1998
probabilmente ripetutasi nella stagione successiva senza che a questi casi sporadici sia seguita
una colonizzazione permanente (Tinarelli et al. 2002).
La popolazione più consistente, circa 60-70 coppie, occupa attualmente la Bonifica del Mezzano
nel Ferrarese ove è favorita da ampi spazi a seminativi, presenza di argini non coltivati lungo i
canali di bonifica ed interventi di ripristino ambientale. Le nidificazioni avvengono
principalmente lungo le siepi frangivento ove sono disponibili numerosi nidi di Gazza
abbandonati che vengono occupati dalla specie. (Tinarelli 2004). La popolazione regionale è
stimabile intorno alle 80-100 coppie.
In Italia al di fuori dell’Emilia-Romagna sono segnalati pochi casi di nidificazione in Veneto e
Toscana (Brichetti e Fracasso 2003) quindi la specie è considerata dalla Lista Rossa regionale
(Gustin et al. 1997) rara e al limite dell’areale e la popolazione dell’Emilia-Romagna di
importanza nazionale.
Il movimento migratorio interessa un numero variabile di individui secondo gli anni, più intenso
nel periodo primaverile e generalmente scarso o nullo in autunno, stimato da alcune centinaia a
diverse migliaia di individui (Chiavetta 1992) che sostano abitualmente su posatoi elevati come
ad esempio elettrodotti in ambienti aperti di pianura o di collina, frequentemente presso zone
umide.

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I fattori di minaccia per la specie sono attribuibili a perdita di habitat nelle bonifiche per
trasformazione di colture a seminativo in altri tipi di conduzione agricola intensiva,
particolarmente vivai di specie arboree. Pratiche di controllo dei Corvidi, condotte
frequentemente con metodi non selettivi ed illegali come lo sparo al nido, provocano la perdita di
riproduttori di questa ed altre specie di rapaci che utilizzano nidi di Gazza.

LODOLAIO Falco subbuteo


Nidificante estivo, migratore regolare.
I recenti dati degli atlanti provinciali di Piacenza, Bologna, Forlì-Cesena e Ravenna hanno
comportato una rappresentazione distributiva molto più estesa rispetto alla Carta del 1999: le
tavole con indicazione di presenza passano infatti da 55 a 86 (50% del totale delle tavole), con
un incremento percentuale del 56,4%. L’areale precedente era prevalentemente centrato sulla
provincia di Parma con altre poche e frammentarie segnalazioni, peraltro quasi tutte di eventuale
nidificazione, nel resto della Regione; la nuova carta mostra una copertura quasi totale, e con
molti accertamenti di riproduzione, per Piacenza e Forlì-Cesena; aumenta la copertura anche per
Bologna, Ravenna e Ferrara (in queste ultime due province nelle zone umide e nelle pinete
costiere). Rimangono vaste aree scoperte nella pianura centrale e orientale e nella fascia alto-
collinare.
L’accertamento riproduttivo riguarda 60 tavole (34,9%).
Il quadro è indice di un incremento generalizzato della popolazione regionale la cui consistenza
attuale è certamente superiore alla stima di 50-100 coppie (Chiavetta 1992) e forse anche a
quella del 2001-03 di 80-150 coppie (Marchesi e Tinarelli 2007); solo per una parte
dell’Appennino forlivese sono stati riscontrati ad esempio 20 siti riproduttivi nel triennio 2004-
06 (Ceccarelli inedito); stime per altre province indicano 22 coppie nel Parmense (Ravasini
1995), 20-40 coppie nel Bolognese (Tinarelli et al. 2002). Per la popolazione italiana, valutata in
500-1000 coppie, viene indicato un trend positivo nella Pianura Padana (Brichetti e Fracasso
2003).
Gli individui in migrazione in Regione, sono valutabili in centinaia o anche migliaia, a seconda
degli anni (Chiavetta 1992).
Le conoscenze sulla distribuzione potrebbero certamente essere ancora migliorate con una
indagine espressamente dedicata a questa specie intensificando le ricerche nel periodo di involo
dei giovani che avviene, trattandosi di specie molto tardiva, a fine agosto-inizio settembre.
Il Lodolaio è dichiarato vulnerabile nella Lista Rossa italiana (LIPU e WWW 1999) e a status
indeterminato in quella regionale (Gustin et al. 1997); al momento non sembrano esserci

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localmente minacce particolarmente gravi; i rischi possono derivare dall’attività venatoria per
episodi di caccia illegale (l’abbattimento di adulti all’apertura della caccia può significare la
perdita di tutta la nidiata) e per l’attività di controllo dei Corvidi (con lo sparo ai nidi di
Cornacchia riutilizzati dal Lodolaio); altri rischi derivano dall’uso dei pesticidi (la specie è
soprattutto entomofaga) e dal taglio dei pioppeti golenali (Ravasini 1995).

LANARIO Falco biarmicus


Sedentario nidificante irregolare, migratore, svernante regolare secondo la Check-list
dell’Emilia-Romagna (Bagni et al. 2003).
La presenza del Lanario nell’Appennino Tosco-emiliano è stata riportata in letteratura da Bonora
e Chiavetta (1975) dopo il ritrovamento di alcune coppie nidificanti nel Bolognese, che
rappresenta l’estremo settentrionale dell’areale. Riprodottosi da tale periodo regolarmente in
provincia di Bologna ed occasionalmente in altre aree limitrofe con 1-3 coppie in totale, è
scomparso poi alla fine degli anni 80 (Chiavetta e Martelli 1991) per cui è risultato estinto dopo
il 1980 al momento della compilazione della Lista Rossa regionale (Gustin et al. 1997). Nel
1999 una coppia si è nuovamente insediata e riprodotta con successo nel Bolognese su una parete
già occupata negli anni 80 (Tinarelli et al. 2002). L’utilizzazione di questa parete è proseguita
negli anni successivi ed altre 2 o 3 coppie si sono poi nuovamente insediate per cui attualmente
la specie nidifica con regolarità nella Regione seppure con un basso numero di coppie ed un
successo riproduttivo ridotto, coerente con la marginalità nell’areale (Martelli e Rigacci 2003).
La presenza del Lanario in passato ha riguardato per un breve periodo il Modenese (Giannella e
Rabacchi 1992); in Romagna la notizia di una coppia nidificante eventuale nella valle del
Marecchia è riferita ma non confermata da Foschi e Gellini (1987). Nel Bolognese dove si sono
verificate le nidificazioni più numerose pur se con una certa irregolarità, si è assistito a frequenti
cambi del sito di nidificazione, che ha interessato in questo modo 7 tavolette.
La popolazione regionale è stata stimata da Chiavetta (1992) inferiore a 5 coppie; il dato da
allora non pare essersi modificato significativamente.
La popolazione italiana è di circa 160-200 coppie la metà delle quali in Sicilia, (Brichetti e
Fracasso 2003) appartenenti alla sottospecie feldeggii che colonizza l’Europa meridionale.
L’Italia ospita l’80% degli effettivi appartenenti alla sottospecie.
Il Lanario nella Regione è particolarmente vulnerabile in quanto è ai limiti dell’areale, ed è
inoltre soggetto a fattori di minaccia di vario ordine. Tra le cause naturali, una certa
competizione con il Pellegrino, che risulta dominante nell’occupazione delle pareti, benché in
passato in provincia di Bologna coppie di entrambe le specie si siano riprodotte

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contemporaneamente su uno stesso balzo di medie dimensioni. La predazione da parte del Gufo
reale è stata accertata (Rigacci e Scaravelli 1995) ma ha perso importanza nell’Appennino
Tosco-Emiliano data l’estrema rarefazione di questo predatore. Le cause antropiche rivestono
maggiore significato. Fino a tempi recenti i nidi di Lanario sono stati depredati illegalmente da
falconieri. Anche gli abbattimenti durante la stagione venatoria sono relativamente frequenti.
Come per altre specie rupicole, in periodo di cova possono costituire un fattore di disturbo grave
e sufficiente a provocare il fallimento riproduttivo attività ricreative, se praticate senza
precauzioni, quali escursionismo e arrampicata sportiva, birdwatching e fotografia, ricerca di
fossili e minerali.
La collisione con ostacoli quali cavi aerei e pale di generatori eolici installati in prossimità dei
territori riproduttivi rappresenta un fattore di minaccia potenziale molto grave.
Il Lanario è oggetto di un Piano di Azione dell’Unione Europea recentemente recepito a livello
nazionale (Andreotti e Leonardi 2007).

PELLEGRINO Falco peregrinus


Sedentario nidificante, migratore regolare e svernante secondo la check-list dell’Emilia-
Romagna (Bagni et al. 2003), è classificato dalla Lista Rossa regionale specie rara le cui coppie
isolate sono distribuite in pochi siti (Gustin et al. 1997).
La popolazione ha toccato i minimi storici intorno agli anni ’60 in Emilia-Romagna come del
resto in tutto l’emisfero settentrionale, in conseguenza dell’uso in agricoltura di insetticidi
organoclorati (DDT) che riducevano fortemente il successo riproduttivo. Nell’impossibilità di
agire su vasta scala, in questo periodo nella regione una collaborazione tra enti locali ed
associazioni ambientaliste portò all’istituzione di oasi di protezione nei siti ancora frequentati o
storicamente frequentati dal Pellegrino.
Nell’ultima parte del XX secolo si è assistito a una fase di recupero ed espansione, tuttora in
corso, che oltre alla ricolonizzazione di ambienti rupicoli tradizionali da cui il Pellegrino era
scomparso interessa anche ambienti antropizzati come centri storici e periferie industriali.
La carta attuale mostra 39 tavole occupate (22,7% del totale) contro le 24 della Carta 1999; le
indicazioni di nidificazione certa sono 30 (17,4%).
La popolazione regionale è stata stimata di 10 coppie dalla Lista Rossa del 1997 e di 13 nella
precedente Carta delle Vocazioni del 1999. Sempre secondo dati di letteratura revisionati più
recentemente (Brichetti e Fracasso 2003) nell’Appennino tosco-emiliano sarebbero presenti 25-
30 coppie, stima anche questa largamente in difetto, corretta successivamente a 45-60 coppie nel
2004 (Bonora et al., in corso di stampa) dato anche questo non più attuale perché ulteriormente

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superato dall’espansione della popolazione. Pur in mancanza di ricerche sistematiche coordinate,
con l’eccezione di poche province, si può considerare verosimile la presenza di 50-70 coppie
nidificanti.
La popolazione italiana è stimata intorno alle 800-1000 coppie, per un terzo localizzate nelle
isole maggiori.
Fatto nuovo e molto significativo la riproduzione in ambienti urbani. A Bologna una coppia
nidifica regolarmente nel quartiere fieristico, dove è stata installata anche una webcam. Una
seconda coppia è insediata nel centro storico cittadino. A Ferrara una coppia è probabilmente
nidificante in zona industriale della periferia. A Piacenza una coppia si è insediata in una centrale
elettrica, favorita da un nido artificiale appositamente collocato, e successivamente ha nidificato
in un nido di Corvidi su un traliccio dell’alta tensione e quindi nuovamente in un nido artificiale.
A Modena una coppia si riproduce presumibilmente nel centro storico. Una coppia frequenta,
fino ad ora senza evidenza di riproduzione, il centro storico di Forlì.
Nei mesi invernali giungono nella regione i pellegrini delle popolazioni del nord Europa; in
questo periodo è frequente osservarli in ambienti di pianura ancora poco frequentati in periodo
riproduttivo, su posatoi elevati come i tralicci degli elettrodotti e specialmente in prossimità di
zone umide e canneti dove si raccolgono grandi concentrazioni di Uccelli.
La specie presenta oggi uno stato di conservazione soddisfacente. Fattori di minaccia locali sono
rappresentati dal disturbo in prossimità dei nidi (escursionismo, arrampicata sportiva, fotografia
e birdwatching), abbattimenti illegali che avvengono ancora, prelievi illegali di pulli al nido da
parte di falconieri, fenomeno attenuato rispetto al passato grazie alla disponibilità di individui
nati in cattività allevati appositamente, trasmissione di malattie infettive o parassitarie da parte
dei Colombi domestici particolarmente predati dalle coppie che nidificano in prossimità di
ambienti urbani. Si deve ricordare infine che se gli insetticidi organoclorati per uso agricolo non
sono più utilizzati in Europa (ma lo sono ancora nei paesi emergenti), altri composti come i PCB
(bifenili policlorurati) che pur non essendo insetticidi hanno alcuni effetti simili a quelli del DDT
sugli Uccelli, sono usati come plastificanti in vari tipi di produzioni industriali (vernici, isolanti,
lubrificanti) e sono dispersi largamente nell’ambiente.

GALLIFORMI

QUAGLIA Coturnix coturnix


Nidificante estiva, migratrice regolare, svernante irregolare.

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L’areale attuale risulta più ampio di quello del 1999 con un aumento delle tavole occupate da
101 a 136 (79,1% del totale), in gran parte (132) con indicazione certa di riproduzione.
L’ampliamento (che riguarda in particolare il territorio piacentino, buona parte della pianura
bolognese e le tavole costiere di Ravenna e Ferrara) sembrerebbe indicare una fase espansiva di
questa specie per la quale sono indicate fluttuazioni notevoli sia sul breve termine sia in tempi
lunghi (Brichetti et al. 1992). Un incremento quantitativo importante è stato riscontrato ad
esempio nella provincia di Forlì-Cesena negli ultimi 10 anni; il confronto fra i censimenti
effettuati nel 1995-97 e quelli ripetuti nel 2004-06 evidenziano un forte aumento, con indici di
densità relativa praticamente raddoppiati (Sterna inedito).
La stima della popolazione italiana è di 15.000-30.000 covate (Brichetti e Fracasso 2004), quella
regionale è di 1.600-4.000 con trend fluttuante (Marchesi e Tinarelli 2007). Le stime locali
sembrano influenzate dalle probabili fluttuazioni annuali: per il Parmense la stima di 80 coppie
(Ravasini 1992) appare molto riduttiva rispetto alle 300-660 coppie valutate nel Bolognese
(Tinarelli et al. 2002).
Diffusa prevalentemente nella pianura e nella bassa collina; l’altitudine non sembra tuttavia un
fattore limitante per la sua presenza, vincolata piuttosto alla disponibilità di vasti pascoli ed aree
aperte (Gellini e Ceccarelli 2002); la specie è segnalata infatti a 1250 m nel Forlivese (M.
Fumaiolo), ai 1200 m nel Piacentino.
In Europa è classificata SPEC3 a causa dello status sfavorevole (BirdLife International 2004) e
nella Lista Rossa italiana è inserita fra le specie a basso rischio (LIPU e WWF 1999); i fattori
limitanti sono legati alle modificazioni del paesaggio agrario, alla meccanizzazione agricola,
all’uso dei pesticidi; l’attività venatoria, che non ha più un forte impatto diretto con i nuovi
calendari venatori che risparmiano i flussi migratori importanti, può rappresentare un pericolo
indiretto a causa dell’inquinamento genetico con la Quaglia giapponese immessa.

CARADRIFORMI

BECCACCIA Scolopax rusticola


Nidificante estiva, migratrice regolare, svernante.
La Carta del 1999 indicava 12 tavole di presenza tutte incluse nella provincia di Parma con 8
tavole di nidificazione accertata; nel periodo 1985-1990 erano state verificate 11 nidificazioni
nell’area appenninica parmense ad altitudini compresa fra 270 e 1090 m (Ravasini 1995).
Nello stesso periodo, non cartografati, figurano due casi di riproduzione nel Modenese, nella
fascia pedemontana ad altitudini attorno ai 400 m (Giannella e Rabacchi 1992); in precedenza

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sempre nel Modenese era stato citato un caso nei pressi di Lama Mocogno nel 1981 (Spanò 1987
citato in Toso et al. 1999); successivamente un’altra nidificazione è stata verificata nel
Piacentino a 1.375 m nel 2001 (Ambrogio et al. 2001).
La carta attuale comprende 13 tavole (7,6% del totale) 10 delle quali con accertamento della
riproduzione. Si tratta comunque in gran parte di dati privi di conferme recenti.
Viene ribadita pertanto la scarsa presenza in Regione con areale limitato all’Appennino
occidentale e con una popolazione, la cui stabilità è da verificare, probabilmente di poche decine
di coppie; del resto tutta la popolazione nazionale è stimata in 50-150 nidiate (Brichetti e
Fracasso 2004).
Per il settore orientale sono citate vecchie segnalazioni: una in Appennino nel 1967 presso M.
Battaglia (RA) a 5-600 m di altitudine (Toschi 1967); diverse nei boschi litoranei: nel 1974-
1977-1978 nella Riserva Mangelli (RA) (Foschi 1986), nel 1977 e nel 1979 nel Bosco della
Mesola (Ortali 1978 e 1984), nel 1979 nella Pineta di S.Vitale (Ortali 1984).
La specie è molto diffusa come svernante; normalmente si tratta di individui singoli, ma non
mancano segnalazione di piccole concentrazioni in siti favorevoli: 7 esemplari all’Ortazzino, in
provincia di Ravenna (Giannella e Tinarelli 2003).
E’ specie che presenta problemi di conservazione riconosciuti a livello continentale con la
classificazione a SPEC3 (BirdLife International 2004) con status sfavorevole e popolazione non
concentrata in Europa; nella Lista Rossa italiana è inclusa nelle specie in pericolo (LIPU e WWF
1999) ed in quella regionale è dichiarata a status indeterminato (Gustin et al. 1997).
In periodo riproduttivo i problemi sono legati soprattutto alla esiguità della popolazione
regionale. I rischi maggiori riguardano gli individui svernanti a causa naturalmente
dall’eccessivo prelievo venatorio che dovrebbe essere limitato come carniere e come giornate; le
stime recenti indicano ancor oggi circa 500.000 abbattimenti per stagione in Italia (Brichetti e
Fracasso 2004).

COLUMBIFORMI

COLOMBACCIO Columba palumbus


In parte sedentario, migratore regolare, svernante.
E’ in una fase di forte espansione distributiva e quantitativa; la carta distributiva attuale, pur con
un amento del 62% delle tavole occupate rispetto alla Carta del 1999 (da 50 alle attuali 81 tavole
pari al 47,1% del totale, con 72 tavole di accertamento riproduttivo), rende solo in parte evidente

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il fenomeno. Il miglioramento deriva infatti dagli atlanti di Piacenza e Bologna (che sono ancora
relativi agli anni ’90), ma soprattutto dalle ricerche in corso nelle province romagnole (Sterna
inedito). La provincia di Forlì-Cesena ad esempio passa dalle 5 tavole di allora (peraltro senza
accertamento riproduttivo) alle 15 tavole attuali; le tavole costiere di Ravenna e Ferrara passano
da 2 a 7 tavole. Anche in termini quantitativi i recenti censimenti forlivesi e ravennati indicano
un aumento degli indici chilometrici di abbondanza dell’ordine di 5-10 volte rispetto al triennio
1995-97.
E’ verosimile pensare che la disponibilità di informazioni recenti anche per altre province, in
particolare l’area di Modena e Reggio, potrebbe aumentare notevolmente la copertura regionale.
L’espansione nel settore orientale riguarda sia l’Appennino sia le zone planiziali; in montagna
l’areale, limitato negli anni ’80 alle Foreste Casentinesi (Foschi e Gellini 1987) e in aumento già
negli anni ’90 verso quote medie (Gellini e Ceccarelli 2000), copre attualmente tutto il territorio
dalle zone pedecollinari al crinale; nelle zone costiere l’ampliamento interessa tutte le tavole,
dalla Pineta di Classe al Bosco della Mesola.
La fase espansiva è del resto generalizzata anche a livello nazionale ed europeo (Brichetti e
Fracasso 2006).
Nella scelta dell’habitat la specie appare molto eclettica utilizzando ogni formazione boschiva
disponibile: le formazioni estese e mature del crinale e della costa, i boschi cedui collinari, i
boschi fluviali, i pioppeti artificiali, le siepi arboree, i boschi relitti (Ambrogio et al. 2001;
Ravasini 1995).
La popolazione italiana è stimata in 40.000-80.000 coppie in incremento (Brichetti e Fracasso
2006); non sono disponibili stime della popolazione regionale; le uniche valutazioni, peraltro
troppo datate vista l’evoluzione in corso, sono di 80-100 coppie nel Parmense (Ravasini 1995) e
di 30-50 coppie nel Bolognese (Tinarelli et al. 2002); alti valori di densità riguardano i Boschi di
Carrega e i calanchi parmensi dove sono indicate stime di 5,4 coppie/kmq (Ravasini 1995).
La regione è interessata da forti movimenti migratori con concentrazioni autunnali di migliaia di
esemplari nelle zone costiere del delta, ad esempio nel Bosco della Mesola (Brichetti e Fracasso
2006).
Non sembrano esistere al momento gravi fattori di rischio per la specie: la pressione venatoria,
che era un tempo il più pesante fattore limitante, risulta oggi ridotta dall’abolizione della caccia
primaverile; permangono i rischi dovuti alle collisioni con cavi aerei e all’uso dei pesticidi:
vengono riportati ad esempio episodi di avvelenamento da semi trattati con sostanze tossiche per
campagne rodenticide (Meda 1980).

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TORTORA SELVATICA Streptopelia turtur
Nidificante estiva, migratrice regolare.
L’aggiornamento della carta di distribuzione con i dati delle province di Piacenza (Ambrogio et
al. 2001), Bologna (Tinarelli et al. 2002), e delle province romagnole (Sterna inedito) ha
consentito di migliorare ulteriormente la Carta del 1999 che indicava già 142 tavole, passate
attualmente a 167 (97,1% del totale) con 156 tavole di nidificazione certa (90,7%).
La copertura interessa in pratica tutto il territorio regionale; restano scoperte solo 5 tavole per
probabile carenza di dati recenti in pianura o per reale assenza in alta montagna (la specie è
molto rara oltre gli 800 m di altitudine).
Stimate in Italia 150.000-300.000 coppie con trend fluttuante (Brichetti e Fracasso 2006); le
stime locali della popolazione sembrano abbastanza divergenti: circa 1000 coppie per la
provincia di Parma con le densità massime di 3 cp/kmq nel Parco del Taro (Ravasini 1995);
4000-6000 coppie per Bologna (Tinarelli et al. 2002). La popolazione regionale può considerarsi
tendenzialmente stabile o in leggero aumento; i censimenti recenti per Forlì-Cesena e Ravenna
confermano questo status.
Per la Regione sono riportate anche osservazioni occasionali di singoli individui in inverno
(Brichetti e Fracasso 2006).
Ritenuta in declino a livello europeo e classificata SPEC3 ossia specie con status sfavorevole e
popolazione non concentrata nel continente (BirdLife International 2004), la Tortora non risulta
esposta a particolari pericoli nella Regione; nei territori agricoli può essere sfavorita dalle
monocolture intensive mentre i rischi che possono derivare dai trattamenti antiparassitari delle
colture potrebbero essere attenuati con il diffondersi delle tecniche di lotta biologica; la pressione
venatoria appare attualmente limitata dal calendario venatorio che ha ridotto il periodo utile alla
caccia.

TORTORA DAL COLLARE Streptopelia decaocto


Sedentaria.
Proveniente dalle regioni dell’Asia centro-meridionale, la specie ha colonizzato con una
espansione esplosiva l’Europa dall’inizio del XX secolo. Le prime segnalazioni nell’Emilia-
Romagna risalgono al 1949 e riguardano zone di pianura; da allora si è distribuita
progressivamente su tutta la Regione e la fase espansiva è ancora in atto come dimostra il
confronto fra la Carta del 1999 e la distribuzione attuale. Le tavole occupate sono aumentate di
1/3 passando da 115 a 152 (88,4% del totale), tutte in pratica con indicazione di nidificazione
certa. In pianura sono rimaste 3 tavole scoperte per probabile difetto di informazione, mentre le

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tavole scoperte in montagna sembrano indicare che l’espansione verso monte sia al momento
rallentata da fattori altitudinali.
I primi insediamenti hanno interessato i grandi centri di pianura dove la specie ha trovato
condizioni ottimali ed ha raggiunto densità molto elevate, come a Reggio Emilia con 55,2
cp/kmq per una popolazione cittadina di 1187 coppie (Gustin 2003); nella periferia di Parma è
indicata una densità simile: 25 coppie su 50 ha pari a 50 cp/kmq (Ravasini 1995).
Successivamente ha colonizzato anche centri minori e zone rurali, ed infine le vallate collinari
raggiungendo al momento centri montani posti ad altitudini di 700 m nel Piacentino (Ambrogio
et al. 2001), 800 m nel Parmense e nel Forlivese (Ravasini 1995; Sterna inedito), 920 m nel
Bolognese (Tinarelli et al. 2002).
Sono disponibili due stime di popolazioni locali: per il Parmense la stima di 1500-1600 coppie
(Ravasini 1995) appare oggi certamente anacronistica; quella di 40.000-70.000 coppie nel
Bolognese (Tinarelli et al. 2002) sembra troppo ottimistica in quanto rappresenterebbe il 10% di
tutta la popolazione nazionale valutata in 400.000-600.000 coppie (Brichetti e Fracasso 2006).
Particolari concentrazioni possono verificarsi per scopi alimentari come quella di 2-3000
individui registrata in periodo autunnale in un oleificio da semi presso Faenza (Brichetti e
Fracasso 2006).
Negli ultimi 10 anni per la provincia di Ravenna il trend indica stabilità, per quella di Forlì-
Cesena una fase di aumento (Sterna inedito).
Lo stato di salute della popolazione è dovuta anche all’assenza di particolari minacce per la
specie; i rischi potrebbero derivare da azioni dirette dell’uomo come gli eventuali interventi di
controllo della popolazione per motivi igienico-sanitari e l’attività venatoria (la specie è stata
recentemente inserita fra quelle cacciabili).

