LEGAMI AMBIVALENTI P1. Le principali tappe del rapporto tra educazione e razzismo Il tema dell’ambivalenza del rapporto tra scuola e pedagogia da un lato e razzismo dall’altro chiama in causa problemi che riguardano l’ambito e gli scenari della storia dell’educazione. RAZZISMO, SCUOLA, PEDAGOGIA si sono posti in relazione con modalità sostanzialmente diverse, attraverso meccanismi di esplicita alleanza nel passato e, in tempi più recenti, attraverso una riformulazione, non sempre metabolizzata e così ampiamente diffusa, dell’educazione vista in chiave ANTIRAZZISTA. Possiamo distinguere, parallelamente alla periodizzazione del fenomeno del razzismo, almeno quattro tappe fondamentali nella lettura di questo rapporto: 1. Il lavoro di preparazione a cavallo tra Ottocento e Novecento, volto a costruire negli ambienti scientifici il concetto di razza e negli ambienti politici una specifica ideologia funzionale all’emergere dei nazionalismi e delle avventure coloniali, la divulgazione dell’idea di razza anche attraverso la manualistica scolastica, che risente del clima del razzismo coloniale 2. Il periodo del trionfo dell’ideologia razzista, con l’avvento dei totalitarismi fascisti e nazionalistici in Europa e con la strettissima alleanza tra pedagogia, scuola e razzismo nella costruzione intenzionale di un pensiero e di società razzisti, si assiste dunque alla definitiva esplicitazione e affermazione di orientamenti pedagogici razzisti in senso stretto inteso (nel caso italiano EVOLA e PADELLARO) e di un’educazione proiettata sui metodi e sui contenuti della propaganda 3. Il periodo della Guerra Fredda, contrassegnato da un lato dalla “scoperta” dell’Olocausto e dallo choc provocato dalle testimonianze orali, visive e scritte sul lager e sterminio, dall’altro dai processi di decolonizzazione che fanno emergere nuovi problemi di inquadramento generale dei rapporti tra coloni ed colonizzati. Importante è il discorso sul SEGREGAZIONISMO nel contesto nordamericano, che vede l’educazione antirazzista muoversi soprattutto sui temi dei diritti e sul fronte del rivendicazionismo. L’educazione e la pedagogia invertono il loro rapporto con il razzismo, e oltre a nascere iniziative educative di chiara matrice antirazzista, si vengono a definire APPROCCI affini ed attigui (esempio l’EDUCAZIONE ALLO SVILUPPO E ALLA PACE) 4. La FORMAZIONE, tardiva in ITALIA rispetto ad altri stati europei, di società multiculturali a seguito dei flussi migratori provenienti dai paesi in via di sviluppo e la costituzione di nuove o rinnovate forme di razzismo, non più legittimate istituzionalmente ma diffuse a livello sociale. L’affermazione della pedagogia e dell’educazione interculturale, come approcci che ricomprendono al loro interno i temi del razzismo, dello sviluppo, della globalizzazione, della comunicazione e della relazione con soggetti di altra cultura, rappresenta la definitiva virata della scuola e dell’educazione degli assunti e degli atteggiamenti razzisti.
La PEDAGOGIA ha oggi il compito di occuparsi di RAZZISMO non soltanto in
conseguenza di un’emergenza storica, non essendo il razzismo un fenomeno nuovo in assoluto, ma anche perché proprio la prospettiva storica della contemporaneità è in grado di fornirci conoscenze e consapevolezze che, nell’attuale dibattito sull’interculturalismo e sul pluralismo culturale, devono trovare una corretta sedimentazione e contestualizzazione. Un’EDUCAZIONE pensata per PREVENIRE e CONTRASTARE il RAZZISMO assume significato sia perché oggi ci si trova a vivere in una società di fatto multietnica e multiculturale, sia perché il passato ha consegnato delle responsabilità serie, anche per il RUOLO che la scuola ha avuto nell’esercitare, FORME di DISCRIMINAZIONE e di ETICHETTAMENTO di altri POPOLI e CULTURE.
