La teologia trinitaria di Moltmann, punto di riferimento per tutto il pensiero teologico
trinitario contemporaneo, gravita intorno al concetto di Kenosi, una kenosi che non lascia fuori nulla di tutto ciò che appartiene a Dio e che raggiunge la massima espressione nella Croce di Cristo. Per Moltmann Dio non solo prova amore, ma è Egli stesso amore e per tale intrinseca caratteristica non può che essere trinitario. Egli non prende come riferimento la formula trinitaria riportata da Mt 28,19, bensì il grido di Gesù dalla croce e parte con la sua riflessione direttamente dalla Trinità per occuparsi, poi, della Unità divina. Punto di partenza è l’angoscia di Cristo sulla Croce espressa dal grido “Mio Dio perché mi hai abbandonato?” Le ragioni di questa profonda angoscia, secondo il nostro autore, sono da ricercare nel rapporto personale di Gesù con il Padre, rapporto fondato su una comunione unica. Sulla croce dunque è in gioco il rapporto tra Gesù e suo Padre, tra Dio e Dio. Al grido di Gesù in croce San Paolo fornisce una risposte nella lettera ai Romani 8,32 quando dichiara che Dio non ha risparmiato il proprio figlio, ma lo ha dato per noi tutti. Ne consegue che con il Figlio Dio ci donerà tutte le cose. In sostanza Dio sembra abbandonare il proprio Figlio per diventare anche nostro Padre, il Padre degli abbandonati. E’ proprio in questo momento di abbandono che Dio si manifesta come amore ed è in questo avvenimento di donazione per noi che si manifesta l’unità reale dell’ autodistinzione trinitaria di Dio. Quindi per Moltmann il senso del grido di Gesù dalla croce è contenuto nella teologia della consegna di Paolo ed è in linea con l’affermazione giovannea che “Dio è amore”. La Teologia trinitaria della croce del nostro autore si fonda sulla visione di un Dio capace di soffrire perché è un Dio capace di amare. M. analizza anche il Salmo 22 e sottolinea che in esso il grido “Dio mio” si riferisce al Dio di Israele, al Dio del Patto, mentre l’io abbandonato è il giusto sofferente che richiama Dio alla fedeltà al Patto. E’ un abbandono che i Vangeli rendono con il termine paradìdomai = tradire. Teologia trinitaria di Moltmann: i suoi fondamenti scritturistici sono il grido di Gesù in croce, la teologia paolina e Mc 15,34. L’evento della croce non è un accadimento tra Dio e l’uomo, bensì, è un accadimento intra-trinitario, esso ci rivela le relazioni che intercorrono tra le persone della trinità. Padre e Figlio sono separati dall’ “abbandono”, ma sono uniti dalla “consegna” ed è da questa consegna che promana lo Spirito Santo. Sulla Croce avviene la morte in Dio, non si verifica la morte di Dio, perché tutto si compie all’interno della Trinità. Sulla croce si verificò una scissione in Dio stesso, si verificò un evento di differenziazione tra le persone della Trinità, ma al contempo si rivela la stessa Unità costitutiva della Trinità. E’ l’Unità di Dio che rivela la sua vera natura. Dio è un Avvenimento, è l’avvenimento dell’amore del Figlio e del dolore del Padre, perché alla morte del Figlio risponde il dolore del Padre, dal quale procede lo Spirito Santo. Da questo avvenimento d’amore tra Padre e Figlio scaturisce la donazione stessa che è lo Spirito Santo, che è dono per noi. Per Moltmann la creazione e la redenzione non sono altro che un brano della storia eterna d’amore tra il Padre ed il Figlio: il movimento di consegna tra Padre e Figlio è eterno ed eternamente genera lo Spirito per noi. Questo amore di Dio coinvolge tutti: anche i senza Dio. Per Dio nessuno viene lasciato “fuori della porta” perché ogni storia umana è inglobata nella storia di Dio. Moltmann per lo studio della trinità inverte il punto di partenza: non parte più dalla Unità divina, bensì dalla trinità stessa delle persone divine, per capirne poi l’unità. Gli studiosi precedenti hanno sbagliato, egli dice, perché invece di partire dalla rivelazione sono partiti dalla filosofia, invece di partire dalla testimonianza biblica sono partiti dalla logica filosofica. Fondandosi sulla storia biblica l’unità delle tre persone divine ci apparirà come una unità aperta, una unità non esclusiva, bensì inclusiva. Lo studioso ricava dal pensiero giovanneo un concetto di unità di tipo pericoretico. Il Padre e il Figlio non sono concepibili come due modi d’essere di un unico soggetto divino, ma come due soggetti distinti che sono “un’unica cosa” cioè uniti. E’ un’intima inabitazione diretta conseguenza del loro amore. E’ un amore talmente perfetto che le tre Persone esistono non solo nelle relazioni reciproche, ma soprattutto per la comunione profonda di relazioni l’uno nell’altro. In questa incisività trinitaria tutto può salvarsi: anche l’uomo è incluso in questa inabitazione. Per Moltmann la trinità non è circolare o triangolare, bensì è aperta, in forza del suo amore gratuito. Opera trinitatis ad extra ed opera trinitatis ad intra: all’agire ad extra corrisponde una sofferenza ad intra; ad una sofferenza ad extra corrisponde un agire ad intra. “La creazione è un’opera della umiliazione divina”: è espressione, cioè, di una Kenosi divina attuata per amore. Quindi è l’amore che spinge Dio a creare il mondo. L’idea del mondo appartiene a Dio dall’eternità perché l’amore