Esplora E-book
Categorie
Esplora Audiolibri
Categorie
Esplora Riviste
Categorie
Esplora Documenti
Categorie
Uscita vincitrice dalla prova più impegnativa della sua storia unitaria, l'Italia si trovò a
condividere i problemi politici e le tensioni sociali che la Grande Guerra aveva
suscitato in tutta Europa. L'economia presentava i tratti tipici della crisi postbellica:
sviluppo abnorme di alcuni settori industriali, con conseguenti problemi di
riconversione, sconvolgimento dei flussi commerciali, deficit gravissimo del
bilancio statale, inflazione galoppante.
Fra il giugno e il luglio del 1919 le principali città italiane divennero teatro di violenti
tumulti contro il caro-viveri, mentre le industrie erano investite da un'ondata di
scioperi volti a ottenere aumenti salariali. Non meno intense furono in questo periodo
le lotte dei lavoratori agricoli. In Val Padana, gli scioperi erano organizzati dalle
"leghe rosse" controllate dai socialisti, che avevano, a livello locale, il monopolio
della rappresentanza sindacale. Nelle regioni centrali ,erano attive soprattutto le
"leghe bianche" cattoliche.
l'Italia era uscita dalla guerra nettamente rafforzata: aveva ottenuto,Trento, Trieste e
le altre "terre irredente"; aveva raggiunto i "confini naturali" segnati dalle Alpi, aveva
infine visto scomparire dalle sue frontiere il nemico nazionale, l'Impero asburgico.
Ma la dissoluzione dell'Austria-Ungheria e la nascita del nuovo Stato jugoslavo
ponevano una serie di problemi non previsti nel momento in cui era stato stipulato il
patto di Londra: in base a quel patto, infatti, l'Italia avrebbe dovuto annettere anche
la Dalmazia. Non era prevista invece l'annessione della città di Fiume, a
maggioranza italiana, che doveva restare all'Impero asburgico. Tuttavia, alla
conferenza di Versailles, il presidente del Consiglio Orlando e il ministro degli Esteri
Sonnino chiesero l'annessione di Fiume sulla base del principio di nazionalità, in
aggiunta ai territori promessi nel 1915.
Tali richieste incontrarono l'opposizione degli alleati, in particolare del presidente
degli Stati Uniti.
Sì parlò allora di "vittoria mutilata", poiché l'Italia sì senti tradita nei confronti degli
alleati.
La manifestazione più clamorosa di questa protesta si ebbe nel settembre 1919,
quando alcuni reparti militari ribelli assieme a gruppi di volontari, sotto il comando di
D'Annunzio, occuparono la città di Fiume, posta allora sotto controllo internazionale,
e ne proclamarono l'annessione all'Italia.
Indebolito dall'esito delle elezioni, il ministero Nitti sopravvisse fino al giugno 1920,
quando a costituire il nuovo governo fu richiamato l'ormai quasi ottantenne Giovanni
Giolitti. Rimasto ai margini della vita politica negli anni della guerra, Giolitti era
rientrato in scena alla vigilia delle elezioni con un programma molto avanzato, in cui
si proponeva fra l'altro la nominatività dei titoli azionari (cioè l'obbligo di intestare le
azioni al nome del possessore, permettendone così la tassazione) e un'imposta
straordinaria sui profitti realizzati dall'industria bellica.
Giolitti diede prova ancora una volta di abilità e di energia. I risultati più importanti li
ottenne in politica estera, imboccando l'unica strada praticabile per la soluzione della
questione adriatica.
Il negoziato si concluse, il 12 novembre 1920, con la firma del trattato di Rapallo,che
sancisce il possesso di Trieste, Gorizia e tutta l'Istria. La Jugoslavia ebbe la
Dalmazia, salvo la città di Zara che fu assegnata all'Italia. Fiume fu dichiarata città
libera.
