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BRAINSTORMING

Il brainstorming, che significa letteralmente tempesta di cervelli, è un tipo di intervista di gruppo,


nella quale viene sfruttato il gioco creativo dell’associazione di idee: la finalità è fare emergere
diverse possibili alternative, in vista della soluzione di un problema o di una scelta da compiere. A
coniare questo termine fu  A. F. Osborne, che stabilì alcune linee guida per il corretto utilizzo: non
porre alcuna critica alle idee altrui; accettare serenamente tutti i  capovolgimenti di idea; dare
inizialmente più importanza all’aspetto quantitativo delle informazioni  che non alla qualità delle
stesse, la quale verrà, invece, valutata in un secondo momento. L’applicazione del brainstorming
può riguardare diversi ambiti educativi/formativi e può essere utilizzata sia con minori che con
adulti, purché il conduttore abbia una certa esperienza nella gestione di gruppi, anche in situazioni
non strutturate. Ogni persona del gruppo è stimolata a produrre quante più idee possibili,
relativamente ad un determinato tema/problema. Ogni pensiero è registrato e poi discusso
all’interno del gruppo e solo in un secondo tempo viene eseguita una cernita qualitativa delle idee.
L’ordine  degli  interventi  non  è ordinato o determinato  a  priori;  ogni  partecipante può esporre
le proprie idee liberamente  o  proporre  associazioni  con  quelle  degli  altri partecipanti
all’intervista. Al termine della fase divergente, si passerà alla fase convergente, mantenendo
soltanto le idee che, a detta del gruppo, appaiono maggiormente adeguate o efficaci per rispondere
al problema presentato. Successivamente saranno adeguatamente perfezionate ed approfondite.

COOPERATIVE LEARNING
Tra i metodi di insegnamento e apprendimento che possono favorire questo tipo di processo di
inclusione rientrano quelli che si contrappongono ad una conduzione della classe definita come
tradizionale o rivolta a tutta la classe. Il metodo su cui ci si sofferma è quello definito al gruppo
cooperativo o definito anche come metodo a mediazione sociale, che si contrappone ad altri a
mediazione dell’insegnante. In un gruppo di tipo cooperativo, il principio di interdipendenza e altre
variabili particolarmente significative nell’apprendimento, sono stati diversamente interpretate,
infatti si sono sviluppate diverse correnti e modalità di cooperative learning. Esse vanno sotto il
nome di Learning Together, Student team learning, Group Iinvestigation, Structural Approach,
Complex Instruction e Collaborative Approach. Ciò che però le caratterizza e il diverso modo in cui
strutturano l’interdipendenza, l’interazione, la motivazione all’apprendimento, il compito e il ruolo
dell’insegnante. È necessario, inoltre, evidenziare che queste differenti applicazioni possono essere
utilizzate in ambiti disciplinari distinti. Alcune di esse si prestano maggiormente l’utilizzo in aree
disciplinari a carattere umanistico, altre ad indirizzo scientifico, altri ancora per attività di rinforzo e
di avvio dei lavori. L’insegnante deve dedicare molta attenzione alle competenze sociali e al loro
insegnamento, soprattutto per quanto riguarda il chiedere di fornire aiuto ai compagni. La relativa
valutazione riguarda sia i risultati ottenuti dal gruppo, sia l’impegno e le modalità di interazione
attivate all’interno dello stesso.

COOPERATIVE LEARNING
Il Cooperative Learning può essere definito come un insieme di tecniche di conduzione della classe,
grazie alle quali gli alunni lavorano in piccoli gruppi, composti da 2 a 5 elementi eterogenei per
attività di apprendimento e ricevono valutazioni in base ai risultati acquisiti. Questa metodologia in
Italia si è sviluppata grazie allo studio di Marco Comoglio. La caratteristica più significativa è
l’INTERDIPENDENZA POSITIVA tra i componenti del gruppo, cioè quella condizione per cui
ogni membro agisce e si comporta in modo collaborativo perché convinto che solo dalla
collaborazione può scaturire il proprio successo e quello degli altri membri del gruppo. Questo
permette lo sviluppo delle capacità relazionali, il miglioramento del clima della classe. Il
DISACCORDO e il CONFLITTO COGNITIVO possono essere fonte di apprendimento
concettuale. L’esposizione a differenti punti di vista, attraverso il confronto, aiuta gli alunni ad
esaminare in modo più oggettivo quel che li circonda e ad usare prospettive diverse.

Descrivi un’attività di cooperative learning


L’apprendimento cooperativo attraverso la collaborazione e la cooperazione rappresenta una via
naturale di insegnamento e apprendimento. Il gruppo deve essere organizzato prevedendo un
numero limitato di allievi, preferibilmente da due a sei, ad ogni studente deve essere assegnato un
ruolo e un compito preciso per perseguire il risultato atteso. I gruppi con pochi componenti
favoriscono la partecipazione attiva di tutti i membri quindi dell’interdipendenza positiva,
incrementano la responsabilità individuale e diminuiscono la possibilità di disattendere gli impegni
presi. I gruppi devono essere formati seguendo un criterio di eterogeneità come il livello di
competenza e la classe sociale. Il Jigshaw è una tecnica di lavoro di gruppo, detta anche puzzle,
elaborata da Arounson nel 1971 nella quale gli studenti studiano delle parti di un compito diverse
rispetto a quelle assegnate agli altri compagni che poi verranno unite insieme per terminare il
lavoro. Ogni parte attribuita allo studente è essenziale per la comprensione e per il completamento
del lavoro finale, ogni gruppo riceve un foglio con delle informazioni su un argomento diverso che
andrà poi a confrontarsi con un altro gruppo di esperti, composto da studenti che hanno studiato lo
stesso argomento per approfondire la discussione ed essere in grado di riportare la spiegazione al
gruppo originale . Nel processo di organizzazione del Jigshaw ogni studente dipende dall’altro,
questo incoraggia l’ascolto attivo e l’empatia. Inoltre, è una tecnica che vede la competizione non
nella sua accezione negativa ma come stimolo che insieme alla cooperazione, permette di
conseguire gli obiettivi.
La Flipped classroom
La Fc o classe capovolta è un classico esempio di rovesciamento delle tradizionali metodiche di
insegnamento. Tale strategia parte dall’assunto che il primo approccio verso la comprensione e lo
studio della disciplina e dei suoi contenuti debba avvenire a casa anziché a scuola. L’analisi del
materiale di studio offerto ai ragazzi permette di al docente di tarare questi ultimi alle effettive
capacità dei discenti mentre, l’aver più tempo in classe consentirà un maggior aiuto ai singoli e la
messa in campo di strategie didattiche come il peer tutoring e l’apprendimento cooperativo. Trattasi
di una metodica che trova applicazione soprattutto nella scuola secondaria ma ben si presta anche
per la primaria. Nello specifico, la FC trova sviluppo in un processo articolato su tre fasi ovvero:
visione preliminare di video e di materiali presenti su internet e/o appositamente predisposti dal
docente; i compiti, che vengono svolti in classe anziché a casa, con notevoli riflessi positivi dal
punto di vista inclusivo dato che il docente avrà cosi la possibilità di adattarli e renderli più vicini
agli interessi e alle capacità di ognuno; il processo valutativo che consente, data l’elevata mole di
materiale a disposizione del docente(verifiche), permette di un maggiore monitoraggio delle
capacitò dei singoli.

Circle time
Il Circle Time rappresenta un momento in cui, come suggerisce il nome stesso, gli alunni si siedono
in cerchio con un coordinatore (l’insegnante), che fa anch’esso parte del cerchio, proprio perché il
Circle Time rappresenta un momento di parità, dove tutti riescono a vedersi in faccia e ad esprimere
le proprie opinioni ed emozioni liberamente. L’insegnante ricopre nel cerchio un ruolo di
mediatore, proponendo l’argomento e dando una direzione sia alla conversazione che ai contributi
degli alunni, ma in questo caso non fa parte del suo compito rispondere alle domande e ai dubbi
degli studenti in modo diretto. L’obiettivo principale del Circle Time è infatti quello di facilitare la
comunicazione tra pari e approfondire la conoscenza reciproca tra gli alunni, in modo da creare
integrazione all’interno della classe, creando un clima sereno imparando ad ascoltare gli altri e di
valorizzare le competenze dei singoli e del gruppo. Ovviamente, il Circle Time rappresenta uno
strumento di prevenzione e risoluzione delle eventuali conflittualità all’interno della classe e
permette anche all’insegnante di conoscere meglio i propri alunni e le dinamiche presenti all’interno
del gruppo. Affinché sia svolto correttamente, la programmazione da parte del gruppo docenti è
fondamentale. Senza seguire una struttura precisa di argomenti da trattare o di fasi da affrontare,
rischia di diventare un percorso meno utile.

MASTERY LEARNING
È un metodo di insegnamento individualizzato che permette agli alunni di assumersi responsabilità
del proprio apprendimento e che punta allo sviluppo di abilità metacognitive attraverso
l’organizzazione dei processi di apprendimento sulla base delle differenze interindividuali dei
soggetti in formazione. I percorsi didattici vengono suddivisi in segmenti essenziali, detti frame, che
contengono informazioni e contenuti minimi, la cui acquisizione da parte dello studente viene
immediatamente verificata. In base al risultato della verifica è possibile stabilire se per quel singolo
studente sia necessario ricorrere ad attività di recupero o sia possibile saltare alcuni frame successivi
o proporre attività di approfondimento del frame. Il fattore determinante è quello temporale: a tutti
deve essere garantita la possibilità di dedicare tempo per giungere alla padronanza
nell’apprendimento. Un importante contributo a tale metodo è quello di S.Bloom psicologo
dell’educazione statunitense.

