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DIRITTO PENALE E TUTELA DELLA PERSONA—G.

De Santis
DIRITTO PENALE- Marco Pelissero -Giappichelli
Prima lezione di diritto penale- Giovanni Fiandaca -Laterza
Codice penale aggiornato

27.09.2021
Diritto penale: prende il nome dall’aspetto più saliente della disciplina, cioè la sanzione, e lo vedremo
quando andremo a definire cos’è il reato, perché la definizione di reato la diamo partendo dalla sanzione
giuridica, le pene.

Norma giuridica: formata da un precetto e da una sanzione, dove il precetto è il comando che
l’ordinamento rivolge al cittadino, mentre la sanzione è la conseguenza che l’ordinamento prevede per la
violazione di un precetto. Dunque, la pena investe chi la subisce in una maniera travolgente, e questa è la
nota fondamentale che caratterizza la pena e il diritto penale.

Franz von Liszt (giurista tedesco), elabora questo concetto fondamentale 


“La pena come arma a doppio taglio”.
Per tutelare beni giuridici ne devo ledere altri, a volte di altrettanto valore, se non di valore addirittura
superiore, cioè la libertà personale.

Dunque, il Diritto penale come extrema ratio, in un ordinamento democratico che ha al proprio centro non
solo la tutela ma anche la valorizzazione della persona umana a partire dalla sua libertà, quindi va impiegato
solo quando non è possibile impiegarne altri. Il fondamento normativo è caratterizzato dall’ art.13 della
Costituzione. Per cui questa considerazione dovrebbe portarci ad immaginare un diritto penale minimo.

Di Diritto penale minimo ha parlato Alessandro Baratta, dunque il nostro diritto penale si allontana da
questo paradigma ideale che andrebbe recuperato.

Esistono degli argomenti di dialogo tra l’ordinamento penale e le altre materie, ad esempio uno strumento è
lo strumento normativo della fattispecie penale, vedremo che un reato è descritto dal legislatore attraverso
l’impiego di due tipi di elementi:

 Elementi normativi che impongono la conoscenza di una norma giuridica, sia elementi normativi
di tipo sociale tutti quelli che dipendono dalla conoscenza di norme di altre discipline.
es. art.324 fattispecie di furto
 Elementi descrittivi dove il legislatore impiega dei concetti propri del senso comune (chiunque
cagioni la morte di un uomo)
 Cause di giustificazione  legate al concetto di non contraddizione

28.09.2021
Il diritto penale in ragione della particolare sanzione che potenzialmente può comprimere la libertà personale
è accompagnato da tutta una serie di garanzie che lo distinguono dagli altri tipi di illeciti. Garanzie che sono
garantite sul piano processuale e prima ancora delle garanzie di illecito nella sua dimensione sostanziale,
delle garanzie che il nostro ordinamento prevede nel massimo grado immaginabile nelle fonti del nostro
ordinamento. Il livello e l’intensità delle garanzie distinguono il diritto penale dagli altri tipi di illecito
(=contrarietà rispetto ad un illecito giuridico segnato dalla previsione della sanzione).

Questi principi di garanzia, che il nostro sistema costituzionale prevede in materia penale:

1. il principio di legalità
2. il principio di materialità
3. il principio di offensività
4. il principio di colpevolezza
il principio di legalità e il principio di colpevolezza previsti esplicitamente dalla costituzione, esistono infatti
delle norme che espressamente sanciscono questi principi in materia penale, per quanto riguarda l’1 la norma
vigente è l’art.25 della costituzione mentre per quanto riguarda il 4 la norma vigente è l’art.27, mentre 2-3
sono ricavati dal nostro sistema costituzionale, l’altra peculiarità dell’illecito penale è quello di essere
assistiti da principi di garanzia rafforzati dalla sede in cui l’ordinamento disciplina queste garanzie che è la
costituzione.

Sempre per rimarcare la singolarità del diritto penale dobbiamo fare un cenno alla funzione dell’illecito che
si contrappone innanzitutto all’illecito civile.

es. illecito extracontrattuale/ illecito contrattuale  art. 1218 art.2043

illecito penale (es. ipotesi di omicidio di un pedone, la art.589 c.p.), in questo caso questo comportamento è
rilevante per l’illecito civile dell’art.2043 del c.c.
Ora lo scopo dell’illecito civile dell’automobilista è quello di risarcire il danno, in questo caso la parte offesa
sono i parenti, così l’azione risarcitoria può essere promossa dagli eredi o davanti al giudice civile che la
giurisdizione delle norme civili, o davanti al giudice penale attraverso la costituzione di parte civile.

A cosa serve la sanzione civile?


Ristabilire un equilibrio pari a quello che si aveva prima dell’illecito.
A cosa serve però la sanzione penale?
Scopo punitivo in sé

La declinazione poi delle funzioni poi collegate alla punizione appartiene ad una parte della dottrina
penalistica che è detta teoria della pena (=funzioni proprie della punizione), che insieme alla teoria del
reato costituisce la parte generale del diritto penale

L’illecito penale nel nostro ordinamento prende il nome di reato.

Origine storica della pena


Foucault è un grande studioso del potere che ha cercato di smascherare partendo dal carcere, (espressioni
massime del potere). Lo fa raccontando la rapida trasformazione della pena tra il 1700 e il 1800, quindi nel
1757 si consuma l’ultimo supplizio, tra l’altro con modalità cruente e che prevedevano l’arte di protrarre nel
tempo la sofferenza del condannato, quindi racconta come in poche decine di anni il supplizio e tutte le pene
corporali spariscono e vengono sostituite dalla prigione, che diventa la forma di punizione per l’autore del
reato.
Simbolicamente se pensiamo al 1757 come l’anno dell’ultimo supplizio la seconda data da memorizzare è il
1764 in cui viene stampato l’opera celebre di Beccaria “Dei delitti e delle pene” e non per niente Beccaria
viene considerato il padre del diritto moderno. Infatti, se prendiamo in considerazione l’art.27 noi troviamo
espressi i concetti elaborati da Beccaria nel 1764. Successivamente, il corpo sparisce ed entra in scena la
prigione.

Per dare un riferimento normativo, l’art.114 comma 6-bis, c.p.p. fa notare come il corpo non venga toccato.
Questo processo storico che inizia nel 1957 continua fino ad adesso e vede il nucleo centrale proprio nel
passaggio tra il 1700 e il 1800, cioè l’ingresso in quella che Foucault definisce come sobrietà punitiva. Così
se la pena non può essere il corpo, l’oggetto della punizione è lo spirito/l’anima del condannato, che deve
essere cambiato-trasformato-trattato. Questo passaggio di cambiamento di oggetto Foucault lo accompagna
anche ad una trasformazione che avviene dall’ancien regime rispetto alla formazione del potere, non
dimentichiamo che il potere punitivo è l’espressione più incisiva del potere nella nostra società. La base
teorica del potere punitivo viene allacciata da Foucault alla fondazione del potere, perché nell’ancien regime
tutto era rapportato al sovrano, cioè dalla figura fisica del sovrano che in qualche modo era rivestito da una
sorta di sacralità, mentre il corpo del condannato è simbolo di sottomissione, abbiamo proprio una simmetria
rispetto alla figura del Re, e nel momento in cui si sostituisce al corpo lo spirito occorre la necessità di dare
una nuova base teorica al potere punitivo, e questa base la fornisce l’illuminismo con la teoria del contratto
sociale (Hobbes che tornerà come riferimento teorico nel nostro studio, con la figura del leviatano). Non
stupisca allora un’altra espressione:
“il diritto penale è la magna carta libertatum del delinquente” tra questi diritti c’era il diritto di libertà,
cioè la prima forma di protezione rispetto all’arbitrio, la prima forma di protezione del cittadino rispetto al
leviatano.

Quindi il contratto sociale non è più un potere che si forma da una figura sovrana, ma su una base paritaria,
cioè su un contratto tra i cittadini, attraverso il quale il cittadino riceve protezione.
Quindi il potere è condizionato da questi principi di garanzia: principio di legalità, etc.
Questi principi di garanzia si rivolgono innanzitutto al legislatore che deve scrivere le leggi in ossequio a
questi principi di garanzia, ma si rivolgono anche all’interprete della legge che è il giudice che deve
applicare.
L’applicazione è inevitabilmente un processo interpretativo, così anche il giudice deve adeguarsi a questi
principi di garanzia.

Foucault, poi ci ricorda che questa evoluzione non ha riguardato solo il diritto sostanziale ma anche il diritto
processuale, ha segnato il passaggio tra una forma di processo quello inquisitorio al processo penale
moderno che guarda al modello accusatorio. In realtà questo passaggio in Italia è stato molto tardivo perché
fino al 1989 in Italia vigeva il Codice di Procedura penale (Rocco) che ancora si rifaceva al modello
inquisitorio dell’Ancien Regime (caratteri funzionali all’epoca storica stessa e che concentravano
l’attenzione sull’inquisito, guardavano alla confessione come prova principe) quindi questo superamento
delle antiche forme del processo è stato più lento e si è realizzato solo con l’approvazione del Codice
Vassalli del 1989. Il criminale non è più il nemico del Re ma colui che rompe il patto sociale, e quindi
diventa nemico della società nella sua interezza. Il diritto penale del nemico è la violazione dell’idea che il
delinquente

11.10.2021
Nel Codice Rocco(1948)sono presenti due elaborati: colpevolezza--pericolosità sociale, colpevolezza
collegata al libero arbitrio, quindi la scelta di delinquere espressione di una libertà morale che si esprime nel
concetto stesso di colpevolezza presupposto pe l’applicazione delle pene in senso stretto, dall’altra la scuola
positiva che aveva posto il proprio accento sull’autore del reato che nell’occasione della commissione del
reato manifesta una pericolosità sociale che va neutralizzata con uno strumento diverso che ritroviamo
appunto nel Codice Rocco che sono le misure di sicurezza.
Da qui il sistema fatto proprio nel Codice Rocco del così detto doppio binario: pene – misure di sicurezza,
che hanno come presupposto normativo due istituti diversi: colpevolezza – pericolosità.
Tra i due sistemi noi riscontriamo però una contaminazione reciproca, perché nel Codice Rocco si accentua
l’idea della individualizzazione della pena stessa che si presenta legata al concetto di trattamento.
In linea di massima possiamo dire che il contributo offerto dalla scuola positiva si limita all’introduzione
della pericolosità sociale, ma in realtà non è così perché va al di là di questo specifico apporto.

Abbiamo accennato al fatto che l’indirizzo tecnico giuridico sopravvive anche al cambio di regime
costituzionale, rimane un fattore condizionante della giurista degli anni 50-60’ di una scienza penale che
deve essere una mera esigessi di una serie di norme, e che viene a scansarsi grazie all’affermarsi delle varie
scuole di diritto penale, in particolare alla elaborazione della scuola bolognese di diritto penale e quindi ai
lavori di Franco Bricola, che nello scrivere la sua voce ‘teoria generale di reato’ ha disegnato questo quadro
nuovo di un diritto penale strettamente connesso ai grandi valori e ai grandi principi costituzionale, quindi da
qui la valorizzazione dell’ art.13 Cost., e via via la valorizzazione di alcuni principi come art. 25 principio
di legalità, principio di uguaglianza sostanziale dell’art.3 come indice di razionalità caratteristica della legge
penale, art.2 che non fonda solo diritti ma anche doveri della solidarietà sociale, e art. 27 della Cost., primo
comma “la responsabilità penale è personale” -colpevolezza, e il comma terza legato alla qualità e alle
funzioni della pena.
Per conclude un cenno brevissimo lo dovremmo dedicare alle tendenze liberali che permangono nella nostra
elaborazione penalistica:
 “il diritto penale è la magna carta libertatum del delinquente” concetto coniato da Von List  non
vale per gli autori di fatti di terrorismo/criminalità organizzata
 Legata a quello che è stato definito populismo penale, ovvero episodi recenti della nostra
legislazione penale –es. leggi spazza, o altri istituti come la legittima difesa.
Come è strutturato il nostro strumento penalistico a partire dal Codice Rocco:

Il Codice penale è organizzato in tre libri:

I. Libro primo: Contiene la parte generale del diritto penale (=la ricaduta sul piano normativo di
quella elaborazione che viene chiamata teoria generale del reato= organizzazione
sistematica/razionale di tutti quegli istituti che sono riconducibili agli elementi costitutivi del reato,
cioè gli elementi fondamentali in cui si scompone il reato, assieme agli istituti che si riconducono
alle forme di manifestazione del reato. Quindi la parte generale disciplina le forme attraverso cui
contingentemente può manifestarsi il reato, es. le circostanze del reato, oppure gli elementi
costitutivi del reato, oppure il concorso di persone nel reato). Si parla id parte generale perché questi
istituti si applicano a tutti i singoli reati presenti nel nostro ordinamento indipendentemente dalla
loro collocazione topografica, quindi sia nella parte speciale del c.p. o fuori dal c.p. (diritto penale
complementare).
La norma del Codice penale che ci consente di dare il valore generalizzato del libro prima è l’art.16
del c.p. è il momento di congiunzione tra parte generale del c.p. e diritto penale complementare.

Secondo e Terzo libro riguardano la parte speciale del c.p. infatti:

II. Secondo libro: contiene i singoli delitti. È organizzato in una serie di titoli che sono 13, e per ogni
titolo c’è un riferimento ad uno specifico oggetto di tutela. Questa organizzazione gerarchica di
lavori corrisponde all’espressione di un regime autoritario distante dal regime costituzionale vigente,
che ha tutta un’altra gerarchia di lavori, nei quali è centrale innanzitutto quelli legati alla persona,
progressivamente questa organizzazione è stata modificata attraverso una serie di riforme successive
al Codice Rocco/1948 (es. introduzione di un apposito titolo per la protezione specifica del bene
ambiente—legge n.68 del 2015, e questo adattamento della gerarchia dei valori questa modifica è
ancora in corso). Il codice Rocco è riuscito a sopravvivere nel tempo per diversi motivi, ma
soprattutto perché il Codice penale del 1930 non ripudia la tradizione penale che risaliva al 1989, e
al di là delle affermazioni di principio, in realtà il diritto penale che ritroviamo nel codice del 1930
corrisponde ancora alla nostra tradizione liberale. Questo in particolare facendo leva su quelle
articolazioni che hanno avuto come oggetto il principio di colpevolezza.
Per quanto riguarda l’opera del legislatore di emenda del codice rocco nelle più evidenti asperità
questa fase inizia immediatamente con la caduta del regime fascista che risale al 1943, a seguito
della minoranza di Mussolini il 25 luglio del 1943 e tra le prime emende che caratterizzavano il
Codice penale nella sua versione originaria, pensiamo alla questione della legge di morte. Un altro
istituto che immediatamente viene reintegrato è quello delle attenuanti generiche (art.62-bis del
c.p.) utile per adattare la pena concreta al disvalore concreto dei fatti e che era già presente nel
Codice Zanardelli e che viene ripristinata con la caduta del vecchio regime. Un'altra trasformazione è
la reintroduzione nel Codice penale di un istituto già presente nel Codice Zanardelli 1889, cancellato
nel codice rocco nella sua versione originale, la causa di non punibilità della reazione legittima nei
confronti di atti arbitrari della pubblica amministrazione, torna nel Codice penale dopo il 2018 con
l’aggiunta dell’art. 393-bis, nel2018 viene introdotto nel nostro codice la così detta riserva di
codice.

Art. 393-bis
La razione del reo sia verbale che materiale rispetto ad atti arbitrari della Pubblica amministrazione,
reazione che sia consistita nella commissione di una serie di reati (es. di resistenza a pubblico
ufficiale, violenza, oltraggio) non sono punibili, quindi istituisce una causa di non punibilità.
Il legislatore è agnostico rispetto all’uso di questa forma e non ci dice perché l’autore di reato non
deve essere considerato punibile, ma è l’interprete che deve dare una collocazione dogmatica alle
diverse ipotesi di non punibilità previste nel nostro ordinamento. Quindi questo esempio ci dice che
il legislatore ci tiene a reintrodurre questo istituto per re-instaurare una condizione diversa tra
autorità e cittadino.

III. Terzo libro: contiene le singole contravvenzioni


Il reato, che è l’illecito penale, nel nostro ordinamento può essere di due tipi:
 Delitti (che sono i reati più gravi)
 Contravvenzioni (che sono i reati meno gravi-detti reati nani)

Per il resto c’è una tradizione legislativa che ha portato il legislatore a collocare nelle contravvenzioni certe
tipologie di reato, infatti, per tradizione legislativa esistono contravvenzioni per presidiare con la sanzione
penale precetti di natura cautelare (es. in maniera di igiene e sicurezza sul lavoro, per presidiare le cautele sui
lavoratori, inizia negli agli anni 50’ d.lgs. 357 e 246, attraverso due decreti che continuano e passano fino al
testo unico in materia di norme sulla sicurezza e igiene sul lavoro d.lgs. 81 del 2008// un altro settore nel
quale il legislatore utilizza la contravvenzione è quello nel quale c’è la necessità di rafforzare dei precetti del
diritto amministrativo, quindi settore dell’edilizia, dell’urbanistica, del diritto ambientale, cioè quando si
tratta di presidiare un sistema di precetti volti alla tutela dell’attività edilizia attraverso la previsione di un
determinato regime, ad esempio autorizzatorio o a un regime fatto di limiti tabellari).

Quindi, questa distinzione ha delle ricadute pratiche applicative fondamentali, cioè nel nostro c.p. per i delitti
è previsto un certo tipo di regime, e per le contravvenzioni un regime diverso.
Si tratta di una distinzione che ritroviamo nel nostro codice per il fatto di aver separato la collocazione del
libro secondo dal libro terzo.

