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PRIMA PARTE
CAPITOLO 1
TERMINOLOGIA DIDATTICA
In ginnastica il corpo umano si divide in busto e arti. Parti esterne del corpo umano:
- Busto si divide in: capo, collo, tronco;
- Arti si dividono in superiori e inferiori. L’arto superiore si divide in: spalla, braccio
propriamente detto, avambraccio, mano. L’arto inferiore si divide in: anca, coscia, gamba
propriamente detta, piede.
Due o più ossa vicine, mobili o fisse, sono unite da un insieme di parti molli e dure dette
articolazioni. Le articolazioni prese in maggiore considerazione sono:
- Nell’arto superiore, l’articolazione scapolo-omerale che unisce il braccio propriamente
detto alla spalla.
- Nell’arto inferiore, l’articolazione coxo-femorale che congiunge la coscia all’anca.
- L’articolazione del rachide (del busto) va dalle spalle alle anche.
Per riconoscere e precisare i rapporti degli arti con il busto, si immagina il corpo umano percorso
da tre assi e tagliato da tre piani.
Considerando il corpo del ginnasta in posizione eretta si distinguono appunto tre assi:
L’asse longitudinale, che attraversa il corpo dalla sommità del capo al punto di unione dei
talloni.
L’asse trasversale, che va da una spalla all’altra o che attraversa nello stesso senso
qualsiasi altra parte del busto.
L’asse sagittale, che va dal petto al dorso o viceversa o che attraversa nello stesso senso
qualsiasi altra parte del busto.
Quando gli assi del corpo umano si intersecano in uno stesso punto ad angolo retto generano i
piani:
Il piano frontale, determinato dall’incontro dell’asse longitudinale con quello trasversale;
divide il corpo in due parti asimmetriche, una anteriore e una posteriore.
Il piano sagittale, determinato dall’incontro dell’asse sagittale con quello longitudinale;
divide il corpo in due parti simmetriche, una sinistra e una destra.
Il piano trasversale, determinato dall’incontro dell’asse trasversale con quello sagittale;
divide il corpo in due parti asimmetriche, una superiore e una inferiore.
Altro aspetto fondamentale della terminologia tecnica è l’atteggiamento che “è la figura che
assume il corpo del ginnasta, o parte di esso, considerato indipendentemente dai suoi rapporti con
tutto ciò che lo circonda”. Le parti che costituiscono il corpo, busto e arti, possono assumere,
ognuna separatamente dall’altra, determinati atteggiamenti che vengono considerati parziali e
prendono il nome secondo la figura che assumono.
Il busto può assumere i seguenti atteggiamenti:
Lungo, quando il vertice è alla massima distanza dalle tuberosità ischiatiche.
Breve, quando il vertice risulta, per quanto possibile, vicino al bacino anteriormente,
lateralmente o posteriormente.
Torto o ruotato, quando tutti i segmenti anatomici, dal capo al bacino, sono girati, l’uno
rispetto all’altro, intorno all’asse longitudinale.
L’arto superiore o quello inferiore può assumere i seguenti atteggiamenti:
Lungo, quando i segmenti anatomici dell’arto formano una figura rettilinea e allungata.
Breve, quando i segmenti dell’arto sono avvicinati formando angoli acuti; se formano
angoli retti o ottusi sono in atteggiamento semibreve.
Quando gli atteggiamenti del busto vengono combinati con quelli degli arti inferiori sono definiti
atteggiamenti del corpo o totali. Questi si differenziano in:
Ginocchio, il busto è in atteggiamento lungo in linea con le cosce, mentre le gambe
propriamente dette a 90° rispetto alle cosce.
Raccolta, il busto è in atteggiamento lungo e gli arti inferiori in atteggiamento breve con le
cosce vicine al tronco.
Massima raccolta, gli arti inferiori e il busto sono in atteggiamento breve con la fronte
vicina alle ginocchia.
Squadra, gli arti inferiori e il busto sono in atteggiamento lungo e formano un angolo retto.
Massima squadra, gli arti inferiori sono in atteggiamento lungo e il busto in atteggiamento
breve con la fronte vicina alle ginocchia.
Il corpo umano ha un baricentro che “è il punto di applicazione della risultante, o somma, dei pesi
di tutti i segmenti corporei”. Il baricentro in un individuo in posizione eretta dipende dalla sua
costituzione e quindi dalla sua struttura anatomica. Appunto per questo, il baricentro non ha lo
stesso sito in tutte le persone adulte in posizione eretta. Infatti, quando il corpo assume una
posizione diversa da quella eretta, il baricentro cambia ubicazione e si trasferisce in un punto che
dipende dagli spostamenti che effettuano i vari segmenti corporei. Con il variare del baricentro,
variano anche l’analisi del movimento, le linee di azione del muscolo e gli interventi muscolari.
Tali variazioni del corpo del ginnasta prendono il nome di posizione.
La posizione del corpo in appoggio al suolo per mezzo dei soli arti inferiori, quando viene
mantenuta per un periodo più o meno lungo, è detta stazione; quella in appoggio anche col busto
prende il nome di decubito.
Pertanto avremo:
La stazione eretta, quando il corpo risulta ritto con i piedi divaricati o uniti posati al suolo.
La stazione seduta, quando il corpo risulta in appoggio sul suolo con la regione glutea e con
quella posteriore degli arti inferiori ed il busto è eretto.
La stazione ginocchio, quando il corpo risulta in appoggio sul suolo con uno o ambedue le
ginocchia e con i piedi ed il busto è eretto.
Decubito supino, il corpo è in appoggio sul suolo con la regione posteriore.
Decubito prono, il corpo è in appoggio sul suolo con la regione anteriore del corpo.
Decubito laterale sinistro o destro, quando il corpo è in appoggio sul suolo con la regione
laterale sinistra o destra.
I MOVIMENTI
I movimenti sono atti motori, volontari o involontari, che determinano cambiamenti di figura e
ubicazione del corpo.
I movimenti volontari eseguiti secondo determinate modalità prendono il nome di movimenti
ginnastici e i più comuni sono:
Abdurre, movimento che determina l’allontanamento di un arto dall’asse longitudinale del
corpo.
Addurre, movimento inverso a quello precedente.
Aprire, movimento lento e reciproco degli arti superiori in atteggiamento lungo del corpo
sul piano trasversale.
Chiudere, movimento inverso a quello precedente.
Divaricare, allontanamento reciproco degli arti inferiori in direzioni opposte, in
atteggiamento lungo.
Riunire, ricongiungimento del piede precedentemente mosso con l’altro rimasto fermo.
Piegare, passaggio da una posizione in atteggiamento lungo ad un’altra in atteggiamento
breve eseguito dagli arti in appoggio su un sostegno.
Rizzare, passaggio da una posizione in atteggiamento breve ad un’altra in atteggiamento
lungo eseguito dagli arti in appoggio su un sostegno.
Capovolgere, movimento di rotazione del corpo di 180° intorno al proprio asse trasversale.
Spingere, estensione rapida degli arti.
Flettere, avvicinamento di uno o più segmenti contigui di una stessa parte del corpo non in
appoggio su un sostegno.
Estendere, passaggio di una parte del corpo da un atteggiamento breve o semibreve a un
atteggiamento lungo.
Elevare, movimento lento generalmente degli arti in atteggiamento lungo, dal basso verso
l’alto.
Abbassare, movimento lento generalmente degli arti in atteggiamento lungo dall’alto
verso il basso.
Oscillare, movimento pendolare di tutto il corpo o degli arti.
Slanciare, cambiamento rapido di direzione degli arti in atteggiamento lungo.
Circondurre, passaggio diretto e successivo di una parte del corpo per quattro posizioni a
due a due diametralmente opposte.
Incrociare, sovrapporre un arto all’altro omologo.
Inclinare, movimento che esegue il busto, in atteggiamento lungo, per spostarsi da una
posizione eretta/seduta verticale verso quella orizzontale.
Torcere o ruotare, movimento di una parte del corpo attorno al proprio asse longitudinale
mantenendo ferma un’estremità.
Affondo, quando un arto inferiore risulta semipiegato con il ginocchio in linea con il tallone,
l’altro proteso con la pianta del piede aderente al suolo, il busto inclinato in linea con
quest’ultimo arto. L’affondo si può assumere nelle direzioni avanti, indietro e infuori, ma
anche in direzioni intermedie (oblique) come: avanti-infuori, indietro-infuori.
I movimenti in rapporto alla causa che li produce si distinguono in attivi e passivi. I primi sono
quelli prodotti dalla contrazione dei muscoli striati che si inseriscono attorno alle varie parti dello
scheletro; i secondi sono quelli che si compiono per azione della gravità o che vengono prodotti
con mezzi esterni, manuali o meccanici.
Una successione di movimenti ginnastici volti a conseguire un certo scopo educativo, psico-fisico,
fisiologico o tecnico, dà vita a un esercizio ginnastico.
Gli esercizi ginnastici si possono classificare in: semplici, composti o misti e combinati.
L’esercizio semplice interessa una sola parte del corpo e non si può scomporre in altri
movimenti di diversa natura.
L’esercizio composto o misto interessa una sola parte del corpo e si può scomporre in altri
movimenti di diversa natura.
L’esercizio combinato interessa due o più parti del corpo che eseguono
contemporaneamente ciascuna un esercizio semplice o composto.
Gli arti superiori possono assumere posizioni in atteggiamento lungo, breve e semibreve. Le
posizioni degli arti in atteggiamento lungo si riconoscono dal rapporto che essi hanno con gli assi
fondamentali del corpo (longitudinale, trasversale, sagittale) e si distinguono in dirette e
intermedie: sono dirette quando gli arti risultano paralleli o sul prolungamento di uno degli assi,
intermedie quando risultano obliqui rispetto agli assi.
Le posizioni dirette sono:
Braccia in basso, parallele all’asse longitudinale in direzione del bacino;
Braccia avanti, parallele all’asse sagittale e anteriormente al torace;
Braccia in alto, parallele all’asse longitudinale in direzione del capo;
Braccia infuori, sul prolungamento dell’asse trasversale.
Le posizioni intermedie si precisano indicando prima le posizioni dirette orizzontali (avanti, fuori,
dietro) poi quelle verticali (alto, basso). Si hanno quindi le posizioni intermedie delle braccia:
avanti-basso/avanti-alto, fuori-basso/fuori-alto, dietro-basso/dietro-alto.
Quando le braccia sono fra due assi orizzontali, la posizione si precisa indicando prima la posizione
diretta dell’asse sagittale e poi quella dell’asse trasversale. Quindi si hanno le seguenti posizioni
intermedie delle braccia: avanti-fuori e indentro (o a braccia incrociate avanti).
Più esercizi ginnastici insieme si possono eseguire secondo un determinato rapporto di tempo. Le
principali forme di combinazione sono: la successione, l’alternanza e la simultaneità.
La forma successiva: un arto alla volta.
La forma alternata: le braccia eseguono contemporaneamente una il movimento di
andata, l’altra di ritorno.
La forma simultanea: le braccia eseguono contemporaneamente lo stesso movimento.
Fanno parte delle normali attività motorie educative e degli esercizi ginnastici:
I passi, azioni naturali degli arti inferiori che generano la traslocazione del corpo sul suolo.
La corsa, spostamento del corpo, generalmente in avanti, mediante la successione di balzi.
I balzi, atti analoghi a quelli della corsa, ma con maggiore azione di spinta e fase di volo.
I saltelli, azioni degli arti inferiori che determinano un breve sollevamento del corpo dal
suolo.
I salti, movimenti dovuti all’energetica spinta di uno o entrambi gli arti inferiori, per mezzo
dei quali il corpo si stacca dal suolo, rimane per un momento librato in aria e ricade al
suolo. I saltelli si possono eseguire da fermo o con rincorsa. Nei primi si considerano lo
stacco, il volo e l’arrivo; nei secondi, oltre a questi tre elementi c’è anche la rincorsa.
Gli esercizi, considerando la quantità di lavoro che producono nell’unità di tempo, si distinguono
in:
Blandi, se producono scarsa quantità di lavoro;
Moderati, se producono apprezzabile quantità di lavoro;
Intensi, se producono grande quantità di lavoro.
L’ASSISTENZA
L’assistenza è l’insieme delle azioni che l’insegnante compie per proteggere gli allievi da qualsiasi
danno fisico e morale.
Si può distinguere in preventiva e ginnastica:
L’assistenza preventiva riguarda gli accorgimenti che mirano a salvaguardare la salute degli allievi
e ad evitare loro pericoli e infortuni durante le esercitazioni.
Pertanto l’insegnante deve:
Assicurarsi che l’ambiente in cui si svolgono le attività sia pulito e arieggiato.
Controllare che gli indumenti degli allievi non siano di impedimento alla corretta
esecuzione degli esercizi, alla respirazione e alla circolazione.
Provvedere affinchè gli attrezzi siano efficienti e in buono stato.
Evitare che in prossimità dello spazio adibito all’esecuzione ci siano attrezzi che possano
essere motivo di pericolo e/o provocare cadute dell’allievo.
Collocare i tappeti in modo opportuno nei punti di arrivo e in quelli in cui si prevede
un’eventuale caduta.
Nel caso in cui si operi in un ambiente naturale, visitare preventivamente il luogo scelto per
l’escursione, valutarne l’idoneità agli scopi prefissati, all’età degli alunni e organizzare le
eventuali misure di sicurezza (mezzi di soccorso, contatti con il territorio…).
LATERALIZZAZIONE
Una tappa importante nello sviluppo motorio dell’individuo è quella dell’orientamento del proprio
corpo, che avviene tra i 3 e i 5 anni e che determina la dominanza cerebrale.
La dominanza laterale non è decisa dall’educazione, ma dalla predominanza di un emisfero
cerebrale. Pertanto, per LATERALIZZAZIONE si intende il processo, di natura genica, che porta un
individuo biologico a sviluppare due emisomi, uguali e simmetrici, distinguibili in destro e sinistro.
Più della metà dell’umanità ha una dominanza laterale “destra”, mentre una piccola minoranza ha
una dominanza laterale che viene definita “sinistra” (mancini).
Una corretta lateralità è fondamentale per il corretto sviluppo di ogni essere vivente. Un qualsiasi
errore in questo processo può comportare difetti di natura diversa, in base alla complessità
dell’organismo in questione, della fase colpita, dell’organo interessato.
Il concetto di dominanza si esplica attraverso una differenza di localizzazione di funzioni tra i due
emisferi cerebrali, uno di essi sarà dominante rispetto all’altro. La dominanza dell’emisfero
cerebrale sinistro determina il “destrismo” e la dominanza dell’emisfero cerebrale destro
determina il “mancinismo”.
