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RELAZIONI ECONOMICHE
TRA EUROPA E MONDO ISLAMICO
SECC. XIII-XVIII
**
EUROPE’S ECONOMIC RELATIONS
WITH THE ISLAMIC WORLD
13TH - 18TH CENTURIES
**
Atti della “Trentottesima Settimana di Studi”
1-5 maggio 2006
ESTRATTO
Le Monnier
La Settimana di Studi è stata realizzata con il contributo di:
Nell’ambito delle
Manifestazioni in occasione degli 80 anni della Facoltà di Economia di Firenze
Socio benemerito:
ISBN 88-00-72239-3
La Tipografica Varese S.p.A.– Aprile 2007
Presidente della Fondazione: Pietro Vestri
Vice Presidente: Irene Sanesi
Segretario generale: Giampiero Nigro
Comitato scientifico:
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Wim Blockmans
Vicepresidenti:
Michele Cassandro, Miguel Ángel Ladero Quesada
Direttore scientifico:
Giampiero Nigro
Giunta esecutiva:
Giorgio Borelli, Bruce M.S. Campbell, Murat Çizakça, Antonio Di Vittorio,
Laurence Fontaine, Alberto Grohmann, Adam Manikowski, Paola Massa,
John Munro, Michael North
Comitato d’Onore
novesi, la quale è lunga più d’un miglio et largha non pase un quarto. Stannovi tutti
merchanti; sonvi una Chiesa di San Michele che è de’ fiorentini et loro la fanno offi-
ciare […]».3
Un quartiere residenziale dove le minoranze etniche e soprattutto i mercanti stra-
nieri beneficiavano di un buon clima e adeguati livelli di vita, come constatava lo stesso
Bonsignori che durante il suo soggiorno, fu accolto e ben alloggiato godendo «[…] di
bon vini, bone malvagie, bone galline, boni castrati, bone vitelle, optimi pesci d’ogni
ragione».4 Era giunto nella città del Bosforo in un periodo favorevole ai fiorentini.
Maometto II, fin dall’abbattimento dell’ormai logoro potere della città bizantina,
non aveva fatto mistero di volere ridurre i numerosi privilegi di cui beneficiavano i
mercanti veneziani, a tutto vantaggio dei toscani;5 la caduta di Costantinopoli fu
l’occasione per ampliare i loro traffici. Approfittando di tutto questo il comune di Fi-
renze istituì le galee di mercato che, con ritmo quasi annuale, raggiungevano il Corno
d’Oro.6 I prodotti trasportati per via di mare erano solo una parte, giacché le merci
seguivano anche le vie di terra che da Ragusa portavano a Istanbul.
Utilizzando l’istituto contrattuale dell’accomandita, gli operatori toscani inviava-
no in Levante le loro merci, affidandole al socio accomandatario che si impegnava
nella loro vendita.7 Così ad esempio, nell’agosto del 1459 la compagnia di Benedetto e
Bernardo Uguccioni di Firenze e quella di Bendetto e Mariotto Uguccioni di Pisa
consegnarono a Raffaello Carsidoni 2000 fiorini d’oro «[…] per trafficare et exercitare
in mercatantia nelle parti di Romania et di Turchia».8 Lo stesso Carsidoni, nel settem-
bre del 1463, assieme a Piero Berti e Bartolomeo Sapiti, fu accomandato dagli Uguc-
cioni e Gondi di imbarcarsi sulle galee di Levante, capitanate da Luigi Petti, con 37
balle di panni di garbo di più colori, destinati a Pera.9 In quegli stessi anni (1462 e
1463) Battista di Taccino chiedeva al suo corrispondente in Costantinopoli di preferi-
re per i panni di lana la vendita in contanti, mentre Bernardo Banchi e Piero Segni
realizzarono una analoga accomandita che si chiuse con l’importazione di quasi 1500
fiorini, pari al 90% del valore totale delle vendite.10
Proprio a partire dagli anni Sessanta del Quattrocento, numerosi toscani raggiun-
sero la Turchia costituendo vitali colonie mercantili in città ormai sotto il controllo
ottomano. Bruno Dini ha individuato, tra il 1447 e la fine del secolo, almeno undici
accomandite. Nel 1469, secondo Benedetto Dei, i fiorentini presenti nelle tre piazze
di maggior interesse commerciale, Costantinopoli, Adrianopoli e Bursa11, erano per lo
meno 51. Ma fu soprattutto la diplomazia di Bāyazīd II, successore di Maometto II,
che offrì a Firenze l’occasione per allargare le proprie attività commerciali in aree tra-
dizionalmente controllate dalla Repubblica veneta, dai genovesi e dai ragusei. Secon-
do una cronaca modenese, nel 1483 il sultano inviò nella Città del Giglio un suo
ambasciatore che stipulò un patto di amicizia con il quale i turchi si impegnavano ad
importare ogni anno 5.000 pezze di pannilani.12
Fu proprio in quel periodo che a Pera si costituì la nazione fiorentina, rappresen-
tata da un console (l’emino) e dotata di privilegi. Il lavoro nelle case e nei magazzini,
scandito dalle campane della Chiesa di San Michele e le garanzie giuridiche sul diritto
di proprietà regolavano la vita sociale ed economica dei nostri mercanti in Oriente.