12.10.2021
Illeciti punitivi amministrativi del codice della strada, si tratta di punire la violazione di un precetto con
una sanzione diversa dalle proprie della legge penale.
In realtà questo sistema si è arricchito e non c’è settore dell’ordinamento nel quale il legislatore non ricorra a
questi precetti, o settori nei quali non scelga di utilizzare le tre fattispecie in uno stesso ambito disciplinare
come quello di illeciti presenti nel libro quinto del Codice civile, che prevede in linea di massima una
sanzione pecuniaria con lo scopo punitivo (=diverso a quello risarcitorio proprio dell’illecito civile).
Allora questo sistema per funzionare deve presentare degli aspetti di differenziazione rispetto a quello
penale, perché duplicare la disciplina del Codice penale non avrebbe senso e quindi il legislatore in qualche
modo ha scelto di semplificare ulteriormente i principi e gli istituti, in particolare quelli di garanzia, che
invece sono previsti per il delitto e la contravvenzione.
Questa cosa la riscontriamo se scorriamo la prima parte della legge 689 dell’1981 dove sono disciplinati i
principi generali relativi a questo tipo di illecito, allora noi troviamo riaffermati alcuni principi che sono di
origine penalistica, come la capacità di intendere e di volere, l’elemento soggettivo (nesso psichico).
Affianco a tutta una serie di istituti che costituiscono l’ossatura del sistema penale troviamo anche dei
principi che non hanno natura penalistica, come l’art.6 della l. 689 (solidarietà= concetto incompatibile con
le caratteristiche fondamentali dell’illecito penale, regola usata nel diritto civile che serve per rafforzare la
tutela del creditore, significa che in virtù di questa regola il creditore si rivolge al debitore e pretendere da lui
il pagamento del tutto, salvo poi la possibilità per chi ha pagato di agire in via di pregresso per gli antri con-
debitori, questo concetto da a pugni con l’art. 27 Cost.).
Quindi dire che l’illecito punitivo e l’illecito civile coincidono è sbagliato.
L’art. 7 della l.689 (non trasmissibilità dell’obbligazione) in cui la regola fondamentale è che l’erede
subentra sia nei rapporti attivi che nei debiti. Ma non è tenuto al pagamento della sanzione, quindi dovrà
pagare le tasse ma non la sanzione compresi gli interessi. Questo principio si collega all’Art.27 Cost.

Un ultimo aspetto di questa disciplina, che fa parte dell’idea secondo il quale il legislatore deve disporre di
uno strumento di punizione pratico. Chi si occupa dell’illecito penale amministrativo?
Il giudice penale o il giudice civile? La caratteristica fondamentale del processo penale è che prima si
accerta la responsabilità e poi si applica la sanzione, e la responsabilità deve essere accertata nella sua forma
definitiva. Per l’illecito punitivo amministrativo vale un procedimento diverso, infatti prima l’autorità
amministrativa competente ad accertare e infliggere la sanzione, eroga la sanzione e poi eventualmente vi è
la possibilità di rivolgere all’autorità giudiziaria. Il rito del processo civile non conosce tutti i sistemi di
garanzia del processo penale e questa è l’arma in più che rende lo strumento punitivo dell’illecito penale
amministrativo una valida alternativa al sistema penale vero e proprio. Quindi oggi più che parlare di diritto
penale si parla di diritto punitivo, sistema complesso e molto articolato perché comprende delitti-
contravvenzioni- illeciti di tipo amministrativo (=che hanno come disciplina fondamentale l. 689 dell’81).
Ma il legislatore a questa legge di depenalizzazione generale del 1981 se ne sono aggiunte altre
successivamente, una operata nel 1999 e una ancora più recentemente nel 2016 (D.lgs. 7 e 8 del 2016, anche
qui abbiamo un intervento che ha comportato un arretramento del diritto penale a vantaggio di quello
amministrativo, ma c’è un altro aspetto che presenta elementi di novità perché il legislatore è per un altro
verso intervenuto determinando un arretramento del diritto penale a favore del diritto civile.
Il primo di questi due interventi è quello tradizionale, alcuni fatti di reato vengono degradati a illecito
punitivo amministrativo, come ad esempio l’ingiuria, che assieme alla diffamazione rappresentavano i due
reati posti a tutela dell’onore/della reputazione della persona, ma grazie all’intervento del 2016 si trasforma
da reato a illecito punitivo amministrativo, in particolare il D.lgs 8 del 2016. Un’altra fattispecie che ha
seguito la medesima sorte avviene per gli atti osceni, Art.527, ma solo per ipotesi non aggravata, quindi
quando i fatti sono commessi in prossimità di luoghi frequentati dai minori. E quindi per questi nuovi illeciti
vale la disciplina generale della legge 689 del 1981). Ma ciò che è interessante è l’altro D.lgs. del 2016 il
numero 7 perché in questo caso alcune fattispecie non sono state trasformate in illecito amministrativo, ma in
una nuova tipologia di illecito civile, il caso più importante è quello della fattispecie punita dall’Art. 635 del
c.p. che punisce l’attività di danneggiamento di immobili altrui. Ora l’ipotesi di danneggiamento non
aggravata da reato diventa un illecito punitivo civile. Continuano a costituire reato le ipotesi aggravate di
danneggiamento.

Che cosa significa che questa fattispecie diventa un illecito punitivo civile? che la competenza è rimessa
al giudice civile, come si trattasse di un qualsiasi altro illecito civile contrattuale (art. 243 del Codice civile)
solo che si trattasse di un illecito civile extracontrattuale qualsiasi potrei agire in via civile per ottenere solo il
risarcimento del danno, mentre in questo caso il giudice in caso di vittoria dell’attore non si limita a
condannare il convenuto a pagare il risarcimento del danno in mio favore, ma anche al pagamento di una
sanzione pecuniaria civile. Si stabilisce a conferma di questa prestazione ulteriore la regola secondo la quale
l’obbligo del pagamento non è trasmissibile agli eredi.

Le questioni legate alla teoria generale della pena


La teoria generale della pena cerca di dare delle risposte in linea con il nostro quadro normativo, tentando di
dare una risposta alla domanda fondamentale: perché si punisce?
Nella storia del pensiero criminologico si sono affiancate una serie di teorie e ognuna ha cercato di
accreditarsi rispetto alle altre, in realtà non esiste una teoria della pena che riesca compiutamente a dare una
risposta completa alla domanda “perché si punisce?”, ma diciamo che ognuna di queste teorie da un pezzo di
questa risposta, quindi possiamo dire che queste teorie convivono tutte insieme.

La più antica di queste teorie, è la teoria retributiva, che si presenta con la caratteristica di essere una teoria
assoluta (sciolta, rispetto ad uno scopo di tipo utilitaristico). È una teoria assoluta in quanto non è funzionale
al raggiungimento di uno scopo che abbia qualche utilità pratica, ma risponde alla domanda “perché è giusto
punire” imperativo assoluto.
Gli esempi fatti rimangono ancora validi, la Bibbia, la Divina Commedia, etc.
A rilegittimare questa teoria hanno poi contribuito due grandissimi filosofi Kant ed Hegel, Kant riteneva
che la punizione per il delinquente fosse una forma per omaggiare colui che viene punito riconoscendogli la
qualità di essere razionale. Hegel per conto sua riconduce la questione della pena alla tesi(diritto), l’antitesi
(violazione del diritto) e la sintesi (la violazione della violazione). La suggestione di queste informazioni è
fortissima, soprattutto perché agganciare reato a pena in questi termini significa affermare un principio
generale di garanzia che è quello della proporzione.

Il presupposto della punizione è la colpevolezza, che è una delle categorie del reato
di colpevolezza parla l’Art.27 comma 2 Cost. (colpevolezza di tipo processuale), noi ci occupiamo della
colpevolezza come categoria del reato che esprime il legame di coinvolgimento della persona rispetto al fatto
commesso, quindi è la relazione tra autore del fatto e fatto, condizione complessa che ha come riferimento
l’Art.27 comma 1 Cost. “La responsabilità penale è personale”—quando parliamo di retribuzione
dobbiamo agganciare alla colpevolezza che deriva dal fatto e non dalla colpevolezza di una qualità
criminologica particolare.
Quando si parla di pena retributiva si concentra la propria attenzione, sia sul processo che sul processo di
cognizione. Il processo infatti può essere diviso in due fasi:

Fase di cognizione: fase deputata che permette al giudice di conoscere i fatti per definire la responsabilità in
basa ai fatti, ed è qui che la funzione retributiva il grosso del proprio ruolo, perché permette al giudice di
definire la pena.

18.10.2021
PREVENZIONE GENERALE NEGATIVA= funzione legata alla capacità della pena di distogliere i
consociati alla commissione di reati, che ha tanti limiti e che ha anche una linea di evoluzione ben precisa,
cioè quella di trasferire nei settori di maggiore rischio penale il compito di prevenzione dallo stato ai privati.
Il valore della prevenzione generale negativa deve essere sempre misurata circa la capacità della
semplice minaccia della pena di incidere sui tassi di criminalità.

Pensiamo alla pena per antonomasia, la pena di morte, che in Italia non è contemplata neanche dalle leggi
militari, in tutta Europa è stata messa al bando tranne per uno stato che è la Bielorussia, e tolto questo caso
singolare, sappiamo che questa è praticata di un certo numero di Stati degli USA ,massicciamente praticata
in Cina (senza che si sappia quante siano le condanne a morte pronunciate ed eseguite) o Iran, Pakistan,
(etc.).Rispetto a questi paesi non possiamo misurare l’incidenza della pena rispetto ai reati per i quali è
combinata e se faccia abbassare la quantità di crimini per i quali è praticata.
Gli studi di Criminologia quantitativa applicati agli USA confrontando gli stati abolizionisti, dimostrano in
maniera inconfutabile che la minaccia della pena di morte non incide sul tasso degli omicidi, anzi gli studi
dicono che il tasso degli omicidi negli stati non abolizionisti è superiore rispetto al tasso degli stati
abolizionisti, e comunque stiamo parlando di numeri importanti; infatti, gli omicidi volontari commessi ogni
anno negli USA ammonta a circa 15mila omicidi l’anno.
La percezione che si ha in Italia è di vivere in un paese insicuro, ma in realtà l’Italia è il paese che è messo
meglio, un progresso costante che si è evoluto a partire dagli anni 90’.

Gli stati sono condizionati dalla certezza della pena, dove per certezza della pena intendiamo la pena eseguita
diversa dalla pena minacciata ma anche da quella inflitta e concreta. Il dibattito politico, infatti, si svolge
intorno a queste diversità, ma questo corrisponde a meccanismi totalmente conformi al nostro quadro
costituzionale che vuole che la pena svolga delle funzioni diverse. Per cui abbiamo pena estratta, pena
concreta e pena eseguita. La certezza della pena della quale si parla in questo caso è la probabilità di essere
scoperti e andare incontro a conseguenze legali; quindi, sarebbe più tosto questo un fattore capace di incidere
sulla portata general negativa della pena. Ma anche questa considerazione deve essere precisata, perché
dipende dai tipo di reati ai quali si pensa, perché se pensiamo alla criminalità di impeto probabilmente
neanche questa considerazione potrebbe in qualche modo spiegare l’incidenza della pena sul tasso di
criminalità, se invece pensiamo ad altre forme di criminalità fondate su un processo razionale (es. colletti
bianchi) questo tipo di considerazione ha un certo margine di verità.

Quindi il legislatore in questo ambito ha ritenuto di percorrere strade diverse (3 ambiti criminali)

 reati in materia di sicurezza sul lavoro


 reati in materia medico chirurgica
 reati delle persone giuridiche

Stiamo parlando di ambiti criminali contraddistinti innanzitutto dalla colpa e non dal dolo, e quindi in termini
di disvalori soggettivi ci allontaniamo dall’ambito della criminalità violenta che vede l’omicidio come reato
per antonomasia. Il penalista ovviamente ha gli strumenti per far risaltare a fianco al disvalore oggettivo
(disvalore di condotta/ o di eventi) dal disvalore soggettivo. Quando parliamo di questi tre ambiti parliamo
esclusivamente di reati colposi, cioè di omicidi o di lesioni personali colposi, e questo spiega anche perché si
possono sperimentare forme di prevenzione diverse e quindi anche di numeri diversi.
Per operare in chiave di prevenzione generale di questi settori il legislatore ha pensato di ricorrere a dei
meccanismi che delegano i soggetti gestori del rischio penale a partecipare alla funzione di prevenzione,
meccanismi che sono legati a quell’espressione ormai inflazionata che è quella della così detta compliance
(collegata ad un comportamento di prevenzione penale che l’ordinamento trasferisce al soggetto): cioè una
pretesa di condotta preventiva che l’ordinamento rivolge ai soggetti privati che gestiscono il penale.
REATI IN MATERIA DI SICUREZZA SUL LAVORO
Fin dagli anni 90’ su imput dell’allora comunità europea con la l. 626/1994 (mate di sicurezza sul lavoro) si è
messo al centro del sistema il concetto di prevenzione, addossando al datore di lavoro degli adempimenti di
natura preventiva sotto minaccia di sanzione penale (valutazione dei rischi ai quali sono esposti i lavoratori)
per prevenire i reati associati in materia di sicurezza sul lavoro, e la violazione delle norme di prevenzione è
automaticamente punita, quindi la compliance si riferisce a questo.

REATI IN MATERIA MEDICO CHIRURGICA


Responsabilità medico chirurgica. Medicina difensiva—tendenza della sanità che troppo spesso ispira le
scelte terapeutiche, spesso mirate a prevenire eventuali contenziosi. Ciò significa addirittura in casi più gravi
di rimetterli nelle mani di altri medici, o abbandonare alcune specialità perché considerate troppo rischiose
dal punto di vista del contenzioso. Si attribuisce ai medici la prevenzione di reati, attraverso norme che
devono essere rispettate nella pratica medica per prevenire omicidi, queste sono le norme che ritroviamo
nelle linee guida delle società mediche (ex. società italiana ematologia, etc.) questo in Italia è avvenuto nel
2012 con il decreto Balduzzi e nel 2017 con la leggi Gelli-Bianco.

REATI DELLE PERSONE GIURIDICHE


Un passaggio rivoluzionario è avvenuto nell’evoluzione del nostro ordinamento penale, cioè segnato
dall’approvazione del D.lgs. 231/2001 che ha introdotto nel nostro ordinamento una forma di responsabilità
punitiva delle persone giuridiche. Fino a quella data in Italia e non solo vigeva il paradigma secondo il quale
societas delinquere non potest, al quale eravamo tutti assuefatti. Così con il seguente D.lgs. possiamo trovare
affianco ad un imputato un ente, che sia una società giuridica, un’associazione riconosciuta, ma un qualcosa
di diverso dalla persona fisica in carne ed ossa, questa è stata una rivoluzione importante perché il
meccanismo ideato per punire questa entità assomiglia a quello già utilizzato per le persone fisiche
nell’ambito della sicurezza sul lavoro e nell’ambito medico chirurgico. Si trasferisce il compito preventivo a
persone giuridiche non fisiche, così questo meccanismo si fonda su questa compliance aziendale, e quindi sul
fatto che gli enti si siano o meno ben organizzati per prevenire reati che possono essere commessi all’interno
dell’organizzazione.

PREVENZIONE GENERALE POSITIVA= idea che attraverso la minaccia della pena si possano non
tanto abbattere gli indici di criminalità quanto più tosto educare i consociati al rispetto di certi valori. È un
tema controverso perché contraddice alcune delle osservazioni fatte fino ad adesso, e contraddice l’idea di
diritto penale laico (emancipare il diritto penale dalle funzioni che sono proprie della morale/ dell’etica. Il
diritto penale non ha lo scopo di elevare alcuni beni giuridici in chiave pedagogica). Un'altra idea che
contraddice questa funzione è l’idea secondo il quale il diritto penale è extrema ratio, cioè che il diritto
penale dovrebbe essere un diritto sussidiario (che il legislatore usa quando non ha a disposizione strumenti
giuridici diversi non penale, altrettanto efficaci o addirittura più efficaci). Quindi nonostante queste chiare
indicazioni, il diritto penale moderno che significa laico, extrema ratio, affiorano dell’ordinamento
penalistico delle tendenze di politica criminale che invece vorrebbero svolgere una funzione pedagogica e/o
simbolica. Si parla a questo proposito anche di diritto penale simbolico.

Esistono due esempi di diritto penale simbolico:

 Un diritto penale simbolico inefficace


 Un diritto penale simbolico efficace

Diritto penale simbolico inefficate –reati di odio, Tendenza del diritto penale ad elevare in senso
simbolico determinati temi giuridici perché qui non si tratta solo di misurare la compatibilità di
questa politica criminale con la laicità e la sussidiarietà, ma si tratta di misurare la compatibilità tra
diritto penale e Art.21 Cost. che riconosce la libera manifestazione del pensiero, perché vedremo
che tra i diversi crimini raziali e d’odio in particolare ne esisto alcuni che tentano di elevare a
condotta rilevare la vera manifestazione del pensiero, anche improbabile dal punto di vista della
fondatezza storica/scientifica. Rileggendo il testo dell’Art.21 Cost. e soffermandosi sulla lettera della
legge “tutti possono manifestare liberamente il loro pensiero” si nota come si è voluto fare
riferimento al soggetto, cioè riguarda tutti. Quindi qui si tratta di fare i conti anche con una norma
che riconosce la facoltà di manifestare il proprio pensiero nella forma assoluta che si possa
esaminare.

I CRIMINI DI ODIO RAZIALE


Il primo provvedimento è la legge Scelba l.645/1952, è stata rievocata proprio in occasione degli
scontri della CGIL a Roma, perché tale legge che vieta la ricostituzione del partito fascista prevede
due strumenti per tutelare il bene giuridico della libertà democratica che può essere colpito da
un’organizzazione politica di stampo fascista o di un'altra serie di comportamenti come l’apologia
del fascismo/le manifestazioni fasciste. Tra le condotte funzionali alla costituzione fascista c’è anche
quella di propaganda razzista. Non c’è invece nessuna definizione di discriminazione raziale e questa
definizione la ritroviamo in una Convinzione internazionale ONU del 1965, che tra le altre cose
contiene una definizione di che cosa si deve intendere per discriminazione raziale.
Questa convenzione viene ratificata in Italia con una legge degli anni 70’ –detta Legge Reale,
l.654/1975, in una seconda fase la criminalizzazione di condotte di odio raziale compresa quella
delle propaganda di idee raziali viene implementata da un’altra legge che è la Legge Mancino degli
anni 90’, un decreto legge che viene convertito in legge dalla l.205/1993, e questo apparato di
criminalizzazione di condotte raziali nel 2018 confluiscono all’interno del codice penale in virtù del
D.lgs. 21/2018—che introduce nel nostro ordinamento il principio di riserva di codice (mettere nel
codice penale tutte le fattispecie penalistiche) quindi il codice in sé ha una portata simbolica e non
è indifferente se una fattispecie di reato sta fuori o dentro il codice, perché questa portata viene
aumentata se il reato noi lo troviamo nel codice. Vengono portate nel libro secondo del Codice
penale, nel libro dedicato alla tutela della persona e questo è un altro messaggio simbolico-culturale
che riflette le diverse concezioni di stato e di gerarchia di valori che regnano all’interno di un
ordinamento. In particolare, questa implementazione è stata ottenuta creando un’apposita sezione
all’interno del titolo che protegge gli interessi legati alla persona, intitolato ai delitti contro
l’eguaglianza. Con maggior precisione queste fattispecie le troviamo raccolte negli articoli 604-
bis e 605-ter del Codice penale.

