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UN SECOLO DI FEMMINISMO
- Sguardo alla questione femminile nel mondo islamico, fondamentale per una corretta
interpretazione della cultura araba del Novecento e della sua rinascita storico-culturale (al-
Nahdah)
- Partendo dalla diffusione dell’istruzione femminile in Egitto e nella regione sirio-libanese, si
sviluppa (1) l’emancipazione della donna, (2) la nascita di movimenti inizialmente
femminili, (3) poi prefemministi, (4) fino al femminismo vero e proprio
- Il femminismo islamico fa crollare il mito occidentale secondo il quale il femminismo è
prerogativa dell’Occidente
- Personalità culturali iniziano la loro battaglia per i diritti delle donne, scrivendo della
“liberazione della donna” come premessa indispensabile per il progresso di tutta la
società araba (scontro che non riguarda solo la donna, ma piuttosto la contrapposizione tra
tradizione vs. occidentalizzazione dei costumi, per alcuni troppo accelerata o deleteria)
Poeta iracheno Giamil Sidqi al-Zahawi: non progrediscono i figli in una nazione / in cui
già non siano progredite le madri
- Viene anche toccata la questione del velo, anche se l’emancipazione femminile della donna
araba non riguardava solo la donna musulmana, ma anche quella cristiana
- Il femminismo arabo (secolare) assume con il tempo connotazioni sempre più legate alla
religione, fino alla nascita del femminismo islamico
NUOVI PARADIGMI
Femminismo islamico: movimento molto variegato al suo interno, che vede donne musulmane –
arabe e non – rivendicare l’uguaglianza fra i generi a partire da una reinterpretazione dei testi sacri
dell’Islam da una prospettiva femminile, proponendo la riforma di leggi e istituzioni patriarcali in
nome dell’Islam (religione, reinterpretata attraverso uno sguardo femminista)
PREMESSA
*questioni terminologiche:
Femminismo/Femminista – nel mondo musulmano è in atto un dibattito sulla correttezza dell’uso
di “femminismo” per chi si batte per l’uguaglianza di genere (molte teoriche e attiviste rifiutano
questo termine, in quanto connesso con la storia del colonialismo, in favore di “movimento delle
donne”/”critica di genere”); nonostante la problematicità, viene qui chiamato femminismo la
crescente consapevolezza delle donne della loro oppressione a causa del loro sesso e la seguente
necessità di intraprendere un percorso di lotta per modificare lo stato delle cose
Islamista – attivist* di organizzazioni di militanza islamica
INTRODUZIONE
Emergere del femminismo islamico
- la storia delle battaglie delle donne nel mondo islamico ha radici profonde, ma in Occidente è
pressoché sconosciuta e nei paesi in cui si è sviluppata fa fatica a essere considerata parte
integrante della costruzione delle identità nazionali e dei processi di sviluppo
- i movimenti femminili hanno accompagnato le lotte per l’indipendenza e affermazione degli stati
nazionali e oggi svolgono un ruolo centrale nel determinare le sfide degli stati post nazionali
- il movimento femminile è stato condizionato da diverse tendenze e specificità nazionali, e oggi, in
costante trasformazione e dinamico, vede convivere femminismo secolare, femminismo islamico e
una crescente critica di genere portata avanti da donne interne a organizzazioni di militanza
islamica (numerose donne che sostengono la necessità e possibilità di coniugare islam e
rivendicazioni femministe)
anni ‘20
- nascita di associazioni di donne organizzate e coordinate fra loro
- apertura, in diverse città del Medio Oriente, di salotti letterari, organizzazione di
manifestazioni pubbliche e pluralità di opere e riviste femminili
giornali e letteratura divengono il luogo privilegiato per l’elaborazione dei primi discorsi
femministi
- discorsi femministi che vanno a pari passo in tutto il mondo arabo, e tinti di venature
anticolonialiste e indipendentiste: convinzione che solo con l’affermazione di stati
indipendenti si sarebbe raggiunta l’emancipazione femminile
presenza record femminile alla manifestazione contro l’occupazione britannica in Egitto
del 16 marzo 1919. Hamida Khalil venne colpita a morte da un proiettile della polizia
coloniale, divenendo martire della causa indipendentista
all’anniversario della manifestazione, nel ’23, viene fondata da Hoda Sha’rawi l’Unione
Femminista Egiziana (UFE), il cui scopo era ottenere il diritto all’istruzione femminile e al
lavoro, la riforma del Codice dello statuto personale e l’innalzamento dell’età matrimoniale
per le ragazze da 13 a 16 anni, e il voto alle donne: prima associazione egiziana
esplicitamente femminista (con questo termine)
anni ‘80
- in pressoché tutto il mondo arabo, i movimenti femministi che fino ad allora erano
caratterizzati dalla laicità e dall’unione di più religioni in una dimensione secolare, vengono
sostituiti da un movimento di ampia portata che pone al suo centro la rilettura dei testi
sacri da una prospettiva femminista
Le rivendicazioni delle islamiste
Anche le donne appartenenti a gruppi di militanza islamica hanno reclamato un diverso ruolo nella
società a partire da una prospettiva islamista, nel corso del ‘900:
- alla UFE, si contrappone l’Associazione delle donne musulmane (fondata da al-Ghazali),
secondo la quale un vero miglioramento della condizione femminile poteva avvenire solo
all’interno di uno stato islamico pienamente realizzato e senza seguire modelli occidentali
(non c’era bisogno di andare fuori dalla propria religione e della propria cultura per
ottenere questo miglioramento, poiché l’Islam garantiva alle donne ogni diritto e libertà)
proselitismo religioso e opere di carità erano attività principali dell’associazione
propone la partecipazione della donna nella rinascita del mondo musulmano in qualità
di madre e sposa, ma anche impegnandosi al servizio della patria e della società al di fuori
della sfera domestica
- oltre al-Ghazali, poche altre donne prima degli anni ‘90 hanno rivendicato pubblicamente
un miglioramento della condizione femminile da una prospettiva islamica
emergere del femminismo islamico
3. TEOLOGIA FEMMINISTA
Strumenti
- il femminismo islamico poggia le sue basi teoriche sulla reinterpretazione del Corano e sulla
rilettura critica della sunna (tradizione) e degli hadith (detti e fatti attribuiti al Profeta), due azioni
rese possibili dal ijtihad, un lavoro esegetico (= di interpretazione critica) che prende in
considerazione i testi sacri dell’islam e la storia, sociologia e cultura del mondo islamico e in cui
sono coinvolte donne di diversa nazionalità e alcuni uomini
Le basi:
- Corano: fonte suprema del diritto e della religione;
per i musulmani, diretta e letterale parola di Dio, rivelata al profeta Maometto per
mezzo dell’arcangelo Gabriele (non un testo ispirato da Dio, come Antico e Nuovo
Testamento);
scritto in lingua araba.
