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Seminario Master di Lessicografia moderna e contemporanea

Esercizi e applicazioni II
Italiano, Faculté des lettres et des sciences humaines

L’Adalgisa di Carlo Emilio Gadda


Quando il Girolamo ha smesso…
«Commento puntuale» ad un estratto del ‘primo vero’ «Disegno milanese»

Stefano Scandella
Maître-assistante et conseillère aux études Sandra Clerc
SP2021
Quando il Girolamo ha smesso…
Commento ad un estratto del primo ‘vero’ «Disegno milanese»; Seminario MA di Lessicografia moderna e contemporanea;
SP 2021

Indice
I. Dichiarazione d’onore...........................................................................................................................................................2
II. Cappello introduttivo ..........................................................................................................................................................3
III. Quando il Girolamo ha smesso… ...................................................................................................................................6
IV. Note ................................................................................................................................................................................... 28
V. Conclusione........................................................................................................................................................................ 41
VI. Bibliografia e Indice delle Abbreviazioni ..................................................................................................................... 42

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Quando il Girolamo ha smesso…
Commento ad un estratto del primo ‘vero’ «Disegno milanese»; Seminario MA di Lessicografia moderna e contemporanea;
SP 2021

I. Dichiarazione d’onore
«Con la mia firma, attesto di aver redatto il presente lavoro personalmente, di aver utilizzato soltanto le
fonti e i mezzi autorizzati e di aver segnalato adeguatamente le citazioni e le parafrasi».

Stefano Scandella

Friburgo, 30 agosto 2021

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Quando il Girolamo ha smesso…
Commento ad un estratto del primo ‘vero’ «Disegno milanese»; Seminario MA di Lessicografia moderna e contemporanea;
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II. Cappello introduttivo


Rispetto all’edizione ultima del 1944 de’ L’Adalgisa edita presso Le Monnier, con il sottotitolo Disegni
milanesi, nel novembre 1942 la ‘raccolta’ risulta essere, a livello macrotestuale, in uno stadio anteriore: i
‘racconti’ infatti sono soltanto otto e non dieci, mancando ancora all’appello Girolamo e Al Parco.1 Il
«Disegno» non uscì nel 1942 in «Lettere d’oggi» (promessa di Gadda che si desume da alcune lettere e
cartoline postali di Giovani Macchia allo stesso) ma bensì nel 1943 all’interno della rivista romana «La
Ruota»,2 in due puntate, nel febbraio e marzo del 43’. Girolamo è dunque tra gli ultimi due racconti a
entrare nel progetto ‘libro’ (sebbene poi venga collocato come primo «Disegno», se si esclude il
contestato, dalla critica, Notte di luna), e il blocco narrativo preponderante di cui fa parte deriva da Un
fulmine sul 220 (ben cinque ‘disegni’ sono qui presenti in nuce),3 in particolare dal primo capitolo La crisi
domestica. Un’operazione di recupero, questa, di pochissimo anteriore alla stesura delle note di tutti i
racconti, le quali sono spesso spolverate linguisticamente di fiorentinismi esibiti, come ad allegorizzare la
distanza dell’autore (fattosi fiorentino e a Firenze scrivente) dalla sua materia milanese.4

Sia il ‘primo getto’ sia i capitoli stesi tra il 1932 e 1935 lasciano intravedere un’evanescente trama
romanzesca che coinvolgeva questi tre personaggi: Elsa, la giovane moglie dell’attempato nobiluomo
Gian Maria Cavigioli (o Caviggioni), una donna infelice ‘dall’anima attediata’; sua cognata Adalgisa, una
popolana che impersona lo spirito pragmatico delle donne lombarde, dalla mentalità predisposta a
favorire l’avventura extra-coniugale di Elsa; e, infine, Bruno, ex-garzone di macelleria, assunto come
lucidatore di parquet in casa Caviggioni, dove ha modo d’incontrare la moglie del padrone. Il racconto
prende l’avvio dall’improvviso fallimento di una rinomata impresa di pulizie domestiche, peripezia che
comporta una serie di conseguenze anche per il clan dei Cavenaghi, i quali «si trovano a dover affrontare
una crisi dei servizi delle più angosciose».5 La defezione degli operai e quella di Girolamo Zavattari, in
particolare, è riflesso del crack bancario, che coinvolge numerose imprese e famiglie. Va rilevato che la

1 Cfr. C. E. GADDA, L’Adalgisa, a cura di C. VELA, Milano, Adelphi, 2012, pp. 348-349: «[…] un indice manoscritto, autografo
di Gadda, conservato nel Fondo Citati […] all’altezza non casuale del 14 novembre 1942 […] stila un “Elenco dei racconti”
dove per ognuno indica numero d’ordine, titolo, numero di pagine previste: 1 Notte di Luna 7; 2 Claudio disimpara a vivere
9; 3 Quattro figlie ebbe e ciascuna regina 24; 4 Strane dicerie contristano i Bertoloni 30; 5 I ritagli di tempo 12; 6 Navi
approdano al Parapagàl 20; 7 Un concerto di 120 professori 35; 8 L’Adalgisa 53».
2 Cfr. ivi, p. 357, lettera del 16 marzo 1943 di Mario Meschini (direttore della rivista «La Ruota»), in cui manifesta le reazioni

suscitate dal racconto in questione: «Il tuo racconto del Gerolamo ha avuto molto successo, e peccato che a Milano ora abbian
da pensare a altre cose, che riandare ai ricordi del passato, sennò la Ruota si sarebbe acquistato un pubblico di milanesoni
incalliti».
3 C. E. GADDA, Romanzi e racconti, I, a cura di R. RODONDI, G. LUCCHINI, E. MANZOTTI, Milano, Garzanti, 1988 (1990 2), p.

843 e inoltre cfr. G. GÜNTERT, Satira sociale e male di vivere: I Disegni milanesi di Carlo Emilio Gadda, Zurigo, ZORA (Università di
Zurigo), 2014, pp. 2-3: «Nel 1988, anno in cui usciva il primo volume delle Opere, le carte autografe del romanzo Un fulmine sul
220 – abbozzato da Gadda fra il 1932 e 1935 e matrice di almeno cinque dei suoi “disegni milanesi” - erano irreperibili […]».
4 Cfr. P. ITALIA, Glossario di Carlo Emilio Gadda ‘milanese’. Da «La meccanica» a «L’Adalgisa», Alessandria, Edizioni dell’Orso,

1998, p. XI: «A Milano, nonostante gli allontanamenti dovuti alla guerra e al lavoro ingegneresco, Gadda abita fino al 1940
[…], anno in cui si trasferisce a Firenze, dove rimane fino al 1950 […]».
5 Cfr. G. GÜNTERT, Satira sociale e male di vivere: I Disegni milanesi di Carlo Emilio Gadda, p. 8.

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scomparsa della ditta «la Confidenza» rappresenta simbolicamente una generale crisi di fiducia nei
confronti della serietà borghese e degli istituti di credito: essa modifica il modo abituale di concepire le
relazioni fra padroni e subalterni incrinando lo status quo della borghesia, la quale s’illudeva di aver regolato
definitivamente questo genere di rapporti.6 La svolta socio-economica è dunque la causa nel racconto di
quell’autoregolazione dello ‘spirito’, per dirla con Hegel, che attraverso la ‘storia’ si modifica in continui
rivoltamenti di classe sociale e di volontà individuali, della continua evoluzione della dialettica tra servo e
signore: in questo caso della relazione di dipendenza tra i lucidatori di parquets e le ‘giudiziosamente mature
signore’.

Il testo, denso di allusioni storiche, ci offre rispettivamente i termina post quem (1848, l’anno dei moti
rivoluzionari europei) e ante quem (1929, l’anno della grande crisi economica) del tempo della storia
prefissato da Gadda: sono frequenti i rinvii alla Grande Guerra e alle funeste conseguenze che essa ebbe
nel tessuto sociale del paese. Se il romanzo mostrava un preciso intento satirico, di letteratura militante,
nel suo stadio iniziale («Vorrei essere il Robespierre della borghesia milanese: ma non ne vale la pena»7
scrive Gadda nel ’34 ad Ambrogio Gobbi, in piena lavorazione del Fulmine), nello stadio finale poi edito
a stampa, dieci anni dopo, «quando la tragedia della guerra aveva completamente modificato la fisionomia
del paese e delle sue classi sociali»8, il racconto assume le forme di una vendetta postuma, consumata su
una classe sociale trasfigurata dalla guerra e in parte scomparsa.

Per quanto riguarda il registro linguistico adottato da Gadda, Paola Italia segnala che «Non sono stati
registrati nel Glossario molti aulicismi di largo uso nel linguaggio letterario […] sono perlopiù cultismi
del linguaggio poetico che contribuiscono ad elevare visibilmente il tasso di letterarietà della prosa
gaddiana».9 Questo è sicuramente un dato analitico, ma va evidenziato che, in ogni occasione, il termine
letterario è immesso in una ambientazione tematico-linguistica che gli fa assumere una funzione grottesca,
tutt’altro che esteticamente canonizzata: il «suggestivo lirismo»10 è sempre immerso in una patina di
comicità. Tra le maggiori fonti per l’estratto de’ Quando il Girolamo ha smesso… qui considerato troviamo
D’Annunzio e Dante: dall’uno l’autore milanese trae ispirazioni per i lessemi raffinati (i cosiddetti vocabula
pexa), dall’altro la capacità di intercalare registri di grado differente.