Secondo Wallon la scelta dell’arto superiore dominante avviene attorno ai 10 mesi di vita ed è in
relazione a fattori ereditari. Rispetto alla mano dominante, l’altra mano assume un ruolo
complementare.
L’emisfero dominante è la sede dell’iniziativa motoria e della funzione simbolica ed ha un ruolo
importante nella strutturazione dello schema corporeo.
L’emisfero complementare è quello della funzione spaziale, della rappresentazione mentale nello
spazio. L’azione educativa deve tendere al consolidamento della dominanza emisferica ricevuta
nel patrimonio genetico: nei destri assecondando e aiutando il naturale sviluppo, nei sinistri
evitando di contrariare.
Questa dominanza è un processo graduale che avanza nel tempo e raggiunge, tappa per tappa,
tutto un emicorpo. Dalla dominanza della mano si passa a quella dell’arto superiore, poi
dell’emicorpo corrispondente e infine dell’arto inferiore. Quindi la lateralizzazione è la
conclusione del processo di dominanza.
Se questo stadio di sviluppo non si struttura bene e non risulta chiara la suddivisione dei compiti
tra i due emicorpi, si può andare incontro anche a gravi problemi a livello motorio, psichico e di
apprendimento. Una scarsa affermazione della lateralizzazione rende difficile la coordinazione
delle prassi elementari relative al movimento naturale (corsa, salto, lancio) e preclude lo sviluppo
delle coordinazioni fini, come la oculo-manuale, con ripercussioni sulle capacità di precisione nei
lanci e sulla valutazione delle distanze. L’equilibrio stesso, statico, dinamico e in volo, è in stretta
dipendenza dalla lateralizzazione. Dunque un bambino che ha difficoltà a muoversi nello spazio
“palestra” e non è molto coordinato dovrà essere seguito e osservato meglio, perché
probabilmente ha ricevuto pochi stimoli in età evolutiva.
Pertanto, lacune nello sviluppo della lateralizzazione influiscono negativamente anche sulla
capacità di orientamento dello schema corporeo nello spazio.
Verso i 12 anni il processo di lateralizzazione è completato e con esso il controllo degli equilibri in
movimento oltre al pieno sviluppo dello schema corporeo.
Lo schema corporeo o immagine del corpo non nasce a priori, ma è una costruzione lenta e
progressiva che avviene nel soggetto passando attraverso più stadi di sviluppo:
1. CORPO VISSUTO (da 0 a 3 anni circa), in cui si delinea una prima immagine del corpo
identificata con il proprio “io”. Il bambino sente il proprio corpo, si basa su quello che può
prendere dall’ambiente attraverso la sua esperienza.
2. CORPO PERCEPITO (dai 3 ai 6 anni circa), in cui, attraverso la possibilità percettiva e di
interiorizzazione, si organizza lo schema corporeo stesso. In questo stadio il bambino è
capace di portare alternativamente l’attenzione sulla totalità del proprio corpo e su uno dei
segmenti corporei. Inizia a conoscere il proprio corpo, sa che i segmenti corporei hanno dei
nomi (arto destro, arto sinistro, ecc…).
3. CORPO RAPPRESENTATO (dai 6 ai 12 anni circa), in cui il soggetto è in grado di disporre
della propria immagine del corpo per compiere operazioni e per programmare
mentalmente azioni e gesti. Il bambino acquisisce coscienza del proprio corpo, non ha più
bisogno di sentirlo o toccarlo; ora è in grado di rappresentarlo mentalmente, in un altro
luogo o tempo che andrà a caratterizzare il suo vissuto.
Sul piano intellettivo corrisponde allo stadio che Piaget definisce delle “operazioni concrete”. Il
bambino riesce ad integrare l’insieme delle informazioni propriocettive, provenienti dal proprio
corpo, ed esterocettive, provenienti dall’esterno, secondo una successione temporale
interiorizzata e diventata cosciente: la percezione temporale.
L’argomento è stato studiato e definito da più esperti.
P. Bonnier, per la prima volta usò il termine “schema” o “sens de space” per indicare la
consapevolezza dei confini e delle posizioni del corpo.
L. Pick propone la nozione di “immagine del corpo” stabilendo una relazione tra le
sensazioni percepite del corpo e le rappresentazioni visive di questo. Relazione che
permette di stimare la localizzazione delle stimolazioni.
J. Le Boulch considera lo schema corporeo o immagine del corpo come una intuizione di
insieme o una conoscenza immediata che abbiamo del nostro corpo, sia allo stato statico
che in movimento, in rapporto alle sue diverse parti e nei suoi rapporti con lo spazio
circostante e gli oggetti che lo circondano.
H. Wallon sostiene che lo schema corporeo non è un dato iniziale né un’entità biologica o
fisica preformata o ereditaria, ma il giusto risultato e la condizione di giusti rapporti tra
l’individuo e il proprio ambiente. Lo schema corporeo inizia a formarsi a partire da una
primordiale distinzione tra il sé e l’ambiente. Questa distinzione si differenzierà sempre di
più grazie all’esterocettività e alla propriocettività.
P. Vayer sostiene che l’attività educativa dell’infanzia ha come perno fondamentale la
strutturazione dello schema corporeo. Tutto questo nasce da una nuova concezione del
corpo. Le attività mentali, le emozioni, i sentimenti sono indissociabili dal corpo che è il
primo strumento di relazione che permette la comunicazione con il mondo degli altri e con
il mondo degli oggetti. Per Vayer uno schema corporeo ben strutturato è alla base della
comunicazione sociale, dato che il linguaggio del corpo è la prima forma di comunicazione
dell’individuo. Vayer definisce lo schema corporeo come “l’organizzazione delle sensazioni
relative al proprio corpo in relazione ai dati del mondo esterno”.
A. Lapierre e B. Aucouturier sviluppano un approccio psicomotorio orientato verso i
processi affettivi inconsci, sottolineando l’importanza dei vissuti corporei più arcaici e
giungendo così a rilevare il valore simbolico del movimento. Corpo e inconscio sono il
paradigma su cui si basa la pratica psicomotoria educativa e terapeutica attuata da
Lapierre e Aucouturier.
J. De Ajuriaguerra definisce lo schema corporeo come “un dato gnosico costantemente
presente, che permette la conoscenza del nostro corpo come entità statica e dinamica”.
R. Mucchielli secondo cui l’insieme che forma lo schema corporeo si sviluppa e si evolve
molto lentamente e non si realizza normalmente se non verso gli 11/12 anni.
V. Gozzano riassume le diverse teorie sostenendo che lo schema corporeo è l’immagine o
rappresentazione spaziale tridimensionale che ciascuno ha di se stesso. Le impressioni
visive, tattili, muscolari ci informano sull’esistenza delle diverse parti che compongono il
nostro corpo, ma oltre a ciò noi abbiamo una coscienza immediata che il nostro corpo
esiste come unità.
Le diverse definizioni convergono nel definire l’elaborazione dello SCHEMA CORPOREO come
l’organizzazione delle sensazioni relative al proprio corpo (propriocettive) in relazione con i dati del
mondo esterno (esterocettive). Inoltre, emerge la convinzione comune dell’importanza del ruolo
che il nostro corpo e l’immagine che abbiamo di esso assumono nel nostro modo di essere e nella
nostra capacità espressiva e di apprendimento.
Uno schema corporeo mal strutturato o incerto determina deficit nella relazione soggetto-mondo
influendo sul piano:
Della percezione con deficit della strutturazione spazio-temporale;
Della motricità con goffaggine, poca coordinazione ed atteggiamenti scorretti;
Della relazione con l’altro, determinando insicurezza che è all’origine di turbe affettive che
possono sconvolgere le relazioni personali.
Sul piano percettivo all’inizio della scolarità, da una buona evoluzione dello schema corporeo,
dipende, per il bambino, la capacità di orientamento molto importante nella lettura.
Uno schema corporeo mal strutturato comporta:
Confusione di lettere simmetriche con inversione nel senso destra-sinistra (es. “b-d”, “p-
q”);
Inversione del senso alto-basso (es. “d-p” e “n-u”);
Inversione del posto delle lettere (es. “caro-ocra-arco”);
Inversione delle sillabe (es. “egli va su-egli su va”).
Sul piano motorio lo schema corporeo è importante per l’azione in generale, gli schemi motori,
all’origine degli atti più usuali, non possono organizzarsi se non partendo dallo schema corporeo.
Non è possibile padroneggiare bene un corpo che si conosce poco o male. Di conseguenza si
avranno difficoltà di coordinazione e di dissociazione del gesto e il soggetto sarà particolarmente
lento a organizzare la sua azione. Inoltre, si avranno cattive abitudini posturali con atteggiamenti
viziati. Sempre sul piano motorio, in relazione a deficit spazio-temporali, si hanno difficoltà nella
percezione delle traiettorie, nella valutazione delle distanze e delle velocità relative. La
conseguenza sarà anche una difficoltà di apprendimento della lettura con difficoltà nella scrittura,
con caratteri mal formati, incerti e fuori dalle righe.
Sul piano relazionale il bambino ha difficoltà di accomodamento e di relazione con il proprio
ambiente.
CAPACITA’ MOTORIE
Il controllo di energia, il lavoro aerobico, tutto quello che si svolge nella vita quotidiana viene
controllato dal Sistema Nervoso Centrale (SNC). Il livello di coordinazione dipende
dall’organizzazione delle diverse informazioni che raggiungono il SNC e dal grado di elaborazione e
di controllo delle risposte motorie.
Le informazioni sono raccolte da analizzatori periferici e convogliate alle strutture centrali.
Gli analizzatori si distinguono secondo gli organi di senso:
Ottico, informa sull’immagine del movimento e ne rappresenta la guida.
Tattile, percepisce la forma e la superficie degli oggetti e delle attrezzature.
Acustico, informa sui suoni e sui rumori
Vestibolare (i recettori sono all’interno dell’orecchio), informa sulle accelerazioni e sulla
direzione del movimento, sul controllo delle posizioni del corpo. E’ importantissimo per
l’equilibrio!
Cinestetico (i recettori sono nei muscoli, nei tendini e nelle articolazioni), informa sulla
modulazione delle tensioni muscolari che agiscono sui vari segmenti corporei, in rapporto
alla tipologia dei carichi e sui loro rapporti spazio-temporali. Importante per il movimento!
CAPITOLO 2
LE CARATTERISTICHE DELL’APPRENDIMENTO MOTORIO
NELL’ETA’ EVOLUTIVA
LO SVILUPPO PSICO-SOCIALE
Una corretta educazione motoria realizza ampie possibilità educative. Il movimento suscita
interesse e, soprattutto se svolto collettivamente, dà fiducia in se stessi, crea il senso di
responsabilità nella consapevolezza che lo sforzo di ciascuno si riflette sul risultato di tutti. Educare
il corpo significa favorire lo sviluppo fisico, intellettuale e psico-sociale, realizzando relazioni
positive con gli altri e promuovendo lo spirito di collaborazione.
Attività motoria e educazione della mente sono strettamente correlate tra loro. Infatti, con il
movimento spontaneo o organizzato, si riconosce, mediante un processo mentale, la collocazione
dell’oggetto, i suoi spostamenti, la relazione fra collocazione e spostamento, la lentezza o la
rapidità dello spostamento, ecc…
Il movimento è anche fonte di socializzazione dell’individuo, perché esige il rispetto di regole
concordate, la collaborazione e la cooperazione, l’acquisizione di sentimenti di correttezza verso il
prossimo e la tolleranza.
La proposta di un’adeguata educazione motoria nella Scuola dell’Infanzia e nella Scuola Primaria
favorisce negli allievi lo sviluppo delle seguenti abilità motorie e sociali:
Maturazione dell’individuo e condizionamento sociale: il docente aiuta, favorisce l’alunno
a che maturi la consapevolezza di essere “uno tra tanti” nel momento in cui avrà l’età
giusta per… Deve essere un processo lento e graduale e bisogna sempre tenere presente il
condizionamento sociale.
GRADUALE passaggio dall’egocentrismo al sociocentrismo, nel rispetto di tutti e di
ciascuno. In questo senso i maschi sono molto più aperti alla condivisione e al gioco a
squadre rispetto alle femmine.
In tale ottica le attività motorie per realizzare un progetto unitario per la crescita della persona,
devono avere le seguenti caratteristiche:
Complessità graduale delle richieste rivolte all’individuo;
Educare per assicurare lo sviluppo ottimale del soggetto e l’inserimento sociale;
Garantire al bambino una pluralità di esperienze relazionali e sociali;
Carattere ludico e socializzante delle attività proposte (il gioco è altamente motivante e
gratificante);
Funzione educativa del gioco;
Giochi individuali, a coppie, di piccolo gruppo, di gruppo;
Gli allievi non devono mai essere esclusi dal gioco. A questo proposito è importante la fase
del DEFATICAMENTO, in cui si fa FOCUS sulle EMOZIONI, canalizzando le emozioni di chi ha
vinto e di chi ha perso. Coi giochi a eliminazione non si raggiunge l’obiettivo di sviluppare la
lateralizzazione, gli schemi motori di base, lo schema corporeo, l’equilibrio, ecc…
Il gioco a eliminazione si può fare, ma non deve diventare un “modus vivendi”.
Un’alternativa è quella di far partire la due squadre da 10 punti e, a seconda degli errori
commessi da ciascun giocatore, si va in scalare. Quindi alle fine ci sarà chi avrà mantenuto
10 punti, chi ne avrà 6, chi 4, chi 2. In questo modo si permette al bambino di continuare a
sviluppare i propri schemi motori di base e si ha anche un’autovalutazione (è importante
lavorare sull’autostima);
Il bambino non è un adulto in miniatura;
L’attività deve essere polivalente (ci deve essere una motricità globale) e non specialistica;
L’allievo non è in grado di mantenere a lungo la concentrazione, per questo vanno
proposte attività svariate e ludiche;
La struttura ossea del bambino non sopporta carichi statici elevati e le attività fisiche
troppo intense possono determinare deformazioni scheletriche. Quindi è bene, ad
esempio, esercitare alla forza ma non alla forza massimale, la quale inibirebbe l’individuo;
Con l’allenamento non intensivo le ossa si rafforzano, l’esercizio deve essere graduale,
adeguato all’età considerando le caratteristiche di ciascun individuo;
E’ opportuna un’azione globale.