- Sunna: insieme di regole fondate sulle parole, azioni e taciti assensi del Profeta.
- Profeta Muhammad: Inviato di Dio, ma allo stesso tempo un uomo come gli altri;
capo politico, militare e guida sociale, modello per tutti i fedeli.
- Hadith: fanno parte della sunna;
sono i racconti e i detti attribuiti al Profeta;
sono alcune decine di migliaia e a volte sono contrastanti fra di loro;
a seconda dell’autorevolezza dei trasmettitori e dell’esame del loro contenuto,
si distinguono in: autentici/sani, buoni/accettabili e deboli;
sono la parola del Profeta, commento alla parola divina, che spiegano e
completano i precetti e le indicazioni contenute nel Corano.
- Ijtiahad: sforzo di interpretazione personale delle fonti;
a partire dal X-XI secolo, nell’islam sunnita il ricorso all’ijtihad non è più
consentito e i normali credenti non sono più legittimati a rifarsi direttamente ai
testi scritti
in opposizione a ciò, il femminismo islamico (e riformismo islamico) sostiene che “la
porta dell’ijtihad debba essere riaperta” e che tutti i fedeli debbano poter accedere
direttamente alla verità del messaggio divino grazie all’interpretazione personale dei
testi
La significativa produzione esegetica dei testi sacri da una prospettiva femminile è un fenomeno
recente (anche se in passato, le donne ricoprivano ruoli preminenti nella comunità religiosa)
RIFFAT HASSAN
- Teologa e attivista di origine pakistana, docente all’Università di Louisville
- 1986 – racconta che solo allora stava emergendo una teologia femminista islamica,
fenomeno che, seppur minoritario, avrebbe avuto un grande impatto nei decenni a seguire,
poiché intercettava il crescente bisogno della società musulmana di vedere raggiunta la
giustizia di genere
- 1987 – articolo Equal before Allah? Woman-Man Equality in the Islamic Tradition
uno dei testi fondant del femminismo islamico
sostiene che nel racconto della genesi dell’umanità del Corano, non si evince alcuna
superiorità degli uomini sulle donne, piuttosto si afferma che uomini e donne sono stati
creati da Dio da uno stesso nafs (anima) e sono uguali davanti a Lui (la differenza tra gli
esseri umani dipende dalla loro rettitudine agli occhi di Dio, non dal sesso)
la credenza diffusa tra i musulmani (e avvalorata da alcuni hadith) che Eva sia
responsabile della caduta del paradiso è influenza della tradizione guidaico-cristiana,
poiché non menzionato nel Corano
per Hassan, l’islam è profondamente anti patriarcale e la differenza biologica fra i due
sessi non sminuisce l’idea fondamentale dell’uguaglianza fra uomini e donne
- Gli studi esegetici condotti da Hassan sono alla base di diverse rivendicazioni:
l’obbligo dell’uomo di sostenere la donna durante la gravidanza non indica superiorità:
Hassan rifiuta l’idea di subordinazione femminile e afferma la necessità del mutuo
supporto fra uomini e donne, il cui scopo comune è il benessere della società
il Corano non si esprime direttamente sull’uso di contraccettivi e tollera in alcuni passi il
coitus interruptus: Hassan sostiene che l’islam permette la pianificazione familiare e non
vieti l’uso di contraccettivi
il Corano distingue due fasi nello sviluppo fetale, prima e dopo l’infusione dell’anima nel
feto: l’aborto per Hassan non deve essere vietato (come accade nella maggior parte dei
paesi islamici) se avviene entro i primi 120 giorni di gravidanza, prima dell’infusione
dell’anima
- La sua posizione rispetto all’aborto la rende rivoluzionaria, poiché va contro le leggi di molti
stati islamici
Produttrici di una nuova ermeneutica coranica: Amina Wadud, Laleh Bakhtiar e Asma Barlas
Riffat Hassan è tra le prime studiose a proporre (metà ’80) un’ermeneutica femminista, ma sul
finire dello stesso decennio sempre più donne musulmane chiederanno una rilettura dei testi da
una prospettiva di genere
AMINA WADUD
- Teologa afroamericana, docente di Studi Islamici alla Virginia Commonwealth University (-
2007) e attuale membro del center for Islam and Pluralism a Jakarta
- Nasce in ambiente cristiano e si converte all’islam nel 1972, come molti membri della
comunità afroamericana, in cerca cerca di una giustizia che non riuscivano ad ottenere
dall’America bianca e razzista di quagli anni
il tema della giustizia all’interno dell’islam è un tema che rimarrà caro a Wadud e
