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Capitolo 3

Conversione al Cristianesimo.

Cenni storici:

a) Ci vollero più di due secoli (i primi schiavi arrivarono nel 1619) prima che iniziasse la conversione
degli schiavi al Cristianesimo.
b) Ci furono forti resistenze soprattutto da parte dei proprietari terrieri bianchi che ritenevano di dover
tenere gli schiavi allo stato selvaggio, unica giustificazione alla schiavitù.
c) Successivamente però finirono per comprendere che la prospettiva della salvezza in un’altra vita
avrebbe potuto tenere tranquilli gli schiavi in questa.
d) Infine la religione divenne uno strumento di controllo sociale. Attraverso i predicatori si potevano
fornire eccellenti motivi perché si obbedisse ai padroni comportandosi nel modo che faceva a
quest’ultimi più comodo.
e) La predicazione (battista e metodista) fu bene accetta perché la religione aveva sempre avuto un
ruolo importante nella cultura africana. Inoltre fra le antiche credenze che sopravvivevano c’era la
convinzione che il dio dei vincitori era più forte e quindi da onorare.

La religione cominciò a essere il centro della vita degli schiavi dal tramonto all’alba.
La cultura africana non poneva distinzioni tra questo mondo e l’aldilà, tra carne e spirito, tra i viventi e i
morti.
Gli schiavi americani usarono la religione come occasione di svago e per tenere insieme la comunità.
I primi afro-cristiani erano il risultato tra paganesimo e cristianesimo, fra usanze e riti africani e liturgia
cristiana.
Per sposarsi ad esempio il loro rito prevedeva semplicemente di saltare insieme oltre il manico di una scopa,
il che simboleggiava varcare la soglia della terra degli uomini uniti dal vincolo matrimoniale; per divorziare
bastava saltare all’indietro e tutto tornava come prima.

Alla fine delle funzioni, gli schiavi addossavano i banchi alle pareti e tutti, uomini, donne e bambini
cominciavano a camminare in tondo, in mezzo alla stanza (Circle dance).
Si trattava di un’antica pratica africana, chiamata Ring Shout.
Questa sorta di ballo (eseguito strisciando i piedi e cercando di non incrociare mai le gambe) veniva fatto
talvolta in silenzio, altre volte cantando il ritornello di uno Spiritual.
Dal suono di quest’azione si fa derivare il nome del ritmo moderno “Shuffle”, andamento tra i più frequenti
nel blues e nei suoi derivati, jazz compreso.
Quelli che cantavano meglio, oppure stanchi dopo le fatiche di una giornata di lavoro, si radunavano in
gruppo su un lato della stanza e accompagnavano il ballo degli altri.
Il canto e il ballo erano pieni di energia; gli shouters (i cantanti) spesso cantavano fino a tarda notte e il
rumore dei piedi strisciati per terra era udibile nel raggio di mezzo miglio.

Queste riunioni prendevano il nome di Prayer Meeting (Riunioni di preghiera), culminavano di solito nelle
Circe Dance, che avevano un carattere fortemente africano.
Gli schiavi sapevano che tali cerimonie erano considerate peccaminose dai padroni bianchi, perché vi
partecipavano uomini e donne, tutti insieme; ciò veniva interpretato come eccessiva promiscuità, per cui
questi incontri si svolgevano di nascosto, di notte e in luoghi appartati.
Si ricorreva a strani espedienti per attutire il rumore di queste riunioni.
Ad esempio all’entrata della baracca veniva collocata una tinozza da bucato sollevata da terra da un lato:
inclinata così si pensava che inghiottisse i rumori!
Tutto ciò era un sintomo di quel vago senso di colpa che fino in epoca recente avrebbe afflitto gli
afroamericani, che si vergognavano in qualche misura della loro musica, come il blues e il jazz.
Anche perché tra le prime cose proibite dal Cristianesimo c’era proprio la musica profana e i balli di gruppo.

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NEGRO SPIRITUALS

Canti religiosi nero-americani, praticati nei territori di lingua inglese e religione protestante.

Data la varietà di tipologie venivano suddivisi in:

A. Anthems (Inni): Canti estatici, solenni, commoventi (i veri e propri spirituals)

B. Jubilees (Giubili): Canti pieni di dinamismo, fervore mistico, quasi simili alle marce, sottolineati dal
battito dei piedi e delle mani.
Tali canti più energici nascono nel clima eccitato dei Grand Camp Meetings che si svolgevano
intorno al 1800 nelle zone di frontiera.

