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UCCELLI
INTRODUZIONE
La relazione che segue include le specie di uccelli trattate nella precedente edizione della Carta
delle vocazioni (Toso et al. 1999) ed inoltre tutte le altre specie di uccelli di ambiente terrestre
riportate nella Direttiva Uccelli presenti nel territorio della Regione Emilia-Romagna.
L’aggiornamento delle informazioni relative a status e distribuzione degli uccelli in oggetto è
stato attuato disponendo di nuove conoscenze ricavate in particolare da:
Atlante degli uccelli nidificanti nelle province di Forlì-Cesena e Ravenna (Gellini e Ceccarelli
2000); dati relativi al triennio 1995-1997.
Atlante degli uccelli nidificanti nella provincia di Bologna (Tinarelli et al. 2002); periodo 1995-
1999.
Atlante degli uccelli nidificanti nel Piacentino (Ambrogio et al. 2001); periodo 1995-2000.
Atlante degli uccelli nidificanti a Reggio Emilia, Uccelli in città (Gustin 2002); biennio 1999-
2000.
Atlante degli uccelli nidificanti nella provincia di Ravenna (Provincia di Ravenna e Sterna,
relazione inedita); triennio 2004-2006.
Atlante degli uccelli nidificanti nella provincia di Forlì-Cesena (in elaborazione) (Provincia di
Forlì-Cesena e Sterna); triennio 2004-2006.
Resoconto ornitologico dell’Emilia-Romagna; anni 2002-2003-2004 (Giannella e Tinarelli 2003,
2004, 2006).
Check-list degli uccelli dell’Emilia-Romagna dal 1900 al giugno 2003 (Bagni et al. 2003).
Riviste ornitologiche: Rivista Italiana di Ornitologia, Avocetta, Picus.
Schede della Rete Natura 2000 in Emilia-Romagna (Tinarelli 2005).
Sono stati utilizzati anche dati inediti di Sterna (in particolare per Rimini e Ferrara) e Asoer.
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Non sono invece disponibili al momento informazioni aggiornate per parte delle province di
Parma, Reggio Emilia, Modena e Ferrara; per queste province sono stati recuperati i dati della
Carta del 1999 che si riferiscono praticamente al decennio precedente (1980-1995); in particolare
le informazioni sono quelle ricavate da:
L’avifauna nidificante nella provincia di Parma (Ravasini 1995); periodo 1980-1995.
Atlante degli uccelli nidificanti in provincia di Modena (Giannella e Rabacchi 1992); periodo
1982-1990.
Le categorie fenologiche riportate sono relative al territorio regionale e sono tratte da Bagni et al.
2003.
ACCIPITRIFORMI
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Parmense (Ravasini 1995), 25-50 coppie nel Bolognese con possibile tendenza all’aumento
(Tinarelli et al. 2002).
La Regione è interessata da un discreto movimento migratorio che può riguardare svariate
migliaia di individui (Chiavetta 1992); il transito avviene su fronte ampio, senza particolari rotte
migratorie; in qualche caso però sono stati individuati percorsi autunnali con discreti passaggi
come quello che risalendo il Savio valica il Passo dei Mandrioli (FC): qui il massimo giornaliero
è stato osservato il 24/8/02 con 63 individui (Premuda et al. 2006).
Nella Lista Rossa italiana (LIPU e WWF 1999) la specie è dichiarata vulnerabile, in quella della
Regione (Gustin et al. 1997) è a status indeterminato. Al momento tuttavia non sembrano
esistere particolari minacce in ambito regionale, a parte quelle derivanti da elettrocuzione o
collisione con linee elettriche, come documentato anche localmente (Tinarelli e Tirelli 2003); i
rischi potrebbero derivare soprattutto dalle eventuali future installazione di impianti eolici che
rappresentano gravi pericoli per tutti i grandi rapaci. In campo nazionale i rischi per la specie
derivano principalmente come noto dall’attività venatoria illegale durante il passo nelle regioni
italiane meridionali.
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(Ravasini 1995). A Reggio Emilia nel 2005 ha nidificato in un pioppeto coltivato,
successivamente abbattuto. Una nidificazione si è avuta anche l’anno successivo a qualche
chilometro di distanza. A Bologna una coppia negli anni ’80 ha nidificato per più stagioni
successive nella golena del Reno presso Sasso Marconi (Leoni, com.pers). Individui quantomeno
estivanti sono osservati frequentemente intorno alle zone umide di Molinella. A Ferrara una
coppia ha nidificato nel Bosco della Mesola presso la foce del Po di Volano (Passarella 1996). A
Ravenna è documentata una nidificazione del 1954 nella Pineta di S.Vitale (Brandolini 1961)
Nel Riminese negli anni ‘80 sono riferiti casi ripetuti di estivazione che potrebbero essere
interpretabili come nidificazione eventuale (Foschi e Gellini 1987).
La presenza di individui estivanti di cui non si accerta l’attività riproduttiva è più consistente
nelle province occidentali della Regione e in prossimità del Po per la maggior vicinanza alla
popolazione nidificante presente in Lombardia e Veneto. Per altre aree, tra cui la provincia di
Bologna, il fenomeno è in regresso rispetto a uno-due decenni fa probabilmente in conseguenza
della contrazione delle vicine popolazioni della pianura lombarda (Mason et al. 1999).
Gli individui in migrazione sono stimati da Chiavetta (1992) in alcune migliaia. Tuttavia finora
non sono state evidenziate vie importanti per questo rapace in Emilia-Romagna. Pochi individui
osservati lungo la costa adriatica nel corso di un campo di osservazione primaverile nel 2005
presso Volano (Premuda, in stampa) ed altri nelle valli a sud di Parma e di Bologna (Premuda et
al. 2006). Osservazioni mirate alla migrazione post nuziale dei rapaci in vallate dell’Appennino
romagnolo (Bonora et al. 2005) non hanno evidenziato il passaggio di questo migratore.
Vi sono infine rari casi di svernamento avvenuti nella Bonifica del Mezzano (FE) e nell’Oasi
della ex risaia di Bentivoglio (BO).
Le aree golenali in cui nidifica sono soggette a frequenti lavori idraulico-forestali e
trasformazioni con l’eliminazione della vegetazione naturale per l’impianto di pioppeti artificiali
soggetti a pratiche colturali. In un caso nel 2005 si è ottenuto di differire l’abbattimento di un
pioppeto fino all’involo dei pulli (Bagni, com.pers). In un caso una coppia che nidificava in una
proprietà demaniale è stata definitivamente allontanata a causa della costruzione di strutture
recettive per l’accesso dei visitatori.
La frequentazione di discariche di rifiuti urbani espone gli individui ad avvelenamento da
prodotti impiegati in tali impianti per il controllo dei roditori.
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BIANCONE Circaetus gallicus
Definito migratore regolare e nidificante dalla check-list dell’Emilia-Romagna (Bagni et al.
2003), è specie rara, con coppie isolate distribuite in pochi siti secondo la Lista Rossa regionale
(Gustin et al. 1997).
In Emilia-Romagna è stimata una popolazione inferiore alle 20 coppie (Chiavetta 1992) o di 5-
10 coppie (Gustin et al. 1997) che nidificano ad altitudini tra 200 e 800 m. slm.
L’areale di nidificazione è limitato alle province occidentali. A Parma sono state individuate due
coppie nel 1990 in rimboschimenti di Pinus nigra a quote di 800-1000 m. s.l.m;
successivamente si sono localizzati fino a 7 territori riproduttivi in comprensori di media
montagna (Ravasini 1995). A Piacenza è riferita la presenza di 2-7 coppie in ambienti collinari e
di bassa montagna. I rimboschimenti artificiali di Pinus nigra rappresentano il sito di
nidificazione usuale (Ambrogio et al. 2001; Battaglia 2002). Queste coppie si possono
considerare una propaggine della popolazione ligure e toscana, considerando che in Emilia-
Romagna la presenza di altre certamente nidificanti più a est non è riportata in letteratura.
La popolazione italiana è stimata in 350-400 coppie concentrate particolarmente nell’Appennino
ligure ed Alpi Occidentali, Prealpi venete, regioni Tirreniche centrali, Calabria e Basilicata.
(Brichetti et al. 1992; Brichetti e Fracasso 2003).
L’intera fascia collinare dell’Emilia-Romagna tra Reggio e Rimini è interessata dalla presenza di
estivanti, per lo più subadulti, di cui non si è accertata finora attività riproduttiva (Premuda e
Bagni 2003; Ceccarelli 2003). In provincia di Bologna sono presenti mediamente oltre 10
individui che frequentano vallate aperte caratterizzate da calanchi e pascoli tra il torrente Idice e
il fiume Santerno. Si possono osservare voli territoriali e apparenti comportamenti di
corteggiamento, senza che siano state riscontrate nidificazioni. Sono stati osservati fino a 7
individui, prevalentemente immaturi, in un dormitorio comune occupato per più anni successivi
(Premuda 2004). Più ad est la presenza è regolare tra le valli di Senio-Marzeno-Samoggia ed
ancora più ad est nelle basse colline tra Bidente-Savio e Marecchia.
I flussi migratori attraverso la regione sono definiti scarsi e dell’ordine di 300 individui
(Chiavetta, 1992), valore probabilmente sovrastimato. Le vie principali di migrazione infatti
interessano l’Italia peninsulare lungo la costa Tirrenica con un passaggio di molte centinaia di
individui (Agostini et al. 2004) mentre il flusso che segue l’Adriatico è trascurabile
(Borioni1993; Pandolfi e Sonet 2006).
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ALBANELLA MINORE Circus pygargus
Nidificante estiva, migratrice regolare.
L’areale regionale appare sostanzialmente sovrapponibile rispetto alla Carta del 1999, con un
aumento delle tavole che passano da 60 a 75 (43,6% del totale); l’incremento, che interessa in
particolare le aree di pianura bolognese e ferrarese, può rientrare nella dinamica fluttuante delle
popolazioni nidificanti che caratterizza questa specie. Le tavole con indicazione certa di
riproduzione (49 pari al 28,5%) risultano concentrate nel basso Appennino (soprattutto da Rimini
a Bologna, e Parma), nella zone umide costiere e nell’immediato retroterra (Ravenna, Ferrara), in
zone golenali del Po (Parma, Piacenza); è probabile che le ricerche in corso per gli atlanti di
Modena e Reggio possano riempire i vuoti che attualmente appaiono nell’Appennino di quelle
province.
La popolazione italiana è stimata in 260-380 coppie con andamento fluttuante (Brichetti e
Fracasso 2003). Le stime per la Regione vanno da 70-140 (Chiavetta 1992) a 85-110 (Gustin et
al. 1997) a 70-140 (Marchesi e Tinarelli 2007), contingenti che risultano di importanza nazionale
in quanto rappresentano circa il 40% della popolazione italiana; a livello locale vengono indicate
20-30 coppie nel Bolognese (Tinarelli et al. 2002), 15-18 nel Parmense (Ravasini 1995). Il
movimento migratorio interessa la Regione con importanti contingenti ipotizzati in 2-3.000
individui (Chiavetta 1992).
Nella Lista Rossa italiana (LIPU e WWF 1999) la specie figura fra quelle vulnerabili; a livello
regionale viene considerata “altamente vulnerabile” (Gustin et al. 1997) essendo infatti esposta
ad una serie importante di minacce: quella principale deriva dalla sua abitudine di deporre anche
nei seminativi con il rischio di perdita delle nidiate durante le operazioni di falciatura meccanica;
sono auspicabili al riguardo interventi gestionali con operazioni di salvaguardia dei nidi durante
il lavoro delle macchine operatrici, interventi già attuati felicemente in passato con finanziamenti
regionali (Chiavetta 1992). Altri rischi sono di origine ecologica per la perdita di siti riproduttivi
causata dal rimboschimento naturale di ambienti aperti collinari, o per predazione dei nidiacei da
parte di carnivori; altri derivano da azioni umane dirette e indirette: caccia illegale,
contaminazione da pesticidi, elettrocuzione, alterazioni dell’habitat e disturbo nelle zone
golenali.
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Confrontando i dati attuali con quelli della precedente Carta delle Vocazioni, la specie risulta
certamente nidificante in 29 tavolette che ospitano una o più coppie (più 4 con nidificazioni
eventuali) contro le precedenti 21 (più 7 eventuali). Ciò in parte riflette conoscenze più
approfondite ottenute soprattutto nell’Appennino romagnolo dove recentemente sono state
intraprese ricerche specifiche, e nell’Appennino bolognese.
La specie, che necessita di formazioni forestali ad alto fusto (Kerward 2006), è fortemente
limitata in tutto il comprensorio di pianura dall’assenza di boschi strutturalmente idonei e non
disturbati, mentre colonizza in modo pressoché continuo tutta la zona dell’alto Appennino.
Generalmente legata nella nostra zona alla presenza di conifere, è stata notevolmente
avvantaggiata dai programmi di rimboschimento condotti nei decenni scorsi ad opera delle
amministrazioni pubbliche. E’ riscontrata infatti in rimboschimenti di Pino nero, Abete bianco,
Abete rosso, Douglasia. Nelle Foreste Casentinesi non nidifica, salvo eccezioni, nei versanti ad
Abietifagetum ma seleziona i rimboschimenti artificiali puri di conifere. Occasionalmente lo si è
trovato nidificante in boschi di latifoglie a bassa quota o in castagneti abbandonati (Colombari,
oss.pers).
La popolazione della regione è stata stimata inferiore alle 50 coppie (Chiavetta 1992; Gustin et
al. 1997). Dai dati attuali questa stima può essere elevata a 50-80 coppie. Favoriscono la specie il
generale miglioramento del patrimonio forestale e la diminuita pressione venatoria che, anche
una volta cessata la deliberata persecuzione dei predatori, abbastanza spesso è vittima di
abbattimenti illegali.
La popolazione italiana è stimata in 500-800 coppie (Brichetti e Fracasso 2003) distribuite
sull’arco alpino e nell’Italia continentale dove è presente la sottospecie nominale, e in Sardegna
con 50-70 coppie appartenenti alla sottospecie A.gentilis arrigonii endemica di Corsica e
Sardegna oggetto di un Piano di Azione dell’Unione Europea.
Fattori di minaccia per la specie sono rappresentati dalla frammentazione dell’habitat forestale
ad alto fusto, dagli abbattimenti o lavori forestali in stagione riproduttiva, dall’eccessiva
rimozione dei rinnovi e alberi morti che limita il numero delle prede potenziali, dal disturbo
causato da attività del tempo libero in prossimità dei nidi (ricerca prodotti del sottobosco,
escursionismo, motocross), intrappolamenti accidentali in pollai, colombaie o altre strutture di
allevamento.
Si deve anche ricordare che un considerevole numero di rapaci, tra cui particolarmente gli astori,
viene accidentalmente catturato (e legalmente deve essere rilasciato) in trappole autorizzate per il
controllo selettivo dei Corvidi.
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SPARVIERE Accipiter nisus
In parte sedentario, migratore regolare, svernante.
L’attuale distribuzione regionale appare ampliata decisamente rispetto ai dati della Carta del
1999.
La specie risulta presente in 98 tavole (57% del totale) contro le 73 di allora, con un aumento
percentuale del 34,2%; in particolare appare molto migliorata la distribuzione nelle province di
Piacenza, di Forlì-Cesena ed in parte di Bologna.
L’ampliamento può essere in parte determinato da una più precisa e capillare ricerca per gli
ultimi atlanti provinciali, ma è opinione diffusa che la specie sia in espansione, soprattutto nelle
zone collinari che risultano in pratica completamente occupate; l’espansione riguarda anche
nuove zone di pianura (in gran parte tuttavia senza prove certe di nidificazione), in una vasta
zona di campagna a nord di Modena e Bologna, e con due casi isolati nell’ambito del Parco del
Delta; da segnalare la nidificazione nella periferia urbana di Reggio Emilia (Gustin 2002).
La nidificazione appare accertata in 82 tavole (47,7%); in particolare viene riportato
l’accertamento della riproduzione anche nel Forlivese (che non figurava nella precedente
indagine) con 14 tavole. La completa assenza di segnalazioni lungo l’asta del Po, dal Reggiano
alla costa adriatica, è probabilmente da imputare a carenza di informazioni, visto che nella parte
occidentale del corso del fiume la presenza è pressoché continua.
La popolazione italiana è stimata in 2.000-4.000 coppie con tendenza all’incremento (Brichetti e
Fracasso 2003); è probabilmente da rivedere in aumento, almeno nel valore minimo, la
valutazione regionale di 300-800 coppie (Chiavetta 1992); stime parziali più recenti indicano
110-130 coppie nel Parmense (Ravasini 1995) e 60-100 coppie nel Bolognese (Tinarelli et al.
2002). Vengono stimati in Regione alcune centinaia di individui svernanti e diverse migliaia di
migratori (Chiavetta 1992).
Anche a livello nazionale viene indicata una generale tendenza all’incremento numerico e
all’espansione territoriale negli ultimi due decenni (Brichetti e Fracasso 2003).
Come tutte le specie dei rapaci, lo Sparviere è esposto a minacce derivanti da azioni dirette
(caccia illegale, in particolare per gli individui svernanti) o indirette dell’uomo (uso di pesticidi,
elettrocuzione, collisione con cavi aerei o impianti eolici).
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totale) contro le precedenti 95 (+33,6%); l’accertamento della nidificazione riguarda 111 tavole
(64,5%).
Il confronto fra le due carte mostra una distribuzione sostanzialmente immutata a monte della
Via Emilia, salvo una migliore copertura nell’Appennino piacentino che appariva disertato
nell’indagine precedente, probabilmente per un difetto di informazione. L’espansione riguarda
quindi le zone di pianura, in particolare il Bolognese, il Ravennate, le zone costiere ferraresi, le
adiacenze del Po piacentino; nella pianura orientale esistevano già alcune segnalazioni, limitate
però ad indicazioni di eventuale riproduzione, mentre attualmente figurano nidificazioni certe
localizzate nelle aree protette costiere (Pineta di Classe, Punte Alberete) e nella pianura
antropizzata bolognese. Va detto che l’insediamento nella pianura riguarda al momento poche
coppie isolate, essendo l’espansione limitata dalla scarsità degli alberi adatti ad accogliere il
nido; possono sopperire grandi alberi o boschetti isolati e i boschi fluviali.
Le massime densità si riscontrano nella bassa e media collina con sufficiente copertura arborea
alternata agli spazi aperti necessari alla caccia; nel Parco dei Gessi bolognesi ad esempio sono
state registrate 12 coppie in 50 kmq (Colombari in Tinarelli et al. 2002), densità (24 cp/100 kmq)
che appare tra le più alte anche a livello nazionale. A quote prossime al crinale appenninico le
densità si riducono notevolmente a causa della estesa copertura boschiva.
In Italia sono stimate 4.000-8.000 coppie con trend in aumento (Brichetti e Fracasso 2003); in
Regione sono valutate 500-1000 coppie (Chiavetta 1992), con stime locali di 90-95 nel Parmense
(Ravasini 1995) e 150-200 nel Bolognese (Tinarelli et al. 2002). I contingenti svernanti nella
Regione possono essere di un migliaio di individui, quelli migratori di diverse migliaia
(Chiavetta 1992).
Lo status della popolazione è da considerarsi buono, con relative minacce rappresentate dalle
uccisioni illegali (da lamentare purtroppo la pratica ancora attiva delle esche avvelenate,
pericolose anche per questa specie), dalle collisioni con cavi aerei, dall’elettrocuzione; in
particolare la mortalità dovuta alle linee elettriche è documentata anche localmente (Tinarelli e
Tirelli 2003; Chiozzi e Marchetti 2000), mortalità che potrebbe essere ridotta con interventi di
messa in sicurezza, ad esempio mediante sostituzione dei conduttori con cavi Elicord. Per i
grandi veleggiatori come la Poiana un grave pericolo può inoltre essere rappresentato da impianti
eolici posti sulle rotte migratorie.
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Rispetto alla precedente carta delle Vocazioni del 1999 si nota una presenza più diffusa sul
territorio. Ciò in parte è attribuibile a un precedente difetto delle conoscenze.
