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1.1 TRASMISSIONE DEL CALORE PER CONDUZIONE [1]

La conduzione è un processo mediante il quale il calore fluisce da una regione


a temperatura maggiore verso una regione a temperatura minore attraverso un
solo mezzo (solido, liquido o aeriforme) o attraverso mezzi diversi posti a
diretto contatto fisico.
Nella conduzione l’energia si trasmette per contatto diretto tra le molecole
senza che si spostino sensibilmente.
Secondo la teoria cinetica, la temperatura di un elemento materiale è
proporzionale all’energia cinetica media delle sue molecole e l’energia
posseduta da un elemento materiale in virtù delle velocità e della posizione
relativa delle molecole si chiama energia interna.
Quando le molecole di una regione acquistano un’energia interna media
maggiore di quella delle molecole di una regione adiacente, come indicato da
una differenza di temperatura, le molecole aventi maggiore energia cedono
parte di questa alle molecole della regione a temperatura minore e quindi il
flusso di calore passa sempre da corpi a temperatura maggiore a quelli a
temperature minori.
La relazione fondamentale della trasmissione del calore per conduzione è la
legge di Fourier.
Essa afferma che qk, potenza termica trasmessa per conduzione in un
materiale, è uguale alla seguente espressione:

dT
qk   k * A * (1.1.1)
dx

dove k è la conducibilità termica del materiale (W/m K), A è l’area della


sezione attraverso la quale il calore fluisce per conduzione misurata
perpendicolarmente alla direzione del flusso e dT/dx è il gradiente di
temperatura nella sezione, cioè la variazione della temperatura T rispetto alla
distanza nella direzione del flusso x.
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Il segno meno nella 1.1.1 serve per rispettare la convenzione sulla direzione
del flusso termico in funzione della temperatura.
Riportiamo, appunto, in fig 1.1 lo schema della convenzione sui segni per la
conduzione.

Le conducibilità termiche dei materiali industriali, alla pressione atmosferica,


variano da circa 6*10-3 per i gas a circa 1.5*10-1 per i liquidi fini a 3.5*102 per
il rame.
In generale la conducibilità termica varia con la temperatura, ma in molti
problemi ingegneristici la variazione è tanto piccola da essere trascurabile.
Nel caso semplice di flusso a regime stazionario attraverso una parete piana, il
gradiente di temperatura e la potenza termica non variano nel tempo e la
sezione trasversale al flusso di calore è costante.
Si possono separare le variabili nella 1.1.1 e si ha l’equazione:

L Tfreddo
qk
A  dx    kdT
0 Tcaldo

(1.1.2)
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Se k è indipendente da t si ha, integrando l’espressione della potenza termica


trasmessa per conduzione attraverso la parete,

A* k T
qk  (Tcaldo  Tfreddo )  (1.1.3)
L L / A*k

In questa equazione T, differenza tra la temperatura maggiore Tcaldo e la


temperatura minore Tfreddo, è il potenziale che determina il flusso di calore;
L/A*k è la resistenza termica Rk che la parete oppone al flusso termico per
conduzione si ha

L
Rk 
A* k
(1.1.4)

L’inverso della resistenza termica è chiamata conduttanza termica

A* k
KK  (1.1.5)
L

e k/L, conduttanza termica per unità di area, viene chiamata conduttanza


termica unitaria per il flusso termico conduttivo.
Il pedice k sta ad indicare che il meccanismo di scambio è la conduzione.
Riportiamo in fig 1.2 uno schema relativo allo scambio termico in questione.
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fig 1.2

Anche nel caso della termocinetica, come già in termodinamica, è opportuno


distinguere tra problemi in cui il tempo non influisce sul valore della
temperatura e problemi in cui anche tale parametro ha la sua importanza:i
primi vengono detti di regime stazionario, gli altri di regime transitorio o
variabile( in particolare, il termine transitorio viene usualmente riservato per
quei problemi nei quali ad un certo momento, il regime variabile ha termine e
subentra una situazione stazionaria).
Se il regime è stazionario, non esisterà nessuna dipendenza della temperatura
dal tempo.
Si considera una lastra solida con entrambe le pareti A e B mantenute ad una
temperatura T0, ad un certo istante supponiamo che la temperatura della parete
A aumenti bruscamente a T1>T0.
Innanzi tutto a causa dell’aumento di temperatura le molecole della lastra sulla
faccia A vibrano più velocemente delle altre; col passare del tempo le
molecole che vibrano più velocemente trasmettono il loro moto a quelle
adiacenti che aumenteranno a loro volta la loro energia cinetica.
Al passare del tempo si giunge ad un regime stazionario in cui il profilo della
temperatura è lineare; questo significa che anche in regime stazionario la
lastra non è in equilibrio, poiché punti diversi della lastra sono a diverse
temperature e questo porta ad uno scambio si calore.
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fig 1.3

Si può estendere la legge di Fourier( eq 1.1.1) per regimi non stazionari: in


questo caso la temperatura dipende anche dal tempo, per cui è necessario
utilizzare la derivata parziale

T ( x, t )
qk ( x , t )   k * A *
x
(1.1.6)

In regime stazionario non c’e accumulo di calore: infatti T ha andamento


lineare e se anche k è costante, si ottiene che q k è indipendente dal tempo e
dalla ascissa x.
Questo implica che il calore che entra è uguale a quello che esce.
In regime transitorio, invece, la quantità di calore che entra è inizialmente
molto maggiore di quella che esce dal corpo, perciò si ha un accumulo di
calore e un conseguente aumento di temperatura.
Dalla fig 1.3 si può verificare cosa accade all’istante iniziale di un fenomeno
di conduzione in una lastra in cui una parete è improvvisamente posta ad una
temperatura superiore a quella del resto della lastra.
Si nota che in prossimità della parete posta a temperatura maggiore il
gradiente di temperatura è molto elevato (idealmente infinito), mentre in tutto
il resto della lastra il gradiente è nullo.
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Questo per l’equazione 1.1.6 significa che nella lastra all’istante iniziale entra
una grande quantità di calore dalla parete posta a temperatura maggiore,
mentre in tutto il resto del corpo non si hanno flussi di calore.

fig 1.4

1.2 TRASMISSIONE DEL CALORE PER CONVEZIONE[1]

Quando lo scambio di calore avviene tra una superficie ed un fluido in moto


rispetto ad essa si parla di “scambio termico per convezione”.
Il T(x,y,z) nel mezzo fluido provoca una variazione di densità che
supportata dalla forza gravitazionale o da un’altra azione meccanica provoca
continui movimenti (correnti convettive) delle particelle del fluido le quali
trovandosi a diverse temperature causano lo scambio di calore.
Si parlerà di “convezione forzata” quando le correnti convettive sono generate
da un mezzo meccanico ( ventilatore, pompa, ecc.); invece si parlerà di
“convezione naturale” quando il miscuglio di particelle avvenga solo per
l’azione della forza gravitazionale.
In quest’ultimo tipo di convezione le velocità sono generalmente più basse,
quindi i flussi termici risultanti saranno minori rispetto alla convezione
forzata.
Molta importanza risiede nel tipo di deflusso e nel tipo di superficie su cui
avviene il moto del fluido.
Pertanto si avranno quattro casi fondamentali:
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1) Deflusso interno in una regione dello spazio delimitate da superfici tranne


le zone d’ingresso e di uscita con convezione forzata (fig 1.2.1)

fig 1.2.1

In questo caso la differenza di temperatura da considerare per valutare il


coefficiente di scambio di calore è (Tp-Tm).
2) Deflusso interno con superfici delimitanti come nel caso precedente ma con
convezione naturale (figura 1.2.2)

Figura 1.2.2
10

In questo caso, dalla parte della parete calda la velocità va verso l’alto; caso
inverso dalla parte della parete fredda.
La differenza di temperatura che regola lo scambio è (T1-T2).
3) Deflusso esterno in convezione forzata con un’unica superficie delimitante
(figura 1.2.3).

