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SENATO DELLA REPUBBLICA

XIII LEGISLATURA

COMITATO PARITETICO

DELLE COMMISSIONI
13a (Territorio, ambiente, beni ambientali)
del Senato della Repubblica
e
VIII (Ambiente, territorio, lavori pubblici)
della Camera dei deputati

INDAGINE CONOSCITIVA
SULLA DIFESA DEL SUOLO

11o Resoconto stenografico

SEDUTA DI LUNEDÌ 24 NOVEMBRE 1997

Presidenza del presidente VELTRI

IC 0571
TIPOGRAFIA DEL SENATO (600)
Senato della Repubblica – 2 – XIII Legislatura
COMITATO PARITETICO 13o RESOCONTO STEN. (24 novembre 1997)

INDICE

Audizione dei docenti di costruzioni idrauliche delle Università di Genova e di Padova

PRESIDENTE: MARCHI . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Pag. 3, 14


– VELTRI (Sin. Dem.-l’Ulivo) senatore. . Pag. 3, 4, DATEI . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 4, 10, 11 e passim
7 e passim DA DEPPO . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 7
BORTOLOTTO (Verdi-l’Ulivo) . . . . . . . . . . . 9

Audizioni del Ministro per la funzione pubblica e gli affari regionali

PRESIDENTE:
– VELTRI (Sin. Dem.-l’Ulivo), senatore
. . . Pag. 15, 18, 19
BASSANINI (Sin. Dem.-l’Ulivo) . . . . . . . . . . . 16
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Intervengono, ai sensi dell’articolo 48 del Regolamento, i professo-


ri Claudio Datei e Luigi Da Deppo, docenti di costruzioni idrauliche
dell’Università di Padova, il professor Enrico Marchi, docente della
Facoltà di ingegneria dell’Istituto di Idraulica di Genova ed il ministro
per la funzione pubblica e gli affari regionali Franco Bassanini.

I lavori hanno inizio alle ore 17,05.

Audizione dei docenti di costruzioni idrauliche delle Università di Genova e di


Padova

PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca il seguito dell’indagine co-


noscitiva sulla difesa del suolo.
Onorevoli colleghi, oggi è in calendario l’audizione del professor
Marchi, docente di idraulica presso l’Università di Genova, e dei profes-
sori Datei e Da Deppo, docenti di costruzioni idrauliche dell’Università
di Padova, che saluto cordialmente.
Non è la prima volta che il nostro Comitato incontra rappresentanti
della cosiddetta comunità scientifica e a questo proposito desidero ricor-
dare le audizioni del professor Ubertini, presidente del Gruppo nazionale
per la difesa dalle catastrofi idrogeologiche (GNDCI), del professor Ver-
sace, membro della Commissione grandi rischi della protezione civile,
del professor Copertino, delegato del Collegi o dei Presidi delle facoltà
d’ingegneria.
I nostri ospiti sono illustri rappresentanti dell’università italiana e,
come ho già detto, sono docenti di costruzioni idrauliche, una disciplina
di antica tradizione; dal loro contributo ci aspettiamo molto, anche per-
chè uno dei compiti di questo Comitato è proprio quello di evidenziare
il nesso esistente tra la conoscenza e il suo trasferimento dall’ambito più
propriamente scientifico a quello istituzionale ed amministrativo. Debbo
per altro aggiungere che gli auditi di oggi, oltre alla attività svolta nel
campo culturale e scientifico, hanno prodotto alcuni rimarchevoli esempi
di divulgazione, che sono molto interessanti anche per il nostro
lavoro.
A tale proposito vorrei ricordare – credo di averne fatto menzione
anche in una precedente audizione – che nel corso della discussione che
si sviluppò negli anni ’80 in seno al Gruppo nazionale di idraulica e che
precedette il varo della legge n. 183 del 1989, il professor Datei ebbe
modo di aprire un suo intervento proprio con una dotta disquisizione
sulla distinzione tra suolo e territorio. Mi preme sottolineare questo
aspetto, perchè all’interno del Comitato abbiamo avuto modo di discute-
re non solo di tale differenza e delle conseguenze derivanti dal privile-
giare il fattore «suolo» rispetto al fattore «territorio», ma soprattutto del
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raccordo ancora da chiarire, fra l’attuale testo della 183 ed una eventua-
le futura normativa con finalità più urbanistiche. Va infatti considerato
che se si pone l’accento sul suolo è ovvio che emergeranno le proble-
matiche legate all’idraulica, qualora invece si privilegino gli aspetti le-
gati al territorio, allargandosi il campo d’azione, si andranno a compren-
dere altri ambiti di cui ci siamo già occupati e di cui ci occuperemo in
futuro.
Chiedo ora ai nostri auditi come intendano intervenire: se desideri-
no cioè rispondere al questionario in loro possesso, oppure ritengano di
dover effettuare valutazioni di carattere più generale; in ogni caso gradi-
rei, se fosse possibile, che ci venisse fornito in questa sede, o successi-
vamente, un loro testo scritto da accludere agli atti del nostro
Comitato.

MARCHI. Signor Presidente, sarò molto breve. Innanzi tutto desi-


dero scusarmi considerato che non sono qui per portare un contributo
specifico ma piuttosto per assumere delle informazioni. Infatti, per inca-
rico dell’Accademia dei Lincei intenderei includere i temi della difesa
del suolo e della riforma della legge n. 183, del 1989 tra gli argomenti
che saranno oggetto di un convegno che spero di organizzare entro giu-
gno, prossimo. Questo è essenzialmente il mio compito ed è per questo
che desidero acquisire tutte le informazioni possibili anche in merito al
lavoro che sta svolgendo il vostro Comitato. In conclusione vi chiedo di
accettarmi come uditore.

PRESIDENTE. Prima di dare la parola al professor Datei, credo


che sia importante puntualizzare alcuni aspetti.
I lavori del presente Comitato coincidono di fatto con l’attività di
una commissione del Ministero dei lavori pubblici e con quella di un’al-
tra commissione, insediata nei giorni scorsi presso il Ministero dell’am-
biente, entrambe aventi come oggetto un’analisi critica della legge
n. 183. La suddetta materia vede quindi coinvolte, ed a vario titolo, tre
iniziative di tipo istituzionale alle quali si è aggiunta quella – di altra ti-
pologia, ma certamente di eguale spessore – di cui ci ha testè informato
il professor Marchi. Come abbiamo già avuto modo di dichiarare, è no-
stro fermo intendimento collaborare quanto più possibile con tali inizia-
tive, compresa quella promossa dall’Accademia dei Lincei, riguardo alla
quale non mancheremo di realizzare momenti di sintesi e di coordina-
mento.