19.10.2021
604- bis propaganda o idee di fondamento raziale
605-ter che contiene una circostanza aggravante, parliamo di aggravante della Legge Mancino applicabile a
tutti i reati (tranne quelli punibili con la pena dell’ergastolo) qualora siano commessi per finalità di
discriminazione raziale etnica. Questa circostanza ha due particolarità:
 è ad effetto speciale (consente un aumento di pena fino alla metà della pena)
 viene sottratta al così detto giudizio di valenza dell’Art.69 del c.p. (quando il giudice si trova a
dover giudicare un fatto rispetto al quale sono presenti aggravanti e attenuanti le può bilanciare)
Per rafforzare il significato simbolico di questa circostanza il legislatore ha deciso che non può essere
compensata dalla presenza di una eventuale circostanza attenuante; quindi, il giudice non ha in questo caso il
potere discrezionale di operare questa compensazione.

A completamento di questa stratificazione storica dei crimini di odio raziale nel nostro ordinamento si è
aggiunta alla propaganda di idee raziali una specifica disciplina in tema di negazionismi, che con efficacia
altrettanto simbolica si prefigge in particolare di prevenire quella che è stata definita cultura dei genocidi.
Anche questa disciplina è confluita nell’ Art.604- bis (ultimo comma) “(..)se la propaganda riguarda la
minimizzazione in modo grave, o dei crimini contro l’umanità, o dei crimini di guerra”— l’aggiunta è
avvenuta ancora una volta in ragione di un imput di tipo extra-statuale cioè in questo caso è stata una
decisione quadro del Consiglio Europeo del 2008 che ha chiesto agli stati membri dell’UE di punire appunto
questi tipi di comportamento.
In questa decisione quadro l’UE ha indicato in maniera tassativa quali dovevano essere le condotte punibili:
apologia-negazione- minimizzazione dei crimini di genocidio e dei crimini di guerra:

Crimini di genocidio –crimini di guerra, si parla di fattispecie che costituiscono il così detto diritto penale
internazionale di origine pattizia, e ciò è avvenuto dall’immediato secondo dopo guerra. Si origina dal Patto
di Londra, in quella occasione si iniziò a dare corpo alle incriminazioni costitutive e quindi in particolare a
questi crimini di genocidio, di guerra, e in generale ai crimini contro l’umanità. Questo diritto penale
internazionale ha continuato a svilupparsi in particolare negli anni 90’ attraverso la costituzione di tribunali
ad hoc, in particolare in tribunale internazionale dei crimini commessi nella ex Jugoslavia, l’altro tribunale
penale internazionale è stato quello costituito per i terribili episodi del Ruanda (genocidio di una delle due
etnie) fino all’approvazione dello Statuto di Roma nel 2000 che ha creato un sistema più generale di diritto
internazionale avendo comunque al centro queste tre fattispecie incriminatrici.

Parlando di genocidio non ci si riferisce solo al genocidio degli Ebrei ma si parla più genericamente di
genocidi, quindi a livello internazionale l’altra grande ipotesi di negazionismo che è stata in qualche modo
colpita è stato il genocidio degli Armeni (1915), genocidio che letteralmente significa uccisione di un genus
nel suo complesso che fu compiuto dalla Turchia nei confronti degli Armeni che vivevano all’interno
dell’Impero Ottomano (la tecnica utilizzata fu quella delle lunghe marce). Dunque, questo è il dato, della
criminalizzazione della propaganda di idee, discriminazione, negazionismi che acquista un significato
pedagogico particolare, ma con la necessità di coesistere con gli altri grandi principi del diritto penale (gradi
principi di garanzia). L’equilibrio tra l’efficacia di garanzia e quella simbolica è per lo più garantita dalla
giurisprudenza, cioè in mancanza di indicazioni che permettono di contemperare queste esigenze diverse la
giurisprudenza si è fatta carico di questo compito, e questo è avvenuto nel panorama Europeo in forme
diverse. Ad esempio, per garantire la libera manifestazione del pensiero la Corte costituzionale tedesca in
un’occasione ha ritenuto che la verità storica non esista, ma esiste una verità giudiziaria, e solo la verità
giudiziaria può essere protetta, aprendo in qualche modo la possibilità di operazioni di relativismo storico.
Una distinzione più convincente l’ha fatto il Tribunale nazional spagnolo che nel caso del negazionismo ha
distinto la giustificazione dei crimini di genocidio, da una negazione non istigatoria che deve essere
considerata lecita ed espressione riconosciuta della libertà di pensiero. Un’altra distinzione è stata fatta dalle
Corte europea dei diritti dell’uomo, che ha ad esempio differenziato da un lato i fatti storici accertati e
dall’altra i fatti ancora oggetto di dibattito, creando il presupposto per una discriminazione tra genocidi
diversi. Dunque, l’intento di queste differenziazioni fatte in sede giudiziaria serve ed è servito comunque per
contemperare l’esigenza di far sopravvivere anche in ambiti così delicati con l’utilità di usare il diritto penale
anche in questa chiave simbolico pedagogica.

Nel diritto interno nazionale Italiano il compito che si è assunto la giurisprudenza in particolare di legittimità
è stato quello di contemperare queste esigenze simbolico- pedagogiche con quelle imposte dal principio di
offensività –“non ci può essere rato senza offesa”, cioè se nella definizione sostanziale di reato l’elemento
essenziale è un bene giuridico protetto, senza una lesione effettiva o quanto meno potenziale del bene
giuridico non ci può essere reato, quindi ci può essere una condotta esteriormente conforme ad un tipo di
reato, ma che non è reato, quindi non punibile perché manca completamente il profilo dell’offesa (è un
principio ermeneutico, che deve essere utilizzato per le diverse fattispecie di reato).

La giurisprudenza e la Corte di cassazione hanno cercato di usare questo canone ermeneutico per far
convivere le due esigenze, per fare un esempio concreto facciamo riferimento a una sentenza della Corte di
cassazione del 2020 (sesta sezione- n.) è originata da fatti non avvenuti in Italia, però l’esito interpretativo si
allinea rispetto a una tradizione giurisprudenziale consolidato nel nostro ordinamento. L’incriminazione è
originata da un’esternazione fatta da un cittadino tedesco su un convoglio affollato di extra- comunitari,
questo cittadino pronuncia una frase- La corte di cassazione deve decidere se questa affermazione sia
riconducibile all’Art. 604-bis e se in particolare questo fatto sia riconducibile o alla condotta di propaganda
di idee razziste o al concetto di odio, in virtù del concetto di stretta legalità che domina la materia penalistica,
il diritto penale è strettamente legato alla lettere della legge, proprio perché l’interpretazione della legge
penale non può eccedere determinati limiti. La cassazione cerca di dare un significato di limitare
l’espressione propaganda— afferma che per propaganda si deve intendere: a divulgazione di una idea al
fine di condizionare o influenzare il comportamento o la psicologia di un vasto pubblico.
Quanto poi al sentimento di odio che deve essere capace di generare la propaganda razzista la propaganda
precisa che il sentimento di odio deve essere inteso come: un’avversione tale da desiderare la morte con
grave danno per la persona odiata. Quindi la cassazione precisa che non si può confondere il sentimento
d’odio con un’avversione. La conclusione è che tale espressione non è stata capace di stigmatizzare questa
etnia, cioè difetta in ultima istanza quel profilo di concreto pericolo che è il minimo elemento che deve
sussistere in un’offesa rilevante. Poi un altro intervento legislativo da ricordare nel caso di diritto penale
simbolico, pedagogico è quello della tutela dell’ambiente, e a dispetto di questo valore non solo l’Italia non
aveva fino al 2015 delle fattispecie dedicate, ma addirittura l’espressione ambiente fino a pochi anni fa era
addirittura sconosciuto alla nostra carta costituzionale, e questo creava una difficoltà aggiuntiva per quanto
riguarda l’incriminazione di condotte contro l’ambiente, partiamo sempre dal principio di offensvità-
l’argumentum libertatis dell’ art.3 ha portato a dire qualcuno che per poter comprimere la libertà personale
attraverso la minaccia della pena è necessario che l’oggetto che si vuole salvare abbia anche esso un (..) da
salvare. La menzione che poi nel 2001 si è ottenuta all’interno della Cost. è molto poco soddisfacente, perché
di ambiente si parla solo nell’ Art.117 (comma 2, lettera s) che è quella norma della Costituzione che attiene
al reparto di competenza tra Stato e regioni.

Abbiamo già accennato al fatto che nel nostro ordinamento le contravvenzioni sono usate per presidiare
regimi amministrativi, e questa. stata la tradizione della tutela ambiente italiana per decenni, non atraverso
una tutela diretta dell’ambiente, ma attraverso la tutela del regime amministrativo previsto a favore della
Pubblica amministrazione per negare ciò che offende l’ambiente (permesso di costruire, autorizzazione allo
scarico, autorizzazione per l’emissione nell’atmosfera, e limiti tabellari dell’emissione negli scarichi) quindi
l’oggetto di tutela era la Pubblica amministrazione che tutela l’ambiente. Come sempre, di fronte a:
mancando una fattispecie capace di tutelare l’ambiente la giurisprudenza ha ritenuto di poter usare una
norma che già esisteva, e la fattispecie utilizzata per anni è quella dell’Art. 434 del c.p., titolo sesto (reati
contro la pubblica incolumità, cioè quei reati che non tutelano singoli individui come è invece nel titolo
dedicato ai delitti contro la persona, ma che tutelano una cerchia indistinta di individui non pre-determinabili
a propri, come il reato di strage, di disastro, cioè cerchia di soggetti indistinti) si è ritenuto che questo bene di
categoria fosse quello più vicino al bene ambiente, e in ragione di questa affinità ontologica la corte di
cassazione ha ritenuto di poter applicare per tutelare l’ambiente la norma di chiusura del titolo sesto del
codice penale (Art.434 c.p.) e l’applicazione in questa chiave dell’articolo è iniziata a causa del primo
disastro ecologico che è il Disastro di Seveso (1976) che aveva coinvolto tutta la popolazione di quella città,
ma via via negli anni successivi sono stati istruiti importantissimi processi sulla base del seguente articolo,
come il processo dei fatti del petrolchimico di Porto Marghera, venne qui istruito un processo definito negli
anni 90’ storico. L’altro grande processo che ricordiamo è quello più recente per i fatti di Casale Monferrato,
fino al processo ancora in corso a Taranto per l’inquinamento dell’acciaieria.

Allora lo scenario cambia nel 2015, perché viene introdotto nel libro secondo del c.p. un nuovo titolo il titolo
sesto -bis proprio intitolato “Dei delitti contro l’ambiente” che ha un valore rivoluzionario dal punto di vista
culturale. Già qualche anno fa vi era una norma per punire il traffico illecito di rifiuti delle eco-mafie,
finalizzate al traffico illecito dei rifiuti. L’operazione importante è quella del 2018 che realizza in principio di
riserva di codice, prende questa fattispecie della legislazione speciale in materia ambientale e lo porta nel
Codice penale, sempre per questo significato simbolico che svolge il nostro Codice penale.

Legge 68/2015 è stata una legge del Parlamento che per vero anch’essa ha tradotto uno stimolo proveniente a
livello internazionale, perché l’ambiente come la sicurezza sul lavoro è un interesse comunitario.

25.10.2021
Le due fattispecie fondamentali del titolo sesto bis, libro secondo:

 Art. 452- bis, che punisce l’inquinamento ambientale --punito con una pena da 2-6 anni

È previsto per queste fattispecie un’estensione particolarmente importante dei tempi di prescrizione (come
gioca il fattore tempo rispetto all’estinzione del reato, quando diremo della punibilità diremo che su questa
incide il fattore tempo che decorre dalla consumazione del reato fino alla sentenza di condanna o di
assoluzione, che sia comunque definitiva). Il reato ha una propria vita, e la sua durata è segnata dalla
prescrizione. Sono stati considerati tanto importanti questi delitti contro l’ambiente da evitare un
ampliamento della prescrizione, così anche questo è un modo che contribuisce a segnare il significato di una
fattispecie di reato, perché significa individuare in quel reato un reato particolarmente importante.

Gli elementi della fattispecie:


Qual è l’oggetto giuridico (=il bene tutelato)? Possiamo pensare all’ambiente in modi diversi, inteso come
territorio che è tutelato dai reati previsti in materia di edilizia e di urbanistica, o possiamo pensare
all’ambiente inteso come bene culturale e quindi come oggetto di tutela dei reati contro il paesaggio o i beni
previsti in materia di beni culturali, oppure possiamo pensare ad un ambiente inteso in senso ecologico, cioè
quello che ci riguarda, un bene ecologico che è formato dalle componenti biotiche (=specie viventi animali) e
abiotiche (=acqua, aria, terra). L’ambiente così inteso, in senso ecologico, può essere a sua volta colto nella
propria dimensione eco-centrica o nella propria dimensione antropocentrica. Questo corrisponde a una
tradizione culturale tipica della storica occidentale a partire dalla Bibbia, secondo il quale le cose
dell’universo sarebbero state create in funzione dell’uomo, allora in questo senso tutelare l’ambiente
significherebbe tutelare lo strumento attraverso il quale si realizzano gli interessi dell’uomo, e in effetti nella
concezione tradizionale tendenzialmente si è sempre dato più spazio all’ambiente nel senso antropocentrico,
il tema è stato dibattuto in campo filosofico ed etico, ma anche in campo etico prima ancora che giuridico si
è affacciata una considerazione dell’ambiente di tipo eco-centrico, che afferma che “l’ambiente è un
interesse meritevole di tutela per sé”. Allora, al di là dei paradossi e degli estremismi che in campo di etica
hanno sviluppato l’idea eco-centrica, la novità della Legge 68/2015 è quella di aver affiancato ad una idea
antropocentrica dell’ambiente un’idea eco-centrica dell’ambiente, che trova nelle due fattispecie che
esamineremo uno spazio preponderante. Quindi possiamo affermare che il titolo sesto del libro secondo del
Codice penale vedono come proprio oggetto di tutela l’ambiente ecologico secondo una concezione eco-
centrica, e questo è particolarmente evidente nell’Art. 452-bis, qui infatti sono elencate tutte le componenti
biotiche e abiotiche dell’ecosistema, senza che ci sia un riferimento all’elemento umano legato
all’ecosistema. Dunque, la fattispecie vede al centro l’ambiente nella sua consistenza eco-centrica,
indipendentemente dagli elementi umani che sono coinvolti.
La seconda considerazione riguarda poi la condotta, compromissione o deterioramento (come evento
naturalistico cagionato all’ecosistema), di una delle componenti elencate. Queste due condotte appartengono
alla tradizione giuridico-penalistica e sono associate al danneggiamento, e il fatto così descritto, include
pienamente anche le aggressioni alle matrici di un ecosistema apportate attraverso l’uso di agenti fisici.
Come sempre accade di fronte a norme penali particolarmente innovative dal punto di vista culturale, gli
apparati istituzionali di repressione impiegano diverso tempo per metabolizzare la norma.

Abbiamo già anticipato che l’offesa al bene giuridico può realizzarsi in forme diverse, cioè sotto forma di
creazione di un pericolo ad un bene giuridico o come produzione di un danno inteso come lesione effettiva
del bene, questa distinzione è fondamentale perché ci porta a dire che nel nostro ordinamento abbiamo reati
di pericolo e reati di danno. Qui la scelta è stata quella di configurare un reato di danno, cioè non è
sufficiente l’esposizione al pericolo del bene ambiente ma è necessaria una lesione effettiva, ed è per questo
che si parla di evento naturalistico, cioè come risultato in termini causali di una determinata condotta.
Quando c’è un evento naturalistico nella fattispecie di reato tra la condotta e l’evento occorre dimostrare la
presenza di un nesso di causalità, che è l’elemento costitutivo del fatto ai sensi del Art.40, c.1, c.p., dunque
perché sussista il delitto di inquinamento ambientale è necessario questo accertamento che in tanti casi
richiede una prova non facile.
In cosa deve consistere un deterioramento di ecosistema? Potremmo ricorrere a un concetto “resilienza
ecologica”, cioè la capacità di un ecosistema di tornare in equilibrio dopo una perturbazione. Ecco che anche
per differenziare il campo di applicazione dell’Art. 452-bis e Art. 452-quater la compromissione della
resilienza ecologica di un ecosistema non deve essere irreversibile. Quindi l’evento naturalistico del 452-bis
è rappresentato da una perturbazione di un ecosistema reversibile cioè rispetto al quale la resilienza di quel
sistema non è compromessa in maniere definitiva, e quell’ecosistema è ancora capace di tornare in equilibrio.

 Art. 452-quater, che punisce il disastro ambientale --punito con una pena da 5-10 anni

Questa fattispecie si pone in un rapporto di scalarità crescente rispetto all’Art. 452-bis, perché è presente un
grado di offesa superiore, per lo meno rispetto a due delle tre condotte prese in considerazione nell’Art. 452-
bis. Quindi dal punto di vista della tutela dell’ecosistema in chiave eco-centrica, la fattispecie di disastro
ambientale prevede questa tutela rispetto alle aggressioni più gravi all’ambiente cioè quelle che
compromettano in maniera irreversibile l’ecosistema.
La terza ipotesi presa in considerazione dall’articolo arricchisce il profilo di offensività del fatto, perché
parla di offesa alla pubblica incolumità; dunque, è disastro ambientale oltre quello che produce uno
squilibrio definitivo anche la condotta che è capace di offendere un interessa umano legato alla salubrità
ambientale, che è quello dell’incolumità pubblica sotto il disastro sanitario. In questo caso la categoria che
entra in gioco è quella della pluri-offensività.
Per ogni fatto di reato si dovrebbe tutelare un bene di tutela, prima il legislatore e poi l’interprete nel
momento in cui applica la fattispecie, a volte però non basta individuare un solo bene oggetto di tutela,
perché ci si accorga che quella condotta è capace di offendere più beni giuridici (es. qui l’ambiente inteso in
senso eco-centrico, ma anche inteso in senso antropocentrico), in realtà questo è uno schema che a volte
ritroviamo anche in altri ambiti (es. delitto di calunnia). Questo molte volte indebolisce la funzione selettiva
del bene giuridico. Non è necessario che siano compromessi entrambi, perché costituiscono disastro
ambientale alternativamente, secondo la norma.

