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Capitolo 3.

RAZZISMO, SCUOLA, PEDAGOGIA: I


LEGAMI AMBIVALENTI
P1. Le principali tappe del rapporto tra educazione e razzismo
Il tema dell’ambivalenza del rapporto tra scuola e pedagogia da un lato e razzismo
dall’altro chiama in causa problemi che riguardano l’ambito e gli scenari della storia
dell’educazione. RAZZISMO, SCUOLA, PEDAGOGIA si sono posti in relazione con
modalità sostanzialmente diverse, attraverso meccanismi di esplicita alleanza nel
passato e, in tempi più recenti, attraverso una riformulazione, non sempre
metabolizzata e così ampiamente diffusa, dell’educazione vista in chiave
ANTIRAZZISTA. Possiamo distinguere, parallelamente alla periodizzazione del
fenomeno del razzismo, almeno quattro tappe fondamentali nella lettura di questo
rapporto:
1. Il lavoro di preparazione a cavallo tra Ottocento e Novecento, volto a costruire
negli ambienti scientifici il concetto di razza e negli ambienti politici una
specifica ideologia funzionale all’emergere dei nazionalismi e delle avventure
coloniali, la divulgazione dell’idea di razza anche attraverso la manualistica
scolastica, che risente del clima del razzismo coloniale
2. Il periodo del trionfo dell’ideologia razzista, con l’avvento dei totalitarismi
fascisti e nazionalistici in Europa e con la strettissima alleanza tra pedagogia,
scuola e razzismo nella costruzione intenzionale di un pensiero e di società
razzisti, si assiste dunque alla definitiva esplicitazione e affermazione di
orientamenti pedagogici razzisti in senso stretto inteso (nel caso italiano
EVOLA e PADELLARO) e di un’educazione proiettata sui metodi e sui contenuti
della propaganda
3. Il periodo della Guerra Fredda, contrassegnato da un lato dalla “scoperta”
dell’Olocausto e dallo choc provocato dalle testimonianze orali, visive e scritte
sul lager e sterminio, dall’altro dai processi di decolonizzazione che fanno
emergere nuovi problemi di inquadramento generale dei rapporti tra coloni
ed colonizzati. Importante è il discorso sul SEGREGAZIONISMO nel contesto
nordamericano, che vede l’educazione antirazzista muoversi soprattutto sui
temi dei diritti e sul fronte del rivendicazionismo. L’educazione e la pedagogia
invertono il loro rapporto con il razzismo, e oltre a nascere iniziative educative
di chiara matrice antirazzista, si vengono a definire APPROCCI affini ed attigui
(esempio l’EDUCAZIONE ALLO SVILUPPO E ALLA PACE)
4. La FORMAZIONE, tardiva in ITALIA rispetto ad altri stati europei, di società
multiculturali a seguito dei flussi migratori provenienti dai paesi in via di
sviluppo e la costituzione di nuove o rinnovate forme di razzismo, non più
legittimate istituzionalmente ma diffuse a livello sociale. L’affermazione della
pedagogia e dell’educazione interculturale, come approcci che
ricomprendono al loro interno i temi del razzismo, dello sviluppo, della
globalizzazione, della comunicazione e della relazione con soggetti di altra
cultura, rappresenta la definitiva virata della scuola e dell’educazione degli
assunti e degli atteggiamenti razzisti.

La PEDAGOGIA ha oggi il compito di occuparsi di RAZZISMO non soltanto in


conseguenza di un’emergenza storica, non essendo il razzismo un fenomeno
nuovo in assoluto, ma anche perché proprio la prospettiva storica della
contemporaneità è in grado di fornirci conoscenze e consapevolezze che,
nell’attuale dibattito sull’interculturalismo e sul pluralismo culturale, devono
trovare una corretta sedimentazione e contestualizzazione.
Un’EDUCAZIONE pensata per PREVENIRE e CONTRASTARE il RAZZISMO assume
significato sia perché oggi ci si trova a vivere in una società di fatto multietnica e
multiculturale, sia perché il passato ha consegnato delle responsabilità serie,
anche per il RUOLO che la scuola ha avuto nell’esercitare, FORME di
DISCRIMINAZIONE e di ETICHETTAMENTO di altri POPOLI e CULTURE.

