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Il pensiero di Karl Marx

è un pensiero distintivo in quanto non si limita alla dimensione puramente filosofica,


sociologica o economica, ma verte nell’analisi globale della società e della storia includendo
l’intero asse strutturale e sovrastrutturale del capitalismo, ossia il mondo borghese nella
molteplicità delle sue espressioni. Le influenze culturali che stanno alla base del marxismo
sono essenzialmente tre: la filosofia classica tedesca (da Hegel a Feuerbach); l’economia
politica borghese (da Smith a Ricardo); il pensiero socialista (da saint-Simon a Owen).

La critica della civiltà moderna e del liberalismo


Il punto di partenza del pensiero di Marx è la scissione moderna fra Stato e Società civile.
Nella polis greca infatti non vi era distinzione fra sfera individuale e sfera sociale e quindi fra
società e Stato. Nel mondo moderno, invece, l’uomo è costretto a vivere due vite: una in
“terra” come borghese, nell’ambito dell’egoismo e degli interessi particolari della società
civile, e l’altra in “cielo”, come cittadino, ossia nella settore dell’interesse comune. Tuttavia
Marx ritiene quest’ultimo illusorio, in quanto non persegue il vero interesse comune, ma è
strumento degli interessi particolari delle classi più forti. L’uguaglianza formale dei cittadini di
fronte alla legge, difatti, non fa altro che presupporre e rafforzare la loro disuguaglianza
sostanziale.
Secondo il filosofo, la libertà individuale e la proprietà privata legalizzate dallo Stato post
Rivoluzionario,accrescono le disuguaglianze reali fra gli uomini. L’idea di società di Marx si
identifica con un modello di democrazia sostanziale o totale (comunismo), in cui vi è una
fusione fra singolo e genere, individuo e comunità. Lo strumento per concretizzare la vera
democrazia è in un primo momento il suffragio universale (Critica del 1843),
successivamente è a rivoluzione sociale (Annali Franco-Tedeschi e Manoscritti
economico-filosofici del 1844) che deve essere attuata dal proletariato, in quanto classe
priva di proprietà soggetta all’alienazione prodotta dalla società borghese. Dunque all’idea
dell’emancipazione politica che mira alla democrazia e all’uguaglianza formale, Marx
contrappone l’idea di un’emancipazione umana che mira alla democrazia e all’uguaglianza
sostanziale.

La critica dell’economia borghese e la problematica dell’alienazione


Nei confronti dell’economia borghese, Marx assume un duplice atteggiamento: da una parte
la considera espressione teorica della società capitalistica, dall’altra la accusa di dare un
immagine globalmente falsa del mondo borghese e la rimprovera di eterizzare il sistema
capitalistico come se fosse il modo naturale, immutabile e razionale di produrre e distribuire
la ricchezza e non come un sistema economico fra tanti. Tale sistema non fa inoltre
attenzione al tratto caratterizzante dell’opposizione tra capitale e lavoro salariato, ossia tra
borghesia e proletariato. Questo contrapposizione viene espressa col concetto di
alienazione. Tale concetto viene inteso da Feuerbach come una condizione patologica di
scissione, di dipendenza e di auto estraniazione che è ancora una fatto coscienziale. Marx
accetta questa struttura formale ma si differenzia poiché l’alienazione è per lui un fatto reale,
di natura socio economica,La causa dell’alienazione è quindi la proprietà privata dei mezzi di
produzione, grazie alla quale il capitalista può espropriare l’operaio del suo lavoro e della
sua umanità. La dis-alienazione secondo Marx si identifica con il superamento del regime
della proprietà privata attraverso il comunismo. Di conseguenza per Marx la storia è vista
come luogo della perdita e della riconquista, da parte dell’uomo, della propria essenza.