ritornerà centrale nei suoi scritti e nel suo attivismo
- 1986 – inizia a fare ricerche sul ruolo della donna nel Corano
studiandolo, si convince che il genere sia una categoria di pensiero che percorre tutto il
libro e non un semplice elemento di discorso
arriva ad affermare che il Corano si compone di due voci, una maschile e una femminile:
quella femminile è stata ridotta al silenzio e nascosta nei secoli
- 1992 – libro Qu’ran and Woman: Reading the Sacred Text from a Woman’s Perspective
uno dei testi centrali della teologia femminista islamica
nel Corano, Dio si rivolge agli individui come nafs (anime), senza riferimenti al loro
genere: femminilità e mascolinità non sono caratteristiche innate dell’uomo e della donna,
e non sono concetti di cui il Corano discute o a cui fa allusione
- Partendo dal presupposto che il Corano è un testo polisemico, Wadud non pensa sia
corretto estrapolare versetti e leggerli letteralmente senza prendere in considerazione
l’intero libro
solo leggendo il Corano per intero, si intende il suo spirito di giustizia
il concetto di giustizia cambia nel tempo e, anche se una parte del messaggio può essere
eterna, un'altra parte va contestualizzata nel periodo storico della rivelazione e risente
delle influenze sociali del tempo (es. schiavitù)
alcune interpretazioni del Corano sono influenzate non solo dalle condizioni storiche,
ma anche dall’uso della lingua, che non deve essere considerata di per sé sacra, ma come
strumento attraverso il quale è stata resa comprensibile la rivelazione
le intenzioni divine possono essere comprese solo attraverso un dinamico e costante
processo di interpretazione che tenga conto di questi fattori: essere musulmano significa
essere in un continuo stato di sforzo interiore il cui scopo è intendere il volere divino e
metterlo in pratica
- 2006 – libro Inside the Gender Jihad. Women’s Reform in Islam
con l’espressione “Gender Jihad”, Wadud sottolinea lo sforzo interiore necessario ad
avvicinarsi il più possibile al senso di giustizia prescritto dal Corano e lo sforzo esteriore di
lotta contro il patriarcato per stabilire l’uguaglianza di genere nel pensiero e pratica
musulmane
l’uguaglianza di genere è un pilastro fondamentale della giustizia sociale del Corano e
tassello fondamentale per la costruzione di un sistema sociale giusto che garantisca la
crescita di ogni individuo e della comunità nel suo insieme
- Per Wadud, discorso teologico e attivismo in favore dell’uguaglianza di genere sono
inscindibili: per questo, il 18 marzo 2005 a New York, decide di guidare pubblicamente in
preghiera un gruppo di credenti di entrambi i sessi, rompendo la consolidata tradizione
islamica che proibisce alle donne di essere imam
sia nei paesi musulmani che in quelli della diaspora, la figura di un imam donna è
considerata inaccettabile (anche se una donna può guidare in preghiera altre donne),
poiché, tra le tante scuse usate, inginocchiandosi e prostrandosi a terra distrarrebbe gli
uomini dalla preghiera (per questo stesso motivo, le donne pregano in spazi diversi dagli
uomini), nonostante nel Corano non viene menzionato che il ruolo dell’imam possa essere
svolto esclusivamente da un uomo
prima ancora della preghiera viene rifiutata da diverse moschee e da una galleria d’arte
ha suscitato scalpore in tutto il mondo e molte sono state le critiche, minacce di morte e
accuse (Gheddafi sostenne che quella preghiera avrebbe creato milioni di Bin Laden)
- Versetto 34, Sura IV (versetto che autorizzerebbe gli uomini a picchiare le donne in caso di
disobbedienza) – Wadud rifiuta l’idea che il Corano possa autorizzare gerarchie di credenti,
così come giustificare atti di sopraffazione sulle donne
non accetta l’idea che il Corano possa permettere di picchiare le donne, poiché, se così
fosse, crollerebbe tutto lo spirito di giustizia del Corano, e sostiene che il passaggio vada
inteso non come permesso, ma come forte restrizione a queste pratiche di violenza
LALEH BAKHTIAR
- Studiosa irano-statunitense, che si autodefinisce “spiritual advocate”, piuttosto che
femminista islamica
- Versetto 34, Sura IV – nella sua traduzione in inglese del Corano (2007), Bakhtiar si spinge
oltre la reinterpretazione di Wadud e, seguendo il suo invito a cercare significati alternativi
del verbo arabo usato, suggerisce che la corretta interpretazione del verbo sia “andare via”