Su quelle piazze i toscani acquistavano un’ampia gamma di prodotti: seta, sostan-
ze tintorie e mordenti, spezie, porcellane, tappeti, barracani, pietre e metalli preziosi
cui si aggiungevano merci meno raffinate come lana, cuoia e panni di produzione lo-
cale. Assai consistenti, in termini di valore, erano anche le mercanzie vendute: le im-
barcazioni che salpavano dai porti toscani o le carovane che da Ragusa giungevano in
quei mercati, portavano panni di Londra, tele d’Olanda, sapone, mandorle, anici, ma
soprattutto la più pregiata produzione tessile fiorentina. Il tratto essenziale di questi
traffici era lo scambio di tessuti di lana, serici e auroserici con la seta levantina. Em-
blematici, da questo punto di vista, sono i dati offerti dalla azienda di Giovanni Sal-
viati a Costantinopoli per il periodo 1491-1494. In quegli anni tra gli acquisti conclusi,
la seta occupava l’81,3% del valore totale, seguita dal pepe (8,41%) e dal cuoiame
(5,51%). Al contempo panni e sapone ricoprivano rispettivamente l’85,24% e il
14,17% delle vendite.13
I provveditori dell’Arte della Lana, alla fine del Quattrocento, definivano Costan-
tinopoli lo “stomaco” della produzione tessile laniera fiorentina. Hidetoshi Hoshino
11 L’importanza dei traffici con il Vicino Oriente spinse Firenze ad organizzare apposite magistrature
destinate al controllo degli scambi e delle attività con quelle zone. B. DINI, Aspetti del commercio di esportazio-
ne, cit., p. 247; IDEM, L’economia fiorentina dal 1450 al 1530, in Saggi su una economia-mondo, cit., pp. 187-214.
12 H. HOSHINO, Il commercio fiorentino nell’Impero Ottomano, cit., p. 113. Il periodo fu caratterizzato da
frequenti iniziative di consoli fiorentini, tese a far correggere atteggiamenti esosi di funzionari turchi nelle
diverse parti del sultanato. Spesso fu anche possibile ottenere alcuni vantaggi di tipo fiscale come nel caso
narrato in una lettera di Pandolfo Corbinelli. Da Pera, il fiorentino scriveva che Bāyazīd II aveva richiama-
to il suo primo Pascià con il quale i rappresentanti della nazione avevano parlato ottenendo la risoluzione di
controversie relative alla riscossione di alcuni dazi che i mercanti dovevano pagare lungo la strada di Ragu-
sa. I toscani riponevano grandi speranze nell’operato del nuovo Pascià che sembrava assai più attento del
sultano alle questioni di natura economica: Bāyazīd II infatti, secondo quanto raccontato dal Corbinelli,
«[…] voleva levare i nuovi commerci, perché il Signore s’è dato totalmente allo spirito per un giuramento
fatto quando prese la signoria […]». BNCFI, Ginori Conti, 29,25, Pera-Firenze, Pandolfo Corbinelli a Nicco-
lò Michelozzi, 24 settembre 1506, c. 1v.
13 ARCHIVIO SALVIATI DI PISA, Fondo di Costantinopoli, 397, Libro Debitori e Creditori, cc. 7, 73, 28, 38,
70, 71, 79, 82.
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ha fatto propria questa considerazione con ragioni motivate14; i dati offerti dalla cro-
naca di Benedetto Dei, seppure debbano essere accolti con cautela, assumono sicuro
valore evocativo: nel triennio 1470-1473 Firenze avrebbe inviato annualmente in Tur-
chia un numero di panni non inferiore a 7.50015 per un valore che avrebbe potuto ag-
girarsi attorno a 200.000 fiorini d’oro.16
La produzione laniera che veniva inviata era costituita da panni di garbo; ad essi,
verso la fine del XV secolo, se ne aggiunsero di qualità migliore come i sopramani17 e
quelli di San Martino; era un segno evidente che i turchi cominciavano a domandare
prodotti più raffinati. Questa capacità di assorbimento del mercato emerge dal carteggio
Medici e in particolare da una lettera del 16 giugno 1501 in cui si lamentava un insuffi-
ciente invio di pezze (90 l’anno) quando se ne sarebbero potute vendere 250 o 300.18
Ai valori di Benedetto Dei sui panni esportati si devono aggiungere le stime di
Ashtor sulle stoffe di seta che, per fare un esempio, nel solo 1474 avevano raggiunto
il ragguardevole valore di 60.000 fiorini.19
Sono note le vicende dell’Arte della Seta fiorentina e la consistente crescita delle
sue botteghe da dove uscivano tessuti raffinati e di alta qualità, in grado di contendere
14 H. HOSHINO, L’Arte della Lana in Firenze nel Basso Medioevo. Il commercio della lana e il mercato dei panni
fiorentini nei secoli XIII-XV, Firenze 1980, p. 243.
15 H. HOSHINO, L’Arte della Lana in Firenze nel Basso Medioevo, cit., pp. 269-271; IDEM, Alcuni aspetti del
commercio dei panni fiorentini nell’impero ottomano ai primi del ’500, in Industria tessile e commercio internazionale, cit.,
pp. 125-135.
