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Sotto le macerie del muro...

ancora
di Alessandro Ceci*

In realtà, dopo questo conflitto libico, le nazionalità distese su piattaforme


continentali, saranno più chiuse, più rigide. Quelle delle istituzioni di governo
denominate democratiche, per non dire disponibili, è una mera illusione.

Che cosa di più forte dell’amore?

La morte.

L’amore è più forte della morte soltanto nella dimensione individuale, letteraria,
personale; ma, nella dimensione soggettiva, sociale, collettiva, la morte è il processo
identificativo assolutamente più potente noto. Gli antichi egiziani ci hanno insegnato la
potenza della funzione identitaria nello spazio e nel tempo della morte. La vita di
ciascun egiziano era ossessionata da due elementi fondamentali: la costruzione della
propria tomba (e quella dei genitori) nel luogo in cui si è nati; il giudizio del Tribunale
dei Morti dopo la vita. La funzione di identità nello spazio e nel tempo della morte: il
più potente, assolutamente connotativo e condizionante, vincolo di appartenenza che
la storia conosca. Se l’impegno di una vita è quello di costruire una tomba dove sei
nato, non necessariamente dove sono i tuoi genitori, ma il posto in cui sei venuto al
mondo, indipendentemente da chi ti ha partorito, te la porti dentro la città. Hai
costantemente di fronte a te la morte che ti ricorda il vincolo identitario della vita.
Della tua vita come atto - la tomba nella città in cui sei nato (lo spazio) - e la tua vita
come processo - il giudizio sul come ti sei comportato di fronte al Tribunale dei morti (il
tempo)-.

La morte è il vicolo di identità assoluto del luogo e degli anni in cui sei vissuto, il
legame più indissolubile allo spazio e al tempo della tua presenza nel mondo. Dopo
seimila anni di storia è stato lo stesso assoluto vincolo identitario della morte che ha
costruito le nostre nazionalità risorgimentali e partigiane. Lo stesso vincolo identitario
terroristico dei Kamikaze di Al Qaeda che ha costruito l’identità nazionale islamica
oltre l’appartenenza religiosa. Lo stesso vincolo identitario della morte degli eroi
giapponesi che rafforza il vincolo di appartenenza nazionale contro le catastrofi della
natura e quelle degli umani.
Sono illusi dunque gli occidentali a credere che le loro bombe apriranno uno
spazio a governi democratici e ai diritti umani per non dire a governi disponibili ai
doveri commerciali. I morti che quelle bombe produrranno, civili o militari, mercenari o
militanti, rafforzeranno invece il vincolo identitario del popolo libico dentro la
nazionalità islamica. Già oggi si comincia a pensare a dove dislocare le tombe e come
affrontare il Tribunale dei morti. Le bombe e gli oscuri martiri che le subiscono
affermano indissolubilmente il tempo e lo spazio della propria storicità. In questo modo
si esalta il vincolo identitario della propria esclusiva ed escludente nazionalità, fatta di
eroi e assassini, mostri e criminali, sostenitori e sostenuti, vittime e colpevoli; fatta di
morte.

In una prima fase, dunque, avremo regimi condiscendenti, disponibili,


riconosciuti. Poi le nazionalità elaboreranno il lutto e si presenteranno sul proscenio del
mondo più chiuse, più ossessive, decisamente più connotative e condizionanti di oggi.
Quella guerra, con i suoi morti, è un acceleratore nazionale potentissimo ai confini
comunicativi dei popoli e degli individui: insuperabilmente assorbiti dalla esaltazione
della propria identità, della propria unicità, dalla propria appartenenza. Ripeto: non
soltanto esclusiva, ma pericolosamente escludente.

Pertanto, quelle bombe ci sprofonderanno sempre più sotto le macerie del muro
di Berlino, nel vuoto di legittimità in cui è finito da allora il sistema delle relazioni
internazionali. Lo so che l’esigenza era forte e il tiranno libico non poteva restare. Ma
bisognava pensarci prima di vendere le armi con cui ha assassinato il suo popolo,
prima di osannarlo ed esaltarlo in pompa magna con la sua violenta affermazione di
forza. L’egemonia politica, come criterio di legittimazione della governance, si sostiene
con piccole importanti decisioni e azioni quotidiane, oltre ogni plateale applauso
mediatico e televisivo. La supremazia politica, come atto di forza delegittimata dei
governi, si afferma con colpi di teatro e azioni di guerra, attestazioni di potenza con
prospettiva elettorale immediata per tutti, per chi deve essere rieletto prossimamente
e per chi crede nella quotidiana esaltazione di sé. Ma questi morti saranno il vincolo
di chiusura delle identità nazionali e nazionaliste, autoreferenziali e vendicative.
Nazionalità distese su piattaforme continentali che confliggeranno simmetricamente
ed asimmetricamente fra di loro e fra di noi, ovunque si trovino comunque sui nostri
figli, per colpa di governanti che impongono la supremazia militare delle armi, perché
non sanno gestire l’egemonia militante della politica.

* Alessandro Ceci è Direttore Scientifico del “Campus degli Studi e delle Università di
Pomezia” e Docente di Filosofia Politica della “Libera Università del Mediterraneo – Jean
Monnet” .

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