il verbo in sé ha molti significati, e in altrettanti viene usato nel Corano
dopo tre mesi di analisi lessicali, Bakhtiar sceglie questo verbo sulla base delle azioni
dello stesso Profeta dopo la ricezione del precetto: se il verbo fosse stato “picchiare”
all’imperativo, il Profeta avrebbe picchiato le proprie mogli, invece, ogni qualvolta si
presentava un problema, si allontanava
ASMA BARLAS
- Docente pakistana di Scienze Politiche all’Ithaca College, negli Stati Uniti
- Allo stesso modo in cui rifiuta l’idea di qualsiasi forma di supremazia o sopraffazione
maschile sulle donne, rifiuta l’idea della poligamia
il Corano limita l’uso della poligamia a un caso molto preciso, garantire giustizia alle
orfane: ai tempi del Profeta molti uomini morivano in battaglia e le donne rimanevano sole
con i figli da accudire, gli uomini che rimanevano in vita erano così tenuti a prendersi cura
degli orfani e delle orfane in particolare e dei loro beni; quando non riuscivano a fare altro
per loro, sposavano le loro madri, dopo aver ottenuto il loro consenso
il Corano inoltre mette una limitazione a quelle che erano le norme del tempo, ovvero
quattro come numero massimo di donne che un uomo può sposare, a patto che vengano
trattate equamente: il matrimonio poligamico è quindi scoraggiato ed è solo autorizzato
come garanzia di giustizia
- Per Barlas, non bisogna essere femministe per affermare che il Corano è radicalmente
contrario al patriarcato: è sufficiente leggere il testo sacro per trovare il messaggio divino
inequivocabile di uguaglianza fra i generi
- 2002 – libro Believing Women in Islam: Unreading Patriarchal Interpretations of the Qur’an
uno dei riferimenti principali del pensiero femminista islamico e Asma Barlas una delle
icone del movimento, nonostante rifiuti di essere definita femminista
sviluppa la teoria del tawhid (unità e unicità di Dio): qualunque parallelo fra Dio e
l’uomo nel ruolo di padre e marito superiore alla moglie e ai figli è teologicamente
infondato e deve essere respinto in quanto inaccettabile eresia
Il Marocco si presenta come importante centro di esegesi femminista, grazie al lavoro di fatima
Mernissi e Asma Lamrabet. Entrambe si dedicano all’ijtihad e si concentrano sull’analisi del primo
periodo islamico, in quanto fase storica caratterizzata da un grande attivismo femminile e
riconoscimento sociale delle donne.
FATIMA MERNISSI
- Scrittrice e sociologa marocchina, considerata una delle femministe islamiche più
rappresentative a livello mondiale, tra le principali produttrici del pensiero femminista
islamico e pioniera del movimento, la cui cospicua produzione letteraria ha trovato grande
diffusione all’estero
- Dagli anni ’70, si dedica ad affrontare la questione femminile in Marocco e nelle società
musulmane, anche se il suo approccio cambierà nel tempo
se oggi è una delle principali femministe islamiche, in quanto una delle prime a proporre
una lettura di genere dei testi sacri, fino alla seconda metà degli anni ’80 Mernissi vedeva la
religione come ostacolo all’emancipazione femminile
dopodiché, Mernissi inizia a studiare i testi sacri e a scrivere una serie di libri in cui si
delinea un primo femminismo islamico
il mutamento di prospettiva nella produzione di Mernissi è interessante perché
rispecchia l’evoluzione del pensiero del movimento femminista negli anni: dalla fine anni
‘80/inizio anni ’90, molte donne passano da posizioni secolari e di sinistra a una critica di
genere basata sulla reinterpretazione dei testi sacri; da allora, la religione non è più
considerata un limite all’emancipazione, ma strumento cardine di liberazione della donna
- *1975 – testo Beyond the Veil: Male-Female Dynamics in Modern Muslim Society
nonostante riconosca che la causa della disuguaglianza non sono i testi sacri in sé ma la
loro interpretazione, Mernissi sostiene inizialmente che la parità fra uomo e donna violi le
premesse dell’islam e le leggi che mettono in pratica i suoi predicamenti, che il matrimonio
islamico è basato sul dominio maschile, che le donne vengano considerate da Dio come
elementi distruttivi e perciò escluse da ogni contesto tranne quello familiare, dove sono
controllate dal marito
- *1982 – testo La femme dans l’inconscient musulman (scritto sotto pseudonimo?)