Il distacco da Feuerbach e l’interpretazione della religione in chiave sociale


Marx ritiene che Feuerbach sia il primo ad aver superato la vecchia filosofia, facendo un
passo avanti rispetto ad Hegel, ma un passo indietro rispetto a lui. Di fondamentale
importanza è l’interpretazione marxista della religione. Pur accettando da Feuerbach l’idea
della matrice umana della religione, ovvero il meccanismo generale dell’alienazione
religiosa, Marx ritiene che le cause di essa non vadano cercate nell’uomo in quanto tale, ma
in un tipo storico di società che la produce a titolo di “oppio dei popoli” ovvero in forma di
consolazione illusoria delle masse, sofferenti per causa delle ingiustizie sociali. Ora, se la
religione è il frutto malato di una società malato, l’unico modo per sradicarla è quello di
distruggere le strutture sociali che la producono e dunque l’abbattimento della società di
classe. Inoltre Marx crede fortemente in un nuovo materialismo che considera l’uomo
soprattutto come prassi rivoluzionaria, ossia ritenendo che la soluzione dei problemi sia da
ricercarsi nell’azione e non nella meditazione.

La concezione materialistica della storia


Dall’ideologia alla scienza
Il testo in cui si concretizza il passaggio dall’umanismo al materialismo storico è “L’ideologia
tedesca”, scritta insieme ad Engels durante l’esilio a Bruxelles. L’originalità di quest’opera
consiste nel tentativo di svelare la verità sulla storia mediante il raggiungimento di un punto
di vista obbiettivo sulla società, che permetta di descrivere ciò che gli uomini sono realmente
e non come possono apparire nella propria o altrui rappresentazione. L’ideologia appare
infatti come una falsa rappresentazione della realtà. L’umanità è per Marx una specie
evoluta, composta di individui associati che lottano per la sopravvivenza.
Conseguentemente la storia è un processo materiale fondato sulla dialettica
bisogno-soddisfacimento. E’ proprio la concezione materiale (fabbisogno del mangiare,
bere, vestire ecc.) infatti, che umanizza l’uomo, in quanto esso si è distinto dall’animale nel
momento in cui cominciò a prodursi i propri mezzi di sussistenza. Alla base della storia vi è
dunque il lavoro che è il creatore di civiltà e cultura ed è lo strumento attraverso cui l’uomo si
rende tale.

Struttura e sovrastruttura
Secondo Marx, la concezione materialistica della storia si basa su due elementi
fondamentali, le forze produttive e i rapporti di produzione, che costituiscono la struttura,
ovvero lo scheletro economico della società. Per forze produttive Marx intende tutti gli
elementi necessari al processo di produzione ossia: uomini, mezzi, conoscenze tecniche e
scientifiche. Per rapporti di produzione intende i rapporti che si instaurano fra gli uomini nel
corso della produzione e che regolano il possesso e l’impiego dei mezzi di lavoro, e anche la
ripartizione di ciò che si produce. I rapporti di produzione trovano la loro espressione
giuridica nei rapporti di proprietà. La struttura, o modo di produzione, condiziona in generale
il processo sociale, politico o spirituale della vita che è la sovrastruttura. Il materialismo
storico quindi si configura nella struttura economica che determina le leggi, lo Stato le
religioni, le filosofie e così via, e non viceversa (idealismo storico). Dunque le vere forze
motrici della storia non sono di natura spirituale, bensì di natura socioeconomica.

La dialettica della storia


Forze produttrici e rapporti di produzione, oltre che rappresentare la chiave di lettura della
statica della società, si configurano anche come lo strumento interpretativo della sua
dinamica, ossia come la legge stessa della storia. Marx ritiene infatti che a un determinato
grado di sviluppo delle forze produttive tendano a corrispondere determinati rapporti di
produzione e di proprietà, che si mantengono sino a quando favoriscono le forze produttive
e vengono distrutti quando si trasformano in ostacoli per le stesse forze produttive. Ora,
poiché le forze produttive, in connessione con lo sviluppo tecnico, si sviluppano più
rapidamente dei rapporti di produzione, ne segue periodicamente, uno stato di
contraddizione fra i due elementi, che sfocia in una rivoluzione. Al mutare della struttura, vari
rapidamente anche la sovrastruttura, in quando come già detto è la struttura che determina
la sovrastruttura. Secondo Marx alle basi del capitalismo vi è il socialismo, in quanto se è
sociale la produzione di una ricchezza, come nel capitalismo, deve essere sociale anche la
sua distribuzione; e tali premesse favorirebbero una rivoluzione comunista mondiale. Sia
Marx che Engels individuano una serie di tappe o di grandi formazioni economico-sociali: la
comunità primitiva, la società asiatica, la società antica, la società feudale, la società
borghese e la futura società socialista. Tali epoche individuano il carattere progressivo della
storia che procede dal comunismo primitivo al comunismo futuro. La tesi di fondo è dunque
quella del socialismo come sbocco inevitabile della dialettica storica e del comunismo come
sbocco invitabile della civiltà. In Marx il soggetto della dialettica storica non è lo Spirito, ma la
struttura economica e le classi, in quanto le opposizioni che muovono la storia non sono
astratte e generiche, ma concrete e determinate.