In virtù della regola generale dell’Art. 42 c.p., trattandosi di delitti il titolo soggettivo di imputazione è il
dolo. Ad estendere la portata soggettiva degli Art. 452-bis/ 452-quater, ci pensa l’art. 452-quinquies che ci
dice che questi fatti sono puniti sia quando sono commessi a titolo di dolo sia quando sono commessi a titolo
di colpa.

Un’altra rivoluzione è stata portata in materia di caporalato: è sempre esistito ed il fenomeno è noto. Si tratta
di chi intermedia la domanda di manodopera e l’offerta, manodopera, solitamente, di manovalanza, di basso
valore aggiunto, che, avviene in alcuni ambiti economici, per storia e tradizione. Ormai però è estesa ad
ambiti economici sempre più diversificati e, attraverso le forme di lavoro grigio, si può parlare anche di
caporalato, anche in attività di non più basso valore aggiunto. Ciò è un fenomeno antico ma che, attraverso la
formazione di una norma penale, viene disciplinato solo nel 2011. Dagli anni 90 e 2000, la legge Biagi, ha
appaltato, anche a soggetti privati, forme di mediazioni della manodopera e la punizione del caporalato è un
riflesso delle norme amministrative della gestione del lavoro. L’art. è il 603 bis che disciplina ciò.

Caporalato, Nuova fattispecie Art. 603-bis (2011), siamo nell’ambito dei delitti contro la persona.

Questa prima disciplina poi è stata migliorata dal punto di vista della portata nel 2016, quando l’articolo è
stato riscritto e ampliato nella sua portata. Già questa intitolazione ci segnala come i fatti descritti siano
molteplici; infatti, al comma 1 affianco alla punizione per chi “recluta manodopera allo scopo di destinarla
al lavoro presso terzi in condizioni di sfruttamento, approfittando dello stato di bisogno dei lavoratori” è
stata aggiunta un’altra condotta descritta dal comma 2 che vede come soggetto attivo (=autore della
condotta) non solo il caporalato, ma anche il datore di lavoro. Questa condotta è descritta prescindendo dal
fatto che la forza lavoro sia sfruttata in quanto reclutata attraverso il caporalato, in realtà queste sono due
condotte autonome. Dunque, per come è descritta la condotta dell’utilizzatore finale, il datore è punito anche
se questa manodopera non arriva da una prestazione illecita; quindi, anche se non è reclutata ad opera del
caporale:
“È punito chi utilizza, assume o impiega manodopera, anche mediante l'attività di intermediazione di cui al
numero, sottoponendo i lavoratori a condizioni di sfruttamento ed approfittando del loro stato di bisogno”.
(=quello nel quale versa qualunque lavoratore nel momento in cui deve accettare una determinata soluzione
lavorativa).

Quando il legislatore dice che c’è sfruttamento del lavoratore? (è necessaria una sola condizione):
 Retribuzione
 Tempi di lavoro (riferimento è la normativa che disciplina i tempi di lavoro dal punto di vista
dell’orario giornaliero, delle pause, delle ferie)
 Se il lavoro viene prestato in violazione delle norme in materia di sicurezza e igiene nei luoghi di
lavoro
 Forme di sorveglianza particolarmente degradanti

Dunque, siamo di fronte a un’altra fattispecie che è totalmente rimessa nella mani della giurisprudenza che
completa l’elaborazione e definisce qual è l’attività punibile.

Art. 603-bis.1. Circostanza attenuante: Per i delitti previsti dall'articolo 603-bis, la pena è diminuita da un
terzo a due terzi nei confronti di chi, nel rendere dichiarazioni su quanto a sua conoscenza, si adopera per
evitare che l'attività delittuosa sia portata a conseguenze ulteriori ovvero aiuta concretamente l'autorità di
polizia o l'autorità giudiziaria nella raccolta di prove decisive per l'individuazione o la cattura dei
concorrenti o per il sequestro delle somme o altre utilità trasferite. Nel caso di dichiarazioni false o reticenti
si applicano le disposizioni dell'articolo 16-septies del decreto-legge 15 gennaio 1991, n. 8, convertito, con
modificazioni, dalla legge 15 marzo 1991, n. 82. Non si applicano le disposizioni dell'articolo 600-septies.1

Art. 603-bis.2. Confisca obbligatoria: In caso di condanna o di applicazione della pena su richiesta delle
parti ai sensi dell'articolo 444 del codice di procedura penale per i delitti previsti dall'articolo 603-bis, è
sempre obbligatoria, salvi i diritti della persona offesa alle restituzioni e al risarcimento del danno, la
confisca delle cose che servirono o furono destinate a commettere il reato e delle cose che ne sono il prezzo,
il prodotto o il profitto, salvo che appartengano a persona estranea al reato. Ove essa non sia possibile è
disposta la confisca di beni di cui il reo ha la disponibilità, anche indirettamente o per interposta persona,
per un valore corrispondente al prodotto, prezzo o profitto del reato.

29.10.2021

La prevenzione speciale

Il soggetto è il reo, soggetto che ha commesso il reato. Lo scopo è rivolto ad evitare la recidiva. Essa può
essere positiva e negativa.

 Negativa: intende raggiungere lo scopo di evitare la recidiva attraverso la neutralizzazione del reo. Si
attua attraverso meccanismi di esclusione e a prevalere è l’esigenza della difesa sociale;
 Positiva: intende raggiungere lo scopo di evitare la recidiva attraverso la socializzazione.

Per quanto riguarda la prevenzione speciale negativa, ci sono delle norme che si ispirano a questa logica. La
logica del diritto penale del nemico si applica ad alcuni rei, autori di reato che suscitano particolare interesse,
tra cui mafiosi e terroristi. Ci sono anche appartenenti alle organizzazioni che non rinnegano la
partecipazione alle associazioni attraverso delle norme che gli vengono poste attraverso la collaborazione.

La legge di riferimento è quella penitenziaria: essa è una legge di sistema. L. 374/1995. Il diritto
penitenziario riguarda delle forme limitate della libertà e si applica attraverso il codice di procedura penale.
Ci sono tre ipotesi:

 La limitazione della possibilità di concedere i benefici penitenziari ad alcuni rei : la disciplina è


quella del 4 bis della legge penitenziaria. Questa concessione è ammessa solo rispetto agli autori di
queste categorie di reato che abbiano collaborato con la giustizia;

Art.4 bis—Divieto di concessione dei benefici e accertamento della pericolosità sociale dei condannati
per taluni delitti

 L’assegnazione al lavoro all’esterno, i permessi premio, e le misure alternative alla detenzione


previste dal capo VI della legge 26 luglio 1975, n. 354 possono essere concessi ai detenuti e
internati per delitti commessi avvalendosi delle condizioni previste dall’articolo 416-bis del codice
penale al fine di agevolare l’attività delle associazioni previste dallo stesso articolo nonché per i
delitti di cui agli articoli 416-bis e 630 del codice penale, 291-quater del testo unico approvato con
decreto del Presidente della Repubblica 23 gennaio 1973, n. 43, e all’articolo 74 del decreto del
Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, solo nei casi in cui tali detenuti e internati
collaborano con la giustizia a norma dell’articolo 58-ter. Quando si tratta di detenuti o internati
per uno dei predetti delitti, ai quali sia stata applicata una delle circostanze attenuanti previste
dagli articoli 62, numero 6, anche qualora il risarcimento del danno sia avvenuto dopo la sentenza
di condanna, o 114 del codice penale, ovvero la disposizione dell’articolo 116, secondo comma,
dello stesso codice, i benefici suddetti possono essere concessi anche se la collaborazione che viene
offerta risulti irrilevante purché siano stati acquisiti elementi tali da escludere in maniera certa
l’attualità dei collegamenti con la criminalità organizzata. Quando si tratta di detenuti o internati
per delitti commessi per finalità di terrorismo o di eversione dell’ordinamento costituzionale ovvero
di detenuti o internati per i delitti di cui agli articoli 575, 628, terzo comma, 629, secondo comma
del codice penale, 291-ter del testo unico approvato con decreto del Presidente della Repubblica 23
gennaio 1973, n. 43, 416 realizzato allo scopo di commettere delitti previsti dal libro II, titolo XII,
capo III, sezione I e dagli articoli 609-bis, 609-quater, 609-quinquies, 609-octies del codice penale
e all’articolo 73, limitatamente alle ipotesi aggravate ai sensi dell’articolo 80 comma 2, del
predetto testo unico approvato con decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, i
benefici suddetti possono essere concessi se non vi sono elementi tali da far ritenere la sussistenza
di collegamenti con la criminalità organizzata o eversiva.

 Ai fini della concessione dei benefici di cui al comma 1 il magistrato di sorveglianza o il tribunale di
sorveglianza decide acquisite informazioni per il tramite del comitato provinciale per l’ordine e la
sicurezza pubblica competente in relazione al luogo di detenzione del condannato. Il giudice decide
trascorsi trenta giorni dalla richiesta delle informazioni. Al comitato provinciale può essere
chiamato a partecipare il direttore dell’istituto penitenziario in cui il condannato è detenuto.

 Ai fini della concessione dei benefici di cui al comma 1, terzo periodo, il magistrato di sorveglianza
o il tribunale di sorveglianza decide acquisite informazioni dal questore. In ogni caso il giudice
decide trascorsi trenta giorni dalla richiesta delle informazioni.

 Quando il comitato ritiene che sussistano esigenze di sicurezza ovvero che i collegamenti
potrebbero essere mantenuti con organizzazioni operanti in ambiti non locali o extranazionali, ne
dà comunicazione al giudice e il termine di cui al comma 2 è prorogato di ulteriori trenta giorni al
fine di acquisire elementi ed informazioni da parte dei competenti organi centrali.

 L’assegnazione al lavoro all’esterno, i permessi premio e le misure alternative alla detenzione


previste dal capo VI, non possono essere concessi ai detenuti ed internati per delitti dolosi quando il
Procuratore nazionale antimafia o il procuratore distrettuale comunica, d’iniziativa o su
segnalazione del comitato provinciale per l’ordine e la sicurezza pubblica competente in relazione
al luogo di detenzione o internamento, l’attualità di collegamenti con la criminalità organizzata. In
tal caso si prescinde dalle procedure previste dai commi 2 e 3.

 Il carcere duro: il riferimento di partenza è quella dei mafiosi attraverso l’art. 41 bis

Art. 41-bis –Situazioni di emergenza

 In casi eccezionali di rivolta o di altre situazioni di emergenza, il Ministro della giustizia ha facoltà
di sospendere nell'istituto interessato o in parte di esso l'applicazione delle normali regole di
trattamento dei detenuti e degli internati. La sospensione deve essere motivata dalla necessità di
ripristinare l'ordine e la sicurezza e ha la durata necessaria al conseguimento del fine suddetto.
 Quando ricorrano motivi di ordine e di sicurezza pubblica, anche a richiesta del Ministro
dell'interno, il Ministro della giustizia ha la facoltà di sospendere, nei confronti dei detenuti o
internati per taluno dei delitti di cui al primo periodo del comma 1 dell'articolo 4-bis o per un
delitto che sia stato commesso avvalendosi delle condizioni o al fine di agevolare l’associazione di
tipo mafioso, in relazione ai quali vi siano elementi tali da far ritenere la sussistenza di collegamenti
con un'associazione criminale, terroristica o eversiva, l'applicazione delle regole di trattamento e
degli istituti previsti dalla presente legge che possano porsi in contrasto con le esigenze di ordine e
di sicurezza. La sospensione comporta le restrizioni per il soddisfacimento delle esigenze e per
impedire i collegamenti con l'associazione di cui al periodo precedente. In caso di unificazione di
pene concorrenti o di concorrenza di più titoli di custodia cautelare, la sospensione può essere
disposta quando sia stata espiata la parte di pena o di misura cautelare relativa ai delitti indicati
nell’ articolo 4-bis.
 Il provvedimento emesso ai sensi del comma 2 è adottato con decreto motivato del Ministro della
giustizia, anche su richiesta del Ministro dell’interno, sentito l’ufficio del pubblico ministero che
procede alle indagini preliminari ovvero quello presso il giudice procedente e acquisita ogni
informazione presso la Direzione nazionale antimafia e antiterrorismo, gli organi di polizia centrali
e quelli specializzati nell’azione di contrasto alla criminalità organizzata, terroristica o eversiva,
nell’ambito delle rispettive competenze. Il provvedimento medesimo ha durata pari a quattro anni
ed è prorogabile nelle stesse forme per successivi periodi, ciascuno pari a due anni. La proroga è
disposta quando risulta che la capacità di mantenere collegamenti con l’associazione criminale,
terroristica o eversiva non è venuta meno, tenuto conto del profilo criminale e della posizione
rivestita dal soggetto in seno all’associazione, della perdurante operatività del sodalizio criminale,
della sopravvenienza di nuove incriminazioni non valutate, degli esiti del trattamento penitenziario
e del tenore di vita dei familiari del sottoposto. Il mero decorso del tempo non costituisce elemento
per escludere la capacità di mantenere i collegamenti con l’associazione o dimostrare il venir meno
dell’operatività della stessa.
 Se prima della scadenza risultano venute meno le condizioni che hanno determinato l'adozione o la
proroga del provvedimento di cui al comma 2, il Ministro della giustizia procede alla revoca con
decreto motivato. Il provvedimento che non accoglie l'istanza presentata dal detenuto, dall'internato
o dal difensore è reclamabile ai sensi dei commi 2-quinquies e 2-sexies. In caso di mancata
adozione del provvedimento a seguito di istanza del detenuto, dell'internato o del difensore, la stessa
si intende non accolta decorsi trenta giorni dalla sua presentazione.
 I detenuti sottoposti al regime speciale di detenzione devono essere ristretti all’interno di istituti a
loro dedicati, collocati in aree insulari, ovvero all’interno di sezioni speciali e logisticamente
separate dal resto dell’istituto e custoditi da reparti specializzati della polizia penitenziaria. La
sospensione delle regole di trattamento e degli istituti di cui al comma 2 prevede:
a. l'adozione di misure di sicurezza interna ed esterna, con riguardo alla necessità di prevenire
contatti con l'organizzazione criminale di appartenenza o di attuale riferimento, contrasti con
elementi di organizzazioni contrapposte, interazione con altri detenuti o internati appartenenti alla
medesima organizzazione ovvero ad altre ad essa alleate; 
b. la determinazione dei colloqui nel numero di uno al mese da svolgersi ad intervalli di tempo
regolari ed in locali attrezzati in modo da impedire il passaggio di oggetti. Sono vietati i colloqui
con persone diverse dai familiari e conviventi. I colloqui vengono sottoposti a controllo auditivo ed
a registrazione, previa autorizzazione dell'autorità giudiziaria competente ai sensi del medesimo
secondo comma dell'articolo 11; solo per coloro che non effettuano colloqui può essere autorizzato
un colloquio telefonico mensile con i familiari e conviventi della durata massima di dieci minuti
sottoposto a registrazione. I colloqui sono videoregistrati. Le disposizioni della presente lettera non
si applicano ai colloqui con i difensori con i quali potrà effettuarsi, fino ad un massimo di tre volte
alla settimana, una telefonata o un colloquio della stessa durata di quelli previsti con i familiari;
c. la limitazione delle somme, dei beni e degli oggetti che possono essere ricevuti dall'esterno;
d. l'esclusione dalle rappresentanze dei detenuti e degli internati;
e. la sottoposizione a visto di censura della corrispondenza, salvo quella con i membri del Parlamento
o con autorità europee o nazionali aventi competenza in materia di giustizia; 
f. la limitazione della permanenza all'aperto, che non può svolgersi in gruppi superiori a quattro
persone, ad una durata non superiore a due ore al giorno fermo restando il limite minimo di cui al
primo comma dell'articolo 10. Saranno adottate le misure di sicurezza, attraverso accorgimenti di
natura logistica sui locali di detenzione, volte a garantire che sia assicurata l’impossibilità di
comunicare tra detenuti appartenenti a diversi gruppi di socialità, scambiare oggetti e cuocere cibi.
 Il detenuto o l’internato nei confronti del quale è stata disposta o prorogata l’applicazione del
regime di cui al comma 2, ovvero il difensore, possono proporre reclamo avverso il procedimento
applicativo. Il reclamo è presentato nel termine di venti giorni dalla comunicazione del
provvedimento e su di esso è competente a decidere il tribunale di sorveglianza di Roma. Il reclamo
non sospende l’esecuzione del provvedimento.
 Il tribunale, entro dieci giorni dal ricevimento del reclamo di cui al comma 2-quinquies, decide in
camera di consiglio, nelle forme previste dagli articoli 666 e 678 del codice di procedura penale,
sulla sussistenza dei presupposti per l’adozione del provvedimento. All’udienza le funzioni di
pubblico ministero possono essere svolte da un rappresentante dell’ufficio del procuratore della
Repubblica di cui al comma 2-bis o del procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo. Il
procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo, il procuratore di cui al comma 2-bis, il
procuratore generale presso la corte d’appello, il detenuto, l’internato o il difensore possono
proporre, entro dieci giorni dalla sua comunicazione, ricorso per cassazione avverso l’ordinanza
del tribunale per violazione di legge. Il ricorso non sospende l’esecuzione del provvedimento ed è
trasmesso senza ritardo alla Corte di cassazione. Se il reclamo viene accolto, il Ministro della
giustizia, ove intenda disporre un nuovo provvedimento ai sensi del comma 2, deve, tenendo conto
della decisione del tribunale di sorveglianza, evidenziare elementi nuovi o non valutati in sede di
reclamo.
 Per la partecipazione del detenuto o dell’internato all’udienza si applicano le disposizioni di cui
all’articolo 146-bis delle norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del codice di
procedura penale, di cui al decreto legislativo 28 luglio 1989, n. 271.

 L’ergastolo stativo: i soggetti beneficianti non possono beneficiare del fatto che non ci sia una pena
senza fine. La Corte costituzionale è intervenuta perché questa ipotesi comporta una frizione rispetto
all’art. 27, comma 3, Cost., che dice che le pene oltre che proiettarsi in una forma di reinserimento
non possono consistere in trattamenti non conformi all’umanità. La Corte ha emanato un’ordinanza
con una soluzione che si può trarre e cioè che la pena non deve essere disumana ma non lo ha fatto
perché la Corte sa che ciò è una questione che dovrebbe competere al legislatore. Il legislatore ha un
anno di tempo da maggio 2020 per emanare una sentenza che si scontra tra l’esigenza di
reinserimento e l’esigenza della difesa della società rispetto agli autori di reato che suscitano
particolare allarme.