La popolazione italiana presenta attualmente un trend positivo. Le stime più aggiornate
considerano presenti 476-541 coppie, per due terzi concentrate sull’arco alpino dove la specie ha
praticamente saturato la capacità portante (Fasce e Fasce 2003; Brichetti e Fracasso 2003). In
Appennino sono stimate 57-69 coppie. E’ verosimile che la maggiore antropizzazione, la minore
disponibilità di ungulati selvatici e il bracconaggio mantengano la popolazione appenninica al di
sotto delle potenzialità. In Appennino Tosco-Emiliano sono conosciute 16-22 coppie nidificanti
di cui 9 nei confini dell’Emilia-Romagna (Bonora et al. in stampa). I siti potenzialmente idonei
alla specie sono stimabili per l’Appennino Tosco-Emiliano in un terzo in più rispetto a quelli
occupati. Le coppie sono più concentrate nelle parte ovest della regione e più isolate
nell’Appennino romagnolo, fenomeno analogo a quanto accade sul versante toscano, attribuibile
alle differenti caratteristiche orografiche del territorio.
Una coppia possiede generalmente più nidi all’interno del proprio territorio riproduttivo che
vengono utilizzati con rotazioni irregolari. Possono essere distanziati da poche decine di metri a
molti chilometri (oltre dieci nel caso di due coppie in Emilia-Romagna). La rappresentazione
topografica per la specie risente di questo fenomeno, in quanto non è possibile rappresentare i
nidi alternativi di una stessa coppia che ricadono in elementi cartografici diversi.
La produttività risulta nella norma, mediamente di 0,5 giovani involati per coppia ogni anno con
estremi tra 0,15 e 1,0 nell’arco di 15 anni per le due coppie rispettivamente più e meno
produttive. Non sono eccezionali i casi di due giovani involati per coppia.
Oltre agli adulti nidificanti, sono presenti giovani dell’anno e subadulti di cui è nota la grande
facilità di spostamento, nati localmente o provenienti da altre aree, che frequentano in particolare
le zone collinari caratterizzate da vasti spazi aperti e calanchi. La presenza di immaturi,
difficilmente quantificabile con precisione, è stimabile intorno a 7-10 individui (Bonora et al. in
stampa). In alcuni casi si sono osservati immaturi che hanno frequentato la stessa area per diversi
anni e si sono successivamente spostati una volta assunto l’abito riproduttivo.
Le praterie di crinale, sfruttate per l’alimentazione, ricadono inoltre nell’home range di almeno 7
coppie nidificanti sul versante toscano.
Per questi motivi l’areale frequentato dalla specie (coppie riproduttive e immaturi) deve essere
considerato coincidente con le zone aperte collinari e montane specialmente a minore grado di
antropizzazione.
I fattori di minaccia per l’aquila sono rappresentati dal disturbo in prossimità del nido in stagione
riproduttiva per lavori forestali o attività legate al tempo libero (escursionismo, raccolta di
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prodotti del sottobosco, fotografia naturalistica). Si verificano ancora sporadici ma significativi
episodi di bracconaggio.
La collisione con elettrodotti è altro fattore documentato che incide particolarmente sui giovani
appena dopo l’involo. L’installazione sui crinali di generatori eolici, di grandi dimensioni e in
serie anche di decine di elementi, costituisce il principale pericolo per la conservazione della
specie.
FALCONIFORMI
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disponibilità di territori di caccia anche una riduzione degli invertebrati. L’afforestazione
spontanea o artificiale causa ugualmente una perdita di habitat. La disponibilità di cavità idonee
per la nidificazione è ridotta dal recupero e ristrutturazione di edifici rurali tradizionali. Infine
nella nostra regione dove il Grillaio nidifica in nidi di Gazza, pratiche non consentite quali lo
sparo al nido per il contenimento dei Corvidi può comportare la perdita dei pochi riproduttori
presenti. Il Grillaio è oggetto di un Piano di Azione della Unione Europea.
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In Europa è specie considerata in declino, classificata SPEC3 ovvero specie con status di
conservazione sfavorevole e popolazione non concentrata nel continente, mentre in ambito
italiano risulta in ripresa (BirdLife International 2004).
Localmente le minacce per la specie sono rappresentate dalla caccia illegale, da elettrocuzione e
impatti con cavi aerei, dalla riduzione di aree aperte collinari e montane, dalla ristrutturazione
delle abitazioni abbandonate. A beneficio della specie potrebbero essere utilizzati speciali nidi
artificiali a cassetta da installare in ambienti agrari, pratica attuata con successo in molti paesi
europei ed anche in Toscana, Lazio e nel Modenese (Rabacchi 1999).
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I fattori di minaccia per la specie sono attribuibili a perdita di habitat nelle bonifiche per
trasformazione di colture a seminativo in altri tipi di conduzione agricola intensiva,
particolarmente vivai di specie arboree. Pratiche di controllo dei Corvidi, condotte
frequentemente con metodi non selettivi ed illegali come lo sparo al nido, provocano la perdita di
riproduttori di questa ed altre specie di rapaci che utilizzano nidi di Gazza.
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localmente minacce particolarmente gravi; i rischi possono derivare dall’attività venatoria per
episodi di caccia illegale (l’abbattimento di adulti all’apertura della caccia può significare la
perdita di tutta la nidiata) e per l’attività di controllo dei Corvidi (con lo sparo ai nidi di
Cornacchia riutilizzati dal Lodolaio); altri rischi derivano dall’uso dei pesticidi (la specie è
soprattutto entomofaga) e dal taglio dei pioppeti golenali (Ravasini 1995).
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contemporaneamente su uno stesso balzo di medie dimensioni. La predazione da parte del Gufo
reale è stata accertata (Rigacci e Scaravelli 1995) ma ha perso importanza nell’Appennino
Tosco-Emiliano data l’estrema rarefazione di questo predatore. Le cause antropiche rivestono
maggiore significato. Fino a tempi recenti i nidi di Lanario sono stati depredati illegalmente da
falconieri. Anche gli abbattimenti durante la stagione venatoria sono relativamente frequenti.
Come per altre specie rupicole, in periodo di cova possono costituire un fattore di disturbo grave
e sufficiente a provocare il fallimento riproduttivo attività ricreative, se praticate senza
precauzioni, quali escursionismo e arrampicata sportiva, birdwatching e fotografia, ricerca di
fossili e minerali.
La collisione con ostacoli quali cavi aerei e pale di generatori eolici installati in prossimità dei
territori riproduttivi rappresenta un fattore di minaccia potenziale molto grave.
Il Lanario è oggetto di un Piano di Azione dell’Unione Europea recentemente recepito a livello
nazionale (Andreotti e Leonardi 2007).
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superato dall’espansione della popolazione. Pur in mancanza di ricerche sistematiche coordinate,
con l’eccezione di poche province, si può considerare verosimile la presenza di 50-70 coppie
nidificanti.
La popolazione italiana è stimata intorno alle 800-1000 coppie, per un terzo localizzate nelle
isole maggiori.
Fatto nuovo e molto significativo la riproduzione in ambienti urbani. A Bologna una coppia
nidifica regolarmente nel quartiere fieristico, dove è stata installata anche una webcam. Una
seconda coppia è insediata nel centro storico cittadino. A Ferrara una coppia è probabilmente
nidificante in zona industriale della periferia. A Piacenza una coppia si è insediata in una centrale
elettrica, favorita da un nido artificiale appositamente collocato, e successivamente ha nidificato
in un nido di Corvidi su un traliccio dell’alta tensione e quindi nuovamente in un nido artificiale.
A Modena una coppia si riproduce presumibilmente nel centro storico. Una coppia frequenta,
fino ad ora senza evidenza di riproduzione, il centro storico di Forlì.
Nei mesi invernali giungono nella regione i pellegrini delle popolazioni del nord Europa; in
questo periodo è frequente osservarli in ambienti di pianura ancora poco frequentati in periodo
riproduttivo, su posatoi elevati come i tralicci degli elettrodotti e specialmente in prossimità di
zone umide e canneti dove si raccolgono grandi concentrazioni di Uccelli.
La specie presenta oggi uno stato di conservazione soddisfacente. Fattori di minaccia locali sono
rappresentati dal disturbo in prossimità dei nidi (escursionismo, arrampicata sportiva, fotografia
e birdwatching), abbattimenti illegali che avvengono ancora, prelievi illegali di pulli al nido da
parte di falconieri, fenomeno attenuato rispetto al passato grazie alla disponibilità di individui
nati in cattività allevati appositamente, trasmissione di malattie infettive o parassitarie da parte
dei Colombi domestici particolarmente predati dalle coppie che nidificano in prossimità di
ambienti urbani. Si deve ricordare infine che se gli insetticidi organoclorati per uso agricolo non
sono più utilizzati in Europa (ma lo sono ancora nei paesi emergenti), altri composti come i PCB
(bifenili policlorurati) che pur non essendo insetticidi hanno alcuni effetti simili a quelli del DDT
sugli Uccelli, sono usati come plastificanti in vari tipi di produzioni industriali (vernici, isolanti,
lubrificanti) e sono dispersi largamente nell’ambiente.
GALLIFORMI
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L’areale attuale risulta più ampio di quello del 1999 con un aumento delle tavole occupate da
101 a 136 (79,1% del totale), in gran parte (132) con indicazione certa di riproduzione.
L’ampliamento (che riguarda in particolare il territorio piacentino, buona parte della pianura
bolognese e le tavole costiere di Ravenna e Ferrara) sembrerebbe indicare una fase espansiva di
questa specie per la quale sono indicate fluttuazioni notevoli sia sul breve termine sia in tempi
lunghi (Brichetti et al. 1992). Un incremento quantitativo importante è stato riscontrato ad
esempio nella provincia di Forlì-Cesena negli ultimi 10 anni; il confronto fra i censimenti
effettuati nel 1995-97 e quelli ripetuti nel 2004-06 evidenziano un forte aumento, con indici di
densità relativa praticamente raddoppiati (Sterna inedito).
La stima della popolazione italiana è di 15.000-30.000 covate (Brichetti e Fracasso 2004), quella
regionale è di 1.600-4.000 con trend fluttuante (Marchesi e Tinarelli 2007). Le stime locali
sembrano influenzate dalle probabili fluttuazioni annuali: per il Parmense la stima di 80 coppie
(Ravasini 1992) appare molto riduttiva rispetto alle 300-660 coppie valutate nel Bolognese
(Tinarelli et al. 2002).
Diffusa prevalentemente nella pianura e nella bassa collina; l’altitudine non sembra tuttavia un
fattore limitante per la sua presenza, vincolata piuttosto alla disponibilità di vasti pascoli ed aree
aperte (Gellini e Ceccarelli 2002); la specie è segnalata infatti a 1250 m nel Forlivese (M.
Fumaiolo), ai 1200 m nel Piacentino.
In Europa è classificata SPEC3 a causa dello status sfavorevole (BirdLife International 2004) e
nella Lista Rossa italiana è inserita fra le specie a basso rischio (LIPU e WWF 1999); i fattori
limitanti sono legati alle modificazioni del paesaggio agrario, alla meccanizzazione agricola,
all’uso dei pesticidi; l’attività venatoria, che non ha più un forte impatto diretto con i nuovi
calendari venatori che risparmiano i flussi migratori importanti, può rappresentare un pericolo
indiretto a causa dell’inquinamento genetico con la Quaglia giapponese immessa.
CARADRIFORMI
19
sempre nel Modenese era stato citato un caso nei pressi di Lama Mocogno nel 1981 (Spanò 1987
citato in Toso et al. 1999); successivamente un’altra nidificazione è stata verificata nel
Piacentino a 1.375 m nel 2001 (Ambrogio et al. 2001).
La carta attuale comprende 13 tavole (7,6% del totale) 10 delle quali con accertamento della
riproduzione. Si tratta comunque in gran parte di dati privi di conferme recenti.
Viene ribadita pertanto la scarsa presenza in Regione con areale limitato all’Appennino
occidentale e con una popolazione, la cui stabilità è da verificare, probabilmente di poche decine
di coppie; del resto tutta la popolazione nazionale è stimata in 50-150 nidiate (Brichetti e
Fracasso 2004).
Per il settore orientale sono citate vecchie segnalazioni: una in Appennino nel 1967 presso M.
Battaglia (RA) a 5-600 m di altitudine (Toschi 1967); diverse nei boschi litoranei: nel 1974-
1977-1978 nella Riserva Mangelli (RA) (Foschi 1986), nel 1977 e nel 1979 nel Bosco della
Mesola (Ortali 1978 e 1984), nel 1979 nella Pineta di S.Vitale (Ortali 1984).
La specie è molto diffusa come svernante; normalmente si tratta di individui singoli, ma non
mancano segnalazione di piccole concentrazioni in siti favorevoli: 7 esemplari all’Ortazzino, in
provincia di Ravenna (Giannella e Tinarelli 2003).
E’ specie che presenta problemi di conservazione riconosciuti a livello continentale con la
classificazione a SPEC3 (BirdLife International 2004) con status sfavorevole e popolazione non
concentrata in Europa; nella Lista Rossa italiana è inclusa nelle specie in pericolo (LIPU e WWF
1999) ed in quella regionale è dichiarata a status indeterminato (Gustin et al. 1997).
In periodo riproduttivo i problemi sono legati soprattutto alla esiguità della popolazione
regionale. I rischi maggiori riguardano gli individui svernanti a causa naturalmente
dall’eccessivo prelievo venatorio che dovrebbe essere limitato come carniere e come giornate; le
stime recenti indicano ancor oggi circa 500.000 abbattimenti per stagione in Italia (Brichetti e
Fracasso 2004).
COLUMBIFORMI
20
il fenomeno. Il miglioramento deriva infatti dagli atlanti di Piacenza e Bologna (che sono ancora
relativi agli anni ’90), ma soprattutto dalle ricerche in corso nelle province romagnole (Sterna
inedito). La provincia di Forlì-Cesena ad esempio passa dalle 5 tavole di allora (peraltro senza
accertamento riproduttivo) alle 15 tavole attuali; le tavole costiere di Ravenna e Ferrara passano
da 2 a 7 tavole. Anche in termini quantitativi i recenti censimenti forlivesi e ravennati indicano
un aumento degli indici chilometrici di abbondanza dell’ordine di 5-10 volte rispetto al triennio
1995-97.
E’ verosimile pensare che la disponibilità di informazioni recenti anche per altre province, in
particolare l’area di Modena e Reggio, potrebbe aumentare notevolmente la copertura regionale.
L’espansione nel settore orientale riguarda sia l’Appennino sia le zone planiziali; in montagna
l’areale, limitato negli anni ’80 alle Foreste Casentinesi (Foschi e Gellini 1987) e in aumento già
negli anni ’90 verso quote medie (Gellini e Ceccarelli 2000), copre attualmente tutto il territorio
dalle zone pedecollinari al crinale; nelle zone costiere l’ampliamento interessa tutte le tavole,
dalla Pineta di Classe al Bosco della Mesola.
La fase espansiva è del resto generalizzata anche a livello nazionale ed europeo (Brichetti e
Fracasso 2006).
Nella scelta dell’habitat la specie appare molto eclettica utilizzando ogni formazione boschiva
disponibile: le formazioni estese e mature del crinale e della costa, i boschi cedui collinari, i
boschi fluviali, i pioppeti artificiali, le siepi arboree, i boschi relitti (Ambrogio et al. 2001;
Ravasini 1995).
La popolazione italiana è stimata in 40.000-80.000 coppie in incremento (Brichetti e Fracasso
2006); non sono disponibili stime della popolazione regionale; le uniche valutazioni, peraltro
troppo datate vista l’evoluzione in corso, sono di 80-100 coppie nel Parmense (Ravasini 1995) e
di 30-50 coppie nel Bolognese (Tinarelli et al. 2002); alti valori di densità riguardano i Boschi di
Carrega e i calanchi parmensi dove sono indicate stime di 5,4 coppie/kmq (Ravasini 1995).
La regione è interessata da forti movimenti migratori con concentrazioni autunnali di migliaia di
esemplari nelle zone costiere del delta, ad esempio nel Bosco della Mesola (Brichetti e Fracasso
2006).
Non sembrano esistere al momento gravi fattori di rischio per la specie: la pressione venatoria,
che era un tempo il più pesante fattore limitante, risulta oggi ridotta dall’abolizione della caccia
primaverile; permangono i rischi dovuti alle collisioni con cavi aerei e all’uso dei pesticidi:
vengono riportati ad esempio episodi di avvelenamento da semi trattati con sostanze tossiche per
campagne rodenticide (Meda 1980).
21
TORTORA SELVATICA Streptopelia turtur
Nidificante estiva, migratrice regolare.
L’aggiornamento della carta di distribuzione con i dati delle province di Piacenza (Ambrogio et
al. 2001), Bologna (Tinarelli et al. 2002), e delle province romagnole (Sterna inedito) ha
consentito di migliorare ulteriormente la Carta del 1999 che indicava già 142 tavole, passate
attualmente a 167 (97,1% del totale) con 156 tavole di nidificazione certa (90,7%).
La copertura interessa in pratica tutto il territorio regionale; restano scoperte solo 5 tavole per
probabile carenza di dati recenti in pianura o per reale assenza in alta montagna (la specie è
molto rara oltre gli 800 m di altitudine).
Stimate in Italia 150.000-300.000 coppie con trend fluttuante (Brichetti e Fracasso 2006); le
stime locali della popolazione sembrano abbastanza divergenti: circa 1000 coppie per la
provincia di Parma con le densità massime di 3 cp/kmq nel Parco del Taro (Ravasini 1995);
4000-6000 coppie per Bologna (Tinarelli et al. 2002). La popolazione regionale può considerarsi
tendenzialmente stabile o in leggero aumento; i censimenti recenti per Forlì-Cesena e Ravenna
confermano questo status.
Per la Regione sono riportate anche osservazioni occasionali di singoli individui in inverno
(Brichetti e Fracasso 2006).
Ritenuta in declino a livello europeo e classificata SPEC3 ossia specie con status sfavorevole e
popolazione non concentrata nel continente (BirdLife International 2004), la Tortora non risulta
esposta a particolari pericoli nella Regione; nei territori agricoli può essere sfavorita dalle
monocolture intensive mentre i rischi che possono derivare dai trattamenti antiparassitari delle
colture potrebbero essere attenuati con il diffondersi delle tecniche di lotta biologica; la pressione
venatoria appare attualmente limitata dal calendario venatorio che ha ridotto il periodo utile alla
caccia.
22
tavole scoperte in montagna sembrano indicare che l’espansione verso monte sia al momento
rallentata da fattori altitudinali.
I primi insediamenti hanno interessato i grandi centri di pianura dove la specie ha trovato
condizioni ottimali ed ha raggiunto densità molto elevate, come a Reggio Emilia con 55,2
cp/kmq per una popolazione cittadina di 1187 coppie (Gustin 2003); nella periferia di Parma è
indicata una densità simile: 25 coppie su 50 ha pari a 50 cp/kmq (Ravasini 1995).
Successivamente ha colonizzato anche centri minori e zone rurali, ed infine le vallate collinari
raggiungendo al momento centri montani posti ad altitudini di 700 m nel Piacentino (Ambrogio
et al. 2001), 800 m nel Parmense e nel Forlivese (Ravasini 1995; Sterna inedito), 920 m nel
Bolognese (Tinarelli et al. 2002).
Sono disponibili due stime di popolazioni locali: per il Parmense la stima di 1500-1600 coppie
(Ravasini 1995) appare oggi certamente anacronistica; quella di 40.000-70.000 coppie nel
Bolognese (Tinarelli et al. 2002) sembra troppo ottimistica in quanto rappresenterebbe il 10% di
tutta la popolazione nazionale valutata in 400.000-600.000 coppie (Brichetti e Fracasso 2006).
Particolari concentrazioni possono verificarsi per scopi alimentari come quella di 2-3000
individui registrata in periodo autunnale in un oleificio da semi presso Faenza (Brichetti e
Fracasso 2006).
Negli ultimi 10 anni per la provincia di Ravenna il trend indica stabilità, per quella di Forlì-
Cesena una fase di aumento (Sterna inedito).
Lo stato di salute della popolazione è dovuta anche all’assenza di particolari minacce per la
specie; i rischi potrebbero derivare da azioni dirette dell’uomo come gli eventuali interventi di
controllo della popolazione per motivi igienico-sanitari e l’attività venatoria (la specie è stata
recentemente inserita fra quelle cacciabili).
