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APPUNTI SUL DISCERNIMENTO

Sintesi da MARKO IVAN RUPNIK, Il discernimento – Prima parte, Ed. Lipa, 46 – 66


Come comincia il discernimento
Spesso si sente dire che il pensiero che porta pace e che riempie la persona di gioia è un pensiero
spirituale. Ma chiunque conosce un po’ di discernimento sa che la pace, di per sé, non significa ancora
niente. Bisogna piuttosto vedere di quale pace si tratta, da che cosa è provocata e, soprattutto, verificare i
pensieri che in essa vengono, dove mi portano e a che cosa mi orientano.
La gioia “frizzante”
La prima è una gioia che potremmo definire “frizzante”, una gioia molto attraente, convincente, ma di per
sé è esattamente un sentimento in cui semina la tentazione, in cui non opera lo Spirito Santo. È proprio
come una bevanda frizzante: quando la versi nel bicchiere, fa tanta schiuma, tanto rumore, poi la schiuma
scende velocemente e, se non la si beve subito, in breve tempo s sarà da buttar via. Si tratta cioè di una
gioia che si presenta in modo forte, con emozioni intense, è piuttosto rumorosa e di poca durata. E,
quando se ne va, lascia un pizzico di amarezza, come uno champagne che è rimasto nel bicchiere troppo
tempo. Si capisce di solito abbastanza bene con che cosa è cominciata, che cosa l’ha provocata, è cioè
identificabile la sua origine. Spesso è legata ad un luogo visitato, ad un evento a cui si è partecipato,ad
una persona incontrata, ad una musica ascoltata, ad un’immagine vista, ad un successo avuto, ad un cibo
mangiato, ad una festa a cui si è stati… Quasi sempre la sua origine è qualcosa di esterno. È una gioia che
cresce velocemente. È molto intensa e prende la persona anche a livello sensoriale. Proprio perché è
rumorosa, costringe all’espressione, a ridere a voce alta quando non è il caso, a raccontare subito quello
che si prova. Trovi delle persone che tornano da qualche esperienza del genere e cominciano a parlare
senza sosta, in una maniera evidentemente esagerata, spinti da questa gioia a comunicare, a gridare, a
parlare in modo veemente. Spesso i giovani mi hanno detto che sperimentano questi stati d’animo nelle
loro feste. Ed è curioso che, malgrado tale spinta comunicativa, ci si sente abbastanza soli; l’altro infatti
mi serve unicamente come termine della mia necessità di parlare. Questa gioia porta a pensare solo a se
stessi, tant’è vero che l’altro è soltanto un ascoltatore passivo, senza che ci sia alcuna attenzione per lui,
senza una reale relazione con lui, senza un atteggiamento di riconoscimento per lui. Infatti, non ci si
accosta all’altro con l’attenzione a lui, ma a ciò che si prova. Ma i padri spirituali ammoniscono
sempre sul rischio di essere troppo concentrati sui sentimenti, i piaceri, le gioie, anche se vengono dalla
preghiera. La concentrazione su questo nostro stato di benessere può diventare tale da cominciare a
pregare solo per avere questi effetti fino a scordare il Signore, allo stesso modo in cui, quando si prova
questa gioia “frizzante”, si è attenti a ciò che proviamo senza tener conto dell’altro a cui si parla.
È una gioia che riempie di un entusiasmo irreale, astratto. In preda ad essa, si pensa di poter far tutto, si
diventa presuntuosi, ci vengono in mente pensieri che normalmente sono falsi. Spesso troviamo infatti
persone che nella vita hanno sbagliato le scelte di lavoro, di scuola o addirittura lo strato di vita o il patner
perché hanno fatto le loro scelte nello stato d’animo dominato da questa gioia. Essa fa da sfondo a un
mondo irreale, perché è l’orizzonte di una autocomprensione irreale, dal momento che fa credere di potere
ciò che in realtà non possiamo. In questa gioia non c’è il minimo spazio per uno sguardo realista, un
ricordo delle malattie, degli sbagli, dei fallimenti, ma tutta la vita è vista in una scia lineare, progressiva,
di stampo eroico. È una gioia di breve durata, che passa velocemente, spesso all’improvviso e quando se
ne va lascia dentro un grande vuoto che occorre subito riempire, dal momento che è un vuoto spiacevole.
Molti vizi e difficoltà hanno radici in questi momenti di vuoto, perché, attraverso una attività spesso
sensuale e sensoriale, si vorrebbe suscitare di nuovo in sé qualcosa di ciò che si è provato quando la gioia
era intensa. Si intravede così come una grande parte della problematica nella nostra cultura sia di fatto una
problematica spirituale. E perciò la cura e la prevenzione provenienti dall’ambito psicologico e
sociologico, anche se utili, non sono certamente esaurienti, ma dovrebbero essere completate dall’arte
della lotta spirituale.