STRIGIFORMI

BARBAGIANNI Tyto alba


In parte sedentario, migratore regolare, svernante.
Il confronto fra la distribuzione attuale e la Carta del 1999 sembrerebbe indicare una situazione
di stabilità: vengono riportate 122 tavole (70,9% del totale) di presenza riproduttiva, con 96
tavole di nidificazione certa (55,8%). In realtà la situazione della specie è molto grave, con stato
di declino diffuso; a titolo di esempio si riporta la situazione delle province di Forlì-Cesena e
Ravenna (Sterna inedito) riscontrata in seguito alle nuove ricerche confrontate con i dati degli
atlanti del 1995-97: tenuto come base un reticolo più fine (le sezioni CTR 1:10.000), la

23
distribuzione a Ravenna appare ridotta di oltre il 50% (da 37 sezioni a 17), a Forlì-Cesena la
riduzione è del 22% (da 23 a 18 sezioni). Il confronto fra le due province lascia già intendere
come la situazione in pianura appaia molto più grave rispetto a quella collinare. E’ probabile che
l’andamento, che pure veniva valutato con segni di ripresa negli anni ’90 rispetto alle gravi
perdite determinate dall’inverno rigidissimo del 1985 (Rigacci in Tinarelli et al. 2002), sia al
momento fortemente negativo anche nelle altre province, per le quali non sono disponibili dati
recenti; anche nell’Atlante di Piacenza (Ambrogio et al. 2001) relativo al periodo 1995-2000
viene indicata una forte flessione.
In Italia sono stimate 6.000-13.000 coppie con trend negativo (Brichetti e Fracasso 2006); la
popolazione regionale veniva stimata in qualche centinaia di coppie (Chiavetta 1992), in
particolare circa 100 coppie nel Parmense, con densità di 0,26-0,3 cp/kmq in pianura e 0,24
cp/kmq in collina (Ravasini 1995), 40-80 coppie nel Bolognese (Tinarelli et al. 2002). I migranti
e gli svernanti erano valutati in centinaia o migliaia a seconda degli anni (Chiavetta 1992) a
causa delle forti fluttuazioni; durante la stagione invernale possono verificarsi movimenti erratici
con raggruppamenti nei dormitori, ad esempio di 15 e 12 individui nel Parmense (Ravasini
1995).
Il Barbagianni è in declino a livello europeo, classificato SPEC3 (BirdLife International 2004)
ovvero specie con status di conservazione sfavorevole e popolazione non concentrata in Europa;
nella Lista Rossa italiana (LIPU e WWF 1999) è inserito nelle specie a basso rischio, mentre
nella Lista Rossa regionale (Gustin et al. 2002) è considerato a status indeterminato. Svariati i
rischi che determinano questo quadro; a livello locale possono essere indicati quelli riportati
nell’Atlante di Bologna (Rigacci in Tinarelli et al. 2002)): inverni rigidi e nevosi (eventi forse
non più così importanti negli ultimi anni), perdita dei siti riproduttivi per ristrutturazione di case
abbandonate (7 casi documentati), avvelenamento da rodenticidi (2 casi), collisioni con veicoli
(2 casi) e con linee elettriche (1 caso). Interventi di protezione possono essere attuati con
installazione di cassette-nido nelle zone agrarie, pratica da tempo utilmente applicata in molti
paesi europei (Rabacchi 1999).

ASSIOLO Otus scops


Nidificante estivo, migratore regolare, svernante irregolare.
Dal confronto fra le carte di distribuzione si evidenzia una espansione, con l’aumento del 23%
delle tavole di presenza riproduttiva: da 91 a 112 (65,1% del totale), delle quali 108 (62,8%) con
accertamento della nidificazione. E’ da ritenere tuttavia che la distribuzione sia in realtà più
ampia e che interessi in parte anche quelle aree di Ferrara, Modena e Reggio che risultano

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attualmente scoperte. C’è da considerare al riguardo come la diffusione di tutte le specie
notturne, per i loro stili di vita, venga sottovalutata nelle ricerche ornitologiche; sono indicativi
in merito i risultati ottenuti con le recenti ricerche nelle province romagnole (Sterna inedito)
attraverso la ricerca sistematica dei notturni col metodo del playback: in pratica tutto il reticolo
1:25.000 della porzione orientale della Regione è risultato coperto, con esclusione di alcun tavole
di montagna, probabilmente disertate perché poste oltre i limiti altitudinali della specie (è più
comune nella fascia di bassa e media collina fino ai 600 m di altitudine, localizzata invece nelle
aree di alta collina e di pianura).
Censimenti locali effettuati lungo strade di fondovalle di Bologna, Ravenna, Forlì-Cesena (Asoer
inedito), con richiami registrati ad intervalli di 1 km, hanno consentito di ricavare indici relativi
di densità; singolari concentrazioni sono state rilevate lungo il T.Sillaro (BO) con 13 maschi
cantori in 13 km di tragitto e lungo il T. Borello (FC) con 23 maschi su 12 km.
A livello europeo è una specie con problemi di conservazione, classificata SPEC2 (BirdLife
International 2004) e cioè specie con popolazione concentrata nel continente e con status di
conservazione sfavorevole; in Italia è fra le specie a basso rischio (LIPU e WWF 1999); in
Regione, dove lo status è considerato indeterminato (Gustin et al. 1999), la situazione può
apparire meno critica, con popolazione probabilmente stabile; questa era stimata inferiore alle
500 coppie (Chiavetta 1992), con valori locali di 150 coppie nel Parmense (Ravasini 1995) e di
30-60 coppie nel Bolognese (Tinarelli at al. 2002). Densità di 1,2 cp/kmq sono riferite al Parco
fluviale regionale dello Stirone (Brichetti e Fracasso 2006). La popolazione italiana è valutata in
5.000-11.000 coppie (Brichetti e Fracasso 2006).
Fattori di minaccia sono rappresentati dai mutamenti nelle attività agricole, in particolare per
l’abbattimento di piantate e vecchi alberi cavi, dei quali andrebbe invece stimolato il
mantenimento per favorire le specie che nidificano in cavità arboree; si potrebbe sopperire al
problema con l’apposizione dei nidi artificiali; altra minaccia nelle zone agrarie deriva dall’uso
dei pesticidi. Importanza hanno anche i rischi di impatto con autoveicoli, e l’abbattimento, per il
contenimento dei Corvidi, dei nidi di Gazza che l’Assiolo può riutilizzare per deporre.
Per contro le probabili modificazioni climatiche in atto verso un clima più caldo potrebbero
favorire questa specie tipica di ambiente xerotermico.

GUFO REALE Bubo bubo


Sedentario nidificante e migratore irregolare secondo la Check-list dell’Emilia-Romagna (Bagni
et al.. 2003); i giovani compiono movimenti di dispersione una volta emancipati dai genitori.

25
E’ una specie difficile, ovviamente per le abitudini notturne ma anche per l’habitat frequentato e
il comportamento elusivo per gran parte dell’anno ad eccezione del breve periodo in pieno
inverno in cui le coppie manifestano il comportamento più intensamente territoriale. Il
rilevamento, che essenzialmente si fa al canto, è possibile solo per un tempo limitato intorno al
crepuscolo, prima che le coppie partano per la caccia. Questo comporta che sia possibile
esplorare un solo sito riproduttivo potenziale per ogni sera. Quindi in presenza di popolazioni
estremamente rarefatte come è il caso dell’Emilia-Romagna, lo sforzo di ricerca è molto elevato
e poco remunerativo e non meraviglia che la specie sia scarsamente studiata. Frequenta ambienti
di collina e montagna caratterizzati da ampi spazi aperti scarsamente boscati, a seminativi,
pascoli ed incolti (particolarmente idonea è la fascia dei calanchi) con rupi emergenti sulle quali
o alla base delle quali sceglie una nicchia per nidificare. Sono particolarmente adatti comprensori
come il Contrafforte Pliocenico nel Bolognese o la Vena dei Gessi Romagnoli ove fino agli anni
’80 erano presenti intorno a 5-7 coppie.
La Carta delle Vocazioni del 1999 considerava la possibilità di nidificazione in oltre 20 tavolette:
tuttavia ad eccezione d’alcune aree dove erano stati condotti studi continuativi, in particolare tra
Bologna e la Romagna, i rilevamenti erano per lo più basati su dati aneddotici e dovuti in gran
parte a segnalazione d’individui trovati morti o in evidente difficoltà. Quindi la consistenza
effettiva della popolazione era largamente ignota.
Rispetto ad allora la situazione della specie si è sicuramente aggravata. Estinto nel Bolognese,
dove l’ultima coppia è scomparsa a metà anni ‘90 si è mantenuto per alcuni anni nel basso
Appennino ravennate e forlivese, ove al momento sono noti pochi individui isolati anziché
coppie riproduttive.
La situazione è relativamente migliore nel comprensorio del Parco Nazionale delle Foreste
Casentinesi dove sono presenti due coppie almeno una delle quali si riproduce regolarmente, e si
sono avuti anche recentemente indizi più o meno consistenti di presenza in altri potenziali
territori. In tempi recenti si sono avute osservazioni nel Modenese e nel Reggiano; un individuo
è stato trovato morto nell’Appennino Parmense dove già la presenza era segnalata in 10 tavolette
(Ravasini 1996). La possibilità di conservazione della popolazione regionale, rappresentata nel
migliore dei casi da coppie isolate con densità inferiori a quelle considerate critiche (Glutz von
Blotzeim et al. 1980), a meno di fatti nuovi come ad esempio apporti esterni di individui
provenienti dalle Alpi, è assolutamente ridotta.
In Italia la consistenza della specie è intorno alle 250-340 coppie, con trend negativo in molte
aree peninsulari ma con segni di espansione delle popolazioni dell’arco alpino. Nella Lista Rossa
dell’Emilia-Romagna è considerata specie minacciata di estinzione con popolazione stimata
inferiore a 10 coppie (Gustin et al. 1997).

26
I fattori di minaccia per questa specie sono rappresentati dal disturbo in prossimità del territorio
riproduttivo (arrampicata sportiva, escursionismo, fotografia e birdwatcing) dagli abbattimenti
illegali in periodo venatorio tutt’ora non infrequenti, dalla collisione con cavi aerei di elettrodotti
od altro, dagli investimenti sulle strade. Sono stati documentati casi di individui rimasti
intrappolati in pollai o allevamenti di selvaggina. Avvelenamenti dovuti alla cattura di roditori
che avevano assunto rodenticidi sono stati documentati in alcuni casi e costituiscono
probabilmente un rischio elevato in prossimità di allevamenti e discariche di rifiuti condotte con
criteri moderni.

ALLOCCO Strix aluco


Sedentario, migratore irregolare.
L’acquisizione dei dati dell’Atlante di Piacenza (Ambrogio et al. 2001) ha consentito di coprire
la zona di quella provincia che risultava scoperta nella Carta del 1999; aggiungendo a ciò il
miglioramento della copertura nella parte orientale della provincia di Bologna, il numero delle
tavole complessive passa da 108 a 126 (73,3 % del totale), quello delle tavole certe risulta di 122
(70,9 %).
A parte i cambiamenti riportati sopra, le due carte di distribuzione sono praticamente
sovrapponibili; rimangono vuote tante tavole di pianura coltivata in gran parte del Ferrarese (per
le quali non si dispone ancora di sufficienti informazioni) e del Ravennate, altre lungo l’asta del
Po, e quelle delle zone rivierasche di Forlì-Cesena e Rimini. Sono zone caratterizzate da estese
coltivazioni o da intensa urbanizzazione, con scarse possibilità di insediamento dell’Allocco,
specie tipicamente forestale; ove siano presenti invece formazioni boschive mature, anche la
pianura viene colonizzata da questa specie, come appare nelle tavole corrispondenti al Bosco
della Mesola e alle pinete ravennati. Da notare tuttavia che nelle zone occidentali della pianura
coltivata, da Bologna a Piacenza, viene segnalata una discreta presenza in boschi ripari e parchi
(Ravasini 1995; Giannella e Rabacchi 1992); nel Bolognese in particolare però viene evidenziata
una minore diffusione nella porzione orientale della pianura verso quelle zone di Ferrara e
Ravenna che risultano disertate sulla carta (Tinarelli et al. 2002).
L’Appennino è caratterizzato da una distribuzione continua, dalle zone pedecollinari al crinale.
La stima della popolazione italiana è di 30.000-50.000 coppie (Brichetti e Fracasso 2006), quella
regionale è di oltre 1000 coppie per Chiavetta (1992), valutazione probabilmente difettosa;
localmente vengono indicate 235 coppie nel Parmense (Ravasini 1995), 400-1000 coppie nel
Bolognese (Tinarelli et al. 2002). I più alti valori di densità sono registrati nei boschi maturi: 5,4
cp/kmq alla Mesola (Boldreghini et al. 1987), 1,4-2,7 cp/kmq nei castagneti secolari (Ravasini

27
1995); valori bassi (0,16-0,3 cp/kmq) sono riportati per la pianura coltivata parmense con parchi
e boschi ripari (Ravasini 1995).
La distribuzione praticamente invariata nell’ultimo decennio può far supporre una certa stabilità
della popolazione regionale.
L’habitat forestale rende questa specie meno esposta ai rischi che riguardano in genere tutti i
notturni; in particolare risultano meno frequenti le collisioni con autoveicoli o cavi aerei; negli
ambienti di pianura permane elevato il rischio derivato dall’uso dei rodenticidi.

CIVETTA Athene noctua


In parte sedentaria, migratrice regolare, svernante.
La carta distributiva attuale appare leggermente ampliata rispetto a quella del 1999 con la
migliore copertura nella provincia di Piacenza; sono interessate 152 tavole (88,4% del totale)
contro le 140 di allora, con nidificazione accertata in 144 tavole (83,7%); tali numeri confermano
la capillare distribuzione della specie su tutto il territorio regionale con esclusione di alcune
tavole di crinale dove l’assenza è probabilmente reale, mentre nelle poche tavole scoperte di
pianura l’assenza può essere dovuta a carenza di informazione.
Dal quadro risulta evidente come la Civetta sia la specie dei rapaci notturni più comune in
Regione con una popolazione di alcune migliaia di coppie soggetta peraltro a fluttuazioni
(Chiavetta 1992); localmente sono stimate 300-350 coppie nel Parmense (Ravasini 1995), 500-
1000 nel Bolognese (Tinarelli et al. 2002). In provincia di Parma sono state registrate densità
medie di 0,9 cp/kmq nella pianura intensamente coltivata e valori variabili da 1,8 a 4,1 cp/kmq
nell’alta pianura dove i coltivi si presentano molto diversificati (Ravasini 1995). In Italia sono
stimate 40.000-70.000 coppie (Brichetti e Fracasso 2007).
E’ diffusa in ogni ambiente purchè sufficientemente aperto, in particolare di pianura e di bassa
collina, con limite altitudinale intorno ai 700-800 m; nidifica comunemente anche nei grandi
centri urbani.
A livello europeo viene indicata una fase di declino che ha determinato la classificazione della
specie nella categoria SPEC3 (status di conservazione sfavorevole e popolazione non concentrata
nel continente). E’ probabile che anche in Regione l’agricoltura intensiva e le sue moderne
tecniche (abbattimento di piantate, uso massiccio di pesticidi) abbia determinato in passato una
diminuzione della popolazione; al momento tuttavia la situazione sembra di stabilità, se non di
recupero.
I rischi per la specie derivano, oltre che dalle modificazioni citate nell’attività agricola,
soprattutto dagli impatti con autoveicoli (fra i notturni è la specie più esposta a questo rischio),

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ed anche dalle ristrutturazioni di case rurali e delle loro pertinenze (fienili, stalle) che riducono la
disponibilità di siti riproduttivi; a quest’ultima causa si può sopperire con l’apposizione di
cassette-nido, facilmente utilizzati dalla Civetta.

GUFO COMUNE Asio otus


In parte sedentario, migratore regolare, svernante.
La distribuzione attuale indica un deciso miglioramento della copertura in Regione rispetto alla
Carta del 1999: le tavole di presenza complessiva mostrano un incremento di 1/3 passando da 86
a 116 (67,4% del totale), con indicazione di nidificazione certa in 104 tavole (60,5%).
Questo miglioramento è in buona parte da imputare all’acquisizione di nuovi dati forniti dagli
atlanti di Piacenza (Ambrogio et al. 2001), di Bologna (Tinarelli et al. 2002) e delle ricerche
nelle province romagnole (Sterna inedito); soprattutto in queste ultime una ricerca capillare
dedicata a tutti i notturni ha consentito di coprire i vasti vuoti della precedente carta.
Pur tenendo conto di questo, è opinione diffusa che la specie sia in una fase di vera espansione e
di recupero dopo la crisi degli anni ‘60-‘70 provocata dall’allora legale e incentivata lotta ai
“nocivi” che prevedeva l’abbattimento dei nidi dei Corvidi, pratica che comportava la perdita
delle nidiate dei gufi comuni insediati nei nidi vecchi di Cornacchia o Gazza.
La mancanza di dati aggiornati potrebbe giustificare le vaste zone di pianura ancora scoperte nel
Ferrarese, Modenese e Reggiano, mentre i vuoti nel medio ed alto Appennino potrebbero
derivare da un’assenza reale; la presenza è infatti molto localizzata sopra i 500-600 m s.l.m.
In Italia sono stimate 6.000-12.000 coppie con trend positivo (Brichetti e Fracasso 2006);
l’ultima stima di alcune centinaia di coppie per la popolazione regionale (Chiavetta 1992) appare
riduttiva, considerando le valutazioni di 300-350 coppie nel Parmense (Ravasini 1995) e di 150-
400 coppie nel Bolognese (Tinarelli et al. 2002). Su 450 kmq della bassa ferrarese sono state
censite 85 coppie, con densità media di 0,18 coppie/kmq ed estremi nelle varie zone da 0,06 a
0,35 coppie/ kmq, variazioni che dipendono verosimilmente dalla disponibilità dei nidi di Gazza
(Martelli e Sandri 2005). Nel Parmense, in zone golenali del Po con impianti di pioppeti, sono
state registrate densità di 0,19-0,4 coppie/kmq (Ravasini 1995). Nel periodo invernale la
popolazione viene aumentata dai migratori che svernano soprattutto nella pianura e nella zona
pedecollinare, con contingenti che possono raggiungere le migliaia di individui a seconda degli
anni (Chiavetta 1992); particolari raggruppamenti nei dormitori si possono osservare in questi
periodi: ad esempio 80 individui assieme nella zona di Zibello (PR) (Ravasini 1995).
Fattori di rischio sono rappresentati dall’uso dei rodenticidi, da elettrocuzione e collisioni con
linee aeree, da impatti con autoveicoli, da abbattimenti illegali; in particolare la mortalità dovuta

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alle linee elettriche vede localmente questa specie come la più colpita (Tinarelli e Tirelli 2003).
Il controllo dei nocivi con la pratica di sparare ai nidi dei Corvidi riduce la disponibilità di siti
riproduttivi a questa specie che depone comunemente nei nidi vecchi di Cornacchia.

CAPRIMULGIFORMI

SUCCIACAPRE Caprimulgus europaeus


Nidificante estivo di abitudini crepuscolari e notturne, migratore regolare.
Nella Regione appare presente in 102 tavole (59,3% del totale), 94 delle quali (54,6%) con
indicazione di riproduzione certa.
La distribuzione risulta continua in tutta l’area appenninica dalle zone pedecollinari ad altitudini
elevate: 1050 m riscontrati nel Forlivese (Sterna inedito), 1560 m nel Parmense (Ravasini 1995).
Tutta la pianura risulta disertata ad eccezione delle zone di costa ravennati e ferraresi e della
fascia lungo il Po nel tratto occidentale di Parma e Piacenza.
L’habitat riproduttivo è rappresentato in collina da zone di bosco rado alternate a spazi aperti,
calanchi, incolti cespugliati, coltivi con conduzione agricola tradizionale, in pianura da boschi
litoranei e boschi fluviali, da aree golenali.
In Italia sono stimate 10.000-30.000 coppie (Brichetti e Fracasso 2006); la valutazione della
popolazione è ardua, come per tutti i notturni; nel Bolognese sono stimate 150-300 coppie
(Tinarelli et al. 2002), nel Parmense 220-250 coppie (Ravasini 1995).
Anche le valutazioni sul trend appaiono problematiche; apparenti ampliamenti dell’areale nelle
province romagnole (Sterna inedito) sembrano dovute più ad un miglioramento della ricerca,
effettuata con il metodo dei richiami registrati, che ad un reale aumento distributivo.
La situazione regionale non si presenta tuttavia tanto critica come in Europa nel suo complesso
dove la specie è considerata SPEC2 (BirdLife International 2004) e cioè con una popolazione in
declino e concentrata nel continente; è inserita anche nella Lista Rossa italiana (LIPU e WWF
1999) con il grado di specie a basso rischio ed è citata in quella regionale come specie a status
indeterminato (Gustin et al. 1997)..
I rischi per la specie derivano soprattutto dalla scomparsa degli habitat adatti e dall’uso di
pesticidi; oltre a incentivare i metodi di lotta biologica, nelle zone di pianura sarebbero necessari
interventi di ripristino ambientale per ricostituire isole di naturalità soppresse dalle moderne
tecniche colturali; la presenza lungo la aree costiere e golenali dimostra appunto che la
distribuzione non è limitata da fattori altimetrici ma dalle trasformazioni ambientali.

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CORACIFORMI

MARTIN PESCATORE Alcedo atthis


In Regione la specie è in parte sedentaria, migratrice regolare, svernante.
La distribuzione è ampia e riguarda 114 tavole (66,3% del totale), in 97 delle quali (56,4%) sono
riportate indicazioni di nidificazione certa. E’ strettamente legata agli ambienti acquatici sia per
motivi alimentari che per il reperimento di scarpate sabbiose adatte allo scavo delle gallerie in
cui depone; frequenta quindi fiumi, canali, paludi, cave, vasche di decantazione. E’
maggiormente distribuita nelle zone di pianura e pedecollinari: sotto i 100 m di altitudine ricade
l’80% delle segnalazioni in provincia di Bologna (Tinarelli et al. 2002), oltre il 90% nelle
province di Forlì-Cesena e Ravenna (Sterna inedito); risulta comunque presente anche nella
media collina, con valori massimi registrati a 430 m s.l.m. nel Forlivese (Sterna inedito), 850 m
nel Bolognese (Tinarelli et al. 2002).
La popolazione italiana è stimata in 5.000-10.000 coppie con trend di stabilità; le stime locali
indicano 85-90 coppie nel Parmense (Ravasini 1995) e 200-280 coppie nel Bolognese (Tinarelli
et al. 2002).
A livello europeo il Martin pescatore è inserito nell’elenco SPEC3 (BirdLife International 2004),
cioè specie in declino ma non concentrata nel continente; anche in Regione, dove lo status risulta
indeterminato (Gustin et al. 1997), è ipotizzabile una fase di regresso. Nella provincia di
Ravenna ad esempio, la situazione attuale confrontata con quella del 1995-97 sembra indicare
una forte diminuzione (Volponi inedito).
I fattori di minaccia sono rappresentati principalmente dalle alterazioni degli argini naturali, in
particolare dalla cementificazione delle sponde dei canali, e dalla possibilità di inquinamento
delle acque. Come azioni di salvaguardia sono auspicabili interventi di tutela degli argini dove
sono ubicate le gallerie-nido o di ripristino di pareti artificiali in zone di cava adiacenti i corsi
d’acqua, azioni che interessano anche specie ecologicamente affini (Gruccione, Topino). I
ripristini ambientali con creazione di zone umide nelle zone agricole di pianura possono risultare
fondamentali per il recupero di popolazioni estinte localmente.

GHIANDAIA MARINA Coracias garrulus


Specie migratrice regolare e nidificante irregolare secondo la Check-list dell’Emilia-Romagna
(Bagni et al. 2003); estinta dal 1956 secondo la Lista Rossa regionale (Gustin et al. 1997).

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Specie politipica distribuita in Europa meridionale,Turchia, Nord Africa, Paesi Baltici, Russia ed
Ucraina, Medio Oriente e Nord-Est della Cina. In Europa è presente la sottospecie nominale
garrulus.
Negli ultimi anni nell'areale di nidificazione si è assistito a un marcato declino della specie,
anche in regioni geografiche che ospitavano le popolazioni di maggiore consistenza come la
Turchia e la Russia. E’stata classificata da Birdlife International specie vulnerabile. La
popolazione europea si sarebbe ridotta complessivamente del 30%, in sole tre generazioni (15
anni).
Occupa generalmente aree di pianura o di bassa collina con boschi radi di Quercia e Pini,
mosaici agrari, cespuglieti, aree con bassa vegetazione erbacea o incolti. Nidifica in cavità
naturali presenti in pareti di roccia o alberi cavi ed anche in cavità artificiali, come fori e nicchie
in muri a secco, ruderi, cave e costruzioni rurali. Nella nostra zona diverse nidificazioni
avvengono in cabine monopalo di trasformazione da media a bassa tensione, che recano un foro
ellittico per il passaggio di cavi elettrici, sufficientemente grande da permettere l’accesso della
Ghiandaia marina alla cavità interna.
In Emilia-Romagna ha nidificato fino agli anni '60 nella pianura e lungo il litorale ravennate
(Gellini e Ceccarelli 2000) ma è scomparsa successivamente.
Nel 2003 è stata scoperta una prima coppia nidificante nella pianura ravennate vicino al litorale,
dopo anni di assenza (Plazzi 2006). Nel 2005 oltre alla precedente ancora nidificante, sono state
individuate una coppia in comune di Comacchio, due in Provincia di Bologna, 1-3 coppie in
Provincia di Parma.
Nel 2006 sono state scoperte due nuove coppie lungo il litorale ravennate. Una nidificazione
probabile nel Parmense riguarda il Parco dello Stirone dove si sono osservati adulti con
imbeccata in periodo riproduttivo, senza che sia stato scoperto il nido. Quindi si evidenzia
localmente una controtendenza rispetto al trend generale della popolazione con la comparsa di
più coppie nelle ultime stagioni riproduttive (Bonora 2006). La popolazione nidificante si può
stimare tra 10 e 20 coppie.
Fattori di minaccia per la specie sono rappresentati dalla ridotta disponibilità di
macroinvertebrati in zone ad agricoltura intensiva e dalla mancata reperibilità di cavità naturali
in alberi o artificiali in muri a secco, ruderi, pali di linee elettriche. In particolare la
ristrutturazione di edifici rurali semi abbandonati con conseguente chiusura di cavità utili e
l’obliterazione dei fori di ingresso dei cavi elettrici nelle cabine monopalo può ridurre le
opportunità di nidificazione. Per i motivi accennati in questa prima fase di reinsediamento della
specie è quanto mai opportuna la collocazione di nidi artificiali idonei.

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PICIFORMI

PICCHIO NERO Dryocopus martius


E’ il più grande picchio europeo distribuito in Italia ampiamente sulle Alpi e con piccole
popolazioni isolate nell’Appennino meridionale e centrale: Calabria, Basilicata, Campania,
Abruzzo e Molise. La popolazione italiana è stimata in 1.000-4.000 coppie con trend positivo
(BirdLife International 2004).
Per l’Emilia-Romagna era indicato storicamente nidificante nelle Pinete Ravennati (Ginanni
1774); successivamente viene citato per una cattura del 1889 a Casola Valsenio nel Ravennate
(Zangheri 1938) e per un’osservazione del 1984 nei Boschi di Faeto nel Modenese (Bertarelli
com.pers.).
Dall’anno 2000 risulta regolarmente presente nel versante romagnolo delle Foreste Casentinesi
(Ceccarelli et al. 2003) dove è attualmente presente una piccola popolazione di 3-4 coppie in
probabile espansione (Ceccarelli et al. inedito). I siti territoriali sono distribuiti nella foresta
matura di Abete bianco e Faggio, ad altitudini di 900-1200 m, ed occupano una fascia di foresta
lunga circa 10 km; recenti informazioni indicano un possibile ampliamento dell’areale verso il
versante toscano delle foreste.
Questa nuova presenza riveste notevole importanza biogeografia rappresentando l’unico
insediamento in tutto l’Appennino settentrionale.
Al momento non sussistono gravi rischi per la specie, favorita dal regime di protezione
ambientale vigente nel Parco Nazionale delle Foreste Casentinesi, Monte Falterona e Campigna
ed in particolare nella R. N. I. di Sasso Fratino; la gestione forestale, in particolare la
conservazione in piedi delle piante morte, assicura ampiamente le risorse alimentari e i siti
riproduttivi necessari al mantenimento della piccola popolazione. Come per tutte le specie rare e
prestigiose, dovrebbe tuttavia essere scoraggiata l’attività dei fotografi naturalisti nel periodo
della nidificazione per evitare disturbo durante il ciclo riproduttivo.