STRIGIFORMI
23
distribuzione a Ravenna appare ridotta di oltre il 50% (da 37 sezioni a 17), a Forlì-Cesena la
riduzione è del 22% (da 23 a 18 sezioni). Il confronto fra le due province lascia già intendere
come la situazione in pianura appaia molto più grave rispetto a quella collinare. E’ probabile che
l’andamento, che pure veniva valutato con segni di ripresa negli anni ’90 rispetto alle gravi
perdite determinate dall’inverno rigidissimo del 1985 (Rigacci in Tinarelli et al. 2002), sia al
momento fortemente negativo anche nelle altre province, per le quali non sono disponibili dati
recenti; anche nell’Atlante di Piacenza (Ambrogio et al. 2001) relativo al periodo 1995-2000
viene indicata una forte flessione.
In Italia sono stimate 6.000-13.000 coppie con trend negativo (Brichetti e Fracasso 2006); la
popolazione regionale veniva stimata in qualche centinaia di coppie (Chiavetta 1992), in
particolare circa 100 coppie nel Parmense, con densità di 0,26-0,3 cp/kmq in pianura e 0,24
cp/kmq in collina (Ravasini 1995), 40-80 coppie nel Bolognese (Tinarelli et al. 2002). I migranti
e gli svernanti erano valutati in centinaia o migliaia a seconda degli anni (Chiavetta 1992) a
causa delle forti fluttuazioni; durante la stagione invernale possono verificarsi movimenti erratici
con raggruppamenti nei dormitori, ad esempio di 15 e 12 individui nel Parmense (Ravasini
1995).
Il Barbagianni è in declino a livello europeo, classificato SPEC3 (BirdLife International 2004)
ovvero specie con status di conservazione sfavorevole e popolazione non concentrata in Europa;
nella Lista Rossa italiana (LIPU e WWF 1999) è inserito nelle specie a basso rischio, mentre
nella Lista Rossa regionale (Gustin et al. 2002) è considerato a status indeterminato. Svariati i
rischi che determinano questo quadro; a livello locale possono essere indicati quelli riportati
nell’Atlante di Bologna (Rigacci in Tinarelli et al. 2002)): inverni rigidi e nevosi (eventi forse
non più così importanti negli ultimi anni), perdita dei siti riproduttivi per ristrutturazione di case
abbandonate (7 casi documentati), avvelenamento da rodenticidi (2 casi), collisioni con veicoli
(2 casi) e con linee elettriche (1 caso). Interventi di protezione possono essere attuati con
installazione di cassette-nido nelle zone agrarie, pratica da tempo utilmente applicata in molti
paesi europei (Rabacchi 1999).
24
attualmente scoperte. C’è da considerare al riguardo come la diffusione di tutte le specie
notturne, per i loro stili di vita, venga sottovalutata nelle ricerche ornitologiche; sono indicativi
in merito i risultati ottenuti con le recenti ricerche nelle province romagnole (Sterna inedito)
attraverso la ricerca sistematica dei notturni col metodo del playback: in pratica tutto il reticolo
1:25.000 della porzione orientale della Regione è risultato coperto, con esclusione di alcun tavole
di montagna, probabilmente disertate perché poste oltre i limiti altitudinali della specie (è più
comune nella fascia di bassa e media collina fino ai 600 m di altitudine, localizzata invece nelle
aree di alta collina e di pianura).
Censimenti locali effettuati lungo strade di fondovalle di Bologna, Ravenna, Forlì-Cesena (Asoer
inedito), con richiami registrati ad intervalli di 1 km, hanno consentito di ricavare indici relativi
di densità; singolari concentrazioni sono state rilevate lungo il T.Sillaro (BO) con 13 maschi
cantori in 13 km di tragitto e lungo il T. Borello (FC) con 23 maschi su 12 km.
A livello europeo è una specie con problemi di conservazione, classificata SPEC2 (BirdLife
International 2004) e cioè specie con popolazione concentrata nel continente e con status di
conservazione sfavorevole; in Italia è fra le specie a basso rischio (LIPU e WWF 1999); in
Regione, dove lo status è considerato indeterminato (Gustin et al. 1999), la situazione può
apparire meno critica, con popolazione probabilmente stabile; questa era stimata inferiore alle
500 coppie (Chiavetta 1992), con valori locali di 150 coppie nel Parmense (Ravasini 1995) e di
30-60 coppie nel Bolognese (Tinarelli at al. 2002). Densità di 1,2 cp/kmq sono riferite al Parco
fluviale regionale dello Stirone (Brichetti e Fracasso 2006). La popolazione italiana è valutata in
5.000-11.000 coppie (Brichetti e Fracasso 2006).
Fattori di minaccia sono rappresentati dai mutamenti nelle attività agricole, in particolare per
l’abbattimento di piantate e vecchi alberi cavi, dei quali andrebbe invece stimolato il
mantenimento per favorire le specie che nidificano in cavità arboree; si potrebbe sopperire al
problema con l’apposizione dei nidi artificiali; altra minaccia nelle zone agrarie deriva dall’uso
dei pesticidi. Importanza hanno anche i rischi di impatto con autoveicoli, e l’abbattimento, per il
contenimento dei Corvidi, dei nidi di Gazza che l’Assiolo può riutilizzare per deporre.
Per contro le probabili modificazioni climatiche in atto verso un clima più caldo potrebbero
favorire questa specie tipica di ambiente xerotermico.
25
E’ una specie difficile, ovviamente per le abitudini notturne ma anche per l’habitat frequentato e
il comportamento elusivo per gran parte dell’anno ad eccezione del breve periodo in pieno
inverno in cui le coppie manifestano il comportamento più intensamente territoriale. Il
rilevamento, che essenzialmente si fa al canto, è possibile solo per un tempo limitato intorno al
crepuscolo, prima che le coppie partano per la caccia. Questo comporta che sia possibile
esplorare un solo sito riproduttivo potenziale per ogni sera. Quindi in presenza di popolazioni
estremamente rarefatte come è il caso dell’Emilia-Romagna, lo sforzo di ricerca è molto elevato
e poco remunerativo e non meraviglia che la specie sia scarsamente studiata. Frequenta ambienti
di collina e montagna caratterizzati da ampi spazi aperti scarsamente boscati, a seminativi,
pascoli ed incolti (particolarmente idonea è la fascia dei calanchi) con rupi emergenti sulle quali
o alla base delle quali sceglie una nicchia per nidificare. Sono particolarmente adatti comprensori
come il Contrafforte Pliocenico nel Bolognese o la Vena dei Gessi Romagnoli ove fino agli anni
’80 erano presenti intorno a 5-7 coppie.
La Carta delle Vocazioni del 1999 considerava la possibilità di nidificazione in oltre 20 tavolette:
tuttavia ad eccezione d’alcune aree dove erano stati condotti studi continuativi, in particolare tra
Bologna e la Romagna, i rilevamenti erano per lo più basati su dati aneddotici e dovuti in gran
parte a segnalazione d’individui trovati morti o in evidente difficoltà. Quindi la consistenza
effettiva della popolazione era largamente ignota.
Rispetto ad allora la situazione della specie si è sicuramente aggravata. Estinto nel Bolognese,
dove l’ultima coppia è scomparsa a metà anni ‘90 si è mantenuto per alcuni anni nel basso
Appennino ravennate e forlivese, ove al momento sono noti pochi individui isolati anziché
coppie riproduttive.
La situazione è relativamente migliore nel comprensorio del Parco Nazionale delle Foreste
Casentinesi dove sono presenti due coppie almeno una delle quali si riproduce regolarmente, e si
sono avuti anche recentemente indizi più o meno consistenti di presenza in altri potenziali
territori. In tempi recenti si sono avute osservazioni nel Modenese e nel Reggiano; un individuo
è stato trovato morto nell’Appennino Parmense dove già la presenza era segnalata in 10 tavolette
(Ravasini 1996). La possibilità di conservazione della popolazione regionale, rappresentata nel
migliore dei casi da coppie isolate con densità inferiori a quelle considerate critiche (Glutz von
Blotzeim et al. 1980), a meno di fatti nuovi come ad esempio apporti esterni di individui
provenienti dalle Alpi, è assolutamente ridotta.
In Italia la consistenza della specie è intorno alle 250-340 coppie, con trend negativo in molte
aree peninsulari ma con segni di espansione delle popolazioni dell’arco alpino. Nella Lista Rossa
dell’Emilia-Romagna è considerata specie minacciata di estinzione con popolazione stimata
inferiore a 10 coppie (Gustin et al. 1997).
26
I fattori di minaccia per questa specie sono rappresentati dal disturbo in prossimità del territorio
riproduttivo (arrampicata sportiva, escursionismo, fotografia e birdwatcing) dagli abbattimenti
illegali in periodo venatorio tutt’ora non infrequenti, dalla collisione con cavi aerei di elettrodotti
od altro, dagli investimenti sulle strade. Sono stati documentati casi di individui rimasti
intrappolati in pollai o allevamenti di selvaggina. Avvelenamenti dovuti alla cattura di roditori
che avevano assunto rodenticidi sono stati documentati in alcuni casi e costituiscono
probabilmente un rischio elevato in prossimità di allevamenti e discariche di rifiuti condotte con
criteri moderni.
27
1995); valori bassi (0,16-0,3 cp/kmq) sono riportati per la pianura coltivata parmense con parchi
e boschi ripari (Ravasini 1995).
La distribuzione praticamente invariata nell’ultimo decennio può far supporre una certa stabilità
della popolazione regionale.
L’habitat forestale rende questa specie meno esposta ai rischi che riguardano in genere tutti i
notturni; in particolare risultano meno frequenti le collisioni con autoveicoli o cavi aerei; negli
ambienti di pianura permane elevato il rischio derivato dall’uso dei rodenticidi.
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ed anche dalle ristrutturazioni di case rurali e delle loro pertinenze (fienili, stalle) che riducono la
disponibilità di siti riproduttivi; a quest’ultima causa si può sopperire con l’apposizione di
cassette-nido, facilmente utilizzati dalla Civetta.
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alle linee elettriche vede localmente questa specie come la più colpita (Tinarelli e Tirelli 2003).
Il controllo dei nocivi con la pratica di sparare ai nidi dei Corvidi riduce la disponibilità di siti
riproduttivi a questa specie che depone comunemente nei nidi vecchi di Cornacchia.
CAPRIMULGIFORMI
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CORACIFORMI
31
Specie politipica distribuita in Europa meridionale,Turchia, Nord Africa, Paesi Baltici, Russia ed
Ucraina, Medio Oriente e Nord-Est della Cina. In Europa è presente la sottospecie nominale
garrulus.
Negli ultimi anni nell'areale di nidificazione si è assistito a un marcato declino della specie,
anche in regioni geografiche che ospitavano le popolazioni di maggiore consistenza come la
Turchia e la Russia. E’stata classificata da Birdlife International specie vulnerabile. La
popolazione europea si sarebbe ridotta complessivamente del 30%, in sole tre generazioni (15
anni).
Occupa generalmente aree di pianura o di bassa collina con boschi radi di Quercia e Pini,
mosaici agrari, cespuglieti, aree con bassa vegetazione erbacea o incolti. Nidifica in cavità
naturali presenti in pareti di roccia o alberi cavi ed anche in cavità artificiali, come fori e nicchie
in muri a secco, ruderi, cave e costruzioni rurali. Nella nostra zona diverse nidificazioni
avvengono in cabine monopalo di trasformazione da media a bassa tensione, che recano un foro
ellittico per il passaggio di cavi elettrici, sufficientemente grande da permettere l’accesso della
Ghiandaia marina alla cavità interna.
In Emilia-Romagna ha nidificato fino agli anni '60 nella pianura e lungo il litorale ravennate
(Gellini e Ceccarelli 2000) ma è scomparsa successivamente.
Nel 2003 è stata scoperta una prima coppia nidificante nella pianura ravennate vicino al litorale,
dopo anni di assenza (Plazzi 2006). Nel 2005 oltre alla precedente ancora nidificante, sono state
individuate una coppia in comune di Comacchio, due in Provincia di Bologna, 1-3 coppie in
Provincia di Parma.
Nel 2006 sono state scoperte due nuove coppie lungo il litorale ravennate. Una nidificazione
probabile nel Parmense riguarda il Parco dello Stirone dove si sono osservati adulti con
imbeccata in periodo riproduttivo, senza che sia stato scoperto il nido. Quindi si evidenzia
localmente una controtendenza rispetto al trend generale della popolazione con la comparsa di
più coppie nelle ultime stagioni riproduttive (Bonora 2006). La popolazione nidificante si può
stimare tra 10 e 20 coppie.
Fattori di minaccia per la specie sono rappresentati dalla ridotta disponibilità di
macroinvertebrati in zone ad agricoltura intensiva e dalla mancata reperibilità di cavità naturali
in alberi o artificiali in muri a secco, ruderi, pali di linee elettriche. In particolare la
ristrutturazione di edifici rurali semi abbandonati con conseguente chiusura di cavità utili e
l’obliterazione dei fori di ingresso dei cavi elettrici nelle cabine monopalo può ridurre le
opportunità di nidificazione. Per i motivi accennati in questa prima fase di reinsediamento della
specie è quanto mai opportuna la collocazione di nidi artificiali idonei.
32
PICIFORMI
PASSERIFORMI
33
La distribuzione regionale è frammentaria ed interessa 24 tavole (14% del totale) tutte con
indicazione certa. Appare più diffusa nelle province centrali ed occidentali da Bologna a
Piacenza dove frequenta i greti ciottolosi e sabbiosi con rada vegetazione xerofila dei fiumi; dal
Panaro al Trebbia, nei loro tratti di alta pianura e bassa collina, tutti i fiumi risultano occupati
(Ambrogio et al. 2001; Ravasini 1995; Giannella e Rabacchi 1992); non sono note invece
presenze nell’Appennino romagnolo. Nelle province orientali è presente nelle zone di pianura
ferraresi e ravennati dove frequenta le zone vallive e la campagna adiacente; in questo caso
l’habitat è situato negli incolti e nelle coltivazioni con seminativi a sviluppo tardivo; altre isolate
presenze in pianura sono riportate nel Bolognese lungo l’asta del Reno nei coltivi di soia, mais,
barbabietole (Tinarelli et al. 2002).
Per il Parmense la stima della popolazione è di 110 coppie con le densità più elevate (2cp/kmq)
lungo il Taro (Ravasini 1995). Lo status regionale risulta indeterminato (Gustin et al. 1997) a
causa delle difficoltà di individuare coppie molto localizzate in vaste aree potenzialmente
idonee; è probabile tuttavia che il trend sia negativo almeno nella porzione orientale; nel
Forlivese e nel Riminese ad esempio negli ultimi 20 anni è segnalata una riduzione dell’areale: le
presenze note negli anni ’80 in zone litoranee e lungo il Marecchia (Foschi e Gellini 1987) non
sono attualmente confermate (Sterna inedito); nel Ravennate la presenza rimane estremamente
localizzata lungo il Reno, nell’Ortazzo e nei campi adiacenti alla Salina di Cervia (Borghesi
inedito).
La Calandrella è del resto in declino a livello europeo, classificata SPEC3 (BirdLife International
2004) cioè con status sfavorevole e popolazione non concentrata nel continente.
Localmente le minacce possono derivare dal disturbo delle attività umane nelle zone delle golene
fluviali e litoranee (coltivazioni, escavazioni, pascolo, traffico dei fuoristrada, presenza dei cani,
tutte attività che andrebbero regolamentate nel periodo riproduttivo), nonchè dall’uso dei
pesticidi nelle coltivazioni.
34
alte ricadono tuttavia nell’intervallo di 300-800 m. L’habitat è quello dei prati, pascoli, incolti,
aree erbacee ai margini dei boschi, radure.
In Italia sono stimate 50.000-100.000 coppie con trend di stabilità (BirdLife International 2004);
le stime locali di popolazione indicano 600-650 coppie in provincia di Parma (Ravasini 1995),
400-1000 coppie in quella di Bologna (Tinarelli et al. 2002). Il trend sembra al momento di
stabilità, come confermato dalle recenti ricerche nelle province romagnole che indicano, per
l’ultimo decennio, una situazione stabile nel Forlivese, addirittura un aumento nel Ravennate
(Sterna inedito).
Questo contesto appare in controtendenza rispetto a quanto rilevato a livello europeo dove lo
status sfavorevole della popolazione, concentrata nel continente, ha determinato per la specie la
classificazione di SPEC2 (BirdLife International 2004).
In effetti, nell’ambito regionale, la Tottavilla non ha subito il tracollo che ha colpito gran parte
delle specie ecologicamente simili, in particolare l’Allodola; la riduzione delle aree aperte
collinari, conseguente all’abbandono di attività pastorali ed agricole, non pare ancora influire in
maniera così negativa sulle popolazioni della Tottavilla; il suo adattamento a spazi aperti anche
molto ridotti e la tolleranza per elementi alberati e arbusti sparsi può sopperire al momento alla
progressiva perdita di habitat determinata dalla fase di rimboschimento spontaneo; certamente la
situazione è destinata ad aggravarsi a lungo termine ed in questa prospettiva sono importanti gli
interventi gestionali tesi a conservare e mantenere le zone aperte collinari per favorire tutte le
specie rare e minacciate ospitate da questi ambienti (Tellini 1998).
35
L’intervallo altitudinale va dai 100 m delle aree pedecollinari alle zone montane, con massime
altitudini di 950 m (BO), 1050 m (FC), 1300 m (PC), 1350 m (PR); per la pianura non vi sono
segnalazioni neppure in aree potenzialmente adatte come zone incolte o dune costiere.
Le popolazioni locali sono stimate in 120-150 coppie nel Parmense (Ravasini 1995) e 100-200
coppie nel Bolognese (Tinarelli et al. 2002), mentre è molto più scarsa la presenza nelle province
romagnole dove viene valutata in alcune decine di coppie (Gellini e Ceccarelli 2000) e sono
attualmente noti solo 6 siti riproduttivi (Sterna inedito).
Nel complesso lo status, considerato indeterminato nella Lista Rossa regionale (Gustin et
al.1997), sembra mostrare una relativa stabilità o un contenuto regresso.
A livello europeo viene indicata una situazione di declino per la specie, inserita nella categoria
SPEC3, ossia a status sfavorevole e popolazione non concentrata in Europa (BirdLife
International 2004).
Le minacce possono derivare dalla perdita di habitat adatti a causa di trasformazioni ambientali
per l’apertura di cave o per il rimboschimento spontaneo o artificiale degli ambienti aperti
collinari.
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Va detto che per Bologna e Ferrara non sono disponibili informazioni più recenti, mentre per
Ravenna è stata riscontrata negli ultimi anni una forte diminuzione della popolazione che appare
ridotta a 10-15 coppie (Costa inedito) dalle 60-80 degli anni ’90. In particolare si è verificato il
drastico abbandono di Valle Mandriole a causa della scomparsa dei folti canneti misti, provocata
dalla crescente salinità dell’acqua della valle, deleteria per le piante palustri d’acqua dolce;
questa situazione ha probabilmente determinato la parziale colonizzazione di altre zone vicine
(Risarina, Volta Scirocco). Altri piccoli insediamenti di 1-2 coppie, nelle vasche dello
zuccherificio di Mezzano (Costa 1995) e in un canale interno della pianura lughese (Costa in
Gellini e Ceccarelli 2000), non sono stati confermati.
L’aumento del contenuto salino delle acque è uno dei fattori di minaccia più gravi, almeno per i
siti in vicinanza del mare; altri rischi possono derivare dalla riduzione dei canneti per falciatura o
incendio e da sfavorevole gestione dei livelli dell’acqua, operazioni queste negative anche per
altre specie acquatiche e che vanno evitate nel periodo riproduttivo.
La specie rientra fra le specie vulnerabili nella Lista Rossa italiana (LIPU e WWF 1999) ed è
definita a status indeterminato nella Lista Rossa regionale (Gustin et al. 1997).
37
è inoltre segnalata nel SIC riminese del F. Marecchia (Tinarelli 2005). In gran parte dei casi
l’habitat è rappresentato da ambienti golenali con boschi riparali accompagnati da ricca
copertura arbustiva.