DATEI. Signor Presidente, nello svolgimento del mio intervento in-


tendo seguire l’ordine delle domande inserite nel questionario, affrontan-
do via via i quesiti a cui sento di poter rispondere compiutamente; natu-
ralmente le riflessioni, mie e dei colleghi, potranno allargarsi andando a
comprendere anche le risposte alle eventuali domande che il Presidente
o i presenti intenderanno rivolgerci.
Debbo innanzi tutto dire che non è facile per me rispondere ai pri-
mi 8 punti del questionario in quanto non ho una grande esperienza in
materia: ad esempio, non sono a conoscenza dello stato di attuazione
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della legge n. 183, nè di quante e quali regioni abbiano adempiuto a tale


normativa istituendo i comitati di bacino, nè, infine, quale livello di pia-
nificazione sia stato raggiunto nelle regioni che hanno adempiuto a tale
impegno. Peraltro, non sono stato chiamato a far parte di alcun comitato
scientifico e tecnico che si è occupato nello specifico di questo settore,
mentre so che altri colleghi dell’università di Padova hanno offerto e of-
frono la loro consulenza nel merito.
Da quanto mi consta, tuttavia, non credo esistano piani di bacino
nell’accezione esauriente e corretta del termine, anche se in tal senso so-
no stati promossi molti studi e finanziate alcune ricerche. Sono inoltre a
conoscenza di un piano stralcio per il Tevere, approvato circa dieci gior-
ni fa dall’Assemblea generale del Consiglio superiore dei lavori pubbli-
ci, concernente i vincoli che debbono essere posti agli insediamenti nel-
la zona del bacino del Tevere a valle della città di Orte, area che con i
suoi 200 milioni di metri cubi di capacità di invaso rappresenta il serba-
toio di piena di questo fiume, parzialmente adibita alle inondazioni e
che salva Roma dalle grandi catastrofi idrauliche come quelle verificate-
si nel secolo scorso e agli inizi di quello attuale.
Ripeto: non sono in grado di dare indicazioni circa il livello rag-
giunto dai suddetti studio; posso soltanto affermare che ho notizia della
loro esistenza perchè talvolta compaiono delle richieste di gare per l’af-
fidamento di studi e di ricerche in questo campo; tuttavia, ho la sensa-
zione che di piani di bacino «confenzionati» e approvati in realtà non ve
ne siano.
Credo invece di poter rispondere in maniera esaustiva formulando
anche delle proposte in materia di Autorità di bacino (punti nn. 9, 10 e
11 del questionario).
Il primo aspetto su cui vorrei richiamare la vostra attenzione ri-
guarda l’opportunità di mantenere la differenza tra i tre livelli di bacino
(nazionale, regionale e interregionale). Intorno a questa materia c’è una
confusione straordinaria che nasce fin dall’attuazione del decreto del
Presidente della Repubblica n. 616 del 1977. Tale norma senza alcuna
precisazione, attribuisce la responsabilità in materia di corsi d’acqua sul-
la base della distinzione tra regionali e interregionali. Secondo l’articolo
89, se ben ricordo, di tale normativa sono di interesse regionale le opere
idrauliche di terza categoria, mentre sono di competenza dello Stato
quelle di prima categoria (fiumi di confine) e seconda categoria. Al ri-
guardo desidero ricordare che tale classificazione risale ai primi del se-
colo, riguardava le opere e aveva lo scopo di stabilire a chi spettasse il
loro finanziamento.
Credo che nel decreto n. 616 del 1977 il finanziamento delle opere
di terza categoria fosse assegnato alle regioni. In seguito sulla materia è
nato tra Stato e regioni un contenzioso molto aspro, che si è risolto at-
tribuendo allo Stato anche il finanziamento delle opere di terza
categoria.
A mio avviso ciò che la legge n. 183 del 1989 ha recepito
del decreto del Presidente della Repubblica n. 616 del 1977 non
può essere valutato positivamente. La distinzione tra corsi d’acqua
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regionali e interregionali in realtà non è mai stata rispettata; del


resto sono pochi i corsi d’acqua italiani strettamente regionali.
In proposito ricordo un episodio che può suscitare anche ilarità.
Quando nel 1979 fui a capo della Commissione del CNR che si occupa-
va di tali problematiche, per l’inesperienza che avevo allora in campo
amministrativo immaginai che i fiumi della Sardegna e della Sicilia fos-
sero per definizione fiumi regionali. Assolutamente no; lo erano quelli
della Sicilia ma non quelli della Sardegna, trattandosi di regioni a Statu-
to speciale. Mi sono trovato in una difficoltà straordinaria nel cercare di
spiegare questo aspetto ad un collega straniero.
La classificazione dei corsi d’acqua italiani stabilita dalla legge
n.183 del 1989 sembra fondarsi più su considerazioni di opportunità po-
litica – rapporto tra Stato e regioni – che su problemi idraulici e idro-
grafici e pare non tener conto delle conclusioni cui era giunta la com-
missione De Marchi nella sua relazione del 1970 che aveva una visione
completamente diversa del problema. La legge delega del 1977 non era
stata emanata, l’ordinamento regionale ancora non era stato attuato.
Il lavoro della commissione fu svolto dalla scuola idraulica italiana, dal
Ministero dei lavori pubblici e dal Ministero dell’agricoltura e foreste,
vale a dire dei principali attori pubblici che all’epoca si occupavano di
queste problematiche.
Il territorio italiano era diviso in diversi raggruppamenti idrografi-
camente affini con 8 magistrati alle acque: uno a Venezia, esistente dal
1907; uno a Parma per il Po, esistente dal 1955; uno in Sardegna; uno
in Sicilia e altri quattro per i corsi d’acqua distribuiti lungo l’Adriatico e
il Tirreno. Nell’ambito dell’attività svolta da detti magistrati doveva
operare l’ufficio del piano. Si stabilì anche la soppressione della suddi-
visione per categorie di opere, resa assolutamente necessaria per i diver-
si rapporti, da un lato tra problemi idraulici di natura diversa, e dall’al-
tro tra Stato e soggetti privati. Detti rapporti erano ormai completamente
mutati rispetto al 1904, anno in cui la classificazione era stata proposta;
tuttavia nulla di ciò è stato realizzato. Il decreto del Presidente della Re-
pubblica n. 616 del 1977 classifica i corsi d’acqua in bacini regionali e
interregionali mantenendo la suddivisione per categorie; la legge n. 183
del 1989 eredita questa classificazione dei corsi d’acqua in regionali, in-
terregionali e a preminente interesse nazionale e conserva ancora al suo
interno le categorie. Ad esempio, per quanto concerne l’Arno abbiamo
una ripartizione inapplicabile: con 200 metri che appartengono allo Sta-
to e i successivi 200 alla regione. Ritengo quindi – con fermezza e temo
anche un po’ da Don Chisciotte, perchè credo sia difficile rimuovere
questa posizione – che mantenere una classificazione che non ha più al-
cun senso e provoca al suo interno una grave disarticolazione sia una
delle cause dei ritardi nell’applicazione della legge n. 183 e del regime
di confusione che regna sulla materia. Sarebbe quasi preferibile, ad
esempio, che l’Arno, un fiume di preminente interesse nazionale ma an-
che uno dei pochi interamente regionale, fosse di competenza esclusiva
della regione Toscana, anche se non vedo comunque con favore l’attri-
buzione ad organi regionali di poteri in materia di sistemi idraulici. Non
mi riferisco agli acquedotti o alle fognature, sui quali la competenza re-
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gionale si può esplicare anche ai livelli più elevati. La mia esperienza,


legata alla regione Veneto – con buona pace degli ingegneri che non so-
no riusciti ad esprimere una cultura di idraulica fluviale di sistemazione
dei corsi d’acqua capace di risolvere i problemi che affliggono il Veneto
(e non so quanto questo si debba a una mancanza di tradizione e di sto-
ria) – non è positiva. Occorre però sottolineare che le strutture del Mini-
stero dei lavori pubblici si sono ridotte e impoverite, tant’è che vedrei
con estremo favore una loro riorganizzazione volta anche a ricreare la
Scuola idraulica italiana. Ai lavori pubblici restano la storia, la tradizio-
ne e una struttura che forse occorrerebbe ricompattare e irrobustire. Ri-
peto, non vedo con favore la distribuzione dei compiti in questa materia
anche per l’esistenza di culture che sono tra loro diversissime. Ciò infat-
ti determinerebbe difficili rapporti all’interno delle regioni tra tutti gli
attori coinvolti, visto che non sono gli uffici regionali in prima persona
a realizzare i progetti, limitandosi a delegare la progettazione. Osservan-
do il modo in cui le diverse regioni italiane hanno distribuito gli incari-
chi ai vari studi professionali si possono ricavare indicazioni interessan-
ti. Pertanto, lo ribadisco, non vedo tutto ciò con favore.