PASSERIFORMI

CALANDRELLA Calandrella brachydactyla


Nidificante estiva tipica degli ambienti aperti xerotermici, comune nell’Italia meridionale,
localizzata nelle regioni centrali e settentrionali, migratrice regolare; stimate in Italia 15.000-
30.000 coppie con trend negativo (BirdLife International 2004).

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La distribuzione regionale è frammentaria ed interessa 24 tavole (14% del totale) tutte con
indicazione certa. Appare più diffusa nelle province centrali ed occidentali da Bologna a
Piacenza dove frequenta i greti ciottolosi e sabbiosi con rada vegetazione xerofila dei fiumi; dal
Panaro al Trebbia, nei loro tratti di alta pianura e bassa collina, tutti i fiumi risultano occupati
(Ambrogio et al. 2001; Ravasini 1995; Giannella e Rabacchi 1992); non sono note invece
presenze nell’Appennino romagnolo. Nelle province orientali è presente nelle zone di pianura
ferraresi e ravennati dove frequenta le zone vallive e la campagna adiacente; in questo caso
l’habitat è situato negli incolti e nelle coltivazioni con seminativi a sviluppo tardivo; altre isolate
presenze in pianura sono riportate nel Bolognese lungo l’asta del Reno nei coltivi di soia, mais,
barbabietole (Tinarelli et al. 2002).
Per il Parmense la stima della popolazione è di 110 coppie con le densità più elevate (2cp/kmq)
lungo il Taro (Ravasini 1995). Lo status regionale risulta indeterminato (Gustin et al. 1997) a
causa delle difficoltà di individuare coppie molto localizzate in vaste aree potenzialmente
idonee; è probabile tuttavia che il trend sia negativo almeno nella porzione orientale; nel
Forlivese e nel Riminese ad esempio negli ultimi 20 anni è segnalata una riduzione dell’areale: le
presenze note negli anni ’80 in zone litoranee e lungo il Marecchia (Foschi e Gellini 1987) non
sono attualmente confermate (Sterna inedito); nel Ravennate la presenza rimane estremamente
localizzata lungo il Reno, nell’Ortazzo e nei campi adiacenti alla Salina di Cervia (Borghesi
inedito).
La Calandrella è del resto in declino a livello europeo, classificata SPEC3 (BirdLife International
2004) cioè con status sfavorevole e popolazione non concentrata nel continente.
Localmente le minacce possono derivare dal disturbo delle attività umane nelle zone delle golene
fluviali e litoranee (coltivazioni, escavazioni, pascolo, traffico dei fuoristrada, presenza dei cani,
tutte attività che andrebbero regolamentate nel periodo riproduttivo), nonchè dall’uso dei
pesticidi nelle coltivazioni.

TOTTAVILLA Lullula arborea


Specie con popolazioni parzialmente sedentarie, migratrice regolare, svernante parziale; tipica di
ambienti aperti collinari e montani.
La distribuzione regionale copre tutto l’Appennino (con qualche vuoto nel Riminese e nel
Modenese-Reggiano) e interessa 76 tavole (44,2% del totale), quasi tutte (75) con indicazione di
riproduzione certa. L’intervallo altitudinale va dalle zone pedecollinari, con valori minimi di 150
m s.l.m., al crinale con massimo di 1600 m nel Bolognese (Tinarelli et al. 2002); le densità più

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alte ricadono tuttavia nell’intervallo di 300-800 m. L’habitat è quello dei prati, pascoli, incolti,
aree erbacee ai margini dei boschi, radure.
In Italia sono stimate 50.000-100.000 coppie con trend di stabilità (BirdLife International 2004);
le stime locali di popolazione indicano 600-650 coppie in provincia di Parma (Ravasini 1995),
400-1000 coppie in quella di Bologna (Tinarelli et al. 2002). Il trend sembra al momento di
stabilità, come confermato dalle recenti ricerche nelle province romagnole che indicano, per
l’ultimo decennio, una situazione stabile nel Forlivese, addirittura un aumento nel Ravennate
(Sterna inedito).
Questo contesto appare in controtendenza rispetto a quanto rilevato a livello europeo dove lo
status sfavorevole della popolazione, concentrata nel continente, ha determinato per la specie la
classificazione di SPEC2 (BirdLife International 2004).
In effetti, nell’ambito regionale, la Tottavilla non ha subito il tracollo che ha colpito gran parte
delle specie ecologicamente simili, in particolare l’Allodola; la riduzione delle aree aperte
collinari, conseguente all’abbandono di attività pastorali ed agricole, non pare ancora influire in
maniera così negativa sulle popolazioni della Tottavilla; il suo adattamento a spazi aperti anche
molto ridotti e la tolleranza per elementi alberati e arbusti sparsi può sopperire al momento alla
progressiva perdita di habitat determinata dalla fase di rimboschimento spontaneo; certamente la
situazione è destinata ad aggravarsi a lungo termine ed in questa prospettiva sono importanti gli
interventi gestionali tesi a conservare e mantenere le zone aperte collinari per favorire tutte le
specie rare e minacciate ospitate da questi ambienti (Tellini 1998).

CALANDRO Anthus campestris


Nidificante estivo e migratore, tipico di ambienti aperti xerotermici con vegetazione scarsa come
calanchi, pietraie, garighe, pascoli degradati, terreni di cava, greti secchi e pietrosi di corsi
d’acqua. In Italia sono stimate 15.000-40.000 coppie con trend negativo (BirdLife International
2004).
La carta distributiva mostra 49 tavole occupate (28,5% del totale) delle quali 47 (27,3%) con
indicazione certa di nidificazione, ed un areale limitato alle zone collinari e montane. La
distribuzione appare concentrata e quasi continua nei settori centrale e occidentale, da Bologna a
Piacenza; i vuoti che appaiono nelle province di Reggio e Modena sono probabilmente dovuti a
carenza di informazioni; molto localizzata invece la presenza in Romagna, dove le lacune vanno
ascritte a reali assenze.

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L’intervallo altitudinale va dai 100 m delle aree pedecollinari alle zone montane, con massime
altitudini di 950 m (BO), 1050 m (FC), 1300 m (PC), 1350 m (PR); per la pianura non vi sono
segnalazioni neppure in aree potenzialmente adatte come zone incolte o dune costiere.
Le popolazioni locali sono stimate in 120-150 coppie nel Parmense (Ravasini 1995) e 100-200
coppie nel Bolognese (Tinarelli et al. 2002), mentre è molto più scarsa la presenza nelle province
romagnole dove viene valutata in alcune decine di coppie (Gellini e Ceccarelli 2000) e sono
attualmente noti solo 6 siti riproduttivi (Sterna inedito).
Nel complesso lo status, considerato indeterminato nella Lista Rossa regionale (Gustin et
al.1997), sembra mostrare una relativa stabilità o un contenuto regresso.
A livello europeo viene indicata una situazione di declino per la specie, inserita nella categoria
SPEC3, ossia a status sfavorevole e popolazione non concentrata in Europa (BirdLife
International 2004).
Le minacce possono derivare dalla perdita di habitat adatti a causa di trasformazioni ambientali
per l’apertura di cave o per il rimboschimento spontaneo o artificiale degli ambienti aperti
collinari.

FORAPAGLIE CASTAGNOLO Acrocephalus melanopogon


In Italia è specie parzialmente sedentaria, rara e localizzata, distribuita in sole 4 regioni: Toscana,
Emilia-Romagna, Umbria e Puglia; l’habitat è rappresentato da zone d’acqua dolce con
alternanza di vegetazione elofitica (fragmiteti, tifeti, falascheti) e acque libere. Stimate 600-1.000
coppie in Italia con trend negativo (BirdLife International 2004).
Per gli anni 1996-2000 esiste una valutazione dettagliata della popolazione regionale
(Quaglierini 2001); in totale erano stimate 57-89 coppie (circa 8% della popolazione italiana),
distribuite nelle province di Ravenna, Ferrara e Bologna. Nel Ravennate il sito riproduttivo più
importante era Valle Mandriole con 30-40 coppie nel 1999-2000, in diminuzione rispetto alle 60-
80 coppie stimate nel 1997 (Costa in Gellini e Ceccarelli 2000); altri siti minori a Punte Alberete,
Bardello, Volta Scirocco. Nel Ferrarese erano citati Campotto-Valle Santa, Valle Umana, Valle
di Gorino, mentre nel Bolognese erano citati Vallazza di Molinella e Cassa del Quadrone.
Tranne Mandriole, in tutti i siti la popolazione era stimata da 2 a max 8 coppie. Nello stesso
periodo per il Bolognese la stima complessiva era di 20 coppie (Tinarelli et al. 2002).
Nella carta sono rappresentate 8 tavole; 6 corrispondono all’ubicazione dei siti riportati sopra, 2
ad altre zone del Bolognese con osservazioni di maschi in canto (Tinarelli et al. 2002). L’areale
regionale si presenta pertanto circoscritto e limitato ad alcune zone della pianura orientale.

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Va detto che per Bologna e Ferrara non sono disponibili informazioni più recenti, mentre per
Ravenna è stata riscontrata negli ultimi anni una forte diminuzione della popolazione che appare
ridotta a 10-15 coppie (Costa inedito) dalle 60-80 degli anni ’90. In particolare si è verificato il
drastico abbandono di Valle Mandriole a causa della scomparsa dei folti canneti misti, provocata
dalla crescente salinità dell’acqua della valle, deleteria per le piante palustri d’acqua dolce;
questa situazione ha probabilmente determinato la parziale colonizzazione di altre zone vicine
(Risarina, Volta Scirocco). Altri piccoli insediamenti di 1-2 coppie, nelle vasche dello
zuccherificio di Mezzano (Costa 1995) e in un canale interno della pianura lughese (Costa in
Gellini e Ceccarelli 2000), non sono stati confermati.
L’aumento del contenuto salino delle acque è uno dei fattori di minaccia più gravi, almeno per i
siti in vicinanza del mare; altri rischi possono derivare dalla riduzione dei canneti per falciatura o
incendio e da sfavorevole gestione dei livelli dell’acqua, operazioni queste negative anche per
altre specie acquatiche e che vanno evitate nel periodo riproduttivo.
La specie rientra fra le specie vulnerabili nella Lista Rossa italiana (LIPU e WWF 1999) ed è
definita a status indeterminato nella Lista Rossa regionale (Gustin et al. 1997).

BIGIA PADOVANA Sylvia nisoria


Specie nidificante estiva, la cui distribuzione in Italia (Meschini e Frugis 1993) risultava limitata
negli anni ’80 essenzialmente alla Pianura Padana settentrionale, con localizzate presenze in aree
prealpine e in Emilia-Romagna. In Italia stimate 1.000-2.000 coppie (BirdLife International
2004).
Nella Regione la nidificazione è sempre stata rara; in Romagna, nella prima metà del ‘900, era
considerata scarsissima (Brandolini 1961) o eccezionale (Zangheri 1938); nel Parmense poco
comune e molto localizzata (Tornielli 1982).
Nella carta figurano 9 tavole occupate (5,2 del totale); l’accertamento riproduttivo riguarda 8
tavole ed è riferito ad informazioni ormai datate (dal 1985 al 1997).
In quel periodo sono riportati i seguenti casi di nidificazione: nel Parmense 2 nidi nel 1989 in
aree golenali del Po (Ravasini 1995); nel Modenese 2-6 coppie nel 1991-92 lungo il tratto di alta
pianura del Panaro (Giannella et al. 1996); nel Forlivese una piccola colonia trovata nel 1976 a
Magliano, nei meandri del Fiume Ronco (Pazzucconi 1977) risultava ancora in parte presente nel
1997 (Gellini e Ceccarelli 2000); un’altra coppia nel 1984 lungo il Fiume Montone, nei dintorni
di Forlì (Foschi e Gellini 1987); nel Ravennate una coppia nel 1996 in zona agricola presso
Conselice (Gellini e Ceccarelli 2000); nel basso Ferrarese una coppia nel 1976 (Pazzucconi
1977), non cartografata per assenza di riferimenti topografici sufficienti. La presenza riproduttiva

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è inoltre segnalata nel SIC riminese del F. Marecchia (Tinarelli 2005). In gran parte dei casi
l’habitat è rappresentato da ambienti golenali con boschi riparali accompagnati da ricca
copertura arbustiva.
Per le province occidentali non si dispone di una situazione aggiornata, mentre nelle province
romagnole la presenza della specie non è stata verificata negli ultimi anni (Sterna inedito),
circostanza che lascia supporre l’estinzione nella parte orientale della Regione.
Nella Lista Rossa italiana è fra le specie a basso rischio (LIPU e WWF 1999), in quella regionale
viene elencata fra le specie rare con una popolazione stimata in 30-50 coppie (Gustin et al.
1997), valutazione probabilmente oggi ottimistica.
La permanenza della specie come nidificante in Emilia-Romagna, pur tenendo presente che lo
status non è aggiornato, appare al momento critica; va ricordato peraltro che la nostra Regione
rappresenta un territorio marginale rispetto all’areale europeo che interessa principalmente le
zone centrali ed orientali del continente.
Il fattore di minaccia principale può derivare appunto da questa situazione di marginalità che
rende di per se vulnerabile la specie; localmente i rischi possono derivare dalle alterazioni
dell’ambiente fluviale, dall’abbattimento delle siepi e dall’uso dei pesticidi.

BALIA DAL COLLARE Ficedula albicollis


Specie nidificante estiva a distribuzione molto frammentaria e localizzata in Italia; l’Atlante
italiano degli anni ’80 (Meschini e Frugis 1993) evidenziava i nuclei principali nell’Appennino
centrale (Abruzzo, Molise) e meridionale (Calabria), altre piccole colonie nell’Appennino
settentrionale (Romagna, Liguria), nelle Alpi centrali (Val d’Aosta e Comasco), in Basilicata e
Gargano. In ogni caso l’habitat era costituito da boschi maturi collinari o montani.
Stimate in Italia 2.000-4.000 coppie con trend di stabilità (BirdLife International 2004).
La carta di distribuzione regionale rappresenta la situazione nota in base agli ultimi dati
disponibili riferiti al periodo 1985-2000: le tavole con indicazione di presenza riproduttiva sono
12 (7% del totale), 10 delle quali con accertamento della nidificazione.
Queste nel dettaglio le informazioni: nel Parmense (Ravasini 1995) 7 nidificazioni nel 1989,
altre 2 nel 1990, tutte in castagneti secolari ad altitudini comprese fra 700 e 950 m; nel
Modenese (Giannella e Rabacchi 1992) una coppia nidificante ai margini di un bosco di
latifoglie e conifere a 1200 m sul Monte Nuda; nel Forlivese (Foschi e Gellini 1987) una coppia
nidificante dal 1986 al 1990 (Gellini e Ceccarelli 2000) nell’abetina di Campigna a 1300 m.
Un’altra segnalazione, di eventuale nidificazione per l’osservazione di un maschio in canto in un

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castagneto montano, proviene dal Piacentino (Ambrogio et al. 2002). La presenza riproduttiva è
inoltre segnalata nella ZPS M. Rondinaio-M. Giovo nel Modenese (Tinarelli 2005).
Per la coppia del Forlivese va segnalata la particolare ubicazione del sito riproduttivo, posto in
un’abetina matura, situazione insolita per una specie considerata tipicamente legata ai boschi di
latifoglie; sempre in quel sito era stato peraltro segnalato un precedente caso di nidificazione nel
1941 (Foschi 1986).
La popolazione regionale, sulla cui stabilità non esistono conferme recenti, poteva essere
valutata a fine ‘900 in 10-15 coppie; va tenuto presente tuttavia che l’esiguità della popolazione e
l’estrema localizzazione dei siti rendono problematico il reperimento delle coppie. La specie è
sempre risultata comunque rara anche in tempi storici.
Qualsiasi considerazione protezionistica e gestionale è subordinata ad una migliore conoscenza
dello status che è dichiarato indeterminato in Regione (Gustin et al. 1997); il mantenimento dei
boschi maturi, in particolare i castagneti secolari, pare comunque una misura estremamente
favorevole alla conservazione di questa e tante altre specie nidificanti in cavità arboree.

AVERLA PICCOLA Lanius collurio


E’ specie nidificante estiva, migratrice regolare.
Ampiamente distribuita nella regione con 149 tavole occupate (86,7% del totale); di queste 144
(83,7%) indicano certezza di nidificazione. I vuoti che appaiono nel Ferrarese e nel Reggiano
sono dovuti indubbiamente alla mancata disponibilità degli atlanti delle due province. L’ampia
distribuzione non deve però trarre in inganno perché l’Averla piccola è in grave declino in tutta
la Regione; considerata molto comune in tempi storici, la specie ha iniziato una fase regressiva
già a partire dalla metà del ‘900. Brandolini (1961) e Foschi (1986) ad esempio ne denunciano
una forte riduzione nelle campagne romagnole. Più recentemente il declino viene dichiarato in
tutti gli atlanti provinciali: nel Piacentino (Ambrogio et al. 2001), nel Parmense (Ravasini 1995),
nel Bolognese (Tinarelli et al. 2002); in entrambe le province di Forlì-Cesena e Ravenna le
popolazioni risultano pressoché dimezzate nell’ultimo decennio (Sterna inedito).
Anche a livello europeo viene indicato uno stato di sofferenza con la definizione di SPEC3,
indice di status sfavorevole con popolazione non concentrata nel continente (BirdLife
International 2004).
La popolazione italiana è stimata in 50.000-120.000 coppie con trend negativo (BirdLife
International 2004), quella regionale in 2.800-3.700 coppie con trend in diminuzione (Marchesi e
Tinarelli 2007). Stime locali indicano 500-550 coppie nel Parmense (Ravasini 1995) e 300-400
coppie nel Bolognese (Tinarelli et al. 2002).

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Le densità sono maggiori nelle fasce di pianura e prima collina, poi decrescono lungo il
gradiente altitudinale, con localizzate presenze riscontrate anche ad elevate altitudini: 1500 m
nella provincia di Bologna (Tinarelli et al. 2002), 1300 m a Parma (Ravasini 1995), 1150 m a
Forlì-Cesena (Sterna inedito).
L’habitat è costituito da ambienti aperti di vario tipo: pascoli e incolti con presenza di arbusti ed
alberi isolati, seminativi con siepi e filari alberati, frutteti.
I principali fattori di minaccia per la specie sono individuabili soprattutto nelle moderne tecniche
agrarie che hanno determinato nel recente passato l’abbattimento di ogni spazio naturale residuo
nell’ambiente agricolo (siepi, filari e boschetti, tare agricole); sono da incentivare in merito
interventi di ripristino agroambientale per salvaguardare e ricostituire questi spazi verdi. A ciò va
aggiunto l’uso pesante dei pesticidi che potrebbe vedersi ridotto con il diffondersi dei metodi di
lotta biologica. In collina l’abbandono di gran parte dei pascoli determina la perdita di aree
aperte per il progressivo imboschimento naturale (al riguardo sono auspicabili interventi di
pulizia e conservazione di queste aree). Altri fattori, difficilmente valutabili, possono dipendere
da problematiche riguardanti le zone di svernamento africane.

AVERLA CENERINA Lanius minor


Nidificante estiva, migratrice; in Italia sono stimate 1.000-2.500 coppie (BirdLife International
2004).
Le notizie storiche la davano molto comune nella pianura e collina modenese (Doderlein 1869;
Picaglia 1888), comune nel Parmense e nel Piacentino (Tornielli 1954); nella Romagna era
dichiarata “poco comune” (Imparati 1934), “frequente, non è comunissima” (Zangheri 1938).
Attualmente in Emilia-Romagna è considerata altamente vulnerabile con popolazione stimata in
20-50 coppie alla fine del secolo scorso (Gustin et al. 1997). Lo stato di grave declino riguarda
peraltro anche tutto il territorio nazionale ed europeo; nella Lista Rossa italiana (LIPU e WWF
1999) è inserita fra le specie in pericolo e nell’Europa è classificata SPEC2, ovvero con status
sfavorevole e popolazione concentrata nel continente (BirdLife International 2004).
La carta di distribuzione regionale mostra 19 tavole occupate (11% del totale), ma va precisato
che si tratta ormai in gran parte di dati della fine del ‘900 per i quali non si dispone di conferme
più recenti; inoltre sono solo 11 le tavole con riproduzione accertata; le altre 8 tavole di
eventualità sono verosimilmente da attribuire alla presenza di individui in migrazione tardiva e
non nidificanti.
L’accertamento riguarda nei particolari: circa 24 nidificazioni riportate nel Parmense tutte in
zone di pianura, con l’ultimo dato del 1995 e una popolazione stimata in 14-17 coppie (Ravasini

40
1995); 2 nidificazioni nella pianura piacentina (Ambrogio et al. 2001); 3 coppie nidificanti
(1988) nella pianura modenese (Giannella e Rabacchi 1992); 3-5 coppie nella pianura bolognese
(Tinarelli et al. 2002).
Nel settore romagnolo, negli anni ’80, venivano indicati rari casi di riproduzione nei pressi delle
coste e pinete ravennati, mentre per il Forlivese veniva indicata solo l’eventualità della
nidificazione (Foschi e Gellini 1987); nell’atlante del 1995-97 (Gellini e Ceccarelli 2000) non
sono indicate presenze riproduttive in tutta la Romagna; l’unica segnalazione recente è riferita ad
una piccola colonia di 2-3 coppie ai margini di una cava nel Ravennate (Magnani inedito).
Per il Ferrarese è segnalata una nidificazione eventuale nel 2005 in Valle Pega (Borghesi
inedito).
L’habitat comune a tutte le segnalazioni è un ambiente di pianura aperto, con coltivazioni
diversificate, prevalentemente erbacee, ma con presenza vincolante di piante mature isolate,
alberi tutori delle viti, pali e linee aeree.
E’ problematico individuare le cause del declino; fra le concause (Gustin et al. 1997) sono
indicate: uso dei pesticidi e sostanze chimiche, meccanizzazione ed agricoltura intensiva,
riduzione delle siepi, problematiche legate alla siccità nei quartieri africani di svernamento, oltre
a cause sconosciute.
Gli interventi gestionali proponibili sono in pratica gli stessi indicati per l’Averla piccola e cioè
la salvaguardia e il ripristino di spazi naturali nell’ambiente agricolo, il mantenimento di aree
aperte nei pascoli abbandonati.

GHIANDAIA Garrulus glandarius


In parte sedentaria, migratrice regolare, svernante.
Rispetto alla Carta del 1999 la distribuzione attuale mostra un forte ampliamento interessando
148 tavole (86% del totale) rispetto alle 105 di allora (+41%), tutte in pratica con nidificazione
accertata. L’ampliamento è dovuto in parte ad un recupero di dati per la provincia di Piacenza
(Ambrogio et al. 2001) che appariva allora carente di informazioni, ma soprattutto ad una reale
espansione verso le zone di pianura riscontrata nel Bolognese (Tinarelli et al. 2002), nelle
province romagnole, in parte del Reggiano (Gustin 2003) e nella parte costiera del Ferrarese
(Sterna inedito). E’ probabile che la disponibilità di informazioni aggiornate possano confermare
per il resto del Reggiano ed il Modenese la fase di espansione anche verso quelle pianure.
Questa evoluzione riguarda l’ultimo decennio; prima di allora la pianura risultava occupata solo
nel Parmense e nel Piacentino, in particolare nei boschi golenali lungo il Po, ma anche in aree di

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campagna con siepi arboree ed in parchi cittadini; è indicata la presenza anche nelle città di
Piacenza e Parma, in quest’ultima con 30-45 coppie (Ravasini 1995).
Anche quantitativamente il fenomeno risulta importante; ad esempio nelle province di Forlì-
Cesena e Ravenna gli indici di densità relativa sono oggi raddoppiati rispetto al periodo 1995-97
(Sterna inedito). Altri centri capoluoghi sono attualmente frequentati: Reggio (Gustin 2003),
Bologna (Tinarelli et al. 2002) e Forlì (Ceccarelli et al. 2006); le vie di penetrazione verso città e
pianura sono rappresentate dai corsi fluviali e dai loro boschi ripariali.
Per l’Appennino si conferma la presenza su tutto il territorio fino alle altitudini massime, con
occupazione in pratica di ogni tipo di formazione boschiva.
La popolazione italiana è stimata in 200.000-400.000 coppie con trend positivo (BirdLife
International 2004); le stime locali delle popolazioni indicano 9.000-9.500 coppie nel Parmense
(Ravasini 1995), 10.000-20.000 coppie nel Bolognese (Tinarelli et al. 2002); per il Parmense
sono riportati anche valori di densità lungo il gradiente altitudinale: 1,42 cp/kmq in pianura, 3,89
cp/kmq in collina, 5,18 cp/kmq in montagna, con valore medio provinciale di 3,49 cp/kmq
(Ravasini 1995).
Lo status favorevole è consentito anche dalla mancanza di particolari minacce per la specie.

GAZZA Pica pica


Sedentaria, migratrice irregolare.
La distribuzione già ampia nella Carta del 1999 (133 tavole) è aumentata ulteriormente fino a
coprire quasi tutto il territorio regionale (158 tavole pari al 91,9% del totale, delle quali 152 con
accertamento riproduttivo). Sono rimaste scoperte 4 tavole marginali lungo il Po, per probabile
carenza di informazione, e 10 tavole lungo il crinale che possono essere veramente disertate
perché il limite altitudinale alla diffusione della Gazza è in genere intorno agli 800 m s.l.m.
Più che l’ampliamento dell’areale, è da rimarcare un aumento molto forte della popolazione;
nelle province romagnole ad esempio, per le quali era già indicata una fase di ripresa negli anni
’90 dopo la persecuzione subita nei decenni precedenti a causa della lotta ai nocivi (Gellini e
Ceccarelli 2000), è attualmente in atto un’esplosione demografica; gli indici di densità relativa
negli ultimi anni (2004-2006) sono più che raddoppiati rispetto a quelli del 1995-97: per
Ravenna un aumento del 161%, per Forlì-Cesena del 121% (Sterna inedito). I valori più alti nel
Ravennate, prevalentemente pianeggiante, sembrano indicare un aumento più sostenuto nelle
zone di pianura rispetto alla collina prevalente nel Forlivese.
Una fase di espansione viene genericamente indicata anche negli atlanti di Bologna, Modena e
Piacenza.

42
A favorire il fenomeno è naturalmente l’opportunismo della Gazza, in grado di utilizzare le
maggiori disponibilità alimentari conseguenti ad attività umane come gli allevamenti e le
discariche; a ciò va aggiunta la ridotta persecuzione umana diretta.
E’ più comune in pianura e nelle zone pedecollinari; la densità si riduce lungo il gradiente
altitudinale con sporadiche presenze anche a quote elevate: 800 m nel Bolognese (Tinarelli et al.
2002), 1131 m nel Parmense (Ravasini 1995), 950 m nel Forlivese (Gellini e Ceccarelli 2000).
La specie è insediata anche all’interno delle città: a Parma (Ravasini 1995) e a Forlì (Ceccarelli
et al. 2006).
In Italia sono stimate 200.000-500.000 coppie con trend positivo (BirdLife International 2004).
La popolazione nel Bolognese è stimata in 1500-2500 coppie (Tinarelli et al. 2002), nel
Parmense in 5500-6000 coppie (Ravasini 1995); i dati sembrano mostrare maggiori densità verso
l’area occidentale della Regione.
L’assenza di particolari minacce per la specie è uno dei fattori che ne favorisce l’espansione. Va
ricordato che questa, come le altre specie dell’ordine, è un attivo predatore di uova e pulli nei
nidi degli altri uccelli; questa propensione, accompagnata dall’aumento dei contingenti, può
creare una richiesta di controllo della popolazione, soprattutto dall’ambiente venatorio che vede
in maniera generalizzata nella attività predatrice dei Corvidi una causa importante di riduzione
della selvaggina.