16 Il calcolo è nostro. Esistono alcune stime sulla produzione quattrocentesca di panni e seterie fio-
rentini. All’inizio del secolo il livello annuo si aggirava attorno alle 10.000 pezze; nei primi decenni del Cin-
quecento la produzione si stabilizzò intorno ai 20.000 panni che divennero circa 33.000 nel 1561. Questo
standard rimase sostanzialmente stabile sino alla fine del XVI secolo. Per quanto riguarda i tessuti serici, le
relazioni dell’ambasciatore veneziano Marco Foscari rivelano che nel 1527 a Firenze si ottenevano, da 400
balle di seta, 400.000 ducati tra seterie e drappi auroserici. Per il settore laniero, il Foscari stimava in
600.000 ducati il valore prodotto che corrispondeva a 14.000 panni di garbo e 4.000-5.000 pezze di panni
San Martino. P. CHORLEY, Rascie and Florentine Cloth industry during the Sixteenth Century, in «The Journal of
European Economic History», vol. 32, n. 3, pp. 487-526; B. DINI, Aspetti del commercio di esportazione, cit., pp.
231-232; IDEM, L’industria serica in Italia. Secc. XIII-XV, in La seta in Europa. Secc. XIII-XX, Atti della “Ven-
tiquattresima Settimana di Studi” 4-9 maggio 1992, a c. di S. CAVACIOCCHI, Firenze 1993 (Istituto Interna-
zionale di Storia Economica “F. Datini”- Prato), pp. 91-123.
17 Dal nome della omonima lana castigliana con cui venivano tessuti. H. HOSHINO, L’Arte della Lana
in Firenze nel Basso Medioevo, cit., p. 275.
18 Deplorando la scarsità delle spedizioni, il corrispondente dei Medici, Giovanni Maringhi precisava
che avrebbe potuto «fare cose di fuoco» con quei panni destinati a ‘diventare seta’. HARVARD UNIVERSITY,
Baker Library Selfridge Collection, MS. Medici, 547, Pera-Firenze, Giovanni Maringhi a Piero Venturi e compa-
gni, 22 aprile 1501, c. 74v e Giovanni Maringhi a Francesco Galilei e compagni, 31 maggio 1501, c. 75r.
Alcune missive del copialettere 547 sono state tradotte in lingua inglese nel volume di G. RANDOLPH
BRAMLETTE RICHARDS, Florentine Merchants in the Age of the Medici. Letters and Documents fron the Selfridge Col-
lection of Medici Manuscripts, Cambridge 1932.
19 E. ASHTOR, Il commercio italiano col Levante e il suo impatto sull’economia tardomedievale, in “Aspetti della vita
economica medievale”, Atti del Convegno di Studi nel X Anniversario della morte di Federigo Melis, Firenze
1985 (Istituto di Storia Economica), pp. 15-63; si veda anche IDEM, L’exportation de textiles occidentaux dans le
Proche Orient musulman au bas Moyen Age (1370-1517), in Studi in memoria di Federigo Melis, I-V, Napoli 1978, II,
pp. 303-377; IDEM, The Volume of Levantine Trade in the Later Middle Ages (1370-1498), in Studies the Levantine
Trade in the Middle Ages, Londra 1978 (Variorum), pp. 573-612.
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20 Nel 1427 in città si contavano 45 botteghe dell’Arte di Por Santa Maria; alla fine del secolo ancora
Benedetto Dei ne individuava 83 che, nel 1561, dopo la crisi dell’assedio e la ripresa di metà Cinquecento,
erano diventate 86; B. DINI, L’industria serica in Italia, cit., pp. 112-113; IDEM, Una manifattura di battiloro nel
Quattrocento, in Tecnica e società nell’Italia dei secoli XX-XVI, Atti dell’undicesimo Convegno Internazionale di
studio tenuto a Pistoia nei giorni 28-31 ottobre 1984, Bologna 1987, pp. 83-111.
21 BNCFI, MS. Magl., XIII, 93, c. 21v.
22 B. DINI, L’industria serica in Italia, cit., p. 115.
23 I valori erano così composti: panni (823.16.09 fiorini), drappi serici (fiorini 1034.00.00), sapone
(fiorini 974.12.04), sete (fiorini 9007.05.02), pepe (fiorini 944.12.09), cera (fiorini 226.04.04). B. DINI, Aspet-
ti del commercio di esportazione, cit., p. 48.
24 Le sete e i cammellotti che venivano spediti da Ragusa a clienti fiorentini, erano accompagnati da
un ordine di pagamento (beneficiario il gruppo Medici di Firenze) per il valore delle merci esportate. Le
somme ottenute dalla riscossione della lettera di cambio venivano poi fisicamente trasferite nella città dal-
mata. Rari furono i casi in cui i Medici trovarono a Firenze la possibilità di rimettere tali cifre tramite lettere
di cambio. HARVARD UNIVERSITY, Baker Library Selfridge Collection, MS. Medici, 538 e 539. Di seguito sono
indicate alcune missive esplicative di questo meccanismo: manoscritto 538, Firenze-Ragusa, Francesco di
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Giuliano dei Medici a Iacopo di Giuliano dei Medici, 21 marzo 1504, c 25r.; Firenze-Adrianopoli, France-
sco dei Medici a Matteo Maestrini, 09 aprile 1504, c. 29r.; Firenze-Ragusa, Francesco dei Medici a Iacopo
di Giuliano dei Medici, 25 settembre 1505, c. 58v.