Inoltre, traspare dalle pagine di questo racconto (insieme alle correlate note posizionate post-
narrazione) un interesse smanioso per la storia (franco-napoleonica e non solo): la confusa realtà odierna
è spesso paragonata ad eventi del passato, i quali si distendono lungo una linea del tempo non lineare

6 Cfr. G. GÜNTERT, Satira sociale e male di vivere: I Disegni milanesi di Carlo Emilio Gadda, p. 8.
7 GPI, p. CVII.
8 Ibid.
9 GPI, p. XX.
10 Ivi, p. XI. Inoltre a p. XIX aggiunge: «si potrebbe definire eterostilistico, realizzato concretamente mediante un uso strumentale

degli aulicismi in funzione parodica».


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(l’idea dell’eterno ritorno nietzschiano). In questo modo l’autore osserva la città di Milano: e nella sua
invettiva satirico-elegiaca (pp. 306-08) e nella descrizione delle battaglie lombarde (pp. 338-39);
l’incoronazione stessa di Napoleone Bonaparte ha come personaggio principale il Duomo di Milano,
«[…] quell’allora baraccone dalla facciata incompiuta: che aveva falde di tetti provvisori un po’ per tutto»,
che inerte come i suoi cittadini non può fare altro che fornire «rese di grazie all’Altissimo per quel bel
regalo di regno», senza possibilità di sottarsi alla impietosa macchina della Storia.

L’estratto presenta una prima sequenza che narra del periodo precedente al fallimento della
«Confidenza» (ditta specializzata nella lucidatura di parquets a domicilio): inizialmente troviamo una
descrizione delle pulizie svolte dai dipendenti «carrucolatori» della impresa milanese; poi, in un secondo
momento, l’esposizione ironica circa il singolare rapporto confidenziale che è venuto ad instaurarsi negli
anni tra gli operai della Confidenza e le loro clienti, le eleganti signore borghesi. All’interno di queste due
sequenze diegetiche è inserita una digressione “elegiaco-satirica”, la quale segna il confine tra il periodo
che precede e che segue il fallimento della ditta milanese. Segue una ripresa del tema soltanto accennato
nella prima sequenza, ovvero il fallimento della «Confidenza», e la descrizione del conseguente periodo
di crisi per l’impresa e per le famiglie che facevano affidamento su di essa, tra le quali, i coniugi Elsa e
Gian Maria Cavenaghi.

I criteri per la redazione del commento sono stati scelti in base alle osservazioni acquisite grazie alle
discussioni seminariali e secondo la regola aurea del servizio del testo: in questo caso è stato favorito il
modello di «commento puntuale»,11 preferendo dunque la completezza dell’analisi piuttosto che la
selezione sintetica, ritenendo che il lettore sia in questo modo meglio accompagnato nella comprensione
al testo gaddiano, e che egli possa in modo indipendente decidere se l’approfondimento in nota lo
interessi o meno (si escludono dunque evidentemente le note di chiarificazione della lettera, invece
imprescindibili).

11D. DE ROBERTIS, Commentare la poesia, commentare la prosa, in Il commento ai testi. Atti del Seminario di Ascona, 2-9 ottobre
1989, a cura di O. BESOMI e C. CARUSO, Basel-Boston-Berlin, Birkhäuser, 1992, p. 172.
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III. Quando il Girolamo ha smesso…12


A lucidare i parquets,a in casa Cavenaghi,13 era sempre venuta14 la «Confidenza»,15 come in tante altre case,
del resto. Be’…. le migliori di Milano…. Ossia, venuta….Inviava ne’ debiti giorni i suoi agenti
specializzati: i quali, benché a primo saluto li si sarebbe detti dei vecchi brumisti,b16 di quelli facili ad
appisolarsi in serpa17 dentro un baverone18 d’un tabarro,19 bentosto invece si rivelavano animati da una
bonarietà operosa20 e conclusiva: in un tramestìo21 senza scampo funzionari impareggiabili di Babilonia.22
Alunni, e de’ più sagaci e scaltriti, di Hermes carrucolatore: ch’è un tipo quant’altri impavido di tutta la
celeste combriccola.23

12 Il testo è stato ricopiato fedelmente (compresi gli spazi tra i paragrafi) secondo la versione stabilita in C. E. GADDA, Romanzi
e racconti, I, a cura di R. RODONDI, G. LUCCHINI, E. MANZOTTI, pp. 299-310.
13 Il «Disegno», fin dal suo stadio iniziale di Un fulmine sul 220, mostra subito il suo preciso intento satirico ma allo stesso

tempo, come già indicato nel cappello introduttivo, «una testimonianza, un referto ironico e grottesco, mosso dalla dolorosa
nostalgia di un tempo passato, di una “Milano disparsa” che lo scrittore non ritrova più, non riconosce più come luogo
dell’anima (“La forme d’une ville – change plus vite, hélas! Que le coeur d’un mortel”) (cfr. GPI, p. CVI). «Cavenaghi»: nella versione del
Fulmine ‘Caviggioni’, chiosato con «sbucato, gran fortunato» (ivi, p. CVIII).
14 L’iteratività del verbo al trapassato prossimo è importante: sottolinea una situazione iniziale di stabilità rispetto al

conseguente «quarantotto». Gadda sceglie i parquets come primo elemento tipico della borghesia milanese data la loro estrema
diffusione, come puntualizza lui stesso nella nota (a): «Culto (religioso) dei parquets a Milano: 1890-1915».
15 Il nome dell’impresa di pulizie è una anticipazione dei colloqui tra lavoratori e le signore ‘per bene’ che si svolgeranno lungo

il racconto. La «Confidenza» (il bisticcio nel nome, voluto da Gadda, suggerisce al lettore la fondamentale importanza nel
racconto della tematica della relazione stretta tra le signore e gli operai) sembra non limitarsi alla sola ripulitura della casa, e
dunque ad un rapporto strettamente professionale: l’operaio diventa «lucidatore-confessore». La connotazione allusiva del
termine sarà più tardi resa esplicita dall’autore stesso (vd. n. 67).
16 Cfr. GPI, p. 44, s. v. «brumista»: inizialmente riporta la nota d’autore gaddiana (b) «vetturino, conduttore di brùmm ossia

“brougham” (inglese); che è carrozza chiusa a un cavallo», poi rimanda a PIERO GADDA CONTI, Le confessioni di C. E. Gadda,
Milano, Pan, 1974 [lettere, biglietti, ecc. scritti da C. E. Gadda al cugino Piero Gadda Conti], («Conf. 11»): «Devo andare a
Roma nel pomeriggio e tornarmene a Terni dopo la mezzanotte, sporco come un carbonaio e stanco come un cavallo di
brumista». Nella sezione «Regesto del milanese», p. 291, s. v. «brùmm» indica: «Nota forma di vettura chiusa a quattro ruote,
d’uso anche nel servizio di piazza. […] genere di vettura messo in moda da Lord Arrigo Brougham, letterato, storico e politico
inglese».
17 Cfr. GPI, p. 240, s. v. «serpa»: «“cassetta a due posti riservata al cocchiere”, lemma registrato anche in TB e FANF, sebbene

sia indicato come regolare soltanto l’allotropo toscano “serpe”, usato anche da Manzoni nel Fermo e Lucia, che cade poi nei
Promessi Sposi».
18 Cfr. DEMA, s. v. «bavero» per «baverone»: «uso comune, risvolto intorno al collo di un cappotto, un mantello, una giacca e

simili».
19 Cfr. GPI, p. 259, s. v. «tabarrello» per «tabarro»: «“bellimbusto, gagà”, in sineddoche dal milanese tabarrèl: “mantelletto,

mantellino”».
20 Una buona disposizione all’agire, che gli renderà degni d’essere, ironicamente, alunni di Hermes (Mercurio).
21 Cfr. DEMA, s. v. «tramestìo»: «uso comune, “movimento rumoroso e disordinato di cose o persone”».
22 Cfr. GPI , p. 28, s. v. «babilonia»: riporta l’indicazione fornita dal GDLI: «confusione, disordine», e del FANF: «si ode dir

continuamente a significare gran disordine e confusione così nelle cose pubbliche, come nelle private». Inoltre il GDLI cita
proprio questo passaggio gaddiano ad esempio, dando in questo caso al lemma il significato di: «luogo di disordine e corruttela;
confusione, mescolanza eterogenea e inestricabile».
23 Cfr. C. R. COLLEVATI, Leggende e tragedie della mitologia greca, Bologna, Monduzzi, 1998, p. 69: «Hermes aveva uno spirito