AUSUBEL E L’APPRENDIMENTO SIGNIFICATIVO


Lo psicologo statunitense David Ausubel ha concentrato i suoi studi sulla qualità degli
apprendimenti da parte degli studenti. Per lui solo l’apprendimento significativo è degno di
attenzione, riferendosi a quel tipo di conoscenza che, per realizzarsi, richiede la messa in campo di
percorsi cognitivi complessi e non riconducibili alla mera accumulazione mnemonica di nozioni.
Affinché un apprendimento sia significativo, ovvero dotato di senso, è necessario che le nuove
informazioni vadano ad “agganciarsi” a esperienze e cognizioni pregresse del discente, così da
creare in lui associazioni e mappe mentali che agevolano la memorizzazione. L’apprendimento
significativo, inoltre, avviene per scoperta: il docente non deve limitarsi a trasferire contenuti, bensì
è opportuno che egli induca lo studente a comprendere da se i processi e le dinamiche che regolano
i fenomeni oggetto di studio. A questo scopo, si rivelano particolarmente efficaci le attività
laboratoriali, gli esercizi di problem solving, le uscite didattiche e la messa in campo di tutti quegli
strumenti applicativi funzionali allo studio della disciplina d’insegnamento.
APPRENDIMENTO SIGNIFICATIVO
L’apprendimento significativo è un apprendimento che si basa sulla ricerca e la rielaborazione delle
conoscenze che consente di dare un senso a queste ultime, sia attraverso l’integrazione delle nuove
informazioni con quelle già possedute, sia attraverso l’utilizzo delle stesse in contesti e situazioni
differenti. L’obiettivo è che la persona che apprenda e sviluppi capacità di problem solving, di
pensiero critico, di metariflessione. Questo permette di trasformare le conoscenze in competenze.
Con l’apprendimento significativo il soggetto diventa autonomo. Si contrappone all’apprendimento
meccanico in cui l’individuo memorizza le nuove informazione senza metterle in relazione alle
conoscenze precedenti o quando il materiale di studio non ha nessuna relazione con esse. Affinché
l’apprendimento significativo avvenga sono necessari: conoscenze pregresse che devono collegarsi
alle nuove informazioni, materiale significativo costituito da conoscenze rilevanti e concetti
significativi e decisione consapevole dell’alunno, cioè deve avere bene in mente che deve
apprendere in modo significativo e non mnemonico. Per Jonassen per fare in modo che
l’apprendimento sia significato è necessario “che apprenda in modo attivo, costruttivo, intenzionale,
autentico e collaborativo”.

Creatività e apprendimento
La creatività è una capacità più che una dote innata, e può essere “educabile” (Dewey) e sviluppata,
per cui contesti formativi in cui la divergenza viene promossa e sollecitata aiutano a potenziare e
rinforzare atteggiamenti e comportamenti creativi. Per Bruner, l’azione creativa innesca “una
sorpresa produttiva” e, in essa, un ruolo importante viene svolta dalla metacognizione. Guilford
associa il concetto di pensiero divergente alla creatività: coltivare la creatività, il pensiero
divergente vuol dire affinare lo spirito critico che permette di analizzare e valutare tante soluzioni
possibili per un dato problema. L’insegnante creativo deve sostenere un approccio verso la
risoluzione di problemi (problem solving) promuovendo la diversità di opinioni. Una scuola che
mira a sviluppare la creatività è una scuola centrata sullo studente che sollecita la curiosità e la
voglia di imparare ad imparare sviluppando abilità metacognitive. Abilità e competenze, al
contrario della mera trasmissione di nozioni, sono parte di un processo in fieri che se adeguatamente
sollecitato non conosce fine (Lifelong learning). Le strategie e tecniche più efficaci nella didattica
per sviluppare la creatività sono: il già citato problem solving, il brainstorming, il role-play, il cicle-
time.

Tecniche didattiche per promuovere la creatività.


La creatività rappresenta un costrutto difficile da definire in modo univoco. Possiamo affermare che
un atto creativo è tale quando produce qualcosa di originale, è un processo produttivo, laterale e
divergente contrapposto al pensiero consueto e razionale. La scuola ha il compito di fornire, oltre
alle abilità strumentali e didattiche, anche la valorizzazione di tutte le forme di intelligenza e di
sviluppare, oltre alla conoscenza, anche il pensiero creativo. Per stimolare la creatività si possono
adoperare attività laboratoriali all’interno della didattica che favoriscono lo sviluppo del pensiero
divergente utilizzando contesti narrativi, il problem solving e il problem posing. Una delle tecniche
più diffuse è il Brainstorming, letteralmente ”tempesta di idee” che utilizza il gruppo come agente
moltiplicatore di nuove idee con lo scopo di far emergere il più alto numero di soluzioni possibili su
un argomento precedentemente predefinito. Altra tecnica di uso comune sono le mappe mentali in
quanto favoriscono connessioni nuove tramite associazioni di idee.
La PEER EDUCATION e PEER COLLABORATION
La PEER EDUCATION è un metodo in base al quale un piccolo gruppo di “PARI” numericamente
ridotto rispetto al gruppo di appartenenza e che è parte di un determinato contesto ambientale, opera
attivamente per informare e influenzare il resto del gruppo. La peer education risale ai primi anni
del 1800 quando gli alunni imparavano a tenere lezioni per altre scolaresche, relativamente ad
argomenti che avevano già imparato. A partire dagli anni 70 si realizza un’ampia diffusione nei
contesti piu’ svariati. La PEER COLLABORATION è invece la collaborazione tra “pari”; gli
studenti devono svolgere un compito e all’interno del gruppo nessuno si trova in posizione
istituzionale di superiorità rispetto all’altro, in relazione al compito. Gli alunni devono aiutarsi e
completarsi per portare a complimento la loro attività di apprendimento. Le teorie cognitive si
concentrano sugli effetti positivi del lavorare insieme. Vygoskij ha sottolineato l’importanza della
dimensione sociale per la formazione del soggetto. PIAGET ha ribadito che ogni conoscenza di tipo
sociale puo’ essere appresa solo in interazione con gli altri.

Problem solving e task analisys


Il termine problem solving (in italiano letteralmente “risoluzione di un Problema”), può essere
definito come un approccio didattico teso a sviluppare, sul piano psicologico, comportamentale ed
operativo, l’abilità nella risoluzione di problemi. L’approccio scientifico alla risoluzione dei
problemi si sviluppa generalmente secondo uno schema intuitivo: percezione dell’esistenza di un
problema, definizione del problema, analisi del problema e divisione in sottoproblemi, formulazione
di ipotesi per la risoluzione del problema, verifica della validità delle ipotesi, valutazione delle
soluzioni, applicazione della soluzione migliore. La task analisys o analisi della attività, tratta di un
modello che viene applicato alle attività in classe per scoprire quali componenti del  curriculum  si
adattano bene alle capacità degli studenti con  difficoltà di apprendimento  e quali modifiche delle
attività potrebbero essere necessarie, cioè una sequenza di azioni e abilità più semplici per
raggiungere uno specifico obiettivo.

DAAI e ADHD e relative strategie


L’ICF classifica il disturbo dell’attenzione dell’attività nell’ambito dei Disturbi ipercinetici.
Caratteristiche fondamentali di tali patologie sono una persistente disattenzione associata o meno a
iperattività impulsività. Più precisamente per deficit dell’attenzione si intende “l’incapacità di
soddisfare le richieste o eseguire suggerimenti e regole” e si manifesta generalmente nell’infanzia
anche se non possibile stabilirlo a priori. Per iperattività invece si intende “l’incapacità del soggetto
a restare fermo mostrando irrequietezza, incapacità nel riposarsi e rilassarsi ecc”. Per impulsività,
infine, si intende” l’incapacità del soggetto a gestire e/o trattenere le proprie reazioni. Dopo
un’attenta analisi della situazione di partenza, per poter contenere l’eccessiva attività occorre
cercare di incanalare la stessa in modo adeguato (non cercare di ridurla), è necessario attribuire dei
compiti specifici al ragazzo in modo tale da permettere uno spostamento controllato all’interno
della classe, utilizzare le attività stesse assegnate come premi, utilizzare metodi di insegnamento
che incoraggino la risposta attiva. Per contenere l’eccessiva impulsività è opportuno rinforzare le
convenzioni sociali, aumentare l’autostima facendo leva sulle sue capacità positive, rinforzare i
ruoli ecc.
DE BONO
Edward De Bono è uno dei principali studiosi della creatività ed ha introdotto il concetto di
“Pensiero laterale”, inteso come modalità di risoluzione di problemi (problem solving) che prevede
un approccio particolare, ovvero l'osservazione del problema da diverse angolazioni, contrapposta
alla tradizionale modalità che preferisce una unica soluzione diretta al problema. Il principio che sta
alla base di questa modalità è simile al Pensiero divergente di Guilford. La creatività è pensiero
divergente e per ciascun problema è sempre possibile individuare diverse soluzioni,
contrapponendosi al pensiero convergente, che è un pensiero logico, matematico, rivolto solo ad
una unica soluzione limitata. De Bono afferma che, se si affronta un problema è necessario trovare
una soluzione veramente diversa ed innovativa, che contribuisca cioè ad un reale passo evolutivo
rispetto alle condizioni preesistenti. Si deve perciò abbandonare il pensiero verticale, cioè quello
basato sulle deduzioni logiche, per entrare nella lateralità del pensiero creativo. De Bono è
l’idealizzatore del famoso metodo “Sei Cappelli per Pensare”, utilizzato per affrontare i problemi
sotto diversi punti di vista, rappresentati dai diversi colori dei cappelli (bianco, rosso, verde, nero,
blu, giallo).