Lo spiritual era un canto di carattere corale e di argomento sacro.


Di solito veniva eseguito da una voce solista a cui rispondeva un coro; in tal senso può essere vista come una
trasfigurazione delle figure del celebrante e dell’assemblea, che si alternano seguendo il principio del call
and response.

Si tratta di musica derivata dalla tradizione religiosa bianca; i canti Puritani e Presbiteriani furono i modelli
sui quali gli afroamericani iniziarono a elaborare nuovi testi, tratti dal Libro della Sapienza, la Bibbia,
principalmente parabole, citazioni o passi contenuti nel Vangelo, in inglese Gospel.

Soprattutto gli innari inglesi di Isaac Watts (1707) e John Wesley (1737), fondatore della Chiesa Metodista,
fornirono ai fedeli del Nuovo Mondo un ricco repertorio di canti religiosi protestanti.

Quando gli afroamericani del Nord organizzarono la prima Chiesa Episcopale nera, adottarono la musica dei
padroni; tuttavia si diffuse ben presto tra di loro una modalità di cantare del tutto nuova.
L’enfasi e la passione che essi riversavano nel canto era grandissima, inoltre presero a trattare il materiale
tematico a loro disposizione con molta libertà.

Tra le pratiche riportate dal celebre innario del 1801, scritto da Richard Allen, primo Diacono metodista
afroamericano, fondatore della Chiesa AME, si parlava di Wandering Refrains, ritornelli vaganti, cioè
aggiunte di frasi ripetute alla fine degli inni tradizionali.
Questi frammenti musicali, brevi frasi ritornellate e caratterizzate da un ritmo più scomposto sarebbero alla
base degli spiritual afroamericani.

L’armonia e la melodia erano sicuramente di carattere europeo, l’uso della coralità fu un aspetto comune tra
la cultura africana e quella occidentale, almeno per quanto riguarda il canto religioso.

Interpellato a proposito dell’origine del canto religioso afroamericano Duke Ellington dichiarò: “…a questo
punto ci troviamo di fronte a un mito che bisogna demolire: preoccupati del silenzio degli schiavi i padroni
ordinarono loro di cantare, perché non pensassero alla loro sventura o a piani di ribellione” (Barry Ulanov).

A metà del Diciottesimo secolo si formarono dei cori presso le comunità nere del Nord, che già godevano
della libertà; nelle case di Dio fondate degli afroamericani non succedeva come nelle chiese bianche,
entrando nelle quali ci si lasciava automaticamente il mondo alle spalle, per dimenticare poi lo spirito
religioso all’uscita.

La conversione al Cristianesimo permise agli afroamericani di penetrare inconsciamente nei tesori della
musica dei loro padroni.
E’ comunque testimoniato anche il contributo inverso, in quanto il valore delle trasformazioni operate dagli
interpreti di razza nera influenzerà a sua volta il canto spirituale bianco.

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La trasformazione consisteva nelle modalità esecutive; ciò che cambiava era la maniera di eseguire la musica
religiosa:

A. un’interpretazione molto più viscerale, appassionata ed energica


B. l’uso libero della voce
C. la totale partecipazione emotiva, testimoniata dall’accompagnamento con le mani
D. le voci utilizzavano ampiamente il vibrato, per risultare più espressive
E. il coinvolgimento era di tipo estatico, talvolta poteva diventare addirittura isterico

C’era un intenso rapporto tra il predicatore e la congregazione dei fedeli.


La comunità era una famiglia di cui il pastore era capo e guida.
Il pastore era l’equivalente dell’anziano delle tribù africane.
Si riteneva che egli avesse un superiore contatto con l’ignoto.

Lo Spiritual non era un canto di rassegnazione e autocommiserazione.


Al contrario in esso si esaltava la liberazione del popolo nero come logica realizzazione del volere del
Signore.
La schiavitù contraddiceva Dio, quindi era la negazione della sua volontà.
Pur sapendo che difficilmente sarebbe arrivato alla libertà in questa esistenza, lo schiavo non cessava di
rivendicarla e nel canto affermava il proprio diritto a ottenerla.

Nella Bibbia si raccontava di altri infelici che dovettero subire la schiavitù a lungo prima di veder
riconosciuto il proprio diritto alla libertà.
Nel popolo infelice e perseguitato degli ebrei, che subirono la cattività in Egitto, s’identificò la razza
afroamericana, vessata da grandi tribolazioni.