le posizioni ancora più estremizzate di Mernissi descrivono l’islam come religione che
pone le donne in una condizione di inferiorità
- 1987 – libro Le harem politique: le Prophète et le femmes
prima delle tre opere determinanti per la formazione di femminismo islamico di
Mernissi
propone una rilettura di genere del messaggio islamico e afferma la conciliabilità di
religione e uguaglianza: il messaggio di uguaglianza dell’islam è stato nascosto ai più dalle
interpretazioni androcentriche imposte da élite formate da soli uomini
rivendica a sé, in quanto musulmana, il diritto di reinterpretare i testi sacri e mette sotto
accusa alcune interpretazioni coraniche e certi hadith che sanciscono la supremazia
maschile
con il supporto di teologi e esperti di diritto islamico, indaga il ruolo di leadership
ricoperto dalle donne nei primi tempi dell’era musulmana, facendo emergere figure
femminili forti e capaci di guidare la comunità anche in battaglia (prima fra tutte, Aisha, la
più giovane delle mogli di Maometto)
mostra come uno dei più chiari esempi di interpretazioni fallaci sia l’obbligo di uso del
velo: la necessità di usare il velo da parte delle donne di cui si parla in un hadith è legata ad
un particolare momento storico, la crisi militare di Medina nella prima era islamica, dove le
donne erano esposte ad un alto rischio di violenze e usavano il velo per proteggersi ed
essere riconoscibili ai propri correligionari
secondo Mernissi, anche la separazione fra uomini e donne non viene imposta dal
Corano: nell’hadith che menziona una tenda per parlare con le mogli del Profeta, questa
avrebbe piuttosto la funzione di dividere la sfera privata da quella pubblica, date le
continue visite in casa a cui la famiglia era soggetta
- 1990 – libro Sultanes oubliées: femmes chefs d’état en Islam
seconda delle tre opere determinanti per la formazione di femminismo islamico di
Mernissi
- 1992 – libro La peur-modernité. Conflit Islam démocratie
terza delle tre opere determinanti per la formazione di femminismo islamico di Mernissi
- La nuova critica di genere degli ultimi scritti di Mernissi non si limita ad attaccare la
tradizione patriarcale, ma punta l’indice anche contro la cultura occidentale, che da un lato
continua a pensare alle donne musulmane come vittime dell’islam e, dall’altro, non presta
dovuta attenzione allo stato di soggezione in cui vivono le donne in Europa e Nord America
secondo Mernissi, le donne occidentali sono vittime, spesso inconsapevoli, di una
società maschilista che cerca di sopraffarle (la prova lampante è l’ideale estetico a cui si
sottopongono, la “tirannia della taglia 42”
l’Occidente, non solo non riuscirebbe a guardare a se stesso, ma neanche a cogliere la
complessità del mondo arabo musulmano
la religione, interpretata da una prospettiva femminile, sta diventando per Mernissi uno
dei più potenti strumenti di liberazione della donna in ambito islamico, anche se le donne
occidentali non sono disposte ad ammetterlo
ASMA LAMRABET
- Dottoressa presso l’ospedale pediatrico di Rabat e coordinatrice del gruppo internazionale
di ricerca sulla donna musulmana e il dialogo interculturale (GIERFI) che emerge nel
dibattito sul femminismo islamico a livello internazionale solo di recente, nonostante la
produzione già significativa
- Pubblica diversi articoli in francese e in spagnolo e scrive tre saggi, oltre a fare molti
interventi in rete
- In passato, da non praticante, si avvicina alle posizioni femministe occidentali, ma poi
intraprende un percorso di fede che la porta a velarsi, convinta che il Corano prescriva alle
donne di coprirsi il capo, anche se precisa che nessuna persona può essere obbligata a farlo
velarsi dev’essere una scelta libera e autonoma delle donne musulmane, all’interno di
un percorso di riappropriazione della propria fede e dei diritti che gli uomini hanno
sottratto loro
- Secondo Lamrabet, le donne musulmane vivono in un profondo stato di discriminazione,
ma ciò non è imputabile all’islam
è necessario un attento lavoro di ricerca che sveli il messaggio islamico e un concreto
attivismo femminile, all’interno di un percorso originale rispetto a quello occidentale
il modello di emancipazione di stampo secolare prodotto in Occidente non si
applicherebbe alle donne musulmane, i cui diritti devono essere rivendicati in una cornice
islamica
le battaglie delle donne devono collocarsi in una terza via tra alienazione occidentale e
tradizionalismo fanatizzato (non è necessario uscire dall’islam per trovare tutti i diritti,
basta solo leggere i testi sacri senza tradirne il messaggio)
- Uomini e donne sono il risultato di una creazione che ha un’unica origine e trascende il
genere
nelle sure non si fa riferimento a Eva, ma solo ad Adamo, che sta ad indicare la specie
umana in generale, senza distinzione di genere
la convinzione che il peccato originale sia imputato ad Eva non appare nel Corano
i testi sacri promuovono la liberazione della donna e parlano di mutuo rispetto tra
uomini e donne: il messaggio islamico è pervaso dall’amore
- La giurisprudenza islamica però non coincide con questo messaggio e impone obbedienza
incondizionata al marito e all’autorità maschile
le cause del patriarcato non vanno ricercate nell’islam, ma in un contesto socioculturale
maschilista che ha strumentalizzato i testi sacri per sancire superiorità maschile
gli uomini hanno prima allontanato le donne dallo studio dei testi sacri, dalla sfera
pubblica e poi hanno costruito un sistema misogino, facendo loro perdere i diritti ottenuti
all’epoca della rivelazione
nei primi tempi, infatti, uomini e donne affrontavano insieme i diversi momenti della
vita e le donne erano in prima fila in tutti i settori della società
- Lamrabet mette in relazione il progressivo peggioramento delle condizioni femminili con il
declino della società islamica: cause interne (volontà di potere degli uomini) e cause
esterne (colonizzazione) hanno contribuito a questa doppia decadenza
la questione femminile è quindi vista come elemento centrale della questione del
sottosviluppo socioeconomico e della mancanza di democrazia delle società islamiche
- La logica patriarcale della società attuale colpisce sia uomini che donne, che, a causa
dell’influenza del sistema in cui nascono e crescono, contribuiscono al mantenimento dello
status quo, dimostrandosi restie ai cambiamenti e non opponendo resistenza alla
situazione attuale
per cambiare le cose, è necessario che si risvegli una coscienza femminile e si realizzi
una società più giusta e vicina a Dio
secondo Lamrabet, in tutto il mondo (paesi musulmani e Occidente), è iniziata una
rivoluzione silenziosa che, rifacendosi all’islam delle origini, ridarà alle donne il loro posto
nella società
- Il diritto all’istruzione è inconfutabile e sancito dal Corano
il Corano invita i credenti, uomini e donne, ad apprendere, conoscere e istruirsi e non a
caso la prima rivelazione si apre con l’imperativo “leggi!”