ameno! Allegro, affettuoso, sapeva accattivarsi la benevolenza di tutti. Con le sue risate, le sue gentilezze si faceva perdonare
ogni cosa, e in realtà vi erano molte cose che necessitavano dell’indulgenza altrui, perché Hermes era anche bugiardo e ladro
e godeva, con molta malignità, del disappunto che provocava. […] conquistò un posto sull’Olimpo che nessuno mai gli
contestò. Fu ricercato e incaricato delle mansioni di fiducia più delicate: fu, di volta in volta, nunzio di pace o di guerra; sempre
pronto all’inganno o allo scherzo […] eseguì gli incarichi in un modo così perfetto da ottenere ufficialmente il titolo di
messaggero divino». Il mito di Hermes o Ermete (presente originariamente nella letteratura greca all’interno dell’Iliade e
dell’Odissea omerica) è ripreso fortemente dalla tradizione letteraria italiana (cfr. RVF, XXIII, vv. 72-80 in F. PETRARCA,
Canzoniere, a cura di P. VECCHI-GALLI, Milano, BUR, 2012, p. 161) a sua volta derivato da quella latina (cfr. Metam. II, vv. 680-
707, in OVIDIO, Le metamorfosi, a cura di G. ROSATI, G. FARANDA-VILLA, R. CORTI, Milano, BUR, 2010, Vol. I, pp. 148-51)
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Ardeva in loro uno zelo muto, il tacito seme del ribaltamento.c24 Ponevan l’occhio a ogni cosa: la mano,
dopo l’occhio. Tanto che, dinamizzàndoli l’afflato del dio, in un battibaleno avevano bell’e che messo a
soqquadro tutta casa: seggiole, cuscini, tavolini, lettini: la chincaglieria del salotto e il bazàr25 del salone, e
la pelle d’orso bianco con il muso disteso e gli unghioni rotondi (che solevano gracchiare sul lucido
appena pestarli), e i comò e i canapè e il cavallo a dóndolo del Luciano, e il busto in gesso del bisnonno
Cavenaghi eternamente pericolante sul suo colonnino a torciglione:26 e bomboniere27, Lari,28 leonesse,
orologi a pendolo, vasi di ciliegie sotto spirito, orinali pieni di castagne secche, il tombolo di Cantù29 della
nonna Bertagnoni, rotoli di tappeti e batterie di pantofole snidate da sotto i letti, e tutti insomma gli
ingredienti30 e gli aggeggi della prudenza e della demenza domestica: dapprima scaravoltati gambe all’aria,

dove sono rappresentate rispettivamente la figura di Hermes e del pastore Batto). Gadda affianca qui alla figura di Hermes
aggettivi in accordo alla rappresentazione fornitagli dalla tradizione letteraria preesistente (per l’astuzia di Hermes cfr. G.
LOZZA, Il racconto del mito, in ID., Hermes. Il Dio dell’astuzia, Milano, RCS, 2018, pp. 15-77): ‘sagace’, ‘scaltrito’ (in riferimento
agli alunni), ‘impavido’ dati i suoi compiti (esecutore della volontà di Zeus) nei rispetti della cosiddetta ‘celeste combriccola’
(ovvero gli dèi dell’Olimpo, identificati tramite un registro basso). Sorprendente e innovativo è invece il riferimento ad Hermes
come «carrucolatore»: in GPI, p. 54, s. v. «carrucolatore», l’aggettivo è indicato con «imbroglione, ingannatore, […] ma vale
anche in riferimento all’attività degli operai della ditta “La Confidenza”, che trascinano fuori casa (carrucolano) i mobili», come
in effetti viene descritto nel paragrafo seguente.
24 Cfr. la nota d’autore (c): uno dei casi, rispetto alle due precedenti più ‘moderate’, in cui la nota di Gadda più che aiutare nella

comprensione della lettera del testo la complica, ampliandosi in una nuova prosa. L’espressione «seme del ribaltamento» si
può forse legare all’ardore dei carrucolatori alunni di Hermes, in quanto GPI, p. 239, s. v. «semenza» indica: «progenie, stirpe,
aulicismo di uso già dantesco, ripreso poi da D’Annunzio»; dunque abbiamo la prova che qui l’autore prosegue il paragone
(evidentemente ironico) con la scaltrezza del Dio-messaggero e dei suoi alunni del paragrafo precedente. Lo stesso vale per
«dinamizzàndoli l’afflato del Dio», dove è sempre Hermes ad ispirare il lavoro degli operai della ditta nel «carrucolare» in modo
efficiente (Cfr. L. BIONDETTI, Dizionario di mitologia classica, Milano, Baldini-Castoldi, 1997, p. 260: «Nelle Opere e giorni di Esiodo
Zeus ordina a Ermes di ispirare in Pandora […] un’indole scaltra». Va notata forse anche l’allusione ad un ipotetico ‘seme
rivoluzionario’ presente in modo potenziale in ogni classe sociale minoritaria (qui la classe lavoratrice rispetto alla borghesia);
seme potenziale in questo caso attualizzato dai lucidatori che migliorano la loro ‘considerazione sociale’ passando dall’essere
apparenti «brumisti» a infaticabili «carrucolatori».
25 Cfr. DEMA, s. v. «bazar»: «luogo pieno di oggetti ammassati alla rinfusa»; assieme a «chincaglieria del salotto» «bazàr del

salone» forma un perfetto parallelismo (sostantivo e complemento di specificazione), scelta d’ornamento retorico-sintattico in
contrasto con il significato dei due sostantivi sinonimici e con l’elenco pressoché infinito di oggetti ‘decadenti’, che
simboleggiano il valore delle nobili famiglie ormai surclassato.
26 Cfr. ivi, s. v. «tortiglione» per «torciglione»: «termine specialistico (architettura); oggetto, elemento avvolto a spirale […]

lavorato a tortiglione»; tipo di colonne utilizzate ad esempio dal Bernini per quelle del baldacchino della Basilica di San Pietro
in Vaticano.
27 Cfr. ivi, s. v. «bomboniera»: «uso comune, piccola scatola, vasetto o altro contenitore per dolci, specialmente per i confetti

che si offrono in occasione di matrimoni, comunioni, ecc.».


28 Cfr. ivi, s. v. «larario»: «termine specialistico (archeologia); in Roma antica, parte della casa riservata al culto dei Lari», e ivi, s.

v. «lare»: «anche con iniziale maiuscola, antica divinità romana, protettrice del focolare domestico, identificata con l’anima di
un antenato defunto».
29 Cfr. ivi, s. v. «tombolo»: «termine specialistico (artigianato); cilindro imbottito che serve da supporto per la produzione a

mano di trine e merletti: pizzi al tombolo [….], il merletto stesso eseguito con tale strumento». Il tombolo di Cantù potrebbe
dunque riferirsi al tipico pizzo del comune in provincia di Como.
30 Per l’utilizzo di termini culinari (analogamente di temi) e la tipica conseguente commistione di stili nella tradizione letteraria

cfr. M. LEONE, Cibo e poesia: qualche esempio tra Pulci e Ariosto, in «L’Idomeneo», a. XX (2015), pp. 75-84, a pp. 75-76: «[…] in
alcuni generi di registro stilistico-lessicale ‘comico’ o ‘basso’ di età medievale, nei quali la ricezione di tali argomenti trova una
sua legittimazione retorica e convenzionale […]. Anche il genere più alto dell’epica […] dominii nei quali l’immissione del
corporeo e del materiale e del cibo e della gastronomia si manifesta in modo calcolato, con finalità dissacratorie, antifrastiche
e parodistiche e con l’idea di opporre un controcanto, rovesciato e caricaturale, alla linea della poesia ufficiale […]» (a titolo di
esempio per le rappresentazioni popolari dell’inferno, e del comico medievale in genere cfr. D. ALIGHIERI, Commedia, a cura
di A. M. CHIAVACCI-LEONARDI, Bologna, Zanichelli, 2014, p. 370: «Non altrimenti i cuoci a’ lor vassalli|fanno attuffare in
mezzo la caldaia|la carne con li uncin, perché non galli (Inf., Canto XXI, vv. 55-57)». Per un noto impiego moderno di tale
strategia con tendenze al grottesco e all’orripilante cfr. E. MONTALE, Il sogno del prigioniero (in G. CONTINI, Letteratura dell’Italia
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poi simultanati,31 razionalizzati in una nuova e capovolta ragione, in una nuova e mirabile, per quanto
imprevedibile, sintassi.32
Cigolanti poltrone carriolavano33 stridendo a barricar34 gli anditi e i quarantottati passaggi,35 o si davano
a rincorrere le quattro altre carrùcole36 della inopinata37 «ottomana della Teresa»,38 che però questa qui
viaggiava su certe sue rotaie speciali inventate e fabbricate apposta per lei, nel 1847, un anno prima del

unita, Milano, BUR, 2012, pp. 969-70: «e vende carne d’altri, afferra il mestolo|anzi che terminare nel pâté|[…]farcitore o
farcito. L’attesa è lunga, (vv. 15-16, 34)».
31 Cfr. GPI, p. 243, s. v. «simultanare» : «Neoformazione verbale […]. Intende riferirsi parodisticamente alle teorie letterario-