Nel nostro ordinamento, la prospettiva di neutralizzazione del delinquente, come obiettivo


programmaticamente e progettualmente sotteso ad alcune ipotesi di disciplina, esiste.

La corte ha manifestato, in rispetto alle tre ipotesi, un’insofferenza che però non è mai arrivata al punto di
ipotizzare l’incostituzionalità ma si è pronunciata su determinate questione specifiche, come le madri
detenute o con sentenze riguardanti i procedimenti duri ma che alla fine riconosce, che anche chi si trova
rispetto secondo questo regime penitenziario, non può essere escluso dalla possibilità di accedere a quei
piccoli gesti di normalità quotidiana che sono irrinunciabili ai sensi dell’art. 27, comma 3, Cost.
La prevenzione speciale positiva è scritta nell’art. 27, comma 3, Cost. E’ una norma che andrebbe conosciuta
nel proprio contenuto in maniera precisa.

Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla
rieducazione del condannato.

Non esiste un’unica risposta al crimine e si sottolinea l’idea che la risposta all’ordinamento non debba essere
una sola. Ci sono altre risposte oltre il carcere. Il concetto di trattamento intende la punizione come un
trattamento medico volto a rimuovere le cause della commissione del reato. la rieducazione del condannato
non è un termine facile perché, pensare ad uno stato che rieduca, fa riferimento ai regimi totalitari: è una
forzatura etica che si scontra con la libertà dell’individuo che consiste nel rimanere quello che si è, il non
cambiare. Questa rieducazione viene accompagnata dal termine del reinserimento o della risocializzazione:
esse sono idee laiche e meno pretenziose che non pretende di raggiungere l’emenda del reo.

L’altra norma richiamata quando si pensa alla leva laica usata dallo stato per la risocializzazione è l’art. 3
Cost. che è la norma che sancisce il principio di uguaglianza formale e che impone un compito attivo allo
stato di agire sulle cause della disuguaglianza e lo strumento penale è uno strumento che deve essere usato
anche in questa chiave.

In cosa consiste il trattamento di rinserimento ce lo dice la legge penitenziaria. Si è passati dalla pena scritta
dal legislatore nella legge che ha funzioni legate, di regola, con riferimento ad una cornice edittale, perché fa
riferimento al concetto di individualizzazione che fa riferimento all’art. 13 della legge penitenziaria.

Art.13: Individualizzazione del trattamento: Il trattamento penitenziario deve rispondere ai bisogni della
personalità di ciascun soggetto. Nei confronti dei condannati e degli internati è predisposta l'osservazione
scientifica della personalità per rilevare le carenze fisiopsichiche e le altre cause del disadattamento
sociale. L'osservazione è compiuta all'inizio dell'esecuzione e proseguita nel corso di essa. Per ciascun
condannato e internato sono formulate indicazioni in merito al trattamento rieducativo da effettuare ed è
compilato il programma, che è integrato o modificato secondo le esigenze che si prospettano nel corso
dell'esecuzione. Le indicazioni generali e particolari del trattamento sono inserite nella cartella personale,
nella quale sono successivamente annotati gli sviluppi del trattamento pratico e i suoi risultati. Deve essere
favorita la collaborazione dei condannati e degli internati alle attività di osservazione e di trattamento.

Il sistema delle pene fisse ha un fondamento storico di tutto rispetto e che è una manifestazione dell’idea
illuministica della quale il cittadino indagato e imputato deve essere protetto rispetto all’arbitrio dello stato
leviatano (giudice). L’arbitrio non è illimitato. Tutto ciò era testimonianza che il giudice era limitato
nell’applicazione della scelta della pena, perché il giudice dovrebbe essere la bocca della giustizia. La
cornice edittale non può dare potere assoluto al giudice perché ci sono dei margini fissati per la pena.

Se non c’è riferimento alla durata della pena negli articoli, si fa riferimento al 133. L’articolo ha due poli,
uno costruito attorno al disvalore del fatto e uno costruito intorno alla figura soggettiva del reo. Si
individualizza la pena e la si ritaglia attorno all’autore del reato.

Art. 133 –Gravità del reato: valutazione agli effetti della pena: Nell'esercizio del potere discrezionale
indicato nell'articolo precedente, il giudice deve tener conto della gravità del reato, desunta:

1. dalla natura, dalla specie, dai mezzi, dall'oggetto, dal tempo, dal luogo e da ogni altra modalità
dell'azione;
2. dalla gravità del danno o del pericolo cagionato alla persona offesa dal reato;

3. dalla intensità del dolo o dal grado della colpa.

Il giudice deve tener conto, altresì, della capacità a delinquere del colpevole, desunta:

1. dai motivi a delinquere e dal carattere del reo;

2. dai precedenti penali e giudiziari e, in genere, dalla condotta e dalla vita del reo, antecedenti al
reato;

3. dalla condotta contemporanea o susseguente al reato;

4. dalle condizioni di vita individuale, famigliare e sociale del reo.

Nel primo polo, la misura del disvalore è riferita a due componenti del reato: oggettiva e soggettiva (il reato
è una forza fisica, è riscontrata da un terzo, e morale, legata alla riprovevolezza soggettiva del fatto, alla sua
colpevolezza, insieme).

La colpevolezza di quale si parla è la colpevolezza come elemento costitutivo del reato che rimanda al
disvalore perché una cosa è commettere un fatto con dolo o colpa, ma anche all’interno del dolo e della
colpa, esistono dei gravi di colpevolezza differenti. Il disvalore oggettivo deve essere adattato al reo.

All’interno della componente oggettiva si distingue tra disvalore di azione e disvalore di evento. Il primo
attiene alla condotta tenuta dal reo (tutte le circostanze che possono contraddistinguere il disvalore del
comportamento) mentre il secondo attiene al profilo dell’offesa che è costitutiva dell’idea di reato, in virtù
del principio di offensività. Si fa riferimento al danno o al pericolo perché l’offesa, come elemento
costitutivo del reato, può avere un contenuto variabile che va dal pericolo di offesa alla lesione effettiva. A
questa distinzione corrisponde una distinzione tra reati di eventi e reati di pericolo. Ciò produce una funzione
deterministica di valore e approfondire le cause del reato, quello che hanno spinto il reo a commettere reato,
per valutare la pena in proporzione al reato commesso. Il giudice deve tener conto della capacità a delinquere
del colpevole. Gli elementi indicati nell’articolo sono indici della propensione alla recidiva.
L’individualizzazione della pena inizia già in questa fase, per diventare l’elemento unico e decisivo che deve
guidare il percorso di trattamento penitenziario.

La norma spiega che, quando bisogna personalizzare il trattamento, è offerta l’opportunità ad una persona
per un fatto, sulle conseguenze prodotte per la vittima. Questo è uno dei pochi luoghi normativi che,
nell’assetto dato della nostra disciplina penologica, concede uno spazio ad una prospettiva riparativa della
punizione. La figura della vittima acquista, nella fase della pena, un ruolo decisivo.

Il sistema penitenziario concede degli strumenti per il percorso di reinserimento, tra cui il lavoro retribuito,
insieme a tutti gli altri strumenti che possono permettere di ottenere la risocializzazione del condannato:
istruzione, contatti con il mondo esterno, contatti con la famiglia, sport, eventi culturali e ricreativi.

I numeri che attengono alla verifica empirica dell’efficacia della prospettiva di prevenzione speciale positiva,
legata all’idea che se si parla di pena utile e non si pena assoluta, bisogna aver modo di misurare e verificare
l’utilità. Le due opzioni che sono tra di loro confliggenti sono quella della neutralizzazione e del
rinserimento, intorno alla quale si consuma anche il dibattito politico. Gli studi di verifica empirica su queste
due prospettive vengono condotti dagli economisti. Tra gli studi più recenti gli economisti si sono
concentrati intorno al Carcere di Bollate per essere un carcere che sperimenta esperienze di umanizzazione e
responsabilizzazione dei condannati. Facendo una misurazione sui numeri, questo studio afferma che le
esperienze di carcere aperto e responsabilizzante riducono la recidiva di 6/10 punti percentuale. Se il
legislatore deve fondarsi su dati scientifici e certi sull’efficacia del percorso di trattamento ha a disposizione
degli esperimenti che sono stati condotti in maniera serie.

Un altro fattore che è stato studiato perché capace di incidere sul dato della recidiva è quello che riguarda il
sovraffollamento. Bisogna ricordare una sentenza della Corte dei diritti dell’uomo che ha condannato l’Italia
per questo: è la sentenza Torreggiani. Nel 2013, si aveva nelle carceri italiane, più di 65mila detenuti. Al 28
febbraio 2021 ci sono 53mila detenuti. I dati sono presi da un rapporto che viene stilato da un’associazione
dedicata al mondo carcerario “associazione Antigone”. Gli omicidi sono in continua contrazione e nel 2020
sono 271. I suicidi in cella sono in aumento.

02.11.2021

La sospensione del processo commesso alla prova e la funzione riparativa.

Disciplina positiva dell’istituto:

Le norme che disciplinano sono gli articoli 168 bis e seguenti: che disegnano il campo di applicazione.
L’istituto opera rispetto a reati che suscitano scarso allarme sociale e sono individuati rispetto alla pena
edittale massimo che è quella di 4 anni. La norma fa riferimento anche ad altri reati che presentano una
cornice edittale più alta che sono quelli previsti nel cpp all’art. 550, comma 2, che sono reati per i quali è
previsto un rito semplificato: tra questi troviamo la ricettazione o il furto aggravato. Rispetto a questi reati,
l’imputato può chiedere di essere sottoposto a prova prima della sentenza di condanna. La richiesta di
sospensione del processo di messa alla prova deve essere accompagnata da una serie di condizioni:

 La prima è quella che l’imputato presti condotte di tipo riparatorio che sono identificate nella norma
con un’espressione ricorrente del codice “necessità che il condannato abbia eliminato le conseguenze
dannose o pericolose del reato” che alludono quindi al contenuto dell’offesa del reato medesimo;
 A queste condotte ripristinatorie si accompagna quella del risarcimento del danno: ci fa comprendere
come il profilo del risarcimento dell’offesa e del danno siano due profili convergenti ma differenti.
Queste attività dovranno accompagnarsi alla realizzazione di un programma che dovrà essere
effettuato dall’imputato sotto il controllo e l’affidamento del servizio sociale;
 Aver effettuato un’attività di lavoro di pubblica utilità che non viene retribuita ma svolta in favore
della collettività.

In presenza di queste attività, che devono essere verificate, il risultato che si produce ai sensi dell’art. 168-ter
è quello dell’estinzione del reato. l’art. 168-quater ci dice che la misura è revocata in una serie di ipotesi:

 Trasgressione al programma di trattamento concordato con l’ufficio dell’esecuzione penale esterna;


 Il rifiuto dello svolgimento della prestazione di lavoro di pubblica utilità;
 La commissione, nel periodo di prova, di un reato della stessa indole per il quale si procede.

La giustizia riparativa è l’ultima funzione della pena contemplata dal nostro ordinamento. Si tratta di
un’impostazione che nasce negli anni ’70 in Canada e negli USA e che progressivamente ha trovato spazio
da un punto di vista, anche teorico, negli ordinamenti europei. E’ impostata con riferimento ad una triade di
soggetti:
 Autore del reato;
 Vittima;
 Terzo soggetto che agisce come possibile facilitatore del superamento della ferita inflitta dal reato
che è menzionato come mediatore del conflitto.

Il profilo che si esalta per questa forma di giustizia è quello della riparazione del conflitto che si è prodotto
attraverso la commissione del reato tra autore del fatto e la sua vittima: è la figura della vittima che
diventa protagonista nella funzione della pena. E’ una vittima che riveste una posizione marginale. Il
problema del coinvolgimento della vittima riguarda il rischio che si producano degli effetti di
vittimizzazione secondaria. Il coinvolgimento di chi è stata vittima già una volta della condotta di reato
potrebbe produrre dei profili rilevanti, dal punto emotivo, che vanno considerati con estrema delicatezza. La
Corte Europa ha condannato l’Italia per questo problema della vittimizzazione.

Ci sono due strumenti internazionali che rappresentano un punto di partenza per la costruzione di un
processo di giustizia ripartiva completo:

 Direttiva dell’UE 29 del 2012: ha istituito norme minime in materia di diritti, assistenza e protezione
delle vittime di reato. Si cerca di indicare gli elementi strutturali di un procedimento di giustizia
riparativa e si dice che il procedimento deve essere quello che permette alla vittima e all’autore
di reato di partecipare alla risoluzione delle questioni risultanti dal reato.

Questo procedimento deve essere accompagnato da:

 La partecipazione attiva di vittima e autore deve avvenire liberamente;


 Che il tentativo di riparazione avvenga con l’ausilio di un terzo soggetto imparziale che è il
mediatore o il facilitatore del conflitto.

L’altro strumento internazionale che contiene gli elementi fondamentali per un procedimento di giustizia
riparativa è:

 Raccomandazione del 2018 del Consiglio d’Europa: la raccomandazione che è un


atto/provvedimento che si rivolge agli stati membri e che è finalizzato all’implementazione per
migliorare i diritti fondamentali delle persone. Tra queste raccomandazioni c’è quella del 2018
relativa alla giustizia riparativa in materia penale: contiene un’elencazione simile a quello della
direttiva UE del 2012 perché, anche qua, ci si riferisce ad un processo per risolvere le questioni che
derivino dall’illecito a seguito di un reato. Si prescrive che questi procedimenti richiedano una libera
adesione dei soggetti e c’è il riferimento all’aiuto di un soggetto terzo. La differenza tra le due
definizioni è che nella raccomandazione non si parla dell’autore del reato ma si parla del
responsabile del pregiudizio derivante dal reato ed è una formula più adeguata perché consente di
utilizzare questo schema riparativo anche in una fase precedente ad un’eventuale sentenza di
condanna che accetti la qualifica come autore di reato.

La prospettiva riparativa può essere valorizzata, nel nostro ordimento, anche con riferimento ad altre
fattispecie tra cui:

 Art. 133 c.p.: è uno dei luoghi che consente al giudice di valorizzare comportamenti di tipo ripartivo
per l’autore del reato per la commisurazione della pena;
 Art. 131-bis c.p.: riguarda un’altra ipotesi del 2015 allo scopo di deflazione il carico della giustizia
con riferimento alle ipotesi di reato che presentino uno scarso gravo di offensività;
 Disciplina penale di competenza del giudice di pace : serie di reati minori dove il giudice deve
conciliare vittima e autore;
 L’ordinamento penitenziario: con riferimento all’istituto di prova dell’affidamento sociale, l’art. 47,
comma 3 della legge penitenziaria, si dice che nel verbale delle prescrizioni da impartire al soggetto
affidato al servizio sociale che l’affidato si adoperi in favore della vittima del suo reato;
 Art. 13 comma 3 della legge penitenziaria: osservazione scientifica della personalità dei condannati
ai fini di un trattamento per i condannati: è compito degli educatori stimolare i detenuti per una
riparazione che vada oltre il risarcimento del danno.

Principio di legalità

E’ il più importante principio di garanzia della materia penale. Costituisce il cardine della magna carta
libertatum del delinquente di Liszt: è il luogo storico nel quale viene dato un riconoscimento al dovere di
legalità del reato e della pena. Nella dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino del 1789 si trova una
dichiarazione del principio di legalità, all’art. 8: “nessuno può essere punito se non in forza una legge
stabilita e promulgata anteriormente al delitto”. Questo principio poi diventa parte del codice napoleonico del
1810, art. 4, dove si ripete la stessa formula. Si ritrova anche nello statuto albertino del 1848, art. 26.

VEDI PAGINA 23

Le norme a cui bisogna far riferimento sono: PARAGRAFO 2.1.1. e 2.1.2

 L’art. 25 comma 2 Cost.: “Nessuno può essere distolto dal giudice naturale precostituito per legge.
Nessuno può essere punito se non in forza di una legge che sia entrata in vigore prima del fatto
commesso. Nessuno può essere sottoposto a misure di sicurezza se non nei casi previsti dalla
legge”. 

Art. 7 della CEDU: Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo: “nessuna pena senza legge”. Nulla poena
sine lege. Nessuno può essere condannato per una azione o una omissione che, al momento in cui è stata
commessa, non costituiva reato secondo il diritto interno o internazionale. Parimenti, non può essere inflitta
una pena più grave di quella applicabile al momento in cui il reato è stato commesso.

Questo principio si trova anche in norme di legge:

 Art. 1 c.p.: reati e pene: disposizione espressa di legge: nessuno può essere punito per un fatto che
non sia espressamente preveduto come reato dalla legge, né con pene che non siano da essa
stabilite.
 Art. 199 c.p.: sottoposizione a misure di sicurezza: disposizione espressa di legge: nessuno può
essere sottoposto a misure di sicurezza che non siano espressamente stabilite dalla legge e fuori dei
casi dalla legge stessa preveduti.
 Si trova anche nelle disposizioni che precedono il c.v.: art. 14: Atto costitutivo: Le associazioni e le
fondazioni devono essere costituite con atto pubblico. La fondazione può essere disposta anche con
testamento.
 Legge 689 del 1981: principio di legalità: Nessuno può essere assoggettato a sanzioni
amministrative se non in forza di una legge che sia entrata in vigore prima della commissione della
violazione. Le leggi che prevedono sanzioni amministrative si applicano soltanto nei casi e per i
tempi in esse considerati.
E’ un principio che si trova ripetuto e che quindi ha molta importanza perché ha valore costituzionale che
diventa un parametro di costituzionalità. Bisogna far riferimento ai sotto-principi di legalità: esso va
scomposto in:

 Principio di riserva di legge

 Principio di determinatezza

 Divieto di analogia:

 Il principio di irretroattività della legge penale

Il principio di legalità si vede nell’art. 101 Cost., che afferma che il giudice è soggetto solo alla legge. E’ una
norma del riflesso di legalità, è una norma cardine. Questa norma realizza il mito illuministico del giudice
bocca della legge e contribuisce a distinguere il nostro ordinamento dagli altri perché il precedente di altri
giudici non è da tenere in considerazione.