Le attività da privilegiare in base alle caratteristiche psico-fisiche e fisiologiche degli allievi dai 5 ai
10 anni sono:
Camminare. Il bambino cammina correttamente dopo i 6 anni. Camminare liberamente
aiuta ad acquisire il senso di spazio, di tempo e di valutazione delle direzioni.
Correre. Occorre correggere gradualmente l’assetto di corsa e il dispendio di energia. Il
correre è alla base di tutte le attività successive.
Saltare. Iniziare con salti dall’alto verso il basso per superare i blocchi psicologici.
Rotolare. Serve a sensibilizzare i diversi segmenti corporei. Non forzare gli allievi a fare la
capovolta, eventualmente farli rotolare sull’asse longitudinale.
Controllo della respirazione. L’educazione respiratoria stimola l’attenzione dell’individuo al
fine di appropriarsi delle sensazioni del suo corpo.
Attività a coppie. Sono esercizi utili per la percezione ed il controllo del corpo e favoriscono
la comunicazione con l’altro.
Un notevole influsso sullo sviluppo delle capacità coordinative si basa sull’esercizio di attività
motorie globali, ludiche, ricche di stimolanti situazioni per favorire la ricezione delle informazioni
attraverso tutti i canali estero e propriocettivi.
Da 8-11 anni si ha “l’età d’oro della motricità” e della rappresentazione mentale. I bambini
possiedono una grossa recettività a livello del SNC per migliorare gli schemi motori di base,
la lateralizzazione, lo schema corporeo, le capacità motorie condizionali e coordinative
(generali e speciali).
Da 5-9 anni l’alunno consegue gli schemi motori di base e aumenta la precisione dei
movimenti finalizzati.
Da 7-10 anni l’allievo realizza una maggiore rapidità del movimento e migliora la sensibilità
muscolare.
Da 6-7 anni migliora l’equilibrio.
Da 6-8 anni acquisisce e migliora la stabilità del movimento.
Da 11-12 anni la stabilità del movimento raggiunge il livello più alto e dopo i 12 anni
progredisce in modo limitato. Inoltre, in questa fascia di età, si completa lo sviluppo della
lateralizzazione.
Da 8-10 anni l’alunno matura l’attitudine e prevedere la velocità e la direzione di un
oggetto in movimento in rapporto alla posizione statica e dinamica del proprio corpo.
Da 9-11 anni l’allievo realizza progressi nella coordinazione senso-motoria (oculo-manuale
e oculo-podalica).
L’Auxologia è una scienza che studia la crescita e lo sviluppo dell’individuo dalla nascita all’età
adulta, in particolare lo sviluppo del bambino nel suo processo evolutivo.
Per “crescita fisica” si intende l’aumento delle dimensioni corporee che va in parallelo con le
modificazioni delle sue forme; cioè si fa riferimento alla maturazione delle funzioni dei diversi
organi e alla variazione nella composizione dei tessuti.
Per “sviluppo” si intende l’avanzamento progressivo della crescita verso la maturità, quindi ci si
riferisce alla trasformazione psico-morfologica e funzionale del soggetto che, in piena evoluzione,
conquista un’eterogeneità organizzata degli apparati morfologico-funzionali e delle facoltà
intellettuali.
Le fasi auxologiche si dividono in:
TURGOR, che indica lo sviluppo ponderale (accrescimento in larghezza)
PROCERITAS, che indica lo sviluppo staturale (accrescimento in altezza)
TURGOR PRIMUS (da 0 a 4 anni circa), aumento ponderale (parte della Scuola
dell’Infanzia).
PROCERITAS PRIMA (dai 5 ai 7 anni circa), aumento staturale (Scuola Primaria).
TURGOR SECUNDUS (dagli 8 agli 11 anni circa), aumento ponderale (Scuola Primaria).
PROCERITAS SECUNDA o periodo pre-puberale (dagli 11-13 anni c.a. per le femmine; dai
12-14 anni c.a. per i maschi), aumento staturale (Scuola Secondaria di I Grado).
TURGOR TERTIUS o periodo post-puberale (dai 14 ai 17-18 anni c.a. per le femmine; dai 15
ai 19-20 anni c.a. per i maschi), aumento ponderale (Scuola Secondaria di II Grado).
Nella fase di Turgor prevale l’accrescimento ponderale, nella fase di Proceritas quello staturale.
La fase di PROCERITAS è caratterizzata da una diffusa ipotonia muscolare. L’individuo perde in
elasticità muscolare, nella capacità di coordinazione e in equilibrio. Al contrario, risulta migliore e
più ampia la mobilità articolare.
Nella fase di TURGOR avviene il contrario. Infatti, l’irrobustimento generale determina un buon
tono muscolare. Inoltre, migliora la capacità di coordinazione e di equilibrio, ma l’individuo ha una
minore mobilità articolare.
Per le caratteristiche psicologiche e anatomo-funzionali l’attività motoria nel periodo dell’età
evolutiva deve prevedere principalmente attività globali e multilaterali, sia perché è opportuno
favorire l’accrescimento armonico di tutti i distretti morfologici, sia perché un’attività differenziata
favorisce molteplici esperienze e quindi arricchimenti psicomotori che facilitano la conquista di
una completa padronanza motoria.
Pertanto occorre:
Un allenamento multilaterale per migliorare, oltre la forza veloce e la resistenza, anche la
coordinazione.
Non coltivare una sola capacità o qualità, per evitare la compromissione del rendimento
motorio e sportivo futuro.
Fare molta attenzione con i carichi, perché un carico di lavoro non adeguato potrebbe
provocare seri danni allo scheletro e ai legamenti.
CAPITOLO 3
LA MOTRICITA’ E L’APPRENDIMENTO SCOLASTICO
Il corpo è il primo mezzo con cui l’individuo sperimenta l’ambiente, è il primo canale di
comunicazione fra lui e gli altri, e continuerà ad essere l’intermediario privilegiato nella relazione
con gli altri, tra il mondo interno e quello esterno a sé.
Dal momento che si agisce su soggetti in fase evolutiva ed in formazione sia fisica che mentale,
compito dell’attività motoria è quello di promuovere, in ogni allievo, il controllo progressivo e
finalizzato del comportamento e delle proprie capacità psicomotorie.
Secondo Piaget, le prime costruzioni logiche dipendono dalla motricità. I primi processi mentali del
bambino si costruiscono sulle azioni che egli compie nei confronti dell’ambiente e degli oggetti che
lo circondano. “Il movimento è la fonte dei processi cognitivi, la conoscenza attraverso i sensi è la
prima forma di conoscenza. E’ la base su cui si costruisce il mondo percettivo e concettuale del
bambino”.
All’educazione è strettamente connessa la nozione di PERSONA ed è da questa che dobbiamo
muovere per poter parlare di educazione dell’individuo e della sua personalità.
Per quanto rigida sia una struttura sociale e per quanto possa orientare il comportamento dei
singoli individui, essa dovrà armonizzarsi con le esigenze, le attitudini e con ogni altra caratteristica
della personalità individuale.
PERSONALITA’
Capacità
Temperamento
Atteggiamenti
Disposizioni
Bisogni e motivi
Stile cognitivi
valori
La scienza del movimento utilizzata in un senso umano deve prefiggersi come imperativo il
mantenimento della plasticità e lo sviluppo della creatività e non già trasformare un sistema
potenzialmente plastico in un insieme di strutture rigide di comportamento appiccicate alla
persona.
Si può dedurre che il movimento che vuol dire educazione psicomotoria, motoria, fisica e sportiva,
è una componente dinamica della personalità, la risultante delle molteplici correlazioni che
investono lo sviluppo e il mantenimento integrale della persona in un quadro armonico e
completo, in cui le singole funzioni e facoltà, intellettuali, mentali, fisiche e morali, si integrano e si
influenzano.
I principi generali dell’educazione motoria dicono che in ciascuno stadio di sviluppo occorre che
l’educatore realizzi la più larga base motoria possibile, proponendo attività multilaterali e
polivalenti.
Per ben insegnare occorre attivare la mente del ragazzo; il pensiero è l’azione. Occorre creare una
scuola attiva per tutelare la crescita dell’alunno, protagonista del proprio sviluppo.
Obiettivo educativo e didattico fondamentale dell’attività motoria in età evolutiva, è quello di far
conseguire una base motoria ampia; far acquistare al bambino “l’alfabeto fondamentale del
linguaggio motorio” per poi svilupparlo arricchendolo di coordinazione, funzionalità ed
espressività per poterlo trasferire ad ogni situazione di apprendimento.
Pertanto, dobbiamo trasmettere delle mappe orientative, tendendo ad una metodologia
interdisciplinare per evitare la frammentazione del sapere e dell’identità personale.
Il più grande lavoro del SNC nell’apprendimento è quello di immagazzinare modelli di movimento
accanto a quelli già esistenti. E’ come se il bambino aggiunga di continuo ai frammenti di “semplici
puzzles”, di cui è già in possesso, altre parti che gli consentono di modificarlo, ampliandolo e
complicandolo ottenendo così nuove figure, acquisendo e consolidando le capacità creative,
grafiche, cromatiche ed espressive.
Il ruolo fondamentale che l’educazione motoria svolge all’interno del processo educativo in
generale si riscontra anche a livello dell’apprendimento scolare.
Gli apprendimenti scolastici non costituiscono solo una forma di adattamento ad attività sociali,
ma anche e soprattutto, ad un’educazione della mente del bambino ai fini di una migliore capacità
di trasformazione del reale. Hanno generalmente inizio nel periodo della seconda infanzia, cioè
nell’arco di età fra i 5 e i 7 anni. In tale fase l’individuo realizza un passaggio qualitativo da un
approccio al mondo globale ad una capacità di differenziazione e di analisi dei dati dell’esperienza.
Un esempio di quanto affermato ci è offerto dallo stretto rapporto che c’è tra l’educazione
motoria e la lettura.
La lettura non è una funzione, ma un apprendimento complesso che sottende una molteplicità di
processi e funzioni.
Le diverse funzioni sono nel bambino strettamente correlate: non solo le facoltà sensoriali sono la
base necessaria per il costituirsi delle capacità percettive superiori, ma lo schema corporeo,
l’organizzazione spazio-temporale e la motricità sono le facce diverse di uno stesso sviluppo di cui
il linguaggio si presenta come un aspetto dell’organizzazione spazio-temporale.
In particolare, la lettura presuppone una buona strutturazione spazio-temporale: perché il
bambino possa leggere occorre che situi correttamente nello spazio grafico l’alto e il basso, la
destra e la sinistra.
Egli impara a riconoscere correttamente la destra e la sinistra solo verso i 6 anni e le direzioni e gli
orientamenti vengono dapprima riconosciuti sul proprio corpo, e solo successivamente, vengono
proiettati nello spazio.
La costituzione dello schema corporeo è quindi basilare per la padronanza dello spazio orientato e
di quello grafico.
Un ruolo importante è rivestito anche dalla lateralizzazione, definita come il predominio motorio
di un emicorpo sull’altro. La lateralizzazione esiste per l’occhio, per l’orecchio, per la mano e per il
piede; una lateralità incerta relativamente a tali segmenti corporei, provoca disorientamento
spaziale e confusione nello schema corporeo.
Fino ai 6-7 anni il bambino non realizza una lateralizzazione completa e stabile per tutti i segmenti
corporei, è compito dell’educazione motoria intervenire per sostenere tale processo.
La lettura non si svolge solo nello spazio, ma anche nel tempo: per poter leggere correttamente,
infatti, il bambino deve saper accordare sequenze di stimoli visivi ordinati spazialmente secondo
rapporti stabili con sequenze temporali di atti ordinati in base a un prima e a un dopo.
Tutto questo richiede una notevole abilità nella coordinazione senso-motoria, su cui possono
influire tutti gli esercizi di trasposizione dallo spazio al tempo e viceversa e, in generale, tutti gli
esercizi ritmici che coordinino i movimenti del bambino.
Il ruolo dell’educazione, in relazione agli apprendimenti scolastici può rivelarsi determinante per
creare un nuovo modo di concepire gli apprendimenti stessi.
Scopo dello studio della matematica è la costruzione della personalità mettendo insieme le varie
componenti per giungere alla strutturazione di un insieme coerente e ben equilibrato.
Un individuo così integrato possiederà un punto di vista più aperto in quasi tutti i problemi,
tenterà di riunire le cose invece di separarle, ricercherà le somiglianze piuttosto che le differenze
e, soprattutto, sarà un individuo ben integrato nel suo ambiente.
Per Gardner questo rapporto del bambino con gli oggetti si realizza attraverso l’intelligenza logico-
matematica, spaziale e corporeo-cinestetica.
Perseguire un tale scopo significa rivedere notevolmente le modalità di insegnamento della
matematica, passando dal piano di acquisizione delle tecniche a quello di acquisizione dei
contenuti, conoscendo le leggi dello sviluppo del pensiero matematico del fanciullo e rispettando i
tempi individuali di ciascuno.
Poiché ogni operazione richiede un movimento, è attraverso un’attività reale che esercita nel
mondo degli oggetti che il bambino può acquisire le nozioni fondamentali che permettono di
arrivare al concetto del numero ad alla manipolazione dei numeri stessi.
Gioco libero: non significa che i bambini possono fare quello che vogliono. Devono sempre
essere rispettate le regole e la natura del gioco.
Gioco strutturato: è gestito dal docente, dall’inizio alla fine.
Consapevolezza della struttura del gioco: l’allievo deve interiorizzare il gioco, ossia deve
essere in grado di riproporlo e riprodurlo in altre situazioni. Quindi il processo di
insegnamento-apprendimento si conclude quando gli alunni, in un altro contesto e in altre
circostanze, riutilizzano ciò che hanno appreso.
Ricorda: nel gioco c’è anche un obiettivo sociale, basato sul rispetto di sé, degli altri e
dell’ambiente!
Rappresentazione grafica della struttura del gioco: non basta solo fare giocare i bambini, il
gioco ha bisogno di essere ripercorso, è necessario un momento riflessivo perché
l’insegnamento diventi apprendimento. A questo proposito è fondamentale la FASE DEL
DEFATICAMENTO. La rappresentazione grafica (il disegno del gioco) non è sempre
necessaria, si può intraprendere anche un colloquio orale con i bambini, chiedendo loro
cosa gli è piaciuto e cosa no, l’attrezzo preferito, ecc.
Studio della rappresentazione: tutte le informazioni che mandano i bambini devono fare
da feedback per le nostre future proposte.
Elaborazione di assiomi e teoremi: dall’esperienza ludica vissuta in palestra i bambini
dovranno uscirne più ricchi, con un apprendimento superiore. L’apprendimento
apparentemente è invisibile, ma c’è e deve esserci!