Il Manifesto
Borghesia, proletariato e lotta di classe
Il Manifesto del partito comunista (1848 ) espone gli scopi e i metodi dell’azione
rivoluzionaria e rappresenta la concezione marxista del mondo. I punti salienti sono:
o l’analisi della funzione storica della borghesia;
o il concetto della storia come lotta di classe;
o la critica dei socialismi non-scientifici.
Nella prima parte del Manifesto, Marx descrive la vicenda storica della borghesia,
sintetizzandone meriti e limiti. Spiega che la borghesia non può esistere senza rivoluzionare
continuamente gli strumenti di produzione e tutto l’insieme dei rapporti sociali. Di
conseguenza appare una classe dinamica. Però le moderne forze produttive, sempre più
sociali, si rivoltano contro i vecchi rapporti di proprietà, ancora privatistici e sottomessi alla
logica del profitto personale, generando delle crisi terribili, che mettono in forse l’esistenza
stessa del capitalismo. Tanto che il proletariato, classe oppressa della società borghese, non
può fare a meno di mettere in opera una dura lotta di classe, volta al superamento del
capitalismo e delle sue forme istituzionali. Il concetto della storia come lotta di classe è uno
dei più significativi del Manifesto:. “Liberi e schiavi, patrizi e plebei, baroni e servi della gleba,
membri delle corporazioni e garzoni, in breve, oppressori e oppressi, furono continuamente
in reciproco contrasto, e condussero una lotta ininterrotta, ora latente ora aperta; lotta che
ogni volta è finita o con una trasformazione rivoluzionaria di tutta la società o con la comune
rovina delle classi in lotta”. Il Manifesto termina con il noto slogan rivoluzionario: Proletari di
tutti i Paesi, unitevi!

La critica dei falsi socialismi


Una delle sezioni più importanti del Manifesto è costituita dalla critica di Marx ai socialismi
precedenti. Marx raggruppa e divide la letteratura socialista in tre tendenze di fondo: il
socialismo reazionario, il socialismo conservatore o borghese e il socialismo e comunismo
critico-utopistici.

Il Capitale
Economia e dialettica
Il Capitale si propone di svelare i meccanismi di fondo dell'economia borghese, che sono in
esplicita contrapposizione con l’economia classica. Marx si differenzia dai grandi teorici
dell’economia borghese (Smith e Ricardo) soprattutto per il suo metodo storico-dialettico. A
differenza degli economisti classici, egli è convinto che non esistano leggi universali
dell’economia, e che ogni formazione sociale abbia leggi storiche specifiche (le leggi che
valgono per il feudalesimo, ad esempio, non valgono per il capitalismo). Inoltre, Marx ritiene
che la società borghese porti in se stessa delle contraddizioni strutturali che ne minano la
solidità, ponendo le basi oggettive della sua fine. Un’altra caratteristica del metodo di Marx è
di studiare il capitalismo distinguendone gli elementi di fondo e separandoli da quelli
secondari, al fine di metterne in luce le caratteristiche strutturali e le tendenze di sviluppo,
per poi formulare, su di esso, alcune previsioni. Tuttavia, dato il carattere tendenziale delle
leggi rilevate esse non vanno confuse con delle «profezie». Il Capitale non è soltanto un
libro di economia, ma una fotografia critica della civiltà capitalistica.