25 Hoshino sostiene che, tra il 1480 e il 1512-13 , il prezzo della seta era cresciuto di circa il 24,6%. H.
HOSHINO, Alcuni aspetti del commercio dei panni fiorentini nell’impero ottomano, cit., p. 134; E. ASHTOR, The Eco-
nomic Decline of the Middle East During the Later Middle Ages – An Outline, in Technology, Industry and Trade. The
Levant versus Europe, 1250-1500, Londra 1992 (Variorum), pp. 253-286; si vedano anche M. ÇIZAKÇA, Fi-
nancing Silk Trade in the Ottoman Empire: 16th-18th Centuries, in La seta in Europa. Secc. XIII-XX, cit., pp. 711-
722; IDEM, Price History and the Bursa Silk Industry: a Study in Ottoman Industrial Decline, 1550-1650, in The
Ottoman Empire and the World-Economy, a c. di H. İSLAMOĞLU-İNAN, Cambridge-Paris 1990, pp. 247-261.
26 Seraffo, così gli occidentali chiamavano la moneta aurea di origine egiziana ashrafî che circolava
nell’impero turco col nome di eşrefi altun; cfr. R. MANTRAN, La vita quotidiana a Costantinopoli ai tempi di
Solimano il Magnifico e dei suoi successori (XVI-XVII secolo), Milano 1985, p. 212. Stando al rapporto di cambio
con il fiorino d’oro largo di Firenze, un seraffo vecchio doveva contenere poco più di 3 grammi d’oro,
quello di Sal 2,16.
27 Spesso le rimesse venivano realizzate contemporaneamente in moneta, metallo prezioso e monili;
se poi le somme da recapitare a Firenze erano particolarmente alte si distribuivano tra più operatori addetti
al trasporto. Ne è un esempio l’invio disposto nel 1525 da Antonio Gerini a favore di Matteo Botti e dei
Capponi di Firenze, per un valore di 18.766 aspri. Carlo Carnesecchi ebbe in consegna 3 verghe d’oro del
peso di 129 miticalli e 1/3 (620,8 grammi); tramite Lorenzo Balducci se ne recapitarono 8 pezzi di 121
miticalli (580,8 grammi) e 175 ducati d’oro; per Tommaso Scarlatti si mandarono invece 2 catene, 2 anelli e
2 «smaniglie» (141 grammi complessivi), 180 ducati di Aleppo e 50 ducati d’oro di peso. A.S.FI, Libri di
commercio e di famiglia, 712, Firenze-Pera, Matteo Botti ad Antonio Gerini, 27 ottobre 1529, c. 37v. Il mitical-
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Tale fenomeno può essere colto proprio nel suo manifestarsi, analizzando i com-
portamenti di alcune aziende fiorentine tra il 1498 e il 1550. Questi i casi aziendali e
gli anni documentati: Ristoro di Averardo Serristori e compagni setaioli (1498-1510);29
Antonio Serristori e compagni battilori (1498-1515);30 Lorenzo e Filippo Strozzi e
compagni lanaioli di garbo (1503-1514);31 Alessandro e Bernardo Gondi e compagni
battilori (1510-1513);32 Erede di Francesco da Sommaia e compagni lanaioli (1518-
1522);33 Francesco e Giovambattista di Agnolo di Francesco di Iacopo Doni e com-
pagni lanaioli in San Martino (1524-1539);34 Filippo di Niccolò Capponi e Giovanni
di Niccolò Biffoli e compagni setaioli (1530-1539)35 e Giuliano di Piero di Gino
lo era un’unità di peso, usata per le merci preziose, pari a 4,8 grammi. A. MARTINI, Manuale di metrologia,
ossia misure, pesi e monete in uso attualmente e anticamente presso tutti i popoli, Roma 1976, p. 179.
28 La preferenza per il metallo giallo è facilmente comprensibile: la significativa crescita degli scambi
internazionali aveva determinato un incremento della domanda di moneta aurea in un Mediterraneo da
lungo tempo fedele all’oro. Proprio l’Impero turco rimase per tutto il XVI secolo zona dell’oro che vi
giungeva dall’Egitto dove arrivava attraverso il Sudan e l’Etiopia. L’argento al contrario era più scarso, at-
traversava le province ottomane senza fermarsi a lungo, pronto a scappare verso l’Estremo Oriente, so-
prattutto in Persia dove il suo prezzo era più elevato. C. M. CIPOLLA, La moneta a Firenze nel Cinquecento,
Bologna 1987, p. 27; H. İNALCIK, L’Empire Ottoman, cit., p. 92. Sulla questione del movimento dell’oro e
dell’argento tra Oriente e Occidente esiste una ricca bibliografia; mi limito a segnalare alcuni degli studi che
sembrano più significativi: E. ASHTOR, Les métaux précieux et la balance des payements du Proche-Orient à la Basse
Époque, Paris 1971, pp. 66 e ss.; F. BRAUDEL, F.C. SPOONER, Les métaux monétaires et l’économie du XVIème siè-
cle, in Relazioni del X Congresso Internazionale di Scienze Storiche, IV, Storia Moderna, Firenze 1955, pp. 233-264;
K.N. CHAUDHURI, Circuits monétaires internationaux, prix comparés et spécialisation économique, 1550-1750, in Étu-
des d’histoire monétaire. XII-XIX Siècles, a c. di J. DAY, Lille 1984, pp. 49-67; J. DAY, The Great Bullion Famine of
the Fifteenth Century, in IDEM, The Medieval Market Economy, Oxford 1987, pp. 1-54; IDEM, The Question of
Monetary Contraction in Late Medieval Europe, in IDEM, The Medieval, cit., pp. 55-71; F. LANE, Exportations véne-
tiennes d’or et d’argent de 1200 à 1450, in Études d’histoire monétaire, cit., pp. 29-48; F.C. LANE, R.C. MUELLER,
Money and Banking in Medieval and Renaissance Venice, 1, Coins and moneys of account, Baltimore 1985; R.C. MUL-
LER, Money and Banking in Medieval and Renaissance Venice, 2, The Venetian Money Market. Banks, Panics, and the
Public Debt 1200-1500, Baltimore 1997; U. TUCCI, Le emissioni monetarie di Venezia e i movimenti internazionali
dell’oro, in IDEM, Mercanti, navi, monete nel Cinquecento veneziano, Bologna 1981, pp. 275-316; P. VILAR, Oro e
moneta nella storia. 1450-1920, Bari 1971, pp. 38-48. Riguardo le miniere di oro e argento aurifero delle zone
centrali della Serbia, che divennero, una volta conquistate, ulteriori fonti di approvvigionamento di metallo
giallo, per l’Impero ottomano, si vedano: S. ĆIRKOVIĆ, The Production of Gold, Silver, and Copper in the Central
Parts of the Balkans from the 13th to the 16th Century, in Precious Metals in the Age of Expansion. Papers of the
XIVth International Congress of the Historical Sciences, a c. di H. KELLENBENZ, Stuttgart 1981, pp. 4170; D.