CAPITOLO 4
DAI PROGRAMMI DEL 1955 ALLE INDICAZIONI NAZIONALI PER IL
CURRICOLO DEL 2007
“Il sapere non ci rende migliori, né più felici… ma l’educazione può aiutare a diventare migliori e,
se non più felici, ci insegna ad accettare la parte prosaica e a vivere la parte poetica delle nostre
vite”, perciò la scuola deve essere al passo con i tempi che rappresenta, per rispondere in maniera
adeguata alle richieste educative e culturali dei cittadini.
Ripercorrendo la storia degli Ordinamenti Scolastici, i Programmi per la Scuola
Elementare, allora si chiamavano così, risalgono al 1955.
Leggendo le indicazioni per le materie di insegnamento, per l’Educazione Fisica nel I Ciclo
(che comprendeva la I e la II classe) erano molto generiche: se il maestro riteneva
opportuno fare educazione fisica ogni giorno poteva farlo.
Per il II Ciclo (III, IV, V elementare) erano un po’ più specifiche: si prendeva in
considerazione il gioco, si dava importanza all’aspetto ludico e si parlava anche
dell’ambiente naturale.
Con il D. P. R. N. 104 del 12 febbraio 1985 vengono emanati i Nuovi Programmi per la
Scuola elementare, in cui, oltre ad essere aumentate le ore di lezione, si prevede
l’introduzione di nuove materie: quindi non solo più italiano, matematica, storia e
geografia, ma anche seconda lingua, educazione musicale, educazione artistica e motoria.
Inoltre, vengono ampliati e modificati alcuni contenuti delle materie tradizionali.
La pluralità di materie introduce anche una pluralità di docenti nel II Ciclo ed il concetto di
interdisciplinarità, che permette di coinvolgere più discipline in una stessa pianificazione,
dato che l’educazione si deve rivolgere alla Persona garantendo l’unità di mente e corpo,
attraverso un’integrazione dei concetti di base di insegnamenti diversi.
Tra le discipline il termine educazione fisica viene sostituito con Educazione Motoria e
vengono indicate alcune finalità e obiettivi formativi da raggiungere nell’arco dei cinque
anni.
Le finalità puntano l’attenzione sullo sviluppo degli schemi motori statici e dinamici di base,
sullo sviluppo delle capacità e funzioni senso-percettive.
Vengono poi indicati gli obiettivi e i contenuti che, partendo dallo sviluppo della percezione,
conoscenza e coscienza del proprio corpo, vogliono arrivare all’incremento della
coordinazione dinamica generale e segmentaria fino al miglioramento dell’organizzazione
spazio-temporale.
Infine semplici indicazioni didattiche suggeriscono che le attività motorie, per essere
funzionali ed influire positivamente su tutte le dimensioni della personalità, devono essere
praticate in forma ludica, variata e polivalente.
Nello stesso periodo storico, la crescente attenzione per l’Infanzia fa sì che anche la Scuola
dell’Infanzia assuma la forma di una vera e propria istituzione educativa, divenendo un
luogo di vita e vengono emanati, con il D. M. 3 giugno 1991, “I nuovi Orientamenti
dell’attività didattica nelle Scuole dell’Infanzia”.
Dopo una premessa generale vengono indicate le finalità: la Scuola dell’Infanzia deve
consentire ai bambini la maturazione dell’identità, la conquista dell’autonomia e lo
sviluppo delle competenze. Quindi nelle indicazioni culturali vengono elencati i campi di
esperienza, il primo dei quali è Il corpo e il movimento.
I traguardi di sviluppo che vengono indicati negli Orientamenti, riguardano: l’acquisizione
delle capacità di discriminazione percettiva, di controllo degli schemi dinamici e posturali di
base per adattarli ai parametri spazio-temporali dei diversi ambienti. Viene indicato anche
l’aspetto sociomotorio come la capacità di padroneggiare il proprio comportamento
nell’interazione motoria, sviluppando la capacità di progettare ed attuare la più efficace
strategia motoria di intuizione ed anticipazione degli altri e le dinamiche degli oggetti nel
corso delle attività collettive.
Infine viene indicata l’educazione alla salute che sarà avviata fornendo le prime
conoscenze per un’adeguata e corretta gestione del proprio corpo, in modo da
promuovere l’assunzione di positive abitudini igienico-sanitarie.
La forma ludico-motoria sarà il canale da preferire per proporre i contenuti che
permetteranno il raggiungimento di queste finalità e obiettivi.
Nella premessa generale dei Programmi della Scuola Elementare del 1985 e degli
Orientamenti della Scuola materna del 1991, viene indicata la continuità educativa; la
scuola deve impegnarsi a promuovere la continuità del processo educativo, condizione
essenziale per garantire agli allievi il positivo conseguimento delle finalità dell’istruzione.
Pertanto essa deve avere la capacità di porsi in complementarità con le esperienze che il
bambino compie nei suoi diversi ambiti di vita, famiglia, scuola ed extrascuola, mediandole
culturalmente e collocandole in una prospettiva di sviluppo educativo. Perché ciò possa
attuarsi occorre prevedere momenti di raccordo tra i diversi ordini di scuola, continuità
verticale, tra scuola-famiglia, scuola-extrascuola e continuità orizzontale tra scuola-
territorio.
Dopo le riforme degli anni Ottanta e Novanta, nel 2003 la scuola italiana viene riformata
dalle sue fondamenta e nella sua integralità, perché con il D. M. N. 53 del 28 marzo 2003
prende vita la riforma di tutto il sistema scolastico: la Riforma Moratti.
Essa rappresenta un momento importante per la scuola italiana. Le principali novità
riguardano:
Il riordino dei cicli scolastici;
L’introduzione della figura del Tutor;
Il riordino del secondo ciclo di studi con il sistema dei Licei e degli Istituti di
Istruzione e Formazione Professionale;
L’anticipo scolastico;
L’introduzione del Portfolio delle competenze: il docente vi inserisce tutta la
produzione completa del lavoro che il bambino ha realizzato a livello disciplinare.
Alle legge seguiranno poi alcuni Decreti Attuativi, tra i quali ricordiamo il D. L. N. 59 del
2004 che riporta le “Indicazioni Nazionali per i Piani di Studio Personalizzato” dei diversi
ordini di scuola.
Allo stato attuale le vicissitudini ministeriali ci consegnano un quadro di riferimento
didattico incerto e precario, che suscita perplessità e mette in difficoltà i docenti, che sono
sempre più alla ricerca di pratiche didattiche e metodologiche coerenti con le nuove
esigenze di formazione e apprendimento.
E’ in questo quadro che si collocano le “Indicazioni per il Curricolo” per la Scuola
dell’Infanzia e per il primo ciclo di istruzione. Pertanto ad ordinamenti già esistenti, quelli
definiti dalla legge del 2003, la Scuola dell’Infanzia, la Scuola Primaria e la Scuola
Secondaria di Primo Grado elaboreranno le loro offerta formativa avendo come riferimento
didattico le nuove “Indicazioni per il Curricolo”.
In questo periodo la scuola cerca di passare dai programmi scolastici alla scrittura delle
linee orientanti dei curricoli. I principi informatori delle nuove indicazioni vanno ricercati
nel Regolamento dell’Autonomia. In passato si procedeva dai “programmi scolastici” ai
docenti e da questi agli allievi che alla fine dovevano adattare i loro apprendimenti ai
contenuti d’insegnamento dettati dai programmi.
Ora, grazie all’autonomia e alla sperimentazione delle “Indicazioni per il Curricolo”, la
programmazione delle attività va dagli alunni ai docenti e da questi alle “Indicazioni
Nazionali per il Curricolo” che orientano il lavoro degli insegnanti e di tutta la comunità
scolastica, rafforzando l’autonomia sul piano dell’utilizzo flessibile delle risorse
organizzative (spazi, tempi e strumenti) e delle scelte metodologiche, garantendo a tutti
una base irrinunciabile di conoscenze e competenze potenziando i talenti.
E’ in questo contesto che viene messo in risalto il concetto di Persona, intesa come risorsa
da valorizzare, come soggetto consapevole delle proprie flessibilità, come cittadino attivo di
una società aperta.
Le finalità della scuola devono essere definite a partire dalla persona che apprende, con
l’originalità del suo percorso individuale e le aperture offerte dalla rete di relazioni che la
legano alla famiglia e agli ambiti sociali. La definizione delle strategie educative deve
sempre tener conto della singolarità e complessità di ogni persona, della sua articolata
identità, delle sue aspirazioni, capacità e delle sue fragilità, nelle varie fasi di sviluppo e
formazione.
SCUOLA DELL’INFANZIA
La scuola dell’infanzia deve progettare un curricolo di tre anni che favorisca la sistematizzazione
intenzionale e organizzativa delle esperienze, delle attività, delle percezioni e dei primi interessi
culturali dei bambini nei diversi Campi di Esperienza.
I Campi di Esperienza devono essere intesi come la sintesi culturale su cui strutturare le molteplici
esperienze e attività dei bambini.
Nelle indicazioni del 2004 i campi di esperienza non contengono una premessa descrittiva ed
elencano gli obiettivi specifici, indicando ai docenti i risultati essenziali, intesi come standard di
prestazione del servizio scolastico.
Nelle indicazioni del 2007 i campi di esperienza sono esposti in forma tematizzata e indicano gli
obiettivi generali dello specifico processo formativo. Gli obiettivi specifici di apprendimento sono
definiti come risultato, come traguardo di sviluppo realizzato alla fine del percorso di tre anni e
descritti nelle competenze di uscita riferite a ciascun campo di esperienza.
C’è una diretta correlazione tra i sei vecchi campi di esperienza e i cinque proposti nel nuovo
documento, con la confluenza dei due campi di esperienza “Le cose, il tempo e la natura” e “Lo
spazio, l’ordine e la misura” nel nuovo “La conoscenza del mondo”.
I CAMPI DI ESPERIENZA
Il sé e l’altro (le grandi domande, il senso morale, il vivere insieme)
Il corpo e il movimento (identità, autonomia, salute)
Linguaggi, creatività ed espressione (gestualità, arte, musica, multimedialità)
I discorsi e le parole (comunicazione, lingua, cultura)
La conoscenza del mondo (ordine, spazio, tempo, natura)
Partendo dalle indicazioni del documento ogni scuola dovrà predisporre il curricolo all’interno del
POF (Piano dell’Offerta Formativa), rispettando le finalità, i traguardi per lo sviluppo della
competenza e gli obiettivi di apprendimento.
Un curricolo è un’ipotesi di lavoro rivolta ad un gruppo di alunni diversificato e multiforme, spesso
caratterizzata da valori ed aspettative diverse. Il primo passo da fare è perciò una approfondita
conoscenza degli alunni che si hanno di fronte, delle loro caratteristiche evolutive e dei loro
bisogni formativi; da qui partiranno le ipotesi progettuali.
Le Indicazioni non fissano i traguardi intermedi per le diverse fasce di età, ma fanno riferimento
all’intero ciclo della scuola dell’infanzia, pertanto il curricolo dovrà sviluppare le proposte nell’arco
dei tre anni tenendo conto che ci sono modi diversi di approcciarsi ai saperi ed alle relazioni a
seconda dell’età.
Il curricolo dovrà essere elaborato all’interno di un contesto di riferimento, scolastico, sociale,
ambientale. La sua evoluzione presuppone il raggiungimento di traguardi concreti di sviluppo
attraverso appropriate strategie educativo-didattiche, passando attraverso lo stretto intreccio tra
gli aspetti relazionali, cognitivi e sociali, privilegiando lo sviluppo della conoscenza, l’acquisizione
delle regole del vivere e del convivere insieme agli altri.
Alla scuola spetta il compito di fornire supporti adeguati affinchè ogni persona sviluppi un’identità
consapevole e aperta. L’obiettivo della scuola è quello di formare saldamente ogni persona sul
piano cognitivo e culturale, affinchè possa affrontare positivamente l’incertezza e la mutevolezza
degli scenari sociali e professionali, presenti e futuri.
Alla scuola spettano alcune finalità specifiche:
Offrire agli studenti occasioni di apprendimento dei saperi e dei linguaggi culturali di base;
Far sì che gli studenti acquisiscano gli strumenti di pensiero necessari per apprendere a
selezionare le informazioni;
Promuovere negli studenti la capacità di elaborare metodi e categorie che siano in grado di
fare da bussola negli itinerari personali;
Favorire l’autonomia di pensiero degli studenti, orientando la propria didattica alla
costruzione di saperi a partire da concreti bisogni formativi.
Un altro aspetto che caratterizza le Indicazioni è il forte richiamo che fanno alla continuità del
percorso educativo dai 3 ai 14 anni; il curricolo si costruisce a partire dalla scuola dell’infanzia e si
sviluppa in continuità nel primo ciclo di istruzione.
SCUOLA PRIMARIA
La scuola primaria deve organizzare il proprio curricolo di area disciplinare con percorsi
progressivamente organizzati ed orientati verso le discipline.
Le competenze sono traguardi che si verificano al termine della Scuola Primaria; gli obiettivi di
apprendimento, funzionali al raggiungimento delle competenze, vengono definiti in riferimento al
terzo e al quinto anno della Scuola Primaria.
Rispetto alle indicazioni del 2004 viene riproposto il concetto di area disciplinare, inteso come
campo conoscitivo e concettuale ampio, unitario e generale, che aveva caratterizzato
l’organizzazione curricolare delle attività didattiche dei programmi del 1985 della scuola
elementare e, in un certo senso, viene anche riproposta l’aggregazione dei saperi disciplinari in tre
grandi ambiti: linguistico-espressivo, matematico-scientifico e antropologico.
Nell’ottica della continuità educativa, didattica e metodologica, viene ripreso il criterio di
progressività nei confronti delle discipline, per fare della scuola del I Ciclo una scuola unitaria di
base evitando il passaggio repentino alle discipline.
Nelle indicazioni del 2004 gli obiettivi specifici di apprendimento della scuola primaria sono
ordinati per discipline e la stessa impostazione la ritroviamo nelle educazioni: educazione alla
cittadinanza, stradale, ambientale, alla salute, alimentare, dell’affettività, che convergono nello
sviluppo dell’educazione alla convivenza civile.
Nelle indicazioni del 2007 non ritroviamo esplicitamente l’educazione alla convivenza civile ed il
Profilo Educativo, Culturale e Professionale (PECUP). L’educazione alla convivenza civile viene
integrata nella gestione curricolare delle aree disciplinari e nella adeguata costruzione
metodologica di significativi ambienti di apprendimento finalizzati a valorizzare l’esperienza e le
conoscenze degli alunni e a sviluppare quelle competenze trasversali di esercizio della cittadinanza
attiva che si realizzano lavorando con i saperi disciplinari, con modalità pluri e interdisciplinari.