Nella Bibbia c’era scritto che gli ebrei aspettavano la traversata del fiume Giordano: questa assunse il valore
simbolico della morte liberatoria per lo schiavo con il successivo ingresso nel regno dei cieli.
Temi biblici erano trattati negli spiritual, di cui ricordiamo alcuni titoli:

A. “Go Down Moses”


B. “Swing Low, Sweet Chariot”, tratto da un antico canto africano in cui si afferma che anche il ricco
morirà, esattamente come il povero, nessuna ricchezza può comprare la vita
C. “Steal Away to Jesus”
D. “City Called Heaven”

Quasi sempre gli spiritual avevano un significato nascosto; non potendo parlare liberamente di sé stessi, né
lamentarsi della loro condizione, gli schiavi si esprimevano per metafore, mascherando i loro reali sentimenti
e le aspettative dietro le parabole del Vangelo.

In “City Called Heaven” il cielo era la libertà, raggiungibile subito in questa terra, arrivando negli Stati
settentrionali dell’Unione, oppure in Canada, dove alcuni schiavi avevano già trovato rifugio.

I sorveglianti bianchi non si rendevano conto del significato recondito di certi spiritual e della protesta che
questi canti contenevano.
Anche quando i reali sentimenti venivano intuiti la pratica del canto fu consentita perchè la speranza di una
salvezza ultraterrena poteva servire a tenere buoni gli schiavi su questa terra.

Altre volte lo schiavo che cantava non era mosso da sentimenti ostili verso l’oppressore, cioè non
accarezzava propositi di vendetta.
Egli era semplicemente fiducioso in una beatitudine ultraterrena, anticipata con la sua immaginazione (“City
Called Heaven”).

Inizialmente eseguiti senza accompagnamento di strumenti, quindi “a cappella”, e prevalentemente


all’unisono, questi canti subirono una progressiva evoluzione.

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LA DIFFUSIONE DEGLI SPIRITUAL

Dopo la fine della Guerra Civile la musica popolare religiosa e quella a sfondo sociale degli
afroamericani ripresero la forma e il linguaggio che aveva caratterizzato il periodo della schiavitù.
Un cambiamento era avvenuto però nel contenuto dei testi, che riflettevano il nuovo status sociale
dei cantanti, diventati uomini liberi e le mutate condizioni di vita; dal momento però che la maggior
parte degli schiavi rimase a lungo nelle piantagioni, si trattava più che altro di prospettive poco più
ampie di prima.
Frequente era ad esempio il riferimento al treno, nuovo mezzo di trasporto che assunse una rilevante
importanza nella vita degli ex-schiavi, poiché rappresentava la possibilità concreta di cambiare
radicalmente la propria vita raggiungendo il Nord, ugualmente razzista ma di certo più tollerante e
civilizzato.
Anche se le prime canzoni popolari nere iniziarono a essere pubblicate nei tardi anni Sessanta
dell’Ottocento, esse risultavano sconosciute alla maggioranza della popolazione bianca; fu un
gruppo di cantanti di colore che accese l’attenzione del mondo sulla nuova musica afroamericana.
Erano studenti della Fisk University di Nashville, in Tennessee; era la prima struttura universitaria
fondata nel 1866 appositamente per consentire agli studenti di colore di studiare, appena un anno
dopo la fine della guerra e la conseguente abolizione della schiavitù su tutto il territorio nazionale.
L’amministratore dell’Università, John Ogden, chiese a uno dei giovani professori bianchi
dell’ateneo, George L. White, di dedicare le sue ore libere all’insegnamento della musica.
Il professore prima fornì un’approfondita formazione musicale agli studenti più promettenti, poi
oltre a fargli suonare musica classsica lasciò che cantassero “la loro musica”.
Nel 1867 un gruppo di studenti da lui diretti diede un primo concerto pubblico a Nashville, che fu
molto apprezzato; incoraggiato dal risultato ottenuto, White cominciò a portare i suoi cantanti a
esibirsi nelle cittadine vicine:
Infine nel 1871, pressato dalle difficoltà economiche che attraversava in quei primi anni di attività
la prima Università riservata agli studenti afroamericani, ebbe l’idea di portarli in tournée per
raccogliere fondi a favore della scuola.
White ci pensò su parecchio, in quanto il repertorio presentato non era affatto leggero e il pubblico
americano non aveva ancora sentito la musica religiosa degli schiavi e non dava segni di essere
pronto ad ascoltarla.
Comunque il 6 ottobre del 1871 il professore partì con dei soldi presi in prestito insieme a :