KOVACEVIC, Dans la Serbie et la Bosnie médiévales: Les mines d’or et d’argent, in «Annales ESC», 15, 1960, pp.
248-258; H. KELLENBENZ, Final Remarks: Production and Trade of Gold Silver, Copper, and Lead from 1450 to
1750, in Precious Metals in the Age of Expansion, cit., pp. 307-362.
29 ASFI, Serristori famiglia, 598, Libro azzuro segnato L, Debitori e Creditori.
30 ASFI, Serristori famiglia, 599, 600, 601, Libro azzuro segnato C, Libro paonazzo segnato D, Libro
giallo segnato E, Debitori e Creditori.
31 ASFI, Carte Strozziane, V Serie , 89, Libro Giornale e Ricordanze segnato A.
32 ASFI, Fondo Gondi, 2, Libro giallo segnato F, Mastro.
33 B. DINI, Aspetti del commercio di esportazione, cit., pp. 20-21.
34 BNCFI, Fondo Tordi, 478, Libro Grande giallo.
35 BNCFI, Fondo Capponi, Libri di commercio, 7, Libro Grande bianco segnato A. Per un quadro generale
degli scambi commerciali della compagnia Doni e di quella dei Capponi e Biffoli si veda B. DINI, Aspetti del
commercio di esportazione, cit., pp. 18-19 e pp. 29-30.
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un importo di oltre 5.000 fiorini. Tra il febbraio del 1504 e l’aprile del 1509 rientrò a
Firenze una parte di quel credito per un valore di quasi 3.000 fiorini. Esso era com-
posto da cammellotti e tappeti (64%), seta (23,3%) e da un bel cavallo baio con le sue
bardature (2,3%). Le rimesse tramite lettere di cambio furono il 5,5%, quelle in mo-
nete d’oro erano limitate al 7,32% (Tabella III).
Un quadro diverso ci viene offerto, pochi anni dopo, dal mastro della compagnia
Gondi, battilori e setaioli. Tra il luglio 1510 e il luglio 1513 essi esitarono drappi per
oltre 19.600 fiorini; una piccola parte andò a Lione e Roma, ma la maggior quantità
fu venduta in Levante per un importo di oltre 17.000 fiorini. In quello stesso periodo,
i Gondi ricevettero a Firenze valori per 15.377,22 fiorini; solo il 17,87% era rappre-
sentato dai prodotti tipici del Vicino Oriente, il 54,26% era costituito da rimesse
cambiarie, il 27,87% era in monete d’oro (Tabella IV).
Bruno Dini ha studiato il caso della azienda dei da Sommaia che nel maggio del
1522 piazzò in Levante 24 panni di garbo riscuotendo 589,94 fiorini tutti in seraffi e
ducati d’oro, salvo un giroconto di 171 fiorini (Tabella V).
Anche la compagnia dei Doni, lanaioli in San Martino, volle, in cambio dei suoi
panni, solo monete e metalli. Dalla loro contabilità emerge che, tra il settembre 1524
e il luglio 1527, essi inviarono 90 panni tra sopramani, sanmartini e saie. Di questi ne
furono venduti 63 per un valore di oltre 1.690 fiorini. Nella sezione avere del Mastro
aziendale emerge che la compagnia fiorentina ricevette, tra il settembre del ’26 e il
maggio del ’29, sacchetti di monete e verghe d’oro per 2.246,66 fiorini e un gruppo
di aspri d’argento del valore di quasi 12 fiorini. Appare evidente che una somma così
alta doveva comprendere anche il ricavato di vendite fatte in mesi o anni precedenti
(Tabella VII).