P2. NAZISMO E FASCISMO: L’APOTEOSI DELL’EDUCAZIONE RAZZISTA
La scuola della Germania hitleriana, per definizione RAZZISTA, ha fatto dell’ideologia razzista uno dei principali cavalli di battaglia, con l’obiettivo di diffondere l’antisemitismo. Il razzismo virulento della ideologia e del potere nazista si spinge anche oltre l’ebreo: la purezza della razza va garantita anche a partire dal suo interno, cosicché anche i malati di mente e quelli che oggi vengono definiti come diversamente abili costituirebbero una minaccia per l’integrità e il progetto eugenetico, quindi di perfezionamento razziale, della cosiddetta RAZZA ARIANA. Eutanasia e sterilizzazione di malati di mente furono pratiche che, anticipando di poco il progetto di ELIMINAZIONE TOTALE degli ebrei, per poter essere attivate necessitavano di un consenso, più o meno sotteso, da costruire attraverso una propaganda capillare e scientificamente costruita, mediata da film, mostre, documentari, e rispetto alla quale la scuola poteva considerarsi un importante agente e tassello. Il modo di procedere dell’educazione razzista si sviluppa in modo non lineare e sotto diverse forme. Si trova una CAPILLARE E SCRUPOLOSA POLITICA DI SEPARAZIONE, ESPULSIONE DALLE SCUOLE, GHETTIZZAZIONE e l’INDROTTINAMENTO DIRETTO, FATTO DI NOZIONI PSEUDOSCIENTIFICHE volte a presentare l’idea di razza come costrutto gerarchico, impegnato a promuovere riprovazione sociale verso l’ibridazione, e teso alla costruzione del nemico (l’ebreo). Ma la “lezione” dell’educazione razzista è che anche l’interiorizzazione di competenze apparentemente neutre, come quelle logiche e di calcolo aritmetico, può arrivare a trasmettere, in modo più subdolo, stereotipi, pregiudizi, atteggiamenti, ideologie, a costruire un senso delle cose da trasformare in un preciso e più che mirato consenso politico. Anche nell’Italia fascista si trovano gravi provvedimenti sui quali è necessario l’approfondimento storico-educativo (le leggi razziali del 1938 e l’estromissione di studenti e docenti ebrei da scuole e università, le immagini degli altri popoli nei libri scolastici). I libri scolastici come anche molti altri strumenti della propaganda, tra cui film e i documentari, i quotidiani e le riviste, rappresentano il perno, l’anello di congiunzione tra ciò che viene elaborato e deciso nei piani alti della (pseudo) scienza razzista e degli ambienti politici e quello che deve divenire senso comune, opinione corrente. Nel 1982, CESARE LOMBROSO, fondatore dell’antropologia criminale, scrisse lo sviluppo dei bambini neri: “ Lo sviluppo del bambino africano è tutto affatto differente dal nostro. Esso nei primi giorni non offre il colorito scuro dell’adulto, le suture del capo, che da noi si saldano solo in tardi età, gli si ossificano prestamente, come nell’idiota e nelle scimmie, e prima la anteriore che la posteriore. Anche la sua faccia sporgente o prognata, solo dopo la prima dentizione, e solo dopo il tredicesimo anno si vede allungare la sua testa ad annerire la sua pelle. Lo stesso dicasi dello sviluppo morale: si mostra intelligentissimo fino alla pubertà. Se il RAZZISMO COLONIALE espresso nell’educazione fascista è il risultato di un processo di costruzione già avviato nell’Ottocento, e che trova con il fascismo una particolare enfasi anche per costruire consenso intorno alle politiche coloniali e accompagnarle, la definitiva affermazione del razzismo antisemita inteso in senso biologico può essere considerato come legato ad una precisa presa di posizione politica, che va ad ancorarsi ad una scienza ideologicamente tesa a giustificarne tutti i