GARDNER: LE INTELLIGENZE MULTIPLE


Howard Gardner sostiene la teoria delle intelligenze multiple, in cui si continua a considerare
l’intelligenza come composta da abilità distinte, ma tali abilità si riferiscono non soltanto alla sfera
intellettiva, bensì sono individuate in una maggiore varietà di campi. Gardner, in particolare,
ipotizza l’esistenza di sette forme di intelligenza: 1.intelligenza logico-matematica: è tipica di
scienziati, ingegneri, tecnologi; 2.intelligenza linguistico-verbale: è tipica dei poeti, scrittori,
operatori, linguisti; 3.intelligenza spaziale: è tipica di scultori, pittori, esploratori, chirurghi;
4.intelligenza corporeo cinestetica: tipica d ballerini, direttori d’orchestra o attori; 5. intelligenza
musicale: tipica dei compositori, musicisti e cantanti; 6.intelligenza interpersonale: è tipica di
politici, leader, psicologi; 7. intelligenza intrapersonale: tipica degli attori. A questi tipi Gardner ha
aggiunto successivamente: -intelligenza naturalistica: tipica degli antropologi, biologi, medici ecc.;
-intelligenza esistenziale: è tipica di filosofi, fisici e astronomi. La scuola non può concentrarsi solo
nella valorizzazione dell’intelligenza logico-matematica e linguistica, in quanto non fa che demolire
tutti quegli studenti che potrebbero sviluppare altre forme di intelligenza. Gli insegnanti devono
attraverso stimoli comunicativi, promuovere varie strategie per stimolare le diverse intelligenze
degli studenti.

Bandura
Bandura formulò la teoria dell’apprendimento sociale. Secondo Bandura l’apprendimento avviene
tramite modellamento, che consiste nell’osservare un modello e nell’imitare il suo comportamento.
Pertanto l’apprendimento non avviene tramite contatto diretto, ma tramite esperienze indirette, che
coinvolgono l’osservazione, per tale motivo questo tipo di apprendimento sarà anche detto
apprendimento osservativo o vicario. Bandura afferma che l’apprendimento, seppur avviene
osservando, è un processo cognitivo, e per spiegarlo introduce il concetto di determinismo reciproco
o reciprocità triadica, secondo cui chi osserva non riceve gli eventi in modo passivo, ma c’è
un’influenza reciproca tra la persona, l’ambiente e il comportamento. Le fasi che permettono
l’apprendimento sono: l’attenzione, che permette di percepire e comprendere gli eventi, la
conservazione, che permette di memorizzare il comportamento sotto forma di immagine o parole, la
riproduzione, che permette di eseguire il comportamento osservato e infine la motivazione,
essenziale affinché il comportamento appreso venga riprodotto. Il comportamento, infatti affinché
sia riprodotto dipende dal rinforzo, detto vicario o indiretto, che ottiene la persona osservata , se tale
rinforzo è ritenuto importante dalla persona che osserva , allora egli riprodurrà il comportamento,
altrimenti il comportamento non sarà riprodotto.

IL RUOLO DELL’INSEGNANTE NELLO SVILUPPO DELL’INTELLIGENZA EMOTIVA


Lo psicologo Daniel Goleman definisce l’intelligenza emotiva la capacità di gestire e monitorare i
propri sentimenti e quelli altrui al fine di raggiungere obiettivi. Egli infatti distingue tra:
-intelligenza emotiva personale che riguarda la gestione dei propri stati emotivi, autocontrollo e
capacità di alimentare la propria motivazione; -intelligenza emotiva sociale ossia empatia e rispetto
per le diversità. È fondamentale “educare alle emozioni” infatti le figure di riferimento (genitori,
insegnanti, educatori) nella relazione devono aprirsi all’ascolto, alla condivisione, alla
sintonizzazione empatica, per promuovere cambiamenti costruttivi, adattivi ed evolutivi nei soggetti
in formazione. In quest’ottica l’apprendimento nasce attraverso un processo che è affettivo e
cognitivo insieme. Solo l’insegnante che permette ai propri allievi attraverso la partecipazione
attiva, la cooperazione, da sviluppare i propri interessi otterrà una maggiore fissazione di quanto
appreso. Il docente che intende aiutare l’alunno in modo da attuare la pienezza del suo potenziale
educativo è “un insegnante affettivo”. Egli deve percorrere l’itinerario del dialogo e dell’ascolto
attivo della condivisione dei vissuti, delle esperienze e degli scambi anche al di fuor della classe.

Vygostkij, l’ambiente e lo sviluppo cognitivo


Lo sviluppo cognitivo di Vygostkij è il fondamento della corrente costruttivista. Egli afferma che i
bambini non sono destinatari passivi della conoscenza, ma la costruiscono a partire dalle
informazioni che ricevono dall’esterno. Questa teoria è riconosciuta in tutto il mondo poiché è
sostenitrice dello sviluppo socioculturale dell’individuo. L’apprendimento umano è quindi inteso
come processo sociale. La teoria è incentrata sull’interazione tra individui in fase di sviluppo e il
contesto culturale in cui vivono. Ogni cultura dunque fornisce all’individuo gli strumenti per
l’adattamento cognitivo che ovviamente variano a seconda del contesto culturale. Il processo di
apprendimento sociale precede lo sviluppo cognitivo. Proprio per questo motivo Vigotskij si
discosta da Piaget: ci sono di certo delle competenze di base, ma non sono universali proprio perché
il contesto culturale è variabile. Ne consegue che attraverso l’interazione all’interno di un contesto
socioculturale, le funzioni di base preesistenti (attenzione, sensazione, percezione e memoria)
possano svilupparsi in metodi e strategie sempre più efficaci che Vygostkj stesso chiama funzioni
mentali superiori.

Alfabetizzazione emotiva (Social Emotional Learning)


Viviamo in una società in cui la circolazione delle informazioni è massima e il contatto
interpersonale è ridotto al minimo non solo tra i pari ma anche tra genitori e figli. Questa mancanza
rischia di portarci ad un alfabetismo emotivo a dir poco preoccupante. L’intelligenza emotiva è
definita come capacità di riconoscere i nostri sentimenti e quelli degli altri, di motivare noi stessi e
di gestire positivamente le emozioni, tanto interiormente quanto nelle nostre relazioni. Goleman
afferma che non dobbiamo lasciare l’educazione emozionale al caso, ma adottare corsi innovativi a
scuola che insegnino l’autocontrollo, l’autoconsapevolezza, l’empatia, l’ascolto e la cooperazione.
Nel 1994 fu fondato da Goleman e altri il CASEL per far riconoscere il Social Emotional Learning
(SEL), in italiano apprendimento sociale ed emotivo, come una parte essenziale dell’istruzione dalla
fase prescolare al liceo. Il programma SEL è articolato in 5 abilità diverse: la consapevolezza
emotiva (ovvero saper identificare e riconoscere le emozioni); la consapevolezza sociale (ovvero
empatia, rispetto per gli altri e la valorizzazione delle diversità); l’autoregolazione emotiva (cioè
saper regolare e controllare le proprie emozioni); le abilità relazionali (comunicare, cooperare,
negoziare, prestare e chiedere aiuto); la capacità di prendere decisioni responsabili. Le scuole
devono promuovere l’educazione socio-emotiva perché le relazioni stanno alla base
dell’apprendimento e perchè le competenze emotive sono una prevenzione per i comportamenti a
rischio. Gli allievi che hanno buone relazioni con gli altri sono migliori studenti. Gli allievi che
sentono che i loro docenti si interessano per loro sono più motivati. Cosa fare in classe? Si possono
attuare azioni dirette ed azioni indirette. Azioni dirette sono: -Insegnare in modo sistematico e
graduale le 5 competenze dell’azione socio-emotiva (SEL); -Integrare l’insegnamento delle
competenze SEL alle discipline scolastiche; -Promuovere strategie didattiche attive. Le azioni
indirette invece riguardano: creare un ambiente di apprendimento favorevole (per esempio
promuovere l’ascolto profondo, la condivisione, l’aiuto fisico e verbale, l’interazione positiva tra
pari, ecc.); coinvolgere le famiglie nelle attività ai fini del raggiungimento di traguardi di sviluppo
comuni. Dal punto di vista dell’approccio didattico complessivo è utile la messa in opera di prassi
finalizzate alla riflessione sulla esperienza emotiva personale, l’integrazione nelle materie
curricolari che maggiormente si prestano a tale integrazione, ad es. italiano: acquisire il lessico delle
emozioni, individuare le emozioni in un testo; ed. musicale: cosa provo quando ascolto; storia: la
guerra (paura, angoscia). Per comprendere il ruolo che le emozioni assumono nei rapporti sociali
risulta importante l’interpretazione della comunicazione non verbale: tono della voce, espressione
del volto, prossemica. Ulteriore strumento didattico è rappresentato dal dialogo emotivo. Efficace
può essere anche la compilazione di un diario delle emozioni, la lettura e la scrittura di racconti, la
drammatizzazione o role-playing (recitare vuol dire immedesimarsi, mettersi nei panni di…).