Per gli anni successivi, quelli che dalla seconda metà del Trenta giungono al 1545,
la documentazione esaminata mostra come Antonio Landi e Tommaso Scarlatti, cor-
rispondenti in Pera della bottega di Arte della Seta di Filippo Capponi e Giovanni
Biffoli, esitarono drappi serici e auroserici per circa 2.500 fiorini ed esportarono mo-
nete d’oro (25,30%) e «monete d’abaco» (28,20%). In questo caso la quota delle mer-
ci che prendevano la via della Toscana appare abbastanza elevata occupando quasi il
36% delle importazioni (Tabella IX). L’analisi interna aziendale mostra anche le prime
difficoltà che i fiorentini sentivano nei commerci verso il Bosforo: il 76,6% dei drap-
pi confezionati fu venduto a Napoli e Lione, solo il 9,6% fu destinato al Levante.42
Siamo consapevoli del valore puramente esemplificativo dei sette casi sopra evi-
denziati; per quanto pochi, essi mostrano una tendenza inequivocabile che affidava
all’oro un ruolo fondamentale nelle importazioni dal Bosforo. Sembra di capire che,
almeno nella prima metà del Cinquecento, solo l’oro abbia sostituito la seta greggia
nonostante che gli altri prodotti orientali fossero largamente richiesti e commerciati in
varie parti dell’Europa.
42 BNCFI, Fondo Capponi, Libri di commercio, 7, cc. 86s. e d., 111s. e d., 132s. e d., 170s. e d., 185s. e d.,
207s. e d., 222s. e d, 267s. e d., 279s. e d., 288s. e d.
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Il 15 marzo del 1533, Bernardo, avendo ormai concluso alcuni affari in Adriano-
poli, affidò a suoi connazionali che rientravano a Firenze,47 362 miticalli (Kg. 1,738 )
di oro sodo, 4500 aghi di Damasco, una bardatura da cavallo e alcuni piccoli oggetti.48
Due o tre giorni dopo partì per Pera dove sperava di terminare la vendita dei panni
che non era riuscito a collocare sul mercato di Edirne. Ben presto però si rese conto
che la loro fine sarebbe stata lunga, perciò decise di lasciare le saie e i sopramani a
Francesco da Magnale incaricandolo del loro spaccio.49 Al suo rientro, dopo aver fatto
trasferire a Firenze proprie somme (circa 63 fiorini) tramite giroconto, Bernardo dei
Bardi aveva con sé monete e verghe d’oro per più di 970 fiorini e un sacchetto di a-
spri del valore di oltre 31 fiorini (Tabella X). In aggiunta a tutto questo trasportò, per
conto di terzi, 11 sacchetti d’oro (circa 3.998 fiorini) e una certa quantità di merci (tra
cui Kg. 3,110 di oro filato).50
bel cordovano. Antonio Gualtieri invece domandava un tappeto da lettuccio, una pezza di «mucaiardo»
nero e una bianca, 2 seghe per tagliare legname, 4 berrettini neri di pelo di cammello e un cavallo istriano;
la moglie Lisabetta avrebbe voluto una pezza di «mucaiardo» bianco e qualche ago di Damasco. Monna
Francesca Salviati chiese alcune pezze di bambagino e tele per asciugatoi. Infine messer Calcagni, tesoriere
della Mercanzia, pagò al Bardi ben 100 ducati per un cavallo. Ibid., 455, cc. 76s. e d.
47 Si trattava di Alessandro Vernacci, Piero Canacci e Francesco e Silvestro Serristori. Ibid., 455, c. 82s. e d.
48 Per Simone di Dino Miniati acquistò 20 macramè, per Mazingo Mazinghi una bardatura da cavallo
e 3.000 aghi di Damasco; 50 berrettini di cammello e 50 di cotonino e alcuni tessuti erano invece destinati a
Pandolfo Biliotti di Ancona, Ibid., 455, c. 82s. e d.
49 Al Bardi restavano ancora da vendere 11 saia e 12 pezze di sopramani di Mazia Mazinghi, Paradiso
Mazinghi e Mazingo Mazinghi; 1 saia verde porro di messer Paradiso Mazinghi e 8 pezze di saie sopramane
di Andrea del Nero.
50 Il Bardi non si limitò a trasportare, per conto di terzi, monete e metalli preziosi; al momento della
partenza Pagolo di Vieri gli consegnò 4 «mucaiarri» doppi, alcuni ermesini e 12 paia di «beche» da recapita-
re a Girolamo da Sommaia; Giorgo Bertoli gli chiese di portare a Ragusa alcuni cammellotti destinati a
Zanobi Bertoli; anche Francesco da Magnale gli dette 2 pezze di panni di pelo di cammello per la compa-
gnia di Firenze; Andrea Peroni infine affidò al nostro mercante alcune «zacchere» per Girolamo da Som-
maia. Per suo conto, Bernardo dei Bardi aveva acquistato 2 pezze di taffettà di Bursa, tela per mantelli, 1
coltre, 4 cordovani, 4 seghe, 10 macramé, 20 berretti di cammello, 47 berretti di cotonino, 4.000 aghi di
Damasco, 7 bardature per cavalli, due di queste erano per Giovanni dei Nobili. ASFI, Venturi Ginori Lisci,
455, carte non numerate.