La giurisprudenza e il ruolo dei giurisprudenziali stanno cambiando perché hanno un ruolo sempre più
pesante. Si ha la necessità di fare una distinzione tra giurisprudenza di merito (primo e secondo grado di
giudizio dove i giudici si occupano del fatto di reato in consistenza storica e materiale, verificando,
attraverso i mezzi di prova, se quel fatto è stato commesso) e giurisprudenza di legittimità (terzo giudizio in
capo alla corte di cassazione che svolge la funzione di verificare che sia stata fatta una corretta applicazione
del diritto). Questa seconda giurisprudenza è detta di funzione nomofilattica: questa funzione non vincola i
giudici di merito (i primi). I giudici di legittimità si sono trovati a svolgere delle funzioni di supplenza
rispetto a quello che avrebbero dovuto fare in base al principio di determinatezza e ciò ha contributo a
rafforzare il valore del principio. Non è detto che ci sia un allineamento univoco tra le pronunce: all’interno
della stessa sezione o delle sezioni diverse ci possono essere dei conflitti e ciò indebolisce il potere dei
giudizi di merito. Ciò è rimesso alla Sezioni Unite: quando c’è un conflitto, in sede di giurisprudenza di
legittimità, si rimette la questione ad un collegio delle Sezioni Unite per dire una parola definitiva su un
principio di diritto. Questo ruolo di supplenza della corte di cassazione ha portato il legislatore ad introdurre
una modifica nel c.p.p. che ha dato un riconoscimento formale al valore del precedente espresso dalla
Sezioni Unite della corte di cassazione.

Si fa riferimento all’art. 618 c.p.p.: Decisioni delle sezioni unite: Se una sezione della corte rileva che la
questione di diritto sottoposta al suo esame ha dato luogo, o può dar luogo, a un contrasto
giurisprudenziale, su richiesta delle parti o di ufficio, può con ordinanza rimettere il ricorso alle sezioni
unite. Se una sezione della corte ritiene di non condividere il principio di diritto enunciato dalle sezioni
unite, rimette a queste ultime, con ordinanza, la decisione del ricorso. Il principio di diritto può essere
enunciato dalle sezioni unite, anche d’ufficio, quando il ricorso è dichiarato inammissibile per una causa
sopravvenuta.

E’ un meccanismo che attribuisce un vincolo di precedente: la legalità espressa dalla legge ma c’è anche una
legalità che è espressa dalla giurisprudenza che ha un suo riconoscimento esplicito. Il legislatore è stato
costretto, se pur in un contesto limitato e con un meccanismo sottile, ha cercato di dare un riconoscimento
per il precedente.

Una questione che attiene la legalità riguarda la funzione di orientamento della legge penale: la legge penale,
sulla quale si fonda il potere di punire, sia portata a conoscenza dei consociati. Per poter giudicare della
colpevolezza c’è la conoscibilità della legge penale. La pubblicazione delle leggi è un passaggio importante.

Art. 5 c.p.:
Si fa riferimento ad una legalità formale che ha una limitata possibilità di essere manipolati: ciò non è
scontato perché nelle epoche buie si è usato anche il dato sostanziale per misurare la legalità.

La riserva di legge significa che può essere contenuta solo nella materia penale: il riferimento è alle leggi
costituzionali, alle leggi ordinarie, ai decreti in tempo di guerra, ai decreti leggi e ai decreti legislativi. Gli
ultimi sono provvedimenti legislativi che sono il risultato di una collaborazione tra parlamento e governo,
che legifera con lo strumento legislativo. Il fondamento della riserva di legge è rappresentato dalla necessità
di vedere come protagonista il parlamento che può introdurre nuovi reati così come può eliminare reati. Al
parlamento è riconosciuto questo protagonismo perché egli rappresenta tutte le componenti della società
avendo un rapporto stretto. La scelta dell’incriminazione e della de-incriminazione è la scelta politica per
antonomasia.

08.10.2021

La riserva di legge

Le fonti sono:

 Le leggi costituzionali: scritte dal parlamento;


 Leggi ordinarie;
 Decreto-legge;
 Decreti legislativi: atti normativi del governo ma su delega del parlamento.

Le leggi regionali: le regioni hanno una potestà legislativa a tutto tondo (art. 117) ma, si specifica
che, la competenza esclusiva in materia di ordinamento penale non spetta alle regioni ma allo stato.
La consuetudine: è contemplata dalle fonti del diritto dalle preleggi. È un comportamento ripetuto
che genera nei cittadini che sia conforme al diritto. Gli usi e le consuetudini non possono
contribuire a formare la materia penale ma possono contribuire attraverso un richiamo espresso
dalla norma penale.

Le fonti sub-legislative cioè le norme che possono essere emanate dalla P.A. o dal governo non
possono contenere materia penale. Si è aperto un contributo in quanto queste norme possono
contribuire in materia penale e questo è un ruolo ammissibile purché il contributo si limiti ad un
apporto di tipo tecnico per dettagliare aspetti tecnici dell’incriminazione.

Il principio di riserva di legge è solo tendenzialmente assoluto perché è ammessa una partecipazione
della fonte secondaria nella materia penale.

Le norme penali in bianco o a precetto indeterminato: l’esempio che normalmente si fa è


relativo all’art. 650 c.p. che raffigura una contravvenzione: “in osservanza dei provvedimenti
dell’autorità: chiunque non osserva un provvedimento legalmente dato dall’autorità è punito”.

Le norme di questo tenore vanno interpretate così: il provvedimento dell’autorità amministrativa


può adoperare un ruolo a condizione che il provvedimento abbia un contenuto concreto ed
individuale.
Corte costituzione e riserva di legge in materia penale: la Corte costituzionale interviene in materia
penale oltre che con sentenze di accoglimento o rigetto con sentenze interpretative: accetta o
respinge la norma oppure dichiara costituzionalmente legittima la norma a condizione che venga
interpretata in un certo modo.

I vincoli sovranazionali: legge penale italiana e ordinamento comunitario. Con gli ultimi trattati,
come quello di Lisbona, la Comunità Europa è diventata UE. Sulla base dei trattati istitutivi
dell’ordinamento dell’UE, non è mai stata riconosciuta una competenza, alle istituzioni europee, in
materia penale perché i singoli stati membri che hanno fatto una cessione di razionalità non hanno
voluto rinunciare al nucleo della sovranità nazionale così come è stata delineata.

Partiamo cercando di ricostruire i rapporti tra legge penale italiana/ legge penale nazionale e
l’ordinamento comunitario.

Storicamente l’ordinamento europeo non ha mai avuto una competenza diretta in materia penale, questo
perché i singoli stati membri che hanno fatto una cessione di sovranità attraverso la ratifica dei trattati, non
hanno mai voluto rinunciare al nucleo forte della sovranità nazionale. I tre nuclei della sovranità nazionale
sono:

 Il potere di istituire un esercito

 Il potere di istituire tasse/imposte

 Il potere legislativo in materia penale, questa cessione non è mai avvenuta, mai nessuno degli stati
membri hanno ceduto questo potere alle istituzioni comunitarie, ma si è affermata nel tempo una
competenza mediata e indiretta con riferimento a due tipi di situazioni: da un lato, la tutela di
interessi che rientrano nella competenza dei trattati (istituzioni comunitarie), e dall’altro, con
riferimento ad una serie di comportamenti criminali che abbia una dimensione sovrannazionale e che
richiedono un intervento coordinato degli stati sovranazionali. Allora con riferimento a questi due
ambiti, cioè interessi propri dei trattiti e fenomeni di criminalità trans-nazionale, inizialmente le
istituzioni comunitarie hanno progressivamente imposto agli stati membri, in un primo momento
genericamente l’utilizzo di –“sanzioni efficaci, proporzionate, e dissuasive” per ottenere questo
risultato, progressivamente l’esercizio di questa potestà mediata è proprio arrivata ad imporre
espressamente il ricorso alle sanzioni penali, un esempio è la Direttiva n.99/2008 in materia penale
dell’ambiente, in cui si dice anche che gli stati membri dovranno inserire delle forme di punizione
delle persone ma anche degli enti, fino ad indicarne i limiti edittali. Nel 2007 (registrazione) si è in
maniera più chiara individuata la base normativa di questa competenza mediata, e troviamo questa
base testuale oggi nell’Art.83 del Trattato sul funzionamento dell’UE, qui da una parte troviamo
questo articolo che ha ribadito che gli interessi oggetto dei trattati può esercitato questo potere
mediato, dopo di che si specificano quelle materie che riguardano le criminalità trans-nazionali nelle
quali altresì può essere esercitato questo trattato in materia penale.

Art. 83 Trattato sul funzionamento dell’UE

1.   Il Parlamento europeo e il Consiglio, deliberando mediante direttive secondo la procedura legislativa ordinaria, possono stabilire norme minime
relative alla definizione dei reati e delle sanzioni in sfere di criminalità particolarmente grave che presentano una dimensione transnazionale derivante
dal carattere o dalle implicazioni di tali reati o da una particolare necessità di combatterli su basi comuni.
Dette sfere di criminalità sono le seguenti: terrorismo, tratta degli esseri umani e sfruttamento sessuale delle donne e dei minori, traffico illecito di
stupefacenti, traffico illecito di armi, riciclaggio di denaro, corruzione, contraffazione di mezzi di pagamento, criminalità informatica e criminalità
organizzata.
In funzione dell'evoluzione della criminalità, il Consiglio può adottare una decisione che individua altre sfere di criminalità che rispondono ai criteri
di cui al presente paragrafo. Esso delibera all'unanimità previa approvazione del Parlamento europeo.
2.   Allorché il ravvicinamento delle disposizioni legislative e regolamentari degli Stati membri in materia penale si rivela indispensabile per garantire
l'attuazione efficace di una politica dell'Unione in un settore che è stato oggetto di misure di armonizzazione, norme minime relative alla definizione
dei reati e delle sanzioni nel settore in questione possono essere stabilite tramite direttive. Tali direttive sono adottate secondo la stessa procedura
legislativa ordinaria o speciale utilizzata per l'adozione delle misure di armonizzazione in questione, fatto salvo l'articolo 76.
3.   Qualora un membro del Consiglio ritenga che un progetto di direttiva di cui al paragrafo 1 o 2 incida su aspetti fondamentali del proprio
ordinamento giuridico penale, può chiedere che il Consiglio europeo sia investito della questione. In tal caso la procedura legislativa ordinaria è
sospesa. Previa discussione e in caso di consenso, il Consiglio europeo, entro quattro mesi da tale sospensione, rinvia il progetto al Consiglio,
ponendo fine alla sospensione della procedura legislativa ordinaria.
Entro il medesimo termine, in caso di disaccordo, e se almeno nove Stati membri desiderano instaurare una cooperazione rafforzata sulla base del
progetto di direttiva in questione, essi ne informano il Parlamento europeo, il Consiglio e la Commissione. In tal caso l'autorizzazione a procedere alla
cooperazione rafforzata di cui all'articolo 20, paragrafo 2 del trattato sull'Unione europea e all'articolo 329, paragrafo 1 del presente trattato si
considera concessa e si applicano le disposizioni sulla cooperazione rafforzata.

Come concretamente si può uniformare la materia penale tra i diversi stati dell’UE?

Il modo più semplice sarebbe quello di formare un Codice panale Europe, è un po’ l’idea che si era esplorata
nei primi anni 2000. Concretamente la costituzione europea è stata respinta dal referendum francese e
olandese. La strada che invece è stata perseguita è quella o dell’assimilazione o dell’armonizzazione.

I. L’assimilazione: lo stato membro per tutelare uno degli interessi indicati all’art.83, estende
il campo di applicazione di una norma di reato già prevista nel proprio ordinamento, e un
esempio di questa tecnica la ritroviamo in materia di truffa, più esattamente nell’art. 640-bis
–Truffa aggrava per il conseguimento di lesioni pubbliche.

II. Armonizzazione: la possibilità di istituire nuove fattispecie penali in ossequio


all’imposizione da parte delle istituzioni comunitarie della tutela degli interessi dell’art. 83

Dobbiamo fare una distinzione tra le fonti applicative e fonti non auto applicative.

 Le fonti applicative sono i trattati e i regolamenti europei

 Le fonti non auto-applicative, sono le direttive che per definizione sono dirette agli stati membri e
richiedono poi un ulteriore passaggio legislativo da parte dei singoli ordinamenti nazionali.

Quindi questo potere mediato in materia penale è esercitato attraverso lo strumento della direttiva. Direttive
rivolte agli stati membri che hanno ad oggetto la creazione di fattispecie di reati. Nel rapporto tra
ordinamento interno e ordinamento comunitario bisogno tener conto del principio di preminenza del
diritto comunitario, cioè cosa succede nel caso in cui una norma penale interna confligga con il diritto
comunitario? Quale delle due norme deve cedere all’altra? Prevale la norma comunitaria. Questo principio è
stato elaborato dalla Corte europea di giustizia nel 1978, dalla sentenza n.170 del 1984.

Se questo contrasto riguarda una norma non auto-applicativa ( registrazione)

Bisogna tener conto del principio della preminenza dell’ordinamento comunitario: che succede nel caso in
cui una norma penale interna contrasti con il diritto comunitario?
È un principio di matrice giurisprudenziale fatto proprio dalla Corte costituzionale italiana del 1974. Il
principio del primato (chiamato anche «preminenza») del diritto dell’UE si basa sull’idea che ove insorga un
conflitto tra un aspetto del diritto dell’UE e un aspetto della legge di uno Stato membro (diritto nazionale), il
diritto dell’UE prevale. Se così non fosse, gli Stati membri potrebbero consentire al loro diritto nazionale di
avere la precedenza sul diritto primario o derivato dell’UE, e il perseguimento delle politiche dell’Unione
diverrebbe impraticabile. Questo conflitto cambia, a seconda, se ci troviamo di fronte ad una norma
applicativa o non applicativa.

Art. 10 Cost.

L'ordinamento giuridico italiano si conforma alle norme del diritto internazionale generalmente
riconosciute. La condizione giuridica dello straniero è regolata dalla legge in conformità delle norme e dei
trattati internazionali. Lo straniero, al quale sia impedito nel suo paese l'effettivo esercizio delle libertà
democratiche garantite dalla Costituzione italiana, ha diritto d'asilo nel territorio della Repubblica secondo
le condizioni stabilite dalla legge. Non è ammessa l'estradizione dello straniero per reati politici.

Art. 11 Cost.

L'Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di
risoluzione delle controversie internazionali; consente, in condizioni di parità con gli altri Stati,
alle limitazioni di sovranità necessarie ad uno ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le
Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo.

Art. 117 Cost.

La potestà legislativa è esercitata dallo Stato e dalle Regioni nel rispetto della Costituzione, nonché dei
vincoli derivanti dall'ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali. Lo Stato ha legislazione
esclusiva nelle seguenti materie:

a) politica estera e rapporti internazionali dello Stato;


rapporti dello Stato con l'Unione europea; diritto di asilo e condizione giuridica dei cittadini di
Stati non appartenenti all'Unione europea;

b) immigrazione;

c) rapporti tra la Repubblica e le confessioni religiose;

d) difesa e Forze armate; sicurezza dello Stato; armi, munizioni ed esplosivi;

e) moneta, tutela del risparmio e mercati finanziari; tutela della concorrenza; sistema valutario;
sistema tributario e contabile dello Stato; armonizzazione dei bilanci pubblici; perequazione delle
risorse finanziarie;

f) organi dello Stato e relative leggi elettorali; referendum statali; elezione del Parlamento europeo;

g) ordinamento e organizzazione amministrativa dello Stato e degli enti pubblici nazionali;


h) ordine pubblico e sicurezza, ad esclusione della polizia amministrativa locale;

i) cittadinanza, stato civile e anagrafi;

j) giurisdizione e norme processuali; ordinamento civile e penale; giustizia amministrativa;

k) determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono
essere garantiti su tutto il territorio nazionale;

l) norme generali sull'istruzione;

m) previdenza sociale;

n) legislazione elettorale, organi di governo e funzioni fondamentali di Comuni, Province e Città


metropolitane;

o) dogane, protezione dei confini nazionali e profilassi internazionale;

p) pesi, misure e determinazione del tempo; coordinamento informativo statistico e informatico dei dati
dell'amministrazione statale, regionale e locale; opere dell'ingegno;

q) tutela dell'ambiente, dell'ecosistema e dei beni culturali.

Sono materie di legislazione concorrente quelle relative a:

 rapporti internazionali e con l'Unione europea delle Regioni; commercio con l'estero; tutela e
sicurezza del lavoro; istruzione, salva l'autonomia delle istituzioni scolastiche e con esclusione della
istruzione e della formazione professionale; professioni;

 ricerca scientifica e tecnologica e sostegno all'innovazione per i settori produttivi; tutela della
salute; alimentazione; ordinamento sportivo; protezione civile; governo del territorio; porti e
aeroporti civili; grandi reti di trasporto e di navigazione;

 ordinamento della comunicazione; produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell'energia;


previdenza complementare e integrativa; coordinamento della finanza pubblica e del sistema
tributario; valorizzazione dei beni culturali e ambientali e promozione e organizzazione di attività
culturali; casse di risparmio, casse rurali, aziende di credito a carattere regionale; enti di credito
fondiario e agrario a carattere regionale. Nelle materie di legislazione concorrente spetta alle
Regioni la potestà legislativa, salvo che per la determinazione dei principi fondamentali, riservata
alla legislazione dello Stato.

 Spetta alle Regioni la potestà legislativa in riferimento ad ogni materia non espressamente riservata
alla legislazione dello Stato.

 Le Regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano, nelle materie di loro competenza,


partecipano alle decisioni dirette alla formazione degli atti normativi comunitari e provvedono
all'attuazione e all'esecuzione degli accordi internazionali e degli atti dell'Unione europea, nel
rispetto delle norme di procedura stabilite da legge dello Stato, che disciplina le modalità di
esercizio del potere sostitutivo in caso di inadempienza.
 La potestà regolamentare spetta allo Stato nelle materie di legislazione esclusiva, salva delega alle
Regioni. La potestà regolamentare spetta alle Regioni in ogni altra materia. I Comuni, le Province e
le Città metropolitane hanno potestà regolamentare in ordine alla disciplina dell'organizzazione e
dello svolgimento delle funzioni loro attribuite.

 Le leggi regionali rimuovono ogni ostacolo che impedisce la piena parità degli uomini e delle donne
nella vita sociale, culturale ed economica e promuovono la parità di accesso tra donne e uomini alle
cariche elettive.
La legge regionale ratifica le intese della Regione con altre Regioni per il migliore esercizio delle
proprie funzioni, anche con individuazione di organi comuni.