Per le province occidentali non si dispone di una situazione aggiornata, mentre nelle province
romagnole la presenza della specie non è stata verificata negli ultimi anni (Sterna inedito),
circostanza che lascia supporre l’estinzione nella parte orientale della Regione.
Nella Lista Rossa italiana è fra le specie a basso rischio (LIPU e WWF 1999), in quella regionale
viene elencata fra le specie rare con una popolazione stimata in 30-50 coppie (Gustin et al.
1997), valutazione probabilmente oggi ottimistica.
La permanenza della specie come nidificante in Emilia-Romagna, pur tenendo presente che lo
status non è aggiornato, appare al momento critica; va ricordato peraltro che la nostra Regione
rappresenta un territorio marginale rispetto all’areale europeo che interessa principalmente le
zone centrali ed orientali del continente.
Il fattore di minaccia principale può derivare appunto da questa situazione di marginalità che
rende di per se vulnerabile la specie; localmente i rischi possono derivare dalle alterazioni
dell’ambiente fluviale, dall’abbattimento delle siepi e dall’uso dei pesticidi.
38
castagneto montano, proviene dal Piacentino (Ambrogio et al. 2002). La presenza riproduttiva è
inoltre segnalata nella ZPS M. Rondinaio-M. Giovo nel Modenese (Tinarelli 2005).
Per la coppia del Forlivese va segnalata la particolare ubicazione del sito riproduttivo, posto in
un’abetina matura, situazione insolita per una specie considerata tipicamente legata ai boschi di
latifoglie; sempre in quel sito era stato peraltro segnalato un precedente caso di nidificazione nel
1941 (Foschi 1986).
La popolazione regionale, sulla cui stabilità non esistono conferme recenti, poteva essere
valutata a fine ‘900 in 10-15 coppie; va tenuto presente tuttavia che l’esiguità della popolazione e
l’estrema localizzazione dei siti rendono problematico il reperimento delle coppie. La specie è
sempre risultata comunque rara anche in tempi storici.
Qualsiasi considerazione protezionistica e gestionale è subordinata ad una migliore conoscenza
dello status che è dichiarato indeterminato in Regione (Gustin et al. 1997); il mantenimento dei
boschi maturi, in particolare i castagneti secolari, pare comunque una misura estremamente
favorevole alla conservazione di questa e tante altre specie nidificanti in cavità arboree.
39
Le densità sono maggiori nelle fasce di pianura e prima collina, poi decrescono lungo il
gradiente altitudinale, con localizzate presenze riscontrate anche ad elevate altitudini: 1500 m
nella provincia di Bologna (Tinarelli et al. 2002), 1300 m a Parma (Ravasini 1995), 1150 m a
Forlì-Cesena (Sterna inedito).
L’habitat è costituito da ambienti aperti di vario tipo: pascoli e incolti con presenza di arbusti ed
alberi isolati, seminativi con siepi e filari alberati, frutteti.
I principali fattori di minaccia per la specie sono individuabili soprattutto nelle moderne tecniche
agrarie che hanno determinato nel recente passato l’abbattimento di ogni spazio naturale residuo
nell’ambiente agricolo (siepi, filari e boschetti, tare agricole); sono da incentivare in merito
interventi di ripristino agroambientale per salvaguardare e ricostituire questi spazi verdi. A ciò va
aggiunto l’uso pesante dei pesticidi che potrebbe vedersi ridotto con il diffondersi dei metodi di
lotta biologica. In collina l’abbandono di gran parte dei pascoli determina la perdita di aree
aperte per il progressivo imboschimento naturale (al riguardo sono auspicabili interventi di
pulizia e conservazione di queste aree). Altri fattori, difficilmente valutabili, possono dipendere
da problematiche riguardanti le zone di svernamento africane.
40
1995); 2 nidificazioni nella pianura piacentina (Ambrogio et al. 2001); 3 coppie nidificanti
(1988) nella pianura modenese (Giannella e Rabacchi 1992); 3-5 coppie nella pianura bolognese
(Tinarelli et al. 2002).
Nel settore romagnolo, negli anni ’80, venivano indicati rari casi di riproduzione nei pressi delle
coste e pinete ravennati, mentre per il Forlivese veniva indicata solo l’eventualità della
nidificazione (Foschi e Gellini 1987); nell’atlante del 1995-97 (Gellini e Ceccarelli 2000) non
sono indicate presenze riproduttive in tutta la Romagna; l’unica segnalazione recente è riferita ad
una piccola colonia di 2-3 coppie ai margini di una cava nel Ravennate (Magnani inedito).
Per il Ferrarese è segnalata una nidificazione eventuale nel 2005 in Valle Pega (Borghesi
inedito).
L’habitat comune a tutte le segnalazioni è un ambiente di pianura aperto, con coltivazioni
diversificate, prevalentemente erbacee, ma con presenza vincolante di piante mature isolate,
alberi tutori delle viti, pali e linee aeree.
E’ problematico individuare le cause del declino; fra le concause (Gustin et al. 1997) sono
indicate: uso dei pesticidi e sostanze chimiche, meccanizzazione ed agricoltura intensiva,
riduzione delle siepi, problematiche legate alla siccità nei quartieri africani di svernamento, oltre
a cause sconosciute.
Gli interventi gestionali proponibili sono in pratica gli stessi indicati per l’Averla piccola e cioè
la salvaguardia e il ripristino di spazi naturali nell’ambiente agricolo, il mantenimento di aree
aperte nei pascoli abbandonati.
41
campagna con siepi arboree ed in parchi cittadini; è indicata la presenza anche nelle città di
Piacenza e Parma, in quest’ultima con 30-45 coppie (Ravasini 1995).
Anche quantitativamente il fenomeno risulta importante; ad esempio nelle province di Forlì-
Cesena e Ravenna gli indici di densità relativa sono oggi raddoppiati rispetto al periodo 1995-97
(Sterna inedito). Altri centri capoluoghi sono attualmente frequentati: Reggio (Gustin 2003),
Bologna (Tinarelli et al. 2002) e Forlì (Ceccarelli et al. 2006); le vie di penetrazione verso città e
pianura sono rappresentate dai corsi fluviali e dai loro boschi ripariali.
Per l’Appennino si conferma la presenza su tutto il territorio fino alle altitudini massime, con
occupazione in pratica di ogni tipo di formazione boschiva.
La popolazione italiana è stimata in 200.000-400.000 coppie con trend positivo (BirdLife
International 2004); le stime locali delle popolazioni indicano 9.000-9.500 coppie nel Parmense
(Ravasini 1995), 10.000-20.000 coppie nel Bolognese (Tinarelli et al. 2002); per il Parmense
sono riportati anche valori di densità lungo il gradiente altitudinale: 1,42 cp/kmq in pianura, 3,89
cp/kmq in collina, 5,18 cp/kmq in montagna, con valore medio provinciale di 3,49 cp/kmq
(Ravasini 1995).
Lo status favorevole è consentito anche dalla mancanza di particolari minacce per la specie.
42
A favorire il fenomeno è naturalmente l’opportunismo della Gazza, in grado di utilizzare le
maggiori disponibilità alimentari conseguenti ad attività umane come gli allevamenti e le
discariche; a ciò va aggiunta la ridotta persecuzione umana diretta.
E’ più comune in pianura e nelle zone pedecollinari; la densità si riduce lungo il gradiente
altitudinale con sporadiche presenze anche a quote elevate: 800 m nel Bolognese (Tinarelli et al.
2002), 1131 m nel Parmense (Ravasini 1995), 950 m nel Forlivese (Gellini e Ceccarelli 2000).
La specie è insediata anche all’interno delle città: a Parma (Ravasini 1995) e a Forlì (Ceccarelli
et al. 2006).
In Italia sono stimate 200.000-500.000 coppie con trend positivo (BirdLife International 2004).
La popolazione nel Bolognese è stimata in 1500-2500 coppie (Tinarelli et al. 2002), nel
Parmense in 5500-6000 coppie (Ravasini 1995); i dati sembrano mostrare maggiori densità verso
l’area occidentale della Regione.
L’assenza di particolari minacce per la specie è uno dei fattori che ne favorisce l’espansione. Va
ricordato che questa, come le altre specie dell’ordine, è un attivo predatore di uova e pulli nei
nidi degli altri uccelli; questa propensione, accompagnata dall’aumento dei contingenti, può
creare una richiesta di controllo della popolazione, soprattutto dall’ambiente venatorio che vede
in maniera generalizzata nella attività predatrice dei Corvidi una causa importante di riduzione
della selvaggina.
43
(2004-2006), appare una situazione di stabilità (Sterna inedito); in particolare non sono evidenti
nuovi insediamenti in tutta l’area della pianura intensamente coltivata.
Certamente per la specie non sono in atto nell’ultimo decennio notevoli incrementi quantitativi
come quelli segnalati invece per altri Corvidi (Ghiandaia e Gazza).
La popolazione italiana è considerata stabile con 50.000-100.000 coppie (BirdLife International
2004). Localmente sono valutate 1500-2000 coppie in provincia di Bologna (Tinarelli et al.
2002), 322-340 coppie nel 1994 in quella di Parma, in aumento rispetto alle 168-202 coppie del
1991 (Ravasini 1995).
E’ da segnalare l’importante dormitorio nell’Oasi di Magliano (FC) dove negli ultimi inverni si
sono radunati regolarmente 1000-2000 individui (Foschi inedito).
I siti riproduttivi sono rappresentati dalle cavità naturali nelle pareti rocciose, ma ancor più da
quelle artificiali nei manufatti umani: edifici storici, case rurali abbandonate, ponti e viadotti.
Proprio la ridotta disponibilità dei siti artificiali dovuta ad interventi di restauro degli edifici
monumentali (con la chiusura dei fori per i ponteggi allo scopo di allontanare le colonie di
piccioni), oppure al recupero delle case abbandonate, rappresenta al momento l’unico rischio
potenziale per la specie. Viene segnalata anche una possibile limitazione causata dall’espansione
del Pellegrino che può allontanare le colonie rupicole dai siti naturali (Tinarelli et al. 2002).
L’insediamento della Taccola nelle città poteva far pensare ad una conflittualità nei riguardi dei
piccioni; in realtà, pur esercitando un’attività di predazione dei nidi di questi ultimi, la presenza
della taccole non rappresenta un fattore limitante importante per la popolazione dei piccioni,
anche perché in genere le colonie cittadine delle taccole sono di modesta entità.
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La popolazione italiana è stimata in 110.000-520.000 coppie con trend di stabilità (BirdLife
International 2004). Nel Parmense sono stimate 9-10.000 coppie riproduttive (Ravasini 1995); va
tenuto presente al riguardo che la popolazione complessiva è composta anche da molti immaturi
e adulti non impegnati in attività riproduttiva; nel Bolognese la stima delle coppie è di 1000-
2000 (Tinarelli et al. 2000). La sproporzione fra le due stime potrebbe indicare una maggiore
diffusione nell’area occidentale della Regione e in particolare nelle zone contigue al Po; infatti i
pioppeti nelle aree golenali rappresentano un habitat estremamente favorevole con densità di 5-
11 coppie/kmq registrate nel tratto lungo la provincia di Parma (Ravasini 1995).
Nelle province romagnole il trend della popolazione risulta stabile nell’ultimo decennio (Sterna
inedito).
Per la Cornacchia non esistono attualmente fattori di rischio particolari, anzi è favorita da
importanti fonti alimentari procurate indirettamente dall’uomo con le discariche e gli
allevamenti. Come per la Gazza, e ancor più di questa, la propensione a predare uova e pulli di
altri uccelli può costituire motivo di richiesta di controllo della popolazione, in particolare
dall’ambiente venatorio.
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La specie, in forte regresso su scala nazionale ed europea, è classificata SPEC2 (BirdLife
International 2004) ovvero in declino con popolazione concentrata nel continente; nella Lista
Rossa italiana è inserita fra le specie a rischio (LIPU e WWF 1999). Anche in ambito regionale
la fase di declino è generalizzata e denunciata in tutte le province; in Romagna la regressione
appare decisamente grave: il declino, già segnalato nell’Atlante del 1995-97 (Gellini e Ceccarelli
2000), ha mostrato un ulteriore aggravamento negli ultimi anni con diminuzioni quantitative
della popolazione nell’ultimo decennio dell’ordine del 50% nel Forlivese e del 90% nel
Ravennate (Sterna inedito).
Le cause di questa situazione, che è comune a tante altre specie di ambienti aperti, vanno
ricercate localmente nelle trasformazioni agricole in pianura (scomparsa dei residui elementi di
vegetazione spontanea, meccanizzazione, uso dei fitofarmaci) e nella riduzione di zone aperte in
collina (abbandono dei pascoli e dei terreni agricoli con conseguente rimboschimento naturale).
Questa cause da sole tuttavia non sembrano tali da giustificare un regresso così marcato; è
probabile che la causa principale sia da ricercare in trasformazioni climatiche e ambientali nei
quartieri di svernamento.
Azioni di tutela locali riguardano naturalmente la salvaguardia o il ripristino degli habitat
favorevoli (messa a riposo dei terreno agricoli, conservazione dei pascoli abbandonati).
Le categorie fenologiche sono tratte dalla Check-list degli uccelli dell’Emilia-Romagna (Bagni et
al. 2003), con la seguente Legenda:
B Nidificante; SB Sedentaria o Stazionaria nidificante; M Migratore o Migratrice; W Svernante,
presenza invernale; E Estivante, presenza estiva; A Accidentale (con numero delle segnalazioni);
reg Regolare; irr Irregolare; par Parziale, Parzialmente; ? dato incerto.
Viene riportato anche lo status di conservazione europeo con la valutazione del 1994 (Tucker e
Heath 1994) confrontata con quella più recente del 2004 (BirdLife International 2004), con le
seguenti codifiche:
SPEC1: Specie presente in Europa ed il cui Status di Conservazione le qualifica come
globalmente minacciate in tutto l’areale, anche per mancanza di informazioni.
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SPEC2: Specie con popolazione concentrata in Europa e con status sfavorevole nel continente.
SPEC3: Specie con popolazione non concentrata in Europa e con status sfavorevole nel
continente.
SPEC4: Specie con popolazione concentrata in Europa, ma con status favorevole nel continente.
FALCO PESCATORE Pandion haliaetus: M reg, W irr. Presente regolarmente nei passi
primaverile ed autunnale principalmente nelle zone umide di pianura orientali e centrali (RA-FE-
BO-MO); molto raro come svernante: 1 ind. negli anni 1998-1999-2000 nel comprensorio Valli
di Comacchio-Mezzano (Baccetti et al. 2002), 1 nel 2003 nelle Valli di Argenta (Picus 2004).
SPEC3 (1994), SPEC3 (2004).
NIBBIO REALE Milvus milvus: M reg, W, E irr. Regolare nei passi primaverile ed autunnale,
segnalato soprattutto in zone di pianura (PR-RE-MO-BO-FE-RA), ma anche collinari (MO-FC);
rari i casi di svernamento in pianura (RE-MO-RA) con una certa regolarità nelle Valli di
Mirandola (Giannella e Tinarelli 2003, 2004, 2006), eccezionali in collina: 3 ind. nelle colline
forlivesi (Brichetti et al. 1992). Accidentale come estivante nella Salina di Cervia (Giannella e
Tinarelli 2003) e nelle Valli di Mirandola (Giannella e Tinarelli 2004). SPEC4 (1994), SPEC2
(2004).
AQUILA DI MARE Haliaeetus albicilla: M irr, W irr. Sono note presenze accidentali di
giovani o immaturi: inverno 1994-95 due individui, uno dei quali giovane del primo anno, a
Manzolino in provincia di Modena (Giannella et al. 1996), 2/6/2003 un giovane nelle Valli di
Mortizzuolo, Mirandola-MO (Giannella e Tinarelli 2004), 11/1/06 un giovane sul Po ai confini
di Piacenza e Parma (Battaglia inedito).
SPEC3 (1994), SPEC1 (2004).
GRIFONE Gyps fulvus: M irr. Di comparsa irregolare; le ultime osservazioni sono del 31/8/04
a Ospitaletto-Marano s/P (MO) (Giannella e Tinarelli 2006) e del 22/7/05 in alta Val Parma
(Mendi inedito). SPEC3 (1994), Non SPEC (2004).
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ALBANELLA REALE Circus cyaneus: M reg, W, B irr. Regolarmente presente da ottobre a
marzo in zone di pianura (più frequentemente ai margini delle aree vallive orientali) e di bassa
collina; la popolazione svernante era valutata in 100-400 individui (Chiavetta 1992), con una
stima forse eccessiva; attualmente sono stimati 60-100 individui svernanti (Marchesi e Tinarelli
2007) con andamento fluttuante a seconda degli anni, risultando maggiore la presenza negli
inverni più freddi. Un caso eccezionale di nidificazione, unico in Italia in tempi recenti, è
segnalato nel Parmense in un’area golenale del Po nel 1998 (Brichetti et al. 1998), ripetutosi poi
nel 1999-2000 (Brichetti e Fracasso 2003). SPEC3 (1994), SPEC3 (2004).
AQUILA ANATRAIA MINORE Aquila pomarina : M irr. Molto rara; non sono note
segnalazioni recenti. SPEC3 (1994), SPEC2 (2004).
48
Pineta di Classe-Ortazzo-Foce Bevano sono state registrate presenze primaverili negli anni 1992-
93-94 (Premuda 1997). SPEC1 (1994), SPEC1 (2004).
AQUILA MINORE Hieraaetus pennatus : M irr, W irr. Presente nei passi e in inverno, più
spesso in pianura presso le zone umide. Solitamente rara, ma numericamente molto fluttuante
negli anni; nell’autunno 2004 e nell’inverno 2004-05 in particolare la presenza è apparsa
eccezionale, a carattere di invasione (Premuda et al. 2006; Giannella e Tinarelli 2006), con
ripetute osservazioni in una quindicina di località nelle province di RE, PR, MO, BO, RA; queste
erano concentrate soprattutto in Val Taro, bassa bolognese, Valli Bertuzzi-Canneviè, Mesola,
Valli di Comacchio, Valle Mandriole, Ortazzo. Più recenti altre osservazioni invernali a Bosco
della Mesola (Passerella inedito) e Bertuzzi-Volano (18/1/07) (Bonora inedito). SPEC3 (1994),
SPEC3 (2004).
GALLINA PRATAIOLA Tetrax tetrax : M irr. Molto rara; non sono note segnalazioni recenti.
SPEC2 (1994), SPEC1 (2004).
PIVIERE TORTOLINO Charadrius morinellus : M reg. Di passo regolare nelle zone più alte
dell’Appennino, oltre il limite della vegetazione arborea. Segnalato nei SIC di M. Cusna e di M.
Prado (RE), M. Cimone (MO) e Corno alle Scale (BO) (Tinarelli 2005); in quest’ultima località
recenti osservazioni del 6/9/05 (gruppo di 5 individui) e del 29/8/06 (4 ind.) (Asoer inedito). Un
tempo citato comunemente in migrazione anche in zone di pianura (Foschi 1986). Non SPEC
(1994), Non SPEC (2004).
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GUFO DI PALUDE Asio flammeus : M reg, W par, E irr. Presenza regolare da ottobre ad
aprile; segnalazioni recenti di svernamento (Giannella e Tinarelli 2003, 2004) nelle Valli di
Mirandola (MO) e di Comacchio (FE), nell’Oasi di Bentivoglio (BO) e soprattutto nella Bonifica
del Mezzano (FE); in quest’ultima località si è verificata l’eccezionale presenza di 18-20
individui nell’inverno 2006-07 (Azzolini inedito). La popolazione svernante in Regione è di
alcune decine di individui (Marchetti e Tinarelli 2007). Sono segnalati anche casi insoliti di
estivazione nella Salina di Cervia (RA) e nell’Ortazzo (RA) ed in particolare la presenza da
aprile a luglio 2003 nel Mezzano (Giannella e Tinarelli 2003, 2004). SPEC3 (1994), SPEC3
(2004).