Il Profilo Educativo, Culturale e Professionale dello studente (PECUP), come traguardo di sintesi dei
piani di studio personalizzati non scompare, ma viene assorbito dai traguardi di sviluppo delle
competenze che descrivono ciò che gli alunni al termine della scuola sanno e sanno fare.
I traguardi sono rivolti al percorso di lavoro didattico e alle sua tappe, indicano piste da percorrere
e aiutano a finalizzare l’azione educativa allo sviluppo integrale dell’alunno.
Vengono fissati anche gli obiettivi di apprendimento per il terzo e il quinto anno della scuola
primaria; sono fondamentali per il raggiungimento dei traguardi per lo sviluppo delle competenze.
Le Indicazioni per il Curricolo non impongono scelte metodologiche, ma lasciano volutamente alla
piena autonomia didattica ed organizzativa delle scuole che devono valorizzare ogni persona nel
suo percorso di apprendimento per una costruzione attiva di conoscenze.
Il testo delle nuove Indicazioni evidenzia la necessità di dare largo spazio agli approcci integrati,
alla promozione di competenze più ampie e trasversali, alle esperienze interdisciplinari finalizzate
a trovare interconnessioni e raccordi fra le indispensabili conoscenze disciplinari e a formulare in
modo adeguato i problemi complessi posti dalla condizione umana nel mondo odierno e dallo
stesso sapere, utilizzando opportunamente i contributi che ciascuna disciplina può offrire.
Pertanto le proposte didattiche di educazione motoria che caratterizzeranno la seconda parte di
questo testo, si articoleranno secondo lo schema delle Unità di Apprendimento, introdotte dalla L.
53/2003. Le Unità di Apprendimento pongono al centro dell’azione didattica l’alunno, ed hanno lo
scopo di trasformare il sapere (conoscenze) ed il saper fare (abilità), in competenze (saper essere).
Un’Unità di Apprendimento (UDA) si compone di alcune parti fondamentali:
- Contestualizzazione, in cui vengono indicati i livelli di partenza, il contesto in cui verranno
proposte le attività e le motivazioni della scelta didattica;
- Fase pre-attiva, in cui un’introduzione precisa il percorso formativo, le finalità e gli obiettivi;
- Fase attiva, che specifica le scansioni temporali e le modalità organizzative, le attività e i
contenuti teorici e pratici (esercizi, giochi) che verranno proposti, gli spazi e gli strumenti o
gli attrezzi che si intende utilizzare;
- Controllo degli apprendimenti o fase post-attiva, che permette di verificare e valutare il
raggiungimento dei traguardi ipotizzati e delle abilità e delle conoscenze perseguite.
Le Unità di Apprendimento possono avere carattere disciplinare, limitandosi allo sviluppo di una
sola disciplina, o interdisciplinare, coinvolgendo trasversalmente con obiettivi condivisi più
discipline.
Lo svolgimento e la realizzazione di una Unità di Apprendimento, comporta l’utilizzo di un certo
numero di lezioni e, per la sua complessità e molteplicità di stimoli, non si potrà mai esaurire in
un’unica lezione.
Per quanto riguarda l’attività motoria, la lezione seguirà questa struttura:
1. Fase preparatoria, generale e specifica, che introduce all’acquisizione degli obiettivi della
lezione. Inizia con un riscaldamento generale che si fa via via più specifico in base a quelli
che sono gli obiettivi dell’incontro;
2. Fase centrale, i cui contenuti sono specifici per l’apprendimento degli obiettivi prescelti,
come ad esempio una capacità motoria o un fondamentale di uno sport;
3. Fase conclusiva o defaticamento, che attraverso proposte più o meno blande, favorisce il
processo di recupero e distensione muscolare. Eventuale valutazione.
A queste tre fasi, che sono momenti obbligatori da proporre in un incontro di educazione motoria,
può aggiungersi il gioco, che permette di rinforzare gli apprendimenti stimolati durante le altre tre
fasi di lezione, elevando alla massima potenza la motivazione dell’individuo.
CAPITOLO 5
UOMO-AMBIENTE-NATURA…
EDUCAZIONE AMBIENTALE E SENSORIALE
Lo sviluppo e la crescita dei bambini muovono dalla ricerca e dall’esplorazione autonoma che si
svolgono, attraverso il gioco, nei confronti della realtà fisica e naturale.
Oggi, si rendono necessari adeguati programmi di educazione ambientale per favorire le scoperte
naturali.
Che cos’è l’educazione ambientale?
Essa può essere intesa come un insieme di interventi volti a sviluppare le facoltà intellettuali,
morali e fisiche degli individui secondo determinati principi che mirano al rispetto e
all’integrazione nell’ambiente.
Per ambiente si intende quel complesso di condizioni sociali, morali, culturali e naturali in cui un
individuo vive e sviluppa la propria personalità. “Educazione ambientale è, quindi, educazione alla
vita”.
Se trasferita alla scuola l’educazione ambientale può essere una nuova disciplina in grado di
attivare proposte interdisciplinari in cui vengono coinvolti tutti gli insegnanti in una prospettiva
unitaria dell’educazione e dello sviluppo degli allievi.
Le finalità dell’educazione ambientale sono:
- favorire un’educazione permanente;
- promuovere la soluzione dei problemi ambientali;
- coinvolgere e stimolare la collettività all’individuazione dei problemi ambientali;
- creare una “coscienza” ecologica;
- adattabilità alle diverse situazioni socio-economiche, culturali, naturali ed ecologiche di
ogni contesto a cui si rivolge.
Semplici gesti ed azioni quotidiane permetteranno di cambiare la mentalità, cosicché ogni
individuo acquisisca nuove abitudini che, sommate, costruiscano un nuovo approccio verso
l’ambiente.
L’educazione ambientale inizia sin dai primi anni di vita nell’ambiente familiare, per svilupparsi poi
nei centri educativi, fino a consolidarsi in una vera e propria “coscienza ecologica”, soprattutto se
supportata da un’attenta programmazione.
Se si riesce a stabilire questo contatto “speciale” con la natura sin da bambini, si potrà “…
incontrare la natura con gli occhi ben aperti di chi sa guardare ed osservare (…)”.
Non è semplice guardare il mondo. L’ambiente invia continuamente segnali e stimoli al nostro
cervello che li fa propri e li decodifica in base al “proprio punto di vista”, alla propria cultura, alla
propria educazione ed alle esperienze vissute.
Perciò l’educazione ambientale significa anche insegnare a “guardare” in modo corretto
l’ambiente per migliorare la qualità della vita.
Da che parte cominciare per parlare di educazione ambientale e attività motoria in ambiente
naturale?
Un buon metodo sarebbe quello di avvicinare i ragazzi direttamente all’ambiente naturale, per
scoprirne i valori e per cercare un rapporto personale con l’ambiente naturale attraverso la
percezione e le sensazioni.
L’educazione alla conservazione dell’ambiente nasce solo se riusciamo a suscitare negli allievi
amore, interesse e rispetto, motivando i ragazzi con “la testa, il cuore e anche le mani”, stimolando
così la dimensione cognitiva, emotiva e pragmatica.
Le esperienze motorie in ambiente naturale costituiscono un ambito di apprendimento che
favorisce l’aggregazione di saperi diversi e trasferibili; sviluppano l’autonomia operativa e
decisionale, la consapevolezza della propria corporeità e del contributo personale per la tutela
ambientale, predisponendo ad un rapporto più autentico con il territorio in cui si vive.
Un Progetto educativo che miri allo sviluppo integrale della “Persona”, deve necessariamente
promuovere in ogni allievo doti e attitudini positive nei confronti dell’ambiente, attraverso:
- la maturazione del carattere;
- il pragmatismo;
- la salute;
- il senso della natura;
- la socializzazione.
Questi obiettivi potranno essere raggiunti attraverso:
- la motivazione e l’interesse;
- l’azione e la partecipazione;
- la responsabilità;
- il contatto con la natura;
- il lavoro di gruppo;
- le regole da rispettare;
- l’impegno personale.
Il clima di avventura sarà il segreto del successo per affascinare e coinvolgere appieno gli allievi
nelle attività, perché essa rappresenta la concretizzazione del loro bisogno di sentirsi attori e non
solo passivi osservatori del proprio processo di crescita e maturazione.
La metodologia da utilizzare per realizzare la “nostra avventura” si deve basare su:
- l’osservazione;
- la conoscenza;
- l’analisi;
- la sintesi;
- l’applicazione;
- la valutazione.
I mezzi e gli strumenti da preferire sono:
- il gioco, mezzo privilegiato che coinvolge l’attività motoria, emotiva e cognitiva;
- l’esplorazione di ambienti (naturali o urbani);
- gli esperimenti (sia sul campo, che in laboratorio, a casa o a scuola);
- gli strumenti mass-mediali;
- le unità di apprendimento a tema;
- le attività all’aperto e in ambiente naturale;
- i soggiorni in ambienti naturali;
- la realizzazione di strumenti didattici per l’ambiente: sentieri-natura, parchi naturali e
laboratori ecologici.
Esplorare l’ambiente significa andare alla scoperta della natura, delle persone che lì vivono, della
storia e delle ricchezze di ogni tipo che ci sono..
Tutti gli ambienti hanno un messaggio da comunicarci; esplorare un ambiente significa conoscere
la realtà di oggi, i problemi della gente, le loro tradizioni, la cultura di un popolo.
Prima di realizzare le proposte sul campo è necessario riattivare le capacità senso-percettive degli
allievi.
L’educazione sensoriale dovrà muovere dall’associazione del movimento ai cinque sensi: tatto,
olfatto, vista, udito, gusto.
Alcuni esempi di attività senso-percettive sono:
- far provare al bambino diverse stimolazioni tattili, fargli sentire diverse superfici;
- sperimentare sensazioni termiche e tattili (l’acqua calda, fredda, gelata…);
- verificare con le mani sensazioni di pesantezza;
- sperimentare sensazioni pressorie (accarezzarsi le mani, solleticarle, fare delle pressioni);
- provare sensazioni vibratorie;
- esercizi di attenzione visiva (“Kim visivi”, giochi di imitazione motoria, di attenzione visiva);
- esercizi di attenzione acustica (riconoscimento e riproduzione di ritmi).
Dopo questo lavoro preliminare di riattivazione dei canali sensoriali, si potrà lavorare
sull’ambiente naturale proponendo queste attività:
- escursioni (uscite diurne, notturne, appostamenti, raccolta di tracce, birdwatching);
- osservazioni della fauna e della flora;
- il taccuino del naturalista, per fissare le osservazioni durante un’escursione;
- raccolta di tracce, dallo stampo delle impronte, alla raccolta di penne, borre ed escrementi;
- attività di conservazione naturalistica (es. allestimento di un sentiero-natura);
- attività manuali e contadine per avvicinare gli allievi all’ambiente con un approccio pratico
e diretto (es. mungere, cogliere il fieno, spaccare la legna…);
- ceramica e pittura (si colgono calchi di cortecce e foglie e si dipingerà usando colori ricavati
da questi. Ogni ragazzo potrà cuocere il suo lavoro nel forno per ceramica e conservare il
suo manufatto);
- osservare le stelle;
- ascoltare i suoni della natura;
- giochi sensoriali (“ascoltare” il battito del cuore di un albero, “odorare” i raggi del sole,
ecc.);
- orientamento (giocare con il sole e le stelle, cercare segnali naturali, aiutati dalla bussola e
dalle carte);
- seawtching, prevede nozioni di base per l’immersione con pinne e maschera in apnea a
basse profondità;
- cucina, attività piacevole che sviluppa la socializzazione e dà il ritmo all’autogestione di un
gruppo. I ragazzi partecipano alla preparazione del cibo e possono realizzare ricette da
portare a casa.
Solo attraverso attività pratiche si riescono a coinvolgere gli allievi, in modo da far loro toccare con
mano l’importanza della conservazione della natura, le minacce da fronteggiare e le possibili vie da
percorrere per la sua salvaguardia.
SECONDA PARTE
COME SI STRUTTURA UN PROGETTO
FASE PRE-ATTIVA: fa da preludio alla realizzazione dei contenuti, si declinano gli obiettivi del
progetto.
OBIETTIVI GENERALI: devo parlare di obiettivi generali; nella fase progettuale e teorica
devo andare dall’alto al basso, dal vertice alla base; nella realizzazione pratica invece farò
l’esatto contrario (dal piccolo al grande, dal semplice al complesso). Gli obiettivi generali
sono quegli obiettivi che alla fine del mio progetto i bambini devono raggiungere. Sono
prettamente didattici.
OBIETTIVI FORMATIVI: sono legati alla formazione del soggetto, della persona. Gli obiettivi
generali sono didattici, quelli formativi sono legati anche al contesto di apprendimento
della persona (tra gli obiettivi generali e quelli specifici, posso parlare anche degli
OBIETTIVI INTERMEDI).
OBIETTIVI SPECIFICI: sono molto utili perché ci danno la declinazione degli obiettivi
generali.
FASE ATTIVA: solo quando ho chiaro quali sono i miei obiettivi e dove voglio arrivare, passo a
questa fase.
Scelta dei MATERIALI, in base alla proposta didattica e alle risorse disponibili.
METODOLOGIA che prenderò in considerazione: globale, analitica, laboratoriale, mista.
Varia in base al contenuto e al target d’utenza.
TEMPI: devo stabilire il tempo che mi occorre, quanti piani di lezione mi occorrono per
raggiungere gli obiettivi che mi sono posta. Un progetto non può MAI concludersi con una
sola lezione. Anche i tempi variano in base al contenuto.
ATTIVITA’: devo scrivere nel particolare quali attività andrò a svolgere per raggiungere
quell’obiettivo. Ne parlo più nello specifico rispetto a quello che ho detto nella fase pre-
attiva.
FASE POST-ATTIVA
“Il vero viaggio di scoperta non consiste nel cercare nuove terre, ma nell’avere nuovi occhi”
Proust
Rivedere le metodiche d’insegnamento, rivederci nella nostra formazione, aggiornarci
continuamente Importanza della FORMAZIONE PERMANENTE, non smettere mai di aver voglia
di apprendere.
Ogni unità di apprendimento avrà una sua premessa (spiego perché ho scelto determinati
contenuti, perché ho deciso di farla in quel determinato periodo dell’anno e via dicendo),
descrizione delle attività e strumenti utilizzati, obiettivi (generali, intermedi, specifici, formativi)
che non saranno gli stessi, ma saranno più semplici e simili (l’unità di apprendimento è più breve,
la progettazione è annuale), verifica e valutazione.