La gioia silenziosa
L’altra gioia la potremmo definire silenziosa, umile. Si manifesta nell’uomo come un’acqua che sgorga
dalla terra. Ad un tratto ci si accorge di essere riempiti da una gioia di cui non riusciamo a notare bene gli
stadi di sviluppo, ma che c’è. Può succedere che si cammini per strada e ad un tratto ci si percepisce
sereni, i volti che si incontrano ci appaiono belli, la strada ci sembra facile e nessun pensiero cattivo ci
adombri la mente. Anzi, ci si sente anche noi stessi più buoni. Normalmente non si vede precisamente
l’origine di questa gioia, ed è molto difficile legarla a qualcosa di esterno, perché si capisce che la gioia
sperimentata non dipende da quello. Potrebbe essere svegliata da qualche causa esterna, tuttavia non ne
dipende, non è quella che te la dà. Senti che ti appartiene, che la porti con te e che sgorga all’improvviso.
Ad un tratto appare, ma non perché dipenda da qualcosa. Sta dentro di te, solo che ad un certo momento si
fa sentire.
È una gioia molto composta, pacifica, si muove con eleganza, lentamente, con semplicità. Una
caratteristica inconfondibile è che ti fa apparire tutto luminoso, chiaro, bello, cancella le ombre e il male,
rende le cose trasparenti, te le fa vedere non possedute e senza che tu desideri possederle. È una gioia che
fa contemplare, che porta alla contemplazione. In questo stato, il ricordo di Dio diventa facile. Pure le
cose che ci piacciono molto, quando siamo penetrati da questa gioia, non desideriamo averle sempre
accanto, non vogliamo possederle portandole a casa, legandoci ad esse. Anche riguardo alle persone,
questa gioia provoca lo stesso atteggiamento. Cisi sente in comunione con tutti. Questa gioia non spinge
la persona a esprimerla subito come mettendola fuori. Anzi, poiché fa sentire in comunione con gli altri,
spesso non provoca a parlare, almeno non fa essere rumorosi, perché la persona sente come se la
comunicazione fosse già avvenuta. La paura sparisce, i timori si allontanano, le preoccupazioni
diminuiscono, benché rimangano presenti. Più la gioia è forte, meno si sente il bisogno di esprimerla. Può
sembrare una contraddizione, ma è proprio così. Più uno è avanzato nella vita spirituale, meno sente il
bisogno di parlarne. È per questo che i principianti parlano molto delle loro esperienze, mentre chi è più
avanti pochissimo, poiché non ne ha bisogno; non perché ci sia chiusi, ma perché non si vede che cosa ci
sia da dire. Spesso la persona, dopo l’esperienza forte di qualche ritiro, di qualche pellegrinaggio, ha tanta
voglia di parlare di ciò che ha provato, mentre chi è più avanti nel cammino spirituale è di poche parole.
Tuttavia, se uno gli chiede, parla di sé senza nessuna difficoltà.
Quando si comunica sotto l’influsso di questa gioia, di questo stato d’animo, la persona parla come se
stesse affidando qualcosa di prezioso, quasi cambia la voce, come succede quando si prega sul serio e si
acquista una voce diversa, perché si sta parlando di qualcosa di molto prezioso. Si comunica con
attenzione per non distruggere qualcosa, ma anche per non invadere l’altro, che è presente e a cui
vogliamo fare attenzione.
È una gioia che spinge ad un grande rispetto dell’altro, e anche di se stessi. Quando vengono questi
momenti, i pensieri che nascono sono di grande rispetto e spingono ad un ottimismo molto realistico: si
percepisce che ce la faremo, anche se sarà dura. C’è un realismo, ma ottimista. Si hanno presenti le
difficoltà, ma c’è una grande prontezza ad agire. È una gioia più duratura dell’altra, può continuare per
alcune ore, giorni, anche mesi. Una persona può stare mesi e mesi in uno stato molto pacifico e anche
bello. Svolge bene il lavoro; i rapporti sono normali,anche se l’anno prima magari litigava con tutti. Si
può stare molto tempo sotto questo influsso, come sotto la “copertura” dello Spirito Santo. È quando
questa gioia scompare – alle volte può scomparire all’improvviso, se la persona vive qualcosa di violento
– non ci si sente soli, perché si percepisce che essa ci appartiene, è solo scomparsa, ma sta dentro di noi. È
simile all’acqua del Carso, che sparisce sotto terra per poi, ad un tratto, riapparire. Prima o poi riaffiorerà,
è ormai parte della nostra persona. È molto bella questa certezza. Anzi la convinzione che ritornerà è così
forte che può aiutare a richiamare la gioia, almeno fino ad un certo punto. Alle volte, basta già una seria
memoria e questa gioia si riaffaccia di nuovo. Se uno riesce a ricordarsi bene come stava, quali erano i
pensieri che aveva, gli atteggiamenti, i luoghi, spesso la gioia si fa sentire di nuovo.