Figura 1.2.3

La regione indisturbata ha una velocità u ed una temperatura T di


riferimento.
Il gradiente di temperatura da considerare è quello tra (Tp-T).
4) Deflusso esterno delimitato da una superficie analoga a quella del caso
precedente ma con convezione naturale (figura 1.2.4).

Figura 1.2.4
11

Come per il caso precedente il gradiente di temperatura è (Tp-T).


Un fattore assai importante per è quello di individuare il tipo di moto che si
instaura all’interno delle superfici di confine del flusso.
Consideriamo una superficie piana dove scorre un fluido con velocità
all’imbocco parallela alla stessa.
Si osserva che a prescindere dal tipo di moto della corrente indisturbata, si
forma uno strato di spessore  chiamato strato limite di velocità.
Questo strato limite è caratterizzato da particelle aventi velocità parallela alla
piastra e via via crescenti con la distanza y dalla stessa.
In questa zona si registrano i maggiori gradienti di velocità.
Lo spessore  è chiamato “spessore dello strato limite” che è formalmente
definito come il valore di y per cui u=99% di u.
Il verificarsi di questo fenomeno è dovuto alla viscosità dinamica  del fluido
che esercita la sua azione quando due filetti fluidi contigui viaggiano a
velocità differenti.
La direzione dell’azione dello sforzo che si scaturisce è quella del moto
mentre il verso è opposto.
La legge di Newton regola questo principio, la  è lo sforzo tangenziale
riferito all’unità di superficie:

du
=  dy

(1.2.5)

du
dove il termine dy è il gradiente della velocità u rispetto la direzione n ad

essa normale.
Tutti i fluidi che hanno la viscosità costante, cioè indipendente dall’entità
degli sforzi si dicono “fluidi newtoniani”.
Sono di questa categoria tutti i gas e quasi tutti i liquidi omogenei non
macromolecolari.
Quindi ogniqualvolta un fluido incontra una parete cioè scorre su di essa, si
viene a creare uno strato limite di velocità cioè una zona interno alla quale il
moto è laminare viscoso (tutte le particelle si muovono parallelamente ed
ordinatamente senza intersecarsi mai).
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Per via dell’attrito che la parete esercita sul fluido, la velocità dello stesso a
contatto sarà nulla.
Possiamo quindi definire un “coefficiente d’attrito alla parete” Cf che permette
la valutazione della forza di attrito superficiale:

2
Cf = s* (1.2.6)
 * u2

Dove s è sforzo tangenziale alla superficie,  è la densità ed u2 è la velocità


della corrente indisturbata al quadrato.
Al di fuori della zona di strato limite viscoso il moto può essere sia turbolento
che laminare comunque con sforzi tangenziali minori.
Riportiamo in figura (1.2.7) una immagine che evidenzia tale fenomeno.

Figura 1.2.7

Nella zona della corrente indisturbata il moto può essere laminare o


turbolento.
Nel moto laminare le linee di corrente hanno un andamento ordinato e tra loro
sono pressochè parallele.
In questo caso le azioni legate alla viscosità hanno un peso maggiore rispetto
alle azioni legate alle componenti perpendicolari alla velocità.
Mentre nel moto turbolento le particelle si muovono in modo confusionario
favorendo così un maggior trasferimento di massa e di moto che in termini
energetici si traduce in una maggior capacità di scambio termico per
convezione.
Il parametro che permette di individuare il tipo di moto è il numero di
Reynolds.
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Esso ha due forme diverse a secondo che il fluido scorra all’interno di un


condotto o che scorra su una superficie.
Per moto interno:

V*D
Re= (1.2.8)

Dove V è la velocità media della corrente all’interno del tubo, D è il diametro


nel caso di sezione circolare, mentre  è la viscosità cinematica.
Mentre nel caso di moto esterno:

u * x
Re= Rex = (1.2.9)

Dove u è la velocità della corrente indisturbata ed x è la distanza dal bordo di


attacco (vedi figura 1.2.7).
Come già detto approfonditamente nel capitolo quattro i valori di Re in cui si
registra la transizione da laminare a turbolento è Re=2000, nel caso di moto
interno ad un condotto.
Comunque il moto nello strato limite rimane laminare soltanto fino ad una
certa distanza dal bordo di attacco, diventando poi turbolento
Il fatto è dovuto all’aumento delle forze d’inerzia rispetto alle forze viscose
man mano che ci si allontana dalla zona di azione dello strato limite.
La distanza dal bordo di attacco alla quale lo strato limite diventa turbolento si
chiama “lunghezza critica” xc.
Questa distanza generalmente viene espressa mediante una quantità
adimensionale chiamata numero locale critico di Reynolds:

u * xc
Rec= (1.2.10)

Esso infatti rappresenta il valore del rapporto tra le forza d’inerzia e forze
viscose in corrispondenza del quale i disturbi cominciano a crescere.
Risultati sperimentali hanno mostrato che il punto di transizione dipende dal
contorno della superficie, dalla rugosità della superficie, dal livello di disturbo
ed anche dallo scambio termico.
14

In condizioni medie, il moto su una piastra piana diventa turbolento ad una


distanza dal bordo xc alla quale il numero di Reynolds locale (1.2.10) è
approssimativamente uguale a 5*105.
Tuttavia in realtà esiste comunque un moto a regime laminare contenuto
anche nella zona dello strato limite turbolento.
Questa zona prende il nome di “sottostrato laminare”.
La regione compresa tra il sottostrato laminare e la parte dello strato limite
completamente turbolento si chiama “zona di transizione”.
Il fenomeno discusso è illustrato in figura (1.2.11).

fig 1.2.11

Quando il regime di moto è turbolento tra la piastra e tale zona si viene a


creare un’altra zona chiamata zona di transizione, sovrapposta al sottostrato
laminare (figura 1.2.12).

Figura 1.2.12

Dalla descrizione della trasmissione del calore per convezione ci si accorge


che hanno grande importanza sia la conducibilità termica del fluido sia il moto
dello stesso fluido.
15

Poiché la conducibilità termica dei fluidi (escluso i metalli liquidi) è


abbastanza bassa, la velocità del fluido assume una grande importanza.
Quando la velocità del fluido e la turbolenza sono piccole, il trasporto di
energia non è aiutato materialmente dalle correnti macroscopiche di
mescolamento.
Invece quando la velocità è sostenuta e si è in una situazione di turbolenza,
diventa meno importante il meccanismo della conduzione.
Come risultato si può dire che per trasmettere una certa potenza termica per
convezione attraverso un fluido è richiesto un gradiente di temperatura più
grande in una regione a bassa velocità che in una regione ad alta velocità.
Da queste osservazioni si può dire che è possibile tracciare il profilo di
temperatura quando il fluido viaggia in moto turbolento.
A stretto contatto con la parete il calore può fluire soltanto per conduzione in
quanto le particelle di fluido sono ferme rispetto la parete.
In questa zona si avrà una forte caduta di temperatura.
Allontanandosi dalla parete, il movimento del fluido facilita il trasporto
d’energia ed il gradiente di temperatura sarà meno ripido, diventando infine
orizzontale nella corrente principale.
Nelle strette vicinanze della parete il calore fluisce soltanto per conduzione, la
potenza termica può essere calcolata con l’equazione (1.2.14):

dT
q superficie-fluido= -Kf*A ( dy )y=0 (1.2.14)

