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09"19"
2-264(37)
Iulia Cosma1
Università di Padova
Dipartimento di studi linguistici e letterari
Università dell’Ovest di Timisoara
Facoltà di Lettere, Storia e Teologia
Dipartimento di lingue e letterature moderne
Il presente contributo, dai fini sia bibliografici che analitici, si propone come un
compendio dei riferimenti alla città di Roma nella narrativa romena del Novecento,
corredato da un’analisi pluridisciplinare dei materiali in cui convergono prospettive
storiche, letterarie e più latamente culturali. Oltre alla tracciatura di una mappa della
presenza della Città Eterna nella narrativa romena del Novecento, si vogliono anche
individuare, dove presenti, le tendenze specifiche nella rappresentazione dell’Urbe
nella letteratura romena e le possibili motivazioni ad esse sottese.
Parole chiave: il mito di Roma antica nella cultura romena, Roma nella narrativa
romena del Novecento, le guerre daciche, il mito delle origini daco-romane, romanzo
storico, processo di romanizzazione della Dacia
1 cosmaiulia.m@gmail.com
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Madre comune d’ogni popolo l'immagine di Roma nella narrativa romena del Novecento
vero e proprio mito fondatore. Nello spazio culturale romeno saranno i croni-
sti moldavi del Seicento, Grigore Ureche (1590-1647) e Miron Costin (1633-
1691), ad accorgersi per primi dell’origine latina di un popolo la cui lingua, se-
condo un’altra famosa e di qualche secolo posteriore boutade di Nicolae Iorga
(1871-1940), nume tutelare della storia romena, costituiva un’isola di latinità in
un mare slavo. Grigore Ureche sancirà intorno al 1647 che ‘noi romeni’ «de la
Rîm ne tragem»2, discendiamo da Roma. Verso la fine del Settecento e la prima
metà dell’Ottocento, le élites intellettuali dei Principati e della Transilvania sco-
prono l’Occidente grazie ai viaggi, di piacere e/o di studio, e riaffermano il le-
game in precedenza sottolineato dai cronisti moldavi, avviando un processo di
riorientamento politico e culturale verso l’Occidente romanzo che sarà decisi-
vo per il processo di formazione della lingua letteraria romena moderna. Più in
particolare, nell’Ottocento, la città di Roma, culla dell’Impero, sarà oggetto di
un’operazione metonimica, arrivando a designare nell’immaginario collettivo
l’Italia stessa (cfr. Vranceanu Pagliardini 2019: 15-16), fatto ben testimoniato
dalla produzione scritta del tempo. Questo, a grandi linee, il contesto storico in
cui si innesca la passione per l’Italia di alcuni intellettuali romeni, concretizza-
tasi anche a livello letterario con la pubblicazione di racconti di viaggio, liriche
o romanzi ambientati nella penisola italica. Nel periodo interbellico, per ragio-
ni di tipo politico, i rapporti tra la Romania e l’Italia saranno molto stretti con
conseguente incremento degli scambi culturali, mentre dopo la Seconda Guer-
ra Mondiale si registra un calo d’interesse per l’Italia, anche se non mancano gli
scambi con importanti intellettuali italiani di simpatie comuniste. Infine, dopo
la rivoluzione del 1989, l’Italia diventa per i romeni soprattutto terra di immi-
grazione e meta di viaggi.
Considerato il valore seminale dell’Urbe nell’immaginario culturale e let-
terario del mio Paese, non ho potuto resistere al fascinoso richiamo di riper-
correre a mia volta la strada per Roma, tentando di individuare le tracce della
presenza della Città Eterna nella narrativa romena del Novecento. Compito ar-
duo, anche rinunciando alla pretesa di esaustività (improbabile se non addirit-
tura impossibile), adatto forse più a una ricerca dottorale che a un contributo
per un progetto pur di ampio respiro come quello di Le città italiane nelle lette-
rature del Novecento.
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femminili del romanzo, l’autrice farà incontrare proprio a Roma un giovane ita-
liano, Rinaldo, con cui avrà una storia d’amore infelice (Smara 1920: 103-128).
Negli anni ’40 l’Urbe sarà presente nei romanzi ad argomento storico di
Christian Ciomac (1942) e Valeriu Galan (1948). Entrambi ambientano i pro-
prio romanzi nella corte papale rinascimentale: il primo subisce il fascino del-
la famiglia Borgia, mentre il secondo la ritrae in chiave ironica. Si tratta di
due scrittori piuttosto oscuri ed esteticamente carenti, (per di più) assai legati
all’ambiente politico loro contemporaneo. Ciomac (1882- ?) fu un avvocato di
origine armena che ricoprì anche le cariche di sindaco e senatore di una città
importante della provincia storica della Moldavia, mentre Galan (1921-1955)
svolse la professione di giornalista. Lo humour, così come la vicinanza all’ap-
parato comunista, sono le caratteristiche più marcate della scrittura di Galan.
Tipico scrittore di regime, nelle sue opere ha trattato argomenti relativi al pro-
gresso sociale registrato durante l’avvento del comunismo, insistendo sui bene-
fici da esso derivati. Negli anni 1962-1968 fu vicepresidente dell’Unione degli
scrittori romeni.
