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Fine Vita e Rilevanza Penale Dell Aiuto Al Suicidio Il Caso Cappato
Fine Vita e Rilevanza Penale Dell Aiuto Al Suicidio Il Caso Cappato
Il caso
Cappato
Le scelte concernenti il fine vita sono state oggetto di una espressa previsione legislativa soltanto con la recente Legge del 22 dicembre 2017, n.
219 la quale, consacrando i principi ormai consolidati nell'elaborazione giurisprudenziale, ha predisposto una disciplina in materia di consenso
informato e di disposizioni anticipate di trattamento.
La predetta legge, richiamando il principio personalistico, quello di libertà personale e il diritto alla salute di cui agli articoli 2, 13 e 32 della
Costituzione, nonché richiamando gli articoli 1, 2, 3 della Carta fondamentale dei diritti dell'Unione Europea, si propone di tutelare il diritto alla
vita, alla salute, alla dignità ed all'autodeterminazione della persona, prescrivendo che, in tal modo ribadendo il disposto dell'art. 32 della
Costituzione, nessun trattamento sanitario può essere iniziato o proseguito se privo del consenso libero ed informato della persona interessata,
salvo nei casi espressamente previsti dalla legge.
Il consenso libero ed informato della persona, pertanto, già di fondamentale importanza nell'ambito della colpa medica perché presupposto di
liceità del trattamento medico chirurgico, dalla recente disciplina legislativa è posto a fondamento delle scelte concernenti i trattamenti sanitari nei
rapporti tra medico e paziente, quale espressione del diritto di autodeterminazione della persona in ambito sanitario.
La libertà di autodeterminazione in ordine al trattamento sanitario si ricava dall'art. 32 della Costituzione, il quale, al comma 2 prescrive che
nessuno può essere obbligato ad un determinato trattamento sanitario se non per disposizioni di legge che, ad ogni modo, devono essere
proporzionali e funzionali rispetto alla tutela della salute collettiva.
La Legge n. 219 del 2017 riconosce ad ognuno il diritto di conoscere le proprie condizioni di salute e di essere informato in modo completo,
aggiornato e comprensibile non soltanto sulla diagnosi, sulla prognosi e sui benefici ed i rischi connessi agli accertamenti e ai trattamenti sanitari, ma
anche relativamente alle alternative ed alle conseguenze dell'eventuale rifiuto del trattamento sanitario.
In particolare, ad ogni persona che sia capace di agire, è riconosciuto il diritto di rifiutare, in tutto o in parte, qualsiasi accertamento diagnostico o
trattamento sanitario relativamente alla patologia di cui la persona sia affetta, anche quando il trattamento sanitario consista nella respirazione
artificiale e nell'idratazione artificiale le quali, pertanto, al pari di ogni altro trattamento sanitario, possono essere oggetto di rifiuto.
Il legislatore, inoltre, recependo l'elaborazione giurisprudenziale del caso Englaro, ha previsto che il diritto di autodeterminarsi in ordine al
trattamento sanitario spetti anche al paziente che sia incapace di intendere e di volere.
In caso di incapacità, infatti, la predetta scelta viene esercitata dal rappresentante legale il quale compie una scelta sulla base di
quella che sarebbe stata la presumibile volontà della persona incapace qualora avesse avuto la possibilità di compiere una scelta.
Si tratta, in particolare, di una forma di rappresentanza diversa rispetto a quella civilistica, poiché non è una rappresentanza sostitutiva ma è una
rappresentanza assistita esercitata in funzione del best interest, cioè del migliore interesse del paziente, tenuto conto della scelta che egli avrebbe
effettuato qualora ne fosse stato capace, desumendola da elementi pregressi quali convinzioni, filosofiche, religiose ed ideologiche e lo stile di vita,
affinché la scelta venga compiuta tutelando la salute psicofisica del paziente e rispettando la sua dignità.
In tali ipotesi, tuttavia, poiché il rifiuto opposto dal rappresentante reca con sé il rischio che la scelta non possa corrispondere alla volontà
dell'incapace, è prevista la possibilità per il medico, che ritenga le cure appropriate e necessarie, di non dare immediata esecuzione
alla manifestazione di volontà, con conseguente devoluzione della questione al giudice tutelare.
In caso di rifiuto opposto dal paziente capace in ordine al trattamento sanitario, sul medico incombe invece un duplice obbligo, uno consistente
nell'assecondare la scelta del paziente, ed uno ulteriore che consiste nel tentare la strategia della persuasione, prospettando al paziente le
conseguenze della sua scelta, le possibili alternative e promuovendo ogni azione di sostegno al paziente medesimo, anche mediante l'ausilio dei
servizi di assistenza psicologica.
Adempiuti tali obblighi, nel caso in cui il rifiuto persista, il medico è tenuto a rispettare la volontà espressa dal paziente di rifiutare il trattamento
sanitario o di rinunciare al medesimo e, in conseguenza di ciò, egli è esente da responsabilità civile e penale.
Nonostante la recente legge sul testamento biologico abbia codificato l'esenzione da responsabilità civile e penale per il medico che assecondi il
rifiuto del paziente in ordine al trattamento sanitario, tuttavia, essa non prende posizione sulla qualificazione giuridica della fattispecie in forza della
quale, rispetto al rifiuto, le conseguenze sul bene vita che dovessero verificarsi, non sarebbero tali da determinare una responsabilità penale del
medico, aspetto rispetto al quale rimane un profilo di incertezza.
Sul punto, nell'elaborazione giurisprudenziale pregressa, sono prospettabili due orientamenti.