presupposti e tutte le sue conseguenze. Non che non siano esistite storicamente forme di antisemitismo, ma queste erano caratterizzate prevalentemente da pregiudizi di tipo religioso e di tipo culturale. GENOVESE riporta il caso di Edgardo Mortara, uno degli esempi più significativi dell’antisemitismo ottocentesco in Italia, che permette di comprendere più a fondo le differenze tra l’antisemitismo di stampo religioso e quello di stampo razziale. Il MINISTRO DELL’EDUCAZIONE NAZIONALE BOTTAI fu impegnato ad applicare i nuovi principi dello stato razzista al mondo della scuola, e questo attraverso iniziative diverse, tese a divulgare i principi dello stato razzista, ma anche a formulare ed applicare dispositivi di esclusione dalle scuole di alunni e insegnanti. Che anticipandoli di pochi mesi, confluiranno nei “Provvedimenti per la difesa della razza italiana”. L’operato di Bottai si inquadra principalmente nelle seguente azioni: - Promozione di una cultura razzista nel mondo della scuola - Proibizione dell’uso di testi scritti da autori ebrei - Procedure di allontanamento di insegnanti e studenti ebrei da tutte le scuole statali e parificate e dalle università. Nonostante le dichiarazioni di rassicurazione di Bottai, il quale dichiarò in un’intervista radiofonica rilasciata il primo giorno di scuola dell’as. 1938/1939 che la “separazione” degli ebrei dalla scuola non voleva avere un carattere persecutorio e mortificante, l’applicazione delle leggi razziali gettò le comunità ebraiche in una condizione di abbandono da parte dello stato, per cui il vuoto di istruzione pubblica fu tamponato da iniziative organizzate dalle comunità stesse, da insegnamenti impartiti privatamente. L’educazione in ITALIA, con il fascismo, diventa chiaramente razzista: non solo perché approfondisce alcune vie di sviluppo di una matrice razzista che si era andata a definire già a partire dall’Ottocento, ma soprattutto perché l’adesione al razzismo viene istituzionalizzata, formalizzata, e teorizzata. Si tratta di JULIUS EVOLA, il quale nel 1941, si trova a scrivere, in un testo dall’emblematico titolo “Indirizzi per un educazione razziale”, che il compito dell’educatore nei confronti dei suoi scolari è quello di fornire, del razzismo “nozioni semplici, ma chiare e sature di forza suggestiva, atte ad agire sull’animo dei giovani più che sul loro intelletto”. Che EVOLA si preoccupi degli insegnanti e degli studenti è il segnale dell’attenzione per un tema e una mentalità e di una preoccupazione, si può dire anche di CARATTERE METODOLOGICO, per una corretta EDUCAZIONE RAZZIALE. In linea con la sua idea di razza intesa più in senso spirituale che in senso biologico, per EVOLA il vero razzismo, più che una disciplina speciale, è una mentalità e come tale deve suscitare quello che viene definito “sentimento della razza”; da un punto di vista educativo e da un punto di vista “romano e fascista”. Non per tutti la diffusione di un’educazione razziale trovò terreno fertile nel mondo degli insegnanti, né una rigorosa sistematizzazione: BERTONI JOVINE, ad esempio rileva, che a fronte delle posizioni di BOTTAI, tra l’altro a diffondere i principi di un’educazione razziale e razzista, dando vanto alla scuola per essersi posta all’avanguardia dell’azione di difesa della razza, le reazioni di ispettori, direttori e insegnanti furono spesso evasive e generiche. E nonostante questo la studiosa individua i tentativi di costruzione di una pedagogia razzista di Cottone e Padellaro, che all’interno della rivista “PRIMATO EDUCATIVO” ne formulano sommariamente principi (incoerenti) e metodi (spiccioli).