Merce, lavoro, plusvalore
Secondo Marx, la caratteristica specifica del modo capitalistico di produzione, rispetto alle
società precedenti, è di essere produzione generalizzata di merci. Innanzitutto, una merce
deve possedere un valore d’uso, in quanto deve poter servire a qualcosa, ossia essere utile.
In secondo luogo, una merce deve possedere un valore di scambio, che ne garantisca la
possibilità di essere scambiata con altre merci. Il valore di scambio di una merce, per Marx
come per gli economisti classici, data l’equazione valore=lavoro, dipende dalla quantità di
lavoro socialmente necessaria per produrla (con l’espressione “socialmente necessaria” si
riferisce alla produttività sociale media esistente di un determinato periodo storico). Più
lavoro è necessario per produrre una determinata merce e più essa vale. Il valore non si
identifica tuttavia con il prezzo. Infatti su questo ultimo influiscono fattori contingenti, per
esempio l’abbondanza o la scarsezza di una merce. In condizioni di normalità, invece, ritiene
che la somma complessiva dei prezzi delle merci, sia pari alla somma complessiva del
lavoro contenute in esse, e quindi del loro valore.
Per Marx la caratteristica peculiare del capitalismo è il fatto che in esso la produzione non
risulta finalizzata al consumo, bensì all’accumulazione di denaro. Il ciclo capitalistico non è
quello semplice, prevalente nelle società precapitalistiche e descrivibile con la formula
schematica M.D.M. (merce-denaro-merce: contadino che vende il grano per comprarsi un
vestito): è piuttosto quello descrivibile con la formula D-M-D’(denaro-merce-più denaro).
Infatti nella società industriale abbiamo un capitalista che investe del denaro in una merce,
per ottenere, alla fine più denaro. Marx ritiene che l’origine di tale plus-valore non debba
essere cercata a livello di scambio delle merci, bensì a livello della produzione capitalistica
delle medesime. Nella società borghese, infatti, il capitalista compera una merce particolare,
che ha come caratteristica quella di produrre valore: la «merce umana, ossia l’operaio.
Compera dunque la sua forza-lavoro, pagandola come una qualsiasi merce, ovvero secondo
il valore corrispondente alla quantità di lavoro socialmente necessario a produrla, che, nel
caso dell’operaio, corrisponde a quello dei mezzi che gli sono necessari per vivere, lavorare
e generare, ossia al salario. Tuttavia l’operaio — ed è questa la fonte del plus-valore — ha la
capacità di produrre un valore maggiore di quello che gli è corrisposto col salario. Il
plus-valore discende quindi dal plus-lavoro dell’operaio, e si identifica con l’insieme del
valore da lui gratuitamente offerto al capitalista. Con questa teoria Marx ha voluto fornire una
spiegazione scientifica dello sfruttamento capitalista che si identifica quindi con la possibilità,
da parte dell’imprenditore, di utilizzare la forza lavoro altrui a proprio vantaggio. Ciò avviene
in quanto il capitalista dispone dei mezzi di produzione, mentre il lavoratore dispone
unicamente della propria energia lavorativa ed è costretto, per vivere, a vendersi sul
mercato, in vista del salario.