pittoriche sviluppate in ambito futurista, e in particolare da Marinetti, che sostenevano la simultaneità tra impressione ed
espressione, resa linguisticamente mediante le “parole in libertà”». Lo stesso neologismo ricorre nelle prime battute di Incendio
in via Keplero: «[…] neppur Sua Eccellenza Filippo Tommaso Marinetti avrebbe potuto simultanare quel che accadde […]» (G.
CONTINI, Letteratura dell’Italia unita, p. 1211). Rilevante è la definizione fornita dal VLI, s. v. «simultaneismo»: «non comune;
procedimento narrativo […] consistente nel presentare, con abili giustapposizioni, nella loro contemporaneità fatti che
succedono parallelamente».
32 Il paragrafo confluisce in una descrizione per enumerazione della casa milanese-borghese tipica, nella sua decadenza e nella

sua «prudenza e demenza» (borghese-conservatrice): inizia su un tono più leggero ma già ben ironico grazie all’utilizzo dei
diminutivi («cuscini, tavolini, lettini»), insiste sulla inutilità e confusione con «chincaglieria e bazàr», attacca con gli eccedenti e
sovrabbondati «pelle d’orso bianco […] comò, canapè, cavallo a dóndolo del Luciano ecc.». La descrizione delle pulizie
domestiche, inserita per la pubblicazione su rivista, può alludere in realtà ad un contesto storico importante (da comprendere
per capire nella sua essenza le intenzioni di Gadda): «[…] formulato in modo tale da poter evocare, nel contempo, la storia di
Milano, dai tempi di Napoleone agli albori del Novecento. L’indispensabile ribaltamento dei mobili, dapprima capovolti, poi
scaraventati “gambe all’aria” prima di essere disposti in un nuovo ordine, fa pensare a una rivoluzione innocua e salutifera,
poiché solo domestica. Essa allude però, al tempo stesso, alla vera rivoluzione: a quella che i borghesi milanesi avevano saputo
realizzare nelle eroiche Cinque Giornate del 1848, anche se oramai si accontentano di commemorare le conquiste liberali, da
veri conservatori che sono. Non a caso si evocano, in questo contesto, i “quarantottati passaggi” e il busto del “bisnonno
Cavenaghi”, del patriarca, “eternamente pericolante” sul suo “colonnino a torciglione”: pericola, quel busto, non solo perché
la casa è stata invasa dagli operai (i quali, in teoria, potrebbero fare loro la rivoluzione!), ma anche perché ogni ordine paterno,
nell’immaginazione di Gadda, appare instabile» (Cfr. G. Güntert, Satira sociale e male di vivere: I Disegni milanesi di Carlo Emilio
Gadda, pp. 31-32). Sulla conclusione con «[…] nuova e mirabile, per quanto imprevedibile, sintassi» cfr. ivi, pp. 8-9:
«Nell’abbozzo [Un fulmine sul 220] l’accenno ai trambusti causati dalla polizia domestica comprendeva solo poche righe,
concludendosi con “[…] razionalizzati in una nuova sintesi”. La sostituzione con un termine proprio del codice retorico-
grammaticale […] conferma […] il carattere autoriflessivo del testo riveduto, il nuovo ordine [vedi la nota d’autore (c) che
preannunciava il ribaltamento] dei mobili configura anche l’imprevedibile movimento della scrittura gaddiana».
33 Cfr. GPI, p. 54, s. v. «carriolare» per «carriolavano»: «muoversi cigolando e stridendo (come una carriola), neoformazione

denominale». Nel GDLI è riportato, escludendo un altro caso, soltanto l’esempio gaddiano.
34 Inizia qui l’ apparizione di tessere lessicali appartenenti al campo semantico della guerra: «barricar»; «linea di colonne»;

«battaglioni»; «Campo di Marte».


35 Cfr. GDLI, s. v. «andito»: «Passaggio, o locale stretto e lungo che serve di disimpegno o di comunicazione fra altri ambienti»;

il TB, s. v. «andito»: «dal verbo andare, tragitto stretto e lungo che unisce stanze disgiunte, o stretto e breve corritojo fra due
muraglie a uso di passare». Cfr. GPI, pp. 218-19, s. v. «quarantottato» : «rivoluzionato, messo sottosopra, neoformazione
aggettivale da “quarantotto”», e nel GDLI per lo stesso lemma viene indicato: «L'anno 1848, i moti insurrezionali e
rivoluzionari, volti all’affermazione di principi nazionali, liberali […]» e per estensione «Situazione d’emergenza, confusa e
incontrollabile».
36 Cfr. DEMA, s. v. «carrucola» per «carrucole»: «dispositivo per sollevare pesi, costituito da una ruota girevole scanalata in cui

scorre una fune».


37 Cfr. ivi, s. v. «inopinato»: «basso uso; inatteso, impensato» e cfr. TB, s. v. «inopinato»: «cosa che non si credeva avvenisse, o

non come o quando essa avvenne […]sentimento non fermo, assenso debole».
38 Nella inoltrata metafora rivoluzionaria Gadda attua un distinguo: se il 1848 è effettivamente l’anno rivoluzionario

(simboleggiato nello spostamento delle poltrone attualizzato dagli operai della «Confidenza»), vi è una classe preferenziale di
«quattro altro carrùcole» che viaggia su «rotaie speciali […] fabbricate apposta»: l’identificazione precisa di questo riferimento
(assieme a «“ottomana della Teresa”») non è intuitivo e forse può essere tralasciato. Ciò che importa è segnalare come la
costruzione delle ferrovie in quegli anni fosse effettivamente uno sforzo tecnico notevole supportato dall’ideale politico di una
futura Italia unita (cfr. A. GIUNTINI, L’evoluzione della tecnologia ferroviaria e le grandi linee, in Ferrovia e società. Il centenario delle Ferrovie
dello Stato, a cura di M. CENTRA, Bologna, il Mulino, 2006, pp. 129-46). Inoltre, si segnala l’utilizzo del «che» polivalente,
elemento tipico del linguaggio orale e colloquiale.
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Commento ad un estratto del primo ‘vero’ «Disegno milanese»; Seminario MA di Lessicografia moderna e contemporanea;
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Quarantotto: rotaie a snodo39, di legno lucido e de’ più duri, da poterne reggere l’incredibile quintalato.40
O si affiancavano, le poltronacce, in linea di colonne, in anticamera, come ansimanti battaglioni per tutto
il Campo di Marte.41 Battaglioni di zie.42
I43 più conservativi armadi, i più caparbi credenzoni, si diceva subito «toh! è riuscito a smòverlo!»44
Magari di poco: però quel tantino che bastasse a nettar della45 «lana»d le retrostrutture normalmente
inaccesse.46
Questi specialisti della «Confidenza», non di rado amareggiati da un vecchio dispiacere che gli
vagabondava nella schiena o nel collo, uno un po’ furbo47 ci avrebbe divinato «tendenze reumatiche», in
quel collo e in quel dispiacere: o magari l’ «habitus reumatico»: o addirittura un reumatismo.48 Questi

39 Cfr. DEMA, s. v. «snodo» per «rotaie a snodo»: «termine specialistico (meccanica); dispositivo articolato con cui si ottiene
l’accoppiamento o il collegamento mobile, in senso rotatorio o traslatorio, fra due elementi rigidi di un congegno […]».
40 Cfr. GPI, p. 219, s. v. «quintalato»: «peso enorme, uso estensivo di quintalata: misura e peso di un quintale»; il GDLI ne

precisa l’origine dallo spagnolo quintalada.


41 Cfr. GDLI, s. v. «Marte»: «[…] nella mitologia, antico dio italico e romano, considerato fin dalle origini sotto l’aspetto di

guida-fondatore e dio delle guerre dai popoli dell’Italia centrale […]. Per metonimia, l’attività bellica, la guerra». Nel nostro
caso è interessante anche l’indicazione, fornita sempre dal GDLI, s. v. «Campo di Marte» : «spianata adibita alle esercitazioni
militari; campo marzio […]»; cfr. TB, s. v. «Campo di Marte»: «non solo in Roma, ma dopo Parigi in altre città. Il luogo degli
esercizi militari». Va sottolineato che il lessico guerresco o è accompagnato da aggettivi satirici (i «battaglioni» sono «ansimanti»)
o i membri stessi di questo fantomatico esercito sono ridicoli (dalle «poltronacce» alle «zie»).
42 Sicuramente con l’intento di rendere il paragone militare ancora più ridicolo (cfr. D. ALIGHIERI, Commedia, p. 376: «[…] ma

prima avea ciascun la lingua stretta|coi denti, verso lor duca, per cenno;|ed elli avea del cul fatto trombetta» (Inferno, Canto
XXI, vv. 137-39); sia nel caso in cui si intenda «zie» semplicemente per (cfr. DEMA, s. v. «zia»): «sorella di uno dei genitori»,
che per «titolo di rispetto che si dà alle donne anziane» (regionalismo meridionale).
43 In questo caso «i più conservativi armadi» e «i più caparbi credenzoni» non sono il soggetto della proposizione (come

l’utilizzo dell’articolo determinativo -i- invece della preposizione articolata -dei- potrebbe inizialmente lasciare supporre), bensì
gli elementi che vanno a comporre il complemento di specificazione.
44 La prima voce d’un personaggio del «Disegno» che arriva al lettore è mimetica al parlato, ma non ancora intensamente

riflesso del dialetto milanese come si troverà in seguito.