non può mai rimanere chiuso in sé. L’amore trinitario è l’amore per l’uguale e sarebbe un amore limitativo per Dio visto che la sua essenza lo porta ad aprirsi all’amore dell’altro da sé. Ma questa visione potrebbe essere pericolosa perché potrebbe aprirsi al concetto di necessità nell’essena divina. Questo pericolo viene superato ricorrendo al concetto di Isaak Luria di “contrazione”. La creazione dal nulla può avvenire solo se prima è avvenuta una autocontrazione in Dio. Per creare il mondo al di fuori di Lui il Dio infinito deve aver dato spazio, in se stesso, ad una finitudine. Questo far spazio in se stesso ad un altro presenta un Dio di tipo femminile, un Dio materno, lontano dalla immagine patriarcale della tradizione. Nel contempo ci presenta un Dio che si umilia, si abbassa per far spazio al diverso da sé. Anche la lettera Fil.2 considera questa auto alienazione di sé operata da Dio come il mistero del Messia. Infatti la kenosi divina, iniziata con la creazione, raggiunge la sua perfezione nell’incarnazione del Figlio. Per Moltmann l’incarnazione non è avvenuta a causa del peccato dell’uomo, ma è stata fin dall’eternità voluta da Dio in quanto Dio Amore. E’ una conseguenza dell’amore di Dio, è autocomunicazione di Dio al suo mondo. “Il Figlio di Dio si è incarnato per portare a compimento la creazione” (cfr Gn 1,26 e Dal.8=uomo creato a immagine di Dio) ovvero diventa esempio di ciò che l’uomo deve essere. Il rapporto di Gesù con il Padre, prima della Passione, è ben espresso dall’episodio del Battesimo di Gesù al fiume Giordano: Gesù è il figlio prediletto che, secondo la tradizione vetro testamentaria, è il figlio unico. Gesù si è sempre rivolto al padre suo in modo esclusivo ed intimo, tanto da chiamarlo Abbà, “Padre mio”. “ Nessuno conosce il Figlio se non il Padre, e nessuno conosce il Padre se non il Figlio”, è un amore esclusivo perché amore tra eguali. Ma nel nostro caso l’amore non è solo esclusivo, bensì anche inclusivo, e qui entriamo noi credenti. Ma la nostra è una figliolanza adottiva, diversa da quella di Gesù, il Figlio unigenito, la cui storia non è la storia di un uomo con Dio, ma è la storia del Figlio con il proprio Padre. Gesù ha anche annunciato la nostra figliolanza adottiva, ossia ci ha rivelato che Lui è anche il nostro fratello primogenito. Mentre il Figlio unigenito è frutto di un rapporto esclusivo, il fratello primogenito è frutto di un rapporto inclusivo. In Gesù Cristo ci sono non due nature, ma due relazioni: la sua, originaria ed esclusiva, con il Padre e la relazione comunionale ed inclusiva con noi. Quello del fratello primogenito è il prototipo al quale i credenti sono configurati e grazie al quale diventano partecipi della sua missione. La configurazione avviene quando noi stessi sperimentiamo la tentazione, l’angoscia, il dolore. Dio ha patito queste stesse sofferenze sulla croce, con l’incarnazione è diventato il Dio solidale. La Kenosi raggiunge l’apice nell’incarnazione e nella morte di croce. Questa incarnazione esterna presuppone l’autoumiliazione all’interno. L’amore di Dio cerca una risposta d’amore da parte dell’uomo risposta che Dio non può imporre, ma che deve lasciare alla libera scelta dell’uomo. Anche su questo piano Dio limita la propria onnipotenza perché confida nella libera risposta dell’uomo. E’ un modo umano e non divino di incontrare l’uomo. In relazione alla terza persona della trinità Moltmann dice che Dio non si limita più ad essere solo il Creatore o solo l’Incarnato, rappresentante di noi uomini, ma Dio nello Spirito abita negli uomini stessi. Quindi l’esperienza dello Spirito è l’esperienza dell’abitazione di Dio. Seguendo il Credo si sa che lo Spirito Santo è “Signore e ci dà la vita” una vita nuova. Lo Spirito è datore di vita, dallo Spirito noi nasciamo di nuovo e ci consola nelle afflizioni. Lo Spirito Santo per Moltmann è anche giudice perché garante di giustizia, ricostituisce i giusti rapporti originando una comunione durevole dell’uomo con Dio, con i propri simili e con la natura. Quindi lo Spirito Santo è alla origine di 3 esperienze: liberazione, rinascita, giustizia. Le altre metafore scelte da Moltmann per caratterizzare lo Spirito sono: metafore personali (le sopracitate); metafore formative che qualificano lo Spirito come energia,Spazio, Figura. Più interessanti le metafore di movimento: Vento (soffio vitale che infonde la vita), Fuoco (esperienza interiore di passione); queste esperienze sono connesse alla metafora dello Spirito come Amore (ci stimola dall’interno, è l’esperienza dell’amore eterno). Ultime le metafore mistiche, luce acqua e fecondità (espressione del nutrimento interiore che fa dello Spirito una presenza in noi totalizzante). Lo Spirito in tal modo ci rende partecipi di Dio e degli altri e ci apre al futuro escatologico. L’opera dello Spirito è sempre in un orizzonte escatologico in quanto egli è un trasformatore. Questa esperienza attuale di trasformazione è una anticipazione della trasfigurazione escatologica. “Con lo Spirito ha inizio il tempo finale”. I due più importanti risultati raggiunti da Moltmann nella sua speculazione teologica sulla trinità sono: - la teologia della passione di Dio - la teoria del rapporto