Struttura e sovrastruttura
Secondo Marx, la concezione materialistica della storia si basa su due elementi
fondamentali, le forze produttive e i rapporti di produzione, che costituiscono la struttura,
ovvero lo scheletro economico della società. Per forze produttive Marx intende tutti gli
elementi necessari al processo di produzione ossia: uomini, mezzi, conoscenze tecniche e
scientifiche. Per rapporti di produzione intende i rapporti che si instaurano fra gli uomini nel
corso della produzione e che regolano il possesso e l’impiego dei mezzi di lavoro, e anche la
ripartizione di ciò che si produce. I rapporti di produzione trovano la loro espressione
giuridica nei rapporti di proprietà. La struttura, o modo di produzione, condiziona in generale
il processo sociale, politico o spirituale della vita che è la sovrastruttura. Il materialismo
storico quindi si configura nella struttura economica che determina le leggi, lo Stato le
religioni, le filosofie e così via, e non viceversa (idealismo storico). Dunque le vere forze
motrici della storia non sono di natura spirituale, bensì di natura socioeconomica.
Il Manifesto
Borghesia, proletariato e lotta di classe
Il Manifesto del partito comunista (1848 ) espone gli scopi e i metodi dell’azione
rivoluzionaria e rappresenta la concezione marxista del mondo. I punti salienti sono:
o l’analisi della funzione storica della borghesia;
o il concetto della storia come lotta di classe;
o la critica dei socialismi non-scientifici.
Nella prima parte del Manifesto, Marx descrive la vicenda storica della borghesia,
sintetizzandone meriti e limiti. Spiega che la borghesia non può esistere senza rivoluzionare
continuamente gli strumenti di produzione e tutto l’insieme dei rapporti sociali. Di
conseguenza appare una classe dinamica. Però le moderne forze produttive, sempre più
sociali, si rivoltano contro i vecchi rapporti di proprietà, ancora privatistici e sottomessi alla
logica del profitto personale, generando delle crisi terribili, che mettono in forse l’esistenza
stessa del capitalismo. Tanto che il proletariato, classe oppressa della società borghese, non
può fare a meno di mettere in opera una dura lotta di classe, volta al superamento del
capitalismo e delle sue forme istituzionali. Il concetto della storia come lotta di classe è uno
dei più significativi del Manifesto:. “Liberi e schiavi, patrizi e plebei, baroni e servi della gleba,
membri delle corporazioni e garzoni, in breve, oppressori e oppressi, furono continuamente
in reciproco contrasto, e condussero una lotta ininterrotta, ora latente ora aperta; lotta che
ogni volta è finita o con una trasformazione rivoluzionaria di tutta la società o con la comune
rovina delle classi in lotta”. Il Manifesto termina con il noto slogan rivoluzionario: Proletari di
tutti i Paesi, unitevi!
Il Capitale
Economia e dialettica
Il Capitale si propone di svelare i meccanismi di fondo dell'economia borghese, che sono in
esplicita contrapposizione con l’economia classica. Marx si differenzia dai grandi teorici
dell’economia borghese (Smith e Ricardo) soprattutto per il suo metodo storico-dialettico. A
differenza degli economisti classici, egli è convinto che non esistano leggi universali
dell’economia, e che ogni formazione sociale abbia leggi storiche specifiche (le leggi che
valgono per il feudalesimo, ad esempio, non valgono per il capitalismo). Inoltre, Marx ritiene
che la società borghese porti in se stessa delle contraddizioni strutturali che ne minano la
solidità, ponendo le basi oggettive della sua fine. Un’altra caratteristica del metodo di Marx è
di studiare il capitalismo distinguendone gli elementi di fondo e separandoli da quelli
secondari, al fine di metterne in luce le caratteristiche strutturali e le tendenze di sviluppo,
per poi formulare, su di esso, alcune previsioni. Tuttavia, dato il carattere tendenziale delle
leggi rilevate esse non vanno confuse con delle «profezie». Il Capitale non è soltanto un
libro di economia, ma una fotografia critica della civiltà capitalistica.
Merce, lavoro, plusvalore
Secondo Marx, la caratteristica specifica del modo capitalistico di produzione, rispetto alle
società precedenti, è di essere produzione generalizzata di merci. Innanzitutto, una merce
deve possedere un valore d’uso, in quanto deve poter servire a qualcosa, ossia essere utile.
In secondo luogo, una merce deve possedere un valore di scambio, che ne garantisca la
possibilità di essere scambiata con altre merci. Il valore di scambio di una merce, per Marx
come per gli economisti classici, data l’equazione valore=lavoro, dipende dalla quantità di
lavoro socialmente necessaria per produrla (con l’espressione “socialmente necessaria” si
riferisce alla produttività sociale media esistente di un determinato periodo storico). Più
lavoro è necessario per produrre una determinata merce e più essa vale. Il valore non si
identifica tuttavia con il prezzo. Infatti su questo ultimo influiscono fattori contingenti, per
esempio l’abbondanza o la scarsezza di una merce. In condizioni di normalità, invece, ritiene
che la somma complessiva dei prezzi delle merci, sia pari alla somma complessiva del
lavoro contenute in esse, e quindi del loro valore.
Per Marx la caratteristica peculiare del capitalismo è il fatto che in esso la produzione non
risulta finalizzata al consumo, bensì all’accumulazione di denaro. Il ciclo capitalistico non è
quello semplice, prevalente nelle società precapitalistiche e descrivibile con la formula
schematica M.D.M. (merce-denaro-merce: contadino che vende il grano per comprarsi un
vestito): è piuttosto quello descrivibile con la formula D-M-D’(denaro-merce-più denaro).
Infatti nella società industriale abbiamo un capitalista che investe del denaro in una merce,
per ottenere, alla fine più denaro. Marx ritiene che l’origine di tale plus-valore non debba
essere cercata a livello di scambio delle merci, bensì a livello della produzione capitalistica
delle medesime. Nella società borghese, infatti, il capitalista compera una merce particolare,
che ha come caratteristica quella di produrre valore: la «merce umana, ossia l’operaio.
Compera dunque la sua forza-lavoro, pagandola come una qualsiasi merce, ovvero secondo
il valore corrispondente alla quantità di lavoro socialmente necessario a produrla, che, nel
caso dell’operaio, corrisponde a quello dei mezzi che gli sono necessari per vivere, lavorare
e generare, ossia al salario. Tuttavia l’operaio — ed è questa la fonte del plus-valore — ha la
capacità di produrre un valore maggiore di quello che gli è corrisposto col salario. Il
plus-valore discende quindi dal plus-lavoro dell’operaio, e si identifica con l’insieme del
valore da lui gratuitamente offerto al capitalista. Con questa teoria Marx ha voluto fornire una
spiegazione scientifica dello sfruttamento capitalista che si identifica quindi con la possibilità,
da parte dell’imprenditore, di utilizzare la forza lavoro altrui a proprio vantaggio. Ciò avviene
in quanto il capitalista dispone dei mezzi di produzione, mentre il lavoratore dispone
unicamente della propria energia lavorativa ed è costretto, per vivere, a vendersi sul
mercato, in vista del salario.