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Capitolo 14 L’effetto placebo

La critica più frequente che viene fatta alla fitoterapia è che spesso si
attribuiscono poteri di guarigione a rimedi erboristici che sono pri-
vi di valore terapeutico per i disturbi per i quali vengono impiegati.
Chi muove questa critica considera i rimedi erboristici in questio-
ne dei placebo.
Il termine placebo, dal latino “piacere” o “compiacere” venne utiliz-
zato almeno in parte nel XII secolo per indicare i vespri per i riti
funebri.
Successivamente placebo furono considerati gli “adulatori”, cioè
coloro i quali venivano pagati per cantare i vespri funebri.
Entrando nel lessico medico per la prima volta il termine placebo
perderà i connotati negativi per indicare una tecnica terapeutica volta
più a “far piacere” che a “far del bene” al paziente. In farmacologia per
placebo s’intende una sostanza (o una forma farmaceutica) inerte (o
parzialmente inerte), cioè priva di principio attivo e quindi priva di atti-
vità specifica nei confronti di un sintomo o di una malattia (Tab. 14.1).

Tabella 14.1 Sostanze con funzioni placebo

Tipo Commento
1. Sostanze inerti (placebo) Non hanno attività farmacologica
Soluzione fisiologica
acqua bidistillata
Compressa
amido
lattosio
grano di mais
2. Sostanze parzialmente inerti (semiplacebo) Hanno attività farmacologica, ma non
Alcuni prodotti omeopatici possono esplicarla in quanto vengono
Alcuni galenici somministrate in quantità insignificanti
Tra i disturbi più frequenti, secondari alla somministrazione di sostanza con funzioni di placebo,
ricordiamo: nausea, prurito, arrossamento cutaneo, anoressia, astenia. Sono riportati, anche se rara-
mente: vomito, diarrea, edema, tachicardia
178 Fitoterapia - Impiego razionale delle droghe vegetali

L’interesse per il placebo si è manifestato negli anni Sessanta, in


concomitanza con il suo impiego quale sostanza di riferimento per
una migliore valutazione dell’efficacia di nuovi farmaci.
Successivamente si è fatta strada l’idea che l’azione di un farmaco
(o di un sistema terapeutico) sia la sommatoria di due effetti: l’effet-
to specifico del farmaco e l’effetto placebo.
Il loro contributo varia ovviamente entro due estremi: da un effet-
to tutto farmacologico ad un effetto tutto placebo (Fig. 14.1).
L’azione dell’aspirina e di altri farmaci antinfammatori non steroi-
dei ad esempio è soprattutto farmacologica, essendo legata all’inibi-
zione dell’enzima ciclossigenasi.
Viceversa, la fortuna dei ricostituenti, degli epatoprotettori, dei
tonici, dei vasodilatatori cerebrali, degli ansiolitici e di altri farmaci
ancora (naturali e di sintesi) è spesso basata sull’effetto placebo.
Comunque non siamo ancora in grado di comprendere appieno
l’effetto ed il meccanismo d’azione del placebo. Il fatto di chiedere
e ricevere una “cura” fa sentire meglio e accelera la guarigione: è
questo l’effetto placebo? Quel beneficio soggettivo e obiettivo, di
diversa natura, riscontrabile in seguito alla somministrazione del-
la sostanza inerte? Comunque la risposta al placebo può variare
non solo da soggetto a soggetto, ma anche nello stesso individuo,

Come agisce il farmaco

E.F. E.P.

Farmaco molto attivo

Farmaco poco attivo

Farmaco molto poco attivo

Placebo
Fig. 14.1 L’effetto di un farmaco è la sommatoria di due effetti: l’effetto specifico del
farmaco e l’effetto placebo. E.F. = effetto farmacologico; E.P. = effetto placebo
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in circostanze diverse, per cause non facilmente identificabili. Le


componenti dell’effetto placebo sono sostanzialmente due: (i) il
convincimento dell’efficacia e l’aspettativa di successo di medico e
paziente ed (ii) il tipo di rapporto che si stabilisce tra medico e
paziente.
Il placebo, per agire, deve essere generalmente somministrato più
volte (analogamente al farmaco, che per agire ha bisogno di un certo
numero di somministrazioni) ed il suo effetto può prolungarsi nel
tempo dopo la sospensione.
L’effetto placebo dipende anche dal colore, dal sapore e dalle
dimensioni della forma farmaceutica.
È stato infatti dimostrato che compresse di colore verde sono più
efficaci di quelle di colore rosa nel trattamento dei sintomi dell’ansia,
mentre il giallo è più indicato in caso di depressione; che il sapore
amaro (o dolce) rende più efficace l’infuso o il decotto; che la com-
pressa grande impressiona per la sua dimensione mentre quella pic-
cola fa pensare ad una straordinaria potenza.
L’effetto placebo è particolarmente pronunciato nelle patologie
influenzate dalla psiche, come l’ansia, ma può risultare evidente
anche in quelle affezioni che risultano aggravate da uno stato di ten-
sione.
Condizioni come il dolore (di diversa natura: postoperatorio, reu-
matico, da cefalea), l’asma, la tosse, la dispepsia ed una moderata
ipertensione, per esempio, possono peggiorare in un individuo ansio-
so o agitato. D’altra parte la tensione e lo stress stimolano la secre-
zione di cortisolo e di altri ormoni e questo fenomeno altera il siste-
ma immunitario, con il risultato di ridurre la capacità di resistenza
alla malattia.
È plausibile dunque pensare che il placebo sia in grado di agire su
di un ampio spettro di disturbi, compresi quelli che non si ritengono
influenzati dalla psiche.
Questa capacità di produrre miglioramenti in molteplici malattie
fa ritenere che la risposta al placebo sia del tutto aspecifica.
Comunque l’effetto placebo del farmaco, sia naturale che di sin-
tesi, crea, secondo alcuni, disagio in campo medico e nel settore
farmaceutico perché questo mette in discussione il valore terapeu-
tico di farmaci anche costosi, intralcia, in un certo senso, lo svi-
luppo di nuovi agenti farmacologici e riduce, o comunque mi-
naccia, le fonti di guadagno provenienti dall’uso di farmaci di
costo elevato.
Ma se il medico sa appropriarsi di alcuni aspetti del placebo, vale
a dire l’efficacia, la sicurezza ed il basso costo, allora potrà operare in
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modo deontologicamente corretto, rendendo più efficace la terapia


scelta e contenendo nello stesso tempo l’entità della spesa farmaceu-
tica sostenuta dal paziente o dal Servizio Sanitario Nazionale.
È in questo contesto che, in definitiva, trovano spazio molti rimedi
fitoterapici per i quali, nonostante l’impiego secolare, non è stata
ancora dimostrata una chiara efficacia in campo clinico.

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