Il termine q superficie fluido è la potenza termica trasmessa attraverso la superficie


di area A della piastra, ovvero la quantità di calore che si trasmette nell’unità
di tempo.
Per la conservazione dell’energia questa quantità dovrà essere uguale alla
potenza ricevuta dal fluido(convezione); quindi:

q superficie fluido= h c A(Ts-T) (1.2.15)

La 1.2.15 è la legge che regola il “trasferimento di calore per convezione”,


dove h c rappresenta il coefficiente di convezione medio su tutta la superficie
interessata dallo scambio.
La Ts è la temperatura della piastra mentre T  è la temperatura della corrente
indisturbata; A area della piastra.
16

Il coefficiente di convezione hc si penserebbe come numero puro, ma ciò non


è affatto vero.
Infatti esso è una grandezza dimensionata:

 h    mWK 


c 2

Tra l’altro esso non è neppure costante ma dipende da tutte le variabili dello
scambio termico.
Queste sono:
L= dimensioni che caratterizzano la geometria del sistema;
u= velocità del flusso;
= densità del fluido;
= viscosità dinamica del fluido;
Kf= conduttività interna del fluido;
Cp= calore specifico del fluido a pressione costante;
g= forza gravitazionale (convezione naturale);
Più espressamente:

hc=hc(L,u,,,Kf,Cp,g) (1.2.16)

Introducendo una lunghezza significativa del sistema, L, che caratterizzi la


geometria, la 1.2.16 si può scrivere in forma adimensionale:

dT Ts  T
 d( )
dy Ts  T
hc *L*(Kf)-1= y 0
= y=0
Ts  T y
d( )
L L
(1.2.17)

dove T è una temperatura generica all’interno del campo termico.


La combinazione del coefficiente di convezione h c , della lunghezza
caratteristica L e della conducibilità termica del fluido K f nella forma h c
*L*(Kf)-1 è chiamata numero di Nusselt ed una quantità adimensionale.
Dalla relazione si può vedere che il numero di Nusselt può essere visto
fisicamente come il rapporto tra il gradiente di temperatura nel fluido
17

immediatamente a contatto con la superficie e un gradiente di temperatura di


riferimento (Ts-T)/L.
Quindi il numero di Nusselt è così formulato:

L
Nu = h c
Kf
(1.2.18)

Si noti che per un dato valore del numero di Nusselt, il coefficiente di


convezione medio h c è direttamente proporzionale alla conducibilità termica
del fluido ma inversamente proporzionale alla lunghezza caratteristica del
sistema.
Dalla figura 1.2.13 si può notare la distribuzione di temperatura che si incurva
sino al valore t;
Approssimiamo il tutto con una retta tangente che raggiunga il valore t’.
Consideriamo questo spessore appartenente ad un fluido stagnante; allora in
questa zona il calore si trasmetterebbe solo per conduzione e la potenza
termica per unità di area sarebbe:

Ts - T
q=Kf  ' = h c (Ts-T) (1.2.19)

dalla quale

h c =Kf /t’ (1.2.20)

e quindi il numero di Nusselt è esprimibile come:

L
Nu  (1.2.21)
 t'

Questo modello molto semplificato comunque permette di vedere il fatto che


quanto più è sottile lo strato limite t’ tanto più grande è la conduttanza
convettiva.
Allora per trasmettere grandi quantità di calore si deve tendere a ridurre il più
possibile lo spessore dello strato limite.
18

Ciò è possibile aumentando la velocità del fluido cioè la sua turbolenza.


Se invece dovesse interessare l’isolamento della superficie, bisogna aumentare
lo spessore dello strato limite cioè rendere minima la turbolenza del fluido.
Per determinare il coefficiente di scambio termico convettivo sono utilizzabili
quattro metodi generali:

1. analisi dimensionale combinata con esperimenti;


2. soluzione matematica esatta delle equazioni dello strato limite;
3. studio approssimato dello strato limite con metodi integrali;
4. analogia tra il trasporto di calore, materia e quantità di moto.
Tutte e quattro queste tecniche hanno contribuito alla comprensione dello
scambio termico per convezione.
Comunque nessuno dei quattro metodi può risolvere singolarmente tutti i
problemi; infatti ognuno ha dei limiti di applicabilità.
L’analisi dimensionale è semplice da un punto di vista matematico, ma la sua
principale limitazione è che i dati da essa ottenuti non hanno un senso se non
interagiscono con i dati sperimentali;
Inoltre contribuisce poco alla comprensione del fenomeno di trasporto ma
facilità l’interpretazione ed estende il campo di applicazione dei dati
sperimentali correlandoli in gruppi adimensionali.
Vi sono due metodi differenti di determinare i gruppi adimensionali da
correlare poi con dati sperimentali.
Il primo di questi metodi, discusso nel paragrafo successivo, richiede soltanto
l’elencazione delle variabili che interessano il fenomeno.
Questa tecnica è semplice da usarsi ma se si omette una variabile si hanno
risultati completamente errati.
Nel secondo metodo i gruppi adimensionali e le condizioni di similitudine
sono dedotti dalle equazioni differenziali che descrivono il fenomeno.
Tuttavia la sua maggiore precisione la si paga in senso di difficoltà di
risoluzione.
L’analisi matematica verrà solamente usata nel caso di moto laminare e solo
per specifiche applicazioni.
Invece l’analisi approssimata dello strato limite elimina la descrizione
matematica dettagliata del moto.
Essa usa un’equazione plausibile ma semplice, che descrive la distribuzione di
velocità e di temperatura.
19

Il problema è allora analizzato su base macroscopica applicando l’equazione


del moto e l’equazione dell’energia ad un insieme di particelle di fluido
contenute nello strato limite.
Questa tecnica non è limitata al moto laminare ma può essere applicata anche
al moto turbolento.
L’analogia tra il trasporto di calore, di materia e di quantità di moto è un utile
mezzo per analizzare fenomeni di trasporto turbolento.
La conoscenza dei meccanismi di scambio turbolenti nonè tale da permettere
di scrivere equazioni matematiche che descrivano direttamente la
distribuzione di temperatura ma il meccanismo di trasporto può essere
descritto secondo modelli semplificati.
Secondo uno di tali modelli, che è stato largamente accettato, tanto il trasporto
della quantità di moto quanto il trasporto dell’energia sono dovuti ad un moto
di mescolamento in una direzione perpendicolare alla direzione prevalente.
Il moto di mescolamento può essere descritto su base statistica con un metodo
simile a quello usato per rappresentare il moto delle molecole nella teoria
cinetica dei gas.
Questo metodo è molto usato in quanto i risultati analitici si trovano in
accordo con quelli sperimentali.
L’analisi dimensionale differisce da altri metodi per il fatto che non comporta
equazioni da risolvere; combina piuttosto le variabili in gruppi adimensionali,
come per esempio il numero di Nusselt, che facilitano l’interpretazione dei
dati sperimentali e ne estendono il campo di applicazione.
In pratica i coefficienti di convezione vengono generalmente calcolati da
equazioni empiriche ottenute correlando, mediante l’analisi dimensionale, i
dati sperimentali.
Il limite maggiore dell’analisi dimensionale consiste nel fatto che non dà
alcuna informazione sulla natura di un fenomeno.
Infatti per applicare l’analisi dimensionale è necessario conoscere
precedentemete quali variabili influenzano il fenomeno ed il successo, o il
fallimento, del metodo, dipende dalla opportuna scelta di queste variabili.
E’ necessari quindi disporre di una teoria preliminare o avere una completa
comprensione fisica del fenomeno prima di usare l’analisi dimensionale.
Per determinare il numero di gruppi adimensionali indipendenti richiesti per
esprimere la relazione che descriva un fenomeno, si può usare il teorema 
Buckingham.
20

