Arthur Schopenhauer si rifà direttamente a Kant. Egli gli attribuisce il merito di avere definitivamente abolito gli idoli della trascendenza metafisica, rinunciando a quella conoscenza dell’assoluto che gli idealisti pretendono di ripristinare. Se vi è un infinito è piuttosto quello della volontà, nel suo tendere doloroso e cieco verso la propria affermazione vitale. Schopenhauer pone l’inizio della filosofia nello stupore e nello scandalo suscitati dalla consapevolezza della morte e del dolore come elementi insuperabili della condizione umana. La sua filosofia è una ricerca di salvezza che si impone il limite dell’immanenza e lascia la strada alla possibilità del nulla e dell’assurdo metafisico. Per questo motivo Schopenhauer è considerato un filosofo controcorrente, infatti in un’età dominata dall’ansia di progresso e dall’ottimismo, egli ha il coraggio di definirsi un pessimista. Per Schopenhauer, il principale merito di Kant è stata la distinzione tra fenomeno e cosa in sé, tuttavia l’errore principale di Kant è stato che con ciò fosse preclusa la via alla conoscibilità della cosa in sé. Schopenhauer ritiene di avere trovato una nuova via d’accesso alla cosa in sé, che egli identifica con la volontà. Secondo Schopenhauer quello che cade sotto i sensi non è il mondo vero, ma è solo un’immagine ingannevole: apparenza, sogno, illusione. Su questa affermazione concordano Pindaro, Platone o l’antica saggezza religiosa dell’India, consegnata nei Veda: “è maya, il velo dell’illusione, che ottenebra le pupille dei mortali e fa loro vedere un mondo di cui non si può dire né che esista né che non esista”. Il mondo, quale ce lo mostrano i sensi “è simile al sogno”. A questo mondo, di cui il soggetto ha un possesso conoscitivo pieno nella rappresentazione, si indirizza il sapere scientifico. Le uniche forme che hanno significato sono: lo spazio, il tempo, la casualità. Quello che ci si presenta, in forma oggettiva, è il soggetto del volere e rimane inspiegato il rapporto di coincidenza tra esso e l’incognito soggetto del conoscere. Schopenhauer parla a questo proposito di miracolo e ci sfida a seguirlo nel diverso cammino che condurrà al mondo come volontà. In tutte le sue manifestazioni, la volontà di vivere è caratterizzata da un’insuperabile conflittualità. E’ come se la volontà, per affermarsi, divorasse continuamente le proprie oggettivazioni (si parla cosi di autofagia della volontà di vivere). Di ciò si ha un’evidenza nella natura irreversibile del tempo, in cui ogni attimo presente diviene possibile solo in quanto ha divorato l’attimo passato. Non è un caso che la mitologia abbia rappresentato il tempo attraverso la figura terribile di Crono: il padre degli dei, che in un quadro famoso di Francisco Goya è raffigurato nell’atto di divorare i suoi figli. Sollevato il velo di Maya dei sensi ingannatori, ciò che si rivela allo sguardo è uno spettacolo di una volontà che si pone come scopo la propria autoaffermazione. Di questa universale condizione dei viventi può divenire consapevole l’uomo. Schopenhauer non gli riconosce alcun primato se non per questa sua capacità di rendersi consapevole del dolore e della sofferenza, infatti Schopenhauer afferma che “ogni vivere è per essenza un soffrire”. L’uomo tende al piacere, ma questo stimolo ha per condizione uno stato di bisogno e quindi di dolore. Dunque, la vita si rivela come un pendolo che oscilla tra i due estremi del bisogno e della noia che si conclude per tutti con la catastrofe finale del morire. LE VIE DELLA LIBERAZIONE La conoscenza del genio è direttamente rivolta all'idea. Si tratta di una forma superiore di visione, che oltrepassa i limiti del fenomeno per cogliere l'essenza delle cose. Schopenhauer si era limitato ad affermare l'esistenza delle idee, in seguito afferma che esse sono conosciute in modo adeguato non dalla scienza ma dall'arte, infatti le idee, a differenza dei concetti, sono intuizioni e non astrazioni. L'arte sa esprimere l'aspetto vero delle cose e consegue un atteggiamento contemplativo e disinteressato, in cui il soggetto diviene limpido occhio del mondo, emancipandosi dalla subordinazione alla volontà. Sia l'artista, nel momento della creazione, sia lo spettatore, in quello della fruizione estetica, si pongono di fronte al mondo come a un puro spettacolo della volontà. In ciò consiste in generale la bellezza. Una sua forma particolare è il sublime, che appare quando ci presentiamo oggetti o spettacoli in evidente contrasto con la nostra egoistica volontà. Tra le arti, quella che realizza al massimo grado il sublime è la musica. Essa sa imitarne le passioni violente, le ansie segrete, il perpetuo oscillare dell'animo tra desiderio, speranza, gioia e dolore, amore e morte. La musica appare a Schopenhauer come un mondo a sé compiuto, infatti egli afferma che la musica potrebbe continuare ad esistere anche se il mondo non esistesse più. L'arte attua una liberazione dalla volontà, tuttavia essa è solo momentanea. Solo la ragion pratica, ovvero la morale, è in grado di offrire una prospettiva di redenzione dall'infelicità universale. Inoltre, essa ci rende consapevoli della nostra libertà, che non va concepita come libertà positiva, ma come libertà negativa. I due gradi della morale sono la compassione e la rinuncia. Vincendo l'egoismo, la compassione lacera il velo di Maya, facendoci capire l'unità profonda di tutti gli esseri che vivono e soffrono come noi. L'atto di rinuncia alla volontà corrisponde al gesto di opporre un NO deciso alla volontà di vivere. A nulla vale il gesto irrazionale del suicidio, che è affermazione e non negazione della volontà di vita e di felicità. Solo la rinuncia a ogni ricerca di empirica felicità, quale si riscontra negli esempi sublimi degli asceti dell'Oriente o in alcuni santi e mistici dell'Occidente, serve allo scopo. L'ascesi mira alla trasformazione e purificazione dell'uomo e dei suoi valori morali. Schopenhauer allude oscuramente alla noluntas come allo stadio finale della redenzione della volontà liberata.