L’ATTIVISMO PEDAGOGICO DI DEWEY


La teoria pedagogica di John Dewey ha costituito un momento rivoluzionario della metodologia
educativa, in grado di rispondere concretamente al mutamento sociale e culturale prodotto dalla
rivoluzione industriale. L’uomo ha bisogna di cultura e di tecnica, di teoria e di pratica, di scuola e
di lavoro. Il lavoro diventa il punto centrale della formazione, viene considerato come uno
strumento di formazione. La scuola diventa un luogo intenzionale d’istruzione, un laboratorio, dove
si utilizzano materiali didattici concepito come strumenti di lavoro, che garantiscono apprendimenti
significativi, in quanto garantiscono allo studente la possibilità di leggere la realtà. Nella scuola
concepita da Dewey l’educatore ha la funzione di guidare e di stimolare l’esperienza senza
imposizioni e forzature. La nuova scuola sarà in grado di garantire un’educazione democratica,
destinata a tutti.
LA DIDATTICA LABORATORIALE
Rientrando tra le principali metodologie didattiche attive, essa rivoluziona il tradizionale modo di
fare scuola e pone al centro del processo di insegnamento-apprendimento lo studente con i suoi
bisogni e i suoi interessi, valorizzando le sue diverse abilità e le sue potenzialità; Trova la sua
principale matrice teorica nell’attivismo pedagogico di J. Dewey, nel principio del learneng by
doing, letteralmente “imparare facendo” ed Infatti, l’apprendimento in laboratorio è di tipo
esperenziale, ed è quindi guidato dal bisogno del fare, di mettere in pratica le proprie conoscenze in
situazioni autentiche, per far sì che esse diventino poi competenze; inoltre, parliamo di un
apprendimento di tipo collaborativo, significativo e decontestualizzato che favorisce lo sviluppo del
pensiero creativo e in generale delle competenze personali , sociali e relazionali.

UNITA’ DIDATTICA DI APPRENDIMENTO (UDA)


L’UDA è una parte fondamentale del percorso formativo. Costituisce, infatti, un segmento del
curricolo e rappresenta un modulo didattico, progettato e strutturato dal docente per far conseguire
ai suoi studenti conoscenze, abilità e competenze. Ogni Unità di apprendimento è costituita dalle
seguenti sezioni: titolo del contenuto della proposta, destinatari, periodo, contesto didattico,
prerequisiti, competenze da acquisire (Assi culturali e Competenze-chiave), attività, strumenti e
metodologie utilizzate, monitoraggio, verifica e valutazione delle attività. L’insieme delle unità di
apprendimento danno origine al Piano di studi personalizzato che la scuola costruisce per ciascun
alunno, personalizzandolo nella progettazione, nello svolgimento e nella verifica, in base alle
peculiarità di ciascuno. A differenza dell’Unità didattica, che limitava il sapere e promuoveva solo
le conoscenze disciplinari, l’UDA si basa soprattutto su teorie costruttiviste, ovvero è l’allievo che
costruisce autonomamente il suo apprendimento, che diventa significativo. Il docente, tramite
attività laboratoriali, deve riuscire a trasmettere ai propri discenti l’importanza dell’Imparar ad
imparare, capacità molto utile per affrontare ostacoli e situazioni nuove.

MODELLO ICF
La Classificazione Internazionale del Funzionamento, della Disabilità e della Salute (ICF) fornisce
un linguaggio unificato e standard e un modello concettuale di riferimento per la descrizione della
salute e degli stati ad essa correlati (ICF, WHO 2001). L’OMS raccomanda l’uso congiunto di ICD-
10 per codificare le condizioni di salute e di ICF per descrivere il funzionamento della persona.
Questo modello di tipo bio-psico-sociale rovescia la prospettiva di analisi, non viene considerata la
menomazione, ma la salute, e le potenzialità di un individuo e le sue eventuali disabilità in relazione
all’attività e alla partecipazione. L’ICF è organizzato in 2 parti. La prima è formata da funzioni
corporee (b) e strutture corporee (s), attività e partecipazione (d), mentre la seconda prevede i fattori
ambientali (e). Queste componenti sono indicate con dei prefissi, ogni componente è poi divisa in
una serie di capitoli. L’ICF non riguarda solo le persone con disabilità, ma è applicabile a ogni
persona che si trovi in qualsiasi condizione di salute (corporea/personale/sociale). Per questo
motivo i codici ICF richiedono dei “qualificatori” i quali denotano l’entità del livello di salute o la
gravità dei problemi in questione.
OSSERVAZIONE
L’osservazione rappresenta uno strumento di ricerca qualitativo, è una strategia di ricerca che si
propone non solo finalità di analisi ma anche di cambiamento. L’osservazione educativa possiede
una sua specificità in quanto si applica a situazioni in evoluzione e in divenire. L’alunno nel suo
agire manifesta le sue necessità, l’educatore osservando individua i bisogni, le difficoltà e i
problemi. Distinguiamo una osservazione indiretta, che prevede strumenti di registrazione, da quella
diretta, dove non si utilizzano strumenti specifici, che può essere partecipata ( l’osservatore entra
nella situazione) o non partecipata ( presenza di più osservatori che non entrano nella situazione). In
ambito educativo e formativo il metodo di osservazione per eccellenza è quello partecipante poiché
pone direttamente in contatto con la realtà che si osserva e non prevede mediazione. Lo strumento
principale è la personalità dell’osservatore e l’utilizzo di specifici strumenti quali il diario, i
questionari, i test, le interviste, le schede e le griglie di osservazione e le registrazioni audio e video.

IL PAI
Il PAI è un documento che “fotografa” lo stato dei bisogni educativi /formativi della scuola e le
azioni che si intende attivare per fornire delle risposte adeguate. Conclude il lavoro svolto
collegialmente da una scuola ogni anno scolastico e costituisce il fondamento per l’avvio del
lavoro dell’a.s. successivo. Introdotto dalla Direttiva sui BES del 27/12/12 e dalla CM del 6/03/13,
il PAI è stato poi oggetto di tutta una serie di note e circolari, sia nazionali sia regionali. La
redazione del PAI, come pure la sua realizzazione e valutazione, è l’assunzione collegiale di
responsabilità da parte dell’intera comunità scolastica sulle modalità educative e i metodi di
insegnamento adottati nella scuola per garantire l’apprendimento di tutti i suoi alunni. Il PAI è
redatto entro il mese di giugno. Spetta al Gruppo di Lavoro Inclusione (GLI) e al Collegio dei
docenti approvarlo e deliberarlo entro il 30 giugno dell’a.s. in corso. Scopo del Piano è anche quello
di far emergere criticità e punti di forza, rilevando le tipologie dei diversi bisogni educativi speciali
e le risorse impiegabili, l’insieme delle difficoltà e dei disturbi riscontrati, l’importanza degli
interventi educativi e delle strategie didattiche in direzione inclusiva. I destinatari degli interventi
sono tutti gli alunni, le famiglie, il personale della comunità educante. Il PAI non deve essere visto
solo come un ulteriore adempimento burocratico, ma quale integrazione del Piano dell’offerta
formativa, di cui è parte sostanziale, inteso come un momento di riflessione di tutta la comunità
educante per realizzare la cultura dell’inclusione, lo sfondo ed il fondamento sul quale sviluppare
una didattica attenta ai bisogni di ciascuno nel realizzare gli obiettivi comuni.

PEI E PROGETTO DI VITA


Il PEI è il documento nel quale vengono descritti gli interventi integrati ed equilibrati tra di loro,
predisposti per gli alunni in situazione di disabilità, in un determinato periodo di tempo ai fini della
realizzazione del diritto all’educazione e all’istruzione (art.12 L.104/92); è redatto congiuntamente
dagli operatori sanitari della A.S.L. e dal personale insegnante curricolare e di sostegno della scuola
e, ove presente, dall’ operatore psico-pedagogico, in collaborazione con i genitori e con le altre
figure specialistiche (ai sensi dell’art. 12 comma 5 - legge 104/92). IL PROGETTO DI VITA è
parte integrante del PEI e riguarda la crescita globale e sociale dell’alunno con disabilita; esso vuole
mirare ad un innalzamento della qualità di vita del soggetto sviluppando il suo senso di autostima ,
di autoefficacia e al conseguimento delle competenze necessarie a vivere nei propri contesti di vita
quotidiana.