le prime donne dell’era islamica confermano l’importanza dell’istruzione e mostrano
come l’islam garantisca i diritti femminili
- Lamrabet dedica molti dei suoi studi all’analisi di modelli femminili, per dimostrare come la
letteratura religiosa sia piena di esempi di donne che oggi sarebbero considerate
femministe d’avanguardia
le donne delle prime ere sono state sovrane, guerrieri, sapienti; ma le esegesi classiche
hanno scelto di ignorare le loro vite o presentarle come casi isolati
prima fra tutte, Aisha, moglie più giovane di Maometto: teologa, esegeta, militante e
politica, di cui però vengono solo ricordati gli hadith sulla vita familiare
Lamrabet propone Aisha come modello da seguire per le donne musulmane di oggi
- Lamrabet è considerata una femminista islamica, in particolare tra quelle che stanno
producendo una nuova esegesi femminista; tuttavia, si differenzia dalle posizioni di molte
femministe per alcune questioni, tra le quali la possibilità delle donne di essere imam
per Lamrabet, infatti, la battaglia delle musulmane non deve avvenire attraverso rotture
radicali con il contesto sociale in cui vivono
4. JIHAD AL FEMMINILE
Tra globale e locale
Produttrici di una nuova esegesi Attiviste che si appropriano del discorso religioso
vs.
femminista (studiose) per sfidare leggi e istituti patriarcali
Agire attraverso reti globali e praticare una continua formazione religiosa e giuridica sono fra le
principali caratteristiche del femminismo islamico. Agire in rete può inoltre creare una più forte
pressione internazionale, capace di controllare l’azione di governi e gruppi integralisti.
Progetti collettivi:
Musawah (Uguaglianza)
- Promosso da Sisters in Islam e da un comitato di studiose a attiviste musulmane di 11
paesi, è un movimento globale che ha lo scopo di promuovere l’uguaglianza nella famiglia
musulmana, considerando la famiglia il luogo dove si esercita maggiormente
discriminazione contro la donna
- Musawah si batte contro i Codici della famiglia patriarcali ed emendamenti regressivi in
vari paesi, coniugando ricerca accademica e attivismo
Inoltre, internet rappresenta uno strumento fondamentale per essere in contatto costante con
altri gruppi di attiviste:
- Ogni gruppo ha infatti ormai il proprio sito (disponibile in lingua originale e inglese)
- Le stesse attiviste hanno siti personali (es. Asma Barlas)
- Rappresentano spazi di riflessione e dibattito a livello internazionale
- L’inglese è diventata la lingua principale con cui circola il discorso femminista islamico,
anche se allo stesso tempo il movimento si esprime anche nelle lingue locali e alcune
parole arabe sono diventate di uso comune
il ricorso all’inglese oggi è la testimonianza di una strategia d’affermazione di sé al di
fuori dei limiti dello stato nazionale e postnazionale
Accanto alla dimensione transnazionale, uno degli elementi che maggiormente caratterizzano il
femminismo islamico è la partecipazione maschile, in quanto la battaglia riguarda tutti gli esseri
umani. Secondo Badran, l’attivismo delle donne musulmane, contrariamente a quello occidentale,
non ha problemi a nutrirsi di studi di intellettuali uomini e vederli in prima fila per ottenere
l’uguaglianza di genere.
Esponenti: Abdennur Prado (presidente della Junta Islamica Catalana), Samir Beglerovic, Khaled
Abou el Fadl, Abdullahi an-Na’im e Asghar Ali Engineer
La mudawwana marocchina
L’attivismo islamico marocchino ha ottenuto, nel 2004, un grande risultato a livello nazionale e
non solo: la riforma della mudawwana, il Codice della famiglia marocchino che dispone in materia
di matrimonio, divorzio e filiazione.
Risultati ottenuti:
- Uguaglianza e corresponsabilità fra i coniugi
- Limitazione della poligamia (la donna può opporsi alla scelta del marito di prendere
un’altra moglie senza la sua autorizzazione e solo un giudice può autorizzare il matrimonio,
dopo aver ascoltato la prima moglie ed essersi assicurato che l’uomo possa trattare in
maniera equa più mogli e gli eventuali figli dei diversi matrimoni)
- Tutte le forme di divorzio devono essere fatte in tribunale davanti ad un giudice e dopo un
tentativo di riconciliazione
- In caso di divorzio, alla madre sono garantiti gli alimenti, la custodia dei figli e il domicilio
coniugale
- In caso in cui la donna si risposi, può ottenere la custodia dei figli fino ai sette anni di età
- In caso di divorzio, i beni acquisiti durante il matrimonio sono proprietà di entrambi i
coniugi
- L’età minima per sposarsi è stata spostata dai 15 ai 18 anni (anche se un giudice può
abbassarla)
il Codice assegna ai giudici un grande margine di discrezionalità e i tribunali di famiglia giocano
un ruolo fondamentale nell’applicazione della mudawwana, determinandone la riuscita
Percorso legislativo:
1958 – la mudawwana viene codificata per la prima volta all’indomani dell’indipendenza del
paese, entrando in vigore senza alcun dibattito pubblico
- Sancisce una serie di restrizioni ai diritti e libertà femminili (obbligo di un tutore per potersi
sposare, riconoscimento della poligamia, limitazioni all’ottenimento del divorzio)
- Molte donne denunciarono già allora la misoginia del Codice, ma per molto tempo fu
impossibile apportare qualsiasi modifica
1961, 1968, 1982 – tentativi di apportare modifiche al Codice falliscono, rendendo il testo
intoccabile all’opinione pubblica