Secondo questa regola il numero necessario di gruppi adimensionali


indipendenti che si possono formare dalla combinazione delle variabili fisiche
di un problema è uguale al numero totale di queste n grandezze fisiche(per es.
densità, viscosità, coefficiente di scambio, ecc.) meno il numero delle
dimensioni fondamentali m richieste per esprimere le formule dimensionali
delle n grandezze fisiche.
Chiamando 1,2, ecc. questi gruppi, l’equazione che esprime la relazione tra
le variabili ha una soluzione della forma:

F(1,2,3,…..)=0 (1.2.21)

In un problema comprendente cinque grandezze fisiche e tre dimensioni


fondamentali, n-m è uguale a due e la soluzione può porsi nella forma:

F(1,2)=0 (1.2.22)

I dati sperimentali per un caso del genere possono essere correlati


convenientemente diagrammando 1 in funzione di 2.
La curva empirica risultante fornisce la relazione funzionale tra 1 e 2 che
non può essere dedotta dall’analisi dimensionale.
Una volta definite le relazioni adimensionali tra i parametri i e le grandezze
fisiche che interessano il nostro studio si perviene alla determinazione dei
parametri adimensionali.
Questi sono:

hc D
1=
K
(1.2.23)

che rappresenta il numero di Nusselt, Nu;

VD
2=

(1.2.24)

che rappresenta il numero di Reynolds, ReD con il diametro del tubo come
lunghezza caratteristica;
21

Cp
3=
K
(1.2.25)

che rappresenta il numero di Prandtl, Pr.


Dalla 1.2.16 possiamo notare la di pendenza del coefficiente di convezione da
i parametri caratteristici.
Ma con l’aiuto dell’analisi dimensionale siamo riusciti a far scendere questa
dipendenza a tre gruppi adimensionali.
Quindi si può scrivere che:

Nu  f ( Re D , Pr) (1.2.26)
Per valutare la potenza termica scambiata per convezione occorre determinare
il gradiente di temperatura della superficie.
L’equazione che regola la distribuzione di temperatura nello strato limite si
ricava mediante il primo principio della termodinamica.
Poiché si tratta di un fluido in moto, l’energia immagazzinata dalle particelle
di fluido viene asportata dal loro movimento; la portata dipende dalla velocità
delle particelle fluide ed è per ciò necessario risolvere prima il problema
idrodinamico per ottenere la distribuzione di temperatura.
Per ricavare l’equazione che fornisce la distribuzione di temperatura, si
consideri il volume di controllo elementare nello strato limite, delimitato dalle
superfici ab, bc,cd e da, e si faccia il bilancio di energia nelle stesse ipotesi
fatte scrivendo l’equazioni idrodinamiche.
L’equazione dell’energia per il sistema preso in considerazione può esprimersi
come:

T0 T  2T  u
 * c p (u *  v* 0)  k * 2  (u *  * ) (1.2.27)
x y y y y

La potenza meccanica d’attrito incrementa in modo apprezzabile l’energia


interna del fluido del volume di controllo soltanto ad elevate velocità.
Invece per velocità subsoniche del fluido indisturbato il termine d’attrito è
piccolo rispetto agli altri e può per ciò essere trascurato.
Con queste semplificazioni l’equazione dell’energia diventa:
22

T T  2T
u* v*  a* 2 (1.2.28)
x y y

con a=k/*cp.
Le velocità nell’equazione dell’energia, u e v, anno in ciascun punto (x,y) lo
stesso valore che nell’equazione dinamica.
Nel caso della lastra piana se  =a e la temperatura della piastra Ts è costante,
una soluzione per la distribuzione di velocità u(x,y) è anche una soluzione per
la distribuzione della temperatura T(x,y).
Ciò può essere facilmente verificato sostituendo u a T nella 6.23 ed
osservando che le condizioni al contorno per T ed u sono identiche.
Usando la temperatura della superficie come riferimento e ponendo in 1.2.28
(T-Ts)/(T -Ts) come variabile, le condizioni al contorno sono:

per y=0, il rapp =0 ed u/u=0

per y= il rapp=1 ed u/u=1

con T temperatura del fluido indisturbato.


La condizione =a corrisponde al numero di Prandtl unitario.
Per Pr=1 la distribuzione di velocità è quindi identica alla distribuzione di
temperatura:
da un punto di vista fisico ciò significa che quando è Pr=1 il trasporto di
quantità di moto è analogo al trasporto di calore.
Le proprietà fisiche della maggior parte dei gas sono tali che i loro numeri di
Prandtl sono compresi tra 0.65 ed 1 e l’analogia è quindi soddisfacente.
I liquidi, viceversa, hanno numeri di Prandtl molto diversi dall’unità e quindi
ad essi lo studio precedente non può essere applicato direttamente.
Servendosi dei risultati analitici di Pohlhausen, la distribuzione di temperatura
nello strato limite laminare per Pr=1 può essere modificata empiricamente per
includere i fluidi aventi numeri di Pr non unitari.
Definendo lo spessore dello strato limite termico, t , la distanza dalla
superficie in corrispondenza della quale la differenza tra temperatura della
parete e del fluido raggiunge il 99% del valore relativo al fluido indisturbato.
L’andamento di profili di temperatura mostra che lo spessore dello strato
limite termico è maggiore dello spessore dello strato limite viscoso.
23

Dunque per i fluidi aventi numeri di Prandtl minore di uno.


Quando Pr>1 lo spessore dello strato limite termico è minore di quello
viscoso.
La relazione tra gli spessori degli strati limite e termico ed idrodinamico è
approssimativamente :

=tPr(1/3) (1.2.29)

Determiniamo ora l’espressione del coefficiente di convezione h c medio su


una lastra piana posta ad una temperatura Ts.
L’espressione del gradiente adimensionale sulla superficie (y=0) è:

 T - Ts 
 
 T  Ts 
=0.332 (1.2.30)
y 1

 Re x Pr 3 
x 

Quindi per ogni valore di x e a contatto con la superficie(y=0):

1 1
T Rex 2 Pr 3 (1.2.31)
 0.332 (T  Ts )
y x

Sostituendo la precedente nella 1.2.30 otteniamo la potenza termica convettiva


per unità di area:
1 1
q Rex 2 Pr 3
 0.332 k (T  Ts )
A x
(1.2.32)

Il coefficiente locale di scambio convettivo è:

1 1
q k
h cx=  0.332 Rex 2 Pr 3
A(Ts  T ) x
(1.2.33)
24

ed il corrispondente numero di Nusselt locale sarà:

1 1
h cx x
Nu x=  0.332 Rex 2 Pr 3
k
(1.2.34)

Il numero di Nusselt medio su tutta la lastra si ottiene integrando il secondo


membro di hcx tra x=0 e x=L e dividendo quindi per L:

1 1
Nu L  0.664 Re PrL2
3

(1.2.35)

Il valore medio del numero di Nusselt per una piastra di lunghezza L è


pertanto il doppio del valore locale di Nux per x=L e può facilmente verificarsi
che la stessa relazione sussiste tra il valore medio e quello locale del
coefficiente di scambio termico, cioè:

h c  2 h cL (1.2.36)

In tutte queste equazioni abbiamo trascurato la dipendenza dalla temperatura


delle proprietà fisiche del fluido.
Tuttavia i dati sperimentali in senso a tali relazioni dimostrano che non
esistono elevate divergenze quando le proprietà sono valutate alla temperatura
media aritmetica tra quella della parete e quella del fluido indisturbato.
Per quanto riguarda la convezione naturale su una superficie abbiamo la
seguente espressione del numero di Nusselt medio:

hc
NuL  * L  0.555 * (GrL * Pr) 0.25
k
(1.2.37)

dove GrL e il numero di Grashof che ha la seguente espressione:


25

 * g *  * (T  T ) * L3
GrL  (1.2.38)
2

dove  è la densità del fluido,  è un fattore inverso della temperatura del


fluido,  è la viscosità dinamica dello stesso, L la lunghezza della parete, T
la differenza tra la temperatura della piastra e del fluido e g la forza di gravità
che in questo tipo di convezione ovviamente causa il miscelarsi delle
molecole ed il numero di Grashof ne misura in qualche modo la peculiarità.

1.3 TRASMISSIONE DEL CALORE PER


IRRAGGIAMENTO[2]

Il meccanismo con il quale il calore viene trasmesso da un corpo a causa della


sua stessa temperatura, senza l’aiuto di un altro mezzo, è detto irraggiamento
termico.
Il meccanismo fisico dell’irraggiamento non è ancora completamente chiaro.
L’energia raggiante viene vista trasportata qualche volta per onde
elettromagnetiche, altre volte per mezzo dei fotoni; ma nessuna delle due
trattazioni chiarisce completamente la natura di tutti i fenomeni osservati.
E’ noto comunque che le radiazioni viaggiano con la velocità della luce, c,
uguale nel vuoto a circa 3*108m/s.
Secondo la teoria elettromagnetica le onde si propagano con questa velocità,
mentre secondo la teoria quantica l’energia è trasportata da fotoni che
viaggiano alla velocità della luce.
Benchè tutti i fotoni abbiano la stessa velocità, tra loro sussiste semprte una
distribuzione di energia;
26

l’energia associata ad ogni fotone è h, dove h è la costante di


Plank(h=6.6256*10-34 con riferimento ad unità di misura del S.I.) e  è la
frequenza della radiazione.
La relazione che lega l’energia, e, del fotone alla sua lunghezza d’onda  è:

e=hc/ (1.3.1)

L’irraggiamento termico è definito come l’energia raggiante emessa da un


mezzo a causa della sua temperatura, cioè l’emissione delle radiazioni
termiche dipende dalla temperatura del corpo che emette.
A radiazione emessa dipende anche dalla natura del corpo e può essere
classificata sulla base della lunghezza d’onda .
La lunghezza d’onda  è misurata in m.
Mostriamo in figura 1.3.2 il completo spettro elettromagnetico.

Figura 1.3.2

Per caratterizzare il comportamento di una sorgente di energia raggiante non


basta, in generale, conoscere la potenza raggiante globalmente irradiata, ma
27

occorre conoscere inoltre come essa è distribuita fra le varie lunghezze d’onda
e nelle diverse direzioni.
Infatti i corpi hanno in generale proprietà selettive sia nei confronti
dell’emissione che nei confronti dell’assorbimento e del rinvio di energia
raggiante, nel senso che essi emettono, o rispettivamente assorbono e rinviano
energia raggiante in misura diversa alle varie lunghezze d’onda.
Parimenti la distribuzione nelle varie direzioni dell’energia raggiante irradiata
da una sorgente, come pure la misura nella quale l’energia raggiante incidente
viene assorbita o rinviata o riesce ad attraversare un corpo dipende di regola
dalla direzione.
La potenza emissiva emisferica totale E(W/m2), è definita come l’energia
raggiante emessa per unità di tempo dalla unità di area di un corpo.
Essa permette di caratterizzare globalmente l’emissione, quale che sia la sua
distribuzione in funzione della lunghezza d’onda e della direzione.
In secondo luogo, occorre considerare una grandezza atta a caratterizzare la
distribuzione della potenza raggiante emessa fra le varie lunghezze d’onda,
ossia la distribuzione spettrale della radiazione.
Con la potenza emissiva emisferica spettrale E(W/m2*m), siamo in grado
di adempiere a tale scopo.
Essa è infatti definita come rapporto fra quella parte dE della potenza
emisferica emissiva totale che viene emessa nell’intervallo di lunghezze
d’onda compreso tra  e +d e l’ampiezza d dell’intervallo.
La potenza emissiva emisferica spettrale è quindi funzione della lunghezza
d’onda, ed anche della natura del corpo emittente e della sua temperatura.
Essa è quindi espressa dalla funzione E=f(,T), restando inteso che la forma
della funzione dipende dalla natura del corpo emittente.
Mostriamo in figura 1.3.3 l’andamento di E generico.
28

fig 1.3.3

Quindi tra E ed E sussiste la seguente relazione:

E=  E     * d
 0

(1.3.4)

Ed non altro che l’area sottesa dalla curva di figura 1.3.3 ovviamente riferita
ad una determinata temperatura.
Come abbiamo detto precedentemente la radiazione è anche funzione della
distribuzione spaziale.
In questo senso definiamo l’intensità spettrale I,e, come la quantità di energia
radiante emessa alla lunghezza d’onda  nella direzione (,) per unità di
area della superficie emittente normale alla stessa direzione, per unità
dell’angolo solido intorno la direzione (,), per unità dell’intervallo di
lunghezza d’onda d intorno al valore di lunghezza d’onda .
Per unità di area della superficie emittente normale alla direzione (,) si
intende che la proiezione della superficie emittente in direzione (,) deve
avere un’area unitaria
Quindi avremo:

dq
I  ,e (  , , )  (1.3.4)
dA1 cos  * d * d
29

dove (dq/d)=dq (W/m) è la porzione alla quale la radiazione di lunghezza


d’onda  viene emessa dalla superficie dA1 ed attraversa la superficie dAn.
Precedentemente abbiamo visto che la potenza emissiva emisferica spettrale
E() è definita come la quantità della radiazione emessa in tutte le direzioni
dello spazio (per spazio si intende lo spazio semisferico che si estende al di
sopra della superficie emittente) da una superficie unitaria, per unità
dell’intervallo d intorno la lunghezza d’onda ; questa può essere quindi
espressa in termini di intensità spettrale I,e.
Pertanto avremo:


2 2
(1.3.5)
E (  )    I
0 0
,e (  , , ) cos * sen * d * d

Noto che E è riferito alla superficie emittente ed I ,e è riferito alla proiezione
di tale superficie nella direzione (,) nella 1.3.5 è presente il termine cos
che tiene conto di questa differenza
Analogamente possiamo determinare l’espressione potenza emisferica
emissiva totale E in funzione dell’intensità spettrale I,e:


 2 2
E (1.3.6)
  I
0 0 0
,e (  , , ) cos  * sen * d * d * d

La distribuzione direzionale dell’emissione varia secondo la natura del corpo e


si parlerà di emissione diffusa per una superficie quando l’intensità spettrale
della radiazione è indipendente dalla direzione, cioè:

I  ,e (  , , )  I  ,e (  )
(1.3.7)

Per questo caso particolare ma comunque valido per la maggior parte delle
superfici, la 1.3.5 diventa:

E  (  )   * I  ,e (  ) (1.3.8)
30

Analogamente la1.3.6 diventa:

E   * Ie (1.3.9)

avendo indicato l’intensità totale della radiazione emessa Ie.