P3. Scienza e coscienza dopo l’Olocausto: la nascita dell’educazione antirazzista
Le politiche di discriminazione e persecuzione del Novecento hanno cercato una giustificazione negli studi pseudoscientifici che sostenevano l’esistenza di determinate razze e la loro presunta superiorità o inferiorità biologica. Dopo la Seconda Guerra Mondiale, e quindi dopo i grandi crimini commessi nel nome della razza, grandi organizzazioni internazionali, come l’ONU e l’UNESCO, hanno condannato qualsiasi forma di razzismo e di discriminazione. Mentre l’Europa si avviava alla ripresa dalla tragedia della guerra, l’UNESCO, il giovane organismo delle Nazioni Unite, nel 1950 e nel 1951, decise di emanare, alla luce degli avvenimenti del passato e contro i focolai di razzismo ancora attivi in alcune parti del mondo, diverse importanti Dichiarazioni sulla Razza formulate da un gruppo di scienziati, tra cui Montagu. Alla dichiarazione dell’UNESCO degli anni ’50, faranno seguito altre: nel 1969 l’UNESCO, basandosi su ricerche scientifiche all’uopo commissionate, e riunendo i documenti precedentemente emanati, pubblica i Four statements on the race question, redatte da un gruppo di antropologi e genetisti di varie provenienze nazionali, in cui viene definitivamente smentita l’esistenza di razze pure, nel 1978 un’altra dichiarazione riformula le posizioni antirazziste. Gli studi scientifici successivi alla Seconda Guerra Mondiale si basano su metodi e tecnologie che smontano le giustificazioni pseudoscientifiche del razzismo aprendo problemi nuovi e talmente grandi da mettere in dubbio la stessa esistenza delle razze. L’approccio, che riguarda non solo studiosi di scienze naturali ma anche quelli di scienze umane, porta alla decostruzione del concetto di razza, letta in termini di “mito”, di “invenzione”, quindi di artificio scientifico e ideologico. Il lavoro e l’impegno dell’UNESCO nel promuovere programmi internazionali di educazione antirazzista è stato analizzato da TAGUIEFF, che individua alcuni punti di criticità. I programmi dell’UNESCO, avverte lo studioso, fiduciosi di fronte all’idea di combattere un pensiero sostanzialmente antirazionale con la divulgazione di idee scientifiche atte a demolire il mito della razza e a ripristinare la sostanziale uguaglianza del genere umano, non hanno sostanzialmente raggiunto gli obiettivi per i quali erano stati concepiti, non riuscendo a fondo a contrastare i nuovi fenomeni di tipo razzista che andavano manifestandosi nelle società occidentali, il relativo ottimismo dell’antirazzismo sostenuto dall’UNESCO si è ben presto scontrato con le conclusioni delle ricerche svolte dagli psicologi sociali sui pregiudizi e sugli stereotipi, ricerche influenzate dai concetti della psicoanalisi. A fronte di una psicologia collettiva che ha acquisito ed interiorizzato profondamente le dinamiche del pregiudizio non bastano la sola conoscenza e dimostrazione dell’infondatezza del concetto di razza e della gerarchizzazione dell’umanità a risolvere il problema. E non è un caso che il razzismo razzialista sia stato rimpiazzato da quello differenzialista, proiettato, sulla dimensione culturale. Per TAGUIEFF l’affermazione del cosiddetto MODELLO PSICOPATOLOGICO del pregiudizio genera la diffusione di una tendenziale sfiducia sugli esiti di una lotta strettamente cognitiva, nonché sull’efficacia delle iniziative in campo educativo; questo avrebbe dirottato l’antirazzismo verso il campo delle sanzioni giuridiche e quello del contratto sociale. Pedagogisti, insegnanti, educatori non possono scoraggiarsi di fronte a considerazioni e analisi, per quanto lucide, come quelle di TAGUIEFF, tantomeno a fronte di uno scenario che ha ridefinito il razzismo come un fenomeno multiforme e fluido. Occorre, soprattutto nell’ambito della pedagogia interculturale, promuovere attraverso la ricerca seri approfondimenti sulle vecchie e nuove forme di razzismo, per individuare le basi psico-sociologiche e antropologiche attraverso cui esse si formano e le strategie più adatte a favorire il loro contrasto nelle nostre realtà ormai ridisegnate a partire dal multiculturalismo e della globalizzazione.