A Fiume, intanto, D'Annunzio annunciava una resistenza a oltranza; ma, quando, il
giorno di Natale del 1920, le truppe regolari attaccarono la città dalla terra e dal
mare, preferì abbandonare la partita.
Giolitti dovette affrontare gravi problemi di politica interna, come l'agitazione dei
metalmeccanici, che rappresentò il momento più critico del "biennio rosso" italiano.
Nell'estate-autunno del '20 la vertenza culminò nella occupazione delle fabbriche
che coinvolse 400 mila operai, prefigurando l'inizio di un moto rivoluzionario
destinato a estendersi a tutto il paese. In realtà prevalse la linea dei sindacati, che
videro accontentate le loro richieste economiche. Questa conclusione - fortemente
voluta da Giolitti – risultò deludente per chi aveva sperato nella rivoluzione e
accentuò le divisioni nel movimento socialista che avrebbero portato, nel congresso
di Livorno del gennaio 1921, alla scissione dell'ala più vicina alla Terza
Internazionale e alla nascita del Partito comunista.
Al congresso del Psi, che si tenne a Livorno nel gennaio 1921, i riformisti non
vennero espulsi e fu invece la minoranza di sinistra guidata da Bordiga ad
abbandonare il Psi per formare il Partito comunista d'Italia.
L'offensiva fascista
Fino all'autunno del '20, il fascismo aveva svolto un ruolo marginale nella politica
italiana: nelle elezioni del 1919 le liste dei Fasci ottennero poche migliaia di voti e
nessun deputato. Tra la fine del 1920 e l'inizio del 1921, il movimento subì però un
rapido processo di mutazione che lo portò ad accantonare l'originario programma
radical-democratico, a organizzare formazioni paramilitari - le squadre d'azione* - e
a condurre una lotta spietata contro il movimento socialista, in particolare contro le
organizzazioni contadine della Val Padana.
*Squadracce: gruppi di camicie nere, che su camion improvvisati si recarono nelle
zone rurali della valpadana iniziando violenze nei confronti di socialisti e comunisti.
Inizia così lo squadrismo: atteggiamento violento nella valpadana guidato da
Mussolini.
Il 21 novembre 1920 a Bologna gli squadristi si mobilitarono per impedire la
cerimonia d'insediamento della nuova amministrazione comunale socialista. Vi
furono scontri e sparatorie dentro e fuori il municipio. Per un tragico errore i socialisti
incaricati di difendere il Palazzo d'Accursio, sede del comune, gettarono bombe a
mano sulla folla, composta in gran parte dai loro stessi sostenitori, provocando una
decina di morti. Da ciò i fascisti trassero pretesto per scatenare una serie di ritorsioni
antisocialiste in tutta la provincia.
Inizia quindi lo squadrismo sistematico cioè camicie nere che maltrattavano gli
oppositori.
Verso il regime
Nel dicembre 1922 Mussolini istituisce il Gran Consiglio del fascismo,che aveva il
compito di indicare le linee generali della politica fascista e di servire da raccordo fra
partito e governo.
Nel gennaio 1923 le squadre fasciste vennero inquadrate nella Milizia volontaria
per la sicurezza nazionale: un corpo armato di partito che aveva come scopo
dichiarato quello di «proteggere gli inesorabili sviluppi della rivoluzione», aveva il
compito di deprimere qualunque oppositore del partito nazionale fascista.Le vittime
principali furono i comunisti.
(La compressione dei salari era del resto una componente importante della politica
economica del governo che, fedele alle promesse della vigilia, miró soprattutto a
restituire libertà d'azione e margini di profitto all'iniziativa privata. )
Sul piano economico e finanziario, la politica liberista ottenne successi: fra il '22 e il
'25 vi fu un notevole aumento della produzione e il bilancio dello Stato tornò in
pareggio.