PIANO EDUCATIVO INDIVIDUALIZZATO


Il Piano Educativo Individualizzato (PEI) è elaborato e approvato dal consiglio di classe, con la
partecipazione dei genitori, delle figure professionali nonché con il supporto dell’unità di
valutazione multidisciplinare. E’ redatto all’inizio di ogni anno scolastico, è soggetto a verifiche
periodiche nel corso dell’anno. Individua strumenti, strategie e modalità per realizzare un ambiente
di apprendimento nelle dimensioni della relazione, della socializzazione, della comunicazione,
dell’interazione, dell’orientamento e delle autonomie. Esplicita le modalità didattiche e di
valutazione in relazione alla programmazione individualizzata, definisce gli strumenti per l’effettivo
svolgimento dell’alternanza scuola-lavoro (PCTO) assicurando la partecipazione dei soggetti
coinvolti nel progetto di inclusione, indica le modalità di coordinamento degli interventi ivi previsti
e la loro interazione con il Progetto Individuale.

Strategie didattiche per un ragazzo dislessico


La legge n. 170 del 2010 riconosce la Dislessia come Disturbi specifici dell’apprendimento. Nello
specifico per Dislessia si manifesta attraverso “difficoltà nell’imparare a leggere ed in particolare
nella decifrazione sei segni linguistici ovvero nella correttezza e nella rapidità di lettura”. Qualsiasi
approccio didattico non può prescindere da una corretta analisi della situazione di partenza ossia
attraverso l’analisi della documentazione clinica dell’allievo, conoscenza del contesto familiare e
dei terapisti, raccolta di informazioni da quanti del mondo scuola siano entrati in contatto con lo
stesso, raccolta di materiale scolastico eventualmente prodotto negli anni precedenti.
L’osservazione continua poi nel contesto classe. Acquisiti tutti i dati si passa alla stesura del PDP.
Le strategie didattiche da utilizzare in questo inserite devono esser tarate e costantemente valutate
durante il percorso didattico dell’alunno. Tra le strategie utilizzabili abbiamo: utilizzo di disegni,
scemi e mappe concettuali, limitazione del linguaggio scritto a favore di quello verbale, iconico o
mimico-gestuale, promuovere l’utilizzo di programmi di video scrittura, promuovere
l’apprendimento cooperativo utilizzando metodiche quali cooperative learning. Molto importante è
ancora il dispensare dal leggere ad alto voce, prendere appunti, copiare dalla lavagna e prevedere
rigidi tempi per le consegne.

PEDAGOGIA DEL VOTO


In ambito scolastico “valutare” significa conoscere e acquisire elementi relativi al processo di
apprendimento/insegnamento e conseguentemente, attribuire uno specifico valore al fine raggiunto,
cioè all’apprendimento dell’allievo e al percorso effettuato per raggiungerlo. Gli studenti devono
essere guidati ad assumere la consapevolezza che la valutazione non è una sentenza, emessa da un
insegnante/giudice, ma una risorsa, in quanto consente di riconoscere l’efficacia o meno delle
strategie messe in atto nel processo di apprendimento e diventare così uno dei mezzi più potenti per
migliorare i risultati. A tutti gli alunni deve essere garantito il successo formativo, inteso come
piena formazione della persona umana, nel rispetto delle identità personali, sociali, culturali e
professionali. L’insegnante deve sempre accompagnare la valutazione con una spiegazione
individuale per ciascun allievo, per guidarlo a cogliere il senso di tale valutazione e impiegarla
come risorsa. Non solo: il docente dovrebbe anche condurre l’allievo ad un’autovalutazione in
modo che possa, attraverso la metacognizione, lavorare sui suoi punti di debolezza, così viene
spinto a lavorare e a meditare sulle proprie lacune, ma anche sulle proprie capacità e potenzialità,
quindi, a riflettere sulle proprie esperienze di apprendimento. E’ perciò necessario che la
competenza valutativa dei docenti sia formata più che sulle tecniche valutative, sull’approccio
critico-pedagogico. Occorre anche che ogni docente abbia ben chiari gli oggetti della valutazione:
gli apprendimenti, conoscenze e abilità; il comportamento; le competenze disciplinari e le
competenze-chiave.

Alunni con disabilità (BES)


Per gli alunni con disabilità l’art. 12, comma 5 della legge 104/92, Stabilisce che deve essere
formulato da tutti i docenti, in dialogo con i familiari e gli operatori sociosanitari, un profilo
dinamico funzionale e il PEI, sul quale i soli docenti della classe predispongono il piano di studi
personalizzato (Legge 53/03). In tale percorso didattico, possono essere previsti: Tempi più lunghi,
l’uso di strumenti anche tecnologicamente avanzati, prove equipollenti (Dpr 323/98), ad es: Prove
scritte invece che orali o viceversa, oppure minor numero di esercizi o quiz a risposta multipla. Il
PEI deve essere formulato sulla base delle effettive capacità e potenzialità dell’alunno e la
valutazione avrà esito positivo qualora si verifichi che vi siano stati progressi rispetto ai livelli
iniziali degli apprendimenti. L’ordinanza ministeriale n.90/01 all’art. 15, Stabilisce che il consiglio
di classe possa deliberare virgola dopo la riunione del gruppo di lavoro per l’handicap operativo
GLHO, lo svolgimento di un pei semplificato o per obiettivi minimi virgola che viene formulato
con l’indicazione da parte di ciascun docente di quelli che a suo avviso sono gli elementi essenziali
che debbono essere posseduti per ottenere un giudizio di sufficienza. se il GLHO non ritiene che
l’alunno sia in grado di raggiungere neppure la sufficienza, allora delibera, seguito in ciò dal
consiglio di classe, un pei differenziato rispetto ai programmi ministeriali che dà diritto solo al
rilascio di un attestato il quale, ovviamente virgola non è idoneo per le iscrizioni universitaria.
Alunni con DSA
Per gli alunni con DSA le linee guida precisano che il consiglio di classe deve predisporre un PDP.
In esso deve essere indicato per ogni disciplina l’eventuale strumento compensativo o dispensativo
deliberato. Sugli strumenti compensativi e dispensativi le linee guida del 12 luglio 2011 si
soffermano in modo particolare; il loro utilizzo è finalizzato a dispensare l’alunno da talune
prestazioni didattiche che gli risulterebbero particolarmente difficili a causa della sua dislessia,
disgrafia, discalculia o disortografia (quali ad es: la lettura ad alta voce e la scrittura sotto dettatura
veloce) o di permettergli di utilizzare la calcolatrice o un computer con correttore automatico. Nel
caso della dispensa dallo scritto di una o più lingue straniere, scatta una misura compensativa,
secondo cui l’alunno deve sostenere una prova orale, ove non prevista, oppure una prova orale più
approfondita per compensare l’assenza dello scritto. Le linee guida hanno precisato che, su richiesta
della famiglia, corredata da certificazione medica e approvata con delibera del consiglio di classe,
un alunno viene non dispensato ma esonerato dallo studio e quindi dalle valutazioni ed esami di una
lingua straniera, questi non potranno iscriversi all’università. Non vengono assegnati docenti per il
sostegno, se non nel caso di comorbilità. Le valutazioni di alunni con DSA sono annullabili qualora
i docenti non abbiano rispettato il PDP concordato con la famiglia o qualora non abbiano concesso
gli strumenti compensativi o dispensativi previsti.
Legge 170/2010
La legge 170/2010 introduce le forme didattiche adeguate, le agevolazioni, i supporti
all’insegnamento che le scuole devono adottare nei confronti degli studenti con DSA. Viene
definito il diritto dello studente con diagnosi DSA di “fruire di appositi provvedimenti dispensativi
e compensativi di flessibilità didattica nel corso dei cicli di istruzione e formazione e negli studi
universitari”. La legge dispone strumenti compensativi da utilizzare nella didattica all’alunno con
DSA indicati nel PDP (Piano Didattico Personalizzato) che sono vari, tra cui elenchiamo le mappe
concettuali, la registrazione delle lezioni, i testi in digitale e la sintesi vocale per la lettura, l’utilizzo
della calcolatrice; e introduce l’utilizzo di strumenti dispensativi, valutati in base alle capacità dello
studente con DSA, come le interrogazioni programmate, le verifiche orali e non scritte, tempi
supplementari per lo svolgimento delle prove, la valutazione dei contenuti e non della forma nei
testi scritti, la dispensa dal copiare e prendere appunti e dall’uso del corsivo. Le finalità della legge
sono molteplici: 1) garantire il diritto all’istruzione; 2) assicurare uguali opportunità; 3) favorire il
successo scolastico; 4) garantire una formazione adeguata; 5) promuovere lo sviluppo delle
potenzialità del ragazzo; 6) ridurre i disagi relazionali ed emozionali dovuti al disturbo; 7)
incrementare la comunicazione tra famiglia, scuola e servizi sanitari durante il percorso di
istruzione e di formazione.