Consideriamo l’emissione di un elemento di area dA1.
La direzione può essere specificata in termini dell’angolo zenitale  e
dell’angolo azimutale .
Poiché la distribuzione delle radiazione e ti tipo sferico, per ora isoliamo una
zona delimitata da un angolo solido d; a distanza r dalla superficie dA1
avremo la superficie infinitesima dAn attraversata dalla radiazione.
Il tutto viene espresso mediante un sistema di coordinate sferiche come
mostrato in figura 1.3.10

Figura 1.3.10
Quindi per riassumere i concetti fin qui esposti in riguardo all’emissione si
può dire che un corpo che si trova ad una temperatura T emette radiazioni
termiche in tutte le direzioni alle varie lunghezze d’onda.
La potenza emissiva totale emisferica E da una indicazione della potenza
raggiante emessa dal corpo per unità di area.
La distribuzione di questa potenza in funzione della lunghezza d’onda ad una
certa temperatura è data dalla potenza emissiva emisferica spettrale E(,T).
Quando un fascio di energia raggiante colpisce un corpo, in generale, una
parte dell’energia viene da esso rinviata per riflessione(speculare o diffusa),
una parte viene assorbita ed una terza parte riesce, eventualmente, ad
attraversare il corpo.
Pertanto definiamo tre coefficienti in grado di esprimerci tali quantità.
31

Scriviamo quindi l’equazione di bilancio energetico del mezzo in termini di


potenza emissiva emisferica spettrale G(W/m2m):

G  G ,rif  G ,ass  G ,tr (1.3.11)

In generale la determinazione di queste componenti è complessa, dipendendo


dalle condizioni tecnologiche sulla superficie superiore ed inferiore, dalla
lunghezza d’onda della radiazione incidente(G) e dalla natura fisica del
materiale.
Inoltre vi è una dipendenza dagli effetti volumetrici che accadono nel
mezzo(aumento di temperatura diminuzione di densità, ecc.).
Tuttavia nella maggior parte delle applicazioni, il mezzo è opaco alla
radiazione incidente.
In questo caso quindi G,tr=0.
Tra l’altro è interessante notare come l’assorbimento e la riflessione siano i
principali responsabili della nostra percezione del colore.
Quando una superficie si trova ad una temperatura T>1000 K essa spesso ha
un colore arancio, ed il suo colore non dipende dal vero valore dell’emissione
che è concentrata nella regione degli infrarossi ed è quindi impercettibile
all’occhio umano.
Il colore di un corpo è invece dovuto alla riflessione selettiva ed
all’assorbimento della porzione visibile di irradiazione incidente del sole o
una sorgente artificiale di luce.
Per esempio una camicia rossa è rossa perché contiene un pigmento che
assorbe preferenzialmente il blu ed il verde ed il giallo, componenti della luce
solare; quindi i contributi di queste componenti relativi alla luce riflessa sono
diminuiti e la componente rossa è dominante.
Una superficie appare nera quando assorbe tutte le radiazioni incidenti visibili
ed è bianca quando le riflette tutte.
Ma una superficie bianca può comportarsi comunque come un corpo nero
quando su di essa incidono radiazioni infrarosse.

ASSORBIVITA’

L’assorbività è una proprietà che determina la frazione della irradiazione


assorbita da una superficie.
32

La sua determinazione è complessa ed è indipendente dalla direzione e dalla


lunghezza d’onda.
Definiamo come assorbività emisferica spettrale () il rapporto:

G ,ass (  )
  (1.3.12)
G (  )

Definiamo anche una assorbività emisferica totale  come il rapporto:

G    (  ) * G  (  ) * d
  ass  0
 (1.3.12)
G
 G  (  ) * d
0

Accuratamente  dipende dalla distribuzione spettrale della radiazione


incidente, dalla direzione della radiazione incidente e dalla natura del corpo.
Da notare che  è approssimativamente indipendente dalla temperatura, cosa
che non è vera per esempio per l’emissività .
Nel caso di radiazione solare l’assorbività totale  può essere espressa così:

   (  )* E ,n (  ,5800 K )* d
s  0
 (1.3.13)
 E
0
,n (  ,5800 K ) * d

RIFLESSIVITA’

La riflessività è una proprietà dei corpi che determina la frazione della


radiazione riflessa incidente su una superficie.
Essa pertanto ci da indicazioni sia sulla direzione che sull’intensità della
radiazione riflessa.
Questo valore, come per l’assorbività, dipende dalla natura del corpo e dalla
distribuzione sia spettrale che direzionale della radiazione incidente.
Trascurando il fattore direzione cioè estendendo l’analisi a tutto lo spazio
possiamo definire riflessività emisferica spettrale () il rapporto:
33

G ,rif (  )
 (  )  (1.3.14)
G (  )

Il valore di questi tre coefficienti è comunque compreso tra zero ed uno ed il


loro rispettivo valore dipende dalla natura del corpo, dalla temperatura e dalla
lunghezza d’onda della radiazione incidente.
Per quanto riguarda il coefficiente , il suo valore dipende anche dallo stato
della superficie irraggiata.
La riflessione può essere diffusa o speculare.
Avremo la riflessione diffusa quando l’intensità della radiazione riflessa è
indipendente dall’angolo di riflessione e la radiazione riflessa si diffonde su
più direzioni(figura1.3.15(a)).
Invece quando tutta la riflessione è concentrata in un’unica direzione
simmetrica a quella della radiazione incidente si avrà la riflessione
speculare(figura 1.3.15(b)).

Figura 1.3.15

TRASMISSIVITA’

Ogni corpo in natura non riesce ad assorbire completamente tutta l’energia


radiante incidente in quanto pur una piccola parte riesce ad attraversarlo.
34

Questa quantità è deducibile attraverso la conoscenza della trasmissività


emisferica spettrale  definita come:

G  ,tr ( )
  (1.3.16)
G  ( )

ed come per i parametri precedentemente definiti, avremo la trasmissività


emisferica totale , così definita:

   ( ) * G ( ) * d Gtr
 0

 (1.3.17)
G
 G  (  ) * d
0

Si definisce corpo opaco quel corpo che ha un coefficiente di trasparenza t=0.