Quindi ogni unità di apprendimento avrà la sua strutturazione specifica, che si compone delle
stesse fasi del progetto complessivo e servirà a raggiungere gli obiettivi generali che mi sono posta
all’inizio del mio progetto.
IL SE’ E L’ALTRO
IL CORPO E IL MOVIMENTO
IMMAGINI, SUONI, COLORI
I DISCORSI E LE PAROLE
LA CONOSCENZA DEL MONDO
Scurati sostiene che il laboratorio sia una risorsa per la scuola. Esso deve essere inteso nei suoi
valori fondamentali, proposti nel Decalogo dei valori fondamentali del Laboratorio Motorio:
Siamo, con questo, ad una considerazione POLIDINAMICA E FLESSIBLE della didattica, che non
sopporta né chiusure (tutto in sezione) né fissazioni (tutto nei laboratori) per affrontare con
serenità e competenza un’articolata varietà di mezzi e strutture. L’abilità dell’insegnante consiste,
allora, nella sua CAPACITA’ DI ACCESSO E CONTROLLO in ordine ad una molteplicità ordinata e
consapevole di opportunità di azione.
In questo testo si vuole sottolineare l’inseparabile relazione tra MENTE, CORPO, EMOZIONI
nell’individuo e come ognuna di queste componenti alimenti l’altra vicendevolmente.
Si è cercato di spiegare che cosa sia l’Atelier e come si è affermata la sua pratica nella Scuola
dell’Infanzia.
Si sono descritte le esperienze sul campo in 5 Scuole dell’Infanzia del Comune di Ravenna e narrate
le riflessioni, le domande, i quesiti che hanno alimentato la ricerca condotta direttamente insieme
ai bambini incontrati. Quindi, passo dopo passo, si è riportato l’intero percorso sperimentale
(ipotesi di ricerca, presentazione del contesto operativo, campione di bambini partecipanti,
definizione degli obiettivi, possibili traguardi, spazi, tempi, ecc.). Si sono poi presentati gli
strumenti utilizzati per affrontare le verifiche del percorso, rispettando le aree in oggetto di studio:
quella COGNITIVO-MOTORIO (quale relazione tra atelier ludico-motorio e formazione dei concetti
di spazio) e quella AFFETTIVO-RELAZIONALE (quale rapporto tra atelier ludico-motorio e qualità
affettiva della relazione). Infine si sono ricapitolati i risultati (analisi dei dati, considerazioni,
valutazioni possibili).
Ricordando infine che l’Atelier ludico-motorio è caratterizzato da 5 elementi cardine:
- Il GIOCO come espressione motoria;
- La NARRAZIONE come racconto di sé stessi;
- Gli OBIETTIVI COMPLESSI come opportunità di sperimentare un concetto astratto;
- Il CORPO GLOBALE come espressione funzionale, cognitiva, affettiva, relazionale;
- I MEZZI CONTESTUALIZZANTI come alimento alla motivazione;
si vuole focalizzare l’attenzione sul corpo come chiave di lettura del presente lavoro, un corpo in
continua evoluzione, il corpo di un bambino/a che fa esperienza.
CHE COS’E’ L’ATELIER?
COME SI AFFERMA L’ATELIER NELLA SCUOLA DELL’INFANZIA
Il Pluralismo culturale: dobbiamo far conoscere più linguaggi possibili, non ne esiste uno
più importante degli altri, soprattutto perché le intelligenze sono diverse e di conseguenza
sono diversi gli stili di apprendimento.
L’Interazione socioaffettiva: prima di qualsiasi contenuto disciplinare, la priorità deve
essere questa. La relazione e l’impatto socio-affettivo sono fondamentali, dobbiamo
studiare le personalità dei bambini e far capire loro la nostra.
La Modularità e la flessibilità degli spazi: abitare lo spazio, tempo e corpo in situazioni
mutevoli.
La Collegialità: nella scuola dell’infanzia questa è una possibilità che va sfruttata,
collaborare con le colleghe e anche con il personale ATA (le bidelle). La scuola aperta
richiede collegialità alle insegnanti nell’ottica di un lavoro di gruppo che opera nella
progettazione, conduzione e verifica delle attività programmate.
La Cooperazione: la scuola deve essere aperta verticalmente e orizzontalmente alle
Istituzioni scolastiche di diverso ordine e grado e del territorio, rientrando a pieno titolo nel
“sistema formativo integrato”.
Apertura all’ambiente (sociale e naturale) e a fare di questo il primo luogo di
apprendimento del bambino; quindi favorire un utilizzo flessibile e modulare degli spazi di
sezione e intersezione attrezzati per angoli polivalenti, centri di interesse, laboratori,
ateliers.
Progettazione, conduzione e verifica delle attività. Tutte le volte che saremo impegnate in
una valutazione (non è la verifica, son due cose diverse!), anche la più semplice, dovremo
metterci la mano sulla coscienza, sul cuore e sulla mente. Si deve sempre motivare,
prevenire e accompagnare la valutazione, perché essa è un’ATTRIBUZIONE DI VALORE.
2) SCUOLA SPERIMENTALE
POLIFUNZIONALITA’: rivalutazione degli spazi. Abitiamo lo spazio, che non è solo l’aula,
ma uno spazio che si trasforma a seconda dell’obiettivo che vogliamo perseguire. Gli spazi
vengono allestiti al fine di acquisire specifiche competenze RELAZIONALI E COGNITIVE;
vanno riletti nella loro architettura in chiave flessibile con possibilità di composizione-
scomposizione-ricomposizione.
PLURILINGUISMO: co-partecipazione di più linguaggi, nessuno escluso (orale, scritto,
iconico, gestuale, grafico, sonoro, motorio, informatico). Rivalorizzazione dei linguaggi
manipolativi-costruttivi, gestuali, la danza e il gioco.
INTERDISCIPLINARITA’: riproduzione e ricostruzione di nuovi saperi che si integrano. Tale
ricostruzione avviene in un contesto cognitivo attivo, problematico, inventivo, che sfocia
appunto nell’immaginazione, creazione, invenzione originale dell’alunno.
PROGETTUALITA’: il laboratorio si afferma in sede di programmazione didattica ed
educativa, si sviluppa a partire dai vissuti della popolazione scolastica (problemi
socioecologici, valoriali, esistenziali) e prosegue attingendo dai saperi accumulati in classe e
in interclasse.
Nell’atelier si sperimenta, si è motivati (se si è fortemente motivati, si abita il tempo, “il tempo
non ha tempo), si costruiscono nuove conoscenze, si re-inventa (invento-cancello-reinvento-
riparto) qualcosa di noto sotto altra veste (niente è stereotipato e meccanizzato), si collabora coi
compagni e con l’educatore.
L’atelier comporta:
La rivalutazione degli spazi e delle attrezzature;
Utilizzo di più linguaggi senza ordine di precedenza;
Il tener conto dei bisogni, interessi, caratteristiche della popolazione scolastica all’inizio del
percorso e durante;
L’essere progettuali e flessibili insieme.
DOVE E COME SI FA LABORATORIO A SCUOLA
Per spiegare che cos’è un laboratorio, bisogna partire dal significato etimologico della parola:
“laborare”, in latino, significa appunto “lavorare”. Pertanto il laboratorio è un luogo di lavoro, di
esperienze concrete, di ricerca e costruzione, nonché di rielaborazione sperimentalistica della
realtà, di creazione di produzione concreta, legata strettamente all’esperienza.
Dunque il laboratorio consentirebbe di mettersi alla prova, di sperimentare, attraverso attività
cognitive, corporee, concrete, artigianali, artistiche … sollecitati, aiutati, condotti dall’adulto
educatore, che sostiene il processo, l’attuazione e le scoperte del bambino, come il REGISTA di una
commedia teatrale.
E’ importante però, NON tanto il prodotto finale, il risultato, la conclusione di un percorso, ma
proprio la “PERFORMANCE”, l’esecuzione e il processo attivato, costituiscono il cuore del
laboratorio. E’ il FARE ESPERIENZA, il momento formativo e maturativo principale, ed è questo
aspetto, che l’adulto educatore è chiamato a mettere in risalto, a VALORIZZARE, e a cui ridare
nuovo significato. E’ così che l’educatore assume il ruolo di OSSERVATORE/RICERCATORE, in
quanto chiamato a incentivare processi, a descriverli, a renderli condivisibili con altri bambini, in
modo che loro possano arrivare alla consapevolezza piena del percorso svolto e del traguardo
raggiunto.
Il fine non sono gli obiettivi canonici della didattica, quanto più, l’attuazione del “processo di
ricostruzione dell’esperienza”.
La ricostruzione delle esperienze avviene soprattutto grazie al CONTESTO, in cui queste nascono, si
sviluppano e si modificano; un contesto è innanzi tutto situazione PROBLEMA che STIMOLA il
bambino a scoprire, ricercare, capire, ma anche RELAZIONE EDUCATIVA, rapporto affettivo,
scambio, interazione reciproca educatore/educando; infine contesto è anche tutto ciò che
riguarda l’ambiente circostante, di vita, scolastico e anche extrascolastico.
I contesti, peraltro, devono “solleticare” le diverse MODALITA’ INTELLETTIVE con cui il bambino si
accosta ad una situazione problema, considerando le diverse inclinazioni, interessi, linguaggi usati
dai bambini per fare esperienza e conoscere (saggio sulle intelligenze multiple di Gardner).
Il concetto di contesto così esposto richiama necessariamente quello di “contestualizzazione” delle
esperienze, possibile attraverso:
- La familiarizzazione delle prestazioni;
- La partecipazione attiva al processo di valutazione;
- La spinta a provare i “propri profili intellettuali”, all’interno di luoghi, ambienti e spazi dove
i potenziali vengano adeguatamente sollecitati;
- E infine, con l’uso di un’ampia gamma di strumenti, materiali, oggetti nuovi, originali e
affettivamente significativi per il bambino;
L’esperienza performativa allora, diventa laboratorio qualora si connoti di due elementi portanti:
la DISCIPLINA in quanto tale, la CREATIVITA’ come forza trasformatrice e innovatrice.
E’ necessario che nella vita scolastica si passi dall’esperienza performativa isolata, sporadica,
saltuaria, senza impianto metodologico, limitata nei tempi e negli spazi, ad un “sistema di
laboratori”, così come inteso da Gardner, luogo di esperienza della realtà, fondato su 3 elementi
essenziali:
1. Lo SPAZIO FISICO/SOCIALE: quindi una scuola aperta all’incontro e allo scambio, flessibile
negli spazi e nei tempi.
2. La RICERCA SUL CAMPO: dunque l’interazione tra educatore ed educando che insieme
svolgono un percorso di scoperte, rivolto all’autonomia esperienziale e cognitiva del
bambino.
3. Una PRECISA METODOLOGIA: un fare laboratoriale, che si realizza attorno ad una attenta
programmazione delle esperienze, lasciando spazio agli imprevisti, agli interrogativi, a
nuovi sviluppi.
Nei contesti tradizionali dell’educazione le esigenze fisiche sono sacrificate, i bambini non fanno
con il corpo quello che sono in grado di fare. Le energie cinestesico-corporee raramente sono
impiegate per calarsi con tutto l’essere nell’esperienza, al punto che il corpo rischia di essere
percepito come un’antagonista. Quindi si assiste al degradamento dei potenziali espressivo-
corporei, a un blocco progressivo della vitalità, destinato a degenerare in stati d’irrequietezza e
agitazione.
L’educazione fisica NON riguarda unicamente il corpo, ma in essa sono implicite strette interazioni
con ATTIVITA’ COGNITIVE complesse. E’ una forma educativa che dovrebbe stimolare a conoscere
gli strumenti espressivi e le capacità reali del proprio corpo, i processi di apprendimento e, di
riflesso, è una forma educativa utile per ritrovare la giusta dose di sensibilità nel relazionarsi a cose
e persone, facilitando la sensazione di espansione gioiosa dell’esperienza.
INDICAZIONI LEGISLATIVE
I documenti che vedono nascere l’atelier ludico-motorio sono quelli legati alla riforma della scuola
elementare, cioè i Programmi del 1985, e in particolar modo quelli della scuola dell’infanzia, cioè
gli Orientamenti del 1991. In entrambi i documenti emerge la necessità di RIVALUTARE LA
CORPOREITA’ che, intesa in modo ampio, include “l’azione, il movimento, la relazione con sé, con
il mondo e con gli altri, ma anche gli aspetti psicologici, cognitivi, affettivi, emozionali del soggetto,
parte di una cultura di riferimento e di appartenenza.”
Negli Orientamenti del 1991, troviamo una particolare attenzione al gioco, all’espressione
creativa, ai linguaggi non verbali, considerando l’individuo in modo integrale come espressione
completa della sua personalità. Di qui, due parole chiave dell’atelier: il GIOCO, quindi l’attività
ludica, come forma di espressione privilegiata del bambino per esprimere i propri bisogni, per
conoscere se stesso, gli altri, l’ambiente che lo circonda; e L’ESPRESSIONE CREATIVA, concetto
legato al pensiero divergente, alla componente immaginativa, e al concetto di “performance”
intesa NON come risultato o profitto, ma come ATTO IN ESSERE, come PROCESSO, azione in corso
di esecuzione.
Il recente documento che invece vede crescere il laboratorio è quello della Riforma del 2003 che
rafforza sia il concetto di CORPO come protagonista in numerose attività e situazioni scolastiche,
sia quello di LABORATORIO, come modello di un “fare scuola” sempre più scandito a una
organizzazione degli spazi e dei tempi flessibile, modulare e a tema, in cui il bambino fa
esperienza.
I “Nuovi Orientamenti dell’attività didattica nelle scuole dell’Infanzia”, promulgati con il D.M. 3
giugno 1991, apportano una significativa innovazione nel campo dell’educazione rivolta ai bambini
nella fascia d’età dai 3 ai 6 anni, in relazione ai cambiamenti della SOCIETA’ con cui il bambino
interagisce continuamente, ai cambiamenti legati ai nuovi MODELLI FAMILIARI, alle modificazioni
della DIDATTICA e dell’ORGANIZZAZIONE SCOLASTICA.
Possiamo individuare negli Orientamenti del ‘91 due importanti aspetti che nel contesto di questa
ricerca, non possono essere dimenticati:
- L’impianto metodologico e pedagogico fondato sulle esperienze, coi 6 Campi
d’esperienza;
- Le tre finalità educative: IDENTITA’, AUTONOMIA, COMPETENZA.