Il Piano Triennale dell’Offerta Formativa


Il piano è il documento fondamentale costitutivo dell'identità culturale e progettuale delle istituzioni
scolastiche ed esplicita la progettazione curricolare, extracurricolare, educativa e organizzativa che
le singole scuole adottano nell'ambito della loro autonomia. Viene predispongono entro il mese di
ottobre dell’anno scolastico precedente al triennio di riferimento. E’ coerente con gli obiettivi
generali ed educativi dei diversi tipi e indirizzi di studi, determinati a livello nazionale, e riflette le
esigenze del contesto culturale, sociale ed economico della realtà locale, tenendo conto della
programmazione territoriale dell'offerta formativa. Esso comprende e riconosce le diverse opzioni
metodologiche, anche di gruppi minoritari, valorizza le corrispondenti professionalità. Viene
elaborato dal collegio dei docenti sulla base degli indirizzi per le attività della scuola definiti dal
dirigente scolastico, ed approvato dal consiglio d'istituto. Ai fini della predisposizione del piano, il
dirigente scolastico promuove i necessari rapporti con gli enti locali e con le diverse realtà
istituzionali, culturali, sociali ed economiche operanti nel territorio; tiene altresì conto delle
proposte e dei pareri formulati dagli organismi e dalle associazioni dei genitori e, per le scuole
secondarie di secondo grado, degli studenti. La legge 107 istituisce l’organico dell’autonomia,
funzionale alle esigenze didattiche, organizzative e progettuali delle istituzioni scolastiche. I docenti
dell’organico dell’autonomia concorrono alla realizzazione del piano triennale dell’offerta
formativa con attività di insegnamento, di potenziamento, di sostegno, di organizzazione, di
progettazione e di coordinamento.

GLI AMBITI DEL RAV


Il Rapporto di autovalutazione (RAV) è un documento che tutte le scuole devono redigere ai sensi
del D.P.R. 80/2013, ed esprime la capacità di ogni scuola autonoma di compiere un autentica
autoanalisi, un percorso di riflessione interno sul suo funzionamento e sui propri punti di forza e di
criticità per poi individuare le priorità di sviluppo verso cui orientare il PdM, ovvero il Piano di
Miglioramento. Il RAV è redatto dal DS con la collaborazione del nucleo di valutazione e prende in
esame 5 ambiti: Il contesto e le risorse socio-economiche in cui la scuola opera; Gli esiti degli
studenti, in particolare il raggiungimento delle competenze chiave europee e di cittadinanza; I
processi messi in atto dalla scuola; ( le pratiche didattico-educative, le metodologie, i processi di
inclusione etc...); Il processo di autovalutazione, cioè i metodi utilizzati e le persone coinvolte nel
processo; L’individuazione delle priorità, ovvero i traguardi e gli obiettivi di processo che si
intendono raggiungere con l’elaborazione del PdM che poi entra a far parte del PTOF.

L’AUTONOMIA DI RICERCA, SPERIMENTAZIONE E SVILUPPO


In base all’art.6 del P.P.R. 275/1999 le istituzioni scolastiche, singolarmente o tra loro associate,
esercitano l’autonomia di ricerca, sperimentazione e sviluppo tenendo conto delle esigenze del
contesto culturale, sociale ed economico delle realtà locali. Fra le prerogative assegnate figurano: la
formazione e l’aggiornamento culturale e professionale del personale scolastico; l’innovazione
metodologica e disciplinare; gli scambi d informazioni, esperienze e materiali didattici;
l’integrazione fra le diverse articolazioni del sistema scolastico e fra i diversi sistemi formativi; la
ricerca didattica. In ambito scolastico gli elementi essenziali di ricerca, sperimentazione e sviluppo
sono da individuare nella libertà di insegnamento, nell’opportunità di rispondere adeguatamente ai
bisogni educativi degli studenti e alle attese delle famiglie e del territorio migliorando l’efficacia del
processo di insegnamento e apprendimento. Le istituzioni scolastiche possono potenziare lo
scambio di informazione e documentazione attivando collegamenti con gli istituti regionali di
ricerca, con università e con altri soggetti pubblici privati. Il modello di ricerca più diffuso nelle
scuole è la ricerca-azione con lo scopo di introdurre nella pratica dei cambiamenti migliorativi.
COMPETENZE CHIAVE
Ogni scuola, all’interno del PTOF (Piano Triennale dell’Offerta Formativa), deve obbligatoriamente
predisporre il Curricolo, che rappresenta il percorso educativo-didattico che la scuola progetta ed
esegue per garantire il successo degli obiettivi di apprendimento e le competenze specifiche delle
varie discipline. Le competenze rappresentano la capacità, in un determinato contesto, di unire
conoscenze, abilità e capacità personali, sociali e metodologiche. Il D.Lgs. 139/2007 definisce
quelle che sono le competenze di base (Assi culturali) che gli alunni devono possedere per
sviluppare le competenze disciplinari e le otto competenze-chiave per la cittadinanza e
l’apprendimento permanente, che sono: Imparare ad imparare, comunicare, agire in modo autonomo
e responsabile, risolvere problemi, progettare, collaborare e partecipare, individuare collegamenti e
relazioni, acquisire ed interpretare l’informazione. Queste competenze sono importanti per la
realizzazione e lo sviluppo personali, la cittadinanza attiva, l’inclusione sociale e l’occupazione. Il
docente, nella pratica didattica, è chiamato ad utilizzare tecniche e metodologie che promuovano
queste competenze trasversalmente alle discipline curricolari.

BULLISMO E CYBERBULLISMO
Nelle Linee guida del Consiglio Europeo del 18 novembre 2009 il bullismo viene definito come un
comportamento aggressivo ripetuto nel tempo, che tende a ferite fisicamente o moralmente un altro
individuo. Si può distinguere una forma diretta di bullismo da una forma indiretta. Quest’ultima
mira ad isolare la vittima attraverso la manipolazione del suo gruppo di supporto. Una forma
particolarmente pericolosa di bullismo è il così detto cyber bullismo, che sfrutta l’uso delle nuove
tecnologie e soprattutto dei social per aggredire la vittima. La velocità con cui si diffondono le
informazioni su internet e l’anonimato del bullo rendono questa forma di bullismo ancora più
temibile. La soglia delle fasce di età dove si verifica questo fenomeno comportamentale si è via via
abbassata, oggi si contano numerosi casi di cyber bullismo anche in tenera età. Il governo italiano si
è impegnato ad ostacolare la diffusione con la legge 71/2017 promuovendo all’interno delle scuole
una corretta educazione all’uso di internet.

Didattica Personalizzata scuola secondaria di Secondo Grado


La didattica personalizzata e la didattica individualizzata sono strumenti che garantiscono il diritto
allo studio in un’ottica inclusiva. La legge 53/2003 e il Decreto legislativo 59/2004 sono di
fondamentale importanza per comprendere che individualizzazione e personalizzazione didattica
non sono dei sinonimi. La scuola italiana mette in campo un’organizzazione flessibile per
consentire ad ogni studente la possibilità di sviluppare le proprie potenzialità ed è in quest’ottica
che va intesa la didattica personalizzata. Essa, infatti, è calibrata sui bisogni del singolo studente e
quindi può porsi obiettivi diversi per ciascun discente. La didattica personalizzata dunque si fa
carico delle differenze individuali di ogni studente e ne favorisce lo sviluppo delle potenzialità e dei
talenti. La didattica personalizzata è strettamente connessa alla specificità della persona a cui è
destinata.

La dispersione scolastica: cause e soluzioni


La dispersione scolastica è un fenomeno che interessa circa il 20% dei giovani italiani, i quali
frequentano irregolarmente i servizi di istruzione, per via di assenze prolungate o bocciature, o
abbandonano gli studi. I giovani che scelgono di abbandonare gli studi possono essere
accompagnati da un senso di fallimento dato da una passata bocciatura o dal cattivo rapporto con
uno o più professori, ma anche da un disturbo dell’apprendimento non diagnosticato. Altre ragioni
individuali che portano alla dispersione scolastica sono i disturbi d’ansia, legati all’insicurezza o
alla bassa autostima della persona, ma anche la fobia scolastica, che si manifesta soprattutto con il
passaggio dalla scuola primaria alla scuola secondaria. Per contrastare il fenomeno della dispersione
scolastica, la strategia  Europa 2020  promuove misure di prevenzione verso i soggetti a rischio, ma
anche di riavvicinamento all’istituzione scolastica per coloro che se ne sono allontanati.

LA LEZIONE FRONTALE E LA SUA EVOLUZIONE


Per lezione frontale si intende quel metodo di insegnamento tradizionale improntato sulla
trasmissione dei saperi da parte di un docente alla classe, si tratta di una trasmissione unidirezionale
dell’informazione che presuppone un ruolo passivo degli studenti. Con l’avvento della pedagogia
attiva, questa modalità di insegnamento è entrata in crisi ed è stata al centro di numerose critiche.
Quella della lezione frontale è stata concepita come una scelta vantaggiosa per alcuni aspetti, come
la trasmissione del maggior numero di contenuti alla maggior parte degli studenti nel minore tempo
possibile, ma svantaggiosa per gli studenti, che nel processo di apprendimento ricoprono un ruolo
passivo. Lo scenario culturale è cambiato la diffusione dei media, di nuovi linguaggi hanno
evidenziato i limiti del metodo tradizionale di “fare lezione”. Essa oggi si sta evolvendo diventando
più partecipata, dialogata ed interattiva grazie all’uso delle nuove tecnologie.
LE RETI DI SCUOLE
In base l’Art. 7 del DPR 275/1999 ossia del “Regolamento recante norme in materia di autonomia
delle istituzioni scolastiche”, le Istituzioni scolastiche possono promuovere o aderire ad accordi,
dando vita a Reti di Scuole per il raggiungimento delle proprie finalità istituzionali, sia per Attività
Didattiche e sia per Ricerca, Sperimentazione e Sviluppo, Formazione e Aggiornamento, ed anche
per migliorare l’amministrazione e la contabilità, per l’acquisto comune di beni e servizi e per
l’organizzazione di altre attività “coerenti con le finalità istituzionali”. Tutte le scuole, sia
singolarmente che collegate in rete, possono: 1. Stipulare convenzioni con Università Statali o
Private, con enti o agenzie che offrono il loro apporto alla realizzazione di obiettivi; 2. Promuovere
e Partecipare ad accordi e convenzioni per il coordinamento di attività di comune interesse di più
scuole; 3. Per assolvere i compiti istituzionali coerenti con il PTOF, costituire o aderire a consorzi
pubblici e privati per l’acquisizione di servizi e beni che facilitino lo svolgimento di compiti di
carattere formativo.