I padri filocalici chiamavano questo “sobrietà”: essere sobri, vigilanti, mantenendo l’attenzione sulle cose
vere, già gustate, sicure, e da lì andare avanti, cercando le sue tracce in ciò in cui ci si imbatte. In un certo
senso questa gioia si può custodie. Non si tratta di tornare a qualche esperienza precisa, in qualche luogo
speciale per sentirla. La porti con te e ti appartiene. Queste sono alcune caratteristiche di questa gioia, che
è spirituale. Quando si sperimentano tali atteggiamenti, il pensiero che vi nasce potrebbe essere veramente

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spirituale, mentre nello stato d’animo determinato dall’altra gioia i pensieri che vengono certamente non
lo sono. Questa gioia è l’ambito in cui lo Spirito ci parla di più.
I grandi maestri spirituali cominciavano il discernimento proprio individuando la differenza tra sentimenti
apparentemente molto simili o che possono addirittura essere confusi. Ignazio si descrive
nell’Autobiografia, come un «uomo dedito alla vanità del mondo». Costretto a stare a letto, leggeva i
romanzi cavallereschi del tempo, e si gonfiava immaginandosi nelle vesti dell’uno o dell’altro
personaggio, alla conquista delle più belle donne di tutta la Spagna, vincitore nei fatti d’arme che avrebbe
compiuto al loro servizio. Ed era sempre contento, portato via da questi pensieri in cui restava assorbito
anche per delle ore senza accorgesene. Ma quando ebbe finito di leggere tutti i romanzi cavallereschi della
casa, finirono per dargli una vita di Cristo e un libro sulle storie dei santi. Visto che non c’era nient’altro
da leggere, Ignazio dovette accontentarsi di questo. Dato che aveva il cliché mentale di sentirsi eroe
dappertutto, quando leggeva le vite dei santi si identificava con san Francesco, san Domenico, si fermava
a pensare che se san Francesco e san Domenico avevano fatto così, sicuramente lo doveva fare anche lui.
Poi, cominciando a riflettere su ciò che aveva letto, pensando ai romanzi cavallereschi e ai santi, iniziò a
notare due gioie diverse, un anche, quando lo abbandonava lo lasciava arido e scontento, e l’altra che non
solo gli dava consolazione e non euforia, ma abbandonandolo lo lasciava contento e allegro. Meravigliato
di questa differenza, cominciò a riflettere e a conoscere la diversità degli spiriti che si agitavano in lui che
più tardi ha scoperto frutto di due diverse ispirazioni, l’una del demonio, l’altra di Dio.

La regola fondamentale
Il discernimento si muove al confine tra la psicologia e lo spirituale: si tratta di capire all’interno del mio
mondo che cosa è di Dio, come Lui mi si comunica. Così il discernimento da un lato si occupa di una
sfera puramente psichica – come osservare i sentimenti, i pensieri, i cambiamenti di stati d’animo – e
dall’altro dischiude queste realtà alla loro dimensione spirituale. Questa prima regola considera lo stato di
pace. A livello psicologico, noi sperimentiamo la pace quando la componente razionale e quella
sentimentale sono orientate sullo stesso oggetto. Quando, al contrario, si è orientati con il sentimento ad
una cosa e con il raziocinio ad un’altra, si sperimenta inquietudine, turbamento, desolazione, abbattimento
e via dicendo. Il nostro orientamento cioè non è più integro, perché con il raziocinio e con il sentimento si
è protesi a due oggetti diversi.