Con la “Legge di Riforma degli ordinamenti scolastici” del 2003 vengono evidenziati i livelli
essenziali di prestazione che le Scuole dell’Infanzia devono raggiungere, attraverso la lettura degli
“Obiettivi generali del Processo Formativo” e degli “Obiettivi Specifici di Apprendimento”
raggruppati in 4 settori. La premessa alla riforma sancisce comunque che la scuola dell’Infanzia
debba concorrere “all’educazione ed allo sviluppo affettivo, psicomotorio, cognitivo, morale e
sociale delle bambine e dei bambini, promuovendone le potenzialità di relazione, autonomia,
creatività, apprendimento”, ribadendo dunque il concetto di INTEGRITA’ della persona e di “uno
SVILUPPO UNITARIO attraverso le diverse forme del fare, del sentire, del pensare, dell’agire
relazionale”.
I quattro settori in cui vengono raggruppati gli “Obiettivi specifici di apprendimento” sono:
- “Il sé e l’altro”
- “Fruizione e produzione di messaggi”
- “Esplorare, conoscere, progettare”
- “Corpo, movimento e salute”
Senza entrare nello specifico di ciascun settore, ci dedichiamo a quest’ultimo (Corpo, movimento e
salute), che pone l’accento sia sulla CORPOREITA’, che sulla MOTRICITA’, come vie privilegiate per
la “CRESCITA del bambino, per il raggiungimento dell’AUTONOMIA individuale, e la maturazione
dei prerequisiti necessari ad ogni altro sviluppo e apprendimento, condizionando tutte le
potenzialità della persona”.
Gli obiettivi specifici di apprendimento che troviamo nelle Indicazioni sono:
Rappresentare lo SCHEMA CORPOREO in modo completo e strutturato; maturare
competenze di motricità fine e globale;
Muoversi con DESTREZZA nell’ambiente e nel gioco, controllando e coordinando i
movimenti degli arti e, quando possibile, la LATERALITA’;
Muoversi SPONTANEAMENTE e in modo GUIDATO da soli e in gruppo, esprimendosi in
base a suoni, rumori, musica, indicazioni ecc.;
CURARE in autonomia la propria persona, gli oggetti personali, l’ambiente e i materiali
comuni nella prospettiva della salute e dell’ordine;
Controllare l’AFFETTIVITA’ e le EMOZIONI in maniera adeguata all’età, rielaborandole
attraverso il corpo e il movimento.
Per raggiungere questi obiettivi le Raccomandazioni ci suggeriscono il GIOCO DRAMMA, la DANZA
GESTUALE, la PAROLA, il CANTO, la MUSICA, aprendo la porta della MULTIDISCIPLINARITA’ alla
espressione motoria del bambino.
Ci sono due importanti elementi da evidenziare:
1. Educazione al corpo contribuisce ad una SANA CRESCITA e ad una POSITIVA IMMAGINE DI
SE’, base ineludibile per sviluppare rapporti con l’ambiente sociale e naturale;
2. L’attività motoria può essere l’occasione ottimale per l’insegnante per aiutare il bambino a
FARE DA SOLO.
In questo scenario trovano posto nella scuola dell’infanzia, oltre alla pratica psicomotoria, le
attività di espressività corporea, di gioco e teatrali; esperienze che utilizzano diversi linguaggi
simbolici, ma che hanno come finalità il “benessere psicofisico dei bambini, l’espressione
spontanea, l’esplorazione, la sperimentazione delle conquiste motorie, affettive e cognitive”.
L’attività ludico-motoria si sviluppa grazie a cinque “colonne portanti”, che oltre a renderla fattibile
sul piano operativo, la rendono “peculiare” rispetto le consolidate pratiche psicomotorie presenti
nelle Scuole dell’Infanzia e realizzate secondo i più svariati filoni di pensiero; esse sono:
GIOCO: rende possibile il movimento, e quindi l’attività motoria, nel modo più naturale e
congeniale possibile. Il gioco come “colonna portante” pone in rilievo l’importanza di tutte
quelle esperienze formative che coinvolgono a livello cognitivo, motorio, affettivo e
relazionale.
Nel gioco il bambino apprende a relazionarsi con gli oggetti e l’ambiente circostante, si
rende sempre più consapevole dei propri movimenti, delle capacità del proprio corpo
(coordinazione ed equilibrio), del suo valore come mezzo di comunicazione (espressività,
gestualità, mimica); impara a relazionarsi con lo spazio e in particolare a consolidare la
conoscenza di quelle coordinate che lo regolano, ma anche al tempo, tempo vissuto,
trascorso, passato... nel gioco conosciamo, inventiamo, ci immedesimiamo, costruiamo…
Nel gioco il bambino impara a conoscere sempre più se stesso, la propria personalità e a
relazionarsi all’altro, nel gioco ci si diverte, si è liberi e si rispettano regole allo stesso
tempo; è nella reciproca interazione che il bambino, non solo costruisce un tessuto sociale,
ma trae da esso benefici sul piano cognitivo e affettivo. Si adotta il gioco, come
metodologia operativa privilegiata, perché rappresenta una delle esperienze più
motivanti e coinvolgenti per il bambino soprattutto nella fascia d’età considerata.
IL CORPO GLOBALE: ovvero pensare al bambino come una UNITA’ funzionale, cognitiva,
affettiva e socio-relazionale. Un corpo in toto, che è la somma di più aree della personalità.
Per ogni bambino è importante essere consapevole di sé come essere che cresce e che
cambia e il movimento riveste un ruolo importante in questo processo di costruzione
dell’autoimmagine. Il Sé non è soltanto il corpo, non è soltanto la testa, né soltanto i
sentimenti: è TUTTO L’ESSERE del bambino. L’atelier ludico-motorio vuole essere attento a
tutte quelle dimensioni che durante il periodo evolutivo sono strettamente interdipendenti
e correlate tra loro; come già ricordato il gioco investe più aree della personalità e
l’armonica crescita dell’individuo avviene nella altrettanto armonica attivazione di queste
aree che interagiscono tra loro, nutrendosi vicendevolmente. Intendere il corpo come
MOLTEPLICITA’ DI LINGUAGGI usati dal bambino significa anche attivare una EDUCAZIONE
MOTORIA GLOBALE, che favorisce l’ESPRESSIVITA’ (bisogno di comunicare, esprimersi,
operare scambi) e la funzione di AGGIUSTAMENTO (trasferimento di un
concetto/esperienza da vissuto o sperimentato sul piano motorio a cognitivo/linguistico),
volte all’EQUILIBRIO della persona.
“L’atto creativo si esprime inizialmente a livello di comportamenti motori e affettivi, più
tardi esso si tradurrà nell’attitudine dell’individuo ad effettuare delle sintesi nuove e ad
utilizzare sul piano mentale ciò che è stato sperimentato sul piano del vissuto corporeo”.
La globalità degli interventi comporta attività di gioco simbolico, immaginazione, sia libero
che organizzato dall’adulto; usando il linguaggio musicale, gestuale, verbale, iconico:
PLURALITA’ DI LINGUAGGI.
I MEZZI CONTESTUALIZZANTI: ovvero uno strumento insolito e diverso a tema con la storia
narrata, per mantenere l’interesse e alimentare la motivazione.
Se mi accorgo che l’interesse viene meno, questi mezzi contestualizzanti vanno rivisti. Un
educatore capace di far entrare la situazione di gioco in QUADRI CONTESTUALI pensati per
le finalità e gli obiettivi previsti, sarà tuttavia anche un educatore in grado di prevedere
cornici elastiche per comprendere in esse le dissonanze, i rumori, le proposte dei bambini,
il bambino in difficoltà e di uscire dal quadro senza creare fratture, lasciando tracce del
quadro della situazione quotidiana.
In sintesi, cerchiamo attraverso l’uso di materiali di fortuna, poveri e di riciclo di generare
l’ATTENZIONE e di SOSTENERE LA PARTECIPAZIONE del bambino, facendo leva sul
PENSIERO DIVERGENTE E CREATIVO. Ossia proporre delle attività e dei giochi, in cui il
soggetto venga sollecitato a chiedersi “Che cos’è?” – “A cosa serve?”. Ma non basta
sollecitare domande, è necessario accompagnare i bambini nel processo di scoperta che
già loro stessi, attraverso il reciproco mettersi in relazione e comunicare, attivano, avviando
il cosiddetto “processo di interiorizzazione”; un “apprendere cooperativo” di gruppo, dove
l’adulto media la scoperta e alimenta la motivazione.
Cinque sono i progetti presentati al Servizio Scuole Infanzia del Comune di Ravenna, uno per ogni
scuola assegnata. Ogni progetto è stato pensato, definito e riaggiornato sulla base del contesto
scolastico della programmazione educativa e didattica individuata in ciascuna scuola e sulla base
delle indicazioni fornite dagli insegnanti e degli interessi/bisogni degli alunni.
Ogni progetto pertanto ha una sua identità ben precisa, segue un tema narrativo, ha suoi obiettivi
(educativi e didattici) e si sviluppa cercando di rispettare le “creatività infantili” incontrate.
PROGETTI
PUNTI CHIAVE
DESCRIZIONE DELLE ATTIVITA’ SVOLTE CON I BAMBINI DELLA SCUOLA “FRECCIA AZZURRA”,
PROGETTO “Oh che bel castello!”
Gli incontri si sono svolti alla fine di novembre fino agli inizi di maggio e hanno mantenuto una
struttura uguale, scandita da alcuni momenti “di rito”.
Il punto di raccolta iniziale: presentazione della storia “Il Re è occupato”, filo conduttore
che guiderà gli incontri. Breve momento di illustrazione delle immagini del libro e
anticipazione sul luogo immaginario in cui si andrà a giocare.
La filastrocca mimata: ripetizione di una breve poesia in rima sul castello, accompagnata da
una serie di gesti, all’inizio di ogni nuovo incontro.
Il gioco/percorso/esperienza: è la parte centrale dove si sviluppano i contenuti del
progetto. Tutte le attività verranno attivate grazie al gioco di finzione contestualizzato alla
storia “Il Re è occupato”.
Il punto di raccolta finale: ritorno in cerchio (circle-time), discussione e riflessione.
Rielaborazione e somministrazione di “indovinelli a vignetta” (TCR- Test dei concetti di
relazione spaziale-temporale). Attraverso una indagine di gradimento delle attività si
faranno alcune considerazioni relative alla “solidarietà” tra sviluppo motorio e competenze
affettivo-relazionali (avvalendosi di una intervista al bimbo e dei suoi disegni).
Il re cartone: appendiamo simbolicamente una torre fatta di cartone sulle parti del corpo
che abbiamo usato/esplorato quel giorno.
Disegno sulle attività: attorno ad un tavolo ci si ritrova per disegnare l’esperienza vissuta.
Durante il percorso è bene introdurre dei momenti “di rito” che scandiscano la struttura degli
incontri. “Ci vogliono dei riti perché l’incanto cominci; bisogna volerlo, richiamarlo e ricrearlo ogni
volta… ci vogliono segni che lo anticipino e facciano desiderare che inizi; gesti familiari da ripetere
insieme, atmosfere che ricreandosi colleghino questo momento di intimità a quello che lo ha
preceduto e a tutti quelli che seguiranno… ci vogliono rituali per ricostruire un clima di attesa, un
clima che alimenti il desiderio, per sintonizzarsi su un respiro comune capace di contenere ritmi e
pause di ognuno”.
LA RICERCA
Quale significato hanno per il bambino le attività che sono state proposte?
Con questa ricerca si vuole rispondere all’esigenza di riconferire significato alle esperienze che il
bambino fa a scuola, per questo motivo sono strutturate su una trama narrativa, la quale da
continuità e valore alle varie tappe che la compongono evitando percorsi slegati e frammentari.
“Giocare nella narrazione” significa permettere al bambino di rileggere la storia e le proprie
esperienze, con il tentativo di condurlo alla ricostruzione di sé.
Perché si è scelta come modalità privilegiata di lavoro quella del “piccolo gruppo”?
Il racconto come “escamotage” per “giocare nella storia” permette di rafforzare nel bambino la
capacità di gioco simbolico e di finzione e di sostenere così quelle situazioni di socializzazione che
gli permettono, a loro volta, di essere stimolato e coadiuvato nei processi di interiorizzazione,
possibili proprio a partire dall’interazione tra bambino, adulto e gruppo alla pari.
QUESITI DI PARTENZA
Un ulteriore aspetto da rilevare riguarda lo stile educativo con cui l’atelier è stato condotto per
cercare di soddisfare gli obiettivi preposti. Stile che richiama il tipo di RELAZIONE che l’educatore è
riuscito ad attivare in una serie di 10 incontri con ciascun gruppo di lavoro (un periodo
apparentemente limitato per instaurare una relazione affettiva e proficua coi bambini incontrati).
Per questo è nata l’esigenza di valutare in quale direzione si sia sviluppata questa relazione; come i
bambini abbiano vissuto l’incontro con questa nuova figura di riferimento (l’atelierista) e con
quale gradimento abbiano partecipato alle attività.
Per cui:
- Il bambino ricorda i giochi svolti con l’atelierista? Gli sono piaciute le attività? Come ha
percepito l’educatore: troppo autorevole o troppo affabile? Si è instaurato un “buon”
rapporto tra l’atelierista e i bambini?
Lo spazio esercita una grande influenza sul comportamento. Molto spesso è proprio la relazione
educativa a “spazializzarsi”, attraverso termini riferibili alle dimensioni spaziali.
Si parla di “aperto o chiuso” in relazione alla personalità dei docenti e dei discenti, alla struttura
educativa, al progetto che sottende la prassi, si parla di “accogliente” riferito alla struttura
architettonica o al clima umano, di “elevato o basso” riguardo ai valori, alle competenze, ai livelli
cognitivi, si parla di avanzato, arretrato ecc. rinviando continuamente, sia a livello teorico che
pratico, a margini, distanze, grandezze, posizioni in uno spazio che non è solo fisico, ma anche
emotivo, simbolico, affettivo. I vissuti emotivi, molteplici e complessi, che entrano in gioco nella
relazione educativa connotano lo spazio; insorgono nella relazione insegnante-allievo, nelle
interazioni del gruppo classe, nei percorsi del conoscere, si spazializzano nel luogo educativo in cui
sorgono e si manifestano.
Pertanto lo spazio educativo è spazio dell’ACCOGLIENZA, dell’aprirsi alla vita, è spazio della
scoperta che si apre all’espandersi dell’intelligenza e del sentimento e il movimento, che connota
la relazione educativa, è proprio quello dell’avvicinamento/incontro emo-affettivo, intellettuale.