CALANDRA Melanocorypha calandra : M irr. Estinta come nidificante ai primi del 900
(Foschi 1986). Attualmente molto rara come migratrice; non sono note segnalazioni negli anni
2000. SPEC3 (1994), SPEC3 (2004).
PETTAZZURRO Luscinia svecica : M reg, W irr (reg?). Regolare nei passi in zone vallive. La
sua presenza è sempre stata probabilmente sottostimata; nella stazione ornitologica modenese “la
Tomina” ne vengono inanellati alcune decine per anno (Giannella e Gemmato 2004); un
esemplare di questi, preso in data 19/10/03, è stato attribuito alla sottospecie orientale
(L.s.svecica) (Giannella e Tinarelli 2004). In due occasioni il 3/8/05 e il 11/9/05 a Volta Scirocco
osservati gruppetti di 5-6 individui (RA) (Costa inedito). Rare presenze invernali segnalate nelle
Valli di Mortizzuolo il 5/1/02 (Giannella e Tinarelli 2003) e in Valle Umana-Comacchio (FE) il
10/2/96 con un esemplare della sottospecie occidentale (L.s.cyanecula) (Gemmato e Giannella
1998). La sottospecie occidentale appare più frequente di quella orientale (Foschi 1986;
Giannella e Gemmato 2004). Non SPEC (1994), Non SPEC (2004).
PAGLIAROLO Acrocephalus paludicola : M irr. Molto raro; una segnalazione del 15/8/02
nelle Valli di Mortizzuolo-Mirandola (MO) (Giannella e Tinarelli 2003). SPEC1 (1994), SPEC1
(2004).
MAGNANINA Sylvia undata : SB irr, M reg, W. La nidificazione di una coppia isolata è stata
accertata nel 1995 in un brugheto sommitale a Berceto (PR) a 900 m di altitudine (Ravasini
1995); nella stessa zona è stato osservato un maschio in canto il 30/6/02 (Giannella e Tinarelli
2003). SPEC1 (1994), SPEC1 (2004).
50
GRACCHIO CORALLINO Pyrrhocorax pyrrhocorax : M irr? Molto raro; non sono note
segnalazioni recenti. SPEC3 (1994), SPEC3 (2004).
Informazioni tratte da Bagni et al. 2003; viene indicato il numero delle segnalazioni a partire dal
1900 assieme alla provincia e all’anno dell’osservazione.
51
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MAMMIFERI
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provincia di Ferrara, dove è stato introdotto nel 1969 (Bertusi e Tosetti, 1986; Leporati et al.,
1976). Studi sugli impatti che tale popolazione ha esercitato sul delicato equilibrio dell’ambiente
dunale hanno evidenziato effetti sia negativi sia positivi (Mantovani Gerdol e Gerdol, 1988). In
particolare sono stati rilevati danni alla stabilità meccanica dei cordoni dunosi causati dalla
imponente attività di escavazione operata dai conigli, la quale potrebbe potenzialmente condurre
nel lungo periodo alla scomparsa dell’habitat. Effetti positivi sono invece stati osservati dagli
stessi Autori sulla diversificazione floristica del sito, nonchè sull’avifauna nidificante, in quanto
la presenza della colonia di conigli ha creato le condizioni favorevoli alla comparsa di una
specie, la Volpoca, di notevole interesse naturalistico.
Oltre all’impatto sugli ambienti naturali, il coniglio selvatico può rappresentare una importante
fonte alimentare per vari predatori e il suo controllo e la gestione dei nuclei presenti, così come
la eventuale introduzione in nuove località, dovrebbe tenere conto anche di questo aspetto.
58
M. Rondinaio e probabilmente sul Corno alle Scale. Altre introduzioni sono state effettuate negli
anni ‘70 nell’Appennino parmense e reggiano e nel 1987 nei pressi del passo del Cerreto.
Ulteriori immissioni nell’alta Val d’Enza all’inizio degli anni ‘80 sono probabilmente da
ascrivere a privati. Attualmente la specie occupa un areale piuttosto vasto che comprende
numerose zone della dorsale appenninica dal Corno alle Scale al M. Giovo e M. Romecchio. Un
nucleo isolato si trova sul M. La Nuda. Altri nuclei sono presenti nell’alto Appennino reggiano
sui M. Cusna e Prato e nell’alto Appennino parmense. In provincia di Piacenza la specie è
presente al confine con la provincia di Alessandria, in prossimità dello spartiacque che divide le
valli Curone e Borbera. Per la provincia di Modena sono note inoltre, a partire dalla metà degli
anni ‘80, segnalazioni relative a individui isolati a basse quote e lontani dall’areale abituale, ad
es. alcuni esemplari osservati ad altitudini comprese tra 350 e 500 m., a volte anche per due anni
consecutivi, in varie località dei comuni di Pavullo, Sestola e Marano sul P.
La distribuzione oggi interessa un’areale sempre più vasto. L’espansione e il consolidamento
delle popolazioni di Marmotta in regione possono essere ricondotti all’assenza di prelievo
venatorio e agli interventi di protezione adottati, nonostante i numerosi casi di bracconaggio
segnalati.
Data la mancanza in regione di specifiche tradizioni venatorie e la pressochè totale assenza di
interferenze con le attività umane la specie non riveste particolare interesse dal punto di vista
gestionale, tuttavia va sottolineato il decisivo ruolo ecologico che essa riveste per
l’alimentazione di rapaci come l’Aquila reale (Fasce P. e Fasce L., 1992). Sarebbe quindi
auspicabile un intervento di censimento più accurato e lo studio dei trend di espansione e di
strutturazione dei popolamenti, anche come indicatore dei possibili mutamenti climatici e del
loro potenziale impatto sulle cenosi cacuminali.
59
L’Istrice è grande e inconfondibile roditore per la presenza su dorso e coda, di grossi e lunghi
aculei di colore nero con anulazioni bianche. Presenta capo massiccio, occhi piuttosto grandi e
orecchie piccole poco visibili in quanto ricoperte da setole, zampe piuttosto corte. Attivo quasi
esclusivamente di notte, trascorre il giorno riparato in tane che la femmina utilizza anche per
l’allevamento dei piccoli. Si nutre di vegetali, tuberi, frutta ecc. Predilige ambienti coltivati
alternati a boscaglie, incolti ecc., a clima mediterraneo, dal livello del mare fino a oltre 1000 m
di altitudine.
Status
Negli ultimi decenni, nell’Italia centro-settentrionale, si è osservato un sensibile incremento della
specie, che ha colonizzato nuove aree rispetto a quelle note fino agli anni ‘70 (Tedaldi e
Scaravelli, 1993). In regione la presenza storica dell’istrice, pur se in modo abbastanza
sporadico, è stata documentata con una certa regolarità solo in Romagna (Ginanni, 1774;
Zangheri, 1946, 1957, 1969; Silvestri, 1971). A partire almeno dagli anni ‘80 la specie ha
mostrato una chiara tendenza ad ampliare l’areale verso nord, dapprima colonizzando nuovi
territori nell’ambito dell’area romagnola (Bassi e Fabbri, 1985, 1987; Casini et al., 1988;
Zavalloni e Castellucci, 1991) e successivamente facendo la sua comparsa in aree del tutto
nuove, quali le province di Modena nel 1984 (Sala, 1987) e di Parma nel 1989 (Ferri e Sala,
1992). In provincia di Modena segnalazioni certe della presenza dell’istrice si susseguono con
regolarità negli anni successivi in numerose località della fascia appenninica, a conferma
dell’esistenza di una popolazione consolidata (Ferri e Sala, 1992). Per la provincia di Parma sono
note diverse segnalazioni per l’alto bacino dei torrenti Parma e Baganza (Ferri e Sala, 1992).
Attualmente la distribuzione nota interessa praticamente tutta la Regione e la specie si è spinta
fino alle prealpi lombarde e venete.
Considerando la termofilia della specie può risultare abbastanza sorprendente la sua capacità di
colonizzare anche aree dell’Appennino caratterizzate da clima di tipo continentale, tuttavia è
interessante osservare come in provincia di Modena la presenza dell’istrice nelle fasce collinare e
montana sia stata rilevata esclusivamente in versanti con esposizione sud sud-est (Ferri e Sala,
1992). L’espansione verso nord è stata documentata a partire dagli anni ‘90 anche nel settore
orientale della regione ed in particolare per il ravennate, il forlivese (Scaravelli, 1992 e 2001) e
successivamente per la provincia di Ferrara.
Le ragioni della rapida espansione verificatasi soprattutto nell’ultimo decennio vanno cercate nel
consolidamento delle popolazioni già esistenti, legato sia alla protezione legale accordata nel
1974, sia a possibili fluttuazioni cicliche (Santini, 1980 in Tedaldi e Scaravelli, 1993). Fattori
ambientali positivi correlabili all’espansione sono considerati sia l’abbandono generalizzato di
molte aree collinari un tempo estesamente coltivate, sia il susseguirsi di inverni particolarmente
60
miti (Tedaldi e Scaravelli, 1993). Oggi è presenza consolidata e da molte aree giungono
segnalazioni anche consistenti di danni a colture, giardini e terrapieni, zone di interstrato ed
arginature dove l’animale va a ricavare le sue profonde tane.
61
sottoposti ad alcun controllo. A partire dalla seconda metà degli anni ’70 l’allevamento
commerciale della nutria entra in crisi, cessando di essere remunerativo e provocando di
conseguenza il deliberato rilascio degli animali o la loro fuga dagli allevamenti abbandonati. Si
formano in questo modo i primi piccoli gruppi che destano più curiosità che altro, consolidandosi
successivamente in popolazioni residenti e riproduttive (Santini, 1978). Se per il basso ferrarese
la presenza della nutria è nota fin dagli anni ‘80 (Bertusi e Tosetti, 1986), attualmente essa é
segnalata in buona parte della regione così come in molti fiumi, laghi e raccolte d’acqua del nord
e centro Italia. La plasticità che le permette di spostarsi dal pascolo alla raccolta delle idrofite a
quella dei rizomi, la grande abbondanza di cibo messo a disposizione dall’agricoltura, nonché la
mancanza di effettivi predatori, sono le ragioni che stanno alla base del considerevole aumento
della specie. L’abitudine di utilizzare come punto di vedetta qualunque oggetto galleggiante o
rialzato sulla superficie dell’acqua e in particolare i nidi di svariate specie di uccelli, produce
devastanti effetti su molti nidificanti, oltre a un forte disturbo a carico delle specie che sostano
regolarmente negli ambienti rivieraschi quali Ardeidi, Rallidi ecc. La Nutria è da tempo
riconosciuta come responsabile dell’impoverimento delle biocenosi acquatiche vegetali (cfr.
Ellis, 1963; Linscombe et al., 1981; Martignoni e Scaravelli, 1995) determinando così un danno
ulteriore alle già rare e spesso minacciate formazioni tipiche delle zone umide italiane. Inoltre la
specie è in grado di procurare danni a carico di varie essenze agricole di cui si nutre, così come
di danneggiare strutture idrauliche a causa dell’escavazione di tane. I danni maggiori sono a
carico delle colture orticole ma interessano anche cereali, barbabietole, semenzali e vivai. I danni
idraulici possono divenire notevoli in quanto proprio in vicinanza dei chiusini, dei ponticelli e di
altre opere le nutrie trovano maggior facilità di scavo e quindi vi insediano le proprie tane.
Per quanto riguarda la possibilità di un controllo "naturale" delle popolazioni, occorre
considerare che i predatori europei che possono cibarsi della Nutria sono ben pochi, sia per le
cospicue dimensioni del roditore sia per la fiera resistenza che essa può opporre. A parte la
Volpe, che può attaccare anche subadulti, le altre predazioni riferibili a uccelli da preda e a
carnivori terrestri sono a carico dei giovani.
In considerazione delle problematiche collegate e del fatto che si tratta di una specie esotica, la
Regione Emilia Romagna, con decreto 760 del 17 ottobre 1995, ha adottato una strategia
quantomeno di contenimento numerico, data la oggettiva impossibilità di eradicazione. A questo
scopo l’utilizzo di gabbie-trappola è sicuramente il più efficace sistema di controllo della Nutria
nel lungo periodo (Norris, 1967a, 1967b; Evans et al., 1971). Esse infatti non producono alcun
disturbo alla restante fauna, sono selettive e permettono un loro uso anche nelle aree protette
(Martignoni e Scaravelli, 1995). L’uso delle armi da fuoco può risultare efficace solo in
determinate circostanze, inoltre presenta aspetti negativi legati alla difficoltà di recupero delle
62
carcasse. Occorre peraltro sottolineare che la gestione del problema richiede un approccio
integrato e interventi generalizzati e durevoli, in quanto solo quando la popolazione viene
costantemente mantenuta a densità compatibili si può ritenere di avere raggiunto l’obiettivo del
controllo (Gosling, 1989; Gosling et al., 1988; Velatta e Ragni, 1991; Reggiani et al., 1993;
Scaravelli e Martignoni, 1996). L’utilizzo delle gabbie, non richiedendo particolari
specializzazioni, può essere di solito affidato agli stessi proprietari dei fondi coinvolti, tuttavia è
necessario il supporto del personale degli Uffici Caccia e Pesca provinciali al fine di garantire la
corretta realizzazione dei programmi concordati (Scaravelli e Martignoni, 1996).
La realizzazione di un piano funzionale su scala medio-grande deve prevedere uno studio
preliminare delle presenze e delle aree a rischio, seguito da una accurata organizzazione
logistica, comprendente un centro operativo, personale e un’adatta campagna di informazione.
Occorre inoltre predisporre un controllo del catturato allo scopo di rilevare i parametri di
popolazione, i quali permettono di monitorarne l’andamento del programma di limitazione
numerica e di verificarne l’efficienza.
Nonostante i piani di contenimento messi in opera si va assistendo ad un continuo ampliarsi della
presenza della specie in molte aree come per esempio anche nelle zone appenniniche o
rivierasche. L’area ravennate per esempio è oggi colonizzata interamente dalla specie (Scaravelli
2001, 2002) così come va espandendosi nella zona forlivese (Scaravelli 2002) ma non mancano
nuove affermazioni anche in tutta l’Emilia. Il programma di eradicazione dovrà essere
reinterpretato e finanziato con nuovo impulso se si vuole dare un minimo di efficacia al sistema.
63
Nonostante gli imponenti e regolari piani di controllo attuati in molti paesi la volpe è diffusa e
abbondante in gran parte dell’areale europeo. Le popolazioni, pur soggette a forti fluttuazioni più
o meno regolari, legate generalmente ai cicli dell’enzoozia rabica, mostrano elevatissime
capacità di recupero, con punte di incremento che raggiungono il 70% della popolazione dopo
solo un anno dalla cessazione del fattore di mortalità (Bogel et al., 1981). In Italia la rabbia
silvestre è oggi sostanzialmente assente grazie a una efficace campagna di vaccinazione della
popolazione volpina. In assenza di epizoozie le popolazioni italiane possono essere considerate
relativamente stabili e probabilmente mai lontane dalla capacità portante.
In Regione la distribuzione interessa pressochè l’intero territorio regionale senza soluzione di
continuità dalla pianura al crinale appenninico. A fronte di una omogenea distribuzione esistono
peraltro forti differenze tra la pianura, dove la volpe presenta generalmente basse densità, e la
fascia collinare e montana, dove si riscontrano densità medio-alte e localmente anche molto
elevate.
In provincia di Ferrara la volpe era scomparsa nel 1955, successivamente è ricomparsa all’inizio
degli anni ‘80, epoca dopo la quale si stima che sia andata costantemente aumentando (AA.VV.,
1994). In provincia Romagna la volpe, un tempo definita "abbastanza comune" da Zangheri
(1957), è oggi diffusa ovunque, comprese le aree litoranee, e localmente abbondante (Gellini et
al., 1992, Scaravelli et al 2001).
In provincia di Modena la volpe era scomparsa in pianura già nel secolo scorso ed era
considerata "non comunissima" anche in ambito collinare (Massa, 1884 in Ferri, 1992). Negli
ultimi decenni la specie ha mostrato un incremento generalizzato che ha portato alla
ricolonizzazione della pianura oggi sempre più massicciamente consolidata, specie in vicinanza
dei grandi agglomerati urbanizzati (Ferri 1992, Ferri in verbis). La volpe sembra in aumento
anche nelle provincia di Parma e Piacenza, dove risulta presente in tutto il territorio provinciale
dall’asta del Po al crinale appenninico. Nel corso di una ricerca specifica sulla distribuzione delle
tane in provincia di Piacenza, effettuata nel 1989, sono state rilevate un totale di 1451 tane, di cui
197 in pianura, 538 in bassa collina, 302 in alta collina e 414 in montagna. La densità media
sull’intero territorio provinciale è risultata di 0,67 tane/km2, con i valori più elevati nella fascia
collinare. La ricerca ha inoltre evidenziato una positiva correlazione tra la densità di tane e
alcune variabili ambientali, tra cui le più importanti sono risultate l’altitudine media e la
percentuale di coltivazioni arate a rotazione (Meriggi e Rosa, 1991; AA.VV., 1994).
I dati disponibili indicano per tutta la regione una chiara tendenza nel recente passato
all’espansione dell’areale verso la pianura, oltre a un aumento pressochè generalizzato degli
effettivi laddove l’areale è consolidato da decenni. Ciò va indubbiamente messo in relazione con
64
l’aumentata disponibilità di risorse trofiche facilmente accessibili e probabilmente con la minore
pressione esercitata da parte dell’uomo anche con mezzi non selettivi.
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All’interno dei territori di ciascuna coppia o gruppo di volpi è presente un certo numero di tane
utilizzate per l’allevamento di piccoli. Le stesse tane vengono generalmente riutilizzate per più
anni consecutivi se non intervengono modificazioni dell’ambiente o fattori di disturbo. A partire
dal tardo inverno, in coincidenza con l’epoca degli accoppiamenti, la femmina comincia a
predisporre una o più tane in cui darà alla luce in marzo-aprile i piccoli. A partire dalla nascita
dei cuccioli e fino al momento in cui essi inizieranno a condurre vita autonoma, l’uso delle tane
può essere suddiviso in tre periodi principali, definibili come: pre-emergenza, uso ristretto, uso
allargato. Il primo periodo corrisponde al lasso di tempo che intercorre tra il parto e la prima
apparizione dei cuccioli all’esterno. Il secondo periodo corrisponde alla fase in cui la vita e
l’attività dei cuccioli si svolge nelle immediate vicinanze della tana. Il terzo periodo precede il
distacco dei cuccioli dai genitori ed è caratterizzato da un uso allargato delle tane, in cui spesso
più tane vengono usate contemporaneamente. La durata dei tre periodi è di circa 4-5 settimane
ciascuno. Nel corso di ciascun periodo le cucciolate, se necessario, possono essere spostate
alternativamente in più tane differenti. In altri casi la cucciolata può essere divisa in due tane o
più cucciolate possono essere riunite in una stessa tana. Tale "dinamismo" deve essere tenuto in
considerazione nel caso si intenda procedere al censimento delle tane attive, in quanto può
condurre a errori grossolani nella stima.
Alimentazione
Il successo e la grande diffusione della volpe è dovuto in gran parte alla sua capacità di utilizzare
una grande varietà di risorse alimentari. La volpe è di per sè un predatore assai eclettico, in grado
di catturare prede di piccole o medie dimensioni che vanno dagli invertebrati ai giovani ungulati.
A ciò si sono aggiunte le enormi potenzialità rappresentate da fonti alimentari rese disponibili
direttamente o indirettamente dalle attività umane: discariche di rifiuti, animali da cortile,
massicci ripopolamenti con selvaggina allevata che costituisce una facile preda ecc. La dieta
della volpe si presenta quindi estremamente variabile sia stagionalmente sia in aree diverse,
anche molto vicine. La possibilità di utilizzare alternativamente risorse localmente o
temporaneamente più abbondanti o accessibili comporta due conseguenze principali: la prima è
la possibilità per la volpe di mantenere spesso elevate densità anche in caso di drastica
diminuzione di una delle risorse normalmente disponibili; la seconda è la scomparsa dei processi
di compensazione della pressione predatoria che normalmente contraddistinguono in natura i
rapporti preda-predatore. Ciò significa che la densità di prede non determina, se non in misura
molto limitata, la densità del predatore, o anche, in altri termini, che il predatore può esercitare
una pressione elevatissima su una certa preda, diminuendone sensibilmente la densità, senza
ricavarne un danno neppure a medio o lungo termine. Ad esempio la predazione sui nidi può
divenire un importante fattore limitante per la specie preda, pur rivestendo complessivamente un
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ruolo marginale nella dieta del predatore. Le specie opportuniste si configurano pertanto come
predatori in grado di influenzare pesantemente, quantomeno a livello locale, la densità e la
dinamica di talune specie preda e ciò è tanto più probabile quanto maggiore è la disponibilità di
risorse alternative. In altri termini esiste la possibilità che tali specie, potendo contare su una
grande varietà di fonti alternative, siano in grado di esercitare "opportunisticamente" una
costante ed elevata pressione predatoria sulla selvaggina indipendentemente dalle oscillazioni
numeriche di quest’ultima. Tale pressione può risultare particolarmente elevata proprio perchè
non compensata dai normali meccanismi di "feedback".