A) undici cantanti
B) una “giovane e abile pianista nera”, Ella Sheperd
C) la signorina Wells, una professoressa sua collega nella, con funzione di accompagnatrice
Il successo fu immediato: a Cincinnati il concerto fu recensito positivamente dalla stampa locale; il
gruppo non aveva ancora un nome, per cui il giornalista che scrisse li indicò come “Beecher’s
Negro Minstrel”; ovviamente non si trattava di black face entertainer!
Nonostante le immancabili difficoltà il tour stava per essere portato a termine; prima della fine, a
Columbus nell’Ohio, il professor White dopo una notte insonne decise il nome ufficiale
dell’ensemble da lui diretto: per tanti anni gli schiavi avevano parlato dell’anno in cui sarebbe finita
la schiavitù come il loro “anno di giubileo”, per cui il nome scelto fu Fisk Jubilee Singers.
A Boston la loro esecuzione di “Home, Sweet Home”, una famosa canzone popolare dell’epoca,
resa celebre dalla cantante professionista Jenny Lind, suscitò enormi consensi, perché “di una forza
e pathos senza confronto”.

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I concerti dei Fisk Jubilee Singers erano simili a quelli organizzati dai musicisti bianchi del
periodo, con la differenza che prevedevano un gran numero di spiritual; i brani preferiti dal
pubblico erano le canzoni popolari religiose come:

A) Keep Me from Sinking Down


B) Don’t Stay Away
C) Go Down Moses
Alternate a varie canzoni di compositori bianchi:

A) Old Folks At Home


B) Temperance Medley
C) Sweet Home

Ma non fu questa prima serie di concerti a dare la popolarità su vasta scala all’ensemble vocale
della Fisk University di Nashville.
Un evento di portata nazionale che si svolse a Boston nel 1872, il World Peace Jubilee, prodotto
da Patrick Sarsfield Gilmore, regalò l’imperitura fama a questi studenti-cantanti afroamericani.
Gilmore tre anni prima aveva stupito la nazione intera presentando uno show colossale nel corso del
National Peace Jubilee del 1869; in quell’occasione il produttore allestì un coro di diecimila
cantanti accompagnati da un’orchestra di mille musicisti.

A Boston Gilmore raddoppiò l’organico, presentando 20.000 cantanti e 2.000 strumentisti; per
l’occasione furono chiamati dall’Europa solisti di fama mondiale e addirittura Johann Strauss
figlio venne invitato a dirigere l’enorme orchestra nell’esecuzione della sua più famosa
composizione, il celebre valzer “Nel Bel Danubio Blu”.L’esperimento fallì miseramente e il
risultato musicale di questa audace impresa fu disastroso.

Questo evento però presentava per la prima volta dei cantanti neri inclusi in una grande produzione
musicale statunitense; il 22 giugno 1872 era prevista l’esibizione di tre ensemble vocali:

A) un gigantesco coro formato da 150 cantanti locali


B) i Fisk Jubilee Singers
C) le Hyers Sisters (le cantanti Ann Madah e Emma Louise, due sorelle afroamericane che
furono tra le pioniere del teatro musicale afroamericano)
Sull’enorme palco eretto all’aperto, durante l’esecuzione del famoso “Battle Hymn of the
Republic” il coro locale ebbe una penosa défaillance, poiché l’orchestra attaccò in una tonalità
troppo alta; dopo le prime due strofe, che furono un penoso fallimento, fuori scena intervennero in
soccorso i Fisk Singers, i quali con le loro voci ben allenate e impostate intonarono con facilità e
sicurezza le note acute: fatti salire sul palco precipitosamente dal produttore Patrick Sarsfield
Gilmore, cantarono tra il tripudio del pubblico le rimanenti strofe.
I Fisk Jubilee Singers erano diventati una celebrità; cantarono ovunque negli Stati Uniti e si
esibirono in:

A) Germania
B) Svizzera
C) Gran Bretagna

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Nel giro di sette anni raccolsero 150.000 dollari, che donarono all’università per la costruzione di
una nuova struttura del campus chiamata “Jubilee Hall”.
Sul loro esempio molti college neri, che intanto erano sorti nella Nazione formarono dei gruppi
analoghi di cantanti allo scopo di raccogliere fondi; tra gli altri si ricordano:

A) l’Hampton Institute in Virginia


B) il Fairfield Normal Institute nella Carolina del Sud

I JUBILEE SINGERS PROFESSIONISTI


Nel 1878 c’erano talmente tanti gruppi concepiti a imitazione dei Fisk Singers che l’università di
Nashville rinunciò a organizzare nuovi tour.
Tuttavia il gruppo si mise in proprio, sotto la direzione di Frederick J. Loudin, un membro della
formazione originale fin dal 1875, che introdusse nuovi cantanti e potenziò ulteriormente
l’organico.
Nel 1884 i Loudin’s Jubilee Singers intrapresero una tournée mondiale di sei anni, che diede
notorietà non solo al gruppo ma anche alla Fisk University, perché la maggior parte degli spettatori
continuava a identificarli come i Fisk Jubilee Singers.
In tal modo le canzoni popolari dei neri d’America si diffusero in terre lontane; alla fine
dell’Ottocento c’erano pochi posti al mondo dove non si fossero ancora ascoltati gli spiritual e i
canti nati nelle piantagioni degli Stati Uniti d’America.

IL GOSPEL

Quest’altro stile di canto religioso. prevalentemente identificato come un’espressione


afroamericania, in realtà trae origini anch’esso dalla musica sacra bianca.
Proprio come lo spiritual era nato dalla trasformazione più o meno consapevole degli inni della
chiesa protestante (Watts e Wesley principalmente), il gospel si rifece al patrimonio di canzoni da
chiesa degli evangelisti che cominciarono a diffondersi in ambito urbano da metà dell’Ottocento.
Gospel (good-spell), letteralmente “buona novella” è la traduzione anglosassone del Vangelo; il
termine pertanto sta a indicare non soltanto una forma di canto religioso degli afroamericani ma
tutto il repertorio di canzoni da chiesa modellati sulla falsariga della musica moderna a prescindere
dal colore della pelle e delle diverse professioni di fede.
Il “Secondo Risveglio” aveva prodotto come risultato lo spiritual, apparso all’inizio del XIX secolo
nell’innario di Allen; come abbiamo raccontato questa forma autoctona e originale di canto sacro in
chiesa non fu più consentita nelle chiese, ma trovò ampia diffusione nei camp meeting all’aperto:
possiamo quindi affermare che crebbe e si sviluppò in un contesto rurale fino a quando i Fisk
Jubilee Singers non la presentò alla Nazione nella sua accezione migliore, armonizzata e arrangiata
da musicisti colti bianchi.

L’inno gospel bianco era invece un nuovo genere di canzone sviluppatosì nelle zone urbane, sotto
tende provvisorie erette per incontri di evangelisti itineranti, ma a poco a poco il crescente successo
di questo genere richiese strutture sempre più grandi, come chiese e successivamente stadi da
football!

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I compositori di inni gospel (spesso autori del testo e della musica) incorporarono:

A) le tradizioni della canzone di camp meeting


B) la concatenazione strofa-ritornello
C) inni con brevi ritornelli
D) le forme e le melodie delle canzoni popular (e successivamente di Tin Pan alley)

Ciò era già avvenuto per i Protestanti fin dall’inizio del loro movimento di riforma, separandosi
dalla chiesa cattolica: pensiamo a quanto fece Martin Lutero trecento anni prima!
Tra il 1872 e il 1875 due predicatori bianchi, Dwight Lyman Moody e Ira David Sankey,
affermarono l’inno gospel come genere di canzone efficace da usare nelle scuole domenicali e nei
loro incontri di preghiera
.Nel 1875 fu pubblicata Gospel Hymns and Sacred Songs, la prima raccolta di questo genere
musicale religioso.
Una figura di rilievo per l’innodia gospel bianca fu anche Homer A. Rodeheaver, che nei primi del
Novecento pubblicò una serie di brani divenuti molto famosi nelle congregazioni nere; oltre alle sue
composizioni erano presenti molti brani di un altro importante compositore bianco d’inni gospel,
Charles Gabriel.
Dopo l’abolizione della schiavitù (1965) gli afroamericani seguirono particolarmente le
denominazioni battista e metodista, seguendo generalmente le indicazioni delle chiese madri,
bianche o nere.
In quest’ambito nacquero alcune sette, dette “holiness” e “sanctified”; tali associazioni religiose
crearono una nuova entità ecclesiastica, dalle forti tinte afroamericane, la cosiddetta chiesa
populista o folk Church; all’inizio del Novecento rientravano in questa categoria anche le chiese
battiste, AME e pentecostale.
I repertori di queste chiese, al pari delle altre tradizionali includeva:

A) inni protestanti di autori come Watts, Wesley


B) spiritual e nubile song
C) inni gospel di autori come Sankey e Gabriel

Quella musica veniva però interpretata in maniera poco ortodossa:

A) con l’accompagnamento delle mani e battendo i pedi


B) in forme antifonali
C) con un ritmo persistente
D) era presentata in forma molto più ritmata
E) prevedeva l’improvvisazione melodica
F) accompagnamenti percussivi
G) talvolta venivano adoperati durante i ring shout

Nelle chiese folk o populiste furono introdotti gli strumenti musicali; a sostegno del canto furono
aggiunti:

A) un pianoforte o un armonium
B) dei tamburelli

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Poi fu la volta di:

A) chitarre
B) sassofoni
C) trombone
D) il violino
E) la batteria
F) altre percussioni

Nelle chiese più grandi veniva utilizzato per la funzione un vero e proprio ensemble strumentale e
l’intensità ritmica che era propria della musica da ballo si riversò sulla musica religiosa.
I fedeli battevano le mani sul levare, pestavano i piedi, suonavano i tamburelli e si univano al coro
per cantare; la danza era parte integrante della celebrazione del culto.
Gli strumenti a tastiera ebbero un ruolo preminente: tra tutti spiccava il “pianoforte ritmico”, anche
se spesso poteva trattarsi di un organo a pompa.
Il “pianoforte ritmico” non era un semplice strumento di accompagnamento:

A) colmava le pause del canto improvvisando accordi spezzati


B) utilizzava arpeggi, glissandi e altri abbellimenti

Nel gospel afroamericano era presente anche l’improvvisazione:

A) a livello melodico
B) a livello armonico
C) modificando il testo, con la ripetizione di singole frasi o parole oppure omettendone
qualcuna; altre volte poteva risultare arricchito

Il termine gospel comunque non veniva ancora associato agli afroamericani: essi stessi li
chiamavano spiritual, jubilees o canzoni da chiesa.
Era comunque una musica che esprimeva:

A) una struttura antifonale


B) vitalità ritmica
C) una straordinaria densità musicale, grazie al call and response
D) la predilezione per i tempi binari
E) il ritmo sincopato
F) l’improvvisazione
G) la scala con note “piegate”, le famose “blue note”

Armonicamente ci si manteneva sui gradi principali: tonica, sottodominante e dominante ma spesso


le blue note suggerivano accordi diminuiti e dominanti secondarie.

Il primo importante compositore di gospel afroamericano fu Charles A. Tindley; fnato nel 1851 da
un ex- schiavo e una donna libera, sponsorizzò a partire dal 1901 concerti di canzoni da chiesa.

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Nel 1937 pubblicò una prima raccolta di 37 brani, intitolata New Songs of Paradise; tra le sue
canzoni, divenuti classici del gospel, ricordiamo:

A) I’ll Overcome Someday


B) A Better Home
C) Stand By Me
Sebbene Tindley fosse in grado di pubblicare queste raccolte, ci volle del tempo prima che le sue
canzoni venissero adottate durante i servizi religiosi; esse erano perfette per i suoi incontri da
predicatore, ma il loro utilizzo non fu accettato dalle altre chiese durante le celebrazioni.
Nel 1921 comunque la Sunday School Publishing Board della National Baptist Convention
pubblicò Gospel Pearls, una raccolta considerata una pietra miliare della storia della musica della
chiesa nera, che conteneva ben 165 canzoni.
Come l’innario di Allen rappresentava una “summa” di quanto era stato cantato dagli afroamericani
di fede protestante prima dell’Ottocento, a metà degli anni Venti del secolo successivo Gospel
Pearls era un’antologia popolare che presentava i brani preferiti dalle chiese nere dell’epoca.

A questo punto della storia potrebbe sembrare che i primi autori di musica religiosa nera abbiano
preso come riferimento l’innodia gospel degli evangelisti bianchi, ma non fu esattamente così.
La verità è che essi partirono dalle proprie canzoni religiose (gli spiritual) ; per gli afroamericani gli
inni gospel bianchi appartenevano alla stessa categoria degli inni protestanti classici (Watts,
Wesley); gli spiritual, soprattutto quelli di ritmo più veloce, chiamati jubilees e le loro canzoni
popolari religiose erano un prodotto autonomo e originale, seppur ispirato alla musica da chiesa
protestante europea.
Soprattutto le chiese pentecostali nere attiravano afroamericani appartenenti a tutti i ceti sociali:
spesso la gente andava alle funzioni semplicemente per ascoltare la musica e vedere all’opera dei
validissimi e brillanti ensemble strumentali.