PRESIDENTE. Ringraziamo il professor Datei per la sua esposizio-


ne. Do ora la parola al professor Da Deppo.

DA DEPPO. Signor Presidente, le mie affermazioni non saranno


molto diverse da quelle del mio collega, professor Datei.
Per quanto riguarda l’Autorità di bacino, i documenti che le abbia-
mo inviato rappresentano il nostro pensiero su tale problema. Ritengo
che l’esperienza che il professor Datei citava in merito alla regione Ve-
neto possa estendersi a molte altre regioni nelle quali le carenze e la po-
vertà tecnica – almeno sotto l’aspetto del quale ci stiamo occupando –
sono davanti agli occhi di tutti.
Torneremo sul problema in seguito, nel momento in cui si parlerà
dei piani regolatori e delle aree di salvaguardia. Se fosse dipeso dalla
regione Lazio, forse la soluzione recentemente approvata per le aree di
salvaguardia del Tevere sarebbe stata diversa da quella adottata dalla,
Autorità di bacino.
Certamente, dal momento che il professor Datei ed io abbiamo esa-
minato il piano, avremmo desiderato che l’Autorità di bacino ci fornisse
qualche indicazione più restrittiva. D’altronde, l’aspetto dell’incolumità
pubblica deve essere prioritario rispetto ad altre questioni ed è bene te-
ner presente che l’ente locale, rispetto allo Stato, ha più difficoltà a re-
spingere le pressioni a cui è sottoposto.
Rispetto al quesito n. 14 (che chiede di sapere se si ritiene che
l’unitarietà fisica del bacino idrografico sia un modello da preservare e
da rafforzare, anche a fronte degli sviluppi normativi di cui alla legge
n. 59 del 1997, che privilegia il concetto di confine amministrativo) ri-
tengo senza alcun dubbio – anche sulla base di quanto detto in prece-
denza in merito all’unitarietà dei bacini idrografi – di rispondere positi-
vamente. Le difficoltà causate dalla ripartizione di competenze tra Stato
e regione aumentano quanto più le varie competenze vengono frazionate
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a livello regionale. Ad esempio, se la regione Toscana decide di effet-


tuare un invaso di piena in un tratto di un corso d’acqua di sua compe-
tenza non è detto che lo Stato possa trarne benefici sulla parte che egli
gestisce. Non sempre situazioni di emergenza per un corso d’acqua con
competenze miste possono essere risolte, come nel caso della diga del
Bilancino costruita a difesa di Firenze, sulla base di un intervento regio-
nale. La soluzione dei problemi concernenti corsi a competenza multipla
com’è il caso dell’Arno a volte diventa difficile, anche perchè in certi
casi le competenze del lato destro sono delle regioni e quelle del lato si-
nistro dello Stato.
Rispetto al punto 15 vorrei per un momento ritornare a quanto det-
to in precedenza in merito alla salvaguardia delle aree di esondazione
del Tevere. La difesa di Roma è lasciata ai 200 milioni di metri cubi
che possono essere invasati tra Orte e Castel Giubileo per evitare che
inondazioni come quelle verificatesi nel 1870 possano ripetersi; le Auto-
rità di bacino hanno il dovere di vietare che venga sottratta capacità di
invaso agli alvei fluviali.
Nel libro da noi pubblicato si evidenziano i rischi che corrono le
costruzioni realizzate in zone soggette ad allagamento. Sono problemi
che si sono registrati in varie zone d’Italia, per cui non ci si deve poi
meravigliare del fatto che un magistrato intervenga al riguardo.
I piani settoriali mi sembra che siano una via obbligata – è stato
detto molto bene dal professor Datei – per evitare che alla fine, per una
serie di intoppi, i piani di bacino rimangano inattuati per altri vent’anni.
Il legislatore ebbe in un primo tempo a pronunciarsi sostenendo che il
piano di bacino doveva comunque essere considerato in maniera unita-
ria; ma se, ad esempio, non fosse stato proposto un piano stralcio per il
Tevere, aspettando invece la realizzazione di un piano di bacino, oggi
probabilmente la situazione sarebbe assai più difficile.
Per quanto riguarda invece i servizi tecnici, lascerei al professor
Marchi la possibilità di dare una risposta che renda a tutti chiara la
situazione.

PRESIDENTE. Vorrei sollecitare qualche risposta più puntuale su


questa materia, magari mediante una risposta scritta in grado di comple-
tare quanto già agli atti dei lavori del Comitato. Pertanto, mi auguro che
vi sia un impegno a farci pervenire, magari in un secondo momento, do-
cumenti che possano essere acquisiti ai fini di un lavoro più puntuale.
Prima di passare ad altre domande o chiarimenti, ritengo opportuno
mettere in luce alcuni aspetti richiamati nei vostri interventi e chiedere
una risposta anche su altri punti che ritengo rilevanti.
Dal momento che si è tenuto di recente a Genova un importante
incontro in merito alla difesa del suolo e agli obiettivi della legge
n. 36 del 1994, vorrei qualche risposta in merito all’opportunità di
separare le questioni inerenti alla legge n.183 da quelle inerenti
alla legge n. 36. Qualora la risposta fosse affermativa, ritenete che
tale disgiunzione debba essere ancora più marcata rispetto a quanto
già si prevede oggi, oppure – in caso contrario – che sia necessaria
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un’implementazione tra i due strumenti legislativi capace di rendere