Densità e struttura delle popolazioni
La densità di una popolazione naturale è soggetta sempre a modificazioni stagionali,
eventualmente anche di medio-lungo periodo, pertanto i confronti tra densità rilevate in aree
diverse hanno senso se riferiti al medesimo periodo stagionale. Le densità rilevate in natura
risultano estremamente variabili, come conseguenza delle caratteristiche di plasticità della specie
già evidenziate. Le risorse trofiche rivestono comunque un ruolo decisivo nel determinare la
dimensione dei territori vitali e, di conseguenza, la densità della popolazione. Il rapporto tra i
sessi, paritario alla nascita, subisce in seguito modificazioni che possono essere anche legate
all’andamento stagionale della mortalità. Il rapporto tra le classi di età vede in genere una elevata
percentuale di giovani dell’anno e subadulti, condizione che va collegata da un lato alla
mediamente alta produttività delle popolazioni di volpe, dall’altro all’elevato tasso di mortalità,
in gran parte da collegare al prelievo operato dall’uomo e a malattie infettive, come la rabbia, o
parassitosi, come la rogna sarcoptica, che le caratterizza.
Tassi elevati di mortalità e di produttività inducono evidentemente nella popolazione un elevato
turn-over annuale, stimabile mediamente attorno ai 2/3 dell’intera popolazione post-riproduttiva
(Lloyd et al., 1976) con conseguenze importanti dal punto di vista gestionale.
Meccanismi di autoregolazione della popolazione
Tutte le popolazioni animali possiedono meccanismi che tendono a mantenere il numero degli
individui in equilibrio con le risorse ambientali disponibili. In termini estremamente sintetici,
esiste un numero ottimale di individui a cui tende la popolazione in un dato territorio e che
resterà invariato una volta raggiunto l’equilibrio. Il numero di individui della popolazione può
diminuire drasticamente a seguito di eventi anormali di mortalità, quali epizoozie, eventi
climatici o prelievo da parte dell’uomo, tuttavia il numero tenderà a riassestarsi verso
l’equilibrio, una volta che cessi l’azione del fattore limitante. La velocità con cui la popolazione
ricostituisce le dimensioni ottimali dipende da numerose caratteristiche proprie delle varie specie
e delle varie popolazioni. Nel caso della volpe è stato più volte osservato come questa velocità
sia elevatissima, grazie proprio ai parametri descritti in precedenza per le popolazioni volpine.
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Ad una riduzione della densità dovuta a fattori esterni la popolazione può rispondere
essenzialmente attraverso tre modalità: l’aumento del tasso di natalità, la diminuzione del tasso
di mortalità e l’aumento del tasso di immigrazione; risulta quindi evidente come l’elevata
produttività, il rapido turn-over e l’esistenza di una cospicua frazione "itinerante" siano tutti
elementi che consentono una rapida ripresa della popolazione di volpi in seguito a eventi che ne
abbassino drasticamente la densità locale.
Aspetti gestionali
Il ruolo della volpe, sia dal punto di vista ecologico sia nell'ambito della gestione faunistico-
venatoria, è stato oggetto di numerosissimi studi in tutto il mondo. D’altra parte, proprio per
l’estrema capacità della volpe di adattarsi alle condizioni ambientali più diverse, i risultati e le
conclusioni sono spesso di difficile generalizzazione. Sulla base degli elementi che emergono
dall'imponente mole di dati disponibile è comunque possibile definire un quadro generale
relativamente al ruolo ecologico della volpe e alle possibili strategie gestionali in funzione dei
vari scenari ambientali e antropici.
Di seguito vengono discussi brevemente i principali problemi concernenti l’impatto sulla
selvaggina e sulle attività umane, le tecniche di censimento, le problematiche legate al prelievo
venatorio e al controllo delle popolazioni. Gran parte delle informazioni e delle considerazioni
sono tratte da MacDonald (1987), Boitani e Vinditti (1988), Toso e Giovannini (1991), opere a
cui si rimanda per una trattazione più dettagliata.
Censimenti e indici di abbondanza
La conoscenza della consistenza e della dinamica delle popolazioni naturali è un elemento
imprescindibile per la loro corretta gestione, tuttavia le difficoltà tecniche e l’impegno necessario
al raggiungimento di questi obiettivi possono essere estremamente variabili a seconda delle
caratteristiche biologiche di ciascuna specie e delle condizioni ambientali in cui si deve operare.
Nel caso della volpe, come di altri carnivori, è quasi sempre molto difficile raggiungere buone
stime di densità, se non a prezzo di sforzi che risultano in genere improponibili. In particolare i
censimenti diretti, cioè basati sull’avvistamento diretto degli animali, sono applicabili solo in
condizioni estremamente favorevoli, che solo molto raramente si verificano (Sargeant et al.,
1975), mentre più utilizzabili risultano metodi di stima indiretta della popolazione. I metodi
indiretti considerati più utilmente applicabili per la volpe sono:
1) Cattura-marcatura-ricattura, anche noto come Indice di Lincoln-Petersen.
Questo metodo, in termini molto sintetici, prevede la cattura di un certo numero di individui in
una certa area, il loro marcamento e il successivo rilascio. Successivamente, dopo un lasso di
tempo prestabilito, si procede a una seconda campagna di catture e si verifica il rapporto
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numerico esistente tra gli individui marcati e quelli non marcati all’interno del campione
catturato. Attraverso alcune semplici elaborazioni è possibile ottenere una buona stima del
numero complessivo di individui presenti.
2) Conta del numero di tane occupate.
Dopo una prima fase in cui si procede, durante la stagione di inutilizzo, alla individuazione e
mappatura di tutte le tane presenti in una certa area, si effettua il conteggio delle tane
effettivamente utilizzate in epoca riproduttiva. In questo senso il dato ottenibile non può che
rappresentare un indice di abbondanza a meno che siano noti, attraverso altre indagini, alcuni
parametri essenziali della popolazione (percentuale di femmine che non si riproduce, rapp. ind.
territoriali/ind. itineranti ecc.).
3) Il conteggio delle tracce e/o delle feci su transetti definiti.
Prevede l’effettuazione regolare di percorsi definiti a priori, con terreno umido o preferibilmente
innevato. Fornisce un buon indice di abbondanza laddove esistano condizioni ambientali
favorevoli, oppure predisponendo artificialmente strisce di terreno sabbioso in cui effettuare il
conteggio delle tracce.
4) Il ritmo di frequentazione di stazioni odorifere.
Permette di stimare il numero di individui presenti attraverso il conteggio delle tracce rilevate nei
pressi di stazioni predisposte con esche odorose lungo percorsi casuali di lunghezza
proporzionale all’area da indagare. Le esche vengono poste a distanza di alcune centinaia di
metri al centro di una piccola superficie di terreno approntato in modo da facilitare la lettura
delle tracce, successivamente, per alcuni giorni, si procede al conteggio giornaliero delle tracce
avendo cura di ripristinare il terreno attorno alle esche. Dopo un sufficiente numero di conteggi è
possibile con semplici formule calcolare il numero di individui presenti nell’area.
5) Il numero di capi abbattuti, che rappresenta un indice della popolazione totale presente
nell'area campione nel momento in cui è stato effettuato il prelievo (Indice Cinegetico
d’Abbondanza).
E’ uno degli indici più tradizionali e largamente utilizzati nei paesi in cui sono disponibili
esaustive e attendibili statistiche sugli abbattimenti venatori. E’ utile soprattutto per valutare la
dinamica di una popolazione a condizione che sia rispettato l’assunto fondamentale, cioè la
costanza nel tempo dello sforzo di caccia. In Italia, ad eccezione di situazioni circoscritte, si
presenta di difficile applicazione a causa della incompletezza dei dati disponibili sugli
abbattimenti venatori.
La raccolta e l'esame sanitario e biometrico delle volpi abbattute possono inoltre fornire
informazioni accessorie sulla biologia della specie e sulle caratteristiche della popolazione in un
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determinato ambito territoriale (rapporto sessi e classi di età, regime alimentare, ecc.) che sono di
grande interesse per orientare le scelte gestionali.
Prelievo venatorio
In Italia la volpe è specie cacciabile, ai sensi della L. N. 157/92, dalla terza domenica di
settembre al 31 gennaio. Le normative regionali possono regolamentare ulteriormente il prelievo.
Così come avviene per altre specie di interesse venatorio non sono disponibili stime attendibili
delle popolazioni oggetto di prelievo, nè viene in genere effettuata alcuna quantificazione o
pianificazione del prelievo. A seguito dello status legale di "nocivo" attribuito per lungo tempo
alla volpe dal T.U. sulla caccia e modificato solo nel 1977, in generale in Italia l'importanza
cinegetica della volpe si può definire decisamente modesta per la pressochè totale mancanza di
tradizioni specifiche. Non a caso il prelievo è stato e viene effettuato in gran parte al di fuori del
normale periodo di caccia, cioè dopo la chiusura dell'attività venatoria alla selvaggina stanziale,
da squadre con cani da seguita, secondo una regolamentazione più o meno dettagliata, dettata
dalle diverse Amministrazioni Provinciali. Occorre evidenziare che in questo modo i cacciatori,
esercitando un prelievo che deve essere configurato non come una attività sportiva, bensì quale
forma di controllo in applicazione dell’art. 19 della legge 157/92, vengono investiti di un ruolo
del quale dovrebbe farsi carico l’Ente pubblico attraverso proprio personale addestrato e
qualificato. Ciò è una conseguenza del fatto che esiste tuttora una certa commistione concettuale
e metodologica, anche a livello normativo, tra il prelievo sportivo della fauna selvatica e il
controllo delle popolazioni.
Controllo della popolazione volpina. Il problema del rapporto costi/benefici
In accordo con la L. N. 157/92 (art. 19), il controllo di popolazioni animali appartenenti a specie
cacciabili può essere ammesso qualora queste arrechino danni alle produzioni zoo-agro-forestali
ed ittiche. Nel caso della volpe la risorsa economica danneggiata è costituita quasi
esclusivamente da animali di bassa corte allevati in maniera non confinata o in spazi di
stabulazione non sufficientemente protetti. Alcune semplici ed economiche misure preventive
possono ridurre sensibilmente, se non eliminare, i danni provocati dalla predazione delle volpi,
ad esempio il ricovero notturno degli animali e la recinzione degli allevamenti con robusta rete
metallica interrata e con la parte terminale sporgente verso l'esterno. Assai più complesso è il
problema legato all’impatto della predazione sulle specie selvatiche d'interesse venatorio.
L'effetto della predazione della volpe sulla selvaggina è infatti assai variabile in dipendenza di
numerosi fattori locali. Ad esempio sia le densità del predatore sia quelle delle specie predate, la
disponibilità e la dispersione di fonti di cibo alternative e, nel caso dei ripopolamenti, il grado di
adattabilità degli animali immessi e le tecniche di rilascio utilizzate.
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I dati ottenibili dagli studi sul regime alimentare della volpe forniscono informazioni puramente
indicative, poiché, come è già stato evidenziato, tendono a valutare l'importanza relativa delle
diverse specie preda nello spettro di predazione del carnivoro, ma non sono in grado di
quantificare l'effetto limitante per le diverse specie predate. Da diversi autori la volpe viene
indicata come la specie cui va ascritta in termini percentuali le maggiore predazione a carico di
Anatidi, Galliformi e Lagomorfi, tuttavia anche questa constatazione non è di per sè sufficiente a
chiarire l’importanza della predazione in rapporto ad esempio ad altri fattori limitanti.
In generale, sulla base dei dati disponibili, è possibile affermare che, almeno nel caso dei
Galliformi, la predazione non influenza significativamente la densità delle popolazioni nel
periodo preriproduttivo e di conseguenza le variazioni della consistenza media sul medio e lungo
periodo, tuttavia può determinare una contrazione anche notevole della produttività, entrando
localmente in conflitto diretto con gli interessi del mondo venatorio. E’ peraltro lecito e
ragionevole ipotizzare che laddove esistono buone densità di selvaggina, come nelle aree protette
ed in particolare nelle oasi e nelle zone di ripopolamento e cattura, la predazione della volpe
possa limitare la produttività di talune specie. Inoltre, nella grande maggioranza dei casi, queste
aree occupano superfici modeste e si presentano fortemente disperse nel territorio e tale
condizione può contribuire a determinare una maggiore concentrazione delle volpi in queste
zone.
In definitiva quindi l’impatto sulla selvaggina della volpe, così come di altri predatori, seppur di
difficile quantificazione, è stato confermato da vari studi, oltre ad essere peraltro intuitivo. In
questo senso sembrerebbe pertanto più che giustificabile la posizione dell’ambiente venatorio,
che considera il controllo della volpe come un importante strumento gestionale nell’ottica del
miglioramento quali-quantitativo dei popolamenti della piccola selvaggina. In realtà, pur
condividendo l’esistenza dell’impatto predatorio esercitato dalla volpe, molti tecnici e studiosi di
ecologia non concordano con questo approccio, infatti il punto di contrasto che spesso emerge
con l’ambiente venatorio non sta nell’ammettere una certa pressione della volpe sulla selvaggina,
quanto sulla reale possibilità di intervenire efficacemente per limitare tale pressione. Osservando
i dati disponibili relativi alle campagne di abbattimento e controllo delle volpi non si può non
notare come il numero di volpi abbattute si mantenga pressoché stabile per molti anni nelle
stesse aree a parità di sforzo. Ciò indica chiaramente come il prelievo non abbia prodotto alcuna
diminuzione della popolazione di volpe, la quale ha evidentemente compensato immediatamente
le perdite subite grazie ai meccanismi di autoregolazione illustrati in precedenza. La cosa è
ampiamente confermata dai ripetuti tentativi, inesorabilmente falliti, di bloccare l’avanzata della
rabbia silvestre, effettuati in tutta Europa per decenni, attraverso la riduzione delle popolazioni
volpine in natura. In molte circostanze si hanno buone ragioni per sostenere che tali interventi di
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controllo abbiano in realtà provocato una accelerazione del fronte epizootico, proprio perché
l’eliminazione delle volpi residenti richiama altre volpi, spesso portatrici dell’infezione, da
territori limitrofi. Solo attraverso campagne diffuse di vaccinazione delle volpi è stato possibile
fermare l’avanzata della malattia, proprio perché le volpi residenti, una volta vaccinate,
costituiscono un fronte immune che impedisce a eventuali volpi infette provenienti da altre aree
di assestarsi sul territorio e di estendere il contagio. In realtà i mezzi utilizzabili dal punto di vista
tecnico e legale per il controllo diretto delle volpi non sono abbastanza efficaci da garantire il
prelievo di una quota consistente della popolazione, a meno di un impegno, in termini di uomini,
mezzi e denaro, decisamente sproporzionato in relazione ai possibili benefici. D'altra parte l'uso
di mezzi non selettivi non è consentito dall'attuale legislazione italiana e pone, oltre a gravi ed
evidenti problemi di tipo conservazionistico, anche problemi di sicurezza e di etica. Inoltre una
ipotetica campagna di drastico controllo, oltre che realizzabile solo in aree molto limitate,
dovrebbe mantenersi costante nel tempo, pena la vanificazione dei risultati non appena si
allentasse la pressione. Ciò induce diversi autori a ritenere che un controllo di popolazione della
volpe realmente efficace risulti virtualmente impossibile con il solo ricorso a mezzi strettamente
selettivi (armi da fuoco) e mettendo in atto uno sforzo realizzabile nel contesto della gestione
faunistica corrente.
Tutti questi elementi rendono scettici gli ecologi sulla reale convenienza, in termini di risorse
impiegate e di risultati ottenibili, delle operazioni di controllo diretto della volpe, se non
finalizzate al raggiungimento di obiettivi molto precisi e limitati nel tempo e nello spazio.
In effetti occorre ricordare che il controllo dei predatori e della volpe in particolare non è che uno
degli strumenti in grado di agire sulla dinamica delle popolazioni di specie di interesse
cinegetico. Ad esso infatti possono essere contrapposti altri interventi gestionali, riferibili qui
genericamente come miglioramenti ambientali, i quali sono in grado di determinare un notevole
aumento della densità media dei popolamenti di piccola selvaggina e, contrariamente al controllo
dei predatori, producono effetti indotti di tipo ecologico, paesaggistico ed estetico positivi ed
apprezzabili da parte della generalità dell'opinione pubblica.
Non va infine dimenticato che ogni modificazione stabile di una popolazione animale non può
ottenersi che intervenendo sul suo habitat, agendo soprattutto sulle risorse alimentari disponibili.
In questo senso predatori opportunisti come la volpe possono essere controllati assai più
proficuamente attraverso misure indirette, tese cioè all'inibizione dei fattori ecologici che stanno
alla base dell’aumento locale delle popolazioni volpine, in particolare:
a) La graduale eliminazione delle discariche di rifiuti a cielo aperto o, quantomeno, la recinzione
delle stesse a prova di animale;
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b) L’eliminazione delle operazioni di ripopolamento intese come massiccio rilascio di selvaggina
allevata piuttosto che come reintroduzioni operate su corrette basi tecnico-scientifiche.
c) L’eliminazione di tutte le fonti alimentari di origine antropica, quali le discariche abusive,
soprattutto avicole, e quant'altro rappresenta scarto della produzione dell’allevamento.
Nel caso si intenda procedere al controllo diretto delle popolazioni di volpe si dovranno adottare
i metodi caratterizzati dal miglior rapporto tra sforzo e risultati ottenibili e dal minor disturbo
verso altre specie. In tal senso gli interventi alle tane con l’ausilio di cani specializzati (terriers e
bassotti) durante il periodo riproduttivo ed il tiro notturno con carabina di piccolo calibro dotata
di ottica di mira e l’uso del faro a mano (nel periodo compreso tra settembre e marzo)
rappresentano le scelte migliori.
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interessanti spunti di indagine sui cicli di alcune parassitosi anche trasmissibili all’uomo.
Mancano comunque studi specifici sulla specie nell’ambito di indagine così come determinazioni
di trend generale.
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sono disponibili studi sulle popolazioni di questo Mustelide. In generale si rileva come estensivi
drenaggi, eradicazione di siepi e meccanizzazione dell’agricoltura siano fattori deprimenti,
mentre estesi programmi di recupero forestale sembrano risultare favorevoli (Corbet e Harris,
1991). In considerazione del fatto che viene indicata come vittima frequentemente di incidenti
stradali (Corbet e Harris, 1991), il numero limitato di esemplari che attualmente vengono
recuperati, soprattutto a confronto con la faina, fa pensare ad una notevole rarefazione delle sue
popolazioni negli ultimi venti anni (Scaravelli, dati non pubb.). Mancano comunque studi
specifici sulla specie nell’ambito di indagine così come determinazioni di trend generale.
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(Bogliani, 1984; Bertusi e Tosetti, 1986). Una ricerca specifica sulla presenza della lontra,
condotta limitatamente ad alcuni bacini fluviali delle province di Parma e Reggio-Emilia
(Beseghi e Donati, 1987) aveva dato esito positivo per il lago Calamone e vari siti del fiume
Enza, tuttavia gli stessi Autori sottolineavano la precarietà della sopravvivenza della specie in
assenza di tempestive misure di salvaguardia. Attualmente mancano indicazioni della presenza
della specie in regione da quasi un decennio e frammentarie segnalazioni possono
ragionevolmente essere attribuite alla nutria o al visone americano (Mustela vison), specie di cui
sono presenti localmente individui sfuggiti alla cattività. Pertanto la lontra, dal momento che la
situazione non consente di confermare la presenza di individui nè tantomeno di una popolazione
sufficientemente vitale, deve essere considerata estinta in regione in assenza di evidenze
contrarie. Le cause del declino e spesso dell’estinzione locale sono state individuate dapprima
nella persecuzione diretta, successivamente nell’inquinamento dei corsi d’acqua e nelle
modificazioni ambientali. Una strategia nazionale di intervento complessiva viene considerata
indispensabile per impedire in Italia l’estinzione della specie in un arco di tempo stimato in pochi
decenni (Fumagalli e Prigioni, 1993).