Lo spazio è anche il luogo in cui MATURANO LE RELAZIONI: di comunicazione e crescita, in cui si
sviluppa la personalità infantile. Lo “spazio della scuola”, impregnato di un odore proprio e
caratteristico, rimane impresso nella memoria.
Accanto allo spazio-scuola, vi è lo “spazio-gioco” con cui il bambino riempie ogni luogo e ambiente
di vita (la grotta, la cupola, la tana, il labirinto, la piramide… spazi che lui immagina, crea, popola,
vive e in cui apprende).
Ma mente gli spazi interni sono gli spazi della condivisione e della protezione, e quindi dello stare,
gli spazi esterni implicano il movimento.
Lo spazio assume una valenza pedagogica anche nella sfera dei processi di apprendimento.
Assume una duplice veste:
- quella dell’educazione “nello” spazio
- quella dell’educazione “allo” spazio
La prima dimensione riguarda i luoghi in cui avviene l’educazione, e quindi la riflessione risulta
essere contaminata dalle molte discipline chiamate in causa quando si parla di spazio, luogo,
ambiente.
La seconda dimensione riguarda più propriamente i contenuti e le metodologie didattiche-
pedagogiche che affrontano il tema “spazio” come oggetto di insegnamento che investe
trasversalmente tutti i campi di esperienza del bambino nella scuola dell’infanzia o aree di
apprendimento se parliamo di scuola primaria.
Il movimento del corpo nello spazio è considerato, da molti autori, uno strumento di
comunicazione; altri ancora gli attribuiscono un grande valore come elemento centrale per lo
sviluppo armonico della personalità.
Ma la riflessione sullo spazio investe in modo più ampio anche l’analisi dei materiali e degli arredi
attraverso i quali stimolare e coinvolgere i bambini.
Lilianne Lurçat (psicologa) evidenzia come il bambino viene a conoscere lo spazio, prima attraverso
atti motori e successivamente attraverso processi di simbolizzazione e interiorizzazione, arrivando
alla sua rappresentazione mentale, che in modo sempre più raffinato, riesce a descrivere
verbalmente. Questa ricercatrice ha messo in rilievo come il formarsi delle coordinate spaziali
dipenda da diversi fattori, non solo evolutivi relativamente alla conoscenza del proprio schema
corporeo, ma anche da fattori posturali e semantici.
Gli apprendimenti di ogni sfera educativo-didattica sono pienamente favoriti dall’esperienza che
ciascuno fa del proprio corpo: così il bambino scopre il mondo circostante e si appropria
progressivamente dello spazio.
E’ bene ricordare, inoltre, che lo spazio ci permette di lavorare su categorie concettuali, come
“aperto/chiuso”, “largo/stretto”, “vicino/lontano”, le quali investono non solo la dimensione più
cognitiva dell’apprendimento, ma anche quella affettiva e relazionale.
Nella categoria “corpo” sono comprese: le sue parti (testa, spalle, gambe, muscoli…) e i
suoi movimenti (piegarsi, rotolare, camminare…).
Nella categoria “spazio”, esso viene inteso come “volume dotato di consistenza e
profondità” nel quale ci muoviamo in una direzione (verso destra o sinistra), con una
estensione (vicino, lontano), scegliendo un livello di spostamento (verticalmente,
orizzontalmente…) e un percorso (punto da raggiungere) che è la meta verso cui
indirizziamo il movimento stesso.
Questo è lo SPAZIO VISSUTO che il bambino vive in modo emotivamente molto forte; spazio unico
e diverso per ciascuno, spazio coinvolgente e accogliente, dove il bambino sperimenta se stesso, in
libertà e in controllo, in equilibrio, e nel ritmo, costruendo il “suo” stile.
Lo SPAZIO PROIETTIVO, invece, si ha prima di raggiungere l’universo euclideo (che si scopre dopo i
7 anni): in questo spazio l’oggetto o la figura sono visti in rapporto al punto di vista di un
osservatore.
I bambini NON usano un solo linguaggio, ma un insieme di linguaggi che sostengono e/o
sostituiscono quello verbale (mimico, gestuale, manipolativo, grafico…).
Se sono MOTIVATI è maggiore la possibilità che possano cogliere gli elementi e gli aspetti
esteriori delle situazioni che gli si presentano, e questo influirà sulle capacità cognitive.
Il MOVIMENTO può essere usato per soddisfare le proprie esigenze, così da ampliare
nuovamente lo sviluppo cognitivo.
Le situazioni proposte determinano azioni che essi consolidano se hanno modo di
RIPETERE; quando l’azione/comportamento è assimilata, è necessario modificare la
situazione affinchè il bambino sia ancora interessato a continuare il gioco.
I bambini apprendono in modo differente perché hanno PROFILI INTELLETTIVI e STILI
COGNITIVI DIFFERENTI: per questo sono necessarie “situazioni oblique”: diversificando i
materiali, intervenendo sugli spazi e sui tempi per renderli elastici e adattabili alle esigenze
dei bambini, traducendo le opportunità da cognitivo/verbali a cognitivo/corporee per
facilitare le conoscenze; variando, creando sfondi che attivino modalità personali di
risoluzione alla soluzione-problema.
La sensibilità, l’intuito del conduttore e la sua pratica personale serviranno da guida nelle attività
coi bambini, che attraverso la loro gioia e il loro coinvolgimento, lo trascinano in un’avventura
meravigliosa.. quella della loro crescita! Infine, i bambini hanno bisogno di sentire una guida sicura
e flessibile, un esplicito esempio di modello esplorativo da seguire, con specifiche caratteristiche:
Educare significa “tirare fuori” le potenzialità del bambino, dai 3 ai 6 anni, il terreno è
estremamente fertile per operare in questo senso.
Si è scelto di valutare in che modo l’intervento svolto nella Scuola dell’Infanzia Freccia Azzurra
abbia contribuito alla formazione e al consolidamento dei concetti di “spazio”, che normalmente il
bambino vive e agisce nel suo quotidiano.
L’IPOTESI SPERIMENTALE per gli OBIETTIVI COGNITIVO-MOTORI parte dalla volontà di monitorare
lo sviluppo dei concetti di relazione spaziale nel periodo iniziale delle attività e successivamente in
quello terminale, per rilevare possibili cambiamenti (o consolidamenti) nell’acquisizione delle
coordinate spazio-dimensionali.
1) Prima considerazione: per il maggiore controllo dei dati abbiamo pensato di coinvolgere
nella ricerca un gruppo di bambini frequentanti un’altra scuola che non erano stati
coinvolti nella situazione prevista per la scuola Freccia Azzurra, valutando le stesse
competenze (gruppo di controllo).
2) Seconda considerazione: si prendono in considerazione due gruppi di bambini con
caratteristiche omogenee per età, sesso, condizioni sociali e psico-fisiche.
3) Terza considerazione: è possibile che i risultati ottenuti nel monitoraggio di entrambi i
gruppi possano differire perché l’atelierista può aver trasmesso un diverso grado di
coinvolgimento nelle due realtà scolastiche.
4) Quarta considerazione: è possibile anche che il miglioramento esibito dai punteggi della
verifica dei “concetti spaziali”, nel nostro gruppo di lavoro, non sia sufficientemente
rilevante per essere significativo di un apprendimento; per valutare questa significatività
pertanto sceglieremo un adeguato test statistico che ci permetterà di stabilire la casualità
dei risultati.
5) Quinta considerazione: i miglioramenti nella sfera interessata potrebbero essere
correlazionati ad altre sfere concettuali, di cui il bambino già possiede padronanza.
6) Sesta considerazione: è inoltre possibile che i vari miglioramenti ottenuti con l’attività
ludico-motoria siano da attribuirsi ad altri diversi fattori, come la predisposizione
personale, come l’intervento didattico delle maestre, come gli stimoli, le occasioni attivate
dall’ambito familiare, ecc.
Alla luce di queste considerazioni cercheremo di confermare la nostra IPOTESI SPERIMENTALE e di
rifiutare l’IPOTESI NULLA (ipotesi nulla qualora i risultati mostrati dai bambini non siano dovuti
all’azione educativa nell’ambito ludico-motorio, ma da fluttuazioni casuali o da fattori non
controllabili).
L’IPOTESI SPERIMENTALE per gli OBIETTIVI AFFETTIVO-RELAZIONALI parte invece dalla volontà di
rilevare, a fine anno, il gradimento rispetto alle attività proposte, il loro grado di difficoltà per il
bambino e il grado di familiarizzazione raggiunto con i bambini dall’atelierista.
L’ipotesi poggia sul fatto che i percorsi pensati e proposti dovevano essere calibrati nella
cosiddetta “zona di sviluppo prossimale”, ma anche, privilegiare una interazione proficua tra
bambino/atelierista e tra bambino/bambino.
Gli obiettivi pertanto sono stati definiti sulla base degli interessi dei bambini e si è cercato di
rendere sempre motivanti le attività, sia proponendo giochi che richiedevano competenze già
acquisite, sia giochi che stimolavano l’acquisizione di nuove competenze, cercando il difficile
equilibrio tra il “sono capace” e il “non sono capace” che si traduce nel “riesco se tu mi aiuti”.
FASE OPERATIVA
PROGETTO “OH CHE BEL CASTELLO!”
Descrizione attività: dopo il periodo iniziale, che prevedeva attività prevalentemente rivolte alle
sfera sensoriale (olfatto e tatto) e alcune rivolte alla strutturazione dello schema corporeo, si è
proseguito con una serie di giochi ed esperienze finalizzate ad approfondire le coordinate di spazio
e dimensione (il labirinto, la ragnatela, la caccia al tesoro, la danza del re), che prevedevano
progressivamente competenze più affinate.
1) La categoria dei concetti spaziali, nella quale sono inclusi i termini di sopra/sotto, al
centro, in mezzo, in alto/in basso, destra/sinistra, davanti/dietro, primo/ultimo, in
cima/in fondo…
2) La categoria dei concetti temporali, ossia come si collocano gli eventi, uno in
relazione all’altro, lungo la dimensione del tempo; e comprendono concetti come,
prima/dopo, il secondo… che il test propone tramite vignette da rimettere in ordine
sequenziale con un preciso inizio e un’esatta fine.
3) La categoria dei concetti dimensionali riguarda particolari qualità che un oggetto
può avere in rapporto ad un altro; ad esempio grande/piccolo, altro/basso,
lungo/corto sono qualità che subiscono un’interpretazione da parte del bambino
legata alla preferenza per la dimensione verticale e alla tendenza nel valutare gli
oggetti sulla base della percezione della loro parte alta.
4) La categoria dei concetti quantitativi tra oggetti come di più/di meno, molti/pochi,
uguale numero, si basano su una percezione immediata della numerosità in quanto
le quantità le quantità coinvolte non superano le 10 unità e non è richiesto ai
bambini di attivare un sistema aritmetico di valutazione delle stesse.
OBIETTIVI AFFETTIVO-RELAZIONALI:
Quali sono gli indicatori di una buona qualità della relazione educatore/bambino? Le attività
proposte sono motivanti? Troppo facili o ostiche?
Per valutare anche questo aspetto e rimanere il più possibile aderenti alle attività proposte,
abbiamo optato per una indagine conoscitiva tramite intervista (in forma di colloquio guidato) e
per una analisi grafica del disegno del bambino.
L’atelier ludico-motorio è guidato da una figura professionale (l’atelierista) che incontra piccoli
gruppi di 8/9 bimbi per circa 10-11 volte in un anno. Questo comporta la necessità di avviare una
buona relazione coi bambini e di familiarizzare con rapidità, nel modo più efficace possibile.
Si tratta di creare un equilibrio tra autorevolezza e affabilità come ingrediente principale della
relazione che si viene a instaurare.
Ciò è importante non solo per una più facile gestione degli incontri, ma anche per favorire la
ristrutturazione delle esperienze vissute e dei giochi fatti. Ma questo solamente se l’educatore è in
grado di stabilire con ciascuno un legame affettivo.
- Il tentativo è quello di rilevare la qualità dell’azione educativa, che traspare da quello che
pensano i bambini, attraverso i loro disegni e le loro parole.
- Vi è anche l’intenzione di capire in che modo sono state percepite le attività, se sono state
formulate consegne troppo difficili oppure troppo facili, se hanno coinvolto i bambini
oppure no.
Dall’intervista si otterrà quindi un quadro sintetico della relazione affermatasi. Una volta inserite le
risposte in una tabella riassuntiva, si cercheranno le peculiarità del rapporto educatore-educando.
NB: Vayer ha evidenziato come i bambini riescano ad esprimersi più liberamente, con maggiore
sicurezza, dichiarando ciò che pensano realmente, senza reticenze, più con la formula grafica che
con quella verbale.
Il disegno rappresenta uno dei massimi mezzi comunicativi nell’infanzia, specialmente in una
fascia d’età dove non sono sviluppati altri canali linguistici!
Per verificare la validità dei dati ottenuti è stato scelto il test parametrico non relazionato, “T
TEST”.
Le condizioni di applicabilità del test parametrico scelto sono tre:
1. Tipo di misurazione: scala ad intervalli;
2. Distribuzione normale: i punteggi sono distribuiti su una curva gaussiana;
3. Omogeneità della varianza: la variabilità dei punteggi in ciascuna condizione deve essere
approssimativamente la stessa.
CONCLUSIONI
1. Quesito: che influenza ha avuto l’atelier ludico-motorio sulla organizzazione dei concetti di
spazio (obiettivi cognitivo-motori)?
L’analisi svolta sul numero di risposte corrette ai test somministrati, mostra un aumento di
risposte esatte dopo l’intervento ludico-motorio (nella seconda somministrazione) sia nei
bambini di 4 anni che in quelli di 5.
2. Quesito: che tipo di relazione si è instaurata con la figura dell’atelierista (obiettivi affettivo-
relazionali)?
Emerge un generale gradimento delle attività svolte, nonostante queste si siano
dimostrate talvolta “difficili”.
La relazione instaurata nei mesi coi bambini riporta le caratteristiche della stabilità,
dell’equilibrio, del contenimento, dell’allegria, di apertura ed empatia. Sono emerse note
di energia e stimolazione, vitalità e dinamismo; non mancano tuttavia toni aggressivi e di
tensione controllata, nei confronti della quale si è svolta una funzione di contenimento.
Possiamo dire che l’attività educativo-didattica ha avuto quindi un esito positivo ed
efficace, nutrendo l’immaginazione di ciascun bambino e bambina.