45 Come in precedenza (vd. n. 43) va riformulata la struttura sintattica per riavvicinarsi al ‘grado zero’ grammaticale: l’utilizzo

della preposizione articolata (tra «nettar» e «lana») in luogo dell’articolo può confondere leggermente il lettore, il quale deve
comprendere che l’atto di pulizia consiste nell’eliminare la polvere presente in aree dei mobili difficilmente accessibili
(ipoteticamente una costruzione del tipo: ‘nettare la lana dalle retrostrutture normalmente inaccesse’).
46 Cfr. nota d’autore (d), in questo caso d’utilità per la comprensione letterale del termine «lana»: «[…] soffice e grigio

intrinsecarsi di polvere e di peluzzi […]». Lo stesso significato si ritrova indicato dal DEMA, s. v. «lana»: «peluria che si stacca
in fiocchi lanuginosi da panni o abiti quando si spazzolano o si battono e bioccolo di pelo misto con polvere che si forma
specialmente sotto i mobili o negli angoli». Nel paragone continuato tra rivoluzione domestica e rivoluzione dei popoli, il
«nettar della “lana”» indica un’operazione di svecchiamento (politico) all’interno di zone poco esposte e poco considerate
(nella pulizia domestica, nella società del tempo): sono infatti i «conservativi armadi» ad essere spostati quel tanto che basta
per raggiungere le zone che prima essi occupavano; quelle stesse zone a cui in precedenza, alla classe sociale non dominante,
era impossibilitato l’accesso.
47 L’utilizzo del pronome indefinito maschile «uno» assieme alla locuzione avverbiale «un po’» ricalca fortemente il linguaggio

dell’oralità; lo stesso vale per l’impiego di «furbo» (che ricorda l’espressione proverbiale ‘fare il furbo’) invece di possibili
alternative sinonimiche più neutre (acuto, astuto).
48 Una climax nel suo insieme specialistica e ironica: dal reumatismo tendenziale ed estemporaneo all’ «habitus» (prelievo dal

latino d’un termine entrato nell’uso e adoperato da Gadda a scopo ironico, cfr. GPI, p. LXIX), e infine («addirittura») al
«reumatismo» (culmine nella scala di intensità del dolore, come confermato dal DEMA, s. v. «reumatismo»: «denominazione
generica di sindromi dolorose riferite alle articolazioni, ai tendini, ai muscoli, alle ossa)». Spesso nell’autore milanese questo
inserimento di termini latini porta con sé la funzione di un momentaneo innalzamento stilistico, per rendere più efficace il
successivo abbassamento (in questo caso è il contesto ad abbassare il registro, oltre alla scelta d’un lessico stravagante accanto
a quello tecnico-specialistico della medicina: «amareggiati»; «vagabondava»; «divinato»). Ironica è anche la descrizione degli
operai della «Confidenza» in opposizione alle padrone di casa milanesi: i primi sono «adusi alle virtù del Piemonte» e «coevi di
Cavallotti», le seconde sono caratterizzate da un’ «umanità pronta e vividamente lombarda» e sono capaci di offrire soltanto
«casalinghi guiderdoni», in uno scambio di ruolo sociale e di habitus alimentare.
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Umbertoni del buon vecchio tempo, coevi di Cavallotti,49 sotto i gran baffi rotondi gli si era annidato un
vago sospetto50 di acquavite di Piemonte. Viceversa, l’umanità pronta e vividamente lombarda51 di
qualche padrona lasciava mescer52 loro in cucina, a opera finita, un qualche onesto bicchier di vino:
magari53 accanto a un pane, a un bel piatto di minestra con le cótiche:54 di cui poi fuoruscisse l’osso, non
integralmente vedovo55 della su’ ciccia, d’una costola bovina: d’un bue vero,e di Casalpusterlengo, di
Sannazzaro, o di Valeggio.56 Era allora che si poteva riscontrare come qualmente57 quei baffi, adusi58 alle
virtù del Piemonte, non fossero alieni tuttavia, nella magnanimità59 loro, dall’inumidirsi di più casalinghi

49 In riferimento a Felice Carlo Emanuele Cavallotti, «nato il 6 ottobre 1842 a Milano, […] tipico rappresentante della
democrazia lombarda» (cfr. Dizionario biografico degli italiani, a cura di A. G. GARRONE, Roma, Istituto della Enciclopedia Italiana,
1979, Vol. XXII, s. v. «Cavallotti, Felice Carlo Emanuele»). Gli Umbertoni sono invece gli operai stessi, come si ripeterà anche
più tardi in una lista di nomi tipici: «Questi Eligi, Anselmi, Umberti, o Girolami»; l’identificazione del referente è confermata
dalla ripetizione anaforica del pronome dimostrativo: «Questi specialisti»; «Questi Umbertoni».
50 Per il significato letterale cfr. DEMA, s. v. «sospetto»: «minima quantità»; ciononostante il sintagma «vago sospetto» risulta

maggiormente ironico se lasciato nella sua dimensione metaforica, in quanto si riferisce alla traccia di grappa volgarmente
stazionante sotto i baffi degli «specialisti» (come altrettanto volgare è l’immagine dell’ «inumidirsi» degli stessi).
51 Le prime descrizioni delle signore che ‘assistono’ gli operai ci immettono in una situazione caricaturale: la loro umanità (nel

senso di empatia) è infatti «pronta», e come sarà nelle scene gaddiane successive, essa è, nella sua essenza (nella sua lingua),
«vividamente lombarda». La stessa scena è nel suo insieme tendente al grottesco: la signora lombarda permette all’operaio di
mangiare e bere, mentre gli confida le sue paure. Il campo semantico culinario tende ancora, come detto in precedenza, a fare
convergere il racconto nel comico.
52 Cfr. ivi, s. v. «mescere»: «versare da bere […] specialmente in riferimento al vino».
53 L’utilizzo dell’avverbio «magari» e la formazione del complemento oggetto attraverso la ripetizione «a un» e «a un bel»,

insieme all’ «onesto» precedente, ricalcano il linguaggio orale (sebbene non ancora il dialetto milanese).
54 Cfr. GPI, p. 77, s. v. «cótica»: «“cotenna di maiale”, dal milanese códega».
55 Nel senso di «rimasto privo di qualche cosa» (cfr. DEMA, s. v. «vedovo»).
56 In questo caso la nota d’autore (e) può essere utile alla comprensione: «“D’un bue vero”, cioè non toro o vacca. Di squisita

carne ossia polpa, dalla campagna padana tradotto in carretta apposita fino al macello milanese. Mentreché di Croazia e
d’Ungària, per ferrovia, vecchie e fibrose femmine: o maschi tigliosamente resistenti alla masticazione». Casalpusterlengo,
Sannazzaro e Valeggio sono tutti comuni lombardi, tra Milano e Pavia. Il rimando dell’autore al suo stesso Una mattinata ai
macelli è significativo («Vedi: “Una mattinata ai macelli”, di penna dello scrivente»): «La città chiede bovi, porci e vitelli a chi li
ha saputi allevare. Grossi autocarri li sbarcano dalla verde provincia, da Cremona, da Mantova, da Stradella, dal Lodigiano,
dall’Emilia e dal Veneto: qualche carretta lunga, con uno o due capi, arriva di qui presso. Partiti avanti l’alba con dodici capi,
e dodici dentro il rimorchio, ecco già si spalancano sulla banchina; e ne fuorescono sull’ammattonato i fessìpedi a ritrovare la
luce, la sicurezza ferma del suolo» (cfr. C. E. GADDA, Una mattinata ai macelli, in «The Edinburgh Journal of Gadda studies»,
Milano, Garzanti, 1988-93, pp. 1-13). Una nota al testo ci fornisce maggiori indicazioni (ivi, n. 4): «Secondo il vecchio costume
dei milanesi, il macellaio vende a credito, alle famiglie agiate: l’acquisto giornaliero viene segnato (marcàa) in un quadernuccio
rilegato d’una teletta di poco prezzo, nera o rossa o azzurrina; sul fronte, impressa in oro, una testa di bue cornutissimo. Il
regolamento del conto si fa a ogni fine mese. Il quadernuccio si chiama el librett, ed è uno dei pochi libri che ornino di lor
presenza le case degli agiati lombardi».
57 Cfr. DEMA, s. v. «qualmente»: «avverbio con valore di congiunzione (obsoleto); “come, in che modo”»; il TB ne conferma