Negli anni 1950 venne dato alle stampe il romanzo Bietul Ioanide [Ioani-
de, un povero disgraziato] di George Călinescu (1899-1965), personalità po-
liedrica, insigne critico e storico letterario, accademico e professore universita-
rio, autore di una monumentale storia della letteratura romena. Anche lui visse
per un breve periodo a Roma, nel 1924, grazie a una borsa di studio. La trama
del romanzo è ambientata nella Romania del periodo precedente alla Seconda
Guerra Mondiale (anni 1938-1940), ma la Città Eterna è ben presente sia a li-
vello estetico, nell’operato dell’architetto Ioanide protagonista del romanzo, raf-
finato intellettuale, sia a livello ideologico, come civiltà gloriosa del passato ed
emblema del fascismo: ciò traspare soprattutto nei discorsi del figlio di Ioanide,
membro del Movimento Legionario, l’ideologia del quale costituiva un miscu-
glio autoctono di politica di destra e di religione ortodossa (Călinescu 2001).
A concludere questa prima categoria della rassegna bibliografica è pro-
prio il figlio di Duiliu Zamfirescu, Alexandru Duiliu Zamfirescu (1892-1968),
anche lui diplomatico, scrittore (di minore respiro e rilievo rispetto al padre)
nonché traduttore. Nato a Roma da madre italiana, proseguì gli studi universi-
tari in Francia, svolgendo una carriera diplomatica di tutto rispetto che lo por-
tò anche al di fuori del continente europeo, in Brasile. Il suo romanzo, Domnul
Daltaban de Seraschier [Il Signor Daltaban de Seraschier] propone un affre-
sco storico-sociale con accenti satirici dell’ambiente dell’ambasciata romena a
Roma (Zamfirescu 1965), dove l’autore prese servizio, sempre come segretario
di legazione dal 1919 al 1922.
b) 1967-1989: le guerre daciche
1967 Ion Nicolae Bucur, Sarmis, Ciclul dac (I), București: E.P.L.
Tudor Popescu, Un dac la Roma, București: E.M.
Ion Topolog, Paul Antim, Lovituri din umbra, I-II, București: E.T.
1968 Valeriu Galan, A treia Romă (Contravizitele d-rului B.A.),
București: E.P.L.
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Didascalia II
La narrativa che ho disposto nella seconda categoria è tutta di tipo storico.
A parte il libro di Galan (1968), A treia Romă (Contravizitele d-rului B.A.) [La
terza Roma: le seconde visite del dottor B.A.], ambientato nella seconda metà
del Settecento, tutti gli altri trattano il periodo delle guerre daciche, con una
leggera variazione registrata nel romanzo di Alice Botez (1914-1985), Emisfera
de dor [L’emisfero della nostalgia], le cui vicende hanno luogo a Roma, dopo la
fine dei conflitti daco-romani; ne è protagonista lo schiavo Dorses. Alice Botez
è l’unica autrice degna di nota di questa categoria. Gli altri sono scrittori mino-
ri (Vasile Andru, Sergiu Cosciud, Valeriu Galan), intellettuali con velleità lette-
rarie (Paul Antim, pseudonimo di Voicu Bugaru, Emil Poenaru, Ion Topolog),
un giornalista (Mihail Diaconescu), un militare di carriera (N. Rădulescu-
Lemnaru), un autore di letteratura per ragazzi (Nicolae Ionescu-Dunăraru),
uno sceneggiatore (Alexandru Struțeanu) e altre figure talmente oscure da non
aver lasciato traccia di sé oltre ai romanzi pubblicati (Ion Nicolae Bucur, An-
drei Dicea, Mircea Duduleanu, Tudor Popescu, N., Rădulescu-Poenaru, Victor
Rusu-Ciobanu, Bogdan Stihi, Paul Tămaș). Non dispongo di molte informa-
zioni sulla maggior parte di queste opere, le quali, non avendo trovato collo-
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romana» (Călinescu 2001: 59), rende ancora più marcato il contrasto tra mito
e realtà, che si risolve soltanto sul piano estetico, poiché tutti questi appellativi
«formano insieme […] una famiglia poetica» (Călinescu 2001: 59).
5. Conclusioni
Sarebbe presuntuoso da parte mia dichiarare conclusa una ricerca sulla
presenza della Città Eterna nella narrativa romena del Novecento. Mi limito
dunque a riprendere le osservazioni derivate dall’interpretazione della rasse-
gna bibliografica: nella prima metà del Novecento, Roma viene raffigurata nel-
la narrativa del mio Paese come spazio simbolico delle origini e città d’arte,
mentre nella seconda metà del Novecento, dietro la pressione esercitata dall’ap-
parato ideologico comunista, sarà presente come avversaria dei daci in roman-
zi storici di scarso livello; la strumentalizzazione del suo glorioso passato impe-
riale servirà alla costruzione di un fantasmagorico progetto nazionale romeno
dalle radici millenarie.
Tuttavia, mi piace pensare che sul versante letterario il cerchio si chiuda
con un involontario effetto Doppelgänger al rovescio. Ruxandra che declama
la sua poesia Mama Roma ai Fori, davanti al fiore dell’intellettualità italiana
in estasi, sembra aver colto l’invito lanciato a Osroe da Adriano stesso. Un in-
contro improbabile, ma non per questo meno fascinoso, come tutti gli incontri
della famiglia poetica allargata.
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