E’ quindi opportuno dire che affinchè un corpo si comporti come opaco
dipende, oltre che dalla natura del materiale e dalla lunghezza d’onda, anche
dallo spessore che deve essere attraversato.
Infatti l’assorbimento dell’energia raggiante all’interno di un corpo segue una
legge esponenziale del tipo:

W ( x )  W ( 0) e  * x (1.3.18)

dove x è lo spessore dello strato attraversato, W(0) è la potenza del fascio di


energia raggiante che penetra nel corpo in corrispondenza della sezione di
ingresso, W(x) è la stessa potenza dopo l'attraversamento dello strato di
spessore x, mentre  è una costante del materiale denominata costante di
assorbimento ed ha la dimensione di un inverso di una lunghezza.
Quindi un materiale avente un elevato valore di  necessità di uno spessore
minore rispetto ad uno avente un minor valore di  per comportarsi come
opaco.
Va aggiunto che  dipende oltre che dalla natura del corpo anche dalla
temperatura T e dalla lunghezza d’onda 
Dal bilancio energetico fatto precedentemente per il mezzo semitrasparente in
termini di potenza emissiva emisferica spettrale G(W/m2m) possiamo
35

estendere lo stesso bilancio in termini dei tre coefficienti , , , pertanto


abbiamo:

      1 (1.3.19)
questo esprime la relazione dipendente per ogni lunghezza d’onda .
Estendendo il tutto ad una configurazione spaziale emisferica abbiamo le
grandezze totali che sono nella relazione:

   1 (1.3.20)

Nel particolare caso in cui il mezzo si possa ritenere opaco abbiamo il


seguente bilancio:

   1 (1.3.21)

Riassumendo quindi i coefficienti , , , funzioni della lunghezza d’onda,


della natura del corpo attraversato e della sua temperatura; essi pertanto
dipenderanno dalla direzione di incidenza della radiazione in quanto sia la
potenza emissiva emisferica e la potenza totale emissiva sono funzioni della
direzione; inoltre interviene pure lo spessore che se è sufficiente limitato fa
risultare il corpo parzialmente trasparente.
Il fenomeno della trasmissione del calore per irraggiamento è il risultato di un
bilancio fra energia emessa ed energia assorbita dai corpi interessati.
Quindi occorre conoscere di ciascun corpo le proprietà sia nei riguardi
dell’emissione sia nei riguardi dell’assorbimento.
Consideriamo una cavità molto grande rispetto alla superficie di n corpi
contenuti in essa posta alla temperatura Ts.
Questi corpi essendo molto piccoli avranno una influenza trascurabile in
termini di irraggiamento interno alla cavità; infatti questo è dovuto agli effetti
cumulativi di emissione e riflessione della cavità stessa.
Considerando quindi la nostra cavità come un corpo nero in essa si
raggiungerà un equilibrio termico tra i corpi contenuti e la stessa.
Quindi anche i corpi finiranno per raggiungere la temperatura della superficie
che li contiene e cioè Ts:

T1  T2  .....  Ts
(1.3.22)

Applicando per esempio al corpo 1 un bilancio energetico sulla sua superficie


avremo:
36

 1 * G * A1  E1 (Ts ) * A1  0 (1.3.23)
Ma poiché abbiamo considerato la cavità nera abbiamo che:

G  E n (Ts )
(1.3.24)

Quindi come per il corpo 1 questo risultato può essere applicato a tutti gli altri
i corpi e quindi:

E1 (Ts ) E 2 (Ts ) E (T )
  ......  n s  E n (Ts )
1 2 1
(1.3.25)

Questa relazione è conosciuta come il principio di Kirchhoff, che ha mostrato


come sia possibile dedurre le proprietà di un corpo opaco nei riguardi
dell’assorbimento da quelle relative all’emissione, o viceversa.
Il principio afferma che il rapporto fra la potenza emisferica emissiva spettrale
E ed il coefficiente di assorbività di uno stesso corpo(non nero) è
indipendente dalla natura del corpo stesso ed è quindi una funzione universale
della lunghezza d’onda e della temperatura, cioè è uguale al valore della
potenza emissiva spettrale del corpo nero En.
Si può pertanto osservare come la funzione En sia indipendente dal corpo
preso in esame ma sia funzione solo della lunghezza d’onda  della radiazione
emessa e la temperatura T del corpo stesso.
La funzione En può essere interpretata come la potenza emissiva spettrale di
un corpo che abbia un coefficiente di assorbività pari ad uno(=1), questo per
tutte le temperature e per tutte le lunghezze d’onda.
Quel corpo(unico) che presenta tali proprietà è denominato appunto corpo
nero.
Quindi dalla legge di Kirchhoff si può aggiungere che non esiste nessun corpo
in grado di avere la stessa potenza emissiva per ogni lunghezza d’onda ed ad
ogni temperatura del corpo nero in quanto ogni corpo pur ”scuro” che sia ha
comunque un <1.
37

Riprendendo la legge che definisce l’emissività emisferica totale (T) si nota


che se la si confronta con la precedente di Kirchhoff si scopre:

1  2
  .....  1
1  2
(1.3.26)

e cioè in generale:

  (1.3.27)

Questa relazione afferma che per ogni corpo alla stessa temperatura T
l’emissività emisferica totale  coincide con l’assorbività totale emisferica .
Ovviamente si può particolareggiare la precedente nel senso che è comunque
valida ad ogni lunghezza d’onda che sia presa come riferimento, cioè:

  (1.3.28)

ed analogamente estendibile anche alla direzione:

  ,    , (1.3.29)

Il comportamento del corpo nero come emettitore di energia raggiante è


caratterizzato dalla legge di Plank che esprime la sua potenza emissiva
spettrale in funzione di  e T:

C1
E  ,n 
5  e C2 / T  1
(1.3.30)

Sempre nei riguardi del corpo nero possiamo mettere in relazione la sua
potenza emissiva totale En in funzione della sua temperatura.
Questa legge prende il nome di legge di Stefan-Boltzmann, ed è:

En   * T 4 (1.3.31)

Dove 0 è detta costante di Stefan-Boltzman e vale:


38

 =5.6696*10-8W/m2K4 (1.3.32)

Il valore di questa costante dipende da C1 e C2 che rispettivamente sono


funzioni della costante di Plank h, della velocità della luce nel vuoto e
l’altra(C2) anche della costante di Boltzman(1).
I loro valori sono:

C1=3.742*108W*m4/m2 (1.3.33)

C2=1.439*104m*K (1.3.34)

Un’altra legge assai importante è la legge di Wien:

mT=C3 (1.3.35)

che fornisce il valore della lunghezza d’onda m per la quale è massima la


potenza emissiva spettrale E,n.
Il valore della costante di Wien C3 è:

C3=2897.6 m*K (1.3.36)

Dal principio di Kirchhoff si può dire che il corpo nero è quello che a parità di
temperatura emette molte più radiazioni qualunque sia la loro lunghezza
d’onda.
Inoltre la potenza emissiva spettrale di un corpo qualunque non nero può
essere dedotta da quella del corpo nero purchè sia nota la funzione che
esprime il coefficiente di assorbività del corpo che si considera.
Oppure il coefficiente di assorbività di un corpo può essere dedotto dalla sua
potenza emissiva spettrale e da quella del corpo nero.
Dalle leggi di emissione del corpo nero si deduce che quando aumenta la
temperatura si ha un aumento della potenza raggiante globalmente emessa;
la potenza emessa aumenta, oltre che globalmente, anche per ogni singola
lunghezza d’onda in maniera tale da far traslare verso l’alto l’andamento
39

e la posizione del massimo si sposta verso valori più piccoli della lunghezza
d’onda per cui risultano proporzionalmente più incrementate le radiazioni di
lunghezza d’onda minore.
Le stesso osservazioni e lo stesso andamento generale dei diagrammi di
emissione restano qualitativamente validi per tutti i casi di emissione per
temperatura da parte di corpi condensati, anche se non neri.
Accettando il fatto che l’emissività e l’assorbività spettrale e direzionale siano
uguali, dalle proprietà emisferiche si ricava che la precedente sarebbe:

2  / 2 2  / 2

    , * cos  * sen  * d * d    I , ,i * cos  * sen  * d * d


  0 0
2  / 2
 ? 0 0
2  / 2

  cos  * sen  * d * d
0 0
  I
0 0
,i cos  * sen  * d * d

Dal fatto che abbiamo supposto che   ,    , segue che affinchè la


precedente sia vera devono sussistere le seguenti condizioni:

1)L’irradiazione è diffusa, cioè I,i sia indipendente da  e da 


2)La superficie è diffusa, cioè   , ed  , siano indipendenti dagli stessi
angoli sopra definiti.