TACCOLA Corvus monedula


In parte sedentaria, migratrice regolare, svernante.
L’insediamento della Taccola come nidificante regolare in Emilia-Romagna è recente risalendo
alla seconda metà del ‘900: nel 1961 sono state segnalate colonie nell’Appennino forlivese
(Foschi 1986), nel 1965 in quello ravennate (Toschi 1967), nel 1973 in quello parmense
(Tornielli 1979); successivamente è stato registrato l’insediamento anche nelle principali città: a
Bologna nel 1966 (Toschi 1967), a Forlì nel 1975 (Foschi 1986), a Parma nel 1979 (Tornielli
1979), a Ravenna nel 1981 (Ortali 1981), a Modena sul finire degli anni ‘70 (Fraissinet 1989).
Si è trattato quindi di una progressiva espansione che ormai interessa tutta la Regione; la
distribuzione attuale riguarda 105 tavole (61% del totale) delle quali 85 con indicazione certa di
riproduzione; nella Carta del 1999 le tavole complessive erano 82. L’aumento, più che ad una
fase di espansione ancora in corso, va forse ascritto ad una più puntuale segnalazione delle
colonie in particolare nel Piacentino e nel Bolognese. Nel settore orientale, dal confronto fra
l’Atlante di Forlì-Cesena e Ravenna del 1995-97 (Gellini e Ceccarelli 2000) e le ricerche recenti

43
(2004-2006), appare una situazione di stabilità (Sterna inedito); in particolare non sono evidenti
nuovi insediamenti in tutta l’area della pianura intensamente coltivata.
Certamente per la specie non sono in atto nell’ultimo decennio notevoli incrementi quantitativi
come quelli segnalati invece per altri Corvidi (Ghiandaia e Gazza).
La popolazione italiana è considerata stabile con 50.000-100.000 coppie (BirdLife International
2004). Localmente sono valutate 1500-2000 coppie in provincia di Bologna (Tinarelli et al.
2002), 322-340 coppie nel 1994 in quella di Parma, in aumento rispetto alle 168-202 coppie del
1991 (Ravasini 1995).
E’ da segnalare l’importante dormitorio nell’Oasi di Magliano (FC) dove negli ultimi inverni si
sono radunati regolarmente 1000-2000 individui (Foschi inedito).
I siti riproduttivi sono rappresentati dalle cavità naturali nelle pareti rocciose, ma ancor più da
quelle artificiali nei manufatti umani: edifici storici, case rurali abbandonate, ponti e viadotti.
Proprio la ridotta disponibilità dei siti artificiali dovuta ad interventi di restauro degli edifici
monumentali (con la chiusura dei fori per i ponteggi allo scopo di allontanare le colonie di
piccioni), oppure al recupero delle case abbandonate, rappresenta al momento l’unico rischio
potenziale per la specie. Viene segnalata anche una possibile limitazione causata dall’espansione
del Pellegrino che può allontanare le colonie rupicole dai siti naturali (Tinarelli et al. 2002).
L’insediamento della Taccola nelle città poteva far pensare ad una conflittualità nei riguardi dei
piccioni; in realtà, pur esercitando un’attività di predazione dei nidi di questi ultimi, la presenza
della taccole non rappresenta un fattore limitante importante per la popolazione dei piccioni,
anche perché in genere le colonie cittadine delle taccole sono di modesta entità.

CORNACCHIA GRIGIA Corvus corone cornix


In parte sedentaria, migratrice regolare, svernante.
Le informazioni fornite dagli ultimi atlanti provinciali hanno consentito di estendere in pratica la
copertura a tutto il territorio della Regione; sono 168 le tavole occupate (97,7% del totale)
aumentate rispetto alle 154 della Carta del 1999, 159 sono quelle con riproduzione accertata;
nelle 4 tavole scoperte l’assenza non è probabilmente reale ma dovuta a carenza di informazione.
Specie ecologicamente molto versatile, occupa tutti gli ambienti disponibili con la sola presenza
vincolante di boschi radi o alberi sparsi necessari per la costruzione del nido (pioppeti coltivati,
boschi fluviali, coltivi e pascoli alberati, parchi) mentre evita le grandi formazioni forestali; il
limite altitudinale è in genere posto intorno a 800-900 m, ma non mancano segnalazioni a quote
più alte ad esempio ai 1175 m nel Forlivese (Sterna inedito).

44
La popolazione italiana è stimata in 110.000-520.000 coppie con trend di stabilità (BirdLife
International 2004). Nel Parmense sono stimate 9-10.000 coppie riproduttive (Ravasini 1995); va
tenuto presente al riguardo che la popolazione complessiva è composta anche da molti immaturi
e adulti non impegnati in attività riproduttiva; nel Bolognese la stima delle coppie è di 1000-
2000 (Tinarelli et al. 2000). La sproporzione fra le due stime potrebbe indicare una maggiore
diffusione nell’area occidentale della Regione e in particolare nelle zone contigue al Po; infatti i
pioppeti nelle aree golenali rappresentano un habitat estremamente favorevole con densità di 5-
11 coppie/kmq registrate nel tratto lungo la provincia di Parma (Ravasini 1995).
Nelle province romagnole il trend della popolazione risulta stabile nell’ultimo decennio (Sterna
inedito).
Per la Cornacchia non esistono attualmente fattori di rischio particolari, anzi è favorita da
importanti fonti alimentari procurate indirettamente dall’uomo con le discariche e gli
allevamenti. Come per la Gazza, e ancor più di questa, la propensione a predare uova e pulli di
altri uccelli può costituire motivo di richiesta di controllo della popolazione, in particolare
dall’ambiente venatorio.

ORTOLANO Emberiza hortulana


E’ un tipico nidificante estivo delle zone aperte, migratore regolare.
Le tavole con indicazioni di presenza, tutte certe, sono 63 (pari al 36,6% del totale) distribuite
prevalentemente lungo tutta la fascia bassa e medio-collinare, con interruzioni nei settori
reggiano e modenese che vanno ascritte verosimilmente ad assenza di informazioni da quelle
zone. La maggior parte delle segnalazione ricade fra 100 e 300 m di altitudine, con rari casi più a
monte riportati negli atlanti provinciali: 700 m nel Modenese, 750 nel Forlivese, 800 nel
Bolognese, fino a 1000 nel Piacentino e 1200 nel Parmense.
Rare e localizzate le presenze in pianura, limitate alle aree umide o alle zone erbacee adiacenti:
nel Ravennate la Salina di Cervia e le zone a nord di Ravenna, nel Ferrarese le Valli di Argenta e
la bonifica del Mezzano, nel Bolognese le pianure di Malalbergo, Medicina e Molinella.
L’habitat è costituito da ambienti aperti e soleggiati con vegetazione arida o di tipo steppico, con
copertura arbustiva rada ed alberi isolati: in pianura le residue zone a vegetazione naturale in
prossimità di biotopi umidi, in collina i calanchi, gli incolti sterili, i pascoli degradati, le garighe.
La popolazione italiana è stimata in 4.000-16.000 coppie (BirdLife International 2004), quella
regionale in 500-650 coppie con trend negativo (Marchesi e Tinarelli 2007); in provincia di
Parma sono valutate 200 coppie (Ravasini 1995) con una stima che sembra oggi ottimistica, in
provincia di Bologna 50-70 coppie (Tinarelli et al. 2002).

45
La specie, in forte regresso su scala nazionale ed europea, è classificata SPEC2 (BirdLife
International 2004) ovvero in declino con popolazione concentrata nel continente; nella Lista
Rossa italiana è inserita fra le specie a rischio (LIPU e WWF 1999). Anche in ambito regionale
la fase di declino è generalizzata e denunciata in tutte le province; in Romagna la regressione
appare decisamente grave: il declino, già segnalato nell’Atlante del 1995-97 (Gellini e Ceccarelli
2000), ha mostrato un ulteriore aggravamento negli ultimi anni con diminuzioni quantitative
della popolazione nell’ultimo decennio dell’ordine del 50% nel Forlivese e del 90% nel
Ravennate (Sterna inedito).
Le cause di questa situazione, che è comune a tante altre specie di ambienti aperti, vanno
ricercate localmente nelle trasformazioni agricole in pianura (scomparsa dei residui elementi di
vegetazione spontanea, meccanizzazione, uso dei fitofarmaci) e nella riduzione di zone aperte in
collina (abbandono dei pascoli e dei terreni agricoli con conseguente rimboschimento naturale).
Questa cause da sole tuttavia non sembrano tali da giustificare un regresso così marcato; è
probabile che la causa principale sia da ricercare in trasformazioni climatiche e ambientali nei
quartieri di svernamento.
Azioni di tutela locali riguardano naturalmente la salvaguardia o il ripristino degli habitat
favorevoli (messa a riposo dei terreno agricoli, conservazione dei pascoli abbandonati).

NOTE SULLE SPECIE NIDIFICANTI OCCASIONALI, MIGRATRICI O SVERNANTI


DI INTERESSE COMUNITARIO

Sono riportate segnalazioni riferite all’ultimo decennio, tralasciando quelle storiche.

Le categorie fenologiche sono tratte dalla Check-list degli uccelli dell’Emilia-Romagna (Bagni et
al. 2003), con la seguente Legenda:
B Nidificante; SB Sedentaria o Stazionaria nidificante; M Migratore o Migratrice; W Svernante,
presenza invernale; E Estivante, presenza estiva; A Accidentale (con numero delle segnalazioni);
reg Regolare; irr Irregolare; par Parziale, Parzialmente; ? dato incerto.

Viene riportato anche lo status di conservazione europeo con la valutazione del 1994 (Tucker e
Heath 1994) confrontata con quella più recente del 2004 (BirdLife International 2004), con le
seguenti codifiche:
SPEC1: Specie presente in Europa ed il cui Status di Conservazione le qualifica come
globalmente minacciate in tutto l’areale, anche per mancanza di informazioni.

46
SPEC2: Specie con popolazione concentrata in Europa e con status sfavorevole nel continente.
SPEC3: Specie con popolazione non concentrata in Europa e con status sfavorevole nel
continente.
SPEC4: Specie con popolazione concentrata in Europa, ma con status favorevole nel continente.

FALCO PESCATORE Pandion haliaetus: M reg, W irr. Presente regolarmente nei passi
primaverile ed autunnale principalmente nelle zone umide di pianura orientali e centrali (RA-FE-
BO-MO); molto raro come svernante: 1 ind. negli anni 1998-1999-2000 nel comprensorio Valli
di Comacchio-Mezzano (Baccetti et al. 2002), 1 nel 2003 nelle Valli di Argenta (Picus 2004).
SPEC3 (1994), SPEC3 (2004).

NIBBIO REALE Milvus milvus: M reg, W, E irr. Regolare nei passi primaverile ed autunnale,
segnalato soprattutto in zone di pianura (PR-RE-MO-BO-FE-RA), ma anche collinari (MO-FC);
rari i casi di svernamento in pianura (RE-MO-RA) con una certa regolarità nelle Valli di
Mirandola (Giannella e Tinarelli 2003, 2004, 2006), eccezionali in collina: 3 ind. nelle colline
forlivesi (Brichetti et al. 1992). Accidentale come estivante nella Salina di Cervia (Giannella e
Tinarelli 2003) e nelle Valli di Mirandola (Giannella e Tinarelli 2004). SPEC4 (1994), SPEC2
(2004).

AQUILA DI MARE Haliaeetus albicilla: M irr, W irr. Sono note presenze accidentali di
giovani o immaturi: inverno 1994-95 due individui, uno dei quali giovane del primo anno, a
Manzolino in provincia di Modena (Giannella et al. 1996), 2/6/2003 un giovane nelle Valli di
Mortizzuolo, Mirandola-MO (Giannella e Tinarelli 2004), 11/1/06 un giovane sul Po ai confini
di Piacenza e Parma (Battaglia inedito).
SPEC3 (1994), SPEC1 (2004).

CAPOVACCAIO Neophron percnopterus : A-6. Accidentale. Da aggiungere una settima


segnalazione in data 19/10/04 nelle casse di espansione del Secchia (RE-MO) (Giannella e
Tinarelli 2006). SPEC3 (1994), SPEC3 (2004).

GRIFONE Gyps fulvus: M irr. Di comparsa irregolare; le ultime osservazioni sono del 31/8/04
a Ospitaletto-Marano s/P (MO) (Giannella e Tinarelli 2006) e del 22/7/05 in alta Val Parma
(Mendi inedito). SPEC3 (1994), Non SPEC (2004).

47
ALBANELLA REALE Circus cyaneus: M reg, W, B irr. Regolarmente presente da ottobre a
marzo in zone di pianura (più frequentemente ai margini delle aree vallive orientali) e di bassa
collina; la popolazione svernante era valutata in 100-400 individui (Chiavetta 1992), con una
stima forse eccessiva; attualmente sono stimati 60-100 individui svernanti (Marchesi e Tinarelli
2007) con andamento fluttuante a seconda degli anni, risultando maggiore la presenza negli
inverni più freddi. Un caso eccezionale di nidificazione, unico in Italia in tempi recenti, è
segnalato nel Parmense in un’area golenale del Po nel 1998 (Brichetti et al. 1998), ripetutosi poi
nel 1999-2000 (Brichetti e Fracasso 2003). SPEC3 (1994), SPEC3 (2004).

ALBANELLA PALLIDA Circus macrouros: M irr. Rara come migratrice; un giovane


osservato in data 15/3/03 nella Valle Zavelea-Comacchio (Giannella e Tinarelli 2004); le
difficoltà di riconoscimento di femmine e giovani da quelli delle altre specie di albanelle
possono rendere sottostimata la presenza. SPEC3 (1994), SPEC1 (2004).

POIANA CODABIANCA Buteo rufinus : A-9. Specie accidentale, di passo o svernante in


ambienti aperti; alle 9 segnalazioni indicate nella chek-list regionale è da aggiungere la recente
osservazione del 7/1/07 nell’Oasi di Bentivoglio (BO) (Asoer inedito). Nell’elenco le precedenti
segnalazioni degli anni 2000: 21/7/01 2 ind. alla Cava Valle di Montechiarugolo (PR), dal 2/11
al 10/11/02 nelle Valli di Mortizzuolo-Mirandola (MO), 12/1/03 nelle Valli Le Partite-Mirandola
(MO), dal 20/5 al 1/7/03 nella Bonifica del Mezzano (FE) (Giannella e Tinarelli 2003, 2004;
Bagni et al. 2003). SPEC3 (1994), SPEC3 (2004).

AQUILA ANATRAIA MINORE Aquila pomarina : M irr. Molto rara; non sono note
segnalazioni recenti. SPEC3 (1994), SPEC2 (2004).

AQUILA ANATRAIA MAGGIORE Aquila clanga: M reg, W. Di passo e svernante nelle


zone umide di pianura. Presenze regolari sono state registrate nel triennio 2002-2004 nell’Oasi
di Torrile (PR) e nelle Valli di Mortizzuolo-Mirandola (MO); sempre in quegli anni altre
presenze sono state indicate in zone umide del Bolognese a Crevalcore, Bentivoglio, Molinella e
Medicina, del Ferrarese in Valle Umana e del Ravennate nelle Pialasse e all’Ortazzo (Giannella e
Tinarelli 2003, 2004, 2006; Asoer inedito); dei 9 individui per i quali sono indicate le classi di
età 6 sono risultati adulti e 3 giovani. Informazioni degli anni precedenti sono relative a: Foce del
Bevano (RA) nel 1997 e nel 2000; Fiume Po (PC) 2000; Valli d’Argenta (FE) 1997; Pialasse e
Valli ravennati 1997; Comacchio e Mezzano 1998 (Baccetti et al. 2002). Nel comprensorio

48
Pineta di Classe-Ortazzo-Foce Bevano sono state registrate presenze primaverili negli anni 1992-
93-94 (Premuda 1997). SPEC1 (1994), SPEC1 (2004).

AQUILA MINORE Hieraaetus pennatus : M irr, W irr. Presente nei passi e in inverno, più
spesso in pianura presso le zone umide. Solitamente rara, ma numericamente molto fluttuante
negli anni; nell’autunno 2004 e nell’inverno 2004-05 in particolare la presenza è apparsa
eccezionale, a carattere di invasione (Premuda et al. 2006; Giannella e Tinarelli 2006), con
ripetute osservazioni in una quindicina di località nelle province di RE, PR, MO, BO, RA; queste
erano concentrate soprattutto in Val Taro, bassa bolognese, Valli Bertuzzi-Canneviè, Mesola,
Valli di Comacchio, Valle Mandriole, Ortazzo. Più recenti altre osservazioni invernali a Bosco
della Mesola (Passerella inedito) e Bertuzzi-Volano (18/1/07) (Bonora inedito). SPEC3 (1994),
SPEC3 (2004).

FALCO DELLA REGINA Falco eleonorae : A-6. Accidentale; segnalata un’ulteriore


osservazione del 24/8/06 nelle colline bolognesi (Premuda inedito). SPEC2 (1994), SPEC2
(2004).

SMERIGLIO Falco colombarius : M reg, W. Presente regolarmente, con una popolazione


svernante valutata in 100-200 individui in trend positivo dagli anni ’90 (Marchetti e Tinarelli
2007); frequenta prevalentemente i margini delle zone umide di pianura, mentre è raro nel basso
Appennino.
Nel corso di censimenti invernali lungo transetti automobilistici, negli anni 2000-2002 sono stati
rilevati: 1 individuo su 339 km (0,3/100 km) nelle bonifiche ferraresi, 6 ind su 337 km (1,8/100
km) nella pianura bolognese orientale, nessun individuo su 385 km nelle colline di BO-RA-FC
nella fascia 100-500 m. (Bonora e Melega 2003). Non SPEC (1994), Non SPEC (2004).

GALLINA PRATAIOLA Tetrax tetrax : M irr. Molto rara; non sono note segnalazioni recenti.
SPEC2 (1994), SPEC1 (2004).

PIVIERE TORTOLINO Charadrius morinellus : M reg. Di passo regolare nelle zone più alte
dell’Appennino, oltre il limite della vegetazione arborea. Segnalato nei SIC di M. Cusna e di M.
Prado (RE), M. Cimone (MO) e Corno alle Scale (BO) (Tinarelli 2005); in quest’ultima località
recenti osservazioni del 6/9/05 (gruppo di 5 individui) e del 29/8/06 (4 ind.) (Asoer inedito). Un
tempo citato comunemente in migrazione anche in zone di pianura (Foschi 1986). Non SPEC
(1994), Non SPEC (2004).

49
GUFO DI PALUDE Asio flammeus : M reg, W par, E irr. Presenza regolare da ottobre ad
aprile; segnalazioni recenti di svernamento (Giannella e Tinarelli 2003, 2004) nelle Valli di
Mirandola (MO) e di Comacchio (FE), nell’Oasi di Bentivoglio (BO) e soprattutto nella Bonifica
del Mezzano (FE); in quest’ultima località si è verificata l’eccezionale presenza di 18-20
individui nell’inverno 2006-07 (Azzolini inedito). La popolazione svernante in Regione è di
alcune decine di individui (Marchetti e Tinarelli 2007). Sono segnalati anche casi insoliti di
estivazione nella Salina di Cervia (RA) e nell’Ortazzo (RA) ed in particolare la presenza da
aprile a luglio 2003 nel Mezzano (Giannella e Tinarelli 2003, 2004). SPEC3 (1994), SPEC3
(2004).

CALANDRA Melanocorypha calandra : M irr. Estinta come nidificante ai primi del 900
(Foschi 1986). Attualmente molto rara come migratrice; non sono note segnalazioni negli anni
2000. SPEC3 (1994), SPEC3 (2004).

PETTAZZURRO Luscinia svecica : M reg, W irr (reg?). Regolare nei passi in zone vallive. La
sua presenza è sempre stata probabilmente sottostimata; nella stazione ornitologica modenese “la
Tomina” ne vengono inanellati alcune decine per anno (Giannella e Gemmato 2004); un
esemplare di questi, preso in data 19/10/03, è stato attribuito alla sottospecie orientale
(L.s.svecica) (Giannella e Tinarelli 2004). In due occasioni il 3/8/05 e il 11/9/05 a Volta Scirocco
osservati gruppetti di 5-6 individui (RA) (Costa inedito). Rare presenze invernali segnalate nelle
Valli di Mortizzuolo il 5/1/02 (Giannella e Tinarelli 2003) e in Valle Umana-Comacchio (FE) il
10/2/96 con un esemplare della sottospecie occidentale (L.s.cyanecula) (Gemmato e Giannella
1998). La sottospecie occidentale appare più frequente di quella orientale (Foschi 1986;
Giannella e Gemmato 2004). Non SPEC (1994), Non SPEC (2004).

PAGLIAROLO Acrocephalus paludicola : M irr. Molto raro; una segnalazione del 15/8/02
nelle Valli di Mortizzuolo-Mirandola (MO) (Giannella e Tinarelli 2003). SPEC1 (1994), SPEC1
(2004).

MAGNANINA Sylvia undata : SB irr, M reg, W. La nidificazione di una coppia isolata è stata
accertata nel 1995 in un brugheto sommitale a Berceto (PR) a 900 m di altitudine (Ravasini
1995); nella stessa zona è stato osservato un maschio in canto il 30/6/02 (Giannella e Tinarelli
2003). SPEC1 (1994), SPEC1 (2004).

50
GRACCHIO CORALLINO Pyrrhocorax pyrrhocorax : M irr? Molto raro; non sono note
segnalazioni recenti. SPEC3 (1994), SPEC3 (2004).

ELENCO DELLE SPECIE ACCIDENTALI DI INTERESSE COMUNITARIO

Informazioni tratte da Bagni et al. 2003; viene indicato il numero delle segnalazioni a partire dal
1900 assieme alla provincia e all’anno dell’osservazione.

GIPETO Gypaetus barbatus : A-1: MO1999


AVVOLTOIO MONACO Aegypius monachus : A-1: FC1904
AQUILA IMPERIALE Aquila heliaca : A-5: RA1942, MO1990, MO/BO 1993, FE1997,
PR1999
AQUILA DI BONELLI Hieraaetus fasciatus : A-2: RA1930, RA1950
UBARA AFRICANA Chlamydotis undulata : A-1: FC1965
OTARDA Otis tarda : A16: 13 segnalazioni ante 1950, FC1951, RA1969, RE1969
GRANDULE Pterocles alchata : A-1: MO1904
CIVETTA CAPOGROSSO Aegolius funereus : A-1: MO1989
PICCHIO CENERINO Picus canus : A-1: MO1981
PICCHIO ROSSO MEZZANO Picoides medius : A-3: RA1940, MO1982, MO1991
MONACHELLA NERA Oenanthe leucura : A-2: MO1977, RE2001
SILVIA DI RUPPELL Sylvia rueppelli : A-1: FC1965
PIGLIAMOSCHE PETTIROSSO Ficedula parva : A-3: FC1910, RN1972, MO1995
ORTOLANO GRIGIO Emberiza caesia : A-1: RA1954

51
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56
MAMMIFERI

a cura di Dino Scaravelli, Alessandra Palladini

STATUS E DISTRIBUZIONE DI SPECIE NIDIFICANTI DI INTERESSE


FAUNISTICO, GESTIONALE E CONSERVAZIONISTICO

CONIGLIO SELVATICO Oryctolagus cuniculus


Lunghezza testa-corpo: 34-45 cm; lunghezza coda 4-8 cm.
Peso medio: 1,3-2,2 kg.
Distribuzione: Europa occidentale e centrale, Isole Britanniche, localmente in Scandinavia. In
Italia è presente in maniera diffusa in Sicilia e Sardegna, localizzato altrove.
Caratteristiche generali
Colorazione uniformemente bruno-grigiastra con parti ventrali e parte inferiore della coda
biancastre. Capo rotondeggiante con orecchie piuttosto corte. Vive in colonie anche molto
numerose ma dove l’unità sociale è costituita dalla coppia. Gli habitat preferiti sono aree
litoranee, pianure e colline aperte e cespugliate, brughiere, ecc., generalmente non oltre 4-500 m
di altitudine. Le coppie devono scavare rifugi sotterranei che possono divenire complicati sistemi
di tane, garantendo una buona difesa dai predatori. Si localizzano quindi generalmente su suoli
adatti all’escavazione, drenati se non sabbiosi. L’alimentazione comprende una grande varietà di
vegetali. Molto attivo al crepuscolo, trascorre la maggior parte del giorno al riparo all’interno
della tana o nelle sue immediate vicinanze.
Status
Introdotto a scopo venatorio in molti paesi europei, spesso ha dato origine a esplosioni
demografiche incontrollabili, generalmente seguite da epidemie di mixomatosi che decimano le
popolazioni. In taluni paesi, come la Gran Bretagna, la malattia è stata localmente introdotta
artificialmente a scopo di controllo. In Italia le uniche popolazioni consistenti sono presenti nelle
isole maggiori. Altri nuclei di una certa importanza sono localizzati in Toscana, soprattutto lungo
il litorale tirrenico.
In Regione è stato immesso in varie località: nelle golene del Po nel piacentino, nella pianura
bolognese, in varie zone del litorale ferrarese e ravennate (Bertusi e Tosetti, 1986). Attualmente
la distribuzione nota è relativa alla presenza di piccoli nuclei localizzati sia in pianura sia nella
bassa collina dal litorale adriatico alla provincia di Piacenza. Ancora il più consistente di tali

57
nuclei si trova sui dossi di Boscoforte, nella parte meridionale delle Valli di Comacchio, in
provincia di Ferrara, dove è stato introdotto nel 1969 (Bertusi e Tosetti, 1986; Leporati et al.,
1976). Studi sugli impatti che tale popolazione ha esercitato sul delicato equilibrio dell’ambiente
dunale hanno evidenziato effetti sia negativi sia positivi (Mantovani Gerdol e Gerdol, 1988). In
particolare sono stati rilevati danni alla stabilità meccanica dei cordoni dunosi causati dalla
imponente attività di escavazione operata dai conigli, la quale potrebbe potenzialmente condurre
nel lungo periodo alla scomparsa dell’habitat. Effetti positivi sono invece stati osservati dagli
stessi Autori sulla diversificazione floristica del sito, nonchè sull’avifauna nidificante, in quanto
la presenza della colonia di conigli ha creato le condizioni favorevoli alla comparsa di una
specie, la Volpoca, di notevole interesse naturalistico.
Oltre all’impatto sugli ambienti naturali, il coniglio selvatico può rappresentare una importante
fonte alimentare per vari predatori e il suo controllo e la gestione dei nuclei presenti, così come
la eventuale introduzione in nuove località, dovrebbe tenere conto anche di questo aspetto.