Psichicamente non è così immediata la distinzione tra la pace che accompagna la persona orientata nella
giusta direzione dalla pace che accompagna la persona orientata sull’oggetto sbagliato. Ed è proprio per
questo che il discernimento è necessario e che non è facile. Come si intuisce subito, non è tanto
importante concentrarsi su come ci si sente e su che cosa si sente, piuttosto occorre vedere da ove
proviene tale sentire e dove mi porta, i pensieri che ne derivano dove mi spingono. Oggi, sotto un grande
influsso della psicologia, nella formazione spirituale si rischia di insabbiare l’arte del discernimento, dal
momento che si evita il combattimento spirituale e, non appena la persona comincia a star male, a non
sentirsi bene, si è subito pronti con vari mezzi psicologici per aiutarla a uscirne fuori,a sentirsi meglio. C’è
sempre qualcuno che si preoccupa di come aiutarla a non sentirsi male. Gi si fa cambiare il lavoro,
l’ambiente, le persone intorno ecc. Ma questo significa azzerare la possibilità di una lettura spirituale della
giornata, della storia, della vita stessa. Invece è molto importante cominciare a vedere quali sono i pensieri
che vengono in questi stati d’animo, dove orientano. Si può scoprire con grosse sorprese, che un certo
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stato d’animo di disaggio, di tristezza, di inquietudine, è suscitato dallo Spirito santo, come vedremo più
avanti. Allora, se non accettiamo che la vita spirituale abbia anche momenti – che possono essere pure
prolungati – di malessere, si sfugge all’azione dello Spirito santo e Dio non può dirci nulla.
Nasce allora la domanda: come sapere su che cosa si è orientati, dal momento che non basta provare la
pace per essere sicuri di essere indirizzati sull’oggetto giusto? Infatti, è facile trovare gente che, attenta a
come si sente, sperimenta la pace e da questo deduce che l’oggetto su cui è orientata vada bene.
Ora gli “oggetti” possibili su cui si è orientati sono solo due – io e Dio -, è quindi abbastanza facile
decifrare quali di questi due oggetti si rivelano in determinati pensieri sorti da uno stato d’animo. Se ci
facciamo la domanda: con questi pensieri e sentimenti vado verso Dio, verso un’apertura più matura,
verso un amore più realista, oppure mi chiudo sempre più in me, mi rassicuro sempre più, mi difendo
meglio e realizzo secondo la mia volontà? – la risposta è facile. Bisogna solo stare attenti a non lasciarsi
ingannare dalle impressioni immediate. Ognuno infatti percepisce che nel quotidiano ci sono dei momenti
in cui facciamo le cose egoisticamente, badando a noi stessi, e ci sono dei momenti in cui le facciamo con
amore e per amore, per Dio, per gli altri. Non bisogna lasciarsi ingannare da queste impressioni e dedurre
il nostro orientamento fondamentale da degli episodi, da dei gesti momentanei, la persona abbraccia la
salvezza, aderisce al battesimo, a Cristo, nel più profondo del suo essere, cioè con tutto il suo cuore, ma è
evidente che nel quotidiano sbaglierà e peccherà ancora.
L’azione dello spirito nemico sulla persona che è orientata a se stessa
Cerchiamo di capire questa dinamica con un esempio: la persona che nel profondo è rivolta a se stessa,
cioè che cerca ancora se stessa, forse nelle azioni quotidiane si può camuffare dietro a gesti belli, religiosi,
sacrosanti, tuttavia essi non riescono a smuovere il suo fondamentale attaccamento alla propria volontà. In
questo lo spirito nemico della natura umana cercherà di tenere uniti raziocinio e sentimento affinché la
persona stia bene in una certa pace e continui ad andare avanti sulla strada sbagliata. In questo caso il
tentatore agisce soprattutto sul sentimento: dà cibo al sentimento con la sensualità, con consolazioni e
piaceri sensuali. Quando dico “sensuali” bisogna intendere le inclinazioni basse, piccole, meschine, cioè,
ad esempio, la preoccupazione di come dovrei essere perché la gente mi accetti, sia applaudito, abbia la
casa calda, il letto morbido, il cibo buono, la gloria, gli applausi, la salute, una bella macchina, il potere,
ecc. E soprattutto la rassicurazione di non avere rogne, difficoltà, di star bene.
