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LOLITA E LO SCANDALO DI KUBRICK

tratto da di martedì 28 giugno 2005


In principio era Kubrick. Quando Farinelli mi chiese di introdurre per la
Cineteca un ciclo di film del regista, ne scelsi due: Lolita e Arancia
Meccanica. Qualcuno mi fece notare che erano film “scandalosi”, o ritenuti
tali. Mi venne da rispondergli che forse tutti i film di Kubrick sono
scandalosi, in quanto unici.
Se per scandalo si intende polemica sponsorizzata e annunciata, duello di
feudi giornalistici, emottisi di pulpari in pantofole, allora non siamo in
presenza di uno scandalo, ma di una breve eccitazione dei media.
Scandalosa è l’opera che rivela qualcosa che prima era nascosto, che
inquietava ma non veniva mostrato, qualcosa che era sotto gli occhi di tutti,
un cimitero indiano sotto l’Overlook Hotel. La capacità inventiva di
Kubrick, in questo senso è uno scandalo per la serialità e la prevedibilità del
cinema.
E Kubrick era scandalosamente libero, appassionato e sprezzante, nel
rapporto con i libri. Scelse sempre libri complessi, a volte ritenuti
“impossibili” da tradurre in immagini e ne accettò la sfida.
Lolita nasce come libro scandaloso, rifiutato da molti editori. Poi viene
accettato come totem, semplificato e mutilato, più chiacchierato che letto. Di
tutte le sue provocazioni, rimane solo l’infatuamento erotico di un serio
professore per una bambina. Ma non è questo lo scandalo di Lolita. Ciò che
ancora inquieta, nel capolavoro di Nabokov, è che questa storia
apparentemente anomala è in realtà una normale storia d’amore, dove il
cosiddetto vizio si eleva a rovina e dedizione assoluta. E la prova che ogni
passione è mortale, che in ogni famiglia e città perbene si nasconde
l’incendio di Lolita. Kubrick capì che non poteva centrare il film sull’eros
del libro. Lo avrebbero censurato, e comunque aveva altri obiettivi. Della
sceneggiatura di Nabokov, ne usò meno di un terzo. Il suo intento fu di
mostrare ancora una volta lo scontro tra follia e ragione, tra infanzia e mondo
adulto, tra Europa e America, tra istinto e oppressione sociale. Fece di
Mason un burattino spietato e ridicolo, e rese Lolita seducente e volgare,
proprio come l’industria cinematografica. E distillò l’ironia derisoria del
libro nelle trasformazioni di Peter Sellers.
Se Lolita è forse meno scandalosa del libro, Arancia meccanica lo è
molto di più. Burgess restò annichilito di fronte a certe scene. Sullo schermo
lo scandalo della violenza che appartiene a tutti, del passaggio di ruolo da
carnefice a vittima del protagonista, è feroce e accelerato, con raffinatezze
tecniche e colpi bassi. L’Alex di Burgess è un sedicenne teppista che
rubacchia e parla male, l’Alex Mac Dowell del film è un trentenne seducente
e crudele che stupra, picchia e uccide a suon di musica. Il linguaggio slang-
uligano del libro diventa una festa dell’invenzione cinematografica, della
pop-art, della contaminazione tra bellezza e consumo, il bianco tempio del
Korova milk bar dove le parole sacre a Esenin diventano logo del
capitalismo. E dopo due ore di crudeltà a ritmo di balletto, Kubrick cambia
il lieto fine del libro in un finale derisorio.
A questi due film, si è aggiunto un terzo scandalo, il Diavolo in corpo.
Posso solo ricordare che il libro del ventenne Radiguet fu uno scandalo
subito digerito, premiato e celebrato. Il suo successo divistico fu pari a
quello di certe operazioni moderne, il maudit divenne moda, fino alla
celebre frase di Cocteau: “ai nostri tempi l’anarchia si presenta sotto forma
di colomba”. Solo dopo la morte dell’autore, si cominciò a riflettere sulla
sua crudeltà e originalità, sulla passione mortale di quella Lolita-Humbert
che è Marthe. Certo, oggi il Diavolo in corpo sembra ad alcuni un normale
romanzo d’amore, ma conserva ancora il suo disperato disagio. E la poetica,
profonda rilettura di Autant Lara fu sorprendente, e lo resta ancora.
(testo tratto dal catalogo del festival “Le parole dello schermo”)
Stefano Benni

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