Un altro sostegno decisivo Mussolini lo ebbe dalla Chiesa cattolica in cui, dopo
l'elezione del nuovo papa Pio XI nel febbraio 1922, stavano riprendendo il
sopravvento le tendenze più conservatrici. Per molti cattolici il fascismo, aveva il
merito di aver allontanato il pericolo una rivoluzione socialista.
La riforma scolastica(Gentile) varata nella primavera del 1923 dall'allora ministro
della Pubblica Istruzione, il filosofo Giovanni Gentile, prevedeva l'insegnamento
della religione nelle scuole elementari e l'introduzione di un esame di Stato al
termine di ogni ciclo di studi: una misura da tempo richiesta dai cattolici, in quanto
metteva sullo stesso piano scuole pubbliche e private. La prima vittima
dell'avvicinamento fra Chiesa e fascismo fu il Partito popolare, considerato ormai
dalle gerarchie ecclesiastiche un ostacolo sulla via del miglioramento dei rapporti
con lo Stato.
Nell'aprile 1923 Mussolini impose le dimissioni dei ministri popolari dal suo
governo. Poco dopo, don Sturzo, sotto le pressioni del Vaticano, lasciò la segreteria
del Ppi.
Liberatosi del più scomodo fra i suoi alleati, Mussolini aveva il problema di crearsi
una sua maggioranza parlamentare, affermando al tempo stesso la posizione di
preminenza del fascismo. Fu questo lo scopo della nuova legge elettorale
maggioritaria, varata nell'estate del 1923 col voto favorevole di buona parte dei
liberali e dei cattolici di destra. La legge Acerbo o Truffa(così chiamata dal nome
dell'allora sottosegretario alla presidenza del Consiglio) avvantaggiava vistosamente
la lista che avesse ottenuto la maggioranza relativa (con almeno il 25% dei voti),
assegnandole i due terzi dei seggi disponibili.
Nel 24,i fascisti ottennero 65% dei voti e più di tre quarti dei seggi.
Poco più di due mesi dopo le elezioni, un evento tragico e inatteso intervenne a
mutare bruscamente lo scenario. Il 10 giugno 1924, il deputato socialista Giacomo
Matteotti fu rapito a Roma da un gruppo di squadristi, caricato a forza su un'auto e
ucciso a pugnalate. Il suo cadavere, sarebbe stato trovato solo due mesi dopo.
Era dunque naturale che la sua scomparsa suscitasse nell'opinione pubblica, pur
assuefatta alla violenza politica, un'ondata di indignazione contro il fascismo e il
suo capo.
Il delitto Matteotti porta alla questione morale,di gruppi antifascisti che si astenerono
ai dibattiti nelle aule parlamentari e si riunirono separatamente aspettando che
venisse ripristinata la legalità democratica.
Per la prima volta così,i fascisti si trovarono in una condizione di difficoltà.
E Mussolini, premuto dall'ala intransigente del fascismo, decise di contrattaccare. Il 3
gennaio 1925, in un discorso alla Camera, il capo del governo ruppe ogni cautela
legalitaria, assumendosi la «responsabilità politica, morale e storica» di tutto quanto
era avvenuto e minacciando apertamente di usare la forza contro le opposizioni.
Mise di fronte agli italiani una scelta, quella tra fascismo e antifascismo, tra dittatura
e libertà. Molti politici e uomini di cultura che avevano fino ad allora mantenuto nei
confronti del fascismo un atteggiamento di benevola neutralità sentirono la necessità
di prendere posizione. A un "Manifesto degli intellettuali fascisti" diffuso nell'aprile '25
per iniziativa di Giovanni Gentile, gli antifascisti risposero con un "contromanifesto"
redatto da Benedetto Croce, che rivendicava i diritti di libertà ereditati dalla tradizione
risorgimentale.
Naturalmente quasi tutti giurarono fedeltà al fascismo, ad esempio,dopo
l'approvazione delle leggi fascistissime*,nelle università i professori universitari
dovevano giurare fedeltà al fascismo.