reciproco tra Trinità immanente ( il Dio in sé) e Trinità economica (il Dio per noi). Il nostro autore porta alle estreme conseguenze l’assioma di Rahner “ la Trinità economica è la Trinità immanente e viceversa” (2004). La Teologia della passione ha due capisaldi: - adesione all’assioma giovanneo “Dio è Amore”, perché chi è capace di amare è anche capace di soffrire; - se si accettasse l’impassibilità di Dio secondo la visione filosofica greca, la passione di Cristo sarebbe solo passione umana. Prima di esporre la sua dottrina sul pathos di Dio passa in rassegna le teorie di precedenti studiosi. Origene è il primo autore a cui fa riferimento. Per Origene Dio soffre perché è misericordioso. Il Figlio di Dio per questo amore senza limiti prende su di sé le nostre sofferenze. Per lui dio non soffre solo ad extra, sulla croce, ma soffre anche ad intra, nella stessa Trinità perché è amore. Gli ultimi autori a cui fa riferimento sono Berdjajew ed Heschel. Secondo Berdjajew Dio vuole la libertà dell’uomo e può crearla solo soffrendo egli stesso. Non esiste solo un desiderio dell’uomo verso Dio, ma anche il movimento contrario di Dio verso l’uomo, che lui chiama “brama di Dio per l’uomo”. Il fondamento di questa brama è intratrinitario. Nell’amore di Dio per il Figlio è già presente l’amore di Dio per l’altro, per il diverso da sé. Heschel chiama pathos il coinvolgimento di Dio nella storia umana, mentre Moltmann lo chiama kenosi. Questo coinvolgimento è caratterizzato secondo Moltmann da una serie di autoumiliazioni: creazione, alleanza, esilio, croce. Dio è amore generativo e creativo e, poiché tutto ciò significa autoumiliarsi per fare spazio dentro di sé alla creatura stessa e partecipare poi alla sua stessa sofferenza, questo amore è sempre sofferenza. Un Ente che soffre ed ama è molto più ricco di un Ente che è solo onnipotente incapace di amare e di soffrire. Moltmann comprende che l’unica risposta alla sofferenza del giusto viene dal Dio Crocifisso perché il sofferente che grida contro Dio si mette in sintonia con il grido del Cristo in croce. Quindi anche l’uomo non accetta la sofferenza, propria ed altrui, perché ama. Colui che ama, amando sperimenta la sofferenza. E’ possibile conciliare questo concetto della sofferenza divina con quello della libertà di Dio? Per Moltmann sono concetti conciliabili perché la libertà degna di Dio non è la libertà che deriva dalla potenza, ma è una libertà di comunione, una libertà che è amicizia e condivisione. Pertanto Dio si apre all’uomo e alla sua sofferenza non come Signore, ma come Padre. In relazione alla seconda teoria il nostro autore asserisce che la distinzione posta tra la Trinità immanente e la Trinità economica è artificiale, non possiamo assegnare limiti di alcun genere a Dio. La tesi dell’identità tra Trinità immanente ed economica serve ad esprimere la reciprocità tra l’interno e l’esterno del Dio Uno e Trino. L’evento della Croce ci fa capire che la Trinità agisce in maniera differenziata sia ad intra che ad extra. Il rapporto tra Trinità immanente ed economica si comprende come rapporto di reciprocità “il dolore della Croce connota la vita interiore del Dio Uno e Trino dall’eternità e per l’eternità”. Moltmann non si limita ad asserire questa identità, ma giunge ad affermare che la Trinità si costituisce in quanto tale nell’evento della croce di Cristo. Ma la storia di Dio non è solo storia di sofferenza, ma è storia aperta alla speranza “una croce senza risurrezione sarebbe fallimento.. una risurrezione senza croce suonerebbe solo miracolo”;la risurrezione di Cristo è speranza per i senza speranza, è speranza nella croce del presente”. C’è uno stretto legame tra Trinità ed escatologia. Quando tutto sarà in Dio rimarrà soltanto la gloria di Dio Uno e Trino e la Trinità economica sarà superata dalla Trinità immanente. Le tesi di Moltmann non sono esenti da critiche. Mondin, ad esempio, ritiene che il concetto dialogico di persona da lui introdotto sia pericoloso perché non è esente dal tri- teismo. La critica più costruttiva viene da Hans Urs von Balthasar il quale avverte il pericolo, nelle tesi di M., di irretire Dio nel processo del mondo. Questo pericolo viene sia dalla identificazione che egli fa tra la trinità immanente e quella economica sia dal fatto che la croce diventa il luogo del vero adempimento trinitario. Nonostante tutto la teoria di Moltmann resta fortemente innovativa e rimane un importante punto di riferimento che ci fa guardare a Dio non come a un Dio per noi, ma come a un Dio con noi. L’Incarnazione in prospettiva relazionale : il pensiero cristologico - trinitario di Barth, Bulgakov, Rahner e Gesché. Il loro lavoro è stato dedicato al tentativo di risolvere il problema di come conciliare la trascendenza di Dio con il fatto che Dio abbia unito a sé una carne umana. Le loro tesi sono innovative, ma rispettose del dato scritturistico. K. Barth e la preesistenza di Gesù Cristo Presupposto di partenza: non è possibile conoscere Dio indipendentemente da Gesù Cristo. E’ Dio che prende la decisione di relazionarsi all’uomo, questa decisione è irrevocabile e fa parte dell’essenza stessa di Dio sebbene si rapporti alla sua relazione con l’esterno. Dio