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FEDERIGO TOZZI

 Vita:
Nasce a Siena il 1° gennaio 1883 da una coppia di contadini trasferitisi in città, Federigo Tozzi era figlio di un
uomo violento e autoritario, e di Annunziata Automi, malata di epilessia. Venne espulso per cattiva
condotta sia dal Seminario Arcivescovile di Piazza San Francesco, sia dall’Istituto delle Belle Arti, passando
alle scuole tecniche. Tra il 1900 e il 1902 visse un’appassionata relazione con una contadina del podere del
padre, Isola, cui si spira la Ghìsola del suo romanzo più noto, con gli occhi chiusi; nel novembre del 1902
iniziò un’intensa relazione epistolare con la donna che avrebbe poi sposato, Emma Palagi.
Nel 1904, a causa di una malattia venerea, venne colpito da un’infezione agli occhi, che lo costrinse a
restare al buio per mesi. Successivamente si diede al giornalismo e trovò impiego presso un ministero
romano, conoscendo Luigi Pirandello e Giuseppe Antonio Borgese, che avrebbe poi curato la pubblicazione
delle sue opere.
Tornato a Siena dopo solo sei mesi, nel 1908 venne assunto presso le Ferrovie dello Stato, alla stazione di
Pontedera (Pisa).
Dopo la morte del padre, Tozzi divenne proprietario di tre poderi nella campagna senese e della trattoria,
che decise di svendere. Sposata Emma, si trasferì nel podere del Castagneto, ove rimase per sei anni.
Dedicatosi all’attività letteraria e amministrando con troppa leggerezza i beni primari, finché non fu
costretto a venderli quasi tutti.
Il 4 agosto 1909 nacque l’unico figlio, Glauco, e nel 1911 uscì il primo libro, una raccolta di poesie d’
isprirazione dannunziata intitolata La zampogna verde. Nel 1913 fondò la rivista “La Torre”, che suscitò
aspre polemiche e chiuse i battenti nel 1914.
Nel 1914, tornò a Roma, ove iniziò il cosiddetto “sessennio romano”. Nel 1919 decise di pubblicare Con gli
occhi chiusi.
Morì a Roma per una polmonite il 21 Marzo 1920, ma venne sepolto a Siena al cimitero del Laterino,
accanto al padre.

 Pensiero e poetica:
Pur essendo uno scrittore rigorosamente realistico, Tozzi filtra nella coscienza il suo sentimento del reale,
procedimento che lo distingue dai naturalisti francesi, avvicinandolo all’avanguardia letteraria del primo
‘900.
Il suo interesse per il tema dell’inettitudine lo accomuna a Svevo e Pirandello, sebbene la sua fortuna
pressa il grande pubblico anche se inferiore a quello degli altri due scrittori. La sua poetica, viene definita
“poetica del frammento”.
Egli rappresenta un precursore del naturalismo, ma non si ferma alla spiegazione oggettiva del reale ma ne
dà una propria, deformante e grottesca. La sua cultura psicologica non si rifà a Freud ma solo a Joyce, il
quale sollecita Tozzi a registrare, ma non a spiegare la psiche.
In Tozzi la pressione dell’inconscio crea angoscia che a sua volta è rinvenibile nella rappresentazione dei
personaggi. Per questo i personaggi tozziani risultano “brutti”, mostrando sulle loro facce l’angoscia dettata
dall’inconscio. Ama gli avvenimenti oscuri e misteriosi, anche se di nessuna importanza esteriore. Che
coinvolgono emotivamente il singolo. Non si preoccupa di spiegare la realtà, i fatti, nel loro rapporto causa -
effetto, ma essa appare inspiegabile, incomprensibile: non sempre è possibile spiegare la vita, ciò che capita
nella vita, anzi spesso non si è in grado di dominare la vita e gli eventi.
Il narratore non è omnisciente, non sa della materia narrante, se non quello che proviene di volta in volta
dai personaggi, e quindi pare confondersi con essi e dal loro flusso di pensieri.
Per quando riguarda lo stile, Tozzi si serve di una prosa semplice, volutamente provinciale, per questo
impiega anche termini ed espressioni dialettiche.
CON GLI OCCHI CHIUSI
TRAMA: Con gli occhi chiusi, scritto nel 1913 ed edito nel 1919, è una sorta di romanzo di formazione alla
rovescia. Fulcro ne è l’estraniamento del reale di cui è vittima Pietro Rosi, figlio del violento Domenico e
della debole Anna, che vive “a occhi chiusi”, in una dimensione allucinata e visionaria. Inibito da un vero e
proprio complesso edipico e ostacolato dal padre, Pietro non riesco a concretizzare il suo amore per
Ghìsola, la contadina bella e scaltra di cui si è invaghito, che, in un primo momento, pensa di sposarlo ma
che poi, trasferitasi a Firenze, finisce per essere mantenuta da un agiato commerciante. Nell’ultima scena
del romanzo Pietro, ancora cieco e incredulo, la scoprirà incinta di un altro, in una casa di tolleranza.

Il titolo del romanzo, Con gli occhi chiusi, fa riferimento a un atteggiamento conoscitivo che implica la
scelta consapevole del buio, facendo degli occhi chiusi l’emblema di una volontà di ripiegamento e di
esplorazione della propria realtà interiore; in Tozzi, tuttavia, si tratta di un atteggiamento quasi infantile di
vera e propria chiusura nei confronti del mondo esterno, che non si vuole vedere perché fa paura. I suoi
personaggi, dunque, preferiscono procedere alla cieca nella loro esistenza, autocondannandosi a rimanere
sempre in balia del destino, senza neanche tentare di dare una direzione ai propri incerti passi.
La scrittura, influenzata da uno stile di matrice vociana, è frammentaria e discontinua (il romanzo è diviso
in paragrafi di diversa lunghezza, e non in capitoli); la sintassi è retta da nessi spesso alogici, che rendono
evidente l’emergere della dimensione dell’inconscio e di quella onirica, che spesso si sovrappongono a
quella del reale.
TRE CROCI
Scritto nel novembre – dicembre 1918 sulla scia di un fatto di cronaca senese – la morte, per un dissesto
economico, dei fratelli Torrini, gestori di una libreria del centro – il romanzo venne pubblicato nel 1920,
poco prima della morte dell’autore, con dedica a Pirandello. Considerato da Giacomo Debenedetti uno
“splendido passo indietro” rispetto a Con gli occhi chiusi, Tre croci si presenta come un’opera più
tradizionale rispetto al primo, innovativo, romanzo giovanile.
Anche se lo sfondo resta senese, l’impianto del romanzo è il meno autobiografico dei tre: sono raccontate
le vicende dei fratelli Gambi, tre figure d’inetti proprietari di una ricca libreria antiquaria, che dilapidano il
patrimonio paterno, trovando consolazione delle loro frustrazioni solo nel cibo. Questi comportamenti
porteranno alla perdita della loro eredità, a causa di un giro di cambiali false, e al conseguente suicidio di
Giulio, che si impicca. Anche gli altri due fratelli moriranno: Niccolò in seguito a un lungo delirio ed Enrico di
stenti, in un ospizio cittadino. Con Tre Croci Tozzi si adegua a ciò che Borgese aveva auspicato per lui fin
dalle prime prove: oggettività, asciuttezza di toni e nessun cedimento all’autobiografismo, sebbene i tre
fratelli sembrino vittime simboliche di un’espiazione necessaria a riscattarsi da un’oscura colpa di cui si
ignora l’origine.

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