 Nelle materie di sua competenza la Regione può concludere accordi con Stati e intese con enti
territoriali interni ad altro Stato, nei casi e con le forme disciplinati da leggi dello Stato.

09.11.2021

Teoria dei contro-limiti: teoria elaborata dalla costituzione italiana ripresa negli anni ’70. Il diritto
comunitario non doveva mettere in discussione il nucleo forte dei principi costituzionali italiani e,
tra questi principi, è stato evocato il principio di legalità.

La prescrizione: qualsiasi istituzione umana è condizionata dal tempo. Il potere che è in capo allo
stato si perde: questo effetto prodotto nel tempo è legato alla capacità di tempo di creare e
distruggere le cose. Tende a prevalere l’idea che decorso un lasso di tempo da un reato debba
prevalere un diritto all’oblio, anche perché la pena applica ha una risultanza di tempo considerevole
e rischierebbe di non rispettare le sue funzioni: non è detto che l’esigenza di risocializzazione
sussista ancora.

Per poter verificare tutto questo aspetto che il tempo produce occorre risolvere una questione che è
quella della datazione del reato: la legge penale indica dei criteri.

L’art. 158 c.p. –decorrenza del termine della prescrizione.


Il termine della prescrizione decorre, per il reato consumato, dal giorno della consumazione; per il
reato tentato, dal giorno in cui è cessata l'attività del colpevole; per il reato permanente o
continuato, dal giorno in cui è cessata la permanenza o la continuazione.
Quando la legge fa dipendere la punibilità del reato dal verificarsi di una condizione, il termine
della prescrizione decorre dal giorno in cui la condizione si è verificata. Nondimeno, nei reati
punibili a querela, istanza o richiesta, il termine della prescrizione decorre dal giorno del
commesso reato.
Per i reati previsti dall’articolo 392, comma 1-bis, del codice di procedura penale, se commessi nei
confronti di minore, il termine della prescrizione decorre dal compimento del diciottesimo anno di
età della persona offesa, salvo che l’azione penale sia stata esercitata precedentemente. In
quest’ultimo caso il termine di prescrizione decorre dall’acquisizione della notizia di reato.

La consumazione serve per due ragioni:

 Capire da quando decorre il tempo di estensione del reato;


 Reato consumato e tentato.

Il principio di materialità impone, al legislatore, solo di punire dei fatti che abbia rilevanza. Il
diritto penale punisce il fatto commesso. Tra la soglia minima di materialità e la consumazione
bisogna collocare l’istituto del tentativo come forma di anticipazione della punizione volta ad
assicurare una protezione rafforzata. La possibilità di anticipare la punizione rispetto alla
consumazione è data rispetto ai delitti. Il momento nel quale si ha questa soglia della punibilità di
comportamento rispetto alla consumazione è un indice del carattere di fondo dell’ordinamento. Un
reato è consumato quando tutti gli elementi che lo costituiscono sono venuti ad esistenza.

Dal momento della consumazione decorre un termine che dipende dalla gravità del reato e quindi
dai limiti edittali previsti per ogni singolo reato.

La prescrizione estingue il reato decorso il tempo corrispondente al massimo della pena


edittale stabilita dalla legge e comunque un tempo non inferiore a sei anni se si tratta di delitto e a
quattro anni se si tratta di contravvenzione, ancorché puniti con la sola pena pecuniaria.

La sospensione della prescrizione (159 c.p.) e l’interruzione della prescrizione (160 c.p.).
Aumentano ulteriormente il tempo di prescrizione ma con un limite massimo. La sospensione della
prescrizione è correlata allo svolgimento di alcune attività processuali ai quali il reato risulta
sospeso: è una sorta di parentesi che non fa decorrere il tempo della prescrizione. L’interruzione
della prescrizione è relativa al compimento di alcuni atti processuali: il termine di prescrizione si
azzera e riprende da quando ricomincia la prescrizione. Fino alla riforma del 2019 l’attività che
doveva essere compiuta, entro il lasso di tempo della prescrizione, era la definizione del giudizio
con una sentenza. Con la sentenza di primo grado, la riforma del 2019, il termine di prescrizione si
sospende fino alla sentenza definitiva di condanna, cioè, il reato non si prescrive mai.

A questa prospettiva a posto rimedio la legge Cartabia: legge n. 134 del 27 settembre 2021.

È formata da due articoli:

 La delega che il parlamento dà al governo per intervenire su una serie di istituti del diritto
sostanziale e processuale che darà mandato di creare un sistema di giustizia ripativa;
 Cerca di evitare la prospettiva dell’ergastolo processuale ma crea un compromesso cercando
di arrivare ad una soluzione che è stata quella di ricorrere ad un sistema binario in parte di
diritto sostanziale e in parte di diritto processuale. Lo sdoppiamento si applica alla pena, agli
istituti sostanziali che incidono sulla penabilità del fatto, inclusa la prescrizione che è un
istituto di diritto sostanziale.

Art. 344-bis –Improcedibilità per superamento dei termini di durata massima del giudizio di
impugnazione

1. La mancata definizione del giudizio di appello entro il termine di due anni costituisce causa di
improcedibilità dell’azione penale.
2. La mancata definizione del giudizio di cassazione entro il termine di un anno costituisce
causa di improcedibilità dell’azione penale.
3. I termini di cui ai commi 1 e 2 del presente articolo decorrono dal novantesimo giorno
successivo alla scadenza del termine previsto dall’articolo 544, come eventualmente prorogato
ai sensi dell’articolo 154 delle norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del
presente codice, per il deposito della motivazione della sentenza.
4. Quando il giudizio di impugnazione è particolarmente complesso, in ragione del numero
delle parti o delle imputazioni o del numero o della complessità delle questioni di fatto o di
diritto da trattare, i termini di cui ai commi 1 e 2 sono prorogati, con ordinanza motivata del
giudice che procede, per un periodo non superiore a un anno nel giudizio di appello e a sei
mesi nel giudizio di cassazione. Ulteriori proroghe possono essere disposte, per le ragioni e
per la durata indicate nel periodo precedente, quando si procede per i delitti commessi per
finalità di terrorismo o di eversione dell’ordinamento costituzionale per i quali la legge
stabilisce la pena della reclusione non inferiore nel minimo a cinque anni o nel massimo a
dieci anni, per i delitti di cui agli articoli 270, terzo comma, 306, secondo comma, 416-bis,
416-ter, 609-bis, nelle ipotesi aggravate di cui all’articolo 609-ter, 609-quater e 609-octies del
codice penale, nonché per i delitti aggravati ai sensi dell’articolo 416-bis.1, primo comma, del
codice penale e per il delitto di cui all’articolo 74 del testo unico delle leggi in materia di
disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei
relativi stati di tossicodipendenza, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre
1990, n. 309. Nondimeno, quando si procede per i delitti aggravati ai sensi dell’articolo 416-
bis.1, primo comma, del Codice penale, i periodi di proroga non possono superare
complessivamente tre anni nel giudizio di appello e un anno e sei mesi nel giudizio di
cassazione.
5. Contro l’ordinanza che dispone la proroga del termine previsto dal comma 1, l’imputato e il
suo difensore possono proporre ricorso per cassazione, a pena di inammissibilità, entro cinque
giorni dalla lettura dell’ordinanza o, in mancanza, dalla sua notificazione. Il ricorso non ha
effetto sospensivo. La Corte di cassazione decide entro trenta giorni dalla ricezione degli atti
osservando le forme previste dall’articolo 611. Quando la Corte di cassazione rigetta o
dichiara inammissibile il ricorso, la questione non può essere riproposta con l’impugnazione
della sentenza.
6. I termini di cui ai commi 1 e 2 sono sospesi, con effetto per tutti gli imputati nei cui confronti
si sta procedendo, nei casi previsti dall’articolo 159, primo comma, del Codice penale e, nel
giudizio di appello, anche per il tempo occorrente per la rinnovazione dell’istruzione
dibattimentale. In caso di sospensione per la rinnovazione dell’istruzione dibattimentale, il
periodo di sospensione tra un’udienza e quella successiva non può comunque eccedere
sessanta giorni. Quando è necessario procedere a nuove ricerche dell’imputato, ai sensi
dell’articolo 159 del presente codice, per la notificazione del decreto di citazione per il
giudizio di appello o degli avvisi di cui all’articolo 613, comma 4, i termini di cui ai commi 1 e
2 del presente articolo sono altresì sospesi, con effetto per tutti gli imputati nei cui confronti si
sta procedendo, tra la data in cui l’autorità giudiziaria dispone le nuove ricerche e la data in
cui la notificazione è effettuata.
7. La declaratoria di improcedibilità non ha luogo quando l’imputato chiede la prosecuzione
del processo.
8. Fermo restando quanto previsto dall’articolo 624, le disposizioni di cui ai commi 1, 4, 5, 6 e
7 del presente articolo si applicano anche nel giudizio conseguente all’annullamento della
sentenza con rinvio al giudice competente per l’appello. In questo caso, il termine di durata
massima del processo decorre dal novantesimo giorno successivo alla scadenza del termine
previsto dall’articolo 617.
9. Le disposizioni del presente articolo non si applicano nei procedimenti per i delitti puniti
con l’ergastolo, anche come effetto dell’applicazione di circostanze aggravanti.

15. 11.2021

Revisione del processo già chiuso  C.E.D.U.

Quindi da una parte abbiamo norme che fungono da parametro, dall’altro l’obbligo di
interpretazione conforme (un cenno è stato fatto quando abbiamo parlato del rapporto tra
costituzione e giurisprudenza, perché la costituzione non è solo il parametro che deve essere
utilizzato per la legittimità delle norme, ma deve essere osservato anche dal giudice, che deve
propendere a quella vicina alla norma costituzionale. Così lo stesso schema vale per la CEDU: il
giudice nazionale ha due opzioni applicative, e deve prescegliere quella più vicina alla
giurisprudenza che si è formata in seno alla Corte di Strasburgo). Una testimonianza è quella
dell’ergastolo ostativo, quindi tutta la vicenda in realtà prende le mosse da una sente della
Corte Europea dei diritti dell’uomo.

Un altro profilo di contaminazione tra giurisprudenza e le corti, si ha in materia penale, questi


principi di garanzia (principio di legalità, dell’art. 3, etc.) valgono con riferimento ad un concetto
più tosto fluido che è quello di materia penale: la Corte di Strasburgo che ha giurisdizione sul
rispetto da parte degli Stati membri (47 ordinamenti, quasi tutti di common law) ha a che fare con
caratteristiche estremamente disomogenee, quindi ha dovuto affinare dei concetti in grado di valere
tra stati con valori diversi, proprio attraverso l’individuazione della base di applicazione dei
principi di garanzia, che non valgono semplicemente per ciò che i diversi stati chiamano penale,
perché se venisse osservato un principio esteriore formalistico, sarebbe possibile etichettare per i
diversi legislatori tale garanzia. Dunque, poiché questo ovviamente va impedito, così la CEDU ha
creato una base sostanziale dei principi di garanzia in materia penale.

Ciò è avvenuto per la prima volta con una sentenza del 1976—Sentenza Enghel, il caso ero quello
di Enghel contro i Paesi Bassi, bene in questa sentenza la CEDU ha elaborato questi criteri che ci
permettono di individuare cosa deve intendersi per materia penale ai sensi della CEDU

I. Criterio della qualificazione formale (cioè come ha chiamato quella norma il singolo
stato nazionale, es. penale, allora si applicano i principi della CEDU in materia penale).
II. Criterio etico sostanziale/ non formale –Criterio della gravità del fatto (il fatto per il
quale lo stato ha prestato una sanzione è grave in termini di importanza degli interessi
tutelati? Se sì, questo è il primo indice sostanziale, che porta all’ipotesi di materia penale
alla quale è applicabile il principio di garanzia della CEDU)
III. Criterio etico sostanziale- non formale –Criterio che attiene alla funzione delle
sanzioni (Qual è la funzione che quella sanzione svolge in quell’ordinamento? Noi
sappiamo che in base alla funzione della sanzione possiamo individuare sanzioni
punitive e sanzioni ripristinatorio—civilistiche).

Questi principi non sono cumulativi e non occorre che siano soddisfatti tutti e tre.
Un caso famoso nel quale la Corte ha fatto applicazione di questi criteri con riguardo a un
particolare assetto disciplinare dell’Ordinamento Italiano è il caso Grande Stevens & altri contro
Italia (avvocato Agnelli che insieme ad altri era stato condannato per altre fatti specie di reato per
manipolazione di mercato). L’altro modo di tenere un vantaggio nell’ambito delle speculazioni è
quello di abusare di informazioni privilegiate. Nel nostro ordinamento il legislatore non si è limitato
a punire con norme espressamente penali di questi fatti, ma a queste ipotesi di reato ha aggiunto
delle sanzioni punitive amministrative pecuniarie che sono applicate dalla CONSOV. Questo vuol
dire che nell’ordinamento è possibile per uno stesso fatto applicare due sanzioni: una penale e una
amministrativa. Ora questo assetto disciplinare dell’ordinamento italiano viola il nebis inidem
sostanziale –noi troviamo il riconoscimento di questo principio all’Art.4 del settimo protocollo
addizionale alla CEDU. Va detto che la CEDU è formata dalla Convenzione vera e propria, e da
una serie di protocolli addizionali che ampliato il novero dei principi di garanzia in materia penale,
noi ad esempio troviamo la tutela del principio del diritto di proprietà (primo protocollo addizionale
dell’Art.1—che sancisce in maniera più intensa rispetto all’ordinamento italiano, e qui si è formata
tutta una giurisprudenza di confisca amministrativa).

L’art. 4 del settimo protocollo addizionale è intitolato:

Diritto a non essere giudicato o punito due volte

“Nessuno può essere perseguito o condannato penalmente dalla giurisdizione dello stesso Stato per un reato
per il quale è già stato assolto o condannato a seguito di una sentenza definitiva conformemente alla legge
ed alla procedura penale di tale Stato.”

Dunque, in questa sentenza, al di là dell’etichetta utilizzata dal legislatore italiano nella sostanza
l’assetto disciplinare viola il principio di nebis inidem sostanziale perché le sanzioni irrogate dalla
CEDU sono riconducibili alla materia penale. Un’altra testimonianza del ruolo che la CEDU svolge
è quella che parte dalla Vicenda Contrada, condannato per concorso esterno in associazione
mafiosa. Contrada si è rivolto alla CEDU che gli ha dato ragione. (I reati associativi sono
plurisogettivi necessari, cioè perché siano integrate queste fattispecie è necessario che ci siano più
soggetti perché si possa configurare un’associazione, allora il problema di concorso di persone reato
disciplina la fattispecie plurisoggettiva eventuale, cioè abbiamo un reato che può essere consumato
da un solo soggetto ma può essere realizzato anche da più soggetti, quindi è un’eventualità e non
una necessità. Quindi abbiamo fattispecie plurisoggettive eventuali e necessarie: il problema è, sono
compatibili tra di loro questi due schemi? È configurabile un concorso di persone rispetto ad una
fattispecie plurisoggettiva necessaria? Si può essere concorrenti in un reato di associazione senza
essere associati? La giurisprudenza, fin dall’ottobre del 1994—con le sezioni unite Dimitri –ha
fissato questo principio di diritto cioè che si può concorre in una fattispecie plurisoggettiva
necessaria senza essere associati, è il così detto concorso esterno (es. senza essere associato possa
dare un contributo all’esterno, attraverso informazioni, soffiate, etc.)

Ora i fatti storici per i quali Contrada era andato a processo erano fatti che si erano storicamente
verificati prima del 1994, quando questo principio di diritto non si era ancora consolidato. Quindi il
principio espresso nel Processo Contrada da parte della CEDU è il seguente: ha detto che il
principio di legalità non si applica solo alla legge ma anche agli orientamenti giurisprudenziali
come se fosse una legge. Dopo il 2015, tutti quelli che avevano subito una condanna per fatti
commessi prima del 1994 hanno fatto tutti ricorso e questo ha costretto le sezioni unite italiane a
pronunciarsi sul punto, e lo hanno fatto con la Sentenza n. 5844 del 3 marzo 2020.

I soggetti condannati per concorso ad associazione mafiosa, non possono avvalersi della Sentenza Contrada
CEDU del 2015, poiché tale pronuncia non appare suscettibile di produrre effetti erga omnes.
È pendente di fronte alla CEDU un altro ricorso che il Ricorso dell’UTRI. Per il momento la Corte di
Cassazione ha provveduto a congelare questa portata rivoluzionaria della sentenza del 2015 della CEDU. Tra
le righe che si possono ritrovare nelle motivazioni, c’è quella secondo cui il concorso esterno non sarebbe un
problema di tipo giurisprudenziale.

PRINCIPIO DI IRRETROATTIVITA’
La legge non dispone per l’avvenire, tendenzialmente la legge dispone solo per il futuro, ma solo per la
materia penale questo principio è costituzionalizzato dall’Art.25 secondo comma Cost. e in maniera ancora
più rafforzata dall’Art.7 CEDU. A questo proposito ricordiamo quanto troviamo scritto nel terzo comma
dell’Art. 25 a proposito delle MISURE DI SICUREZZA: “nessuno può essere sottoposto..” vale il
principio di legalità, ma non vale la copertura del principio di irretroattività, e questo è un problema proprio
per quella questione delle pene nascoste o della truffa delle etichette, perché posso chiamare misura di
sicurezza una pena e quindi realizzare questa truffa delle etichette.
La normativa ordinaria di dettaglio, la ritroviamo per le pene nell’Art. 2 c.p. per le misure di sicurezza,
nell’Art. 200 c.p. Mentre l’art. 2 conferma il principio di irretroattività della legge penale, l’Art. 200 “le
misure di sicurezza sono tutelate dalla legge in vigore della loro applicazione” che è un principio opposto a
quello dell’irretroattività.
Principio Tempus regim actum, è quello che troviamo nell’Art.200, quindi se cambia la legge
successivamente al fatto si applica la diversa legge in vigore.

Art. 2 c.p.