P2. NAZISMO E FASCISMO: L’APOTEOSI DELL’EDUCAZIONE RAZZISTA


La scuola della Germania hitleriana, per definizione RAZZISTA, ha fatto
dell’ideologia razzista uno dei principali cavalli di battaglia, con l’obiettivo di
diffondere l’antisemitismo. Il
razzismo virulento della ideologia e del potere nazista si spinge anche oltre
l’ebreo: la purezza della razza va garantita anche a partire dal suo interno,
cosicché anche i malati di mente e quelli che oggi vengono definiti come
diversamente abili costituirebbero una minaccia per l’integrità e il progetto
eugenetico, quindi di perfezionamento razziale, della cosiddetta RAZZA ARIANA.
Eutanasia e sterilizzazione di malati di mente furono pratiche che, anticipando di
poco il progetto di ELIMINAZIONE TOTALE degli ebrei, per poter essere attivate
necessitavano di un consenso, più o meno sotteso, da costruire attraverso una
propaganda capillare e scientificamente costruita, mediata da film, mostre,
documentari, e rispetto alla quale la scuola poteva considerarsi un importante
agente e tassello.
Il modo di procedere dell’educazione razzista si sviluppa in modo non lineare e
sotto diverse forme. Si trova una CAPILLARE E SCRUPOLOSA POLITICA DI
SEPARAZIONE, ESPULSIONE DALLE SCUOLE, GHETTIZZAZIONE e
l’INDROTTINAMENTO DIRETTO, FATTO DI NOZIONI PSEUDOSCIENTIFICHE volte a
presentare l’idea di razza come costrutto gerarchico, impegnato a promuovere
riprovazione sociale verso l’ibridazione, e teso alla costruzione del nemico
(l’ebreo). Ma la “lezione” dell’educazione razzista è che anche l’interiorizzazione
di competenze apparentemente neutre, come quelle logiche e di calcolo
aritmetico, può arrivare a trasmettere, in modo più subdolo, stereotipi,
pregiudizi, atteggiamenti, ideologie, a costruire un senso delle cose da
trasformare in un preciso e più che mirato consenso politico.
Anche nell’Italia fascista si trovano gravi provvedimenti sui quali è necessario
l’approfondimento storico-educativo (le leggi razziali del 1938 e l’estromissione
di studenti e docenti ebrei da scuole e università, le immagini degli altri popoli
nei libri scolastici). I libri scolastici come anche molti altri
strumenti della propaganda, tra cui film e i documentari, i quotidiani e le riviste,
rappresentano il perno, l’anello di congiunzione tra ciò che viene elaborato e
deciso nei piani alti della (pseudo) scienza razzista e degli ambienti politici e
quello che deve divenire senso comune, opinione corrente.
Nel 1982, CESARE LOMBROSO, fondatore dell’antropologia criminale, scrisse lo
sviluppo dei bambini neri: “ Lo sviluppo del bambino africano è tutto affatto
differente dal nostro. Esso nei primi giorni non offre il colorito scuro dell’adulto,
le suture del capo, che da noi si saldano solo in tardi età, gli si ossificano
prestamente, come nell’idiota e nelle scimmie, e prima la anteriore che la
posteriore. Anche la sua faccia sporgente o prognata, solo dopo la prima
dentizione, e solo dopo il tredicesimo anno si vede allungare la sua testa ad
annerire la sua pelle. Lo stesso dicasi dello sviluppo morale: si mostra
intelligentissimo fino alla pubertà.
Se il RAZZISMO COLONIALE espresso nell’educazione fascista è il risultato di un
processo di costruzione già avviato nell’Ottocento, e che trova con il fascismo una
particolare enfasi anche per costruire consenso intorno alle politiche coloniali e
accompagnarle, la definitiva affermazione del razzismo antisemita inteso in senso
biologico può essere considerato come legato ad una precisa presa di posizione
politica, che va ad ancorarsi ad una scienza ideologicamente tesa a giustificarne tutti