l’utilizzo pleonastico: «Modo familiare, Come qualmente, pleonasmo che pronunziasi quasi tutt’una voce, e ha certi sensi del
semplice Come o Qualmente».
58 Cfr. GPI, p. 9, s. v. «aduso»: «“abituato”, forma non registrata dai vocabolari, probabile contrazione del raro adusato (usare,

adoperare)»; il lemma («adusato») è presente nel GDLI, il quale indica l’utilizzo del termine da parte di Boccaccio nel Decameron;
il TB ne segnala il disuso.
59 In sineddoche, i baffi (gli operai) sono qui ridicolizzati attraverso uno stratagemma retorico non ancora incontrato:

l’innalzamento del registro linguistico attraverso vocaboli appartenenti alla tradizione letteraria italiana («adusi»; «virtù»;
«magnanimità»; «guiderdoni») completamente inconveniente (nel senso puntuale di convenientia tra tema e forma non rispettata)
al tema culinario (come già ribadito, di tradizione comica). L’operaio viene così paragonato ad un «magnanimo», termine di
memoria dantesca e anche delle più ‘cittadine’ croniche del Compagni e del Villani (cfr. GDLI, s. v. «magnanimo»: «Che si
distingue per la grandezza e la nobiltà dell’animo, per l’elevatezza dell’ingegno, per la purezza dei sentimenti […]»). In clausola
del periodo Gadda raggiunge uno tra i più alti gradi di commistione tra tradizione e satira della borghesia milanese:
dall’ «inumidirsi» dei baffi del «magnanimo» operaio al casalingo «guiderdone», termine tipico della grande tradizione lirica
stilnovista (cfr. ivi, s. v. «guiderdone»: «Ricompensa (materiale o morale) attribuita secondo il merito; contraccambio»).
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guiderdoni. Il regno di Babilonia residuava60 quell’osso: lindo lindo: in una lindura generale.61
Muniti ad armacollo62 d’una fascia di cuoio stralucida, che gli reggeva sulla culatta63 e sul fianco la
cassetta-armadio64 piena di ingredienti e d’intingoli (con cera e feltri e paglia di ferro e pennelli),65 la
cassetta era campita in un bel giallo color sabaglione,66 dove leggevasi curiosamente una bellissima per
quanto un po’ cogliona qualità dell’animo umano, la «Confidenza»,67 Via Andegari n. 42 o Via Pattari 43,68
piano tale, telefono tanto. Arrivavano discreti, nelle ore discrete: carichi del loro arsenale a bandoliera.69
Avevano insomma tutto il necessario, salvo lo spazzolone, e compreso però un paio di pantaloni ad hoc:70
con ginocchi rinforzati, e con via il 70% dei bottoni davanti.
Questi pantaloni, intendiamoci, non erano i loro pantaloni abituali: checché!..... erano un vero e
proprio «ferro del mestiere».71 Sicché, appena entrati, la prima cosa era mutarsi d’abito, o più
propriamente di pantaloni, in loco: cioè in un cantone72 di cucina, non forse il più buio. (Così come usa

60 Cfr. GPI, p. 222, s. v. «residuare»: «“lasciare qualcosa come residuo”; formazione verbale denominale da “residuo”»; il GDLI
riporta un esempio gaddiano sebbene da un’altra opera (Scritti dispersi); la voce all’infinito è lemmatizzata anche dal TB (come
termine in disuso).
61 Con «Regno della Babilonia» si collega questo momento del «Disegno» a quello iniziale, in cui gli operai della «Confidenza»,

lucidatori di parquets, venivano paragonati a «funzionari impareggiabili di Babilonia». La ripetizione di «lindo» («lindura» è
termine attestato nei dizionari ma indicato come ‘di basso uso’), invece, oltre che puntualizzare nuovamente il collegamento
agli operai-lucidatori ridicolizza nuovamente il tono (quasi in un linguaggio fanciullesco o infantile), descrivendo la totale
operazione di pulizia (nei confronti però della cotenna, piuttosto che del parquet).
62 Cfr. DEMA, s. v. «ad armacollo»: «locuzione avverbiale; a tracolla, in modo che scenda diagonalmente da una spalla fino al

fianco opposto».
63 Cfr. ivi, s. v. «culatta»: «basso uso; parte posteriore dei pantaloni».
64 L’armamentario da lavoro dell’operaio viene sarcasticamente contaminato da altri campi semantici: la «cassetta» è anche

«armadio», ripiena non di attrezzi da lavoro ma di «ingredienti» e di «intingoli» (il mondo culinario è tra i più utilizzati come
fonte di termini ad uso comico in questo «Disegno milanese»; intingolo è «salsa o sugo con cui viene condita o cucinata una
vivanda» oppure, per estensione, «manicaretto, vivanda gustosa», cfr. ivi, s. v. «intingolo»).
65 Dopo il paragone culinario, sono elencati i veri attrezzi dell’operaio-lucidatore: «cera»; «feltro» (cfr. ivi: «feltro della

lucidatrice, ovvero quell’elettrodomestico munito di dischi di feltro o spazzole che ruotano velocemente, utilizzato per lucidare
i pavimenti»); «paglia di ferro» (cfr. ivi: «lana di acciaio»); «pennelli».
66 Cfr. GPI, p. 229, s. v. «sabaglione»: «“zabaglione”, italianizzazione del milanese sabaiòn, in grafia fonetica; è registrato dal

GDLI con rimando secco (senza alcuna annotazione ulteriore) a “zabaglione”». Dunque simile al ‘giallo senape’.
67 Viene svelata in modo esplicito la connotazione del termine scelto per la ditta di lucidatori di parquets: la confidenza come

qualità dell’animo umano «bellissima» e «un po’ cogliona» (con evidente abbassamento di registro), a sottolineare l’ironia verso
le signore milanesi che trovano negli operai i loro confidenti e confessori.
68 Entrambi le vie sono realmente esistenti nella zona centrale della città lombarda, l’una accanto al Teatro della Scala l’altra al

Duomo di Milano (loci questi pienamente borghesi). Oltre a queste indicazioni realistiche, le indicazioni generiche «piano tale»
e «telefono tanto» fanno assumere al tono del discorso una sfumatura ironica, portata avanti dalla ripetizione del termine
borghese per eccellenza (forse assieme a grigiore o medietà, termini cardine ad esempio nel Moravia de’ Gli Indifferenti): la
«discretezza».
69 Cfr. DEMA, s. v. «a bandoliera» : «a tracolla», variazione sinonimica dell’espressione precedente «muniti ad armacollo».
70 Va sottolineato, qui una volta per tutte, come le espressioni latine non siano mai segnalate graficamente (corsivo) o messe

in evidenza e si confondano allo stesso livello dell’italiano e delle espressioni regionali e dialettali; in questo caso, ad hoc è
termine latino d’uso molto frequente nell’italiano standard.
71 Queste puntualizzazioni di quelli che sarebbero in realtà dei semplici indumenti ‘da lavoro’ hanno l’effetto di ridicolizzare

la scena, con una punta finale («non forse il più buio») che preannuncia il sottotesto ‘erotico’ che sarà presente nelle prossime
scene tra signora e operaio. Per l’attenzione ai vestiti (e alla relativa identificazione in una classe sociale) cfr. Notte di Luna: «I
fabbri, i meccanici, i conducenti vestono talora combinazioni di tela turchina, ma poi fatte nerastre per fuliggine e limatura
[…]. Le bretelle, rare, perlopiù si rivelano un po’ vecchie e sudate […]. Grosse scarpe!, i muratori e gli operai di campagna
[…] (C. E. GADDA, Romanzi e racconti, I, a cura di R. RODONDI, G. LUCCHINI, E. MANZOTTI, pp. 294-95)».
72 Cfr. DEMA, s. v. «cantone»: «angolo di un edificio o di una stanza».