in se stesso non ha inizio, quindi quando decide la relazione di grazia con l’esterno si tratta semplicemente dell’inizio delle opera ad extra. Nel contempo, però, essendo l’inizio di tutte le opere e le strade di Dio questa elezione di grazia è anche un opus Dei ad extra internum . Questa elezione non solo è presa da Dio, ma riguarda Dio stesso. Nel momento in cui ha deciso di entrare in comunione con l’uomo si unisce a lui in modo tale da non essere più Dio senza di lui, si è auto determinato a non essere senza l’uomo. Questa elezione di Dio è possibile comprenderla solo nell’evento Cristo. Quindi è da questa centralità che la dottrina cristiana dell’elezione deve procedere ed è sempre verso di questa che deve tendere. Gesù Cristo è oggetto e soggetto di questa elezione essendo l’unico Mediatore tra Dio e l’uomo. Gesù Cristo non è solo l’uomo eletto, ma è anche il Dio che elegge ed è solo in conseguenza di ciò che può essere considerato l’uomo eletto. Gesù non è uno strumento della libertà divina, ma è la stessa libertà divina, egli non è stato creato come tutte l creature, bensì è il primogenito di tutta la creazione (Col 1,15), a livello umano ripete quella scelta che aveva già preso a livello intratrinitario, fin dall’inizio partecipa alla scelta di Dio, anzi la scelta di Dio è la sua scelta. Barth si rifiuta di scindere in Gesù la figura di colui che elegge e quella di colui che è eletto,Gesù non è solo il primo degli eletti visto che Lui e Dio sono una cosa sola. L’obbedienza divina e l’ obbedienza umana in Cristo non si possono scindere. Egli ritiene anche che nell’eternità di Dio, prima dei tempi, la decisione divina ha stabilito un’alleanza tra Dio e gli uomini per mezzo di Gesù. Dio fin dall’eternità ha deciso di fare suo proprio essere l’essere di questa creatura, Gesù Cristo, in modo tale che Gesù, il Figlio dell’uomo, sarà il Figlio di Dio. Ossia Dio ha assunto in sé non la generica natura umana, ma l’uomo Gesù nel suo essere individuale per cui è diventato la seconda persona della Trinità. Il Dio che elegge e l’uomo eletto portano fin dall’eternità il nome di Gesù Cristo. In sintesi in Dio esiste, fin dall’eternità, quella determinazione di salvezza che identifica il movimento stesso di Dio verso l’uomo e verso il mondo. Presso Dio c’è sempre stato un Verbo incarnandum ossia l’incarnazione è stata sempre intesa, dal principio, come un dato costitutivo della divinità stessa. Questa estroversione divina non è rivolta ad una umanità generica, l’incarnandum non è generico e astratto, bensì si personalizza in Gesù Cristo. Barth ha sviluppato una visione relazionale del rapporto Dio-uomo che porterà a vedere la natura divina come essenzialmente relazionale e la natura umana come capax Dei. S. Bulgakov e la Teantropia E’ un teologo molto originale dell’ortodossia russa. La Teantropia riguarda l’unione tra Dio e uomo nella quale è implicata l’intera realtà creata ed è per questo che egli ne indaga le origini collegando l’Incarnazione alla Creazione. La condizione di possibilità dell’Incarnazione deve trovarsi in Dio/Cristo già dall’eternità. Ma come è possibile ciò?. Il suo pensiero teologico si fonda sulla dottrina della divina Sofia che egli divide in una Sofia Increata, che è l’autorivelazione intratratrinitaria di Dio, ed in una Sofia creata che è autorivelazione extratrinitaria di Dio. Su questa concezione della Sofia si innesta il pensiero teologico dell’autore sull’Incarnazione che è insieme kenotico e teoantropico. Il concetto di teantropia è una rivalutazione del vero senso del dogma calcedonese sull’unione delle due nature nella Persona di Cristo. Due sono i fondamenti da lui scelti: il concetto di Dio come essenzialmente relazionale e kenotico; la considerazione dell’uomo come divino-umano secondo cui l’uomo è tripartito, composto di corpo, anima e spirito, dove corpo e animo costituirebbero la natura umana, mentre lo spirito, di origine divina, costituirebbe l’ipostasi della natura umana. In tal modo l’uomo sarebbe fin da principio dio-uomo, in quanto ha un’unica ipostasi e partecipa di due nature: divina e creata. In sintesi B. ritiene che i presupposti dell’unione ipostatica siano presenti da sempre sia nella natura divina sia nella natura umana. Egli fondandosi sulla scrittura (1Pt 1,20; 1Cor 2,7;Ef 1,4-10;3,9-11) mostra come l’Incarnazione sia una volontà iniziale santificante di Dio, presente già prima della creazione del mondo del quale costituisce fondamento e fine. Il figlio si sarebbe incarnato a prescindere dal peccato, “per noi uomini e per la nostra salvezza”. L’Incarnazione non ha uno scopo solo soteriologia, ma è espressione di un rapporto Dio uomo che va oltre, in un orizzonte escatologico. Dio vuole per amore donare all’uomo e al mondo la sua natura divina entrando in comunione kenotica con loro. Ma l’Incarnazione non è un atto unilaterale, ma bilaterale. L’uomo accoglie Dio e Dio cerca questa accoglienza. L’Incarnazione realizza la pienezza dell’umanità perché il prototipo dell’uomo è proprio la teantropia del Logos ed è per questo che l’uomo che non ha mai smesso di aspirare all’unione con Dio. Quindi il rapporto di Dio con il mondo non è fondato sulla onnipotenza divina, bensì sulla