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La specie mostra segni di incremento in tutto il suo areale distributivo, riconducibile sia alla
protezione quasi ovunque accordatale sia alla disponibilità di alimenti e rifugi creati dalla
vicinanza con l’uomo. Secondo Ghigi (1911) e Cavazza (1912) la specie era ubiquitaria e
comune su tutto il territorio nazionale, rendendosi responasbile di frequenti ruberie sugli animali
di bassa corte. In regione veniva considerata negli anni ‘80 presente "ovunque" ma "poco
numerosa" (Bertusi e Tosetti, 1986). Attualmente, assieme alla Donnola, può essere considerato
il mustelide più ampiamente distribuito sul territorio regionale, con popolazioni in lieve
incremento. E’ spesso vittima degli incidenti stradali, così come dell’ingestione di esche e di
topicidi attraverso le prede.
Appare sempre più sinantropica e la sua presenza è segnalata anche nei centri storici delle città di
maggiori dimensioni (Scaravelli ined.). Mancano comunque studi specifici sulla specie
nell’ambito di indagine così come determinazioni di trend generale.
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Status
Il Tasso adulto è praticamente senza nemici e solo i giovani possono essere insidiati da Canidi
(Corbet e Harris, 1991). Storicamente presente ovunque sul territorio nazionale, sebbene con
densità assai differenti (Ghigi, 1911), ha subito una notevole contrazione a causa della
persecuzione cui è stato oggetto quale animale "nocivo", oltre che per le mutate condizioni
ambientali. Per la regione è stata descritta (AA.VV., 1981) una distribuzione del mustelide che
comprende le aree collinari e montane, escludendo i territori di pianura. Successivamente Bertusi
e Tosetti (1986) citano la specie come "comune", presente "ovunque, meno frequente in
pianura". Negli ultimi anni si è certamente registrata una fase espansiva verso i territori di
pianura, normalmente attraverso le aste fluviali, che possono rappresentare corridoi ecologici
adatti, come rilevato nel bolognese, nel modenese e più in generale nell’intera Emilia. Anche in
ambito regionale esistono le prime indicazioni di una possibile colonizzazione delle aree urbane
da parte del Tasso, come dimostrano avvistamenti, investimenti e segnalazioni provenienti da
alcune cittadine, anche se al momento la situazione è certo lontana da quelle documentate in
Gran Bretagna (Harris, 1994).
Sono stati registrati danni localizzati prodotti da scavi del mustelide all’interno di argini di fiumi,
in quanto all’innalzamento del livello idrico si sono poi verificate inondazioni per collasso del
terrapieno. Lo scavo di tane in prossimità di aree di circolazione o comunque di lavoro può
anche dare, in caso di passaggio con mezzi pesanti, la possibilità di pericolosi franamenti. Non
sembra al momento ipotizzabile che la specie possa produrre danni consistenti alle attività
agricole, anche perchè scarsamente presente nelle zone con colture di alto pregio. Si osservano in
genere modeste asportazioni di cereali anche se a volte sono stati rilevati estesi allettamenti.
Anche i danni ad animali da cortile sono rari così come appare scarsamente rilevante la pressione
su specie di interesse venatorio. Se da un lato il Tasso può creare alcuni problemi, sono peraltro
indubbi i vantaggi derivanti dal ruolo che la specie ricopre soprattutto nelle aree forestate (Neal,
1986).
La specie è spesso vittima di incidenti stradali, così come di campagne di controllo destinate alla
Volpe. Sono stati inoltre segnalati diversi casi di mortalità per avvelenamento da esche. Mancano
comunque studi specifici sulla specie nell’ambito di indagine così come determinazioni di trend
generale.
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Altezza al garrese: 85-95 cm (maschi), 70-80 (femmine)
Peso corporeo medio: 70-90 kg (maschi), 45-55 kg (femmine)
Distribuzione: Originario della penisola anatolica, esportato probabilmente già in epoca
protostorica nel bacino del Mediterraneo, oggi è diffuso in una quarantina di paesi del mondo.
Caratteristiche generali
Cervide di medie dimensioni, è riconoscibile per la pomellatura estiva e la coda relativamente
lunga. Il maschio adulto ("palancone") possiede tipicamente un palco palmato. Estremamente
adattabile, può trasformarsi da pascolatore di erbe a brucatore di germogli e foglie. Tende a
preferire i boschi mediterranei e submediterranei e a evitare zone a forte e persistente
innevamento. La buona fertilità è frutto anche della duttilità nelle strategie riproduttive: i maschi
possono adottarne addirittura cinque diverse (territorio singolo difeso, arena ma anche harem,
gerarchia di accesso alle femmine e inseguimento individuale). Può raggiungere elevate densità
senza sensibili cali qualitativi. Il culmine degli amori è a ottobre. Intorno a fine maggio-inizi
giugno le femmine danno alla luce un piccolo.
Status e distribuzione
La specie è stata introdotta con grande disinvoltura in molte parti della penisola. Liberazioni
deliberate e fughe accidentali da recinti hanno permesso al daino di diffondersi raggiungendo
consistenze ragguardevoli, creando problemi di sovrapascolo e di competizione con altri
ungulati.
Nella Regione Emilia-Romagna il daino è stato caratterizzato da una distribuzione piuttosto
localizzata fino alla prima metà degli anni '80, si è in seguito espanso notevolmente,
raggiungendo anche densità elevate. Oggi l'areale appare perlopiù discontinuo, con molte
popolazioni isolate e disperse sul territorio: solo nel Bolognese e nel Modenese la specie è
distribuita in modo più uniforme. Nell'alto Bolognese occidentale e nell'alto Forlivese i
popolamenti attuali derivano dai nuclei fondati dal Corpo Forestale dello Stato sul versante
appenninico toscano o sul crinale di confine (Alto Pistoiese, Casentino, Val Tiberina). Nel
Modenese si sono originati prevalentemente da liberazioni da una decina di recinti operate
sempre dal Corpo Forestale dello Stato a partire già dagli anni '60 (Ferri 1993). Nell'alto
Bolognese centrale i daini sembrano derivare soprattutto da immissioni effettuate negli anni '70
dall'Amministrazione Provinciale, mentre nelle colline (per es. Parco dei Gessi e dintorni) i
nuclei attuali sono in prevalenza sorti a partire da fughe da recinti di privati. Nella fascia
collinare reggiana i daini derivano da fuoriuscite da recinti in parchi-giardini e aziende
faunistiche, già dalla fine degli anni '70. Nell'alto e medio Appennino parmense si sono originati
da lanci e fughe da recinti del Corpo Forestale dello Stato e dell'Amministrazione Provinciale. Il
daino risulta mancare nel Piacentino, nel Bolognese orientale e nel Ravennate. Nel Ferrarese è
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presente un consistente nucleo di daini nella Riserva Naturale Gran Bosco della Mesola. Nel
1980 contava almeno 280 capi, divenuti 470 nel 1983 (Perco 1984). Dal 1985 al 1995 questa
popolazione ha fluttuato tra i 500 e i 1.000 esemplari, con densità di ben 50-120 capi per kmq
(Mattioli 1996). In provincia di Modena, su una superficie totale censita di 51 kmq, nel 1996 si
sono registrate densità tra gli 0,7 e i 17,3 capi per kmq (media 5,2 daini/kmq). In provincia di
Bologna, su 145 kmq di zone di censimento è stata rilevata una densità media di 4,6 capi per
kmq (campo di variazione: 2,5-13,2).
La specie mostra grande adattabilità, frequentando gran parte degli ambienti presenti e tendendo
ad evitare solo le aree oltre i 900-1.000 m. La distribuzione discontinua, le densità locali
disomogenee e una situazione generale tutt'altro che assestata, rendono difficile una valutazione
della consistenza a livello regionale: l'ordine di grandezza dovrebbe comunque aggirarsi intorno
a qualche migliaio di capi.
Linee di gestione
Il daino si può senza dubbio definire specie non autoctona. Probabilmente la sua estinzione in
Italia risale al termine del Pleistocene Superiore. Il daino era stato presente a partire dagli inizi
del Pleistocene Medio, soprattutto in corrispondenza dei periodi interglaciali e delle fasi
interstadiali calde dei periodi glaciali, in Italia e in buona parte d'Europa (Leonardi e Petronio
1976, Lister 1984, Heidemann 1986). Durante l'ultima glaciazione, prima di scomparire dalla
Penisola, si ritirò in alcune aree rifugio a clima mite dell’Italia centro-meridionale. Di una sua
sopravvivenza nel periodo iniziale dell'Olocene esistono solo deboli indizi (cfr Masseti e
Rustioni 1988). A quanto pare al termine dell'ultima glaciazione l'areale principale del daino
coincideva con la penisola anatolica; piccoli nuclei relitti resistettero per qualche tempo nella
penisola balcanica (Bökönyi 1971). Già in epoca tardo-preistorica e proto-storica si verificò un
tentativo di addomesticamento, seguito da una sua diffusione artificiale nel Mediterraneo
orientale (Cicladi) (Heidemann 1986). In epoca storica prima i Fenici e i Greci probabilmente lo
introdussero nel resto delle coste mediterranee, poi i Romani lo trasportarono in alcune zone
dell'Europa continentale; più tardi i Normanni lo importarono in Gran Bretagna (cfr Chapman e
Chapman 1976). Ospite regolare dei parchi nobiliari europei nel Medioevo e nel Rinascimento, il
daino ha trovato nuova fortuna solo in questi ultimi decenni.
Come si è visto, il daino è oggi presente in Emilia-Romagna con una distribuzione tutt'altro che
limitata. Nell'ultimo decennio, grazie anche alle strategie riproduttive differenziate, alla
particolare organizzazione spaziale, alle modalità di dispersione delle classi giovanili, si è passati
da presenze episodiche con piccoli nuclei isolati e sparsi sul territorio collinare e montano ad
areali ampi e continui. In molti casi, entrando in competizione alimentare e spaziale con specie
autoctone come il capriolo e il cervo, il daino ha avuto decisamente la meglio.
80
Il contenimento del daino rappresenta uno degli obbiettivi a medio termine più importanti della
strategia gestionale di riassetto delle presenze di Ungulati in Emilia-Romagna. Realisticamente
ciò si può tradurre in un impegno generalizzato a proibire nuove immissioni, a tenere sotto stretta
sorveglianza recinti e parchi faunistici disincentivando la detenzione della specie, a "congelare"
gli areali attuali e a ridurre le densità ove queste si presentino elevate. Il congelamento degli
areali va attuato attraverso un'azione capillare di controllo venatorio nei territori contigui lungo
le direttrici di espansione per prevenire nuovi insediamenti. Il controllo venatorio va coordinato a
livello provinciale e deve coinvolgere più istituti: la sua efficacia dipenderà in gran parte dalla
capacità operativa e dall'impegno dei distretti di caccia per gli Ungulati in cui sono suddivisi gli
A.T.C.
Quanto all'areale vero e proprio, i possibili impatti sulle colture impongono la necessità di
programmare le presenze mantenendo bassa la densità di popolazione: un risultato ottenibile
alzando gradualmente il tasso di prelievo e talvolta anche diminuendo la soglia di abbattibilità.
Inoltre, nel caso di nuclei circoscritti, in aree con elevato sviluppo della rete viaria, centri abitati
e colture pregiate, con rischi di collisioni e danni consistenti, è possibile prendere in
considerazione l'eradicazione completa della specie.
Nel caso particolare della Riserva Naturale Gran Bosco della Mesola, visti i problemi legati alla
conservazione del cervo, la soluzione più volte consigliata è stata la rimozione completa del
daino, ad oggi oggetto di uno specifico piano di gestione.
La riduzione programmata delle densità all'interno dell'areale del daino potrebbe seguire
strategie differenziate, modulando il prelievo secondo il grado di naturalità dei comprensori e in
base alla necessità o meno di sostenere attivamente il capriolo. In ambienti caratterizzati da una
buona presenza di colture agrarie o in situazioni in cui il capriolo dimostri chiare difficoltà di
reinsediamento, si potrebbero pianificare densità di daino intorno ai 2,5-3,5 capi per kmq.
All'altro estremo, in ambienti a scarsa antropizzazione o nei casi in cui non si ravvisi una
competizione aperta a scapito del capriolo, si potrebbero raccomandare densità intorno agli 8-12
capi per kmq. La soglia di abbattibilità, normalmente fissabile in 4-5 capi/kmq, potrebbe
scendere in casi particolari fino a 2,5 capi/kmq. L'efficacia di questa strategia va naturalmente
verificata in base ai risultati raggiunti, sia in termini di minimizzazione dei danni, sia in termini
di ripresa effettiva del capriolo.
Secondo l'esperienza centroeuropea, le densità agro-forestali sono fissabili per il daino in un
minimo di 3 capi/kmq in ambienti di qualità scadente, a 6 /kmq in ambienti qualitativamente
discreti e a 14 /kmq in ambienti ottimali, sempre in assenza di altri Ungulati (Ueckermann e
Hansen 1993).
81
Una volta raggiunte le densità pianificate, per stabilizzare le popolazioni su questi valori, saranno
prevedibili tassi d'abbattimento intorno al 30-35% (da modulare comunque tenendo in conto il
rapporto sessi e l'incremento utile osservabili al censimento primaverile).
Il prelievo potrebbe essere ripartito tenendo presente come modello base lo schema seguente (cfr
Ueckermann e Hansen 1993, Tosi e Toso 1992):
50% maschi, 50% femmine
maschi: 30% piccoli, 17% fusoni, 20% balestroni, 33% palanconi
femmine: 35% piccoli, 17% sottili, 48% adulte
Status e distribuzione
Presente in modo irregolare nella penisola, con alcuni nuclei più consistenti in Italia centrale.
Resta relativamente raro in Sardegna.
In Emilia-Romagna la specie presenta nuclei di una certa significatività soprattutto nel Reggiano
e nel Bolognese. Nel Reggiano è segnalato sia nella fascia montana, sia in quella collinare. In
montagna frequenta soprattutto l'alto crinale di confine con la Toscana, nel tratto appenninico
orientale e centrale della provincia; in prevalenza gli animali derivano dall'espansione del nucleo
introdotto in Garfagnana dal Corpo Forestale dello Stato, anche se non sono mancate
82
introduzioni da parte dell'Amministrazione Provinciale di Reggio. Una popolazione piuttosto
consistente (circa 200 capi su appena 450 ha; 44,4 mufloni per kmq) vive nei pressi di Pecorile
(comune di Vezzano): frutto di alcune fughe da un recinto vicino, ha potuto crescere fino agli
attuali livelli grazie alla protezione accordata da una zona di ripopolamento e cattura. Un piccolo
nucleo, traslocato negli anni scorsi da Pecorile, è stato segnalato presso il M. Ventasso.
Nel Bolognese esiste un nucleo principale nel tratto appenninico occidentale, nell'area intorno al
torrente Silla (comuni di Lizzano, Porretta e Granaglione): deriva dall'espansione della
popolazione introdotta dal Corpo Forestale nell'Alto Pistoiese (Maresca) e segnalata sull'altro
versante a partire dalla fine degli anni '60. Alcune segnalazioni continuano a registrarsi a sud di
Monghidoro nei pressi del passo della Raticosa e derivano dal nucleo introdotto
dall'Amministrazione Provinciale di Firenze alla fine degli anni '70 nei dintorni di Covigliaio. Un
terzo nucleo, segnalato intorno al 1992-94 nei pressi di Monzuno, pare sia stato eliminato dal
bracconaggio.
Nel Modenese gli avvistamenti sull'alto crinale sono andati rarefacendosi e sembrano non
rappresentare presenze stabili ma semplici incursioni di gruppi e singoli individui dalle province
vicine (Reggio, Lucca, Pistoia e Bologna).
Nel Parmense vi sono alcune segnalazioni presso Tornolo (comune di Borgo Taro), dopo la fuga
da un recinto privato nel 1988.
Quanto al nucleo forlivese del Casentino, sembra sia in estinzione e dopo gli ultimi avvistamenti
del 1989 e 1992 (Mattioli, inedito) solo recentemente sono state trovati ulteriori capi (Cicognani,
ined). In questa area il popolamento di mufloni introdotto da Simon nel secolo scorso, era stato
già decimato durante l'ultima guerra (Crudele 1988).
Linee di gestione
Il muflone è una specie estranea alla fauna originaria dell'Emilia-Romagna e proviene
dall'arcipelago sardo-corso. Secondo l'ipotesi più accreditata, l'attuale muflone deriverebbe da
una antica forma domestica di pecora, importata in epoca neolitica dall'Asia Minore,
successivamente abbandonata e rinselvatichita (Poplin 1979, Masseti e Vianello 1991). La forma
selvatica originaria vive nelle montagne tra Turchia e Iran. Nessun ovino selvatico ha mai abitato
l'Emilia-Romagna, neppure durante il Pleistocene (B. Sala, com. pers.).
Le attuali popolazioni introdotte in regione risultano disperse e localizzate, con un areale
complessivo assai circoscritto. Alcuni nuclei sono in declino e il più antico (nell'alto Forlivese) si
è estinto di recente. Nell'immediato l'unica situazione meritevole di interventi gestionali urgenti
sembra essere quella dell'area di Pecorile (RE): la densità decisamente eccessiva imporrebbe
misure di sfoltimento. Il nucleo dovrebbe essere portato a densità tollerabili, dell'ordine di 10-15
capi per kmq. Nello spirito di una gestione improntata fondamentalmente a riequilibrare le
83
presenze di Ungulati favorendo le specie autoctone, nel breve e medio periodo è preferibile
evitare la creazione di nuovi insediamenti di muflone e tenere sotto controllo i nuclei esistenti.
Sul lungo periodo, non è escluso che si possano prendere in considerazione progetti di
introduzione, sia pure limitati a specifiche situazioni ambientali, in cui si possa evidenziare la
rusticità del muflone: zone montuose con roccia affiorante e praterie d'altitudine, non
sovrapponibili alle aree con buona vocazione per capriolo e cervo.
84
BIBLIOGRAFIA
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88
STATUS E DISTRIBUZIONE DELLE SPECIE DI MAMMIFERI RILEVANTI AI
FINI DELLA COSTITUZIONE DI SIC E ZPS
INTRODUZIONE
La Direttiva 92/43/CEE del Consiglio, del 21 maggio 1992, relativa alla conservazione degli
habitat naturali e seminaturali e della flora e della fauna selvatiche ha come obiettivo la
conservazione e tutela della biodiversità attraverso il mantenimento e il ripristino degli habitat
naturali e seminaturali terrestri e marini. Individua quindi un gruppo di specie di interesse
prioritario per la conservazione a livello europeo (allegato II) per la cui salvaguardia afferma la
necessità di istituire Zone Speciali di Conservazione (ZCS). Da questo deriva la costituzione di
una rete ecologica europea di tali zone speciali, ossia Zone di Protezione Speciale (ZPS) per gli
uccelli designate ai sensi della Direttiva 79/409/CEE e Siti di Importanza Comunitaria (SIC) per
habitat, specie animali e vegetali, denominata Rete Natura 2000, che ha lo scopo di garantire il
mantenimento (o il ripristino) dei tipi di habitat naturali e seminaturali e delle specie di cui agli
allegati in uno stato di conservazione soddisfacente nella loro area di ripartizione naturale. In
Italia la Rete prende il via con il progetto Bioitaly che nel 1995 ha portato a una prima lista di
circa 2300 SIC sul territorio nazionale.
Attualmente la regione Emilia Romagna conta 157 zone speciali di conservazione costituite in
base alla presenza di specie di allegato II o habitat prioritari.