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il muratore in baracca, a lato il mestier suo,73 ch’è il guazzo e il cucchiarare74 della fabbrica). Mentreché le
donne di casa, lasciate le padelle, si ritraevano al guardaroba occupandosi in diverse attenzioni: preda,
comunque, di quell’impercettibile e vaghissimo disagio, a non opinare orgasmo, che tanto soavemente
inerisce, in circostanze simili, alla delicata sensitività dell’anima femminile.75

Ma76 tutt’a un tratto, che è, che non è,77 la «Confidenza» aveva amaramente deluso le vecchie famiglie,
le vecchie case: e le non dirò vecchie ma giudiziosamente mature signore78 che, adorne79 di
sardanapaleschi80 orecchini da 50.000 lire l’uno (detti nel Sàlgari «nocciuole di brillanti»),f81 avevano a lei
confidato lor anima, «tanto bisognosa di appoggio». In manus tuas, Domine, deposui animam meam.82

73 Cfr. DEMA, s. v. «a lato»: con il significato di «vicino a» il dizionario indica il termine come letterario, fornendo l’esempio
di Boccaccio; per «mestier» indica la possibile accezione ironica del termine quando riferito ad un comportamento abituale,
oppure anche l’eseguire senza ispirazione, con mera perizia esecutiva, delle azioni.
74 Cfr. GPI, p. 79, s. v. «cucchiarare»: «nome verbale; “prendere con il cucchiaio, portare con il cucchiaio alla bocca”. La

neoformazione si ispira al lombardo cügiarada “cucchiaiata” e al romanesco e belliano cucchiaro». Per «guazzo» cfr. ivi, p. 139:
«“acqua stagnante” e anche, per estensione, “limo, fango” oppure “liquidito caduto e sparso per terra” (termine registrato dal
GDLI in Dante e Petrarca)».
75 Inizia qui la ridicolizzazione con tratti ‘erotici’ (consci e inconsci; vd. l’amore extra-coniugale tra Elsa e l’ex-garzone Bruno

in Un Fulmine sul 220) delle signore milanesi: se prima era descritto l’operaio nell’atto di cambiarsi i pantaloni (l’ «abito») «in
loco» e «in un cantone di cucina, non forse il più buio», qui troviamo l’altra parte della coppia, ovvero la signora, che passa
dall’essere la casalinga che si occupa delle «padelle» all’essere preda dell’ «impercettibile e vaghissimo disagio» che tocca in
modi simili la «delicata sensitività dell’anima femminile»: è questo ancora soltanto un presentimento rispetto al vero
vagheggiamento-sogno dello ‘stupro’ (sebbene anche solo dell’orecchio e dei suoi «brillanti») che si teme e si desidera allo
stesso tempo (a riguardo di questa idiosincrasia passionale - tra eros e thanatos - si rimanda il lettore agli scritti freudiani più noti,
in particolare Al di là del principio di piacere). Per «opinare» cfr. GPI, p. 191: «“pensare”, di cui è variante letteraria prediletta da
Gadda». Questa allusione alla «delicata sensitività dell’animo femminile» (in apparenza generale) è probabilmente meglio intesa
se riferita soltanto alle signore borghesi in questo contesto, e non a tutto il mondo femminile.
76 Qui inizia una nuova sezione del racconto, segnalata anche (secondo l’edizione) visivamente da uno spazio ulteriore per il

nuovo paragrafo (la cesura è segnalata inoltre dal «ma» avversativo). Ad incipit del racconto Gadda utilizza, nei confronti della
frequenza dell’episodio narrato, l’iteratività «era sempre venuta la “Confidenza”»; qui invece l’evento cade in modo singolativo
ed ex abrupto: «Ma tutt’a un tratto, che è, che non è, la “Confidenza” aveva amaramente deluso le vecchie famiglie». Il crack
bancario viene qui però menzionato (non in modo esplicito, riferendosi soltanto ad una ‘delusione’) senza, per ora, nessuna
spiegazione ulteriore; infatti l’autore riprende poi subito il racconto della relazione tra signora e operaio. La menzione del
fallimento sarà ripresa soltanto da p. 309.
77 Cfr. DEMA, s. v. «che è che non è»: «senza motivo apparente, improvvisamente».
78 Si sottolinea l’ironia del passaggio: l’aggettivo «vecchio» viene ripetuto in riferimento a «famiglie» e a «case», mentre per le

signore il giudizio è costruito artificiosamente tramite litote: «non dirò vecchie ma giudiziosamente mature».
79 L’innalzamento di registro (il DEMA registra «adorno» come letterario; il GDLI ne segnala l’uso, fra gli altri, da parte di

Guinizzelli, Dante, Petrarca, Tasso, D’annunzio) ha, come spesso in questo «Disegno», la funzione di ridicolizzare la pretesa
‘nobiltà’ delle signore e la loro ricchezza spropositata.
80 Cfr. GPI, p. 231, s. v. «sardanapalesco»: «lussuoso e dissoluto come i costumi dell’antico re assiro Sardanapalo».
81 Oltre alla nota di Gadda (f), cfr. G. BASCHERINI, L’avventura come rimedio. Le debolezze del liberalismo italiano in Emilio Salgari, in

«Costituzionalismo.it», a. XIV (2017), fasc. I, pp. 1-23, a p. 4: «Lʼopera di Salgari […] si colloca in quel passaggio tra Otto e
Novecento che segna un tornante decisivo per la storia dʼItalia e dʼEuropa, come testimoniano le diverse aggettivazioni che
definiscono quella stagione a seconda della prospettiva da cui la si osserva. Dell’industrializzazione, della crisi dello Stato
liberale, della Belle Époque, della corsa all’Africa. Di questa transizione, nel contesto italiano, i romanzi di Salgari riflettono una
serie di importanti conflitti e interrogazioni, tra delusioni tardo risorgimentali, prime espansioni coloniali e nascente
industrializzazione […]». Per l’immagine dei «nocciuoli di brillanti» cfr. E. SALGARI, I romanzi dei pirati della Malesia, Milano,
BUR, 2011, p. 120: «Quella fanciulla era coperta letteralmente d’oro e di pietre preziose d’inestimabile prezzo. Una corazza
d’oro, tempestata dei più bei diamanti del Golconda e del Guzerate, decorata dal misterioso serpente colla testa di donna […];
molteplici collane di perle e di diamanti grossi come nocciuole, le pendevano dal collo […]».
82 Questa parte sottolinea fortemente l’ironia tra i confessori-operai della «Confidenza» (assimilati qui pienamente a degli

ecclesiastici tramite l’inserimento del latino, il quale però assume una funzione simile a quella del latinorum di Don Abbondio
ne’ I promessi Sposi) e la signora «tanto bisognosa d’appoggio»; «In manus tuas, Domine, deposui animam meam» ricalca l’ «In
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Quando il Girolamo ha smesso…
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SP 2021

I loro quarantasei emmezzo, verso le cinque e tre quarti, si benignavano, poi forse compiacevano, di
sostare un attimo, poi magari indugiare un micolino, a una certa caritatevole condiscendenza, indi poco
a poco illuminata familiarità, nei confronti «anche» della «gente del popolo».83 Il «buonasera, Anselmo»84
largito al passaggio pioveva giù85 dal fastigio di una pellicciosa e margaritante regalità, come sguardo di
eccelsa Teodora o di Caterina allo scriba genuflesso; poi però veniva aprendosi e sgranandosi86 in un più
impegnato contrasto di sensi, e talvolta in una chiacchieratina, (se dava il caso), pèna denter de l’ üss:87
tutta insorgenze filantropiche e larghezza di antichi pareri.88 O addirittura in uno scambio di vedute sul
panorama totale del mondo: «disèmela kì intra de nün, cara el me Giròlom, ona volta l’eva minga come
al dì d’inkoeu….»89 Oh! quest’è certo, a’ begli anni che loro ne avevano diciassette tutto era color di rosa,
il mondo, come vaporato dal languido sogno d’una adolescente, vellutato d’una sua pubere aurora:

manus tuas Domine commendo spiritum meum» (Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito) in Lc. 23:46, cfr. La Sacra Bibbia,
Unione Editori Cattolici Italiani (UECI), Roma, Edizioni Paoline, 1983: questo è l’apice della Passione di Cristo, il momento
della sua morte; il suo inserimento in questa posizione è evidentemente in enorme contrasto con il menzionato bisogno
«d’appoggio» della signora milanese.
83 Il periodo illustra il progressivo avvicinamento d’una rappresentante della classe sociale più elevata a quella della «gente del

popolo»: inizialmente i «loro quarantasei emmezzo» (indicando probabilmente, tramite sineddoche, il peso estremamente lieve
delle signore; riguardo invece all’età saranno descritte più tardi come «sessantaseienni», cfr. p. 304) si «benignavano» (cfr. GPI,
p. 34, s. v. «benignare»: «“degnare o degnarsi”, e rimanda al FANF: “per compiacersi, degnarsi non sappiamo se sia voce più
barbara che ridicola. Eppure certi omenoni dicendola si pensano di parlare in punta di forchetta”»), indicando dunque un
rapporto ancora asimmetrico. Successivamente le signore si «compiacciono» (sebbene soltanto «forse») della sosta, e infine,
dopo aver indugiato per «un micolino» (cfr. GPI, p. 173. s. v. «micolino»: «breve lasso di tempo, attimo, istante» e cfr. DEMA
che lo registra come regionalismo toscano), si giunge ad una «caritatevole condiscendenza», accompagnata da «illuminata
familiarità» (illuminato ricorda anche ironicamente la lucidatura del parquet, cfr. p. 304: «[…] tra il cervello della condiscendenza
illuminante e quello finalmente illuminato del lucidatore di parquets»), ovvero il livello di relazione necessario per far sì che
abbia inizio la confessione della signora.
84 Il saluto per nome proprio ironicamente «elargito» è segno della acquisita familiarità di cui si parla nel periodo precedente.
85 Il registro colloquiale (vd. deittico «qui») rende l’innalzamento successivo, «fastigio» (cfr. DEMA: «termine specialistico;

“parte superiore di una struttura”» oppure in accezione letteraria: «cima, sommità») ancora più grottesco. La «regalità», descritta
attraverso gli aggettivi ironici «pelliciosa» (cfr. GPI, p. 201: «neoformazione aggettivale denominale da “pelliccia” più il suffisso
“-oso”; “sontuoso, nobilitato da pelliccia”») e «margaritante» (cfr. GPI, p. 168: «ingioiellato»; e cfr. GDLI, il quale «attesta
quest’unico esempio gaddiano», segnalando inoltre come «“margherita” sia termine in disuso e letterario per “perla, gemma”»)
comporta un ritorno, quantomeno parziale, dell’asimmetria nella relazione tra operaio e signora. Questo ritorno è evidente
nella comparazione della signora a «Teodora» (forse intendendo la Teodora imperatrice di Bisanzio e moglie di Giustiniano)
e a «Caterina» (forse riferendosi a Caterina II di Russia, conosciuta come Caterina la Grande e uno dei più significativi esempi
di dispotismo illuminato). Ad entrambe le figure storiche (grandi condottiere dello Stato) parrebbe appropriato assegnare la
caratteristica dello sguardo eccelso allo «scriba genuflesso» (in questo caso l’operaio).
86 Termine utilizzato con intento ironico, al di fuori del suo contesto d’origine, cfr. DEMA, s. v. «sgranandosi»: «togliere dal

baccello i semi delle leguminose».