ORGANI COLLEGIALI
Per la gestione dell’autonomia, la scuola si avvale di Organi collegiali, ovvero organismi di governo
e di gestione delle attività scolastiche a livello territoriale e di istituto, che furono istituiti con il
decreto no 416 del 1974 e regolamentati dal decreto legislativo no 297 del 1994. Gli organi
collegiali a livello di circolo e di istituto sono: il Consiglio di intersezione nella scuola dell’infanzia,
il Consiglio di interclasse nella scuola primaria, il Consiglio di classe negli istituti di istruzione
secondaria, il Collegio dei docenti, il Consiglio di circolo o d’Istituto e la Giunta esecutiva, il
Comitato per la valutazione del servizio dei docenti e le assemblee studentesche e dei genitori. La
disciplina degli organi collegiali della scuola è contenuta nel Testo Unico in materia di istruzione
(D.lgs. 297/94). Gli Organi collegiali della scuola prevedono sempre (ad esclusione del Collegio dei
Docenti) la rappresentanza dei genitori e sono presieduti dal dirigente scolastico. Tutti gli Organi
collegiali della scuola si riuniscono in orari non coincidenti con quello delle lezioni. La funzione
degli organi collegiali è diversa a seconda dei livelli di collocazione: è consultiva e propositiva a
livello di base (consigli di classe e interclasse), è deliberativa ai livelli superiori (consigli di
circolo/istituto).

Didattica individualizzata
Nelle linee guida per il diritto allo studio degli alunni e studenti con DSA del 2011 la didattica
individualizzata viene descritta come attività di recupero individuale, che lo studente svolge per
potenziare alcune abilità, durante il lavoro in classe o in momenti dedicati. A differenza della
personalizzazione, i cui obiettivi possono essere diversi per ciascuno studente, l’individualizzazione
pone obiettivi comuni per tutti i componenti del gruppo classe sono le metodologie che si
differenziano in base alle caratteristiche individuali degli studenti.
Effetto pigmalione.
L’effetto pigmalione è una forma di suggestione, in cui le persone adeguano i comportamenti
all’immagine che hanno di loro altri individui. Tale immagine può essere positiva o negativa.
Questo effetto è anche detto “profezia che si autoavvera” o effetto “Rosenthal”, dal nome dello
psicologo tedesco che per prima scrisse tale effetto. L’effetto pigmalione è possibile osservarlo
anche in ambito scolastico, quando l’insegnante ha nei confronti degli alunni determinate
aspettative, che possono essere positive o negative, e tali aspettative finiranno poi per condizionare,
in modo inconscio, l’atteggiamento dell’insegnante nei confronti degli alunni. Tale atteggiamento
sarà percepito dagli alunni, che interiorizzando il giudizio che ha di loro l’insegnante, finiranno di
assumere quel determinato comportamento. Pertanto ogni singolo alunno tenterà a divenire come
l’insegnante lo aveva immaginato ed “etichettato”. Ovviamente questo fenomeno si rivela
pericoloso quando l’immagine, che l’insegnante attribuisce all’alunno, risulta negativa, in quanto
andrà ad incidere profondamente sia sui rendimenti scolastici che sull’autostima.

IL NUOVO RUOLO DEL DS


Il Dirigente Scolastico (Art. 25 D.lgs 165/2001) svolge funzioni di Garanzia per l’esercizio nella
scuola dei diritti costituzionalmente tutelati: libertà d’insegnamento, di scelta educativa delle
famiglie, diritto all’apprendimento da parte degli alunni. E’ coadiuvato dal DSGA ed ha la
responsabilità del DATORE di LAVORO relativamente alla sicurezza sul lavoro oltre che essere
titolare del trattamento dei dati personali. La Legge 107/2015 si è proposta la finalità di rilanciare
l’autonomia scolastica anche tramite il rafforzamento di questa figura assegnando al DS quella di:
1. Definire gli indirizzi per le attività della scuola sulla base dei quali il collegio dei docenti elabora
il PTOF; 2. Individuare il personale cui attribuire incarichi triennali sull’organico dell’autonomia; 3.
Assegnare annualmente ai docenti meritevoli, in base ai criteri individuati dal comitato per la
valutazione, il riconoscimento (BONUS) derivato dall’apposito fondo ministeriale.

Il Profilo del Docente Inclusivo


Il profilo del docente si compone di alcuni indicatori tra i quali la competenza intesa come il sapersi
orientare nel proprio campo, il complesso delle abilità come capacità di saper fare, di intervenire ed
integrare il possesso di tecniche specifiche e la riflessività che permette di avere uno sguardo critico
su se stessi, sui propri compiti e sulle proprie competenze. Il profilo del docente inclusivo si
compone di 4 aree fondamentali: 1) valorizzare la diversità dell’alunno visto come risorsa e non
come limite; 2) sostenere gli alunni; 3) lavorare con in collaborazione con docenti, famiglie e
istituzioni; 4) aggiornarsi continuamente nell’ottica di una formazione che dura tutto l’arco della
vita. La sua funzione riveste carattere fondamentale poiché l’insegnate realizza il processo di
insegnamento/apprendimento necessario a promuovere lo sviluppo umano, culturale, civile e
professionale degli alunni. Il docente dunque, sulla base degli obiettivi previsti dagli ordinamenti
scolastici definiti per i vari ordini e gradi dell’istruzione regola la sua azione portando a
compimento quelle che sono le finalità del curricolo.

IL RAPPORTO TRA INSEGNANTE DI SOSTEGNO E CURRICOLARE


Con la L. 517/1977 assistiamo all’introduzione della figura dell’insegnante di Sostegno nella scuola
elementare e media. Tale figura è stata da ultimo ridefinita dal Dlg. 66/2017 che riconosce
l’insegnante di sostegno come un docente specializzato nella didattica speciale per l’integrazione di
alunni con disabilità certificata. Un elemento essenziale per favorire l’inclusione di tutti gli alunni è
rappresentato dal raccordo dell’intervento tra docente curricolare e docente di sostegno. Il docente
curricolare può attuare una serie di interventi con la classe in presenza dello studente diversamente
abile: effettua un ripasso o un approfondimento di un determinato aspetto del programma già
affrontato, individua due percorsi METACOGNITIVI rispetto a strategie e processi per includere
tutti gli alunni. Individuare una DIDATTICA COMUNE migliora l’interazione tra docente di classe
e di sostegno e comporta il ricorso a modalità più inclusive, come il lavoro su obiettivi disciplinari.

IL RUOLO DEL CONSIGLIO DI CLASSE NELLA STESURA DEL PEI


Il Consiglio di Classe è composto dagli insegnanti che compongono la classe, integrato in specifici
momenti dai genitori degli studenti e dagli studenti stessi. Tra le sue funzioni troviamo quella di
Coordinamento Didattico e quella di stesura e realizzazione del Programma Educativo
Individualizzato (PEI) sulla base del profilo di funzionamento su base ICF (D.lgs. 96/19). Il PEI
viene redatto di anno in anno e contiene l’indicazione dettagliata degli interventi educativi e degli
interventi didattici, degli obiettivi prefissati per l’alunno ed infine i criteri di valutazione del
percorso didattico. La stesura e la realizzazione del PEI dev’essere compito di tutto il corpo docente
e se è vero che il docente di sostegno conosce meglio le caratteristiche della patologia e le tecniche
d’intervento, è altrettanto vero che l’insegnante curricolare “padroneggia” meglio i contenuti
disciplinari. E’ importante che all’interno del consiglio di classe si cerchi di favorire la creazione di
reti relazionali, per esempio con la famiglia e gli enti specialistici, per sperare su obiettivi condivisi.

WEBQUEST
Il webquest è una strategia didattica elaborata intorno al 1995, consiste nel partire da un problema
quanto più autentico possibile e chiedere agli studenti di individuare delle soluzioni attraverso la
ricerca sul web. Si tratta di una ricerca basata su materiale didattico fornito dal docente e su fonti o
siti consigliati per evitare che gli studenti si imbattano in fonti poco attendibili. Questa strategia si
divide in sei passaggi: l’introduzione in cui il docente presenta il tema dell’indagine; il compito
momento in cui il docente spiega il lavoro da realizzare, le risorse ovvero la consegna del materiale;
il processo in cui si suggeriscono le fasi di lavoro da seguire; i suggerimenti che possono essere dati
in itinere ed infine il momento conclusivo che prevede l’illustrazione dei lavori svolti.

L’uso delle tecnologie per l’inclusione.