MARMOTTA Marmota marmota


Lunghezza testa-corpo: 50-60 cm; lunghezza coda 13-16 cm.
Peso medio: 4-8 kg.
Distribuzione: Arco alpino. Piccole popolazioni, introdotte, si trovano i Tatra nei Pirenei e
nell’Appennino settentrionale.
Caratteristiche generali
Caratteristico sciuride terrestre a corporatura massiccia con capo largo e orecchie cortissime,
zampe corte e coda di media lunghezza. Vive in colonie che si localizzano generalmente oltre il
limite della vegetazione arborea. Si nutre esclusivamente di erbe e altri vegetali. Scava sistemi di
tane profondi e complessi che utilizza per la riproduzione, il letargo e per sfuggire ai predatori.
Di abitudini diurne, durante i mesi estivi si può osservare facilmente in attività nei pressi delle
tane. Quando allarmata emette un breve caratteristico fischio.
Status
La specie è distribuita come specie autoctona quasi esclusivamente sull’arco alpino, mentre è
stata introdotta negli anni ‘50 nei Pirenei (Couturier, 1964 in Lenti Boero, 1988) e
nell’Appennino settentrionale (Bertusi e Tosetti, 1986). In regione lo status e la distribuzione
della marmotta sono stati oggetto di studio in particolare nell’area Modenese (Ferri et al., 1988-
1997). Nel decennio 1946-56 il corpo Forestale dello Stato ha rilasciato oltre 40 esemplari in
varie località della dorsale appenninica compresa tra il M. Cimone, il Libro Aperto, l’Abetone e
Maresca (PT). Ulteriori immissioni sono state effettuate negli anni ‘60 nel versante modenese del

58
M. Rondinaio e probabilmente sul Corno alle Scale. Altre introduzioni sono state effettuate negli
anni ‘70 nell’Appennino parmense e reggiano e nel 1987 nei pressi del passo del Cerreto.
Ulteriori immissioni nell’alta Val d’Enza all’inizio degli anni ‘80 sono probabilmente da
ascrivere a privati. Attualmente la specie occupa un areale piuttosto vasto che comprende
numerose zone della dorsale appenninica dal Corno alle Scale al M. Giovo e M. Romecchio. Un
nucleo isolato si trova sul M. La Nuda. Altri nuclei sono presenti nell’alto Appennino reggiano
sui M. Cusna e Prato e nell’alto Appennino parmense. In provincia di Piacenza la specie è
presente al confine con la provincia di Alessandria, in prossimità dello spartiacque che divide le
valli Curone e Borbera. Per la provincia di Modena sono note inoltre, a partire dalla metà degli
anni ‘80, segnalazioni relative a individui isolati a basse quote e lontani dall’areale abituale, ad
es. alcuni esemplari osservati ad altitudini comprese tra 350 e 500 m., a volte anche per due anni
consecutivi, in varie località dei comuni di Pavullo, Sestola e Marano sul P.
La distribuzione oggi interessa un’areale sempre più vasto. L’espansione e il consolidamento
delle popolazioni di Marmotta in regione possono essere ricondotti all’assenza di prelievo
venatorio e agli interventi di protezione adottati, nonostante i numerosi casi di bracconaggio
segnalati.
Data la mancanza in regione di specifiche tradizioni venatorie e la pressochè totale assenza di
interferenze con le attività umane la specie non riveste particolare interesse dal punto di vista
gestionale, tuttavia va sottolineato il decisivo ruolo ecologico che essa riveste per
l’alimentazione di rapaci come l’Aquila reale (Fasce P. e Fasce L., 1992). Sarebbe quindi
auspicabile un intervento di censimento più accurato e lo studio dei trend di espansione e di
strutturazione dei popolamenti, anche come indicatore dei possibili mutamenti climatici e del
loro potenziale impatto sulle cenosi cacuminali.

ISTRICE Hystrix cristata


Lunghezza testa-corpo: 55-70 cm; lunghezza coda 4-9 cm.
Peso medio: 10-15 kg.
Distribuzione: Europa meridionale e nordafrica. In Europa è presente unicamente in Italia, dove
è oggi consolidato come sia non introdotto in epoca romana ma bensì un rimasto
dall’interglaciale caldo. In Italia è oggi diffuso ampiamente anche nel nord, avendo superato da
tempo lo spartiacque del Po. La sua diffusione nel meridione è più a mosaico. Manca dalla
Sardegna.
Caratteristiche generali

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L’Istrice è grande e inconfondibile roditore per la presenza su dorso e coda, di grossi e lunghi
aculei di colore nero con anulazioni bianche. Presenta capo massiccio, occhi piuttosto grandi e
orecchie piccole poco visibili in quanto ricoperte da setole, zampe piuttosto corte. Attivo quasi
esclusivamente di notte, trascorre il giorno riparato in tane che la femmina utilizza anche per
l’allevamento dei piccoli. Si nutre di vegetali, tuberi, frutta ecc. Predilige ambienti coltivati
alternati a boscaglie, incolti ecc., a clima mediterraneo, dal livello del mare fino a oltre 1000 m
di altitudine.
Status
Negli ultimi decenni, nell’Italia centro-settentrionale, si è osservato un sensibile incremento della
specie, che ha colonizzato nuove aree rispetto a quelle note fino agli anni ‘70 (Tedaldi e
Scaravelli, 1993). In regione la presenza storica dell’istrice, pur se in modo abbastanza
sporadico, è stata documentata con una certa regolarità solo in Romagna (Ginanni, 1774;
Zangheri, 1946, 1957, 1969; Silvestri, 1971). A partire almeno dagli anni ‘80 la specie ha
mostrato una chiara tendenza ad ampliare l’areale verso nord, dapprima colonizzando nuovi
territori nell’ambito dell’area romagnola (Bassi e Fabbri, 1985, 1987; Casini et al., 1988;
Zavalloni e Castellucci, 1991) e successivamente facendo la sua comparsa in aree del tutto
nuove, quali le province di Modena nel 1984 (Sala, 1987) e di Parma nel 1989 (Ferri e Sala,
1992). In provincia di Modena segnalazioni certe della presenza dell’istrice si susseguono con
regolarità negli anni successivi in numerose località della fascia appenninica, a conferma
dell’esistenza di una popolazione consolidata (Ferri e Sala, 1992). Per la provincia di Parma sono
note diverse segnalazioni per l’alto bacino dei torrenti Parma e Baganza (Ferri e Sala, 1992).
Attualmente la distribuzione nota interessa praticamente tutta la Regione e la specie si è spinta
fino alle prealpi lombarde e venete.
Considerando la termofilia della specie può risultare abbastanza sorprendente la sua capacità di
colonizzare anche aree dell’Appennino caratterizzate da clima di tipo continentale, tuttavia è
interessante osservare come in provincia di Modena la presenza dell’istrice nelle fasce collinare e
montana sia stata rilevata esclusivamente in versanti con esposizione sud sud-est (Ferri e Sala,
1992). L’espansione verso nord è stata documentata a partire dagli anni ‘90 anche nel settore
orientale della regione ed in particolare per il ravennate, il forlivese (Scaravelli, 1992 e 2001) e
successivamente per la provincia di Ferrara.
Le ragioni della rapida espansione verificatasi soprattutto nell’ultimo decennio vanno cercate nel
consolidamento delle popolazioni già esistenti, legato sia alla protezione legale accordata nel
1974, sia a possibili fluttuazioni cicliche (Santini, 1980 in Tedaldi e Scaravelli, 1993). Fattori
ambientali positivi correlabili all’espansione sono considerati sia l’abbandono generalizzato di
molte aree collinari un tempo estesamente coltivate, sia il susseguirsi di inverni particolarmente

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miti (Tedaldi e Scaravelli, 1993). Oggi è presenza consolidata e da molte aree giungono
segnalazioni anche consistenti di danni a colture, giardini e terrapieni, zone di interstrato ed
arginature dove l’animale va a ricavare le sue profonde tane.

NUTRIA Myocastor coypus


Lunghezza testa corpo: 47 -57 cm, lunghezza coda 34-40 cm.
Peso medio: 6 kg, maggiore nei maschi, con punte fino a 11 -12 kg.
Distribuzione: in origine Cile meridionale, Argentina fino al Paraguay, oggi presente in tutta
l’Europa continentale, Russia, Stati Uniti meridionali. In Italia è diffusa soprattutto nell’area
padana, Toscana, Umbria ed è segnalata in espansione in molte province di tutta la penisola,
Sicilia compresa.
Caratteristiche generali
La nutria ha le forme di un grande topo dal mantello generalmente beige-bruno. Caratteristici
sono i due grandi incisivi arancioni che emergono dal labbro superiore. La testa è grande, piatta,
con piccole e mobili orecchie. La coda è lunga e squamosa, con pochi radi peli. La pelliccia
presenta una densa e morbida borra sovrastata da lunghi peli scuri della giarra. La colorazione è
variabile, derivando le popolazioni da esemplari selezionati per la pellicceria, e va dal nero al
bianco. In natura l’animale appare a terra quasi goffo e spesso seduto, con la schiena inarcata a
brucare vegetali. Capace comunque di correre molto velocemente, nuota con vigore e velocità in
acqua, dove si rifugia al minimo pericolo. Può immergersi per alcuni minuti e scendere a vari
metri di profondità. Strettamente erbivoro, si nutre di una grandissima varietà di piante,
comprese molte coltivate. Diversi individui seguono sempre i medesimi percorsi, creando così
veri e propri sentieri assai visibili tra la vegetazione e sulle rive dei canali. La tana viene ricavata
nelle sponde con escavazione diretta di un tunnel che può essere di alcuni metri con camere
terminali per il riposo e alcune uscite secondarie. L’habitat tipico è costituito dalle aree
rivierasche delle acque dolci, paludi, laghi e fiumi a lento scorrimento. Si insedia preferibilmente
nelle zone con ricca vegetazione, spingendosi anche lontano dalle rive in cerca di cibo o durante
gli spostamenti tra diverse zone umide. Preferisce le zone di pianura ma può spingersi comunque
anche oltre i 1000 m di quota. Il sistema riproduttivo è a base poliginica, con i maschi che
tentano di sottomettere il maggior numero possibile di femmine che sono distribuite a mosaico
sul territorio in relazione alle caratteristiche ambientali (Woods et al., 1992).
Status
Fin dagli anni ’20 si sono diffusi in Italia come in molti altri Paesi del mondo numerosi
allevamenti di Nutria o castorino, generalmente a carattere familiare e quasi mai denunciati o

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sottoposti ad alcun controllo. A partire dalla seconda metà degli anni ’70 l’allevamento
commerciale della nutria entra in crisi, cessando di essere remunerativo e provocando di
conseguenza il deliberato rilascio degli animali o la loro fuga dagli allevamenti abbandonati. Si
formano in questo modo i primi piccoli gruppi che destano più curiosità che altro, consolidandosi
successivamente in popolazioni residenti e riproduttive (Santini, 1978). Se per il basso ferrarese
la presenza della nutria è nota fin dagli anni ‘80 (Bertusi e Tosetti, 1986), attualmente essa é
segnalata in buona parte della regione così come in molti fiumi, laghi e raccolte d’acqua del nord
e centro Italia. La plasticità che le permette di spostarsi dal pascolo alla raccolta delle idrofite a
quella dei rizomi, la grande abbondanza di cibo messo a disposizione dall’agricoltura, nonché la
mancanza di effettivi predatori, sono le ragioni che stanno alla base del considerevole aumento
della specie. L’abitudine di utilizzare come punto di vedetta qualunque oggetto galleggiante o
rialzato sulla superficie dell’acqua e in particolare i nidi di svariate specie di uccelli, produce
devastanti effetti su molti nidificanti, oltre a un forte disturbo a carico delle specie che sostano
regolarmente negli ambienti rivieraschi quali Ardeidi, Rallidi ecc. La Nutria è da tempo
riconosciuta come responsabile dell’impoverimento delle biocenosi acquatiche vegetali (cfr.
Ellis, 1963; Linscombe et al., 1981; Martignoni e Scaravelli, 1995) determinando così un danno
ulteriore alle già rare e spesso minacciate formazioni tipiche delle zone umide italiane. Inoltre la
specie è in grado di procurare danni a carico di varie essenze agricole di cui si nutre, così come
di danneggiare strutture idrauliche a causa dell’escavazione di tane. I danni maggiori sono a
carico delle colture orticole ma interessano anche cereali, barbabietole, semenzali e vivai. I danni
idraulici possono divenire notevoli in quanto proprio in vicinanza dei chiusini, dei ponticelli e di
altre opere le nutrie trovano maggior facilità di scavo e quindi vi insediano le proprie tane.
Per quanto riguarda la possibilità di un controllo "naturale" delle popolazioni, occorre
considerare che i predatori europei che possono cibarsi della Nutria sono ben pochi, sia per le
cospicue dimensioni del roditore sia per la fiera resistenza che essa può opporre. A parte la
Volpe, che può attaccare anche subadulti, le altre predazioni riferibili a uccelli da preda e a
carnivori terrestri sono a carico dei giovani.
In considerazione delle problematiche collegate e del fatto che si tratta di una specie esotica, la
Regione Emilia Romagna, con decreto 760 del 17 ottobre 1995, ha adottato una strategia
quantomeno di contenimento numerico, data la oggettiva impossibilità di eradicazione. A questo
scopo l’utilizzo di gabbie-trappola è sicuramente il più efficace sistema di controllo della Nutria
nel lungo periodo (Norris, 1967a, 1967b; Evans et al., 1971). Esse infatti non producono alcun
disturbo alla restante fauna, sono selettive e permettono un loro uso anche nelle aree protette
(Martignoni e Scaravelli, 1995). L’uso delle armi da fuoco può risultare efficace solo in
determinate circostanze, inoltre presenta aspetti negativi legati alla difficoltà di recupero delle

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carcasse. Occorre peraltro sottolineare che la gestione del problema richiede un approccio
integrato e interventi generalizzati e durevoli, in quanto solo quando la popolazione viene
costantemente mantenuta a densità compatibili si può ritenere di avere raggiunto l’obiettivo del
controllo (Gosling, 1989; Gosling et al., 1988; Velatta e Ragni, 1991; Reggiani et al., 1993;
Scaravelli e Martignoni, 1996). L’utilizzo delle gabbie, non richiedendo particolari
specializzazioni, può essere di solito affidato agli stessi proprietari dei fondi coinvolti, tuttavia è
necessario il supporto del personale degli Uffici Caccia e Pesca provinciali al fine di garantire la
corretta realizzazione dei programmi concordati (Scaravelli e Martignoni, 1996).
La realizzazione di un piano funzionale su scala medio-grande deve prevedere uno studio
preliminare delle presenze e delle aree a rischio, seguito da una accurata organizzazione
logistica, comprendente un centro operativo, personale e un’adatta campagna di informazione.
Occorre inoltre predisporre un controllo del catturato allo scopo di rilevare i parametri di
popolazione, i quali permettono di monitorarne l’andamento del programma di limitazione
numerica e di verificarne l’efficienza.
Nonostante i piani di contenimento messi in opera si va assistendo ad un continuo ampliarsi della
presenza della specie in molte aree come per esempio anche nelle zone appenniniche o
rivierasche. L’area ravennate per esempio è oggi colonizzata interamente dalla specie (Scaravelli
2001, 2002) così come va espandendosi nella zona forlivese (Scaravelli 2002) ma non mancano
nuove affermazioni anche in tutta l’Emilia. Il programma di eradicazione dovrà essere
reinterpretato e finanziato con nuovo impulso se si vuole dare un minimo di efficacia al sistema.

VOLPE Vulpes vulpes


Lunghezza testa-corpo: 57-78 cm; lunghezza coda 30-48 cm.
Peso medio: 6-10 kg.
Distribuzione: Regione Olartica. Introdotta in Oceania. In Italia manca solo dalle isole minori.
Caratteristiche generali
Colorazione del mantello piuttosto variabile a livello individuale e razziale, con tonalità
dominanti da bruno-grigiastre a rosse anche in dipendenza della stagione. Corpo piuttosto
allungato con arti relativamente brevi, capo e muso triangolari, coda lunga e folta con punta
biancastra. Di abitudini assai più sociali di quanto non si ritenesse in passato, vive in coppie o
nuclei familiari fortemente territoriali. Durante la stagione riproduttiva utilizza tane che scava
direttamente o sottrae ad altre specie. Estremamente adattabile, ha colonizzato la gran parte degli
ambienti, dal livello del mare fino a oltre 2000 m di altitudine.
Status

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Nonostante gli imponenti e regolari piani di controllo attuati in molti paesi la volpe è diffusa e
abbondante in gran parte dell’areale europeo. Le popolazioni, pur soggette a forti fluttuazioni più
o meno regolari, legate generalmente ai cicli dell’enzoozia rabica, mostrano elevatissime
capacità di recupero, con punte di incremento che raggiungono il 70% della popolazione dopo
solo un anno dalla cessazione del fattore di mortalità (Bogel et al., 1981). In Italia la rabbia
silvestre è oggi sostanzialmente assente grazie a una efficace campagna di vaccinazione della
popolazione volpina. In assenza di epizoozie le popolazioni italiane possono essere considerate
relativamente stabili e probabilmente mai lontane dalla capacità portante.
In Regione la distribuzione interessa pressochè l’intero territorio regionale senza soluzione di
continuità dalla pianura al crinale appenninico. A fronte di una omogenea distribuzione esistono
peraltro forti differenze tra la pianura, dove la volpe presenta generalmente basse densità, e la
fascia collinare e montana, dove si riscontrano densità medio-alte e localmente anche molto
elevate.
In provincia di Ferrara la volpe era scomparsa nel 1955, successivamente è ricomparsa all’inizio
degli anni ‘80, epoca dopo la quale si stima che sia andata costantemente aumentando (AA.VV.,
1994). In provincia Romagna la volpe, un tempo definita "abbastanza comune" da Zangheri
(1957), è oggi diffusa ovunque, comprese le aree litoranee, e localmente abbondante (Gellini et
al., 1992, Scaravelli et al 2001).
In provincia di Modena la volpe era scomparsa in pianura già nel secolo scorso ed era
considerata "non comunissima" anche in ambito collinare (Massa, 1884 in Ferri, 1992). Negli
ultimi decenni la specie ha mostrato un incremento generalizzato che ha portato alla
ricolonizzazione della pianura oggi sempre più massicciamente consolidata, specie in vicinanza
dei grandi agglomerati urbanizzati (Ferri 1992, Ferri in verbis). La volpe sembra in aumento
anche nelle provincia di Parma e Piacenza, dove risulta presente in tutto il territorio provinciale
dall’asta del Po al crinale appenninico. Nel corso di una ricerca specifica sulla distribuzione delle
tane in provincia di Piacenza, effettuata nel 1989, sono state rilevate un totale di 1451 tane, di cui
197 in pianura, 538 in bassa collina, 302 in alta collina e 414 in montagna. La densità media
sull’intero territorio provinciale è risultata di 0,67 tane/km2, con i valori più elevati nella fascia
collinare. La ricerca ha inoltre evidenziato una positiva correlazione tra la densità di tane e
alcune variabili ambientali, tra cui le più importanti sono risultate l’altitudine media e la
percentuale di coltivazioni arate a rotazione (Meriggi e Rosa, 1991; AA.VV., 1994).
I dati disponibili indicano per tutta la regione una chiara tendenza nel recente passato
all’espansione dell’areale verso la pianura, oltre a un aumento pressochè generalizzato degli
effettivi laddove l’areale è consolidato da decenni. Ciò va indubbiamente messo in relazione con

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l’aumentata disponibilità di risorse trofiche facilmente accessibili e probabilmente con la minore
pressione esercitata da parte dell’uomo anche con mezzi non selettivi.

Aspetti della biologia della volpe rilevanti ai fini gestionali


Organizzazione sociale e territorialismo
L’opportunismo e la grande adattabilità della volpe si manifestano non solo a livello trofico, ma
anche nella capacità di adattare l’organizzazione sociale, le strategie riproduttive ed il
territorialismo. Di norma l’organizzazione sociale prevede la formazione di coppie che utilizzano
e difendono un certo territorio, di dimensioni estremamente variabili a seconda principalmente
delle risorse alimentari disponibili. Una volta l’anno la coppia si riproduce dando luogo alla
formazione di un gruppo costituito dai genitori e dai piccoli. A questo nucleo possono
aggiungersi altri individui adulti o sub-adulti, generalmente imparentati, che cooperano
nell’allevamento dei piccoli e nella difesa del territorio. Il legame di coppia non corrisponde
necessariamente ad una vita in comune dei due partners, infatti il maschio e la femmina vivono a
stretto contatto, o comunque intensificano i rapporti, solo durante l’allevamento della prole,
mentre a partire dalla tarda estate e durante i mesi invernali i rapporti diventano più blandi, pur
continuando a condividere lo stesso territorio. In altri casi sono note aggregazioni costituite da un
maschio e alcune femmine che utilizzano lo stesso territorio, il quale in taluni casi può essere
condiviso con altre aggregazioni dello stesso tipo a formare veri e propri branchi.
L’organizzazione sociale della volpe, tendenzialmente solitaria o del tipo a "monogamia
temporanea", mostra quindi notevoli possibilità di modificazione verso altri sistemi, quali la
poligamia, il gruppo familiare o il branco vero e proprio. Elemento comune ai vari tipi di
organizzazione sembra peraltro essere la tendenza assai precoce dei giovani alla vita autonoma e
quindi alla dispersione. Già a partire dalla tarda estate o inizio dell’autunno i giovani, ad un’età
di appena 4-5 mesi, mostrano una chiara tendenza a staccarsi dai genitori e ad andare alla ricerca
di un proprio territorio. Iniziano quindi in questo periodo dell’anno i movimenti dispersivi che
possono portare i giovani a percorrere grandi distanze. La ricerca di un proprio territorio è
ovviamente fortemente ostacolata dalla presenza degli individui territoriali che, occupando di
fatto tutti i territori disponibili, impediscono ai giovani di stabilirsi in un’area precisa. Al di là
quindi del normale turn-over della popolazione, esiste un surplus di individui alla costante
ricerca di un territorio in cui riprodursi. Tale componente della popolazione viene definita
"itinerante" in contrapposizione a quella "residente", caratterizzata cioè da territorialismo e
attività riproduttiva. Nonostante la elevata mortalità naturale cui è soggetta la componente
itinerante, essa costituisce sempre una frazione significativa della popolazione.
Uso delle tane

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All’interno dei territori di ciascuna coppia o gruppo di volpi è presente un certo numero di tane
utilizzate per l’allevamento di piccoli. Le stesse tane vengono generalmente riutilizzate per più
anni consecutivi se non intervengono modificazioni dell’ambiente o fattori di disturbo. A partire
dal tardo inverno, in coincidenza con l’epoca degli accoppiamenti, la femmina comincia a
predisporre una o più tane in cui darà alla luce in marzo-aprile i piccoli. A partire dalla nascita
dei cuccioli e fino al momento in cui essi inizieranno a condurre vita autonoma, l’uso delle tane
può essere suddiviso in tre periodi principali, definibili come: pre-emergenza, uso ristretto, uso
allargato. Il primo periodo corrisponde al lasso di tempo che intercorre tra il parto e la prima
apparizione dei cuccioli all’esterno. Il secondo periodo corrisponde alla fase in cui la vita e
l’attività dei cuccioli si svolge nelle immediate vicinanze della tana. Il terzo periodo precede il
distacco dei cuccioli dai genitori ed è caratterizzato da un uso allargato delle tane, in cui spesso
più tane vengono usate contemporaneamente. La durata dei tre periodi è di circa 4-5 settimane
ciascuno. Nel corso di ciascun periodo le cucciolate, se necessario, possono essere spostate
alternativamente in più tane differenti. In altri casi la cucciolata può essere divisa in due tane o
più cucciolate possono essere riunite in una stessa tana. Tale "dinamismo" deve essere tenuto in
considerazione nel caso si intenda procedere al censimento delle tane attive, in quanto può
condurre a errori grossolani nella stima.
Alimentazione
Il successo e la grande diffusione della volpe è dovuto in gran parte alla sua capacità di utilizzare
una grande varietà di risorse alimentari. La volpe è di per sè un predatore assai eclettico, in grado
di catturare prede di piccole o medie dimensioni che vanno dagli invertebrati ai giovani ungulati.
A ciò si sono aggiunte le enormi potenzialità rappresentate da fonti alimentari rese disponibili
direttamente o indirettamente dalle attività umane: discariche di rifiuti, animali da cortile,
massicci ripopolamenti con selvaggina allevata che costituisce una facile preda ecc. La dieta
della volpe si presenta quindi estremamente variabile sia stagionalmente sia in aree diverse,
anche molto vicine. La possibilità di utilizzare alternativamente risorse localmente o
temporaneamente più abbondanti o accessibili comporta due conseguenze principali: la prima è
la possibilità per la volpe di mantenere spesso elevate densità anche in caso di drastica
diminuzione di una delle risorse normalmente disponibili; la seconda è la scomparsa dei processi
di compensazione della pressione predatoria che normalmente contraddistinguono in natura i
rapporti preda-predatore. Ciò significa che la densità di prede non determina, se non in misura
molto limitata, la densità del predatore, o anche, in altri termini, che il predatore può esercitare
una pressione elevatissima su una certa preda, diminuendone sensibilmente la densità, senza
ricavarne un danno neppure a medio o lungo termine. Ad esempio la predazione sui nidi può
divenire un importante fattore limitante per la specie preda, pur rivestendo complessivamente un

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ruolo marginale nella dieta del predatore. Le specie opportuniste si configurano pertanto come
predatori in grado di influenzare pesantemente, quantomeno a livello locale, la densità e la
dinamica di talune specie preda e ciò è tanto più probabile quanto maggiore è la disponibilità di
risorse alternative. In altri termini esiste la possibilità che tali specie, potendo contare su una
grande varietà di fonti alternative, siano in grado di esercitare "opportunisticamente" una
costante ed elevata pressione predatoria sulla selvaggina indipendentemente dalle oscillazioni
numeriche di quest’ultima. Tale pressione può risultare particolarmente elevata proprio perchè
non compensata dai normali meccanismi di "feedback".
Densità e struttura delle popolazioni
La densità di una popolazione naturale è soggetta sempre a modificazioni stagionali,
eventualmente anche di medio-lungo periodo, pertanto i confronti tra densità rilevate in aree
diverse hanno senso se riferiti al medesimo periodo stagionale. Le densità rilevate in natura
risultano estremamente variabili, come conseguenza delle caratteristiche di plasticità della specie
già evidenziate. Le risorse trofiche rivestono comunque un ruolo decisivo nel determinare la
dimensione dei territori vitali e, di conseguenza, la densità della popolazione. Il rapporto tra i
sessi, paritario alla nascita, subisce in seguito modificazioni che possono essere anche legate
all’andamento stagionale della mortalità. Il rapporto tra le classi di età vede in genere una elevata
percentuale di giovani dell’anno e subadulti, condizione che va collegata da un lato alla
mediamente alta produttività delle popolazioni di volpe, dall’altro all’elevato tasso di mortalità,
in gran parte da collegare al prelievo operato dall’uomo e a malattie infettive, come la rabbia, o
parassitosi, come la rogna sarcoptica, che le caratterizza.
Tassi elevati di mortalità e di produttività inducono evidentemente nella popolazione un elevato
turn-over annuale, stimabile mediamente attorno ai 2/3 dell’intera popolazione post-riproduttiva
(Lloyd et al., 1976) con conseguenze importanti dal punto di vista gestionale.
Meccanismi di autoregolazione della popolazione
Tutte le popolazioni animali possiedono meccanismi che tendono a mantenere il numero degli
individui in equilibrio con le risorse ambientali disponibili. In termini estremamente sintetici,
esiste un numero ottimale di individui a cui tende la popolazione in un dato territorio e che
resterà invariato una volta raggiunto l’equilibrio. Il numero di individui della popolazione può
diminuire drasticamente a seguito di eventi anormali di mortalità, quali epizoozie, eventi
climatici o prelievo da parte dell’uomo, tuttavia il numero tenderà a riassestarsi verso
l’equilibrio, una volta che cessi l’azione del fattore limitante. La velocità con cui la popolazione
ricostituisce le dimensioni ottimali dipende da numerose caratteristiche proprie delle varie specie
e delle varie popolazioni. Nel caso della volpe è stato più volte osservato come questa velocità
sia elevatissima, grazie proprio ai parametri descritti in precedenza per le popolazioni volpine.