La prima condizione è una ragionevole approssimazione per la maggior parte


dei calcoli ingegneristici; la seconda è una condizione che si applica alla
maggior parte delle superfici, in particolare per materiali non conduttori.
Mentre per soddisfare la condizione di parità tra l’emissività e l’assorbività
totali occorreranno condizioni aggiuntive a quelle precedentemente esposte;
infatti

 

   * E  ,n ( , T ) * d    * G  (  ) * d
 0
 ? 0

E n (T ) G

Dal fatto che      segue che affinchè la precedente sia valida devono
sussistere due condizioni da aggiungere alle due precedenti:
40

1)L’irradiazione corrisponde a quella di un corpo nero con superficie a


temperatura T, nel cui caso G()=E,n(,T) e G=En(T)
2)La superficie è grigia (   ,   sono indipendenti da )

Poiché l’assorbività totale di una superficie dipende dalla distribuzione


spettrale della irradiazione, essa non può essere inequivocabilmente posta
uguale all’emissività totale (=).
Infatti, una particolare superficie può essere altamente assorbente
all’irradiazione in una particolare regione dello spettro e praticamente
riflettente in un altro spettro di lunghezze d’onda
Inoltre per due campi di irradiazione G ,1() e G,2() il valore di  può essere
completamente diverso.
In contrasto però rimano l’emissività  che risulta indipendente
dall’irradiazione.
Quindi per concludere, in generale non ci sono basi per affermare che =.
Tuttavia la superficie grigia esiste e non è quindi necessario che l’emissività
spettrale e l’assorbività spettrale siano indipendenti da  su tutto lo spettro.
Pertanto si parlerà di superficie grigia o corpo grigio per quella superficie che
in quell’intervallo di spettro dell’irradiazione abbia      indipendente da 
Le superfici che abbiano un   , ed  , indipendente da  e  sono chiamate
superfici grigie diffuse.
Per concludere è lecito assumere la maggior parte delle superfici esistenti
come casi particolari(dipende dallo spettro) di superfici grigie. per le quali il
coefficiente di assorbività, appunto, pur essendo minore di uno è peraltro
indipendente dalla lunghezza d’onda.
L’importanza di tali corpi è che per essi le leggi dell’emissione sono
facilmente deducibili da quelle del corpo nero, alle quali risultano simili e che
d’altra parte a tale comportamento si avvicina sufficientemente quello di una
importante classe di corpi , quelli non metallici.
E’ spesso necessario conoscere la frazione della emissione totale di un corpo
nero che è in una certo intervallo di lunghezza d’onda o banda di emissione.
Ad una determinata temperatura e per un intervallo di lunghezza d’onda che
va da 0 a , questa frazione è determinabile attraverso la seguente espressione:
41

 

 E ,n d  E ,n d T
E  ,n
F(0)=
0
 0
  T d  T   f  T  (1.3.37)

T 4 5

 E ,n d
0

Per conoscere la proprietà radiativa di una superficie reale bisogna riferirsi


alla emissività (o emittanza) che è definita come il rapporto tra la radiazione
emessa dalla superficie reale e la radiazione emessa da un corpo nero alla
stessa temperatura.
Quindi l’emissione di un corpo reale cambia sensibilmente rispetto a quella
del corpo nero.
Ciò è mostrato in figura 1.3.38

fig. 1.3.38

Si definisce emissività direzionale spettrale ,(,,,), di una superficie


reale posta alla temperatura T, il rapporto dell’intensità della radiazione
emessa alla lunghezza d’onda  e nella direzione individuata da  e  con
l’intensità della radiazione emessa da un corpo nero alla stessa temperatura T
e lunghezza d’onda ; quindi:

I  ,er ( , , , T )
  , ( , , , T ) 
I  , n ( , T )
(1.3.39)
42

Nell'equazione sopra scritta al secondo membro ed al numeratore si vede che


l'intensità della radiazione del corpo reale dipende oltre che dalla lunghezza
d'onda  e dalla temperatura T anche dalla direzione individuata dagli angoli 
e ; invece sempre al secondo membro ma al denominatore l'intensità della
radiazione del corpo nero è dipendente dalla temperatura e lunghezza d'onda
ma indipendente dalla direzione.
Questo perché il corpo nero ha la proprietà di emettere energia in maniera
diffusa.

Riportiamo quindi in figura 1.3.40 la distribuzione direzionale di intensità di


radiazione del corpo nero e di una superficie reale.

fig 1.3.40

Per la maggior parte delle applicazioni ingegneristiche è utile definire


l'emissività emisferica spettrale (,T), che è un parametro adimensionale
variabile con la lunghezza d'onda e temperatura
43

E  ( , T )
  ( , T ) 
E  ,n ( , T )
(1.3.41)

Essa può essere messa in relazione con la emissività direzionale spettrale


,(,,,) secondo la sottostante relazione:

2  / 2

     ( , , , T ) cos * sen  * d * d
,

  ( , T )  0 0
2  / 2

  cos * sen  * d * d
0 0

(1.3.42)

Assumendo , essere indipendente dall'angolo , la quale risulta essere una


ragionevole assunzione per la maggior parte delle superfici e quindi la
precedente si trasforma in:

 /2
  ( , T )  2    , ( , , T ) cos * sen  * d
0

(1.3.43)

L’emissività emisferica totale (T), è un parametro adimensionale che tiene


conto dell’emissione di un corpo reale a tutte le lunghezze d’onda ed in tutte
le direzioni alla temperatura T; essa è pertanto definita come:

E( T )
( T )  (1.3.44)
En ( T )

Facendo riferimento alla formula precedente e sostituendo abbiamo:

   (  ,T )E ,n (  ,T )d
( T )  0

En ( T )
(1.3.45)
44

Una annotazione importante riguarda l’emissività direzionale , di una


emissione diffusa(corpo nero) è indipendente dalla direzione; comunque,
sebbene questa condizione è spesso una ragionevole approssimazione, tutte le
superfici esposte hanno una loro caratteristica nei riguardi dell’emissione in
funzione della direzione.
Ragionevolmente si può anche dire che per ogni materiale l’emissività totale
(T) non si discosta molto dalla emissività normale n(è la emissività
direzionale valutata in direzione normale alla superficie cioè per =0).
Quindi è una ragionevole approssimazione porre:

n  (T) (1.3.46)

Questo è tra l’altro estendibile anche alle emissività spettrali cioè funzioni
esplicite della lunghezza d’onda.
Per dare un ordine di grandezza all’emissività spettrale (,T) di alcuni
materiali
1) L’emissività di superfici metalliche è generalmente piccola (0.02 per oro
argento)
2) La presenza di strati di ossido incrementano l’emissività della superficie
metallica
3) L’emissività dei materiali non conduttori è > 0.6
4) L’emissività dei conduttori aumenta all’aumentare della temperatura T;
comunque, nel caso dei non conduttori, dipende dal materiale l’aumento o
la diminuzione di (,T) con l’aumento della temperatura.

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