P4. Il campo dell’educazione antirazzista oggi
Secondo ECKMANN e ESER DAVOLIO, l’educazione antirazzista si trova a fare i conti oggi con tre diverse eredità storiche e sociali, che, definendo diversi modelli tipologici di razzismo, spingono verso approcci educativi e didattici tra di loro differenziati in quanto a caratterizzazione, obiettivi e contenuti della formazione: l’eredità dello schiavismo e del colonialismo, l’antisemitismo e l’Olocausto, il multiculturalismo contemporaneo. La prima espressione della pedagogia antirazzista è nata dalla lotta contro la segregazione dei neri, in particolare nel contesto nordamericano, e si basa sul paradigma dei rapporti di potere. A questa si può aggiungere anche la questione della decolonizzazione, di quel processo che, portando i nodi al pettine, svela tutti i disastrosi effetti che il dominio coloniale ha prodotto sui paesi del nascente Terzo Mondo. Testimone ed interprete di questa situazione è lo psichiatra e intellettuale della Martinicia Frantz Fanon, che in “I dannati della terra”, un vero manifesto per la lotta anticoloniale e l’emancipazione, esamina con acume e sottigliezza i sottili rapporti tra bianchi e neri, il loro riferirsi ad un razzismo ed una logica della divisione di cui, una volta avviata la decolonizzazione, l’Africa stessa non riuscirà a liberarsi. Se il RAZZISMO è un rapporto di dominio e di oppressione, è necessario lavorare sulla dialettica tra colonizzatore e colonizzato, attraverso la riformulazione, ad esempio, delle letture storiche a partire dai punti di vista delle minoranze. PAULO FREIRE nel discorso sull’educazione antirazzista, quando scrive che “il grande compito umanistico e storico degli oppressi” sia quello di “liberare se stessi e i loro oppressori”. Si incrociano in questa prospettiva altre piste dell’educazione nell’era della Guerra Fredda, l’educazione allo sviluppo e alla mondialità e l’educazione alla pace. La seconda espressione dell’educazione antirazzista si riferisce alla lotta contro l’antisemitismo, lavorando intorno alle domande sollevate dopo la Seconda Guerra Mondiale sull’Olocausto e orienta soprattutto al tema della memoria storica. Il chiarimento dei meccanismi che hanno permesso la distruzione comunità intere (esempio Ebrei e Zingari) o di categorie di individui (gli omosessuali), seppure non rappresenta una condizione che da sola possa garantire che certi avvenimenti non si ripetano più, può promuovere una presa di coscienza dei meccanismi sociali, psicologici e politici che hanno reso possibile il genocidio, la disumanizzazione e la distruzione. L’insegnamento dell’Olocausto, inquadrato all’interno di una pubblicistica che se ne occupa specificamente, è anche collegato e promosso attualmente da iniziative di livello internazionale, come “Il giorno della memoria” e concorsi aperti alle scuole per i migliori progetti e lavori svolti con gli studenti. Tra le esperienze didattiche svolte a livello internazionale, si ricordano le seguenti:
-creare circostanze di apprendimento stimolanti,
attraverso una pedagogia attiva e un approccio centrato sugli studenti; - utilizzare l’esperienza dei testimoni, per rendere la storia una “realtà” agli occhi degli studenti - utilizzo di un approccio interdisciplinare per consentire agli studenti di comprendere più a fondo l’Olocausto - consentire l’accesso alle fonti primarie di informazione - porre attenzione alla adeguatezza del materiale scritto e visivo, non utilizzando immagini troppo crude per motivare gli studenti allo studio dell’Olocausto - incoraggiare gli studenti allo studio della storia e della memoria locale, regionale, nazionale e mondiale - assumere consapevolezza circa le potenzialità e i limiti degli strumenti didattici utilizzati, incluso Internet. Nonostante un lavoro educativo di informazione, documentazione, divulgazione a più livelli sia stato fatto non solo nella scuola, ma attraverso molti canali (mass media, cinema, associazioni di vario tipo) certe posizioni revisioniste e il fenomeno della costituzione di gruppi neonazisti rendono un’educazione antirazzista orientata verso questa ancora attuale. L’ultima espressione di educazione antirazzista si riferisce invece alle forme più attuali di razzismo, quelle che si vengono a definire all’interno delle società multiculturali e che si osservano a livello di interazione sociale tra soggetti autoctoni e soggetti immigrati. L’approccio dell’educazione interculturale è largamente derivato dalla presenza degli immigrati nelle scuole e ha posto in un primo tempo l’attenzione sui problemi inerenti gli apprendimenti linguistici e le identità culturali. Il passaggio da una focalizzazione sullo STRANIERO, che poneva essenzialmente l’enfasi sul concetto di diversità/differenza, ad un approccio di più larga azione che si prende cura di una formazione interculturale più ampiamente intesa, e dunque orientata anche agli autoctoni, genera interessi anche nei campi del conflitto e della comunicazione interculturale. A segnalare questo cambiamento di rotta, c’è uno dei più autorevoli studiosi italiani di pedagogia interculturale, FRANCESCO SUSI, che si orienta, già nel 1988, verso la necessità di un lavoro interculturale che si occupi sia degli immigrati, ma anche degli autoctoni .