51 B. DINI, Aspetti del commercio di esportazione, cit., pp. 49-50.
ANGELA ORLANDI
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metalli preziosi. Un servizio, pare di capire, ben retribuito: soprattutto per l’oro sodo
a cui si applicava una tariffa doppia rispetto a quella del coniato (2,5%);52 il trasporto
degli aspri d’argento garantiva una percentuale compresa tra lo 0,5 e lo 0,75% del va-
lore spedito.53
Il percorso seguito, di terra e di mare, è ben conosciuto. La principale città di ri-
ferimento sulle coste orientali dell’Adriatico era Ragusa che ospitava un console dei
fiorentini (nel nostro periodo era Iacopo di Giuliano dei Medici). I motivi di attrazio-
ne non stavano soltanto nel suo vivace porto, approdo fondamentale per le merci che
solcavano l’Adriatico, ma anche per l’importante ruolo della sua zecca, punto di rife-
rimento dell’interscambio di monete e metalli preziosi tra Oriente e Occidente.54 Sul
litorale occidentale si trovava Ancona da dove i sacchetti di monete e metalli prose-
guivano, via terra, sino a Firenze.
Il prezioso bagaglio veniva talvolta assicurato: Tommaso di Aiolfo, corrisponden-
te dei Gondi a Costantinopoli, nel giugno del 1513 assicurò sino a Firenze 450 fiorini
con un esborso di fiorini 09.13.11 d’oro;55 Luigi di Carlo nel suo viaggio di ritorno a
Firenze assicurò oro sodo da Pera ad Adrianopoli pagando un premio di aspri 111
(fiorini 1,98 d’oro)56.
Se il contratto assicurativo tutelava il destinatario ultimo della somma, il conduttore,
dal canto suo, sentiva altrettanto forte la necessità di un attento controllo contabile ca-
pace di mostrare tanto a chi spediva come a chi riceveva, la correttezza del suo operato.
Così ad esempio Bernardo dei Bardi per gli 11 sacchetti d’oro che gli furono affidati al
momento di partire, tenne per ciascuno di essi una accurata memoria, indicandone il
marchio mercantile che identificava il gruppo, il contenuto, i nomi del mittente e del
destinatario. Giunto in Patria avrebbe fatto sottoscrivere l’avvenuta consegna.57
Quando sulle piazze di Costantinopoli e Pera non si riusciva a convertire in me-
tallo giallo le somme che generalmente si riscuotevano in aspri, i mercanti affidavano
52 «[...] di questo oro sodo questi vostri ne vogliono di porto più il doppio che dal coniato, che aviamo
questo danno più et è disonesto di modo che bisognienà fare, oggi dì, il pacto con ogniuno come co’ mari-
nai». ASFI, Libri di commercio e di famiglia, 712, Firenze-Pera, Matteo Botti ad Antonio Gerini, 21 agosto
1528, c. 22r.
53 BNCFI, Fondo Tordi, 478, c. 158d.
54 Sul ruolo e le funzioni della Repubblica di Ragusa si vedano tra gli altri: A. DI VITTORIO, Finanze e
moneta a Ragusa nell’età delle crisi, Napoli 1983; IDEM, Tra mare e terra. Aspetti economici e finanziari della Repubbli-
ca di Ragusa in Età Moderna, Bari 2001, P. PIERUCCI, Una porta verso l’Oriente. La zecca di Ragusa (secc. XVII-
XVIII), Torino 2000; Ragusa e il Mediterraneo. Ruolo e funzioni di una repubblica marinara tra Medioevo ed Età Mo-
derna, a c. di A. DI VITTORIO, Bari 1990.
55 BNCFI, Fondo Tordi, 478, c. 117s. e d.
56 ASFI, Libri di commercio e di famiglia, Appendice, 3854, c. 8r.
57 Di seguito sono riportate le scritture, esplicative del meccanismo, relative ad un sacchetto che il
Bardi doveva recapitare alla compagnia Federighi di Firenze : «Uno grupo segnato dello avanti segno dal
detto per chonsegniare in Firenzie a ’Redi di Rafaello Federigi e compagni in che dise esere ducati 35 e
serafi dua salini, valliono aspri 2165». ASFI, Venturi Ginori Lisci, 455, carte non numerate. «Noi ’Redi di
Raffaello Federighi e chompagni setaioli abiamo riceuto ogi questo dì 20 di setenbre, uno grupo bene
chondizionato il quale ci manda Giovanni Vernaci di Pera, per seguirne suo ordine e per fede del vero, io
Antonio Federighi ò fato questi versi di mio propio mano.» ASFI, Venturi Ginori Lisci, 455, c. 86d.
ORO E MONETE DA COSTANTINOPOLI A FIRENZE
993
«[…] il Turcho à fatto una grida che nissuno tragga oro o argento di sorte alchu-
na del paese, sotto pene gravissime. La qual cosa, se la va avanty, certamente sarà for-
za lassare l’Arte di Lana a molty che ci sono […]».65
Ancora Matteo Botti nell’estate del 1539, scriveva della gran quantità «di faccen-
de» che si facevano a «Schio» dove si potevano trovare tutti i prodotti orientali e so-
prattutto rilevanti quantità di grano coltivato nelle zone di Volo e Salonicco.67 Così,
assieme alla compagnia Corsi stabilita a Napoli, si organizzò per noleggiare
un’imbarcazione ragusea o veneziana da inviare nell’Isola per caricare grano e non
solo.68 Pera continuava ad essere un vivace mercato per il commercio di cuoiame,
spezie, sete e pannine, tanto che «[…] se la dura di così si faranno barba d’oro»69 pre-
cisava, forse con un po’ di invidia, il mercante fiorentino.