i presupposti e tutte le sue conseguenze.
Non che non siano esistite storicamente forme di antisemitismo, ma queste erano
caratterizzate prevalentemente da pregiudizi di tipo religioso e di tipo culturale.
GENOVESE riporta il caso di Edgardo Mortara, uno degli esempi più
significativi dell’antisemitismo ottocentesco in Italia, che permette di
comprendere più a fondo le differenze tra l’antisemitismo di stampo
religioso e quello di stampo razziale.
Il MINISTRO DELL’EDUCAZIONE NAZIONALE BOTTAI fu impegnato ad applicare i
nuovi principi dello stato razzista al mondo della scuola, e questo attraverso
iniziative diverse, tese a divulgare i principi dello stato razzista, ma anche a
formulare ed applicare dispositivi di esclusione dalle scuole di alunni e insegnanti.
Che anticipandoli di pochi mesi, confluiranno nei “Provvedimenti per la difesa della
razza italiana”. L’operato di Bottai si inquadra principalmente nelle seguente azioni:
- Promozione di una cultura razzista nel mondo della scuola
- Proibizione dell’uso di testi scritti da autori ebrei
- Procedure di allontanamento di insegnanti e studenti ebrei da tutte le scuole
statali e parificate e dalle università.
Nonostante le dichiarazioni di rassicurazione di Bottai, il quale dichiarò in
un’intervista radiofonica rilasciata il primo giorno di scuola dell’as. 1938/1939 che la
“separazione” degli ebrei dalla scuola non voleva avere un carattere persecutorio e
mortificante, l’applicazione delle leggi razziali gettò le comunità ebraiche in una
condizione di abbandono da parte dello stato, per cui il vuoto di istruzione pubblica
fu tamponato da iniziative organizzate dalle comunità stesse, da insegnamenti
impartiti privatamente.
L’educazione in ITALIA, con il fascismo, diventa chiaramente razzista: non solo
perché approfondisce alcune vie di sviluppo di una matrice razzista che si era andata
a definire già a partire dall’Ottocento, ma soprattutto perché l’adesione al razzismo
viene istituzionalizzata, formalizzata, e teorizzata. Si tratta di JULIUS EVOLA, il quale
nel 1941, si trova a scrivere, in un testo dall’emblematico titolo “Indirizzi per un
educazione razziale”, che il compito dell’educatore nei confronti dei suoi scolari è
quello di fornire, del razzismo “nozioni semplici, ma chiare e sature di forza
suggestiva, atte ad agire sull’animo dei giovani più che sul loro intelletto”.
Che EVOLA si preoccupi degli insegnanti e degli studenti è il segnale dell’attenzione
per un tema e una mentalità e di una preoccupazione, si può dire anche di
CARATTERE METODOLOGICO, per una corretta EDUCAZIONE RAZZIALE. In linea con
la sua idea di razza intesa più in senso spirituale che in senso biologico, per EVOLA il
vero razzismo, più che una disciplina speciale, è una mentalità e come tale deve
suscitare quello che viene definito “sentimento della razza”; da un punto di vista
educativo e da un punto di vista “romano e fascista”.
Non per tutti la diffusione di un’educazione razziale trovò terreno fertile nel mondo
degli insegnanti, né una rigorosa sistematizzazione: BERTONI JOVINE, ad esempio
rileva, che a fronte delle posizioni di BOTTAI, tra l’altro a diffondere i principi di
un’educazione razziale e razzista, dando vanto alla scuola per essersi posta
all’avanguardia dell’azione di difesa della razza, le reazioni di ispettori, direttori e
insegnanti furono spesso evasive e generiche. E nonostante questo la studiosa
individua i tentativi di costruzione di una pedagogia razzista di Cottone e Padellaro,
che all’interno della rivista “PRIMATO EDUCATIVO” ne formulano sommariamente
principi (incoerenti) e metodi (spiccioli).