provvidenziale interazione. Per dimostrare la possibilità che l’ipostasi del logos diventi ontologicamente propria non solo della natura divina, ma anche di quella umana, cerca di rispondere a due domande: poteva la natura umana ricevere, come se fosse ipostasi umana, quella del Logos? come può il Logos abbassarsi alpino umano? La teoria costruita da B. si fonda sulla natura triadica dell’uomo e sulla esistenza di una certa affinità fra l’ipostasi dell’umano e l’ipostasi del Logos che rende anche l’uomo capace di ricevere e contenere l’ipostasi divina quasi fosse umana. Egli afferma che l’ipostasi divina dell’uomo è lo spirito e che nell’incarnazione l’ipostasi del logo si è sostituita a questa ipostasi divino-umana dello spirito. E’ una ipotesi vicina al pensiero di Apollinare (schema logos-sarx) anche se quest’ultimo non riconosceva al Logos l’assunzione di una natura umana completa. Questa la problematica dal punto di vista dell’uomo, ora bisogna vedere come sia possibile per Dio diventare uomo senza smettere di essere Dio. A questa problematica B. risponde applicando il concetto di kenosi. Il riferimento scritturistico citato è Fil 2,6-8 che parla “della discesa dal cielo del Dio eterno”. Questa kenosi consiste in un cambiamento di forma, da quella divina a quella di schiavo, dove forma sta ad indicare il modo di vivere proprio ad una determinata natura. Cristo cambiò e scambiò non l’immutabile natura, bensì la norma di vita così che da norma divina divenne norma di uno schiavo. Quindi non è una assunzione dell’umana natura, abbandonando la pienezza della sua natura divina, l’essere in sé, ma è un discendere fino all’uomo, per consentirgli la fruizione della beatitudine divina, che è l’essere per sé e che può essere limitata da Dio. Questo vuol dire che Dio può, permanendo nella sua divina immutabilità, con una Sua esclusiva decisione, cambiare e limitare “per se stesso” la pienezza della propria vita. La natura divina nel logos resta immutata e non sminuita perché la kenosi non riguarda la natura, ma la forma cioè la condizione di vita. Il Figlio si spoglia non della natura, ma della “gloria”, ossia della Sofia divina. Ma la “gloria” iniziale viene riacquistata dal logos attraverso il divenire della Sofia creata. L’ipostasi del Logos non subisce alcun cambiamento per effetto di questa kenosi. All’interno della Trinità non ci sono cambiamenti, la Trinità immanente non conosce la Kenosi del Figlio, che esiste solo nella Trinità economica. B. conclude con l’affermazione che la kenosi dell’incarnazione riguarda sempre e soltanto il Dio per sé e mai il Dio in sé. K.Rahner e la proposta trascendentalista: Il metodo di R. è un metodo trascendentale antropologicamente centrato. Il problema centrale del suo pensiero non è tanto la preesistenza di Cristo, quanto l’incarnazione di Dio e quindi l’unità delle due nature, divina e umana, nella persona di Gesù Cristo. Suo presupposto quindi è che Dio è realmente diventato uomo, ossia che Dio è capax hominis. La domanda di partenza è: perché tra le tre persone trinitarie si è incarnato proprio il Verbo? R. sostiene la tesi che solo e soltanto il Verbo poteva incarnarsi. Il Logos come Parola di Dio è l’autoespressione del Padre. A livello di Trinità economica il Verbo si mostra a noi come l’unico Rivelatore del Dio trino ed è questa la missione ad extra del Verbo. Quindi la natura umana non è una livrea nella quale si cela Dio, ma è da sempre il simbolo reale costitutivo del Logos.L’uomo Gesù è la Parola stessa di Dio, è l’autorivelazione di Dio e di conseguenza la sua umanità è l’espressione di Dio. Il Verbo è e rimane uomo in eterno, perché il finito non è più l’opposto dell’infinito bensì ciò che lo stesso infinito è diventato. R. con questa tesi non vuole negare l’immutabilità di Dio, ma piuttosto affermare questa immutabilità non va pensata in maniera statica, ma dialettica. Come Dio, perfezione assoluta, non è solo Unità, ma anche Trinità, così Dio pur nella sua immutabilità, può diventare qualcosa. Questo divenire non è indigenza, ma ricchezza. L’Assoluto grazie alla propria libertà può diventare il finito, l’altro. “Dio assume creando, e assumendo crea”, ovvero Dio “ crea la realtà umana nel mentre la assume come propria”. Sono espressione di un unico momento di autoestrinsecazione e di autoaffermazione divina in un essere diverso da sé sia la creazione che l’Incarnazione. Conclude che Dio è capax finiti senza perdere nulla della sua perfezione. Questa è la risposta alla prima domanda, ma ora c’è una seconda domanda : l’uomo è capax infiniti? In che modo può accadere? Noi sappiamo che l’uomo va verso lo sconfinato che insieme va verso di lui. Lo sconfinato è quel mistero assoluto che chiamiamo Dio. L’uomo essendo orientato al mistero diventa lui stesso mistero, lo assume come essenza della sua propria natura. Il senso della natura umana è quello di spogliarsi di sé in modo di diventare Dio stesso. La natura umana può essere assunta da Dio grazie al fatto di essere stata creata da Dio come essenzialmente aperta all’auto partecipazione trascendente. Cristo è il più alto grado di auto partecipazione divina e il più alto grado di auto trascendenza umana. Gesché: Deus capax hominis