unitaria la gestione degli stessi?
Un’altra questione riguarda il livello di conoscenza in campo idro-
geologico, idraulico e geotecnico. Ritenete che tale livello sia adeguato
ad un’ efficace attività di pianificazione e di intervento postemergenzia-
le e che le conoscenze a disposizione a livello scientifico consentano
anche ad altre amministrazioni di svolgere un’attività adeguata?
Con riferimento ad esempio alla portata di piena dei corsi d’acqua,
ritenete che, in termini probabilistici e sulla base delle conoscenze attua-
li, questa situazione sia gestibile in termini unitari?
Il professor Datei evidenziava una difficoltà, se non addirittura l’as-
senza, della «confezione» – uso un suo termine – dei piani di bacino.
Questo argomento rappresenta una faccia della medaglia, perchè l’altra è
rappresentata dalla tortuosità dell’iter della loro approvazione. Mentre
da parte di molti viene citato l’aspetto della tortuosità e della macchino-
sità dell’approvazione dei piani, dalle testimonianze rese in questo Co-
mitato sta emergendo sempre più un’evidente difficoltà nel redigere i
piani stessi.
Una chiave di interpretazione è scaturita anche dalle parole del pro-
fessor Datei, quando ha parlato dell’impoverimento dei quadri tecnici.
Ritengo che la mancata redazione dei piani – mi si passi questa sempli-
ficazione – e la difficoltà nell’approvarli siano due aspetti complementa-
ri che in qualche misura giustificano o comunque comprovano la non
piena attuazione della legge n. 183 del 1989.
Se è materia squisitamente legislativa e istituzionale l’intervento
del Parlamento per quanto riguarda i meccanismi di semplificazione dei
percorsi di approvazione dei piani, l’intervento dei quadri tecnici proba-
bilmente potrebbe ricevere un input anche abbastanza efficace e impor-
tante da parte di chi – come voi – li forma e li crea. Mi piacerebbe
ascoltare, appunto, un vostro parere sulle difficoltà che si incontrano
nella redazione dei piani.
Vorrei porre un’ultima domanda (che sto ponendo con molta fre-
quenza): ritenete che la legge n. 183 abbia una caratterizzazione fin
troppo marcata di tipo idraulico-geologico, come da più parti viene evi-
denziato? Peraltro il riferimento che ho fatto all’inizio di questa seduta
all’uso diverso dei termini suolo e territorio è già un richiamo preciso
all’argomento. Inoltre, è una legge «padanocentrica»? Alcuni hanno det-
to che non lo è, se non nella misura in cui l’importanza, oltre che
l’estensione, del bacino del Po giustifica alcune situazioni; ma vorrei un
vostro parere in proposito.

BORTOLOTTO. Sono rimasto colpito da un fatto: nelle relazioni


dei nostri auditi, da me molto apprezzate, emerge la sensazione che la
legge n. 183 non abbia avuto alcun effetto quando è stato sottolineato il
fatto, ad esempio, che può accadere che per cento metri la competenza
sul fiume Arno è della regione, poi passa allo Stato e poi ancora alla
regione.
Uno degli scopi della legge n. 183 del 1989 era, appunto, quello di
superare la divisione delle competenze, di superare la frammentazione,
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di creare le autorità di bacino e di dare un riferimento unico al quale


tutti dovevano attenersi; per cui tutti gli interventi, anche se realizzati da
enti diversi, avrebbero dovuto essere basati su un piano coerente. Noi
che abbiamo il compito di verificare la possibilità di migliorare la legge
n. 183 per renderla applicabile abbiamo sentito dire che se resterà così
non c’è speranza di approvare i piani di bacino prima di venti anni, ri-
schiando quindi di rendere nulla la legge stessa. Se non si approvano i
piani stralcio, che sono molto importanti e anche per il fiume Po ne ab-
biamo avuto uno solo, si corre il rischio di andare molto a rilento, visto
che dopo sette anni dall’approvazione della legge avrebbero già dovuto
essere redatti.
Inoltre volevo chiedere se la cultura della gestione dei fiumi (che
per secoli abbiamo avuto nel nostro paese e che si è un pò dispersa ne-
gli ultimi anni, forse a causa delle attribuzioni frammentate alle regioni)
sia recuperabile con una riorganizzazione ed un raggruppamento degli
enti che si occupano dei fiumi ai vari livelli. Credo infatti che se l’auto-
rità di bacino ridefinita disponesse del magistrato per il Po o il magi-
strato per le acque come suo organo tecnico – ma integrato con gli or-
ganismi che se ne occupano a livello regionale – forse si potrebbe recu-
perare almeno una parte di quella cultura che oggi è andata dispersa ed
unificare quelle competenze dei vari tratti fluviali ora separati da questi
criteri.
Pertanto volevo comprendere in che modo la suddivisione stabilita
dal regio decreto n. 523 del 1904 rimane ancora così rilevante; è vero
infatti che l’ente che se ne occupa non è stato modificato, però tutti di
enti dovrebbero rispondere all’Autorità di bacino, anche in attesa
dell’approvazione del piano, e non potrebbero realizzare opere all’insa-
puta l’uno dell’altro. Volevo chiarire un pò meglio tale questione.
Inoltre, condivido quanto detto dal Presidente sulla necessità di
comprendere se la legge n. 36 del ’94 debba essere meglio collegata con
la legge n. 183. Vorrei anche sapere se dobbiamo fissare per legge alcu-
ni punti fondamentali di gestione idraulica dei corsi d’acqua, per esem-
pio la garanzia del deflusso minimo vitale o il divieto di trasferimento
di acque da un bacino all’altro ad uso acquedottistico piuttosto che irri-
guo. Inoltre, possono essere definiti a livello nazionale una volta per tut-
ti alcuni punti fermi, perchè costituiscono ormai delle acquisizioni scien-
tifiche valide, o invece dobbiamo insistere sulla pianificazione differen-
ziata bacino per bacino?
Infine, vorrei sapere se voi ritenete che l’elenco delle competenze
che vengono assegnate al piano di bacino non vadano ridotte o semplifi-
cate. A me sembra che uno dei motivi per cui è difficile approvare piani
di bacino è che gli si attribuisce una serie incredibile di significati. In
ultimo, mantenere la superiorità del piano di bacino rispetto ai piani dei
comuni, riducendo però le pretese nei confronti di questo strumento,
consentirebbe una maggiore applicazione della legge?

PRESIDENTE. Invito i nostri ospiti ad intervenire nuovamente per


rispondere alle domande poste da me e dal collega Bortolotto, solleci-
tandoli però ad effettuare degli interventi brevi dal momento che tra
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venti minuti è in programma l’audizione del Ministro della funzione


pubblica. Probabilmente la discussione odierna con voi non sarà esausti-
va, quindi rinnovo l’invito a lasciarci un contributo scritto che acquisire-
mo agli atti e di cui terremo debito conto.

DATEI. I quesiti che avete posto sono notevoli e interessanti. Anzi-


tutto ci è stato chiesto se l’uso acquedottistico dell’acqua, cioè quello
che fa capo alla legge n. 36, debba in qualche misura essere correlato
alla legge n. 183 o meno.

PRESIDENTE. In parte lo è già.