L’inclusione si riferisce ad una strategia finalizzata alla partecipazione ed al coinvolgimento di tutti
gli studenti, con l’obiettivo di valorizzare al meglio il potenziale di apprendimento dell’intero
gruppo classe. La tecnologia ha un valore inclusivo se il lavoro che io vado a sviluppare è rivolto ad
una didattica mirata allo sviluppo delle competenze degli alunni. Una didattica inclusiva si basa
sullo sviluppo metacognitivo: gli alunni giorno per giorno sviluppino una capacità di riflettere su
ciò che fanno in classe quindi sulle capacità di autovalutazione di se stessi e del gruppo ed in questo
l’uso delle tecnologie è importante perché consente agli alunni di rivedere costantemente il
percorso, di modificare, correggere l’errore. Le tecnologie devono essere utilizzate a supporto di
studenti con specifiche disabilità come quelle visive, uditive, motorie, di supporto alla classe e a
studenti con Disturbi Specifici dell’Apprendimento , quali i software per la costruzione di mappe, i
registratori, la calcolatrice, la smartpen, il correttore ortografico, la sintesi vocale, le app di lettura.

LA COMPETENZA DIGITALE DEL DOCENTE


La Raccomandazione del Parlamento Europeo del 22 maggio 2006 ha individuato in quella digitale
una delle competenze chiave per gli studenti europei. Con l’elaborazione del Piano nazionale per la
scuola digitale l’Italia recepisce l’importanza di promuovere la competenza digitale e cerca di
preparare il terreno per una maggiore digitalizzazione scolastica. È con l’elaborazione del Piano
nazionale per la scuola digitale del 2015 che ci si concentra maggiormente sulla formazione degli
insegnanti e di tutto il personale scolastico, cercando di potenziare gli strumenti a loro disposizione.
L’uso delle nuove tecnologie stimola e motiva maggiormente la partecipazione degli studenti ed è
un utile supporto per l’inclusione grazie alla multimedialità. La competenza digitale del docente non
si risolve nelle sole abilità tecnologiche quali saper usare i software o navigare in internet ma dovrà
essere consapevole della portata cognitiva culturale della sua azione, dovrà essere in grado di
progettare attività didattiche, strutturare percorsi e realizzare contenuti didattici attraverso l’uso
delle TIC.

CONSIGLIO DI CLASSE: COMPOSIZIONE, FUNZIONE E COMPETENZE.


Il consiglio di classe è un organo collegiale, costituito dai docenti di ogni singola classe, compresi i
docenti di sostegno, dal dirigente scolastico, che lo presiede e da quattro rappresentati dei genitori,
nella scuola secondaria di primo grado, nominati entro il 31 ottobre (art. 5 D.lgs. 297/94). Il
dirigente scolastico può essere sostituito da un docente da lui delegato, facente parte del consiglio.
Importante sono la figura del coordinatore di classe e del segretario, la cui funzione è di
verbalizzare la seduta ed è nominato dal dirigente scolastico. Del consiglio di classe fanno anche
specialisti e figure istituzionali di supporto agli studenti con BES. Il consiglio di classe è un organo
a composizione differenziata. Quando è composto da soli docenti provvede a realizzare il
coordinamento didattico, i rapporti interdisciplinari, esprime parere riguardo l’ammissione degli
alunni alle classi successive ed effettua valutazione periodica e finale degli alunni; quando sono
presenti anche i rappresentanti dei genitori formula proposte al collegio dei docenti, riguardo
iniziative di sperimentazione, l’azione educativa e didattica, esprime parere riguardo l’adozione dei
libri, agevola i rapporti genitori-docenti, delibera sull’accoglimento delle domande degli alunni che
chiedono di trasferirsi durante l’anno scolastico e sulla possibilità di iscrizione nell’istituto degli
alunni che provengono da scuole italiane all’estero.

Lo sviluppo delle competenze con riferimento alle Indicazioni Nazionali


Con le Indicazioni nazionali s’intendono fissare gli obiettivi generali, gli obiettivi di apprendimento
e i relativi traguardi per lo sviluppo delle competenze dei bambini e dei ragazzi per ciascuna
disciplina. Il sistema scolastico italiano assume come orizzonte di riferimento verso cui tendere il
quadro delle competenze-chiave per l’apprendimento permanente definite dal Parlamento e dal
Consiglio dell’Unione europea (Raccomandazione del 18 dicembre 2006) che sono: 1)
comunicazione nella madrelingua; 2) comunicazione nelle lingue straniere; 3) competenza
matematica e competenze di base in scienza e tecnologia; 4) competenza digitale; 5) imparare a
imparare; 6) competenze sociali e civiche; 7) spirito di iniziativa e imprenditorialità; 8)
consapevolezza ed espressione culturale. Tale processo non si esaurisce al termine del primo ciclo
di istruzione, ma prosegue con l’estensione dell’obbligo di istruzione nel ciclo secondario e oltre, in
una prospettiva di educazione permanente, per tutto l’arco della vita.

DEFINIRE I RAPPORTI TRA SCUOLA FAMIGLIA E TERRITORIO


Nell’ottica dell’autonomia seguendo le indicazioni del D.P.R.275/99 e della L. 107/2015 la scuola
come promotrice dell’inclusività deve facilitare e potenziare i rapporti con il territorio, con gli Enti
locali e con le famiglie. Per adempiere a questo compito ogni istituzione scolastica deve costruire
contesti partecipativi dove tutti si sentano coinvolti e deve predisporre momenti di dialogo, di
confronto e di collaborazione creando alleanze concrete e significative ciò, però, non è
semplicissimo purtroppo perché da un lato, all’interno delle famiglie i rapporti sono spesso fragili e
complicati anche da realtà contestuali deprivate e d’altro canto, anche nel team docenti spesso i
rapporti sono sfuggenti e talvolta conflittuali.
D.LGS 62
Il D.Lgs 62/2017 delinea i criteri di valutazione della scuola del primo ciclo e dell’esame di Stato.
Per gli alunni della primaria è prevista l’ammissione alla classe successiva anche in presenza di
livelli di apprendimento parzialmente raggiunti e le prove INVALSI si sostengono nelle classi
seconde e quinte dove viene introdotta anche una prova in inglese. Nella secondaria di primo grado
le prove INVALSI si svolgono in terza e diventano criterio di accesso alle prove di esame. Per
accedere all’esame conclusivo del primo ciclo è prevista la frequenza di almeno ¾ del monte ore
annuale, sono previste tre prove scritte(italiano, matematica, lingue) e una orale. Per quanto
concerne l’esame di Stato si è ammessi con la frequenza di almeno ¾ del monte ore dell’ultimo
anno, voti non inferiori ai sei decimi sia nelle discipline che nel comportamento, partecipazione alle
prove INVALSI, svolgimento dell’alternanza scuola lavoro. Le commissioni sono composte da tre
membri esterni, tre membri interni e un presidente esterno. L’esame è composto da due prove scritte
( italiano e discipline di indirizzo) e una orale con l’esposizione breve elaborato anche il percorso di
alternanza scuola lavoro.
D.LGS 66
Il D. Lgs 66/2017 introduce importanti cambiamenti sia negli iter da seguire per il conseguimento
delle certificazioni, sia nei documenti, sia negli strumenti e negli organi che garantiscono
l’inclusione dell’individuo disabile. Ha determinato il riordino dei gruppi di lavoro per l’inclusione
scolastica ( GLIR, GIT, GLI), l’introduzione di un meccanismo di valutazione e autovalutazione del
livello di inclusività della scuola attraverso un’analisi del PTOF e del PAI. Viene modificato il
percorso di accertamento della disabilità, la cui richiesta sarà indirizzata all’INPS (dove verrà
analizzata da un’unità multidisciplinare), la famiglia in seguito presenterà all’ente locale e alla
scuola la certificazione e il profilo di funzionamento( che sostituisce il PDF e la DS), in base al
quale la scuola redigerà il PEI e l’Ente locale redigerà il PI (progetto individuale). Per
l’assegnazione delle ore di sostegno è previsto che il DS faccia una proposta di quantificazione
delle ore al GIT che a sua volta farà la sua proposta all’USR che assegnerà le risorse per il sostegno.
È prevista la richiesta di continuità didattica. È istituito un Osservatorio permanente per l’inclusione
scolastica presso il Miur.
Legge 53/2003
Con la legge 28 marzo 2003 n. 53, il Parlamento ha delegato il Governo ad introdurre, entro il
termine di 24 mesi dalla sua entrata in vigore, una disciplina diretta a riformare integralmente la
scuola dell’obbligo. Obiettivo della legge n. 53/2003 è, infatti, quello di garantire a tutti il diritto
all’istruzione e alla formazione per almeno dodici anni o, comunque, sino al conseguimento di una
qualifica entro il diciottesimo anno di età. Tale diritto si realizza nel primo ciclo del sistema
dell’istruzione (scuola primaria + scuola secondaria di primo grado) e nel secondo ciclo (licei +
istruzione e formazione professionale) e si propone, con ciò, lo scopo di risolvere il problema della
dispersione scolastica e formativa e di guidare i giovani verso una scelta professionale
nell’espletamento del diritto-dovere di istruzione e/o formazione. La legge si rivolge a tutti i giovani
che debbano iniziare, proseguire o concludere il percorso d’istruzione e formazione professionale
entro il diciottesimo anno d’età.

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