Il teologo belga è autore di un’opera in sette volumi dal titolo Dio per pensare. Utili alla trattazione attuale sono il secondo volume, dedicato all’antropologia, e il sesto volume, dedicato alla cristologia, intitolato Il Cristo, nel quale l’incarnazione è il problema essenziale. Egli dichiara “ la cristologia deve farsi teologia e antropologia, prima di essere cristologia” Gesù è venuto a rivelare la vera natura di Dio che è amore, e la vera natura dell’uomo che è imago Dei. In Gesù Dio non si mostra come l’Assoluto inaccessibile, ma come il Dio del dono e della kenosi. L’incarnazione ci dice che Dio e uomo sono fatti l’uno per l’altro. Per capire l’Incarnazione, dunque, dobbiamo partire dal presupposto che l’uomo è capax Dei. L’esempio più evidente di questa capacità di condividere la vita divina G.la ritrova nella risurrezione così come descritta nella 1Cor dove Paolo parte da questa capacità degli uomini di risurrezione per stabilire la verosimiglianza di quella di Gesù. E’ proprio questo corpo a possedere in germe questa capacità. La vita eterna per G. non è estranea alla struttura essenziale dell’uomo, l’uomo è già ontologicamente predisposto ad accoglierla perché creato come capax infiniti.Non è possibile pensare che Dio non sia allora capax hominis, una capacità di diventare uomo che proviene non solo dalla sua volontà, ma dalla sua stessa essenza. In sostanza replica il pensiero di Leone Magno “non solo Dio si è fatto uomo nel modo che voleva, ma anche nel modo che poteva”. Su questo punto passa ad analizzare le tesi di due teologi: Congar e Rahner. Congar ipotizza che ci sia una parentela di fondo tra Dio e uomo che porta Dio a diventare uomo. Rahner ritiene, come abbiamo già visto, che solo il Verbo poteva incarnarsi, perché è nel Verbo che Dio possiede la capacità di esprimersi all’esterno. Assumendo le tesi dei due teologi G. asserisce possibile affermare che “ nell’Incarnazione Dio ci incontra nella sua propria umanità”. “L’Incarnazione non appartiene alla sola temporalità, ma è già contenuta nell’eternità di Dio”. Il Verbo eterno non può conoscere se stesso se non come incarnato. Incarnandosi il Verbo passò dalla potenza all’atto attestando la sua divinità come capace di umanità, perché la trascendenza divina possiede un’immanenza. L’amore che Dio manifesta nell’incarnazione non è semplice benevolenza ad extra, ma fa parte della natura stessa divina che è amore per gli uomini, è filantropia. Fra Dio e l’uomo esiste una reale parentela per cui l’uomo sarebbe realmente l’immagine di Dio e Dio verrebbe ad incarnarsi appunto nella sua immagine. Anche se tra Dio e uomo permane distanza questa non è incommensurabile. E’ credibile un Dio uomo? Secondo Zubiri la tensione verso l’esperienza religiosa appartiene all’essenza stessa dell’essere umano. La relegazione- relegatum esse, religio, religione, nel significato primario, è una dimensione formalmente costitutiva dell’esistenza. Di fronte all’Assoluto l’uomo scopre la sua finitudine, ma acquista anche la consapevolezza di poterla superare. Dio è l’esperienza religiosa che sta alla base di tutte le religioni e indica ciò che l’uomo scopre come fine del suo anelito alla trascendenza. Tutte le religioni hanno in comune il fine di religare ossia di congiungere l’uomo a Dio. E’, quindi, presente una aspirazione relazionale da parte dell’essere finito verso l’Assoluto. Il divino si presenta secondo due angolazioni: il volto della trascendenza, dell’Onnipotenza che genera anche timore e il volto paterno, amorevole di Dio che cerca la comunione con l’uomo. Le religioni rigidamente monoteiste privilegiano la trascendenza, le religioni mistiche dell’Oriente prediligono l’immanenza. In entrambe le religioni è necessaria una figura di mediazione. Il Cristianesimo rappresenta una terza via che, nell’Unione Ipostatica, riesce a conciliare le due vie dell’immanenza e della trascendenza. Seguendo questa duplice via verso il sacro, l’autrice divide le religioni in due gruppi distinti, con una conclusione che abbraccia i caratteri propri del cristianesimo. La via dell’attesa: sottolinea più la trascendenza che l’immanenza. L’uomo non è mai il salvatore di se stesso. Dipende tutto da Dio. Ne fanno parte l’ebraismo e l’Islam. EBRAISMO: il nome di Dio è impronunciabile perché l’uomo non può parlare vanamente di Dio. L’uomo non può capire chi è Dio, può conoscere solo quello che Dio fa per lui. Nonostante ciò però l’uomo è in grado di evincere alcuni attribuiti di Dio: unicità, incorporeità connessa alla sua onnipresenza, onnipotenza, onniscienza, eternità; inoltre Dio è giusto e misericordioso. Il partner privilegiato di Dio è l’uomo, caratterizzato da: essere immagine di Dio, non perché ontologicamente simile, ma perché gli è stata affidata da Dio la gestione del resto del creato; essere responsabile e rispondere ai doni divini con le sue opere; essere creatura e polvere, ha dignità, ma ha anche finitudine. La domanda dell’antropologia ebraica non è “chi è l’uomo”, ma “che cosa deve fare l’uomo di fronte a Dio”. E’ una antropologia sempre pensata in chiave etica. Sebbene trascendente però Dio è costantemente presente nel mondo, si preoccupa del suo popolo, soffre per le sofferenze