Fa riferimento all’ipotesi nella quale l’ordinamento introduce un nuovo reato, che ampia lo spettro di tutela
di un determinato bene giuridico. Possiamo fare tanti esempi di nuove incriminazioni prendiamo per esempio
le nuove forme di stolking (nel 2009 è stato aggiunto l’art. 612-bis per gli atti persecutori) un'altra ipotesi è
quella delle interferenze illecite nella vita privata (art. 615-bis) che estende la violazione del domicilio, ora
queste sono nuove incriminazioni, così l’art. 2 primo comma si applica alle ipotesi di nuova incriminazione,
e queste ipotesi non possono essere applicate irretroattivamente. Questa è la vera irretroattività della norma
penale sfavorevole. I commi successivi (in particolare 2,3,4) dell’Art. 2 hanno invece riguardo al principio
opposto cioè quello di applicazione irretroattiva della norma più favorevole. Prima di esaminare questi altri
commi bisogna fare un cenno alle misure di sicurezza e delle norme processuali dettate in materia di
esecuzione della pena per i quali vale il principio del tempus regim actum. La dottrina ha proposto
interpretazioni più conformi paventando la possibile truffa delle etichette, si tende a dire che anche per le
misure di sicurezza debba valere in realtà il principio di irretroattività della norma di sfavore nel momento in
cui le modalità esteriori della misura non attengono. Il principio è quindi vissuto in maniera problematica
perché può offrire la possibilità al legislatore di nascondere delle pene. Ma lo stesso problema si pone per le
norme penitenziarie e qui abbiamo una sentenza recente della CEDU n.32 del 2020 che ci conferma come
questo disagio esista nelle alte Corti. Qual è il caso? Quello dell’Art. 4-bis dell’ordinamento penitenziario,
che preclude benefici carcerari in caso di condanne a soggetti non collaboranti. Ora nel 2019 sono state
aggiunte alcune fattispecie di reati a queste condotte (es. legge spazza corrotti), questo rispetto al principio
del tempus regim actum è perfetto, dal punto di vista sostanziale no, e questo l’ha confermato la CEDU
sottolineando che dobbiamo far prevale sul profilo formale quello sostanziale, e qui la novità è il cambio
della pena e questo è contrario all’art. 25 secondo comma Cost. e all’art. 7 della Corte di Strasburgo.

PRINCIPIO DI IRRETROATTIVITA’ DELLA NORMA PIU’ FAVOREVOLE


Si hanno tre ipotesi diverse dell’irretroattività della norma più favorevole, ma tutte e tre corrispondono ad un
principio, qui non è tanto l’art. 25 comma 2 Cost. che deve essere invocato, quanto all’Art. 3 Cost. (principio
di uguaglianza)

22.11.2021
Determinatezza e divieto di analogia: sono gli altri due corollari del principio di legalità. Sono
due concetti complementari. L’interpretazione della legge penale ha come indicazione
l’interpretazione della legge generale dove, l’interprete, guarda al significato linguistico dei termini
utilizzati e si fa riferimento all’art. 12 delle preleggi. Questo criterio è completato da altri criteri
ermeneutici come il criterio teleologico, l’obbligo di interpretazione conforme.

Il principio di determinatezza: la norma deve essere determinata, precisa e tassativa. Non è riferita
solo alla descrizione del reato ma riguarda anche la realtà fenomenica che la norma incriminatrice
pretende di disciplinare. La Corte costituzionale ha legittimato le prassi interpretative che devono
avere un significato per le fattispecie incriminatrici. Il principio non esclude il potere creativo della
giurisprudenza. Si rilancia il ruolo dell’interpretazione della legge penale che può avere anche un
ruolo estensivo, che rimane nei criteri utilizzati in precedenza.

Oltre il limite dell’interpretazione estensiva si entra nel campo dell’analogia che è vietata in
materia penale e ciò si afferma con l’art. 25 comma 2 Cost. e l’art. 14 delle preleggi. L’analogia va
oltre il confine di applicazione dei termini. Se ci sono dei vuoti di tutela vanno mantenuti perché
l’interprete non è legittimato a riempirli. L’analogia è sempre vietata quando è in malam partem ed
è consentita quando è in bonam partem, andando ad aumentare gli spazi di libertà.

Art. 384 c.p.: casi di non punibilità.

Nei casi previsti dagli articoli 361, 362, 363, 364, 365, 366, 369, 371-bis, 371-ter, 372, 373, 374 e
378, non è punibile chi ha commesso il fatto per esservi stato costretto dalla necessità di salvare sé
medesimo o un prossimo congiunto da un grave e inevitabile nocumento nella libertà o nell'onore.
Nei casi previsti dagli articoli 371-bis, 371-ter, 372 e 373, la punibilità è esclusa se il fatto è
commesso da chi per legge non avrebbe dovuto essere richiesto di fornire informazioni ai fini delle
indagini o assunto come testimonio, perito, consulente tecnico o interprete ovvero non avrebbe
potuto essere obbligato a deporre o comunque a rispondere o avrebbe dovuto essere avvertito della
facoltà di astenersi dal rendere informazioni, testimonianza, perizia, consulenza o interpretazione.

La teoria generale del reato

La dottrina analizza il reato attraverso dei modelli che consentono di sistematizzarne gli elementi
costitutivi entro determinate categorie giuridiche. La teoria del reato rappresenta un approccio
logico al reato che si ottiene estrapolando dai singoli reati di parte speciale tutti gli elementi
che accomunano le diverse fattispecie riconoscendo l’esistenza di istituti generali del diritto
penale. Questo processo inizia nell’500. Questi istituti della parte generale si trovano nel libro I del
c.p. e, in ragione dell’art. 16 c.p., questi istituti valgono per tutte le fattispecie contemplate
nell’ordinamento. La teoria è uno schema di analisi di tipo logico che consente di assegnare
razionalità nell’ordinamento penalistico per salvaguardare il principio di non continuazione. Gli
schemi che sono stati utilizzati per fare questo studio sono stati molti. Lo schema della bipartizione
è stato affinato e, lo schema che è utilizzato oggi è quello della tripartizione che è dove il reato è
scomposto in 3 elementi costitutivi fondamentali che sono:

- Fatto: indica l’insieme degli elementi oggetti dai quali si assume l’offesa al bene giuridico
che la norma incriminatrice tutela;
- L’antigiuridicità: include le cause di giustificazione ossia quelle situazioni in presenza
delle quali un fatto tipico è imposto o autorizzato da un’altra norma. Il fatto tipico è
antigiuridico se è realizzato in assenza di cause di giustificazione chiamate scriminanti o
esimenti. Le cause di giustificazione sono rette dal principio del bilanciamento degli
interessi: l’interesse offeso dal fatto tipico e l’interesse della persona offesa a difendere un
bene messo in pericolo dalla condotta aggressiva;
- La colpevolezza: per rispondere di un reato non è sufficiente aver realizzato un fatto tipico
in assenza di cause di giustificazione ma è necessaria anche una componente soggettiva. La
colpevolezza è rimproverabilità soggettiva.

E’ uno schema gradualista: ogni elemento rappresenta una sorta di scalino che deve essere
accertato. I primi due scalini rappresentano la parte oggettiva del reato e cioè quella parte del reato
che viene accertata secondo il merito di un osservatore terzo: non si guarda al punto di osservazione
della gente e quindi di colui che ha commesso il fatto ma attraverso occhi diversi da colui che ha
commesso il fatto. Si deve seguire una prospettiva per ricostruire atti del passato attraverso questi
criteri. La prospettiva da usare nella colpevolezza è quella di guardare con gli occhi di chi ha
commesso. E’ una teoria gradualista.

La punibilità è una categoria che raccoglie ragioni esterne al reato e sono legate all’opportunità
pratica del punire.

Nel reato bisogna distinguere il soggetto attivo da quello passivo. Il soggetto attivo è colui che
commette il fatto tipico. I reati si distinguono in reati comuni, che possono essere commessi da
chiunque e reati propri nei quali la norma incriminatrice richiede che l’autore del reato possegga
determinate qualifiche personali che possono essere naturalistiche o giuridiche. È il rapporto tra il
soggetto titolare della qualifica ed il bene giuridico a giustificare la previsione dei reati propri. Del
reato possono rispondere solo le persone fisiche e, con l’entrata in vigore della Costituzione,
l’esclusione della responsabilità penale delle persone giuridiche, è stata rafforzata dalla presenza
dell’art. 27 comma 1, Cost., secondo il quale la responsabilità penale è personale. Da tempo si
riflette sulla necessità di corresponsabilizzare anche le persone giuridiche per i fatti di reati
commessi da coloro che operano all’interno dell’ente, nell’interesse o a vantaggio dello stesso.
Diversi ordinamenti prevedono la responsabilità penale degli enti e, anche l’UE ed alcune
convenzioni internazionali, avevano sollecitato a prevedere forme di corresponsabilizzazione degli
enti in relazione ad alcune fattispecie di reati. Questo contesto di sollecitazione sovranazionale
spiega l’approvazione del d. lgs. 8 giugno 2001, n. 231 che ha introdotto la responsabilità
amministrativa degli enti dipendente da reato. L’ente può essere chiamato a rispondere in forza
di una responsabilità che il legislatore ha qualificato come amministrativa ravvisando gli estremi di
una responsabilità penale o di una forma ibrida con elementi propri tratti dal modello penale e da
quello amministrativo.

Il soggetto passivo del reato è il titolare del bene giuridico tutelato dalla fattispecie. Può essere
soggetto passivo una persona fisica e un ente oppure una collettività di persone. Il soggetto passivo
ha un ruolo importante nel diritto penale in relazione a diversi istituti, come, la querela e il
consenso dell’avente diritto:

- La querela: deve essere presentata entro 3 mesi dal momento in cui il soggetto passivo è
venuto a conoscenza del rato e, può essere ritirata dal querelante: è la remissione della
querela che ha l’effetto di estinguere il reato;
- Il consenso dell’avente diritto: quando il reato offende beni disponibili, il consenso del
soggetto passivo alla loro lesione opera come causa di giustificazione.

È soggetto danneggiato del reato chi da questo ha subito un danno risarcibile che lo legittima a
chiedere le restituzioni e il risarcimento del danno costituendosi parte civile nel processo penale o
con azione autonoma dinanzi al giudice civile. Ai sensi dell’art. 185 c.p., ogni reato obbliga alle
restituzioni a norma delle leggi civili e al risarcimento del danno. Il risarcimento del danno è
una conseguenza del reato sul versante della responsabilità civile. Il risarcimento del danno non
comporta l’estinzione del reato o della pena prevista dalla legge: risarcimento e sanzione penale
operano su due piani e, il risarcimento, può incidere sulla pena:

- Può rilevare come circostanza attenuante;


- Anche se non sussistono le condizioni può essere preso in considerazione dal giudice in
sede di commisurazione della pena;
- Il legislatore ha dato rilevanza alle condotte riparatorie in termini di causa di estinzione
del reato.

La riflessione penalistica recente ha valorizzato il significato della vittima nell’ambito della


dinamica punitiva sotto diversi profili che non rappresentano un elemento positivo per il sistema
penale:

- L’importanza della vittima nella genesi di alcuni reati;


- Il ruolo attivo della vittima nella difesa dei beni giuridici ha portato ad ampliare l’ambito
della causa di giustificazione della legittima difesa che ha una latitudine espansiva che non
garantisce maggior sicurezza ai beni individuali;
- Sul piano sanzionatorio, l’attenzione prestata alle richieste delle vittime rischia di potenziare
una risposta sanzionatoria improntata alla prevenzione generale negativa, con aumento dei
livelli di pena in relazione ai reati di maggiore allarme sociale;
- Sul versante sanzionatorio, va evidenziata la prospettiva della giustizia riparativa: si
imposta la risposta a questo evento in termini di rielaborazione del conflitto in vista del suo
superamento attraverso condotte riparative e procedure conciliative tra autore e vittima al
fine di offrire una risposta non punitiva al reato commesso ma efficace nella soddisfazione
delle esigenze della persona offesa in prospettiva di rieducazione dell’autore del reato.

Il fatto tipico

Nella categoria del fatto tipico vanno inclusi elementi oggettivi costitutivi della fattispecie
incriminatrice dai quali si desume la dimensione lesiva del bene giuridico che la legge intende
tutelare. Al fatto tipico appartengono la condotta, l’evento, il nesso di causalità tra condotta e
l’evento.

Requisito indefettibile del reato è la presenza di una condotta umana che può essere attiva o
omissiva: la prima è data da un movimento muscolare con il quale l’autore produce una
modificazione della realtà mentre, la seconda, consiste nel non tenere un’azione doverosa imposta
da una norma giuridica. Le due condotte devono essere sorrette da una componente soggettiva
costituita dalla coscienza e volontà dell’azione o omissione.
Coscienza e volontà, espressa dall’art. 42, costituiscono un requisito necessario la cui assenza
esclude la sussistenza del reato ma, il requisito, investe la condotta che può essere considerata
propria del soggetto, ponendo le basi per l’imputazione penale del fatto. La coscienza e volontà si
presenta in modo diverso nei reati dolosi e in quelli colposi. Nei delitti dolosi la coscienza e volontà
costituisce un dato psicologico effettivo perché il soggetto agisce rappresentandosi e volendo la
condotta attiva o omette consapevolmente di agire. Nei reati colposi invece la coscienza e volontà
dell’azione o omissione può essere meramente potenziale perché il soggetto avrebbe potuto
evitare la condanna o avrebbe potuto tenere la condotta doverosa.

La coscienza e volontà manca in tre situazioni nelle quali la condotta non può dirsi propria del
soggetto:

- Nei casi di forza maggiore cioè quando la condotta è l’effetto di una forza della natura alla
quale il soggetto non riesce a resistere o sottrarsi;
- Il costringimento fisico che richiede una violenza fisica alla quale non è possibile resistere
o sottrarsi e dove il fatto commesso non può essere considerato proprio della persona che lo
ha materialmente realizzato e dello stesso risponde l’autore della violenza;
- Gli stati di incoscienza indipendenti dalla volontà.

I reati possono essere distinti in diverse tipologie in ragione delle modalità di discrezione della
condotta:

- Reati di azione e reati di omissione: si distinguono in ragione della condotta attiva o


omissiva richiesta;
- Reati di mera condotta e reati di evento: nei primi il reato consiste in una mera azione o
omissione mentre nei secondi si ha la condotta e la causazione dell’evento. Il legislatore può
creare il reato indipendentemente dalle conseguenze. Principio di tempus commessi delicti:
si punisce mediante il criterio della condotta per quanto concerne i reati di evento poiché
non sempre il tempo dell’evento coincide con la condotta. Nei reati di condotta, condotta ed
evento coincidono;
- Reati a condotta vincolata e reati a condotta libera: nei primi la fattispecie incriminatrice
descrive specifiche modalità della condotta mentre, nei secondi, si rileva qualsiasi condotta
causativa dell’evento e sono definiti anche reati causalmente orientanti. Si ha un interesse
statale all’estensione dell’intervento penale: nei delitti contro il patrimonio, la tutela penale è
più frammentata mentre il bene vita è tutelato in modo ampio rispetto alla condotta che ne
cagioni la soppressione;
- Reati istantanei e reati permanenti: il primo si consuma in un istante, quindi, non è
possibile protrarre il tempo della consumazione, mentre, i secondi, sono permanenti poiché
la loro consumazione consiste in un periodo e si parla di periodo consumativo. Il tempo
definisce la rilevanza di un fatto;
- Reati abituali: la condotta è costituita da una pluralità di comportamenti che possono essere
temporalmente staccati l’un l’altro ma, i singoli comportamenti, sono da considerarsi
unitariamente dal punto di vista penalistico perché integrano una sola condotta.
- Sostituzione della pena detentiva con una pena pecuniaria: il reato rimane tale ma
all’originaria pena detentiva vi è la sostituzione con la pena pecuniaria e, l’effetto, è che la
pena detentiva già irrogata si converte in pena pecuniaria secondo il criterio di ragguaglio
dell’art. 135 c.p.

29.11.2021

I reati si distinguono in comuni (commessi da chiunque) e propri (solo da chi ha la qualifica). La


nozione di soggetto attivo è legata alla nozione di potere. I reati omissivi impropri sono reati propri
dal punto di vista soggettivo perché la posizione di garanzia incombe su determinati soggetti per il
potere di impedimento dei soggetti.

D. lgs. 231/2001: ha rivoluzionato il pensiero secondo cui si punivano solo le persone fisiche. Si
possono punire anche gli enti e/o persone giuridiche. Lo scopo è sempre quello di impedire la
commissione di reato: si ha una persona fisica membro dell’ente che commette reato e, andando
davanti al giudice penale, trascina con lui anche la persona giuridica. Gli enti rispondono solo dei
reati presupposti.

Elemento più caratterizzante: il fatto tipico. L’evento deve essere una conseguenza della
condotta per essere imputato e la norma che va presa in considerazione è l’art. 40 comma 1:
Rapporto di causalità. Nessuno può essere punito per un fatto preveduto dalla legge come reato, se
l'evento dannoso o pericoloso, da cui dipende l'esistenza del reato, non è conseguenza della sua
azione od omissione.

Bisogna dare uno strumento all’interprete per risolvere la questione ma ciò non avviene con la
norma. E’ chiamata a supplire alla vuotezza della norma la giurisprudenza e la scienza penalistica,
che ha elaborato una serie di teorie, nei decenni, riconoscendo l’impossibilità di elaborare una
teoria sulla causalità che non prendesse atto dei limiti epistemologici che affliggono il concetto
di causalità in generale. Il concetto di causalità è un concetto rispetto al quale l’epistemologia ha
riconosciuto dei limiti quasi insuperabili. Questo articolo cerca di definire qualcosa che in realtà è
indefinibile. Neanche l’induzione (verificare i presupposti dell’imputazione) è da sola sufficiente
per le condizioni del processo penale. Si fa riferimento all’abduzione come parametro di
riferimento. Al processo penale è funzionale la fondatezza e/o l’infondatezza dell’imputazione
formulata dalla pubblica accusa.

L’evento è conseguenza della condotta quando:

- Secondo la teoria condizionalistica: l’evento è conseguenza quando la condotta è stata


condizione necessaria dell’evento. La qualità si verifica andando a ritroso, attraverso un
ragionamento ex post, visto che si ha a che fare con un elemento oggetto del reato, ed
ipotizzando uno scenario ipotetico.

Questa teoria è il punto di partenza ma non può rassegnare le conclusioni. La giurisprudenza ha


preso atto delle considerazioni ed ha ritenuto che la condotta sia quasi sempre omissiva andandosi
così a trovare davanti a processi su cose che il garante avrebbe dovuto fare e in più, tra rapporto
causale ed evento, la parola causale non esiste da un punto di vista naturalistico ma che assume solo
rilevanza giuridica. Il giudice non crea le leggi causali ma è solo un mero consumatore e cioè
significa ricondurre l’accertamento causale al dominio del principio di causalità.

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