Definiamo meglio le analogie e le differenze tra spiritual e canzone gospel:

A) I testi del gospel sono soggettivi, individuali, esortativi e si concentrano su un solo


argomento, enfatizzato con la ripetizione ossessiva delle frasi; si può parlare di conversione,
di redenzione, del desiderio di spiritualità. I testi degli spiritual sono collettivi e raccontano
di figure ed eventi biblici. Comunque il soggetto è simile
B) Le canzoni gospel hanno un accompagnamento strumentale: Lo spiritual “puro” è cantato a
cappella
C) Il gospel ha una tipica intensità ritmica, con ritmi percussivi e sincopati, spesso portati al
parossismo
D) Il gospel utilizza strofe e ritornelli, come le canzoni di 16 e 32 misure. Gli spiritual sono
formati generalmente da un motivo ripetuto in continuazione (AAAAA), oppure due temi
(ABABAB)
E) La melodia gospel è maggiormente vicina al blues come sonorità. Lo spiritual usa le blue
note solo occasionalmente

Pur partendo quasi contemporaneamente i due stili di canto popolare religioso afroamericano si
affermarono in epoche assai diverse:

A) Lo spiritual si diffuse a livello nazionale (e poi mondiale) già a partire dal 1880
B) La popolarità del gospel conobbe la sua ascesa soltanto all’inizio del Novecento ed ebbe il
suo acme durante la “Black Reinassance”, negli anni Venti

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Chicago è considerata il luogo in cui nacque il gospel nero, poichè dalle sue chiese vennero fuori i
più importanti autori e cantanti di questo genere musicale.
In quella città si stabilì nel 1916 il “padre della musica gospel” Thomas Dorsey; era nato nel 1899
in Georgia, ma la sua famiglia emigrò nella Windy City, sulle sponde del lago Michigan, a metà
degli anni Dieci.
Sebbene fosse ancora adolescente, Thomas era già un abile pianista ed entrò ben presto in contatto
con grandi stelle del minstrel show e del vaudeville; con il nome di Georgia Tom divenne noto per i
suoi blues, ma amava scrivere anche musica religiosa….
Questo suo dualismo interiore, tra sacro e profano, sarebbe stato la chiave del futuro successo di
Dorsey e della sua futura fama; prima di trovare la direzione definitiva diceva: “Se potessi inserire
nei canti gospel il sentimento, il pathos e il lamento del blues, allora mi sentirei realizzato”.
Georgia Tom da ragazzino aveva vissuto la gioia del canto gospel durante un meeting revivalista del
1911. Dieci anni dopo poi era stato folgorato dalla musica da chiesa quando in occasione di un
incontro organizzato dalla National Baptist Convention ascoltò il reverendo A.W.Nix elettrizzare la
folla cantando l’inno “I Do, Don’t You”, una composizione di Excell).
Da quel momento decise che sarebbe diventato un cantante gospel; di getto scrisse la sua prima
canzone gospel, intitolata “If I Don’t Get There”.
Fu lui a chiamare così questo genere di pezzo, a metà ytra lo spiritual e la canzone popolare:
canzone gospel!
Inttorno al 1927 iniziò a diffondere le sue composizioni, peregrinando di chiesa in chiesa tra
Chicago e un po’ in tutto il Midwest e i Sud; i ministri non gli consentivano di cantare durante le
funzioni ma soltanto dopo. Intanto stampava i testi e li vendeva per pochi soldi.
Poi assunse un cantante, che lui accompagnava al pianoforte; si dice che nella sua carriera parallela
di bluesman Dorsey avesse suonato anche con Bessie Smith; la sua perizia strumentale e la varietà
di ritmi e abbellimenti che metteva nelle canzoni garantivano un crescente successo alla propria
musica.
Organizzò anche un gruppo gospel femminile, prima apparizione nella storia di una simile
formazione.
Quando nel 1929 la Grande Depressione provocò il ritiro dalle scene per mancanza di lavoro di
molti jazzisti e musicisti di blues, Dorsey intensificò la sua attività di musicista itinerante
nell’ambito della musica religiosa; nel 1930 una sua composizione “If You See My Saviour” fu
eseguita alla National Baptisti Convention di Chicago con enorme successo.
L’anno dopo, il 1931, fondò:

A) insieme aTheodore Frye il primo coro gospel del mondo (alla Ebenezer Baptist Church)
B) insieme a Frye e Magnolia Lewis Butts fondò la Chicago Gospel Choral Union, Inc
Dal 1932, insieme alla cantante gospel Sallie Martin (un altro personaggio fondamentale per la
diffusione di questo genere musicale) creò la National Convention of Gospel CHoirs and Choruses,
Inc., un meeting annuale che proponeva seminari di musica popolare sacra e offriva una vetrina per
i cantanti gospel.
Nello stesso anno aprì la propria casa editrice dedicata esclusivamente alla musica di autori gospel
neri, la Dorsey House of Music.
Estremamente prolifico, Thomas Dosey (ormai ex- Georgia Tom) scrisse quasi mille canzoni
gospel, pubblicandone la metà; tra le sue perle ricordiamo:

A) Precious Lord, Take My Hand (tradotta in più di 50 lingue)


B) When I’ve Done My Best
C) Search Me, Lord
D) There’ll Be Peace in the Valley

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Sempre da Chicago proveniva la figura che dopo qualche decennio regalò una straordinaria
popolarità mondiale al gospel: la cantante afroamericana Mahalia Jackson, che si può considerare
la maggiore interprete di questo genere.
Nata nel 1912, si stabilì a Chicago nel 1927 e inizio presto a partecipare alle attività musicali di
chiesa, cantando in cori e in un quintetto di spiritual, i Johnson Singers.
La Jackson s’impose a partire dal 1946, registrando ininterrottamente fino alla morte, avvenuta nel
1972, diffondendo il gospel e facendo conoscere al grande pubblico di tutte le razze e culture la
forza e il fervore della musica religiosa.
Il suo merito fu grande: fece riscoprire prima agli americani poi a tutto il mondo i sapori forti dei
più genuini inni afroamericani, perché grazie al suo successo tornarono straordinariamente attuali
anche gli spiritual.
Negli ultimi due decenni della sua carriera fu una vera e propria istituzione americana, al pari di
Duke Ellington nel jazz, con il quale ebbe anche occasione di collaborare, registrando dischi
memorabili.
I gospel song moderni sono per lo più pezzi composto appositamente per il servizio liturgico e sono
pubblicati da vari editori; c’è per questo un fiorente mercato di questa musica e i brani vengono
utilizzati come repertorio di uso comune, noto ai più, analogamente a come fanno i jazzisti con gli
standard.
Tra gli autori dei testi troviamo anche grandi scrittori e poeti, come il famoso Langston Hughes, tra
i protagonisti negli anni Venti della “Harlem Reinassance”.
Un’altra interprete di gospel rimasta nella storia per la sua originalità fu Sister Rosetta Tharpe,
cantante e chitarrista che proveniva dal jazz (debuttò esibendosi insieme all’orchestra di Cab
Calloway al Cotton Club negli anni Trenta).
“Convertitasi” alla musica da chiesa, la Tharpe intraprese una carriera di cantante-chitarrista gospel
di grande successo: la sua energia e la straripante figura sulla scena (testimoniata da filmati e
immagini dell’epoca) la facevano sembrare un’antesignana delle rockstar:

Il jazz e il canto religioso nero sono collegati strettamente:

A. molte delle migliori cantanti di jazz hanno incominciato a cantare in chiesa, come Sarah
Vaughan
B. La musica sacra costituisce il background di molti jazzisti, essendo la chiesa il primo centro
di aggregazione per gli afroamericani, quindi il luogo in cui si forma la propria educazione
musicale.

Il vibrafonista Milt Jackson dichiarò:


“Che cos’è l’anima del jazz? E’ ciò che viene dall’interno…Nel mio caso, credo, è ciò che ho
ascoltato e sentito nella musica della mia chiesa. Questa è stata l’influenza più profonda della mia
carriera. Tutti vogliono sapere da dove viene questo mio stile “funky”. Bene, viene dalla chiesa!.

Risalendo alle origini del jazz, il suonatore di banjo Bud Scott raccontava: “Buddy Bolden andava
in chiesa ogni domenica ed era là che trovava le idee per la sua musica jazz” (Joachim Ernst
Berendt).

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