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Ad una riduzione della densità dovuta a fattori esterni la popolazione può rispondere
essenzialmente attraverso tre modalità: l’aumento del tasso di natalità, la diminuzione del tasso
di mortalità e l’aumento del tasso di immigrazione; risulta quindi evidente come l’elevata
produttività, il rapido turn-over e l’esistenza di una cospicua frazione "itinerante" siano tutti
elementi che consentono una rapida ripresa della popolazione di volpi in seguito a eventi che ne
abbassino drasticamente la densità locale.

Aspetti gestionali
Il ruolo della volpe, sia dal punto di vista ecologico sia nell'ambito della gestione faunistico-
venatoria, è stato oggetto di numerosissimi studi in tutto il mondo. D’altra parte, proprio per
l’estrema capacità della volpe di adattarsi alle condizioni ambientali più diverse, i risultati e le
conclusioni sono spesso di difficile generalizzazione. Sulla base degli elementi che emergono
dall'imponente mole di dati disponibile è comunque possibile definire un quadro generale
relativamente al ruolo ecologico della volpe e alle possibili strategie gestionali in funzione dei
vari scenari ambientali e antropici.
Di seguito vengono discussi brevemente i principali problemi concernenti l’impatto sulla
selvaggina e sulle attività umane, le tecniche di censimento, le problematiche legate al prelievo
venatorio e al controllo delle popolazioni. Gran parte delle informazioni e delle considerazioni
sono tratte da MacDonald (1987), Boitani e Vinditti (1988), Toso e Giovannini (1991), opere a
cui si rimanda per una trattazione più dettagliata.
Censimenti e indici di abbondanza
La conoscenza della consistenza e della dinamica delle popolazioni naturali è un elemento
imprescindibile per la loro corretta gestione, tuttavia le difficoltà tecniche e l’impegno necessario
al raggiungimento di questi obiettivi possono essere estremamente variabili a seconda delle
caratteristiche biologiche di ciascuna specie e delle condizioni ambientali in cui si deve operare.
Nel caso della volpe, come di altri carnivori, è quasi sempre molto difficile raggiungere buone
stime di densità, se non a prezzo di sforzi che risultano in genere improponibili. In particolare i
censimenti diretti, cioè basati sull’avvistamento diretto degli animali, sono applicabili solo in
condizioni estremamente favorevoli, che solo molto raramente si verificano (Sargeant et al.,
1975), mentre più utilizzabili risultano metodi di stima indiretta della popolazione. I metodi
indiretti considerati più utilmente applicabili per la volpe sono:
1) Cattura-marcatura-ricattura, anche noto come Indice di Lincoln-Petersen.
Questo metodo, in termini molto sintetici, prevede la cattura di un certo numero di individui in
una certa area, il loro marcamento e il successivo rilascio. Successivamente, dopo un lasso di
tempo prestabilito, si procede a una seconda campagna di catture e si verifica il rapporto

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numerico esistente tra gli individui marcati e quelli non marcati all’interno del campione
catturato. Attraverso alcune semplici elaborazioni è possibile ottenere una buona stima del
numero complessivo di individui presenti.
2) Conta del numero di tane occupate.
Dopo una prima fase in cui si procede, durante la stagione di inutilizzo, alla individuazione e
mappatura di tutte le tane presenti in una certa area, si effettua il conteggio delle tane
effettivamente utilizzate in epoca riproduttiva. In questo senso il dato ottenibile non può che
rappresentare un indice di abbondanza a meno che siano noti, attraverso altre indagini, alcuni
parametri essenziali della popolazione (percentuale di femmine che non si riproduce, rapp. ind.
territoriali/ind. itineranti ecc.).
3) Il conteggio delle tracce e/o delle feci su transetti definiti.
Prevede l’effettuazione regolare di percorsi definiti a priori, con terreno umido o preferibilmente
innevato. Fornisce un buon indice di abbondanza laddove esistano condizioni ambientali
favorevoli, oppure predisponendo artificialmente strisce di terreno sabbioso in cui effettuare il
conteggio delle tracce.
4) Il ritmo di frequentazione di stazioni odorifere.
Permette di stimare il numero di individui presenti attraverso il conteggio delle tracce rilevate nei
pressi di stazioni predisposte con esche odorose lungo percorsi casuali di lunghezza
proporzionale all’area da indagare. Le esche vengono poste a distanza di alcune centinaia di
metri al centro di una piccola superficie di terreno approntato in modo da facilitare la lettura
delle tracce, successivamente, per alcuni giorni, si procede al conteggio giornaliero delle tracce
avendo cura di ripristinare il terreno attorno alle esche. Dopo un sufficiente numero di conteggi è
possibile con semplici formule calcolare il numero di individui presenti nell’area.
5) Il numero di capi abbattuti, che rappresenta un indice della popolazione totale presente
nell'area campione nel momento in cui è stato effettuato il prelievo (Indice Cinegetico
d’Abbondanza).
E’ uno degli indici più tradizionali e largamente utilizzati nei paesi in cui sono disponibili
esaustive e attendibili statistiche sugli abbattimenti venatori. E’ utile soprattutto per valutare la
dinamica di una popolazione a condizione che sia rispettato l’assunto fondamentale, cioè la
costanza nel tempo dello sforzo di caccia. In Italia, ad eccezione di situazioni circoscritte, si
presenta di difficile applicazione a causa della incompletezza dei dati disponibili sugli
abbattimenti venatori.
La raccolta e l'esame sanitario e biometrico delle volpi abbattute possono inoltre fornire
informazioni accessorie sulla biologia della specie e sulle caratteristiche della popolazione in un

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determinato ambito territoriale (rapporto sessi e classi di età, regime alimentare, ecc.) che sono di
grande interesse per orientare le scelte gestionali.
Prelievo venatorio
In Italia la volpe è specie cacciabile, ai sensi della L. N. 157/92, dalla terza domenica di
settembre al 31 gennaio. Le normative regionali possono regolamentare ulteriormente il prelievo.
Così come avviene per altre specie di interesse venatorio non sono disponibili stime attendibili
delle popolazioni oggetto di prelievo, nè viene in genere effettuata alcuna quantificazione o
pianificazione del prelievo. A seguito dello status legale di "nocivo" attribuito per lungo tempo
alla volpe dal T.U. sulla caccia e modificato solo nel 1977, in generale in Italia l'importanza
cinegetica della volpe si può definire decisamente modesta per la pressochè totale mancanza di
tradizioni specifiche. Non a caso il prelievo è stato e viene effettuato in gran parte al di fuori del
normale periodo di caccia, cioè dopo la chiusura dell'attività venatoria alla selvaggina stanziale,
da squadre con cani da seguita, secondo una regolamentazione più o meno dettagliata, dettata
dalle diverse Amministrazioni Provinciali. Occorre evidenziare che in questo modo i cacciatori,
esercitando un prelievo che deve essere configurato non come una attività sportiva, bensì quale
forma di controllo in applicazione dell’art. 19 della legge 157/92, vengono investiti di un ruolo
del quale dovrebbe farsi carico l’Ente pubblico attraverso proprio personale addestrato e
qualificato. Ciò è una conseguenza del fatto che esiste tuttora una certa commistione concettuale
e metodologica, anche a livello normativo, tra il prelievo sportivo della fauna selvatica e il
controllo delle popolazioni.
Controllo della popolazione volpina. Il problema del rapporto costi/benefici
In accordo con la L. N. 157/92 (art. 19), il controllo di popolazioni animali appartenenti a specie
cacciabili può essere ammesso qualora queste arrechino danni alle produzioni zoo-agro-forestali
ed ittiche. Nel caso della volpe la risorsa economica danneggiata è costituita quasi
esclusivamente da animali di bassa corte allevati in maniera non confinata o in spazi di
stabulazione non sufficientemente protetti. Alcune semplici ed economiche misure preventive
possono ridurre sensibilmente, se non eliminare, i danni provocati dalla predazione delle volpi,
ad esempio il ricovero notturno degli animali e la recinzione degli allevamenti con robusta rete
metallica interrata e con la parte terminale sporgente verso l'esterno. Assai più complesso è il
problema legato all’impatto della predazione sulle specie selvatiche d'interesse venatorio.
L'effetto della predazione della volpe sulla selvaggina è infatti assai variabile in dipendenza di
numerosi fattori locali. Ad esempio sia le densità del predatore sia quelle delle specie predate, la
disponibilità e la dispersione di fonti di cibo alternative e, nel caso dei ripopolamenti, il grado di
adattabilità degli animali immessi e le tecniche di rilascio utilizzate.

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I dati ottenibili dagli studi sul regime alimentare della volpe forniscono informazioni puramente
indicative, poiché, come è già stato evidenziato, tendono a valutare l'importanza relativa delle
diverse specie preda nello spettro di predazione del carnivoro, ma non sono in grado di
quantificare l'effetto limitante per le diverse specie predate. Da diversi autori la volpe viene
indicata come la specie cui va ascritta in termini percentuali le maggiore predazione a carico di
Anatidi, Galliformi e Lagomorfi, tuttavia anche questa constatazione non è di per sè sufficiente a
chiarire l’importanza della predazione in rapporto ad esempio ad altri fattori limitanti.
In generale, sulla base dei dati disponibili, è possibile affermare che, almeno nel caso dei
Galliformi, la predazione non influenza significativamente la densità delle popolazioni nel
periodo preriproduttivo e di conseguenza le variazioni della consistenza media sul medio e lungo
periodo, tuttavia può determinare una contrazione anche notevole della produttività, entrando
localmente in conflitto diretto con gli interessi del mondo venatorio. E’ peraltro lecito e
ragionevole ipotizzare che laddove esistono buone densità di selvaggina, come nelle aree protette
ed in particolare nelle oasi e nelle zone di ripopolamento e cattura, la predazione della volpe
possa limitare la produttività di talune specie. Inoltre, nella grande maggioranza dei casi, queste
aree occupano superfici modeste e si presentano fortemente disperse nel territorio e tale
condizione può contribuire a determinare una maggiore concentrazione delle volpi in queste
zone.
In definitiva quindi l’impatto sulla selvaggina della volpe, così come di altri predatori, seppur di
difficile quantificazione, è stato confermato da vari studi, oltre ad essere peraltro intuitivo. In
questo senso sembrerebbe pertanto più che giustificabile la posizione dell’ambiente venatorio,
che considera il controllo della volpe come un importante strumento gestionale nell’ottica del
miglioramento quali-quantitativo dei popolamenti della piccola selvaggina. In realtà, pur
condividendo l’esistenza dell’impatto predatorio esercitato dalla volpe, molti tecnici e studiosi di
ecologia non concordano con questo approccio, infatti il punto di contrasto che spesso emerge
con l’ambiente venatorio non sta nell’ammettere una certa pressione della volpe sulla selvaggina,
quanto sulla reale possibilità di intervenire efficacemente per limitare tale pressione. Osservando
i dati disponibili relativi alle campagne di abbattimento e controllo delle volpi non si può non
notare come il numero di volpi abbattute si mantenga pressoché stabile per molti anni nelle
stesse aree a parità di sforzo. Ciò indica chiaramente come il prelievo non abbia prodotto alcuna
diminuzione della popolazione di volpe, la quale ha evidentemente compensato immediatamente
le perdite subite grazie ai meccanismi di autoregolazione illustrati in precedenza. La cosa è
ampiamente confermata dai ripetuti tentativi, inesorabilmente falliti, di bloccare l’avanzata della
rabbia silvestre, effettuati in tutta Europa per decenni, attraverso la riduzione delle popolazioni
volpine in natura. In molte circostanze si hanno buone ragioni per sostenere che tali interventi di

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controllo abbiano in realtà provocato una accelerazione del fronte epizootico, proprio perché
l’eliminazione delle volpi residenti richiama altre volpi, spesso portatrici dell’infezione, da
territori limitrofi. Solo attraverso campagne diffuse di vaccinazione delle volpi è stato possibile
fermare l’avanzata della malattia, proprio perché le volpi residenti, una volta vaccinate,
costituiscono un fronte immune che impedisce a eventuali volpi infette provenienti da altre aree
di assestarsi sul territorio e di estendere il contagio. In realtà i mezzi utilizzabili dal punto di vista
tecnico e legale per il controllo diretto delle volpi non sono abbastanza efficaci da garantire il
prelievo di una quota consistente della popolazione, a meno di un impegno, in termini di uomini,
mezzi e denaro, decisamente sproporzionato in relazione ai possibili benefici. D'altra parte l'uso
di mezzi non selettivi non è consentito dall'attuale legislazione italiana e pone, oltre a gravi ed
evidenti problemi di tipo conservazionistico, anche problemi di sicurezza e di etica. Inoltre una
ipotetica campagna di drastico controllo, oltre che realizzabile solo in aree molto limitate,
dovrebbe mantenersi costante nel tempo, pena la vanificazione dei risultati non appena si
allentasse la pressione. Ciò induce diversi autori a ritenere che un controllo di popolazione della
volpe realmente efficace risulti virtualmente impossibile con il solo ricorso a mezzi strettamente
selettivi (armi da fuoco) e mettendo in atto uno sforzo realizzabile nel contesto della gestione
faunistica corrente.
Tutti questi elementi rendono scettici gli ecologi sulla reale convenienza, in termini di risorse
impiegate e di risultati ottenibili, delle operazioni di controllo diretto della volpe, se non
finalizzate al raggiungimento di obiettivi molto precisi e limitati nel tempo e nello spazio.
In effetti occorre ricordare che il controllo dei predatori e della volpe in particolare non è che uno
degli strumenti in grado di agire sulla dinamica delle popolazioni di specie di interesse
cinegetico. Ad esso infatti possono essere contrapposti altri interventi gestionali, riferibili qui
genericamente come miglioramenti ambientali, i quali sono in grado di determinare un notevole
aumento della densità media dei popolamenti di piccola selvaggina e, contrariamente al controllo
dei predatori, producono effetti indotti di tipo ecologico, paesaggistico ed estetico positivi ed
apprezzabili da parte della generalità dell'opinione pubblica.
Non va infine dimenticato che ogni modificazione stabile di una popolazione animale non può
ottenersi che intervenendo sul suo habitat, agendo soprattutto sulle risorse alimentari disponibili.
In questo senso predatori opportunisti come la volpe possono essere controllati assai più
proficuamente attraverso misure indirette, tese cioè all'inibizione dei fattori ecologici che stanno
alla base dell’aumento locale delle popolazioni volpine, in particolare:
a) La graduale eliminazione delle discariche di rifiuti a cielo aperto o, quantomeno, la recinzione
delle stesse a prova di animale;

72
b) L’eliminazione delle operazioni di ripopolamento intese come massiccio rilascio di selvaggina
allevata piuttosto che come reintroduzioni operate su corrette basi tecnico-scientifiche.
c) L’eliminazione di tutte le fonti alimentari di origine antropica, quali le discariche abusive,
soprattutto avicole, e quant'altro rappresenta scarto della produzione dell’allevamento.
Nel caso si intenda procedere al controllo diretto delle popolazioni di volpe si dovranno adottare
i metodi caratterizzati dal miglior rapporto tra sforzo e risultati ottenibili e dal minor disturbo
verso altre specie. In tal senso gli interventi alle tane con l’ausilio di cani specializzati (terriers e
bassotti) durante il periodo riproduttivo ed il tiro notturno con carabina di piccolo calibro dotata
di ottica di mira e l’uso del faro a mano (nel periodo compreso tra settembre e marzo)
rappresentano le scelte migliori.

DONNOLA Mustela nivalis


Lunghezza testa corpo: 15-27 cm; lunghezza coda 4-9 cm.
Peso: 40-130 g.
Distribuzione: presente in tutta l’Europa fuorché Irlanda e Islanda, fino alla Siberia e all’America
del nord. In Italia è presente in tutta la penisola e le grandi isole.
Caratteristiche generali
E’ il più piccolo dei Mustelidi europei ed è caratterizzato dal piccolo corpo allungato sorretto da
arti assai corti. Testa piccola con orecchie poco rilevate, collo forte e lungo. La pelliccia è beige-
rossiccia con mento, gola e parti inferiori biancastre, con contorni ed estensione delle macchie
molto variabili. Agilissima, è specializzata nell’introdursi in tane e pertugi dove caccia
soprattutto micromammiferi. Non arrampica ma corre e nuota velocemente. La Donnola può
essere predata frequentemente da altri carnivori e uccelli rapaci.
Status
Frequenta una notevole diversità di ambienti in tutto l’areale distributivo e le sue popolazioni si
trovano generalmente in buono stato. Spesso perseguitata per i supposti danni agli uccelli
nidificanti a terra, in effetti questo aspetto è probabilmente bilanciato dalla notevole massa di
roditori asportata dall’ambiente (Cavazza 1910, King 1989). I rapporti nazionali la indicano da
sempre come presente ovunque e numerosa (Ghigi 1911, Cavazza 1912, Bertusi e Tosetti, 1986).
Anche attualmente la specie sembra ancora aver poco risentito negativamente dei cambiamenti
ambientali ed è segnalata in quasi tutti i contesti regionali. Tra le cause di mortalità legate
all’uomo vanno segnalate il traffico veicolare e l’uso massiccio di esche ratticide, che determina
spesso la presenza di anticoagulanti nelle sue prede, soprattutto in vicinanza di centri abitati e
allevamenti. Ricerche sugli endoparassiti (Poglayen et al.1996) di questa specie aprono

73
interessanti spunti di indagine sui cicli di alcune parassitosi anche trasmissibili all’uomo.
Mancano comunque studi specifici sulla specie nell’ambito di indagine così come determinazioni
di trend generale.

PUZZOLA Mustela putorius


Lunghezza testa corpo: 32-45 cm; lunghezza coda 13-19 cm.
Peso: 500 - 1400 g.
Distribuzione: in Europa dalla penisola iberica agli Urali con limite settentrionale nel Galles,
Svezia e Finlandia meridionali. In Italia è presente in tutta la penisola, mentre manca in Sicilia e
Sardegna.
Caratteristiche generali
Tipico mustelide con corpo cilindrico, sinuoso e corte zampe. Testa piccola e appiattita e lungo
collo. La Puzzola è facilmente riconoscibile per il pelame caratterizzato da borra lanuginosa
color crema-ruggine sul dorso, con lunghi peli di giarra dall’apice nero. Parti inferiori, coda e
zampe brune. Caratteristica la "maschera" con mento, labbro superiore e sopracciglio biancastro
così come il bordo delle orecchie, che contrasta con una zona scura a cavallo del naso.
Gli ambienti preferiti sono quelli planiziali e rivieraschi, ma si adatta bene anche ad aree
collinari, coltivi e varie formazioni forestali. In generale sembra comunque preferire zone a
scarsa presenza antropica. Strettamente carnivora, si nutre di micromammiferi, uccelli, pesci,
anfibi e rettili. Vive sul terreno dove cerca riparo nella vegetazione o sotto cumuli di legname,
spesso riutilizzando tane scavate da altre specie. Si arrampica raramente e con scarsa abilità.
Possiede ghiandole anali che utilizza per la marcatura del territorio e che in caso di allarme
possono secernere un liquido assai maleodorante.
Status
La puzzola viene considerata in tutta Europa in generale decremento, sebbene localmente stabile
(cfr. Weber, 1988; Lodé, 1988). La sua importanza nel ruolo di regolatore di varie componenti
dell’ecosistema è stata più volte riconosciuta così come è stata ridimensionata la supposta
pesante predazione sui Fasianidi (Blandford, 1988).
In Italia la specie era considerata largamente distribuita e abbastanza comune in numerosi
ambienti (AA.VV., 1981) e in Emilia Romagna è stata segnalata come "numerosa" e presente in
tutta la regione (Bertusi e Tosetti, 1986). Attualmente appare ancora discretamente distribuita sul
territorio regionale, in particolare nei territori collinari e montani, ma presente anche in diversi
distretti di pianura dove il paesaggio non è stato ancora completamente modificato dagli
interventi di urbanizzazione e dall’agricoltura intensiva. In regione, come nel resto d’Italia, non

74
sono disponibili studi sulle popolazioni di questo Mustelide. In generale si rileva come estensivi
drenaggi, eradicazione di siepi e meccanizzazione dell’agricoltura siano fattori deprimenti,
mentre estesi programmi di recupero forestale sembrano risultare favorevoli (Corbet e Harris,
1991). In considerazione del fatto che viene indicata come vittima frequentemente di incidenti
stradali (Corbet e Harris, 1991), il numero limitato di esemplari che attualmente vengono
recuperati, soprattutto a confronto con la faina, fa pensare ad una notevole rarefazione delle sue
popolazioni negli ultimi venti anni (Scaravelli, dati non pubb.). Mancano comunque studi
specifici sulla specie nell’ambito di indagine così come determinazioni di trend generale.

LONTRA Lutra lutra


Lunghezza testa-corpo: 60-85 cm; lunghezza coda 35-55 cm.
Peso: 7-10 kg.
Distribuzione: Regione Paleartica e Indocinese. In Europa manca dall’Islanda e dalle isole del
Mediterraneo. Fortemente diminuita e attualmente rara in molti paesi.
Caratteristiche generali
Ha capo e muso rotondeggianti, orecchie corte, corpo allungato e affusolato, fortemente
idrodinamico, con zampe corte e piedi palmati, la coda è lunga, con attaccatura robusta ed
estremità appuntita. Il mantello è di colore grigio-bruno sul dorso e sui fianchi, biancastro sul
ventre. Il pelo è fitto e idrorepellente. Legata esclusivamente agli ambienti acquatici, frequenta
fiumi e torrenti, specchi d’acqua, lagune e paludi, dal livello del mare fino a oltre 1500 m. Si
nutre prevalentemente di pesci, crostacei e molluschi che cattura generalmente sott’acqua, ma
anche di anfibi, uccelli e mammiferi. I maschi sono territoriali e possono convivere con più
femmine, con le quali possono accoppiarsi durante ogni periodo dell’anno.
Status
In Europa la Lontra è considerata comune e abbondante solo in Irlanda, Scozia, Portogallo,
Grecia e Finlandia, mentre è in decremento, rara o estinta in gran parte degli altri paesi
occidentali (Foster-Turley et al., 1990 in Fumagalli e Prigioni, 1993). In Italia, nonostante la
protezione legale accordata nel 1976, la specie ha continuato a diminuire, proseguendo un
decremento numerico accompagnato da frammentazione dell’areale, iniziato in questo secolo
(Cagnolaro et al., 1975; Fumagalli e Prigioni, 1993). Attualmente i nuclei più consistenti,
peraltro di modeste dimensioni, sono localizzati in Basilicata, Campania e Toscana (Fumagalli e
Prigioni, 1993).
In regione alla metà degli anni ‘80 la specie è stata oggetto di uno studio sulla distribuzione,
durante il quale sono state raccolte segnalazioni di presenza per il modenese e il basso ferrarese

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(Bogliani, 1984; Bertusi e Tosetti, 1986). Una ricerca specifica sulla presenza della lontra,
condotta limitatamente ad alcuni bacini fluviali delle province di Parma e Reggio-Emilia
(Beseghi e Donati, 1987) aveva dato esito positivo per il lago Calamone e vari siti del fiume
Enza, tuttavia gli stessi Autori sottolineavano la precarietà della sopravvivenza della specie in
assenza di tempestive misure di salvaguardia. Attualmente mancano indicazioni della presenza
della specie in regione da quasi un decennio e frammentarie segnalazioni possono
ragionevolmente essere attribuite alla nutria o al visone americano (Mustela vison), specie di cui
sono presenti localmente individui sfuggiti alla cattività. Pertanto la lontra, dal momento che la
situazione non consente di confermare la presenza di individui nè tantomeno di una popolazione
sufficientemente vitale, deve essere considerata estinta in regione in assenza di evidenze
contrarie. Le cause del declino e spesso dell’estinzione locale sono state individuate dapprima
nella persecuzione diretta, successivamente nell’inquinamento dei corsi d’acqua e nelle
modificazioni ambientali. Una strategia nazionale di intervento complessiva viene considerata
indispensabile per impedire in Italia l’estinzione della specie in un arco di tempo stimato in pochi
decenni (Fumagalli e Prigioni, 1993).

FAINA Martes foina


Lunghezza testa corpo: 42-47 cm; lunghezza coda 23-26 cm.
Peso: 1,3-2,3 Kg.
Distribuzione: diffusa in Europa centromeridionale e fino all’Himalaia. In Italia è presente in
tutta la penisola, assente dalle grandi isole.
Caratteristiche generali
Mustelide sinuoso di dimensioni simili a quelle di un gatto domestico, ha testa abbastanza grande
e coda consistente. Il pelo è folto, bruno-grigiastro con evidente macchia biancastra dai contorni
e dimensioni assai variabili su gola e petto. Abile arrampicatrice, capace di una rapida corsa con
i tipici balzi e di un nuoto forte e rapido, si adatta ai più svariati ambienti. I rifugi sono ricavati in
cavi di alberi e rocce ma anche in legnaie, magazzini e solai, anche in pieno ambito urbano. E’
una specie assai plastica che appare negli ultimi anni sempre meglio adattatarsi alla convivenza
con l’uomo. Da sempre vive vicino e in parte a spese delle piccole aziende rurali ma oggi anche
nelle cittadine e addirittura nelle metropoli (cfr. Scaravelli, 1993). Si nutre di piccoli vertebrati,
uova, invertebrati e frutta, adattandosi senza difficoltà alle diverse disponibilità locali o
stagionali.
Status

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La specie mostra segni di incremento in tutto il suo areale distributivo, riconducibile sia alla
protezione quasi ovunque accordatale sia alla disponibilità di alimenti e rifugi creati dalla
vicinanza con l’uomo. Secondo Ghigi (1911) e Cavazza (1912) la specie era ubiquitaria e
comune su tutto il territorio nazionale, rendendosi responasbile di frequenti ruberie sugli animali
di bassa corte. In regione veniva considerata negli anni ‘80 presente "ovunque" ma "poco
numerosa" (Bertusi e Tosetti, 1986). Attualmente, assieme alla Donnola, può essere considerato
il mustelide più ampiamente distribuito sul territorio regionale, con popolazioni in lieve
incremento. E’ spesso vittima degli incidenti stradali, così come dell’ingestione di esche e di
topicidi attraverso le prede.
Appare sempre più sinantropica e la sua presenza è segnalata anche nei centri storici delle città di
maggiori dimensioni (Scaravelli ined.). Mancano comunque studi specifici sulla specie
nell’ambito di indagine così come determinazioni di trend generale.