P3. Scienza e coscienza dopo l’Olocausto: la nascita dell’educazione antirazzista


Le politiche di discriminazione e persecuzione del Novecento hanno cercato una
giustificazione negli studi pseudoscientifici che sostenevano l’esistenza di
determinate razze e la loro presunta superiorità o inferiorità biologica. Dopo la
Seconda Guerra Mondiale, e quindi dopo i grandi crimini commessi nel nome della
razza, grandi organizzazioni internazionali, come l’ONU e l’UNESCO, hanno
condannato qualsiasi forma di razzismo e di discriminazione.
Mentre l’Europa si avviava alla ripresa dalla tragedia della guerra, l’UNESCO, il
giovane organismo delle Nazioni Unite, nel 1950 e nel 1951, decise di emanare, alla
luce degli avvenimenti del passato e contro i focolai di razzismo ancora attivi in
alcune parti del mondo, diverse importanti Dichiarazioni sulla Razza formulate da un
gruppo di scienziati, tra cui Montagu.
Alla dichiarazione dell’UNESCO degli anni ’50, faranno seguito altre: nel 1969
l’UNESCO, basandosi su ricerche scientifiche all’uopo commissionate, e riunendo i
documenti precedentemente emanati, pubblica i Four statements on the race
question, redatte da un gruppo di antropologi e genetisti di varie provenienze
nazionali, in cui viene definitivamente smentita l’esistenza di razze pure, nel 1978
un’altra dichiarazione riformula le posizioni antirazziste.
Gli studi scientifici successivi alla Seconda Guerra Mondiale si basano su metodi e
tecnologie che smontano le giustificazioni pseudoscientifiche del razzismo aprendo
problemi nuovi e talmente grandi da mettere in dubbio la stessa esistenza delle
razze. L’approccio, che riguarda non solo studiosi di scienze naturali ma anche quelli
di scienze umane, porta alla decostruzione del concetto di razza, letta in termini di
“mito”, di “invenzione”, quindi di artificio scientifico e ideologico.
Il lavoro e l’impegno dell’UNESCO nel promuovere programmi internazionali di
educazione antirazzista è stato analizzato da TAGUIEFF, che individua alcuni punti di
criticità. I programmi dell’UNESCO, avverte lo studioso, fiduciosi di fronte all’idea di
combattere un pensiero sostanzialmente antirazionale con la divulgazione di idee
scientifiche atte a demolire il mito della razza e a ripristinare la sostanziale
uguaglianza del genere umano, non hanno sostanzialmente raggiunto gli obiettivi
per i quali erano stati concepiti, non riuscendo a fondo a contrastare i nuovi
fenomeni di tipo razzista che andavano manifestandosi nelle società occidentali, il
relativo ottimismo dell’antirazzismo sostenuto dall’UNESCO si è ben presto
scontrato con le conclusioni delle ricerche svolte dagli psicologi sociali sui pregiudizi
e sugli stereotipi, ricerche influenzate dai concetti della psicoanalisi.
A fronte di una psicologia collettiva che ha acquisito ed interiorizzato
profondamente le dinamiche del pregiudizio non bastano la sola conoscenza e
dimostrazione dell’infondatezza del concetto di razza e della gerarchizzazione
dell’umanità a risolvere il problema. E non è un caso che il razzismo razzialista sia
stato rimpiazzato da quello differenzialista, proiettato, sulla dimensione culturale.
Per TAGUIEFF l’affermazione del cosiddetto MODELLO PSICOPATOLOGICO del
pregiudizio genera la diffusione di una tendenziale sfiducia sugli esiti di una lotta
strettamente cognitiva, nonché sull’efficacia delle iniziative in campo educativo;
questo avrebbe dirottato l’antirazzismo verso il campo delle sanzioni giuridiche e
quello del contratto sociale. Pedagogisti, insegnanti, educatori non possono
scoraggiarsi di fronte a considerazioni e analisi, per quanto lucide, come quelle di
TAGUIEFF, tantomeno a fronte di uno scenario che ha ridefinito il razzismo come un
fenomeno multiforme e fluido.
Occorre, soprattutto nell’ambito della pedagogia interculturale, promuovere
attraverso la ricerca seri approfondimenti sulle vecchie e nuove forme di razzismo,
per individuare le basi psico-sociologiche e antropologiche attraverso cui esse si
formano e le strategie più adatte a favorire il loro contrasto nelle nostre realtà ormai
ridisegnate a partire dal multiculturalismo e della globalizzazione.