Tendenze e contraddizioni del capitalismo


Marx descrive le varie strade imboccate dal sistema capitalistico, mostrando come tale
sistema generi una serie di contraddizioni, che ne porteranno alla fine futura. In un primo
momento il capitale cerca di accrescere il plus-valore aumentando la giornata lavorativa (es.
a quindici ore). Ma questa dilatazione d’orario, generando maggior plus-lavoro, e quindi
maggior plus-valore, presenta dei limiti, poiché oltre un certo numero di ore la forza-lavoro
dell’operaio cessa di essere produttiva. La grande svolta del modo capitalistico di
produzione è la nascita dell’industria meccanizzata, che introduce, nel ciclo lavorativo, la
macchina, ossia il mezzo più efficiente per l’accorciamento del lavoro, capace di aumentare
enormemente la quantità di valore. Le macchine, che non hanno bisogno di riposo,
permettono una maggior produttività. Ma proprio l’aumento di produttività conseguito con
l’uso delle macchine genera il fenomeno delle crisi cicliche di sovrapproduzione. Mentre nei
secoli precedenti le crisi erano generate dalla scarsità di beni (a causa di carestie, epidemie,
guerre ecc.) nel capitalismo le crisi sono provocate da una sovrabbondanza di merci.
Paradossalmente, nel capitalismo le crisi dipendono dalla troppa merce in circolazione. La
necessità di un continuo rinnovamento tecnologico, genera anche un altro inconveniente
strutturale: la caduta tendenziale del saggio di profitto. Con questa espressione Marx
intende quella legge per cui, accrescendosi smisuratamente il capitale costante (costituito
dalle macchine e dalle materie prime) rispetto al capitale variabile (capitale mobile investito
nei salari), ossia aumentando la composizione organica del capitale, diminuisce per forza il
tasso di profitto. Marx giunge a questa conclusione sulla base della teoria del valore:
essendo il capitale sotto forma di salari (capitale variabile) ad essere l'unica fonte di
plusvalore, l’aumento della composizione organica del capitale riferita agli investimenti sulle
macchine e sul continuo aggiornamento tecnologico (capitale costante) avrebbe dato come
risultato del processo produttivo dei profitti progressivamente decrescenti in proporzione agli
investimenti complessivi.

La rivoluzione e la dittatura del proletariato


Le contraddizioni che vi sono alla base del capitalismo pongono le premesse per una
rivoluzione che deve essere attuata dal proletariato, in quanto investo di una specifica
missione storico-economica universale. A differenza delle precedenti fratture rivoluzionarie
del passato che si traducevano nel trionfo di un nuovo modo di produrre e di distribuire la
proprietà privata, lo strumento tecnico della trasformazione rivoluzionaria promulgata da
Marx è la socializzazione dei mezzi di produzione e di scambio, ponendo così fine al
fenomeno del plusvalore e dello sfruttamento di classe. Violenta o pacifica che sia, la
rivoluzione del proletariato non deve impadronirsi della macchina statale borghese,
manovrandola per i propri scopi, ma deve mirare a distruggere le sue forme istituzionali di
fondo. Ne segue la dittatura del proletariato, la quale si configura, secondo Marx, come la
misura politica fondamentale del processo rivoluzionario, ossia come la fase che “media” il
passaggio dalla società borghese a quella comunista. Tale dittatura è dunque il momento di
transizione in cui il proletariato, organizzandosi a classe dominante, impone la propria
egemonia sulla classe borghese, al fine di distruggerla e di attuare il progetto comunista.

Le fasi della futura società comunista


Tuttavia è assente in Marx, un modello dettagliato della futura società comunista, limitandosi
ad accennare a essa in modo piuttosto frammentario e in scritti non destinati alla
pubblicazione. Nei Manoscritti possiamo trovare una distinzione fra il comunismo rozzo e il
comunismo superiore. Nel primo la proprietà privata viene abolita solo per essere
trasformata in proprietà di tutti. La rozzezza di questa società risiede nella proposta della
comunione delle donne. Essendo il matrimonio una forma esclusiva di proprietà privata,
questo deve essere abolito per lasciar spazio alla prostituzione generale con la comunità.
Questa è dunque la fase in cui l’uomo cessa di intrattenere con il mondo rapporti di puro
possesso e consumo. Tale fase, ancora imperfetta, presenta inoltre macchie della vecchia
società, in quanto il principio di eguaglianza messo in atto non tiene conto delle differenze
individuali, limitandosi ad annullare astrattamente le persone. L’uguaglianza ancora
imperfetta richiede di essere messa da parte a favore di una superiore forma di uguaglianza
e comunismo, che tenga conto dei bisogni e non solo delle capacità degli individui.
Possiamo dunque affermare che nella prima vige ancora il principio “a ciascuno secondo il
suo lavoro”, mentre nella seconda vige il principio “da ciascuno secondo le sue capacità, a
ciascuno secondo i suoi bisogni”. Il comunismo si profila dunque come una società: senza
divisione del lavoro, senza proprietà privata, senza classi, senza sfruttamento, senza
miseria, senza divisioni fra gli uomini e senza Stato.

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