umane. Il pensiero ebraico ha dovuto così pensare a figure di mediazione fra Dio e l’uomo, da presenze angeliche a personificazioni di attributi divini, come la Sapienza o la Shekinah . ISLAM: “non c’è alcun Dio al di fuori di Allah e Muhammad è il Suo Profeta”. Mentre il Cristianesimo prende il nome dalla sua figura centrale, Gesù Cristo, l’Ebraismo dal popolo di Israele e dalla stirpe di Giuda, l’Islam prende il proprio nome dal verbo arabo aslama che significa abbandonarsi, sottomettersi a Dio. Le caratteristiche di Dio sono: unicità. I Cristiani sono considerati Associazionisti dalla Sura 5 e sono definiti miscredenti. E’ onnipotente, come si vede dalla creazione e dal governo costante nel tempo di questa creazione, è giusto, è il giudice giusto. Ed è questa parte che salva la libertà dell’uomo di fronte all’onnipotenza divina. L’uomo è responsabile davanti a Dio delle proprie azioni. L’uomo non è schiavo di Dio, bensì suo servitore. Non c’è un patto tra l’uomo e Dio, ma solo un annuncio, una rivelazione parziale, la rivelazione di quello che è per noi “il giusto cammino”. Dio avrebbe 100 nomi, ma l’uomo ne conosce solo 99. Il rapporto personale con Dio è possibile solo attraverso una figura di mediazione che è un libro: il Corano. La via dell’ascesa: le religioni che danno prevalenza all’immanenza divina sottolineano in modo particolare la dignità dell’uomo che è capace di salvarsi con le proprie forze attraverso un cammino ascetico, attraverso la svalutazione del mondo. Questa svalutazione porta a guardare all’uomo in chiave spiritualista e alla relazione tra Dio e uomo in un orizzonte panteistico di reductio ad unum. INDUISMO: le molte divinità non sono altro che diverse manifestazioni di un solo e unico principio divino inconoscibile perché: ineffabile, senza nome, genere o forma. Questo Essere supremo si rivela in forme personali sotto forma di divinità varie, a volta anche esseri terrestri, detti avatara. Si rivela anche attraverso uomini saggi, come i veggenti, oggi guru o maestri dalle cui labbra parla lo stesso Mistero ultimo. Quindi anche un essere umano può diventare incarnazione del divino. L’uomo infatti, secondo l’induismo, per poter spezzare il ciclo inesorabile di morti e rinascite, deve obbedire a prescrizioni morali e a rituali, non per acquistare meriti, ma per rispettare l’ordine cosmico del quale lui è parte integrante. Fine ultimo è la salvezza intesa come distacco dal mondo e dal corpo. L’uomo vero è puramente spirituale e solo liberandosi dalla materia può conoscersi per quello che veramente è..Le strade da seguire sono tre: la via dell’azione, con la quale l’uomo agisce non per guadagnare frutti, ma cosciente di essere solo un vettore dell’eterna azione di Dio. La via della conoscenza, che si raggiunge nella meditazione; la via della devozione, che è intenso rapporto d’amore con la divinità prescelta la quale si fa garante del progresso del suo fedele verso la liberazione. Queste tre vie fanno capire che nell’Induismo esiste l’idea di una unione tra l’uomo e Dio. Ma la liberazione sembrerebbe tutta opera dell’uomo, solo la terza via sembra introdurre l’idea dell’azione di una grazia divina. Ma non si può parlare di una vera e propria relazione bilaterale tra Dio e l’uomo, ma piuttosto di una unione che tende a ridurre uno dei due termini all’altro. E’ forse per tale motivo che oggi, presso gli Indù, sta prendendo sempre più piede la terza via, che fa valere la grazia di Dio, come intervento nella loro vita, per guidarne il cammino. BUDDISMO: l’antropocentrismo induista trova il suo culmine nella religione buddista. Il Buddismo identifica l’Assoluto con la Vacuità universale dove domina non il caso, ma la necessità più rigorosa. Il discepolo di Buddha non ha bisogno di alcun uomo e di nessun Dio per liberarsi. L’uomo può e deve fare da sé. Ogni speculazione deve avere un valore pratico, una utilità a liberarci dalla sofferenza. Nonostante questa visione, oggi, la corrente detta Mahavana ha sviluppato una concezione del divino costruendo un pantheon, basato proprio sulla figura di Buddha: un Buddha ultraterreno che possiede tre essenze. Il corpo della creazione ossia il Buddha storico, il corpo di godimento che corrisponde alla beatitudine di cui gode B.; il corpo della legge ovvero la buddhità, la dimensione più profonda delle cose, la nostra essenza. Con la sua meditazione su se stesso Buddha ha generato i cinque Dhyanibodhisattva che hanno rinunciato a diventare dei Buddha per poter guidare gli uomini sulla strada del conseguimento dell’Illuminazione. Il Buddismo ha inglobato nel proprio pantheon numerose divinità induiste, ma queste divinità sono concepite come uomini divinizzati. Maestri umani divinizzati. I punti centrali della concezione dell’uomo secondo il buddismo sono tre: la realtà muta di continuo tutto è transitorio, il dolore ( la scoperta del Buddha è che l’esistenza è dolore, che il dolore nasce dal desiderio; l’eliminazione del desiderio fa cessare il dolore) e il non-sè ( l’uomo è l’aggregato di 5 elementi: materia, sensazioni, idee, emozioni e coscienza, ma non esiste un Io, un sostrato che dia unità a questi elementi). Nel concetto del non Io c’è una contraddizione insita