TASSO Meles meles


Lunghezza testa corpo: 61-73 cm; lunghezza coda 15-19 cm.
Peso: 10-16 Kg.
Distribuzione: presente in tutta Europa e fino al Giappone e parti della Cina con limite
settentrionale in Scozia, Svezia e Finlandia centrali. In Italia è presente in tutta la penisola, ma
non nelle isole.
Caratteristiche generali
Presenta forme tozze anche a causa del folto pelo bruno- grigiastro presente sul dorso e sui
fianchi. Zampe relativamente corte e piedi larghi con le cinque dita allineate nella classica forma
plantigrada. Caratteristico il colore biancastro del muso e della testa con due marcate linee nere
che si dipartono dai lati del muso, passano attorno all’occhio e arrivano alle orecchie. Abita una
notevole varietà di ambienti dal livello del mare fino a circa 2000 m di quota. Vive in "clan",
costituiti da 10-15 individui e caratterizzati da complesse strutture sociali, che occupano territori
estesi fino a un centinaio di ettari. Le tane sono sistemi ipogei, spesso scavati nelle giunzioni di
strati, che vengono utilizzati per molti anni, divenendo assai voluminose ed articolate. Durante
l’inverno gli animali cadono in una sorta di semi torpore anche se non raggiungono un vero
letargo. Di abitudini strettamente notturne, cattura vari invertebrati, soprattutto lombrichi, e
piccoli vertebrati, oltre a cereali, frutta, tuberi ed altri vegetali. Non disdegna le carogne così
come i funghi. Possiede ghiandole anali che utilizza per la marcatura del territorio. Le feci
vengono usualmente deposte in piccole buche, dette "latrine" scavate in punti specifici del
territorio.

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Status
Il Tasso adulto è praticamente senza nemici e solo i giovani possono essere insidiati da Canidi
(Corbet e Harris, 1991). Storicamente presente ovunque sul territorio nazionale, sebbene con
densità assai differenti (Ghigi, 1911), ha subito una notevole contrazione a causa della
persecuzione cui è stato oggetto quale animale "nocivo", oltre che per le mutate condizioni
ambientali. Per la regione è stata descritta (AA.VV., 1981) una distribuzione del mustelide che
comprende le aree collinari e montane, escludendo i territori di pianura. Successivamente Bertusi
e Tosetti (1986) citano la specie come "comune", presente "ovunque, meno frequente in
pianura". Negli ultimi anni si è certamente registrata una fase espansiva verso i territori di
pianura, normalmente attraverso le aste fluviali, che possono rappresentare corridoi ecologici
adatti, come rilevato nel bolognese, nel modenese e più in generale nell’intera Emilia. Anche in
ambito regionale esistono le prime indicazioni di una possibile colonizzazione delle aree urbane
da parte del Tasso, come dimostrano avvistamenti, investimenti e segnalazioni provenienti da
alcune cittadine, anche se al momento la situazione è certo lontana da quelle documentate in
Gran Bretagna (Harris, 1994).
Sono stati registrati danni localizzati prodotti da scavi del mustelide all’interno di argini di fiumi,
in quanto all’innalzamento del livello idrico si sono poi verificate inondazioni per collasso del
terrapieno. Lo scavo di tane in prossimità di aree di circolazione o comunque di lavoro può
anche dare, in caso di passaggio con mezzi pesanti, la possibilità di pericolosi franamenti. Non
sembra al momento ipotizzabile che la specie possa produrre danni consistenti alle attività
agricole, anche perchè scarsamente presente nelle zone con colture di alto pregio. Si osservano in
genere modeste asportazioni di cereali anche se a volte sono stati rilevati estesi allettamenti.
Anche i danni ad animali da cortile sono rari così come appare scarsamente rilevante la pressione
su specie di interesse venatorio. Se da un lato il Tasso può creare alcuni problemi, sono peraltro
indubbi i vantaggi derivanti dal ruolo che la specie ricopre soprattutto nelle aree forestate (Neal,
1986).
La specie è spesso vittima di incidenti stradali, così come di campagne di controllo destinate alla
Volpe. Sono stati inoltre segnalati diversi casi di mortalità per avvelenamento da esche. Mancano
comunque studi specifici sulla specie nell’ambito di indagine così come determinazioni di trend
generale.

DAINO Dama dama


Lunghezza testa-tronco: 155-160 cm (maschi), 130-135 (femmine)
Lunghezza coda: 19-20 cm

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Altezza al garrese: 85-95 cm (maschi), 70-80 (femmine)
Peso corporeo medio: 70-90 kg (maschi), 45-55 kg (femmine)
Distribuzione: Originario della penisola anatolica, esportato probabilmente già in epoca
protostorica nel bacino del Mediterraneo, oggi è diffuso in una quarantina di paesi del mondo.
Caratteristiche generali
Cervide di medie dimensioni, è riconoscibile per la pomellatura estiva e la coda relativamente
lunga. Il maschio adulto ("palancone") possiede tipicamente un palco palmato. Estremamente
adattabile, può trasformarsi da pascolatore di erbe a brucatore di germogli e foglie. Tende a
preferire i boschi mediterranei e submediterranei e a evitare zone a forte e persistente
innevamento. La buona fertilità è frutto anche della duttilità nelle strategie riproduttive: i maschi
possono adottarne addirittura cinque diverse (territorio singolo difeso, arena ma anche harem,
gerarchia di accesso alle femmine e inseguimento individuale). Può raggiungere elevate densità
senza sensibili cali qualitativi. Il culmine degli amori è a ottobre. Intorno a fine maggio-inizi
giugno le femmine danno alla luce un piccolo.
Status e distribuzione
La specie è stata introdotta con grande disinvoltura in molte parti della penisola. Liberazioni
deliberate e fughe accidentali da recinti hanno permesso al daino di diffondersi raggiungendo
consistenze ragguardevoli, creando problemi di sovrapascolo e di competizione con altri
ungulati.
Nella Regione Emilia-Romagna il daino è stato caratterizzato da una distribuzione piuttosto
localizzata fino alla prima metà degli anni '80, si è in seguito espanso notevolmente,
raggiungendo anche densità elevate. Oggi l'areale appare perlopiù discontinuo, con molte
popolazioni isolate e disperse sul territorio: solo nel Bolognese e nel Modenese la specie è
distribuita in modo più uniforme. Nell'alto Bolognese occidentale e nell'alto Forlivese i
popolamenti attuali derivano dai nuclei fondati dal Corpo Forestale dello Stato sul versante
appenninico toscano o sul crinale di confine (Alto Pistoiese, Casentino, Val Tiberina). Nel
Modenese si sono originati prevalentemente da liberazioni da una decina di recinti operate
sempre dal Corpo Forestale dello Stato a partire già dagli anni '60 (Ferri 1993). Nell'alto
Bolognese centrale i daini sembrano derivare soprattutto da immissioni effettuate negli anni '70
dall'Amministrazione Provinciale, mentre nelle colline (per es. Parco dei Gessi e dintorni) i
nuclei attuali sono in prevalenza sorti a partire da fughe da recinti di privati. Nella fascia
collinare reggiana i daini derivano da fuoriuscite da recinti in parchi-giardini e aziende
faunistiche, già dalla fine degli anni '70. Nell'alto e medio Appennino parmense si sono originati
da lanci e fughe da recinti del Corpo Forestale dello Stato e dell'Amministrazione Provinciale. Il
daino risulta mancare nel Piacentino, nel Bolognese orientale e nel Ravennate. Nel Ferrarese è

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presente un consistente nucleo di daini nella Riserva Naturale Gran Bosco della Mesola. Nel
1980 contava almeno 280 capi, divenuti 470 nel 1983 (Perco 1984). Dal 1985 al 1995 questa
popolazione ha fluttuato tra i 500 e i 1.000 esemplari, con densità di ben 50-120 capi per kmq
(Mattioli 1996). In provincia di Modena, su una superficie totale censita di 51 kmq, nel 1996 si
sono registrate densità tra gli 0,7 e i 17,3 capi per kmq (media 5,2 daini/kmq). In provincia di
Bologna, su 145 kmq di zone di censimento è stata rilevata una densità media di 4,6 capi per
kmq (campo di variazione: 2,5-13,2).
La specie mostra grande adattabilità, frequentando gran parte degli ambienti presenti e tendendo
ad evitare solo le aree oltre i 900-1.000 m. La distribuzione discontinua, le densità locali
disomogenee e una situazione generale tutt'altro che assestata, rendono difficile una valutazione
della consistenza a livello regionale: l'ordine di grandezza dovrebbe comunque aggirarsi intorno
a qualche migliaio di capi.
Linee di gestione
Il daino si può senza dubbio definire specie non autoctona. Probabilmente la sua estinzione in
Italia risale al termine del Pleistocene Superiore. Il daino era stato presente a partire dagli inizi
del Pleistocene Medio, soprattutto in corrispondenza dei periodi interglaciali e delle fasi
interstadiali calde dei periodi glaciali, in Italia e in buona parte d'Europa (Leonardi e Petronio
1976, Lister 1984, Heidemann 1986). Durante l'ultima glaciazione, prima di scomparire dalla
Penisola, si ritirò in alcune aree rifugio a clima mite dell’Italia centro-meridionale. Di una sua
sopravvivenza nel periodo iniziale dell'Olocene esistono solo deboli indizi (cfr Masseti e
Rustioni 1988). A quanto pare al termine dell'ultima glaciazione l'areale principale del daino
coincideva con la penisola anatolica; piccoli nuclei relitti resistettero per qualche tempo nella
penisola balcanica (Bökönyi 1971). Già in epoca tardo-preistorica e proto-storica si verificò un
tentativo di addomesticamento, seguito da una sua diffusione artificiale nel Mediterraneo
orientale (Cicladi) (Heidemann 1986). In epoca storica prima i Fenici e i Greci probabilmente lo
introdussero nel resto delle coste mediterranee, poi i Romani lo trasportarono in alcune zone
dell'Europa continentale; più tardi i Normanni lo importarono in Gran Bretagna (cfr Chapman e
Chapman 1976). Ospite regolare dei parchi nobiliari europei nel Medioevo e nel Rinascimento, il
daino ha trovato nuova fortuna solo in questi ultimi decenni.
Come si è visto, il daino è oggi presente in Emilia-Romagna con una distribuzione tutt'altro che
limitata. Nell'ultimo decennio, grazie anche alle strategie riproduttive differenziate, alla
particolare organizzazione spaziale, alle modalità di dispersione delle classi giovanili, si è passati
da presenze episodiche con piccoli nuclei isolati e sparsi sul territorio collinare e montano ad
areali ampi e continui. In molti casi, entrando in competizione alimentare e spaziale con specie
autoctone come il capriolo e il cervo, il daino ha avuto decisamente la meglio.

80
Il contenimento del daino rappresenta uno degli obbiettivi a medio termine più importanti della
strategia gestionale di riassetto delle presenze di Ungulati in Emilia-Romagna. Realisticamente
ciò si può tradurre in un impegno generalizzato a proibire nuove immissioni, a tenere sotto stretta
sorveglianza recinti e parchi faunistici disincentivando la detenzione della specie, a "congelare"
gli areali attuali e a ridurre le densità ove queste si presentino elevate. Il congelamento degli
areali va attuato attraverso un'azione capillare di controllo venatorio nei territori contigui lungo
le direttrici di espansione per prevenire nuovi insediamenti. Il controllo venatorio va coordinato a
livello provinciale e deve coinvolgere più istituti: la sua efficacia dipenderà in gran parte dalla
capacità operativa e dall'impegno dei distretti di caccia per gli Ungulati in cui sono suddivisi gli
A.T.C.
Quanto all'areale vero e proprio, i possibili impatti sulle colture impongono la necessità di
programmare le presenze mantenendo bassa la densità di popolazione: un risultato ottenibile
alzando gradualmente il tasso di prelievo e talvolta anche diminuendo la soglia di abbattibilità.
Inoltre, nel caso di nuclei circoscritti, in aree con elevato sviluppo della rete viaria, centri abitati
e colture pregiate, con rischi di collisioni e danni consistenti, è possibile prendere in
considerazione l'eradicazione completa della specie.
Nel caso particolare della Riserva Naturale Gran Bosco della Mesola, visti i problemi legati alla
conservazione del cervo, la soluzione più volte consigliata è stata la rimozione completa del
daino, ad oggi oggetto di uno specifico piano di gestione.
La riduzione programmata delle densità all'interno dell'areale del daino potrebbe seguire
strategie differenziate, modulando il prelievo secondo il grado di naturalità dei comprensori e in
base alla necessità o meno di sostenere attivamente il capriolo. In ambienti caratterizzati da una
buona presenza di colture agrarie o in situazioni in cui il capriolo dimostri chiare difficoltà di
reinsediamento, si potrebbero pianificare densità di daino intorno ai 2,5-3,5 capi per kmq.
All'altro estremo, in ambienti a scarsa antropizzazione o nei casi in cui non si ravvisi una
competizione aperta a scapito del capriolo, si potrebbero raccomandare densità intorno agli 8-12
capi per kmq. La soglia di abbattibilità, normalmente fissabile in 4-5 capi/kmq, potrebbe
scendere in casi particolari fino a 2,5 capi/kmq. L'efficacia di questa strategia va naturalmente
verificata in base ai risultati raggiunti, sia in termini di minimizzazione dei danni, sia in termini
di ripresa effettiva del capriolo.
Secondo l'esperienza centroeuropea, le densità agro-forestali sono fissabili per il daino in un
minimo di 3 capi/kmq in ambienti di qualità scadente, a 6 /kmq in ambienti qualitativamente
discreti e a 14 /kmq in ambienti ottimali, sempre in assenza di altri Ungulati (Ueckermann e
Hansen 1993).

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Una volta raggiunte le densità pianificate, per stabilizzare le popolazioni su questi valori, saranno
prevedibili tassi d'abbattimento intorno al 30-35% (da modulare comunque tenendo in conto il
rapporto sessi e l'incremento utile osservabili al censimento primaverile).
Il prelievo potrebbe essere ripartito tenendo presente come modello base lo schema seguente (cfr
Ueckermann e Hansen 1993, Tosi e Toso 1992):
50% maschi, 50% femmine
maschi: 30% piccoli, 17% fusoni, 20% balestroni, 33% palanconi
femmine: 35% piccoli, 17% sottili, 48% adulte

MUFLONE Ovis orientalis musimon


Lunghezza testa-tronco: 120-125 cm (maschi), 110-115 cm (femmine)
Lunghezza coda: 8-9 cm
Altezza al garrese: 70-80 cm (maschi), 65-75 cm (femmine)
Peso corporeo medio: 35-50 kg (maschi), 25-30 kg (femmine)
Distribuzione: originario della penisola anatolica, fu presumibilmente trasportato in Sardegna e
Corsica in epoca neolitica, e a partire dal secolo scorso è stato introdotto anche in Europa
continentale. Una forma simile (Ovis orientalis ophion) fu anticamente liberata a Cipro.
Caratteristiche generali
Bovide di dimensioni medio-piccole, è riconoscibile per le corna a spirale dei maschi adulti. Nel
manto invernale è ben visibile una macchia bianca ai lati del dorso ("sella"). Gregario, tende a
vivere in gruppi separati secondo il sesso gran parte dell’anno. Pur avendo un rumine da
pascolatore, può diventare facilmente un brucatore. Estremamente rustico e frugale, si adatta a
vivere anche in praterie d’altitudine di scarsa qualità o in calanchi improduttivi. Il culmine degli
amori è in ottobre-novembre. Intorno ad aprile le femmine partoriscono uno o due agnelli. E’
risultato particolarmente sensibile alla predazione del lupo.

Status e distribuzione
Presente in modo irregolare nella penisola, con alcuni nuclei più consistenti in Italia centrale.
Resta relativamente raro in Sardegna.
In Emilia-Romagna la specie presenta nuclei di una certa significatività soprattutto nel Reggiano
e nel Bolognese. Nel Reggiano è segnalato sia nella fascia montana, sia in quella collinare. In
montagna frequenta soprattutto l'alto crinale di confine con la Toscana, nel tratto appenninico
orientale e centrale della provincia; in prevalenza gli animali derivano dall'espansione del nucleo
introdotto in Garfagnana dal Corpo Forestale dello Stato, anche se non sono mancate

82
introduzioni da parte dell'Amministrazione Provinciale di Reggio. Una popolazione piuttosto
consistente (circa 200 capi su appena 450 ha; 44,4 mufloni per kmq) vive nei pressi di Pecorile
(comune di Vezzano): frutto di alcune fughe da un recinto vicino, ha potuto crescere fino agli
attuali livelli grazie alla protezione accordata da una zona di ripopolamento e cattura. Un piccolo
nucleo, traslocato negli anni scorsi da Pecorile, è stato segnalato presso il M. Ventasso.
Nel Bolognese esiste un nucleo principale nel tratto appenninico occidentale, nell'area intorno al
torrente Silla (comuni di Lizzano, Porretta e Granaglione): deriva dall'espansione della
popolazione introdotta dal Corpo Forestale nell'Alto Pistoiese (Maresca) e segnalata sull'altro
versante a partire dalla fine degli anni '60. Alcune segnalazioni continuano a registrarsi a sud di
Monghidoro nei pressi del passo della Raticosa e derivano dal nucleo introdotto
dall'Amministrazione Provinciale di Firenze alla fine degli anni '70 nei dintorni di Covigliaio. Un
terzo nucleo, segnalato intorno al 1992-94 nei pressi di Monzuno, pare sia stato eliminato dal
bracconaggio.
Nel Modenese gli avvistamenti sull'alto crinale sono andati rarefacendosi e sembrano non
rappresentare presenze stabili ma semplici incursioni di gruppi e singoli individui dalle province
vicine (Reggio, Lucca, Pistoia e Bologna).
Nel Parmense vi sono alcune segnalazioni presso Tornolo (comune di Borgo Taro), dopo la fuga
da un recinto privato nel 1988.
Quanto al nucleo forlivese del Casentino, sembra sia in estinzione e dopo gli ultimi avvistamenti
del 1989 e 1992 (Mattioli, inedito) solo recentemente sono state trovati ulteriori capi (Cicognani,
ined). In questa area il popolamento di mufloni introdotto da Simon nel secolo scorso, era stato
già decimato durante l'ultima guerra (Crudele 1988).
Linee di gestione
Il muflone è una specie estranea alla fauna originaria dell'Emilia-Romagna e proviene
dall'arcipelago sardo-corso. Secondo l'ipotesi più accreditata, l'attuale muflone deriverebbe da
una antica forma domestica di pecora, importata in epoca neolitica dall'Asia Minore,
successivamente abbandonata e rinselvatichita (Poplin 1979, Masseti e Vianello 1991). La forma
selvatica originaria vive nelle montagne tra Turchia e Iran. Nessun ovino selvatico ha mai abitato
l'Emilia-Romagna, neppure durante il Pleistocene (B. Sala, com. pers.).
Le attuali popolazioni introdotte in regione risultano disperse e localizzate, con un areale
complessivo assai circoscritto. Alcuni nuclei sono in declino e il più antico (nell'alto Forlivese) si
è estinto di recente. Nell'immediato l'unica situazione meritevole di interventi gestionali urgenti
sembra essere quella dell'area di Pecorile (RE): la densità decisamente eccessiva imporrebbe
misure di sfoltimento. Il nucleo dovrebbe essere portato a densità tollerabili, dell'ordine di 10-15
capi per kmq. Nello spirito di una gestione improntata fondamentalmente a riequilibrare le

83
presenze di Ungulati favorendo le specie autoctone, nel breve e medio periodo è preferibile
evitare la creazione di nuovi insediamenti di muflone e tenere sotto controllo i nuclei esistenti.
Sul lungo periodo, non è escluso che si possano prendere in considerazione progetti di
introduzione, sia pure limitati a specifiche situazioni ambientali, in cui si possa evidenziare la
rusticità del muflone: zone montuose con roccia affiorante e praterie d'altitudine, non
sovrapponibili alle aree con buona vocazione per capriolo e cervo.

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88
STATUS E DISTRIBUZIONE DELLE SPECIE DI MAMMIFERI RILEVANTI AI
FINI DELLA COSTITUZIONE DI SIC E ZPS

INTRODUZIONE
La Direttiva 92/43/CEE del Consiglio, del 21 maggio 1992, relativa alla conservazione degli
habitat naturali e seminaturali e della flora e della fauna selvatiche ha come obiettivo la
conservazione e tutela della biodiversità attraverso il mantenimento e il ripristino degli habitat
naturali e seminaturali terrestri e marini. Individua quindi un gruppo di specie di interesse
prioritario per la conservazione a livello europeo (allegato II) per la cui salvaguardia afferma la
necessità di istituire Zone Speciali di Conservazione (ZCS). Da questo deriva la costituzione di
una rete ecologica europea di tali zone speciali, ossia Zone di Protezione Speciale (ZPS) per gli
uccelli designate ai sensi della Direttiva 79/409/CEE e Siti di Importanza Comunitaria (SIC) per
habitat, specie animali e vegetali, denominata Rete Natura 2000, che ha lo scopo di garantire il
mantenimento (o il ripristino) dei tipi di habitat naturali e seminaturali e delle specie di cui agli
allegati in uno stato di conservazione soddisfacente nella loro area di ripartizione naturale. In
Italia la Rete prende il via con il progetto Bioitaly che nel 1995 ha portato a una prima lista di
circa 2300 SIC sul territorio nazionale.
Attualmente la regione Emilia Romagna conta 157 zone speciali di conservazione costituite in
base alla presenza di specie di allegato II o habitat prioritari.
Per quanto riguarda la lista dei mammiferi è da notare come sia costituita quasi interamente da
Chirotteri. In quanto a dieta insettivora e talora legati fortemente ad ambienti non disturbati
dall’uomo, risultano particolarmente sensibili ai cambiamenti ambientali come ne è prova il
declino cui sono stati soggetti a livello globale a partire dagli anni Cinquanta e dal quale stentano
a riprendersi anche a causa del basso tasso riproduttivo (1 piccolo all’anno per femmina
riproduttiva). La loro tutela va di pari passo con la conservazione degli habitat di rifugio, dei
corridoi di volo e di caccia e quindi con il mantenimento degli habitat elettivi delle loro prede
chiave che spaziano tra gli invertebrati dai Lepidotteri, ai Coleotteri, ai Tricotteri, ai Ditteri, ecc.

In questa sezione ogni specie di allegato II della Direttiva Habitat viene presentata
schematicamente e la sua presenza nei SIC/ZPS della regione è evidenziata nella tabella che
segue.

89
TABELLA _ SPECIE DI MAMMIFERI DI ALLEGATO II HABITAT PER PROVINCIA E PER SIC

PIACENZA
SPECIE IT4010002 IT4010003 IT4010004 IT4010005 IT4010006 IT4010007 IT4010008 IT4010011
R. euryale 1
R. ferrumequinum 1 1
R. hipposideros 1 1 1
B. barbastellus
M. schreibersii 1 1
M. bechsteinii 1
M. blythii
M. emarginatus 1 1
M. myotis 1 1
* C. lupus 1
TOTALE 2 7 5

SPECIE IT4010012 IT4010013 IT4010016 IT4010017 IT4010018


R. euryale
R. ferrumequinum
R. hipposideros
B. barbastellus
M. schreibersii
M. bechsteinii
M. blythii 1
M. emarginatus
M. myotis
* C. lupus 1 1
TOTALE 1 1 1

90
PARMA
SPECIE IT4020001 IT4020002 IT 4020003 IT4020004 IT4020005 IT4020006 IT4020007 IT4020008 IT4020009 IT4020010 IT4020011 IT4020012
R. euryale
R. ferrumequinum 1 1 1
R. hipposideros 1 1
B. barbastellus 1 1
M. schreibersii 1
M. bechsteinii 1 1
M. blythii 1
M. emarginatus 1 1
M. myotis
* C. lupus 1 1 1 1
TOTALE 2 7 3 2 1 1 1

SPECIE IT4020013 IT4020014 IT4020015 IT4020017 IT4020018 IT4020019 IT4020020 IT4020021 IT4020022 IT4020023 IT4020024 IT4020025 IT4020026
R. euryale
R.
ferrumequinum
R. hipposideros
B. barbastellus 1
M. schreibersii 1
M. bechsteinii
M. blythii 1
M. emarginatus
M. myotis
* C. lupus 1
TOTALE 3 1

91
REGGIO EMILIA
SPECIE IT4030001 IT4030002 IT4030003 IT4030004 IT4030005 IT4030006 IT4030007 IT4030008 IT4030009 IT4030010 IT4030011
R. euryale
R. ferrumequinum 1
R. hipposideros
B. barbastellus
M. schreibersii 1
M. bechsteinii
M. blythii 1
M. emarginatus
M. myotis
* C. lupus 1 1 1 1 1 1 1
TOTALE 1 1 1 1 3 1 2

SPECIE IT4030012 IT4030013 IT4030014 IT4030015 IT4030016 IT4030017 IT4030018 IT4030020 IT4030021 IT4030022 IT4030023
R. euryale
R. ferrumequinum 1
R. hipposideros
B. barbastellus
M. schreibersii
M. bechsteinii
M. blythii
M. emarginatus
M. myotis
* C. lupus
TOTALE 1

92
MODENA
SPECIE IT4040001 IT4040002 IT4040003 IT4040004 IT404005 IT404006 IT4040007 IT4040009 IT4040010 IT4040011
R. euryale 1
R. ferrumequinum 1 1 1 1
R. hipposideros 1 1 1
B. barbastellus
M. schreibersii
M. bechsteinii
M. blythii
M. emarginatus
M. myotis 1
* C. lupus 1 1 1
TOTALE 1 1 3 2 1 1 3

SPECIE IT4040012 IT4040013 IT4040014 IT4040015 IT4040016 IT4040017 IT4040018


R. euryale
R. ferrumequinum
R. hipposideros
B. barbastellus
M. schreibersii
M. bechsteinii
M. blythii
M. emarginatus
M. myotis
* C. lupus
TOTALE

93
BOLOGNA
SPECIE IT4050001 IT4050002 IT4050003 IT4050004 IT4050006 IT4050011 IT4050012 IT4050013 IT4050014 IT4050015 IT4050016
R. euryale 1
R. ferrumequinum 1 1
R. hipposideros 1 1 1 1 1 1
B. barbastellus 1 1
M. schreibersii 1
M. bechsteinii 1 1
M. blythii 1 1 1
M. emarginatus 1 1
M. myotis 1
* C. lupus 1
TOTALE 8 4 1 4 2 1 1

SPECIE IT4050017 IT4050018 IT4050019 IT4050020 IT4050021 IT4050022 IT4050023 IT4050024 IT4050025 IT4050026 IT4050027
R. euryale
R. ferrumequinum 1
R. hipposideros 1
B. barbastellus
M. schreibersii
M. bechsteinii
M. blythii
M. emarginatus
M. myotis
* C. lupus 1
TOTALE 3

94
SPECIE IT4050028 IT4050029 IT4050030
R. euryale
R. ferrumequinum
R. hipposideros
B. barbastellus
M. schreibersii
M. bechsteinii
M. blythii
M. emarginatus
M. myotis
* C. lupus
TOTALE

95
FERRARA
SPECIE IT4060001 IT4060002 IT4060003 IT4060004 IT4060005 IT4060006 IT4060007 IT4060008 IT4060009 IT4060010
R. euryale
R. ferrumequinum 1
R. hipposideros
B. barbastellus 1
M. schreibersii
M. bechsteinii
M. blythii
M. emarginatus
M. myotis
* C. lupus
TOTALE 2

SPECIE IT4060011 IT4060012 IT4060013 IT4060014 IT4060015 IT4060016 IT4060017


R. euryale
R. ferrumequinum 1
R. hipposideros
B. barbastellus 1
M. schreibersii
M. bechsteinii
M. blythii
M. emarginatus
M. myotis
* C. lupus
TOTALE 2

96
RAVENNA
SPECIE IT4070001 IT4070002 IT4070003 IT4070004 IT4070005 IT4070006 IT4070007 IT4070008 IT4070009 IT4070010 IT4070011
R. euryale 1
R. ferrumequinum 1 1
R. hipposideros 1 1
B. barbastellus 1 1
M. schreibersii 1 1
M. bechsteinii 1 1
M. blythii 1
M. emarginatus
M. myotis 1
* C. lupus
TOTALE 1 3 1 1 1 6

SPECIE IT4070013 IT4070016 IT4070017 IT4070018 IT4070019 IT4070020 IT4070021 IT4070022 IT4070023 IT4070024
R. euryale
R. ferrumequinum 1 1
R. hipposideros 1 1
B. barbastellus
M. schreibersii
M. bechsteinii
M. blythii
M. emarginatus
M. myotis
* C. lupus
TOTALE 1 1 1 1

97
FORLÌ

SPECIE IT4080001 IT4080002 IT4080003 IT4080004 IT4080005 IT4080006 IT4080007 IT4080008


R. euryale
R. ferrumequinum 1 1 1
R. hipposideros 1 1 1
B. barbastellus
M. schreibersii 1 1
M. bechsteinii
M. blythii 1
M. emarginatus 1 1 1 1
M. myotis 1 1 1 1
* C. lupus 1 1 1 1
TOTALE 6 2 5 2 6

SPECIE IT4080009 IT4080010 IT4080011 IT4080012 IT4080013 IT4080014 IT4080015


R. euryale
R. ferrumequinum
R. hipposideros
B. barbastellus
M. schreibersii
M. bechsteinii
M. blythii
M. emarginatus
M. myotis
* C. lupus
TOTALE

98
RIMINI
SPECIE IT4090001 IT4090002
R. euryale 1
R. ferrumequinum 1
R. hipposideros 1 1
B. barbastellus
M. schreibersii 1
M. bechsteinii
M. blythii 1
M. emarginatus 1
M. myotis 1
* C. lupus
TOTALE 7 1

99
In sintesi su 157 SIC regionali, le specie di allegato II sono così rappresentate:

Tabella Numero di SIC per specie


R. euryale 5
R. ferrumequinum 24
R. hipposideros 24
B. barbastellus 9
M. schreibersii 11
M. bechsteinii 7
M. blythii 10
M. emarginatus 11
M. myotis 10
C. lupus 25

Ripartizione percentuale per tutti i SIC

R. euryale
C. lupus 4%
18% R. ferrumequinum
18%

M. myotis
7%

M. emarginatus R. hipposideros
8% 18%

M. blythii
7%
M. bechsteinii B. barbastellus
5% M. schreibersi 7%
8%

100
RINOLOFO EURIALE Rhinolophus euryale
Lunghezza testa-corpo 43-58 mm; avambraccio 45-51 mm; apertura alare 290-320 mm.
Peso 8-17,5 g.
Distribuzione: diffuso in Europa meridionale, in Asia sud-occidentale (dal Vicino Oriente fino a
Turkmenistan e Iran) e in Africa nord-occidentale. In Italia non risultano segnalazioni per le
regioni più settentrionali.