Un’ultima interessante considerazione si trova nelle parole di un anonimo genti-
luomo di Firenze che, da Venezia, alla fine del Cinquecento, auspicava la necessità di
recuperare al commercio i mercati orientali dove pannine, drapperie e soprattutto rasi
continuavano ad avere esito. Due o tre anni prima aveva avuto notizia da alcuni mer-
canti levantini che, proprio i rasi erano nelle loro piazze «oro rotto» per avere comin-
ciato i turchi a vestire con grande lusso e che i rasi fiorentini «[…] trapassavano ogni
altro drappo».70
Gli operatori più attenti e sensibili, percependo le nuove difficoltà, cominciavano
a valutare l’opportunità di indirizzare diversamente i loro traffici: Firenze, come ha
osservato Bruno Dini, tornava nel più tradizionale alveo di una produzione orientata
ad Occidente: Cadice, Siviglia, Valladolid, ma anche Lione e le principali città
dell’Europa centrale71 si sostituirono gradualmente ai mercati orientali. Alcune azien-
de come quella di Francesco e Giuliano dei Medici (1534-1542) e quella di Alessandro
Salviati (1538-1544) seguirono invece un percorso leggermente diverso, collocando la
loro produzione in percentuali sempre maggiori sul mercato italiano.72
Il calo delle esportazioni in Oriente fu principalmente dovuto alla graduale ridu-
zione della loro redditività, al peggioramento delle “ragioni di scambio” dei tessuti
toscani in Levante, agli oneri di una eccessiva lentezza delle contrattazioni e alla dila-
tazione dei tempi di pagamento; a tutto questo si aggiungeva la tendenziale crescita
dei costi di produzione dei manufatti dovuta alla lievitazione dei prezzi delle materie
67 Le mercanzie levantine compreso il frumento, giungevano a Chios su grandi navili turchi che face-
vano la spola tra le coste dell’Isola e quelle della Anatolia. Si ha notizia che il mercante fiorentino France-
sco Cavalcanti nel 1538 era partito da Ancona con destinazione «Scio» dove si era trattenuto un anno
costruendosi una buona fortuna. Ibid., 713, Firenze-Canaria, 07 giugno 1539, Matteo Botti a Andrea Peri,
cc. 17v. e 18r.; Ibid., 713, Firenze-Messina, Matteo Botti a Simone Corsi, 19 luglio 1539, c. 48r.
68 Ibid.,713, Firenze-Messina, Matteo Botti a Simone Corsi, 19 luglio 1539, c. 48r.
69 Ibid., 713, Firenze-Canaria, Matteo Botti ad Andrea Peri, 07 giugno 1539, c. 18r.
70 ASFI, Miscellanea Medicea, 27, III, carte sciolte, c. 1090r.
71 F. GUIDI BRUSCOLI, Drappi di seta e tele di lino tra Firenze e Norimberga nella prima metà del Cinquecento,
in «Archivio Storico Italiano», CLIX, 2001, disp. II, pp. 359-394; M. SPALLANZANI, Le compagnie Saliti a
Norimberga nella prima metà del Cinquecento (un primo contributo dagli archivi fiorentini), in Wirtschaftskräfte und Wir-
tschaftswege. Festschrift fur Hermann Kellenbenz, a c. di J. SCHENEIDER, Nurnberg1978, IV, pp. 603-620; IDEM,
Tessuti di seta fiorentini per il mercato di Norimberga intorno al 1520, in Studi in Memoria di Giovanni Cassandro,
Pubblicazioni degli Archivi di Stato, Saggi 18, Roma 1991, Vol. III, pp. 995-1016.
72 B. DINI, Aspetti del commercio di esportazione, cit., p. 25.
ANGELA ORLANDI
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prime. Anche gli alti costi di assicurazione e trasporto contribuivano a ridurre in mo-
do significativo gli utili.73.
L’azienda di battilori di Giuliano di Piero Capponi74, per il decennio 1540-1550,
vide agire in Pera due corrispondenti: Antonio Landi e Tommaso Scarlatti. Il primo
esitò 8,75 braccia di broccato di «pelo rosso a bastone» il cui ricavato fu impiegato
nell’acquisto di 12 cammellotti. Con il Nobili il rapporto fu in partecipazione per la
vendita di 53 pezze di «alti e bassi» in cambio dei quali il corrispondente ottenne 100
pezze di panni di pelo di cammello. Nelle scelte di questa azienda il Levante pare per-
dere importanza, a tutto vantaggio di altre piazze come Londra (Guido Cavalcanti),
Anversa (Giacomini e Gondi) e Valladolid (Botti e Bellotti).75 Significativa dunque la
modestia delle quantità di drappi inviati nel Bosforo e ancor più significativa è
l’assenza di un rientro in oro (Tabella XI).
Se alla metà degli anni ’20, i fiorentini allarmati avevano giudicato i divieti del sul-
tano di esportare metallo giallo come «[…] una malissima nuova a questa città, consi-
derato quanto oro hè qui, tutto viene di là, anchora che non ce n’è o pocho»,76 tre
lustri più tardi, una simile notizia non avrebbe sollevato troppe preoccupazioni: a Si-
viglia era «[…] arrivato il capitano Pizarro con gran somma d’oro, che sarà venuto in
tempo a propoxito[…]».77
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