al buddismo: secondo il buddismo non esiste l’Io, però l’uomo ha la facoltà di liberarsi da solo dal ciclo continuo di morti e rinascite. Anche il buddismo possiede, quindi, una finalità salvifica, in realtà non è assente l’anelito ad una relazione con Dio, come rivelano le figure di mediazione che tentano di personalizzare il divino. TAOISMO: “esiste una cosa caotica eppure formata, è nata prima del Cielo e della Terra. Silenziosa, Vuota. E’ autosufficiente, non è esausta. Potrebbe essere considerata la Madre di tutto il Creato. Non conosco il suo nome, la chiamo Tao”. Il Taoismo è la religione che più di tutte sottolinea l’impersonalità del divino. Il Tao è il principio cosmico vitale dal quale deriva la divinità stessa. Più che divinità, il Taoismo ha uomini divinizzati. L’unica cosa che l’uomo può fare è seguire la via del Tao, Tao, infatti, significa via. L’uomo deve seguire in tutto e per tutto l’ordine della natura che si identifica nello stesso Tao. L’uomo non deve fare favoritismi, in tal modo dividerebbe la natura in bene e male.L’uomo deve solo rispettare l’ordine di natura. Dio è impersonale, ma l’anelito inevitabile verso di lui ha portato il taoismo a venerare gli antenati, fra questi, il fondatore del taoismo, considerato come una incarnazione del Tao stesso. Ma comunque non è Dio, per cui la separazione uomo Dio, in questa religione, resta insanabile. Il problema trinitario nelle religioni: P. Tillich afferma che il problema trinitario è di tutte le religioni. Tutte le forme di monoteismo (monarchico, mistico, esclusivo) si pongono il problema trinitario nel momento in cui cercano di spiegare la relazione in Dio di trascendenza ed immanenza. Non sarebbe, quindi, un problema quantitativo, bensì qualitativo: è un tentativo di parlare del Dio Vivente. Solo il Cristianesimo riesce a risolvere questo conflitto perché in tutte le altre religioni c’è sempre una eccessiva prevalenza di una delle due componenti. Nel monoteismo monarchico il dio supremo si concretizza in molteplici incarnazioni e genera semidei. Il monoteismo mistico esprime un orientamento verso il monoteismo trinitario stabilendo, però, una differenziazione tra il dio Brahma e la sua essenza. Nel monoteismo esclusivo si sviluppa una trascendenza astratta del divino che necessita di forze mediatrici. Per noi Cristo è l’unico mediatore in grado di garantire una reale relazione tra Dio e uomo perché solo in Lui, trascendenza e immanenza, tempo ed eternità, coincidono. Incarnazione e Kenosi: il concetto di abbassamento e svuotamento di sé a favore di un altro rende ragione alla possibilità che Dio sia capax hominis e l’uomo capax Dei. Il concetto di kenosi è presente, anche se in forma diversa, in altre religioni (buddista, ebraica). Nel buddismo troviamo il concetto di vuoto o vacuità. Ogni cosa non esiste in maniera autonoma, ma sempre in dipendenza da qualcos’altro. Le ragioni di questa visione di vuoto in tutte le cose sono tre: le cose cambiano continuamente; sono costituite dall’aggregazione di diverse componenti; l’esistenza delle cose dipende dall’interrelazione di varie cause ad esse esterni. La stessa nozione di Io sarebbe inconcepibile se non fosse presente l’idea dell’altro, del tu. L’Io cambia di continuo anche perché costituito da due componenti; materiale e spirituale. Tolleranza, benevolenza, compassione fa sì che l’io coincida con l’altro: il prossimo e l’io sono la stessa cosa. L’uomo non possedendo essere proprio esiste solo nella relazione con l’altro. Relazione non esteriore, ma vera compenetrazione reciproca. Intorno al 1500 si sviluppa in seno all’ebraismo una concezione di Dio e della Creazione che offre ulteriori sviluppi alla teologia cristiana. E’ una riflessione sulla creazione dal nulla. Cominciarono a ripensare il nulla come qualcosa di interno a Dio stesso. Dal sec. XIII la prima delle 10 manifestazioni dell’essenza divina viene considerata inconoscibile, tanto da essere definita “nulla primordiale”. Dio diventa un abisso inconoscibile nel quale sono contenuti il nulla e l’essere. Si corre il pericolo di trasformare il concetto di creazione in processo emanativo molto vicino al panteismo. A questo rischio si cerca di far fronte con la dottrina della limitazione o della contrazione. L’essere di Dio si contrae per far spazio alla creazione. Quando Dio si ritrae allora sorge il Creato. Il primo atto è un atto di amore, un contrarsi per accogliere l’altro. Più che di creazione dal nulla si deve parlare di creazione nel nulla. Anche il concetto cristiano di Kenosi si caratterizza per una dialettica: svuotamento-riempimento, uno svuotarsi di sé per far venire alla luce l’altro. Per le altre religioni la kenosi è unilaterale e in tal modo si inficia la possibilità di una esistenza relazionale reale tra uomo e Dio. E’ una kenosi di tipo orizzontale, non verticale. La dottrina cristiana supera questa scissione tra immanenza e trascendenza nell’unione ipostatica. L’uomo è essere relazionale e questa caratteristica investe anche il campo religioso. Gesù Cristo diventa l’unico rivelatore del Padre e l’unico vero mediatore di salvezza, nell’Amore. Come dice San Paolo passeranno la fede e la speranza, ma la carità resterà per sempre.