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Nascituro down: medico che rifiuta test sul feto risponde dei

danni morali

Bimbo nato con sindrome di down: è responsabile anche del danno morale il ginecologo che sconsiglia alla gestante di eseguire i test clinici sul feto.
E’ quanto deciso dalla Corte di Cassazione con la sentenza 19151/2018 pubblicata il 19 luglio scorso.
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Nella vicenda in esame, una donna aveva convenuto in giudizio il proprio ginecologo nonché la struttura sanitaria presso cui lo stesso operava, in
quanto ritenuti solidalmente responsabili per il danno morale, biologico e patrimoniale causato dalla nascita, non desiderata, di una bimba con
sindrome di Down, dopo che il medico si era rifiutato di svolgere esami e test prenatali sulla gestante. Il Giudice di prime cure dava ragione
all’attrice, ma in seguito all’appello, confermata la sentenza di primo grado sull'an debeatur, sul quantum debeatur, la Corte territoriale riformava
la sentenza impugnata accertando in misura minore il danno biologico e patrimoniale, negando, altresì, la sussistenza del danno morale.
Avverso tale pronuncia, la donna ha proposto ricorso per cassazione in via principale ed il medico ricorso in via incidentale, quest’ultimo
deducendo, tra le censure sollevate, che la Corte avrebbe omesso di considerare l'onere di prova dell'intento abortivo, gravante sulla madre.
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La Cassazione ha ritenuto infondato tale motivo, riportando il principio espresso sul punto dalle Sezioni Unite, in base al quale, in tema di
responsabilità medica da nascita indesiderata di cui all'art. 1218 e 2043 cod. civ., il genitore che agisce per il risarcimento del danno ha l'onere
di provare che la madre avrebbe esercitato la facoltà d'interrompere la gravidanza qualora fosse stata tempestivamente informata dell'anomalia
fetale; detto onere può essere assolto tramite praesumptio hominis, secondo conclusioni desumibili dagli elementi di prova, gravando sul medico
la prova contraria, ovvero che la donna non si sarebbe determinata all'aborto, per qualsivoglia ragione personale.
In relazione al ricorso principale, la Cassazione ha rilevato che, sul piano giuridico, non è previsto affidarsi ad un ragionamento probatorio
semplificato, tale da condurre ipso facto ad un frazionamento delle responsabilità in via equitativa, con relativo ridimensionamento del quantum
risarcitorio. Pertanto, ribaltata la prospettiva dei giudici di merito, la Suprema Corte ha evidenziato che la ricorrente è risultata danneggiata nella
sua sfera psichica a causa dell'evento lesivo riconducibile all'operato del medico e che, a causa di più fattori non autonomamente concorrenti, tale
lesione, non le ha consentito di rielaborare psicologicamente il fallimento scaturito da una nascita indesiderata, di sostenere la lunghezza e
complessità di un accertamento giudiziale di un evento lesivo interferente nella sua vita personale, nonchè di sopportare una vita dedicata
esclusivamente a una figlia diversamente abile che non sarà mai in grado di diventare autonoma. Lo stesso evento avrebbe potuto non incidere
psichicamente su una persona con diverse storia e tenuta psichica, o incidere in misura minore. Pertanto, la Corte territoriale avrebbe dovuto
attenersi all’accertamento della misura del danno alla persona eziologicamente collegato all'evento lesivo, senza effettuare calcoli di divisione n base
alle diverse concause concomitanti o successive che lo avrebbero ipoteticamente determinato.
Con riferimento al danno patrimoniale riconosciuto, la Cassazione ha ritenuto senza logica la scomposizione matematica operata dalla Corte di
merito, che aveva suddiviso in tre parti il danno patrimoniale, calcolato in base delle spese da affrontare per le cure e il mantenimento della figlia
diversamente abile e affetta da gravi patologie, riconoscendone solo 1/3. Secondo la Suprema Corte detto frazionamento non è condivisibile,
trattandosi di un danno patrimoniale riconducile alla nascita non voluta, consistente nel fatto che la madre dovrà occuparsi a vita di un soggetto
diversamente abile, dovendone sostenere gli oneri e spese conseguenti.
Pertanto, la riduzione fino a un terzo effettuata dai giudici di merito risulta illogica ed immotivata. Alla luce delle summenzionate considerazioni, la
Cassazione ha accolto il ricorso principale in relazione al secondo e al terzo motivo, accogliendo parzialmente anche quello incidentale
relativamente al vizio di omessa pronuncia della Corte territoriale in merito alla domanda dell'assicurato di essere manlevato per le spese di lite
sostenute da quest’ultimo in proprio.
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Altalex, 22 agosto 2018. Nota di Maria Elena Bagnato)

(C) Altalex / Wolters Kluwer

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