DATEI. Sì, è così. Questo, a mio giudizio, può accadere, però in


una accezione del piano di bacino un pò diversa da quella meticolosa,
puntuale e improbabile che viene dalla legge n. 183. Sono perfettamente
d’accordo con il senatore Bortolotto quando sottolinea la necessità di ri-
cercare una soluzione, una composizione, semplice ed essenziale, dei te-
mi che il piano deve trattare. Il piano di bacino non deve prendere in
considerazione o inventare qualcosa; deve descrivere lo stato di un cor-
so di acqua e, davanti ad una proposta di utilizzazione o di difesa, deve
possedere lo strumento per rispondere e per poter dare delle valuta-
zioni.
Quindi, chi redige il piano di bacino non deve essere un progetti-
sta; deve essere, a mio avviso, uno stratega che conosce il campo di
battaglia e può operare in tal senso.
La legge n. 183 va alla ricerca di una perfezione improbabile come
la perfezione. Ad esempio, leggendo l’articolo 2 concernente l’attività
conoscitiva, ci si rende immediatamente conto che basterebbe attuare
soltanto il 10 per cento di quanto previsto per fare salti di gioia; consi-
derate che secondo questa normativa gli incaricati delle misurazioni do-
vrebbero riferire i dati raccolti ai Servizi tecnici centrali ed invece non è
avvenuto niente di tutto questo.
Prima della nazionalizzazione dell’industria elettrica, ossia prima
del 1963, la Società Adriatica di elettricità, che operava in Veneto, tene-
va sotto controllo tutti i corsi d’acqua, ovviamente con l’obiettivo di
produrre energia elettrica; in ogni caso, al di là delle ragioni sottese a
tale attività di osservazione - di profitto o di altro genere – di anno in
anno veniva pubblicato un ponderoso annale idrologico in cui venivano
riportati tutti i dati raccolti. Dopo la nazionalizzazione, questo documen-
to non solo non fu più così ampio ma anche la sua pubblicazione diven-
ne irregolare, tanto che oggi siamo indietro di diversi anni.
Pertanto, anche alla luce di quanto detto, si può senz’altro afferma-
re che nessuno degli aspetti previsti dalla legge n. 183 in materia di atti-
vità conoscitiva sia stato attuato. Inoltre, a mio avviso, un aspetto che
andrebbe rivisto è il trasferimento del Dipartimento per i servizi tecnici
nazionali, oggi all’interno della Presidenza del Consiglio dei ministri co-
me organo di consulenza; ritengo invece che tale struttura dovrebbe es-
sere messa al servizio del consulente tecnico dello Stato e cioè del Con-
siglio superiore dei lavori pubblici. A tale riguardo desidero segnalare
Senato della Repubblica – 12 – XIII Legislatura
COMITATO PARITETICO 13o RESOCONTO STEN. (24 novembre 1997)

anche altri aspetti di confusione: ad esempio è stato posto tra i servizi


tecnici nazionali il servizio dighe, semplicemente per la sua denomina-
zione, magari se si fosse chiamato ufficio dighe sarebbe rimasto all’in-
terno del Ministero dei lavori pubblici.
Per quanto riguarda i servizi tecnici nazionali, nel corso dei lavori
della commissione che presiedetti nel 1979, venne proposto che gli
obiettori di coscienza potessero prestare la loro attività nei suddetti ser-
vizi, naturalmente per un periodo sufficientemente lungo. Abbiamo ap-
preso la settimana scorsa dal direttore del servizio dighe, ingegner Gio-
vanni Fiore, che è stato firmato un protocollo d’intesa tra il Ministero
della difesa e il Dipartimento per i servizi tecnici nazionali che prevede
il distacco di 400 obiettori di coscienza, di cui 130 da destinare al servi-
zio dighe. Ebbene, a mio parere questa iniziativa dovrebbe essere istitu-
zionalizzata, si dovrebbe poter immaginare un servizio di osservazione
del territorio diffuso, distribuito e sistematico, offerto da obiettori di co-
scienza – ma anche da altri soggetti, quali tecnici o diplomati – che de-
siderino svolgere la loro attività a favore della comunità, alternativamen-
te al servizio militare.
A tale riguardo va sottolineato che l’Esercito è in grado di avere
punti di osservazione sparsi su tutto il territorio nazionale; in questo
senso il professor Da Deppo ed io siamo assolutamente convinti che un
passo decisivo e importantissimo sarebbe quello di affidare all’Esercito
– più precisamente al Genio militare – alcune competenze che oggi
spettano alla Direzione generale della protezione civile. Non voglio par-
lar male della mia categoria, quella dei professori, tuttavia debbo am-
mettere che quando ci riuniamo attorno a un certo problema il rischio
che si corre sempre è quello di produrre qualcosa di erudito, quando in-
vece vi è l’esigenza di praticità e soprattutto di rapidità d’intervento: ad
un ingegnere capo, o al responsabile di un argine – che magari deve es-
sere fatto saltare per evitare il verificarsi di un episodio di maggiore
gravità – si deve dire come agire e non parlargli di modelli matematici!
In determinati frangenti sono necessarie caratteristiche di praticità e di
organizzazione che individuo soltanto nell’Esercito – ripeto, nel Genio
militare – soprattutto se consideriamo che, per fortuna, di guerre non se
ne fanno, a parte il recente impegno del nostro esercito in territorio al-
banese ed in quello della ex Iugoslavia.
Ritornando poi ai temi precedentemente toccati, ritengo che il pia-
no di bacino non debba avere il compito di progettare l’acquedotto,
bensì limitarsi a giudicare in merito alla congruità di una eventuale ri-
chiesta di acqua rispetto all’uso che si intende fame.
Le difficoltà incontrate dai piani di bacino derivano appunto da una
visione – quella della legge n. 183 del 1989 – poco concreta e che non
tiene conto di quello che sono in realtà i corsi d’acqua in Italia. Mi rife-
risco ad esempio al Piave: andate ad osservare i serbatoi, gli acquedotti
e le derivazioni, le opere poste su questo fiume e tutte le attività che vi
si svolgono – collegate prima alla Società adriatica per l’elettricità e og-
gi all’ENEL – e riscontrerete un sistema molto articolato, elaborato e
soprattutto rigidissimo. Non è quindi immaginabile che un piano di ba-
cino possa modificare in grande misura questa complessa struttura, in
Senato della Repubblica – 13 – XIII Legislatura
COMITATO PARITETICO 13o RESOCONTO STEN. (24 novembre 1997)

quanto intorno alla produzione di energia elettrica o di acqua per l’irri-


gazione è legato gran parte del benessere economico del Veneto.
Le difficoltà che nascono nella redazione di un piano di bacino
scaturiscono quindi anche dall’esistenza di una situazione molto rigida e
ormai consolidata, che si è sviluppata in virtù di due leggi: la n. 215 e
la n. 1775, entrambe varate nel 1933, che hanno consentito a queste zo-
ne di trasformarsi dal punto di vista idraulico.
Ebbene, per quanto riguarda il passato, si può senz’altro affermare
che fino ad un certo punto le cose hanno proceduto abbastanza bene,
anche perchè le autorità che gestivano queste problematiche erano uni-
che. È significativo che non ci fosse magistrato delle acque che lascias-
se il suo magistero senza pubblicare un volume sulla sua esperienza di
lavoro. Questa esperienza si è perduta e in tal senso vado sostenendo da
molto tempo che per recuperare questo tipo di capacità e questa cultura
è necessario procedere per gradi. Per raggiungere tale obiettivo non ba-
sta la formazione che si ottiene nelle aule, ma anche quella che proviene
dall’esperienza pratica, dal lavoro. A lavorare si impara lavorando, in
biblioteca non si impara a progettare!
Ad esempio, l’ENEL non ha un ufficio di progettazione degli im-
pianti in ogni città, ma solo a Venezia, a Milano e a Napoli, oltre ad un
coordinamento centrale; pertanto, per rispondere alle esigenze esistenti
ritengo che sarebbe opportuno immaginare la creazione di poli di pro-
gettazione, che corrispondessero al fabbisogno tecnico dello Stato, e nel
frattempo impegnarsi nella formazione degli ingegneri da utilizzare in
questo settore.
Inoltre, prima della cosiddetta guerra delle procure, ebbi modo di
osservare che venivano poste in appalto-concorso anche delle opere re-
lative a semplici ringrossi arginali la cui progettazione, quando ero ra-
gazzo, veniva normalmente affidata non dico al guardiano idraulico, ma
comunque all’ufficiale idraulico. Oggi invece per questo genere di opere
si fanno anche appalti-concorso! Ebbene, a mio avviso si tratta di un
uso distorto di strumenti sacrosanti e perfetti che hanno dato in passato
grandi risultati. Quindi, la prospettiva di ricreare e recuperare le capacità
professionali all’interno del Ministero dei lavori pubblici, magari di con-
certo con il Ministero per le risorse agricole, potrebbe passare attraverso
la creazione di una struttura non dissimile da quella realizzata
dall’ENEL, con centri di progettazione collocati sul territorio nazionale
a seconda delle necessità.
Altro aspetto importante è, ripeto, la formazione, al fine di ricreare
la figura di un ingegnere progettista che possa rispondere efficientemen-
te a questo tipo di esigenze. Non si deve, naturalmente, pensare di at-
trezzare una sezione per progettare il ponte di Messina, o le opere previ-
ste alle bocche di Venezia, in quanto a problemi specifici si deve ri-
spondere con organizzazioni specifiche. Per corrispondere invece al fab-
bisogno quotidiano la proposta è quella di immaginare una situazione di
questo genere.