1992 – l’UAF (Union por l’action feminine) lancia una campagna per raccogliere un milione di firme
al fine di ottenere la revisione del Codice
1993 – Hassan II (regno: 1961-1999) dà il consenso a una parziale modifica del Codice, che si limita
ad accordare piccole concessioni (matrimonio possibile solo con il consenso della donna) anche se
le questioni fondamentali non vengono affrontate
- Si tratta comunque di un segnale importante che il testo non era più intoccabile e che la
società civile stava diventando un attore sociale in grado di influenzare le decisioni del
governo
1999 – in risposta alle richieste delle femministe, le forze di sinistra al potere propongono riforme
significative attraverso un piano d’azione chiamato PANIFED, nel quale rivendicano determinati
diritti delle donne facendo esplicito riferimento alla dichiarazione universale dei diritti umani
- Le forze islamiche sorgono contro il piano accusandolo di essere antislamico e
filoccidentale, riuscendo ad organizzare una notevole opposizione (manifestazione di
Casablanca) e far bocciare il piano
- Sarà infatti necessario abbandonare ogni riferimento alle dichiarazioni internazionali per
superare la loro opposizione
2001 – Muhammad VI istituisce una commissione incaricata della riforma del Codice dello statuto
personale nel rispetto dei principi islamici, con il compito di stilare un nuovo Codice attraverso
l’ijtihad
- Il ricorso alla reinterpretazione del Corano riuscì a placare i gruppi conservatori, pur
tenendo in conto la realtà contemporanea e del maggior peso assunto dalle donne nella
società
il Corano si conferma la cornice più efficace entro la quale rivendicare diritti nel contesto
marocchino
Ciononostante, una parte minoritaria del movimento femminista marocchino considera che sia
stato un errore riformare il Codice facendo costante riferimento all’islam, poiché accettando le
posizioni e richieste degli islamisti si rafforzerebbe l’idea che ottenere diritti per le donne nel
mondo arabo sia possibile unicamente attraverso l’islam, delegittimando tutte le altre forme di
attivismo che non agiscono in una cornice religiosa
LE ISLAMISTE
Militanza islamica & Alla conquista del potere
A partire dagli anni ’00 – crescita in tutto il mondo dei movimenti islamisti, affermatisi grazie al
fatto di presentarsi come forze in grado di opporsi all’omologazione
culturale e ai regimi autoritari e corrotti
- Galassia islamista estremamente diversificata: chi rivendica la creazione di stati islamici, chi
vuole una visione religiosa della società all’interno di stati secolari, chi ricorre alla lotta
armata e chi si dichiara non violento
- Scopi e modalità cambiano da paese a paese a seconda delle realtà storiche, ma cambiano
anche all’interno di uno stesso paese:
Turchia – AKP: governa attraverso primo ministro e presidente
– movimenti spirituali che predicano ritorno dell’islam per combattere il
laicismo nella società
– organizzazioni estremiste che ricorrono alle armi
Marocco – PJD: principale partito islamista e seconda forza politica del paese
– al’Adl wa’l-Ihsan: organizzazione che rifiuta la partecipazione alla
dinamica elettorale, si dimostra critica alla monarchia
- All’interno di questa realtà variata, un elemento che ritorna con continuità è la crescita
della presenza femminile sia alla base che nelle posizioni di leadership
la loro crescita all’interno dei gruppi, messa in discussione dei rapporti tradizionali di
genere, attivismo, crescente accesso alla sfera pubblica, promozione di una donna
musulmana devota e militante fondata sulla lettura dei testi sacri, definisce queste
donne “femministe islamiche”? (No)
Femministe islamiche Islamiste
La creazione di società rette da principi
Centro del Relazioni di genere islamici e fondate sulla famiglia
(principale luogo dove la donna può vedere
dibattito affermati e valorizzati i suoi diritti)*
Uguaglianza di diritti fra uomo e Equità di diritti
Aspirazione donna (equivalenti ma non uguali, data la differenza
biologica fra uomo e donna)
No
Imam donna Sì (l’idea che una donna conduca una preghiera
mista è considerata inaccettabile lontanissima
(esempio di Wadud)
dal messaggio coranico)
No
Abolizione della Sì (la poligamia è un diritto che Dio riserva agli
uomini ed è possibile vivere dignitosamente in
poligamia una famiglia poligamica, oltre che ad essere un
fenomeno ridotto, al quale la donna può
opporsi inserendo una clausola nel contratto
matrimoniale)
Sì
Omosessualità (le nuove ijtihad femministe mettono in No
discussione l’assoluta condanna (contro natura)
dell’omosessualità)
Dovere delle donne musulmane
(l’adozione dell’hijab non simboleggia un
ritorno al passato, ma è segno di
riappropriazione dell’islam come identità
culturale)
Velo Non obbligatorio Munoz: non indossano il velo delle madri,
simbolo d’ignoranza e reclusione, ma un nuovo
velo simbolo di rottura con la società
patriarcale, che non esprime sottomissione agli
uomini ma a Dio e viene innalzato come vessillo
di virtù che non le nasconde, ma le rende visibili
nella sfera pubblica
Ritorno ai testi
sacri e ijtihad Sì Sì
Attivismo Sì, Sì,
per raggiungere la liberazione della donna e per volontà di realizzarsi da un punto di vista
pari diritti etico e spirituale e adempiere i propri doveri
verso la comunità e Dio
Sottomissione No, No,