Che cosa fa il nemico sul raziocinio, mentre nutre il sentimento? Trova ogni appiglio per confermare che
si è sulla strada giusta, tentando l’autogiustificazione con qualche parola della Scrittura, della regola, degli
autori spirituali, per darsi l’illusione di essere sulla strada giusta
Lo Spirito santo nella persona orientata a se stessa
Lo Spirito Santo cerca di separare ragione e sentimento, provocando così inquietudine, malessere. Perché
il soggetto si fermi, rifletta e si orienti diversamente. Nel caso di una persona orientata a se stessa, lo
Spirito santo non può agire sul sentimento, perché questo è occupato dai piaceri sensuali. Lo Spirito santo
non può agire, perché il sentimento non è aperto per nessuna esca. I sentimenti infatti si gonfiano nei
piaceri sensuali. Quando uno è soddisfatto nei suoi piaceri sensuali, non è disponibile a considerare quelli
spirituali. Senza questi momenti di malessere allora non c’è nessuna conversione. Quando lo Spirito santo
suggerisce allora argomenti – dato che non può far leva sul sentimento – per far comprendere che si è
orientati verso il proprio ombelico, la persona comincia a star male, è abbattuta, turbata, inquieta. Se al
raziocinio si presentano la logica e il pensiero del vangelo, questo infatti può essere “tentato” di dar loro
ascolto. Appena il raziocinio dà retta al pensiero ispirato dal vangelo, gli si accendono come dei flashes
brevissimi, ma di impressionante chiarezza e lucidità, che quella è la via per la vera vita, mentre la sua
non è la giusta. Lo Spirito Santo, agendo sul raziocinio attraverso questi brevi flashes evidenti, continua a
provocare nella persona un malore, un’inquietudine, quasi mordendo la coscienza con la chiarezza della
ragione. E se la persona per un po’ continua a star male, allora anche il sentimento può essere mosso per
un istante verso il vangelo che il raziocinio ha iniziato a considerare. Ci troviamo così in una nuova
situazione: almeno per brevi istanti, l’uomo, sia razionalmente che sentimentalmente è orientato verso il
vangelo, verso Dio. E poiché abbiamo definito l’esperienza di pace come questo integro orientamento, la

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persona ora sta esperimentando di nuovo la pace, ma una pace diversa. Ed è solo allora che essa può
cogliere la differenza tra le due paci.
L’azione dello Spirito santo sulla persona orientata a Dio
Che cosa cercherà di fare in lei lo Spirito di Dio? Mantenere raziocinio e sentimento orientati a Dio,
affinché la persona non cambi in niente. Quando un cristiano crede solo a livello ideale, accade facilmente
che abbia un pensiero molto elevato, strutturato, anche profondo, ma senza sapore, staccato dal sentire del
cuore. Allora la persona scopre in sé una sorta di dualismo: con la testa difende dottrine alle volte anche
austere, severe, ma con il sentimento o con i sensi vive immersa nella sensualità del mondo. Quando una
persona è seriamente orientata a Dio, lo Spirito Santo nutre il sentimento con la consolazione spirituale. In
questa vicinanza con il Signore, si infiamma l’amore, ci si sente sollevati e attirati dalle cose che
sappiamo non ci inganneranno, che rimarranno. Si accresce la speranza e, anche se si vede la propria
debolezza o persino il proprio peccato, più forte ancora è la certezza della salvezza. Anzi, la persona è
capace di piangere, di commuoversi profondamente a causa della salvezza donataci dal nostro Signore.
In questa situazione di consolazione spirituale, come agisce sul raziocinio lo Spirito santo? Allo stesso
modo in cui agisce il nemico della natura umana sull’uomo orientato a se stesso: cerca ragioni a ciò che si
sta provando. In questo senso, sono molto importanti la tradizione, la Chiesa, le vite dei santi, perché è
attraverso queste realtà che Dio agisce per rafforzare la mia mente. Così, in questo modo, raziocinio e
sentimento aderiscono verso la stessa direzione, verso lo stesso orientamento, creando nella persona una
integralità.
Lo spirito nemico sulla persona orientata a Dio
Come invece agisce lo spirito nemico sulla persona che nel profondo è orientata verso Dio? Cerca di
distaccare il raziocinio dal sentimento, in maniera che si rompa l’equilibrio della persona e il sentimento
rimanga orientato dove è, mentre il raziocinio cominci a indirizzarsi altrove, di modo che la persona
sperimenti l’inquietudine. Il nemico agisce soprattutto sul raziocinio, suscitando falsi ragionamenti,
creando o aumentando impedimenti, ingigantendo ostacoli e fatiche. Come si riconosce un falso
ragionamento? Dal fatto che si conclude sempre con la preoccupazione di come starò io, di che cosa farò
io. Dal fatto cioè che porta ad una preoccupazione per l’io. La persona può anche meditare sulla Trinità,
ma se in questa meditazione si inserisce un falso ragionamento, sarà portata a preoccuparsi di sé, di come
sarà, di che cosa dirà la gente, di quante cose difficili la aspettano… Oppure, se medita la Sacra Scrittura,
cominceranno a sorgere ragionamenti che portano allo scredito della Parola di Dio, al dubbio che sia
veramente autentica, se occorra prenderla tutta sul serio, ecc. Normalmente il falso ragionamento si scopre
dalle paure che semina nell’anima, paure che sono segnate più o meno esplicitamente dal timore di ciò
che può capitare all’io.

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