PRESIDENTE. Professor Datei, la ringrazio per il contributo che ci


ha fornito. Sono tra coloro che ritengono la legge n. 183 del 18 maggio
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COMITATO PARITETICO 13o RESOCONTO STEN. (24 novembre 1997)

1989 una legge di settore che – come già più volte sottolineato – ha in-
contrato delle difficoltà nella predisposizione e nella redazione dei piani
di bacino. Probabilmente l’idea a monte dei piani di bacino era, ed è
tuttora, un’idea onnicomprensiva che atteneva alla pianificazione di
troppi aspetti del problema. Del resto lo stesso legislatore è intervenuto
quasi immediatamente con alcuni provvedimenti che hanno portato
all’introduzione dei piani stralcio e dei piani di settore, aderendo così ad
una visione agile e più rispondente ad impegni settoriali. Ritengo però
che perseguire una logica di settore, scollegata da un quadro di riferi-
mento globale, possa far incappare nell’ostacolo – richiamato poc’anzi
anche dal professor Da Deppo – di non intervenire nei settori che ri-
guardano, ad esempio, l’urbanistica e la pianificazione.
Siamo in presenza di strumenti di pianificazione del territorio che
spesso, a vari livelli, si intersecano tra di loro con gradi di cogenza e di
subordinazione dell’uno rispetto all’altro difficilmente dirimibili. In ordi-
ne alla prevalenza tra piano di bacino e piano di un parco, di fatto, ci
troviamo di fronte a pronunciamenti difformi (anche sul piano giurispru-
denziale), sebbene il dettato legislativo dia chiare indicazioni su quale
dei due prevalga. Al riguardo il ministro Bassanini esprimerà tra poco la
sua autorevole opinione.
Se non si interviene all’interno di un quadro generale si corre il ri-
schio – non solo a mio giudizio evidentemente – di scorporare e in
qualche misura enucleare in maniera troppo tematica i piani di settore e
i piani stralcio, anche se è innegabile che questi ultimi hanno permesso
alla pianificazione di andare avanti.
Poc’anzi si parlava dell’Arno, ma si possono citare anche altre
esperienze relative al Po dove, come ricordava il senatore Bortolotto, si
è giunti a un buon livello di pianificazione. Ho però l’impressione che
in mancanza di un quadro di riferimento generale non sia soltanto que-
sta la via da perseguire.
È possibile, con brevi battute, avere la vostra opinione su questo
argomento o è necessario rimandare il tutto ad un vostro contributo
scritto?

MARCHI. Signor Presidente, una brevissima battuta. A mio parere


il piano di bacino deve avere caratteristiche molto generali e soprattutto,
per essere varato in tempi rapidi, deve essere un piano dinamico, non
statico. Non possiamo immaginare di definire un piano che non muterà
con il tempo. Alcune prospettive cambiano nell’arco di un decennio per
cui si rende necessario rivedere certe situazioni; pertanto operare in
un’ottica di dinamicità può semplificare le cose.

DATEI. Signor Presidente, molti degli aspetti che interessano il Co-


mitato li troverete negli opuscoli che depositeremo agli atti. In uno di
questi vi è una premessa di carattere generale relativa ad un’attività
svolta dal nostro dipartimento per la regione Veneto; l’altro, una mia
prolusione per celebrare i settant’anni dallo storico congresso svoltosi a
San Donà del Piave nel 1922, contiene una notizia sconcertante: dal
1951 al 1980 in Italia sono stati urbanizzati 15.000 chilometri quadrati,
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il 5 per cento del territorio nazionale; in pratica un altro alveo del Teve-
re, con la differenza che il fiume, con i suoi 3.000 metri cubi al secon-
do, ha la possibilità di provocare disastri con una frequenza probabile di
un caso ogni 500 anni; invece l’urbanizzazione di 15.000 chilometri
quadrati (cioè un milione e mezzo di ettari distribuiti in tutto il territo-
rio) provoca dei disastri con maggiore frequenza, in quanto può determi-
nare una risposta immediata e causare l’inondazione delle zone
corcostanti.
PRESIDENTE. Ringrazio a nome del Comitato i professori Marchi,
Datei e Da Deppo per la loro partecipazione, per i documenti che hanno
messo a nostra disposizione e per quelli che ci invieranno successiva-
mente. Dichiaro conclusa la loro audizione.

Audizione del Ministro per la funzione pubblica e gli affari regionali.

PRESIDENTE. Il programma dei nostri lavori prevede l’audizione


del ministro della funzione pubblica e per gli affari regionali, onorevole
Bassanini, che saluto a nome del Comitato.
La presenza del Ministro, che ringraziamo in termini non solo for-
mali, si è resa in qualche misura necessaria dopo le audizioni svolte a
partire dal mese di giugno, poichè alcuni aspetti del problema (peraltro
già contenuti nel nostro questionario), hanno acquisito via via una rile-
vanza maggiore.
Prima di dare la parola al Ministro, il cui intervento toccherà ov-
viamente aspetti attinenti al suo Dicastero, volevo sollecitarlo su alcuni
argomenti strettamente afferenti i nostri lavori. La legge n. 183 del 1989
prevede un’Autorità di bacino idrografico, che è caratterizzato da una
sua unitarietà fisica (basata sul complesso delle precipitazioni atmosferi-
che che si incanalano in un corso d’acqua) e stabilisce che in presenza
di bacini a valenza interregionale, o addirittura nazionale, tale unitarietà
fisica e idrografica del bacino venga comunque salvaguardata. Nei rego-
lamenti che il Ministro e il Governo dovranno emanare in attuazione dei
provvedimenti legislativi approvati recentemente dal Parlamento, credo
esista la possibilità di far emergere, quanto più possibile, i principi di
certezza, di unicità di ruolo e di responsabilità di alcuni organismi.
Vorrei sapere se nel lavoro che il Ministero sta svolgendo in mate-
ria siano emerse valutazioni nel senso anzidetto, cioè in ordine alla sog-
gettività giuridica dell’Autorità di bacino. In sostanza quest’ultima deve
essere ricondotta ad un modello di terzietà, come è intrinseco al concet-
to stesso di Authority, oppure deve rimanere in un ambito più indistinto
di quanto la normativa attuale non lasci presagire?
Il Comitato paritetico ritiene importante acquisire le valutazioni
elaborate dal Ministro sulla definizione di bacino idrografico, in quanto
bisogna stabilire se debba prevalere un ambito di profilo amministrativo
o di profilo fisico. Nell’ambito dei provvedimenti di legge si tende a
privilegiare, anche in virtù del principio di sussidiarietà, l’ambito più
prossimo agli interessi dei cittadini; pertanto, volendo salvaguardare
quanto più possibile la legge n. 183 del 1989, ritengo sia necessario te-
ner conto di una valenza di tipo fisico piuttosto che amministrativo.
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COMITATO PARITETICO 13o RESOCONTO STEN. (24 novembre 1997)