della donna non è innata nell’islam ma scaturisce dalla non è innata nell’islam ma scaturisce dalla
realtà patriarcale realtà patriarcale
Richiesta di Inizialmente contrarie
riforma della D’accordo prima perché chiedeva l’abolizione della
poligamia, poi per il richiamo ad organizzazione
Mudawwana e dichiarazioni universali occidentali
marocchina (organizzano la contro protesta di Casablanca)
Sì
Diritto (essenziale per fornire la preparazione
necessaria alla donna per svolgere il suo ruolo
all’educazione Sì fondamentale di madre e educatrice, principale
della donna contributo che può dare alla società – mentre
l’uomo resta il principale responsabile del
sostentamento della famiglia)
Il Corano Sì,
garantisce i Sì dai tempi della Rivelazione; l’equità va ricercata
nella complementarità dei ruoli fra uomo e
diritti donna per predisposizione
*
Warnock Fernea definisce questa posizione “family feminism” – un femminismo basato sul gruppo
familiare, che le donne non cercano di lasciare o distruggere, ma di reiquilibrare, redifinendo i loro
ruoli di mogli, madri, sorelle;
Badran sostiene invece che le islamiste non chiedano l’uguaglianza all’interno della sfera privata
che invece rivendicano nella sfera pubblica, al contrario delle femministe islamiche che si battono
per l’uguaglianza all’interno della famiglia, come dimostra l’iniziativa del movimento Musawah
NADIA YASSINE
- Nasce a Casablanca nel 1958 e si laurea in Scienze Politiche all’Università di Fes nel 1980
- Portavoce di al’Adl wa’l-Ihsan e una dei volti più noti dell’islamismo femminile nel
Mediterraneo
- Figlia del fondatore di al’Adl wa’l-Ihsan, da sempre partecipa alle attività del movimento e
solo alla fine degli anni ’90 la sua voce emerge nella scena politica nazionale e non
- 1998 – fonda la sezione femminile di al’Adl wa’l-Ihsan, per poi divenirne portavoce
- La sua battaglia politica non si limita alle battaglie delle donne, ma abbraccia tutte le
questioni sollevate dal movimento islamista
- 2003 – libro Toutes voiles dehors
sviluppa i temi del movimento al’Adl wa’l-Ihsan: ritorno ad un islam puro, rifiuto delle
interpretazioni erronee dei testi sacri, convinzione che solo la fede possa salvare l’umanità
(solo l’affermazione di uno stato islamico potrà risolvere la questione femminile), critica
all’Occidente per il materialismo e posizione imperialista (la questione femminile è trattata
solo marginalmente)
- Questione del velo – indossare il velo è un atto altamente politico ed esprime una triplice
rottura: è riappropriazione della propria spiritualità, riconquista dello spazio pubblico
(poiché il velo è una protezione della sfera privata) e dichiarazione di dissidenza contro
l’ordine stabilito
- È critica verso la monarchia e ha sostenuto che sarebbe meglio se il Marocco fosse
governato da un regime repubblicano (venendo processata e rischiando la prigione)
- 2006 – saggio Modernité, femme musulmane et politique en Méditerranée
si autoposiziona all’interno dell’attivismo di genere in Marocco e internazionale, ma
rifiuta l’etichetta di “femminista islamica”, nonostante sembri sfruttare la visibilità del
femminismo islamico per raggiungere un pubblico maggiore
- Sostiene che le donne possano fare ricorso all’ijtihad, se in possesso di formazione specifica
in discipline teologiche
la salvezza della società passa per un reinserimento volontario della donna nello sforzo
dell’ijtihad e promuovere la partecipazione femminile è un dovere della sua associazione
però, la reiterpretazione dei testi sacri non deve rappresentare una battaglia contro gli
uomini, ma portare ad una rivoluzione culturale e sociale realizzata di comune accordo
KONKA KURIS
- La storia di Kuris esemplifica la difficoltà di tracciare una linea netta fra femminismo
islamico e attivismo di genere in una cornice islamica, poiché Kuris stessa sfugge a facili
categorizzazioni
in vita, si avvicina sia a gruppi islamisti che circoli femministi
questo suo tentativo di conciliare posizioni tra loro differenti sarà la causa della sua
morte e del violento accanimento sul suo corpo
- Musulmana praticante, velata, studiosa di testi sacri e radicale contestatrice della
subordinazione femminile in nome dell’islam
- Nasce all’inizio degli anni ’60 in Turchia, si sposa e diventa madre di quattro figli
- Si avvicina a diverse associazioni della galassia islamista turca, convinta che l’islam
garantisca i diritti delle donne, ma nessun gruppo da spazio alle sue rivendicazioni basate
sull’uguaglianza di uomini e donne
- Crede che non vi sia alcun motivo per cui uomini e donne non possano pregare insieme;
che le donne siano libere di pregare, toccare il Corano o digiunare durante il Ramadan
quando sono mestruate; che, nonostante indossi il velo, le donne non siano obbligate a
velarsi, e che sarebbe solo una tradizione precedente alla Rivelazione per salvaguardare le
donne sulla base di frequenti stupri, imposta poi successivamente dal Corano
- Un mese dopo il suo ultimo discorso pubblico, 1998, dove riceve minacce di morte, viene
rapita di fronte a casa e il suo assassinio verrà rivendicato solo un anno dopo dal gruppo
estremista turco Hizbollah; nel 2000, la polizia rinverrà il corpo terribilmente mutilato e
una cassetta che mostra tutte le torture a cui venne sottoposta per 38 giorni, uno per ogni
anno della sua vita
verrà definita la “prima martire femminista della Turchia”