Per quanto riguarda la lista dei mammiferi è da notare come sia costituita quasi interamente da
Chirotteri. In quanto a dieta insettivora e talora legati fortemente ad ambienti non disturbati
dall’uomo, risultano particolarmente sensibili ai cambiamenti ambientali come ne è prova il
declino cui sono stati soggetti a livello globale a partire dagli anni Cinquanta e dal quale stentano
a riprendersi anche a causa del basso tasso riproduttivo (1 piccolo all’anno per femmina
riproduttiva). La loro tutela va di pari passo con la conservazione degli habitat di rifugio, dei
corridoi di volo e di caccia e quindi con il mantenimento degli habitat elettivi delle loro prede
chiave che spaziano tra gli invertebrati dai Lepidotteri, ai Coleotteri, ai Tricotteri, ai Ditteri, ecc.
In questa sezione ogni specie di allegato II della Direttiva Habitat viene presentata
schematicamente e la sua presenza nei SIC/ZPS della regione è evidenziata nella tabella che
segue.
89
TABELLA _ SPECIE DI MAMMIFERI DI ALLEGATO II HABITAT PER PROVINCIA E PER SIC
PIACENZA
SPECIE IT4010002 IT4010003 IT4010004 IT4010005 IT4010006 IT4010007 IT4010008 IT4010011
R. euryale 1
R. ferrumequinum 1 1
R. hipposideros 1 1 1
B. barbastellus
M. schreibersii 1 1
M. bechsteinii 1
M. blythii
M. emarginatus 1 1
M. myotis 1 1
* C. lupus 1
TOTALE 2 7 5
90
PARMA
SPECIE IT4020001 IT4020002 IT 4020003 IT4020004 IT4020005 IT4020006 IT4020007 IT4020008 IT4020009 IT4020010 IT4020011 IT4020012
R. euryale
R. ferrumequinum 1 1 1
R. hipposideros 1 1
B. barbastellus 1 1
M. schreibersii 1
M. bechsteinii 1 1
M. blythii 1
M. emarginatus 1 1
M. myotis
* C. lupus 1 1 1 1
TOTALE 2 7 3 2 1 1 1
SPECIE IT4020013 IT4020014 IT4020015 IT4020017 IT4020018 IT4020019 IT4020020 IT4020021 IT4020022 IT4020023 IT4020024 IT4020025 IT4020026
R. euryale
R.
ferrumequinum
R. hipposideros
B. barbastellus 1
M. schreibersii 1
M. bechsteinii
M. blythii 1
M. emarginatus
M. myotis
* C. lupus 1
TOTALE 3 1
91
REGGIO EMILIA
SPECIE IT4030001 IT4030002 IT4030003 IT4030004 IT4030005 IT4030006 IT4030007 IT4030008 IT4030009 IT4030010 IT4030011
R. euryale
R. ferrumequinum 1
R. hipposideros
B. barbastellus
M. schreibersii 1
M. bechsteinii
M. blythii 1
M. emarginatus
M. myotis
* C. lupus 1 1 1 1 1 1 1
TOTALE 1 1 1 1 3 1 2
SPECIE IT4030012 IT4030013 IT4030014 IT4030015 IT4030016 IT4030017 IT4030018 IT4030020 IT4030021 IT4030022 IT4030023
R. euryale
R. ferrumequinum 1
R. hipposideros
B. barbastellus
M. schreibersii
M. bechsteinii
M. blythii
M. emarginatus
M. myotis
* C. lupus
TOTALE 1
92
MODENA
SPECIE IT4040001 IT4040002 IT4040003 IT4040004 IT404005 IT404006 IT4040007 IT4040009 IT4040010 IT4040011
R. euryale 1
R. ferrumequinum 1 1 1 1
R. hipposideros 1 1 1
B. barbastellus
M. schreibersii
M. bechsteinii
M. blythii
M. emarginatus
M. myotis 1
* C. lupus 1 1 1
TOTALE 1 1 3 2 1 1 3
93
BOLOGNA
SPECIE IT4050001 IT4050002 IT4050003 IT4050004 IT4050006 IT4050011 IT4050012 IT4050013 IT4050014 IT4050015 IT4050016
R. euryale 1
R. ferrumequinum 1 1
R. hipposideros 1 1 1 1 1 1
B. barbastellus 1 1
M. schreibersii 1
M. bechsteinii 1 1
M. blythii 1 1 1
M. emarginatus 1 1
M. myotis 1
* C. lupus 1
TOTALE 8 4 1 4 2 1 1
SPECIE IT4050017 IT4050018 IT4050019 IT4050020 IT4050021 IT4050022 IT4050023 IT4050024 IT4050025 IT4050026 IT4050027
R. euryale
R. ferrumequinum 1
R. hipposideros 1
B. barbastellus
M. schreibersii
M. bechsteinii
M. blythii
M. emarginatus
M. myotis
* C. lupus 1
TOTALE 3
94
SPECIE IT4050028 IT4050029 IT4050030
R. euryale
R. ferrumequinum
R. hipposideros
B. barbastellus
M. schreibersii
M. bechsteinii
M. blythii
M. emarginatus
M. myotis
* C. lupus
TOTALE
95
FERRARA
SPECIE IT4060001 IT4060002 IT4060003 IT4060004 IT4060005 IT4060006 IT4060007 IT4060008 IT4060009 IT4060010
R. euryale
R. ferrumequinum 1
R. hipposideros
B. barbastellus 1
M. schreibersii
M. bechsteinii
M. blythii
M. emarginatus
M. myotis
* C. lupus
TOTALE 2
96
RAVENNA
SPECIE IT4070001 IT4070002 IT4070003 IT4070004 IT4070005 IT4070006 IT4070007 IT4070008 IT4070009 IT4070010 IT4070011
R. euryale 1
R. ferrumequinum 1 1
R. hipposideros 1 1
B. barbastellus 1 1
M. schreibersii 1 1
M. bechsteinii 1 1
M. blythii 1
M. emarginatus
M. myotis 1
* C. lupus
TOTALE 1 3 1 1 1 6
SPECIE IT4070013 IT4070016 IT4070017 IT4070018 IT4070019 IT4070020 IT4070021 IT4070022 IT4070023 IT4070024
R. euryale
R. ferrumequinum 1 1
R. hipposideros 1 1
B. barbastellus
M. schreibersii
M. bechsteinii
M. blythii
M. emarginatus
M. myotis
* C. lupus
TOTALE 1 1 1 1
97
FORLÌ
98
RIMINI
SPECIE IT4090001 IT4090002
R. euryale 1
R. ferrumequinum 1
R. hipposideros 1 1
B. barbastellus
M. schreibersii 1
M. bechsteinii
M. blythii 1
M. emarginatus 1
M. myotis 1
* C. lupus
TOTALE 7 1
99
In sintesi su 157 SIC regionali, le specie di allegato II sono così rappresentate:
R. euryale
C. lupus 4%
18% R. ferrumequinum
18%
M. myotis
7%
M. emarginatus R. hipposideros
8% 18%
M. blythii
7%
M. bechsteinii B. barbastellus
5% M. schreibersi 7%
8%
100
RINOLOFO EURIALE Rhinolophus euryale
Lunghezza testa-corpo 43-58 mm; avambraccio 45-51 mm; apertura alare 290-320 mm.
Peso 8-17,5 g.
Distribuzione: diffuso in Europa meridionale, in Asia sud-occidentale (dal Vicino Oriente fino a
Turkmenistan e Iran) e in Africa nord-occidentale. In Italia non risultano segnalazioni per le
regioni più settentrionali.
Caratteristiche generali
Di dimensioni intermedie rispetto ai congeneri Rinolofo maggiore e Rinolofo minore, è
contraddistinto dalla foglia nasale che, di profilo, rivela una caratteristica prominenza superiore
acuta. Il pelo è grigio-bruno sul dorso, più chiaro ventralmente e la pelle è bruno-rosata.
Sembra prediligere le zone collinari e di bassa montagna dal clima mediterraneo dove si nutre di
Lepidotteri e altri insetti. Trova nelle cavità ipogee luoghi idonei al rifugio, alla riproduzione e
allo svernamento. Sedentario, si può comunque spostare anche di decine di chilometri tra i rifugi.
Status
Specie minacciata di estinzione, vulnerabile - VU: A2c (Hutson et al., 2001)
Nella parte settentrionale del suo areale complessivo sono stati registrati drastici decrementi
demografici che possono avere portato a estinzioni locali. Sul territorio italiano è considerato da
Lanza (1959) frequente al Centro e al Sud. In regione risulta assai meno frequente dei due
congeneri, con presenza limitata a poche località, sebbene diffuso in diverse province.
Risulterebbe più frequente verso la costa, ma le informazioni sono decisamente poche. Solo
recentemente si è avuta la certezza della sua riproduzione in Regione con due colonie presso i
SIC di Onferno e dei gessi faentini, entrambe di circa un centinaio di femmine (Scaravelli &
Bertozzi 2005)
101
È il più grosso rappresentante del genere Rhinolophus. Pelo bruno-grigio-rossastro sul dorso e
crema chiaro sul ventre. Parti nude rosa-grigio. Caratteristica la cresta della foglia nasale
arrotondata superiormente e con breve punta verso il basso.
È una specie legata a climi mediterraneo-caldi e seppur segnalata fino a 2000 m predilige le
quote inferiori agli 800 m caratterizzate dall’alternarsi di diverse tipologie vegetazionali (pascoli,
siepi, boschi) e zone umide dove caccia Lepidotteri e Coleotteri.
Seleziona per il rifugio, la riproduzione e lo svernamento le cavità naturali e artificiali e gli
edifici abbandonati. Specie sedentaria, può compiere spostamenti anche di decine di chilometri
per trasferirsi dai siti di ibernazione a quelli di riproduzione e viceversa.
Status
Specie a minor rischio, ma prossima a diventare minacciata - LR: nt (Hutson et al., 2001).
In calo in tutto il suo areale con situazioni di estinzione locale. Lanza (1959) lo descriveva come
frequente in tutto il territorio italiano. In regione è presente in molte cavità in tutte le province
ma spesso con pochi individui mentre le colonie storiche, dove ancora presenti, sono sempre più
a rischio (cfr. Scaravelli 1995).
102
negli ultimi anni livelli più o meno costanti. In particolare colonie riproduttive in Emilia
Romagna si trovano nei SIC di Onferno (RN), Monte Sole e Corno alle scale (BO), ma sempre di
piccole dimensioni.
103
MINIOTTERO DI SCHREIBER Miniopterus schreibersii
Lunghezza testa-corpo 50-62 mm; avambraccio 45-48 mm; apertura alare 305-350 mm.
Peso 8-17 g.
Distribuzione: sub-cosmopolita, diffuso dall’Europa meridionale all’Australia. L’intero
territorio italiano è compreso nel suo areale.
Caratteristiche generali
Parti superiori bruno grigiastre e addome più chiaro, pelo liscio, corto e quasi arricciato sulla
testa. Orecchio piccolo, rotondeggiante che appare più basso della volta del capo.
Caratteristico è il profilo con la fronte bombata e la bocca relativamente piccola. Ali strette ed
allungate, adatte ad un volo molto rapido ed alto. Specie tipicamente troglofila, forma dense e
numerose colonie con centinaia e a volte migliaia di individui. In ibernazione sono meno
coloniali e spesso è possibile trovare individui isolati.
Vola veloce e con battito frequente alimentandosi in particolare di Lepidotteri che cattura in
ambienti aperti o di foresta. Può compiere spostamenti anche di centinaia di km ma è specie
sedentaria nelle zone meridionali a clima mite.
Status
A minor rischio ma prossima a diventare minacciata – LR: nt (Hutson et al., 2001).
A livello europeo è in forte declino per la distruzione degli habitat e per il disturbo (Stebbings
1988). Tali indicazioni sono da considerarsi assolutamente attuali anche da noi come dimostra il
continuo calo degli effettivi o la scomparsa delle colonie per il disturbo come a Terra del Sole
(Scaravelli ined.). Legata agli ambienti ipogei è la specie che in Regione mostra le maggiori
aggregazioni. La più grande colonia riproduttiva è quella di Onferno (RN) che raggiunge i 6000
esemplari (Scaravelli & Bertozzi, ined). Di simili dimensioni la colonia presso la cava di Monte
Tondo (Riolo terme, RA) (circa 4000) (Scaravelli e Bertozzi 2005), ma altre notevoli
aggregazioni sono conosciute per i gessi faentini e bolognesi. Per altre zone della Regione sono
stati rilevati quartieri di svernamento e rifugi che contano da pochi ad alcune centinaia di
esemplari (Ruggieri 1994, Scaravelli non pubb.).
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Distribuzione: Europa centrale e meridionale, si spinge fino alle parti meridionali di Svezia e
Gran Bretagna, è presente in Anatolia, Caucaso e Iran. Le segnalazioni in Italia sono
scarsissime, ma è probabilmente presente in tutto il territorio.
Caratteristiche generali
Pelliccia dorsalmente marrone chiaro e ventralmente dal grigiastro al bianco, orecchie di
considerevoli dimensioni. È fortemente legato ai boschi maturi a latifoglie in quanto nella
stagione estiva trova rifugio soprattutto negli alberi cavi e caccia nei boschi o lungo il loro
margine alla ricerca principalmente di Lepidotteri, Ditteri e Coleotteri.
In inverno iberna in grotte o talora nelle parti basse di edifici. È specie sedentaria.
Status
Specie minacciata di estinzione, vulnerabile – VU: A2c (Hutson et al., 2001).
In Emilia Romagna si hanno segnalazioni sporadiche di singoli individui (Vergari et al 1998,
Scaravelli et al., 2001). Colonie riproduttive erano state individuate presso i Boschi di Carrega
(PR) (Ruggeri in verbis) e nel SIC del Contrafforte pliocenico (BO) (Bertozzi, Palladini e
Scaravelli, ined.) ma non sono state riconfermate nei controlli successivi.
105
In Emilia Romagna si hanno pochi dati certi della sua presenza poiché la distinzione dalla specie
gemella Myotis myotis risulta impegnativa. Oltre ai singoli dati di presenza sono accertate
riproduzioni presso Onferno e Monte Tondo (Riolo).
106
Caratteristiche generali
Parti superiori bruno-marroni; parti inferiori bianco panna. Pelle del muso rosata, bruno rossiccia
quella delle ali. Si differenzia dal congenerico M. blythii per le sembianze più massicce e le
orecchie più grandi e più larghe.
Grande specie, la maggiore tra i Myotis europei, in Italia sembra essere soprattutto troglofilo,
mentre nel centroeuropa le femmine cercano sottotetti caldi per i parti. L'ibernazione avviene
solitamente in cavità naturali o artificiali. Predilige altitudini inferiori ai 700 m e seleziona per il
foraggiamento ambienti aperti in prossimità di boschi o boschi con sottobosco rado dove cattura
principalmente Coleotteri Carabidi. Specie migratrice occasionale con spostamento massimo
registrato di 2000 Km.
Status
A minor rischio ma prossima a diventare specie minacciata – LR: nt (Hutson et al., 2001).
In Europa si è registrato un generale declino delle popolazioni negli anni ’60 e ’70 culminato in
alcuni paesi con l’estinzione della specie (Inghilterra, Olanda e Israele).
Per la Regione le poche segnalazioni raccolte si accentrano nelle aree carsiche per cui la
conservazione di questa specie, per la scarsità di dati disponibili, è al momento dipendente dalla
salvaguardia degli ipogei e deve tenere in considerazione gli ambienti di caccia circostanti il
rifugio.
107
Status
Il lupo è specie vulnerabile secondo la Lista Rossa dei Vertebrati Italiani a cura di Calvario &
Sarrocco del 1997. La popolazione italiana è stimata intorno ai 400-500 individui (Genovesi,
Duprè 2000) e in Emilia Romagna conta sicuramente alcune decine di individui. La minaccia
principale per questo predatore è costituita dalla persecuzione esercitata dall’uomo per la
predazione che può compiere sulle specie domestiche. Si ribadisce come sia oramai consolidata
la situazione del Lupo e la distribuzione conosciuta dipinge come insieme ad aree di particolare
importanza dal punto di vista riproduttivo vi sia un contesto molto più ampio di zone a valore più
limitato ma importanti nell’economia generale della popolazione in quanto aree di dispersione ed
eventuale colonizzazione. Sulla base delle informazioni disponibili, attualmente presenza stabile
e riproduzione del lupo risultano accertate nella fascia altoappenninica ricadente nelle province
di Forlì-Cesena, Bologna, Reggio-Emilia e Parma. Quanto si sa localmente sull’alimentazione
indica che laddove le condizioni ambientali lo consentano, il lupo tende ad assumere il ruolo di
predatore specializzato nella cattura di grandi erbivori selvatici in modo relativamente
indipendente dalla disponibilità di fonti alternative, quali ad esempio la piccola selvaggina, i
micromammiferi, il bestiame domestico o alimenti di origine vegetale, che in altre aree risultano
più o meno utilizzate a integrazione della fonte principale. Un altro elemento che emerge
chiaramente dall’esame dei dati è la relativa facilità con cui il lupo, in funzione delle condizioni
stagionali e/o ambientali, può spostare la pressione predatoria da una specie all’altra; ciò vale in
particolare per il cinghiale, il capriolo e il daino, probabilmente in misura minore per il cervo. In
definitiva i dati raccolti sembrano indicare che il cinghiale e il capriolo, laddove sufficientemente
abbondanti, sono perfettamente in grado di sostenere lungo tutto l’arco dell’anno le necessità
alimentari del lupo, indipendentemente dalla presenza di altre fonti alimentari. In questo senso,
considerando la diffusione e, in molte aree, la tendenza all’aumento di queste due specie, è facile
ipotizzare che nei territori montani regionali esistano elevate potenzialità per l’espansione del
lupo.
Ancora di più oggi il Lupo è un’entità faunistica la cui presenza va considerata un fatto normale
nel territorio regionale. Gran parte dei territori montani della regione offre condizioni ecologiche
adatte alla presenza del lupo, anche se non necessariamente regolare nel tempo. Risulta quindi
comprensibile come si sia verificata una colonizzazione di nuovi comprensori, anche in
considerazione del fatto che il cinghiale, preda preferita, rappresenta una realtà ben diffusa in
tutto l’Appennino e che il capriolo è in espansione. La specie è di conseguenza stata anche
avvistata in territori non strettamente altomontani. I danni alla zootecnia rilevati fanno ritenere
108
che una parte significativa dei danni sia attribuibile a cani vaganti a sottolineare come sia
necessario una maggiore custodia ed azioni concrete di limitazione del randagismo.
109
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111
INDICE
UCCELLI pag. 1
Status e distribuzione di specie nidificanti di interesse
faunistico, gestionale e conservazionistico
Introduzione 1
112
Note sulle specie nidificanti occasionali,
migratrici o svernanti di interesse comunitario 45
Bibliografia 51
MAMMIFERI
Status e distribuzione di specie di interesse
faunistico, gestionale e conservazionistico 56
CONIGLIO SELVATICO Oryctolagus cuniculus 56
MARMOTTA Marmota marmotta 57
ISTRICE Hystrix cristata 58
NUTRIA Myocastor corpus 60
VOLPE Vulpes vulpes 62
DONNOLA Mustela nivalis 72
PUZZOLA Mustela putorius 73
LONTRA Lutra lutra 74
FAINA Martes foina 75
TASSO Meles meles 76
DAINO Dama dama 78
MUFLONE Ovis orientalis musimon 81
Bibliografia 84
Status e distribuzione di specie rilevanti ai fini
della costituzione di Sic e Zps
Introduzione 88
RINOLOFO EURIALE Rhinolophus euryale 100
RINOLOFO MAGGIORE Rhinolophus ferrumequinum 100
RINOLOFO MINORE Rhinolophus hipposideros 101
BARBASTELLO COMUNE Barbastella barbastellus 102
MINIOTTERO DI SCHREIBER Miniopterus schreibersii 103
VESPERTILIO DI BECHSTEIN Myotis bechsteinii 104
VESPERTILIO DI BLYTH Myotis blythii 104
VESPERTILIO SMARGINATO Myotis emarginatus 105
VESPERTILIO MAGGIORE Myotis myotis 105
LUPO Canis lupus 106
Bibliografia 108
113