Per il bacino del Tevere, ad esempio, se prevalesse un approccio di


tipo amministrativo piuttosto che fisico ci sarebbe il rischio di una setto-
rializzazione di competenze che attengono ad ambiti amministrativi di-
versi e che in qualche misura possono far venire meno un’azione volta a
garantire l’unitarietà fisica del bacino stesso. Su questi e su altri aspetti
vorremmo un contributo del Governo che possa essere di ausilio per i
lavori del Comitato.
BASSANINI, ministro senza portafoglio per la funzione pubblica e
gli affari regionali. Avevo già avvisato il presidente Veltri, al momento
del suo cortese invito a partecipare ai lavori di questo Comitato, che
avrei dovuto rigorosamente attenermi a quanto previsto dalla legge
n.400 del 1988. La competenza in materia di difesa del suolo è del Mi-
nistro dei lavori pubblici e quest’ultimo ha già reso la sua audizione da-
vanti a questo Comitato, che comunque può sempre riconvocarlo per ul-
teriori indicazioni e precisazioni. Il sottoscritto, invece, può rispondere
soltanto in relazione alle sue competenze.
Inoltre, il Governo nel suo insieme ha ricevuto, in base alla legge n
59 del 1997, una delega per il riordinamento dei compiti e delle funzio-
ni statali, regionali e degli enti locali. Questa delega prevede dei termini
che non sono ancora scaduti, per cui non vi è in alcun modo la possibi-
lità di anticipare che tipo di riordino il Governo intenderà sottoporre
all’esame del Parlamento. Tra l’altro, non dipende da me decidere su
materie di competenza specifica di altri Ministri.
Posso soltanto assicurare che la Presidenza del Consiglio dei mini-
stri, che mi ha attribuito un compito di coordinamento nell’attuazione di
questa delega, quando arriverà il momento di occuparsi di tale argomen-
to, terrà nel massimo conto gli elementi che emergeranno dal lavoro di
questo Comitato paritetico, elementi che verranno studiati e valutati con-
venientemente. Successivamente saranno le Commissioni parlamentari
competenti, nel momento in cui saranno chiamate ad esprimere un pare-
re sullo schema di decreto delegato che il Governo avrà predisposto, ad
esaminare tali questioni.
Allo stato attuale, dal momento che il Governo non si è ancora oc-
cupato di questa materia, non sono in grado di prendere altri impegni o
di dire se e in quali sedi vi sono studi preparatori al riguardo. Il Gover-
no si è occupato, in base a quanto previsto dall’articolo 9 della legge
n. 59 – introdotto tra l’altro dalla Camera dei deputati su n. 9 proposta
dell’opposizione – del potenziamento e della razionalizzazione delle at-
tribuzioni della Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le re-
gioni e le province autonome di Trento e di Bolzano.
Inoltre, lo stesso articolo 9 prevedeva una semplificazione delle
procedure di raccordo tra Stato e regioni attraverso la concentrazione in
capo alla Conferenza stessa di tutte le attribuzioni relative ai rapporti tra
Stato e regioni, anche attraverso la soppressione di comitati, commissio-
ni e organi omologhi all’interno delle amministrazioni pubbliche.
Su questa base il Governo ha emanato il decreto legislativo n. 281
del 1997 che, in esecuzione del criterio direttivo precedentemente richia-
mato, ha soppresso un certo numero di comitati e di commissioni, tra
cui il Comitato nazionale per la difesa del suolo previsto dall’articolo 6
della legge n. 183 del 1989. Le funzioni, le attività e le competenze di
Senato della Repubblica – 17 – XIII Legislatura
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tale comitato sono state nuovamente attribuite alla Comerenza stessa


che, nel corso della seduta del 9 ottobre 1997 e in base all’articolo 7 del
decreto legislativo n.281, ha deliberato di costituire un apposito gruppo
di lavoro permanente a carattere tecnico-politico, una sorta di gruppo
istruttorio della Conferenza,con compiti essenzialmente consultivi e pro-
positivi in ordine all’attribuzione delle competenze in materia di difesa
del suolo.
La deliberazione della Conferenza ha portato all’istituzione – que-
ste deliberazioni avvengono sempre d’intesa con l’arnministrazione inte-
ressata, in questo caso il Ministero dei lavori pubblici – di un gruppo
perrnanente di lavoro composto di 20 membri, (10 esperti nel settore
della difesa del suolo effettivi e 10 supplenti) di volta in volta integrabi-
le, in ragione delle tematiche da trattare, da esperti di altre amministra-
zioni dello Stato, delle regioni e della, comunità scientifica. Il gruppo è
composto da 5 membri effettivi e 5 supplenti designati dai Presidenti
delle regioni e delle province autonome di Trento e di Bolzano e da 5
membri effettivi e 5 supplenti designati rispettivamente dai Ministri dei
lavori pubblici, dell’ambiente, delle politiche agricole, dei beni culturali
ed ambientali e dal Ministro delegato al coordinamento della protezione
civile, attualmente il Ministro dell’interno.
A parte questo provvedimento già adottato, sulle singole parti della
materia delegata al Governo dalla legge n. 59 sono al lavoro diversi
gruppi di lavoro nell’ambito delle singole amministrazioni – su queste
ultime se necessario potranno rilerire i Ministri interessati – tra cui an-
che quello istituito dalla Presidenza del Consiglio dei ministri con il
compito di elaborare proposte per tutto il settore ambiente, territorio, la-
vori pubblici compresa la difesa del suolo, che tuttavia deve ancora con-
segnarci le sue proposte. Questi gruppi di lavoro della Presidenza del
Consiglio sono stati istituiti con l’esplicita intenzione, approvata dal
Consiglio dei ministri, di avere un contributo di alto valore tecnico-cul-
turale. Pertanto, non abbiamo dato a questi gruppi dei mandati specifici
o degli indirizzi. Quando disporremo di questi testi (credo ormai tra po-
che settimane, dal momento che era previsto che ci consegnassero tali
proposte, studi e progetti entro la fine di novembre, quindi ormai siamo
a pochi giorni dalla scadenza, anche se non so dire se verrà rigorosa-
mente rispettata o meno) avremo naturalmente degli elementi di valuta-
zione, che peraltro non impegnano il Governo e neppure la stessa Presi-
denza del Consiglio, perchè sono il frutto di lavori di esperti sia pure
estremamente autorevoli.
Il gruppo che si occupa di ambiente e territorio è coordinato dal
professor Marco D’Alberti. Dovrei dire era coordinato, perchè quest’ul-
timo si è dimesso qualche giorno fa, essendo stato chiamato dai Presi-
denti della Camera e del Senato a far parte dell’Autorità garante per la
concorrenza e per il mercato; pertanto, ha dato immediatamente le sue
dimissioni da presidente del gruppo di lavoro e la Presidenza del Consi-
glio dovrà procedere alla sua sostituzione per completare il lavoro del
gruppo stesso.
Naturalmente ho già fatto una prima lettura dei lavori del Comitato
paritetico e posso assicurarvi con estrema tranquillità – non solo a nome
mio, ma anche a nome del Governo – che quanto emergerà dalle con-
clusioni dell’indagine conoscitiva sarà tenuto nella massima considera-
Senato della Repubblica – 18 – XIII Legislatura
COMITATO PARITETICO 13o RESOCONTO STEN. (24 novembre 1997)