P4. Il campo dell’educazione antirazzista oggi


Secondo ECKMANN e ESER DAVOLIO, l’educazione antirazzista si trova a fare i conti
oggi con tre diverse eredità storiche e sociali, che, definendo diversi modelli
tipologici di razzismo, spingono verso approcci educativi e didattici tra di loro
differenziati in quanto a caratterizzazione, obiettivi e contenuti della formazione:
l’eredità dello schiavismo e del colonialismo, l’antisemitismo e l’Olocausto, il
multiculturalismo contemporaneo. La prima espressione della pedagogia
antirazzista è nata dalla lotta contro la segregazione dei neri, in particolare nel
contesto nordamericano, e si basa sul paradigma dei rapporti di potere.
A questa si può aggiungere anche la questione della decolonizzazione, di quel
processo che, portando i nodi al pettine, svela tutti i disastrosi effetti che il dominio
coloniale ha prodotto sui paesi del nascente Terzo Mondo. Testimone ed interprete
di questa situazione è lo psichiatra e intellettuale della Martinicia Frantz Fanon, che
in “I dannati della terra”, un vero manifesto per la lotta anticoloniale e
l’emancipazione, esamina con acume e sottigliezza i sottili rapporti tra bianchi e neri,
il loro riferirsi ad un razzismo ed una logica della divisione di cui, una volta avviata la
decolonizzazione, l’Africa stessa non riuscirà a liberarsi. Se il RAZZISMO è un
rapporto di dominio e di oppressione, è necessario lavorare sulla dialettica tra
colonizzatore e colonizzato, attraverso la riformulazione, ad esempio, delle letture
storiche a partire dai punti di vista delle minoranze.
PAULO FREIRE nel discorso sull’educazione antirazzista, quando scrive che “il grande
compito umanistico e storico degli oppressi” sia quello di “liberare se stessi e i loro
oppressori”. Si incrociano in questa prospettiva altre piste dell’educazione nell’era
della Guerra Fredda, l’educazione allo sviluppo e alla mondialità e l’educazione alla
pace. La seconda espressione dell’educazione
antirazzista si riferisce alla lotta contro l’antisemitismo, lavorando intorno alle
domande sollevate dopo la Seconda Guerra Mondiale sull’Olocausto e orienta
soprattutto al tema della memoria storica. Il chiarimento dei meccanismi che hanno
permesso la distruzione comunità intere (esempio Ebrei e Zingari) o di categorie di
individui (gli omosessuali), seppure non rappresenta una condizione che da sola
possa garantire che certi avvenimenti non si ripetano più, può promuovere una
presa di coscienza dei meccanismi sociali, psicologici e politici che hanno reso
possibile il genocidio, la disumanizzazione e la distruzione.
L’insegnamento dell’Olocausto, inquadrato all’interno di una pubblicistica che se ne
occupa specificamente, è anche collegato e promosso attualmente da iniziative di
livello internazionale, come “Il giorno della memoria” e concorsi aperti alle scuole
per i migliori progetti e lavori svolti con gli studenti.
Tra le esperienze didattiche svolte a livello internazionale, si ricordano le seguenti:

-creare circostanze di apprendimento stimolanti,


attraverso una pedagogia attiva e un approccio centrato
sugli studenti;
- utilizzare l’esperienza dei testimoni, per rendere la storia
una “realtà” agli occhi degli studenti
- utilizzo di un approccio interdisciplinare per consentire
agli studenti di comprendere più a fondo l’Olocausto
- consentire l’accesso alle fonti primarie di informazione
- porre attenzione alla adeguatezza del materiale scritto e
visivo, non utilizzando immagini troppo crude per motivare
gli studenti allo studio dell’Olocausto
- incoraggiare gli studenti allo studio della storia e della
memoria locale, regionale, nazionale e mondiale
- assumere consapevolezza circa le potenzialità e i limiti
degli strumenti didattici utilizzati, incluso Internet.
Nonostante un lavoro educativo di informazione, documentazione, divulgazione a
più livelli sia stato fatto non solo nella scuola, ma attraverso molti canali (mass
media, cinema, associazioni di vario tipo) certe posizioni revisioniste e il fenomeno
della costituzione di gruppi neonazisti rendono un’educazione antirazzista orientata
verso questa ancora attuale.
L’ultima espressione di educazione antirazzista si riferisce invece alle forme più
attuali di razzismo, quelle che si vengono a definire all’interno delle società
multiculturali e che si osservano a livello di interazione sociale tra soggetti autoctoni
e soggetti immigrati. L’approccio dell’educazione interculturale è largamente
derivato dalla presenza degli immigrati nelle scuole e ha posto in un primo tempo
l’attenzione sui problemi inerenti gli apprendimenti linguistici e le identità culturali.
Il passaggio da una focalizzazione sullo STRANIERO, che poneva essenzialmente
l’enfasi sul concetto di diversità/differenza, ad un approccio di più larga azione che si
prende cura di una formazione interculturale più ampiamente intesa, e dunque
orientata anche agli autoctoni, genera interessi anche nei campi del conflitto e della
comunicazione interculturale.
A segnalare questo cambiamento di rotta, c’è uno dei più autorevoli studiosi italiani
di pedagogia interculturale, FRANCESCO SUSI, che si orienta, già nel 1988, verso la
necessità di un lavoro interculturale che si occupi sia degli immigrati, ma anche degli
autoctoni .

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