Caratteristiche generali
Di dimensioni intermedie rispetto ai congeneri Rinolofo maggiore e Rinolofo minore, è
contraddistinto dalla foglia nasale che, di profilo, rivela una caratteristica prominenza superiore
acuta. Il pelo è grigio-bruno sul dorso, più chiaro ventralmente e la pelle è bruno-rosata.
Sembra prediligere le zone collinari e di bassa montagna dal clima mediterraneo dove si nutre di
Lepidotteri e altri insetti. Trova nelle cavità ipogee luoghi idonei al rifugio, alla riproduzione e
allo svernamento. Sedentario, si può comunque spostare anche di decine di chilometri tra i rifugi.
Status
Specie minacciata di estinzione, vulnerabile - VU: A2c (Hutson et al., 2001)
Nella parte settentrionale del suo areale complessivo sono stati registrati drastici decrementi
demografici che possono avere portato a estinzioni locali. Sul territorio italiano è considerato da
Lanza (1959) frequente al Centro e al Sud. In regione risulta assai meno frequente dei due
congeneri, con presenza limitata a poche località, sebbene diffuso in diverse province.
Risulterebbe più frequente verso la costa, ma le informazioni sono decisamente poche. Solo
recentemente si è avuta la certezza della sua riproduzione in Regione con due colonie presso i
SIC di Onferno e dei gessi faentini, entrambe di circa un centinaio di femmine (Scaravelli &
Bertozzi 2005)

RINOLOFO MAGGIORE Rhinolophus ferrumequinum


Lunghezza testa-corpo 56-71 mm; avambraccio 53-61 mm; apertura alare 330-400 mm.
Peso 17-34 g.
Distribuzione: diffuso in Europa centrale, fino alla parte meridionale della Gran Bretagna, in
quasi tutto il Mediterraneo e a Oriente, attraverso le regioni himalayane, fino a Cina, Corea e
Giappone. È presente in tutta Italia.
Caratteristiche generali

101
È il più grosso rappresentante del genere Rhinolophus. Pelo bruno-grigio-rossastro sul dorso e
crema chiaro sul ventre. Parti nude rosa-grigio. Caratteristica la cresta della foglia nasale
arrotondata superiormente e con breve punta verso il basso.
È una specie legata a climi mediterraneo-caldi e seppur segnalata fino a 2000 m predilige le
quote inferiori agli 800 m caratterizzate dall’alternarsi di diverse tipologie vegetazionali (pascoli,
siepi, boschi) e zone umide dove caccia Lepidotteri e Coleotteri.
Seleziona per il rifugio, la riproduzione e lo svernamento le cavità naturali e artificiali e gli
edifici abbandonati. Specie sedentaria, può compiere spostamenti anche di decine di chilometri
per trasferirsi dai siti di ibernazione a quelli di riproduzione e viceversa.
Status
Specie a minor rischio, ma prossima a diventare minacciata - LR: nt (Hutson et al., 2001).
In calo in tutto il suo areale con situazioni di estinzione locale. Lanza (1959) lo descriveva come
frequente in tutto il territorio italiano. In regione è presente in molte cavità in tutte le province
ma spesso con pochi individui mentre le colonie storiche, dove ancora presenti, sono sempre più
a rischio (cfr. Scaravelli 1995).

RINOLOFO MINORE Rhinolophus hipposideros


Lunghezza testa-corpo 35-45 mm; avambraccio 37-42.5 mm; apertura alare 192-254 mm.
Peso 6-9 g.
Distribuzione: diffuso in Europa centrale e meridionale fino a Irlanda e Inghilterra, in Asia
centro-meridionale fino al Kashmir e in Africa maghrebina e nord-orientale. Presente su tutto il
territorio italiano.
Caratteristiche generali
È il più piccolo rinolofide europeo e ha manto simile, per colore e foltezza, a quello del Rinolofo
maggiore.
Segnalato fino ai 2000 m, caccia presso aree boscate a latifoglie o in ecomosaici con alternanza
di boschetti, radure e zone umide catturando piccoli insetti e ragni. La tipologia di rifugi che
seleziona è la stessa del Rinolofo maggiore. Specie sedentaria in genere si muove in un raggio di
una decina di km tra estate e inverno.
Status
Specie minacciata di estinzione, vulnerabile - VU: A2c (Hutson et al., 2001).
In Emilia Romagna è ancora piuttosto ben distribuito e presente in tutte le fasce altitudinali. In
tutta la regione sembra comunque in netto calo e solo poche colonie sembrano aver mantenuto

102
negli ultimi anni livelli più o meno costanti. In particolare colonie riproduttive in Emilia
Romagna si trovano nei SIC di Onferno (RN), Monte Sole e Corno alle scale (BO), ma sempre di
piccole dimensioni.

BARBASTELLO COMUNE Barbastella barbastellus


Lunghezza testa-corpo 44-60 mm; avambraccio 36-44 mm; apertura alare 240-290 mm.
Peso 6-14.2 g.
Distribuzione: probabilmente presente in tutti i Paesi europei fino ai 60° di latitudine Nord e a
est fino al 30° meridiano (Ucraina), comprendendo a sud Crimea, Turchia, Caucaso. Segnalata
anche in Marocco, Canarie e forse Senegal. In Italia è praticamente presente in tutto il
territorio.
Caratteristiche generali
Specie di medie dimensioni con padiglioni auricolari larghi che si toccano anteriormente
incorniciando l'intera faccia. Pelle bruno-nera e peli del dorso a base scura con punte grigio-
biancastre, ventre grigio scuro.
Specie legata ai boschi, si rifugia sia sotto alla corteccia e nelle cavità dei vecchi alberi, sia in
fessure e crepe presenti nelle grotte, nonché negli edifici. Specie sedentaria ma in grado di
compiere spostamenti anche consistenti tra i quartieri estivi e quelli invernali.
Status
Specie minacciata di estinzione, vulnerabile - VU: A2c (Hutson et al., 2001).
È considerata una delle specie più rare a livello europeo. Di primaria importanza risultano essere
i boschi maturi e le grotte per i rifugi estivi e invernali, mentre la dieta del Barbastello è
incentrata su piccole falene munite di timpani (Piralidi, Geometridi, Nottuidi, Tortricidi, ecc.) la
cui disponibilità può spostarsi dalle aree boscate alle zone aperte a seconda della stagione. Per
migliorare lo status di questa specie come degli altri chirotteri è necessario considerare, oltre alla
tutela dei rifugi e delle zone di caccia, anche il miglioramento e la tutela dei corridoi di volo tra i
roost e le aree di foraggiamento. In tutta Europa la specie è in declino sia per l’impoverimento
delle foreste che per il disturbo apportato nei luoghi di svernamento. Risulta piuttosto difficile
localizzarlo in natura e quasi inesistenti sono i dati relativi alla sua ecologia.
La sua presenza è stata da poco accertata per la Regione (Vernier et al. 1994) e seguita poi da
nuove conferme per le diverse province (Scaravelli et al. 2003, Scaravelli ined. 2003 e 2004). Si
tratta in sintesi di specie rara e legata, stando ai dati attualmente disponibili, agli ambienti
forestali (faggete e castagneti) della sola fascia montana.

103
MINIOTTERO DI SCHREIBER Miniopterus schreibersii
Lunghezza testa-corpo 50-62 mm; avambraccio 45-48 mm; apertura alare 305-350 mm.
Peso 8-17 g.
Distribuzione: sub-cosmopolita, diffuso dall’Europa meridionale all’Australia. L’intero
territorio italiano è compreso nel suo areale.
Caratteristiche generali
Parti superiori bruno grigiastre e addome più chiaro, pelo liscio, corto e quasi arricciato sulla
testa. Orecchio piccolo, rotondeggiante che appare più basso della volta del capo.
Caratteristico è il profilo con la fronte bombata e la bocca relativamente piccola. Ali strette ed
allungate, adatte ad un volo molto rapido ed alto. Specie tipicamente troglofila, forma dense e
numerose colonie con centinaia e a volte migliaia di individui. In ibernazione sono meno
coloniali e spesso è possibile trovare individui isolati.
Vola veloce e con battito frequente alimentandosi in particolare di Lepidotteri che cattura in
ambienti aperti o di foresta. Può compiere spostamenti anche di centinaia di km ma è specie
sedentaria nelle zone meridionali a clima mite.
Status
A minor rischio ma prossima a diventare minacciata – LR: nt (Hutson et al., 2001).
A livello europeo è in forte declino per la distruzione degli habitat e per il disturbo (Stebbings
1988). Tali indicazioni sono da considerarsi assolutamente attuali anche da noi come dimostra il
continuo calo degli effettivi o la scomparsa delle colonie per il disturbo come a Terra del Sole
(Scaravelli ined.). Legata agli ambienti ipogei è la specie che in Regione mostra le maggiori
aggregazioni. La più grande colonia riproduttiva è quella di Onferno (RN) che raggiunge i 6000
esemplari (Scaravelli & Bertozzi, ined). Di simili dimensioni la colonia presso la cava di Monte
Tondo (Riolo terme, RA) (circa 4000) (Scaravelli e Bertozzi 2005), ma altre notevoli
aggregazioni sono conosciute per i gessi faentini e bolognesi. Per altre zone della Regione sono
stati rilevati quartieri di svernamento e rifugi che contano da pochi ad alcune centinaia di
esemplari (Ruggieri 1994, Scaravelli non pubb.).

VESPERTILIO DI BECHSTEIN Myotis bechsteinii


Lunghezza testa-corpo 45-55 mm; avambraccio 39-45 mm; apertura alare 250-290 mm.
Peso 7-13.6 g.

104
Distribuzione: Europa centrale e meridionale, si spinge fino alle parti meridionali di Svezia e
Gran Bretagna, è presente in Anatolia, Caucaso e Iran. Le segnalazioni in Italia sono
scarsissime, ma è probabilmente presente in tutto il territorio.
Caratteristiche generali
Pelliccia dorsalmente marrone chiaro e ventralmente dal grigiastro al bianco, orecchie di
considerevoli dimensioni. È fortemente legato ai boschi maturi a latifoglie in quanto nella
stagione estiva trova rifugio soprattutto negli alberi cavi e caccia nei boschi o lungo il loro
margine alla ricerca principalmente di Lepidotteri, Ditteri e Coleotteri.
In inverno iberna in grotte o talora nelle parti basse di edifici. È specie sedentaria.
Status
Specie minacciata di estinzione, vulnerabile – VU: A2c (Hutson et al., 2001).
In Emilia Romagna si hanno segnalazioni sporadiche di singoli individui (Vergari et al 1998,
Scaravelli et al., 2001). Colonie riproduttive erano state individuate presso i Boschi di Carrega
(PR) (Ruggeri in verbis) e nel SIC del Contrafforte pliocenico (BO) (Bertozzi, Palladini e
Scaravelli, ined.) ma non sono state riconfermate nei controlli successivi.

VESPERTILIO DI BLYTH Myotis blythii


Lunghezza testa-corpo 58-70 mm; avambraccio 52-59 mm; apertura alare 350-408 mm.
Peso 15-28.5 g.
Distribuzione: diffuso in Europa centrale, meridionale, in parte dell’Asia centrale, verso est fino
alla catena himalayana, a parte della Mongolia e della Cina. Presente in tutta Italia ad
eccezione, quasi certamente, della Sardegna.
Caratteristiche generali
Dorso bruno-marrone e ventre bianco panna. Si distingue dal M. myotis per le dimensioni appena
inferiori, il muso più appuntito, le orecchie più slanciate e il trago più stretto, ma
l’identificazione richiede misurazioni accurate dell'arcata dentaria.
Segnalato fino ai 1000 m di altitudine caccia in ambienti aperti a copertura erbacea catturando
Ortotteri Tettigonidi, larve di Lepidotteri e Coleotteri Melolontidi.
Per il rifugio utilizza cavità ipogee, eventualmente anche edifici. È specie praticamente
sedentaria.
Status
Specie a minor rischio, preoccupazione minima – LR: lc (Hutson et al., 2001).

105
In Emilia Romagna si hanno pochi dati certi della sua presenza poiché la distinzione dalla specie
gemella Myotis myotis risulta impegnativa. Oltre ai singoli dati di presenza sono accertate
riproduzioni presso Onferno e Monte Tondo (Riolo).

VESPERTILIO SMARGINATO Myotis emarginatus


Lunghezza testa-corpo 41-54 mm; avambraccio 36-41 mm; apertura alare 220-250 mm.
Peso 7-15 g.
Distribuziome: diffuso in Europa meridionale e centrale, in Asia sud-occidentale e centrale e
Africa maghrebina. L’Italia nel suo complesso è ricompresa nell’areale di questa specie.
Caratteristiche generali
Parti superiori marrone-rossicce e addome più chiaro, con pelo dall'aspetto lanoso. Pelle nuda di
colore bruno scuro.
Sebbene rinvenibile fino ai 1800 m di altitudine preferisce quote medie e basse. Si nutre in
prevalenze di Ditteri diurni e Aracnidi che cattura direttamente dal substrato su cui sono posati,
ma si ciba anche di altri insetti (Neurotteri, Ditteri, Imenotteri ecc.) che cattura in volo.
Frequenta sia gli edifici che le cavità preferendo queste ultime per lo svernamento. È specie
prevalentemente sedentaria.
Status
Specie minacciata di estinzione, vulnerabile – VU: A2c (Hutson et al., 2001).
La specie in Regione appare localizzata e i ritrovamenti si riferiscono essenzialmente a esemplari
isolati svernanti in cavità nella collina o bassa montagna. Una colonia riproduttiva di oltre 100
individui è nota per il modenese (Scaravelli et al. ined.). Si tratta di un chirottero ancora assai
poco conosciuto e al momento i dati non permettono di definire i problemi conservativi.

VESPERTILIO MAGGIORE Myotis myotis


Lunghezza testa-corpo 67-79 mm; avambraccio 58-66 mm; apertura alare 350-450 mm.
Peso 28-40,7 g.
Distribuzione: il suo areale comprende Europa orientale, meridionale e centrale, Inghilterra
meridionale, la maggior parte delle isole mediterranee, Asia minore, e a Est si estende forse fino
al Turkestan occidentale. In Italia è presente probabilmente in tutte le regioni ad eccezione della
Sardegna dove gli esemplari in passato determinati come Myotis myotis sono invece da
ascrivere alla specie M. punicus di recente descrizione.

106
Caratteristiche generali
Parti superiori bruno-marroni; parti inferiori bianco panna. Pelle del muso rosata, bruno rossiccia
quella delle ali. Si differenzia dal congenerico M. blythii per le sembianze più massicce e le
orecchie più grandi e più larghe.
Grande specie, la maggiore tra i Myotis europei, in Italia sembra essere soprattutto troglofilo,
mentre nel centroeuropa le femmine cercano sottotetti caldi per i parti. L'ibernazione avviene
solitamente in cavità naturali o artificiali. Predilige altitudini inferiori ai 700 m e seleziona per il
foraggiamento ambienti aperti in prossimità di boschi o boschi con sottobosco rado dove cattura
principalmente Coleotteri Carabidi. Specie migratrice occasionale con spostamento massimo
registrato di 2000 Km.
Status
A minor rischio ma prossima a diventare specie minacciata – LR: nt (Hutson et al., 2001).
In Europa si è registrato un generale declino delle popolazioni negli anni ’60 e ’70 culminato in
alcuni paesi con l’estinzione della specie (Inghilterra, Olanda e Israele).
Per la Regione le poche segnalazioni raccolte si accentrano nelle aree carsiche per cui la
conservazione di questa specie, per la scarsità di dati disponibili, è al momento dipendente dalla
salvaguardia degli ipogei e deve tenere in considerazione gli ambienti di caccia circostanti il
rifugio.

LUPO Canis lupus


Lunghezza testa-corpo: 100-140 cm; altezza al garrese: 60-75 cm; coda: 30-40 cm.
Peso: 25-35 Kg.
Distribuzione: oloartica-circumpolare. In Italia attualmente è presente su tutta la catena
appenninica.
Caratteristiche generali
Specie potenzialmente eurizonale, in Italia è relegato agli ambienti meno frequentati dall’uomo,
ossia le foreste di montagna, dove caccia mammiferi selvatici e domestici di varie dimensioni,
talora insetti, e anche frutta.
Elemento caratteristico dell’ecologia del lupo, e al contempo suo fattore limitante, è la fase di
dispersione che attende i giovani lupi quando raggiungono la maturità sessuale: essi possono
compiere spostamenti considerevoli, anche di centinaia di chilometri, che se da un lato
permettono di riconquistare aree anticamente abitate dal lupo, dall’altro costituiscono anche un
fattore di mortalità dei giovani stessi.

107
Status
Il lupo è specie vulnerabile secondo la Lista Rossa dei Vertebrati Italiani a cura di Calvario &
Sarrocco del 1997. La popolazione italiana è stimata intorno ai 400-500 individui (Genovesi,
Duprè 2000) e in Emilia Romagna conta sicuramente alcune decine di individui. La minaccia
principale per questo predatore è costituita dalla persecuzione esercitata dall’uomo per la
predazione che può compiere sulle specie domestiche. Si ribadisce come sia oramai consolidata
la situazione del Lupo e la distribuzione conosciuta dipinge come insieme ad aree di particolare
importanza dal punto di vista riproduttivo vi sia un contesto molto più ampio di zone a valore più
limitato ma importanti nell’economia generale della popolazione in quanto aree di dispersione ed
eventuale colonizzazione. Sulla base delle informazioni disponibili, attualmente presenza stabile
e riproduzione del lupo risultano accertate nella fascia altoappenninica ricadente nelle province
di Forlì-Cesena, Bologna, Reggio-Emilia e Parma. Quanto si sa localmente sull’alimentazione
indica che laddove le condizioni ambientali lo consentano, il lupo tende ad assumere il ruolo di
predatore specializzato nella cattura di grandi erbivori selvatici in modo relativamente
indipendente dalla disponibilità di fonti alternative, quali ad esempio la piccola selvaggina, i
micromammiferi, il bestiame domestico o alimenti di origine vegetale, che in altre aree risultano
più o meno utilizzate a integrazione della fonte principale. Un altro elemento che emerge
chiaramente dall’esame dei dati è la relativa facilità con cui il lupo, in funzione delle condizioni
stagionali e/o ambientali, può spostare la pressione predatoria da una specie all’altra; ciò vale in
particolare per il cinghiale, il capriolo e il daino, probabilmente in misura minore per il cervo. In
definitiva i dati raccolti sembrano indicare che il cinghiale e il capriolo, laddove sufficientemente
abbondanti, sono perfettamente in grado di sostenere lungo tutto l’arco dell’anno le necessità
alimentari del lupo, indipendentemente dalla presenza di altre fonti alimentari. In questo senso,
considerando la diffusione e, in molte aree, la tendenza all’aumento di queste due specie, è facile
ipotizzare che nei territori montani regionali esistano elevate potenzialità per l’espansione del
lupo.
Ancora di più oggi il Lupo è un’entità faunistica la cui presenza va considerata un fatto normale
nel territorio regionale. Gran parte dei territori montani della regione offre condizioni ecologiche
adatte alla presenza del lupo, anche se non necessariamente regolare nel tempo. Risulta quindi
comprensibile come si sia verificata una colonizzazione di nuovi comprensori, anche in
considerazione del fatto che il cinghiale, preda preferita, rappresenta una realtà ben diffusa in
tutto l’Appennino e che il capriolo è in espansione. La specie è di conseguenza stata anche
avvistata in territori non strettamente altomontani. I danni alla zootecnia rilevati fanno ritenere

108
che una parte significativa dei danni sia attribuibile a cani vaganti a sottolineare come sia
necessario una maggiore custodia ed azioni concrete di limitazione del randagismo.

109
BIBLIOGRAFIA
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110
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1817) in Italy ( Chiroptera: Vespertilionidae). Hystrix (n. s.) 10 (2): 49-56.

111
INDICE
UCCELLI pag. 1
Status e distribuzione di specie nidificanti di interesse
faunistico, gestionale e conservazionistico
Introduzione 1

FALCO PECCHIAIOLO Pernis apivorus 3


NIBBIO BRUNO Milvus migrans 4
BIANCONE Circaetus gallicus 5
ALBANELLA MINORE Circus pygargus 6
ASTORE Accipiter gentilis 7
SPARVIERE Accipiter nisus 8
POIANA Buteo buteo 9
AQUILA REALE Aquila chrysaetos 10
GRILLAIO Falco naumanni 11
GHEPPIO Falco tinnunculus 12
FALCO CUCULO Falco vespertinus 13
LODOLAIO Falco subbuteo 14
LANARIO Falco biarmicus 15
PELLEGRINO Falco peregrinus 16
QUAGLIA Coturnix coturnix 18
BECCACCIA Scolopax rusticola 18
COLOMBACCIO Columba palumbus 20
TORTORA SELVATICA Streptopelia turtur 21
TORTORA DAL COLLARE Streptopelia decaocto 22
BARBAGIANNI Tyto alba 23
ASSIOLO Otus scops 24
GUFO REALE Bubo bubo 25
ALLOCCO Strix aluco 26
CIVETTA Athene noctua 27
GUFO COMUNE Asio otus 28
SUCCIACAPRE Caprimulgus europaeus 29
MARTIN PESCATORE Alcedo atthis 30
GHIANDAIA MARINA Coracias garrulus 31
PICCHIO NERO Dryocopus martius 32
CALANDRELLA Calandrella brachydactyla 33
TOTTAVILLA Lullula arborea 34
CALANDRO Anthus campestris 34
FORAPAGLIE CASTAGNOLO Acrocephalus melanopogon 35
BIGIA PADOVANA Sylvia nisoria 36
BALIA DAL COLLARE Ficedula albicollis 37
AVERLA PICCOLA Lanius collirio 38
AVERLA CENERINA Lanius minor 39
GHIANDAIA Garrulus glandarius 40
GAZZA Pica pica 41
TACCOLA Corvus monedula 42
CORNACCHIA GRIGIA Corvus corone cornix 43
ORTOLANO Emberiza hortulana 44

112
Note sulle specie nidificanti occasionali,
migratrici o svernanti di interesse comunitario 45

Elenco delle specie accidentali


di interesse comunitario 50

Bibliografia 51

MAMMIFERI
Status e distribuzione di specie di interesse
faunistico, gestionale e conservazionistico 56
CONIGLIO SELVATICO Oryctolagus cuniculus 56
MARMOTTA Marmota marmotta 57
ISTRICE Hystrix cristata 58
NUTRIA Myocastor corpus 60
VOLPE Vulpes vulpes 62
DONNOLA Mustela nivalis 72
PUZZOLA Mustela putorius 73
LONTRA Lutra lutra 74
FAINA Martes foina 75
TASSO Meles meles 76
DAINO Dama dama 78
MUFLONE Ovis orientalis musimon 81
Bibliografia 84
Status e distribuzione di specie rilevanti ai fini
della costituzione di Sic e Zps
Introduzione 88
RINOLOFO EURIALE Rhinolophus euryale 100
RINOLOFO MAGGIORE Rhinolophus ferrumequinum 100
RINOLOFO MINORE Rhinolophus hipposideros 101
BARBASTELLO COMUNE Barbastella barbastellus 102
MINIOTTERO DI SCHREIBER Miniopterus schreibersii 103
VESPERTILIO DI BECHSTEIN Myotis bechsteinii 104
VESPERTILIO DI BLYTH Myotis blythii 104
VESPERTILIO SMARGINATO Myotis emarginatus 105
VESPERTILIO MAGGIORE Myotis myotis 105
LUPO Canis lupus 106
Bibliografia 108

113

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