zione dal Governo, dal momento che il vostro è un lavoro di grande se-
rietà ed estremamente utile.

PRESIDENTE. I lavori del nostro Comitato sono, in qualche misu-


ra, intersecati con i vostri, però con una sorta di sfasamento temporale
rispetto all’emanazione dei decreti delegati. Credo di poter interpretare il
pensiero degli altri membri del Comitato dicendo che è estremamente
importante l’impegno da lei assunto a livello personale – ma anche a
nome del Governo – di acquisire i risultati che deriveranno dal nostro
lavoro e che potranno informare i contenuti stessi dei decreti.
Quando ebbi occasione di parlare con il ministro Bassanini, chie-
dendogli di intervenire personalmente ai nostri lavori, questo sfasamento
di elaborazione da parte del Governo rispetto alle nostre richieste e alla
nostra volontà di ascoltare gli orientamenti del Governo stesso mi era
stato anticipato.
A questo punto, ritengo che l’acquisizione della testimonianza del
Ministro sia molto importante e voglio informare i membri del Comita-
to, oltre che il Ministro stesso, che entro il 15 dicembre i nostri lavori
dovranno terminare. Infatti, l’ultima seduta è prevista per il 1o dicembre
e ritengo che per il mese di gennaio saremo in grado di proporre al Co-
mitato e alle Commissioni competenti di Camera e Senato una bozza di
rapporto conclusivo da discutere ed approvare, prima di inviarlo – oltre
che al Governo – ai Presidenti dei due rami del Parlamento. Vorrei,
inoltre, annunciare per lunedì prossimo la presentazione al Comitato,
non di una relazione, ma di un indice ragionato e di uno schema di rela-
zione conclusiva da sottoporre ai commissari.

BASSANINI, ministro senza portafoglio per la funzione pubblica e


gli affari regionali. Vorrei aggiungere che il primo gruppo di decreti de-
legati (quelli previsti dall’articolo 1 e seguenti della legge n. 59) ha il
compito di effettuare una sorta di ricognizione, distinguendo i compiti e
le funzioni che restano di competenza delle amministrazioni dello Stato
dai compiti e le funzioni che sono conferiti (a seconda dei casi trasferiti,
delegati e attribuiti) alle regioni, alle province, ai comuni, alle comunità
montane, alle camere di commercio e anche alle autonomie funzionali,
agli enti autonomi funzionali.
Il termine per l’emanazione di questo primo gruppo di decreti dele-
gati è il 31 marzo 1998; originariamente era il 31 dicembre, ma la legge
n. 127 lo ha prorogato al 31 marzo, tenendo conto del fatto che al mo-
mento dell’approvazione della legge n. 59 il Senato, con un ordine del
giorno presentato dai Capigruppo, ha chiesto al Governo di posporre
l’inizio dell’attività di elaborazione dei decreti delegati stessi ad un pe-
riodo successivo alla presentazione del progetto di riforma costituzionale
della Commissione bicamerale, al fine di assicurare il raccordo tra le
proposte della riforma costituzionale in itinere e queste proposte di rior-
ganizzazione delle competenze amministrative.
Penso che, tenendo conto anche dei tempi necessari per i pareri
delle Commissioni parlamentari e della Conferenza Stato-regioni (anzi
ormai della Conferenza unificata Stato-regioni-città-autonomie locali),
Senato della Repubblica – 19 – XIII Legislatura
COMITATO PARITETICO 13o RESOCONTO STEN. (24 novembre 1997)

questi schemi di decreti legislativi dovranno essere approvati preliminar-


mente in prima lettura dal Governo verso la fine del mese di
gennaio.
Quindi, per il Governo sarà più facile mantenere l’impegno che ho
preso personalmente se il Comitato paritetico e le Commissioni parla-
mentari saranno in grado di approvare un documento conclusivo entro il
mese di gennaio. Ovviamente noi possiamo tener conto anche solamente
degli elementi che emergono dalla lettura degli atti dell’indagine cono-
scitiva sulla difesa del suolo; ma una cosa è la lettura degli atti che poi
dà luogo ad interpretazioni soggettive, un’altra cosa è poter disporre di
un documento conclusivo che dia indicazioni su ciò che le Commissioni
parlamentari hanno ricavato da questo prezioso lavoro. Tutto ciò relati-
vamente ai tempi, perchè la sfasatura temporale che il Presidente ha no-
tato in realtà esiste. Naturalmente le sfasature temporali...

PRESIDENTE. È un dato oggettivo.

BASSANINI, ministro senza portafoglio per la funzione pubblica e


gli affari regionali. ...danno modo ad alcuni degli interlocutori di inter-
venire prima e di dare delle indicazioni. Per intervenire prima il Comita-
to paritetico e le due Commissioni parlamentari ci dovrebbero presenta-
re dei documenti – ripeto – entro il mese di gennaio. Naturalmente tali
indicazioni potranno essere tenute presenti anche in sede di parere delle
Commissioni parlamentari e di approvazione definitiva dello schema di
decreto legislativo, ma il Governo può mantenere fede al suo impegno
già dalla prima battuta se ci perverrà un documento conclusivo in tempo
utile.

PRESIDENTE. Ritengo che i dati testè forniti dal Ministro siano


molto importanti, il che ci sollecita a procedere sia alla redazione della
relazione conclusiva che alla sua approvazione, ovviamente senza per
questo dover limitare i tempi della discussione.
Credo infine che l’incontro con il ministro Bassanini sia stato utile
anche al fine di porre alla sua attenzione, e per suo tramite a quella del
Governo, non tanto e non solo le informazioni sul lavoro che stiamo
svolgendo, ma anche l’importanza dell’acquisizione di una documenta-
zione che successivamente il Parlamento, nella sua interezza, potrà uti-
lizzare per svolgere al meglio il suo compito.
Ringrazio nuovamente il ministro Bassanini per essere intervenuto
in questa sede e dichiaro conclusa questa audizione.
Rinvio pertanto il seguito dell’indagine conoscitiva alla prossima
seduta

I lavori terminano alle ore 18,30.

SERVIZIO DELLE COMMISSIONI PARLAMENTARI


Il Consigliere parlamentare dell’Ufficio centrale e dei resoconti stenografici
DOTT. LUIGI CIAURRO

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