87 Dalla posizione asimmetrica di «regalità» si ritorna alla «familiarità», questa volta sottolineata dalla prima intromissione

marcata del dialetto milanese: «pèna denter de l’üss» significa ‘appena dentro la porta’ (cfr. GPI, p. 340, s. v. «üss»). La
dimensione più familiare del dialogo è simbolicamente legata all’entrata dalla porta di casa.
88 La costruzione sintattica fortemente colloquiale e i termini impiegati danno un forte senso di ironia: la «chiacchieratina»

presenta paradossalmente come tema di discussione temi tutt’altro che leggeri (sebbene solo in apparenza): «insorgenze
filantropiche» (cfr. DEMA, s. v. «insorgenza»: «manifestazione improvvisa») e «larghezza» (cfr. GDLI: «disposizione a donare,
a concedere con benignità o con facilità») di «antichi pareri». Dall’alto della sua presunta nobiltà d’intelletto la signora può
dunque guidare la conversazione con l’operaio.
89 Da intendere: «Diciamolo qui tra di noi, caro (cfr. GPI, p. 294, s. v. «cara»: «aggettivo invariabile per maschile e femminile,

singolare e plurale») il mio Girolamo, una volta non era mica come al giorno d’oggi». Oltre a notare l’acquisita simmetria nella
relazione tra i due parlanti, va sottolineato come il primo tema presentato da Gadda attraverso la lingua dialettale sia tra le
questioni più comuni di ogni tipico dialogo di paese: la cosiddetta ‘sindrome dell’età dell’ oro’.
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un’albicocca90 insomma, una spera91 da ballo «Amor».g92


In quel punto, in quel trapasso di luci, annusando soddisfatte l’odorino della cera fresca evidenziato
dal dolce tepore della casa, amavano discendere dalla degnazione alla conversazione, dalla conversazione
alla confidenza,93 coi vecchi Braghenti o Baruffaldi94 della «Confidenza» di Via Pattari;95 dopo la paura
vespertina96 del rincasare all’incontro del lókk.h97
«El m’à guardàa i brilànt’98….» (El lókk). Questi sessantenni coi ginocchi rinforzati99 che gli
pantofolavano e strusciavano per tutta casa dalle undici in poi, sissignora, fedeli all’uscio, implacabili come
il destino: ogni martedì e venerdì. Questi Eligi, Anselmi, Umberti, o Girolami,100 «di cui ci si poteva
pienamente fidare».101
«Madonna, madonna!.... El m’à guardàa i brilànt’….»102

90 Forse ad intendere, in senso lato, la dolcezza esasperata del «sogno».


91 Cfr. GPI, p. 249, s. v. «spera»: «“sfera”, aulicismo già di uso dantesco».
92 Il tempo d’una volta vagheggiato liricamente dalla signora viene qui ironizzato, descritto da Gadda come un tempo in cui il

mondo era «tutto rosa», come «vaporato» (cfr. ivi, pp. 272-73, s. v. «vaporare»: «“evaporato”, in forma aferetica registrato dal
TB, […] termine letterario e poetico frequente nella tradizione tardo-ottocentesca») dal «languido sogno», in iperbato (cfr.
DEMA, s. v. «languido»: «per estensione, di qualcuno che ha un atteggiamento di tenero e sensuale abbandono, di dolcezza
molle»), un sogno che è «vellutato d’una sua pubere aurora» (una «aurora» che «“è giunta alla sua pubertà”, prediletto aulicismo
gaddiano usato già da D’Annunzio», cfr. GPI, p. 215, s. v. «pubere»). Gadda fornisce nella sua nota (g) una parziale
contestualizzazione storica: «Due balletti fantasmagorici (Teatro alla Scala, 1900-1910) furono “L’Amor” e l’ “Excelsior!”». I
due esempi non sono scelti casualmente: il Ballo Excelsior è un “gran ballo” di Luigi Manzotti su musica di Romualdo Marenco,
e porta con sé l’intento di esaltare la scienza e le sue scoperte, più in generale tutto il positivismo ottocentesco (cfr. V.
MORSELLI, Il gran ballo Excelsior. Sinossi, Milano, Dino Audino, 2018, pp. 3-6); riguardo a “L’Amor” invece, cfr. GPI p. 249, s.
v. «spera», che ne attesta la presenza in Ore di città, del poeta Delio Tessa: «L’Hänsel e Gretel lo diedero col ballo Amor, e i
loggionisti a commentare: “Dan l’ungel e gràttel con tutt l’amor!”».
93 Nuovamente la relazione è rappresentata attraverso una climax convergente verso la confidenza e la familiarità.
94 Cognomi degli operai, ripetuti anche poco più sotto.
95 Vd. n. 68.
96 Cfr. DEMA, s. v. «vespro»: «ora del tramonto, crepuscolo della sera».
97 Cfr. nota di Gadda (h): «“Lókk”: (dialetto milanese): balordo, stordito, avventato: poi anche bravaccio: e oggi teppista e, più,

malvivente […]; Probabile derivazione dallo spagnolo “loco” = pazzo, e anche sventato»; invece nel GPI, p. 311, s. v. «lókk»:
«balordo, anche sbalordito e sbadato, e alla voce»; inoltre cfr. ivi, pp. 156-57, s. v. «locco»: «“sciocco, stupido”, riportato dal
FANF con croce d’arcaismo e seguito dal TB». Per una interpretazione dell’inserimento di questo personaggio nei sogni delle
signore borghesi Cfr. G. GÜNTERT, Satira sociale e male di vivere: I Disegni milanesi di Carlo Emilio Gadda, p. 11: «Mentre la
rappresentante della borghesia appare in armoniosa congiunzione con l’esponente del ceto operaio, in un momento sublime
che suggerisce un’atmosfera da perfetta pace sociale, nei pensieri di entrambi compare la figura minacciosa dell’aggressore:
che si tratti del teppista, dell’anarchico o del ribelle, siamo sempre di fronte a un individuo escluso dal patto sociale e, appunto
per questo, pronto a sovvertirlo».
98 Cfr. GPI, p. 290, s. v. «brilànt»: mi ha guardato «gli orecchini con brillanti». Gli stessi oggetti sono presenti anche in più

d’una scena della Cognizione del dolore: «Ma le vecchie, nelle buie contrade dell’inverno, gli si strappano i brillanti dai lobi […]»
(C. E. GADDA, La cognizione del dolore, a cura di E. MANZOTTI, Torino, Einaudi, 1987, p. 119, n. 128); e in seguito nella nota si
fa riferimento proprio a questo passaggio: «“El m’a guardàa i brilànt… ecc.”, dove riceve ampio svolgimento la “idea soprana
[…] che i truci figuri […] li avessero criminosamente concupiti”». L’inserimento in seguito entro parentesi del soggetto da cui
dipende l’esclamazione rende la scena ancora più teatrale «(El lókk)».
99 Vd. la descrizione a p. 303 degli indumenti da lavoro e la n. 71.
100 I nomi propri stanno ad indicare tutto l’insieme dei collaboratori della «Confidenza» (sineddoche); lo stesso vale per «i

Baruffaldi-Braghenti» poco più sotto.


101 Vi è qui in modo esplicito l’opposizione tra fidati operai (confidenti delle signore) e il « lókk» che aleggia minaccioso nei

pensieri di quest’ultime.
102 Da intendere: «Madonna, madonna! mi ha guardato gli orecchini con brillanti» («brilànt» è sineddoche per orecchini con

brillanti).
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Verso sera, a opera finita, a cótica deglutita,103 i Baruffaldi-Braghenti non ricusavano di porgere
orecchio, gratis, e con un cespuglio di peli rotondi104 fuor dall’orecchio stesso, alla rincasante matrona.105
Una perfetta identità di punti di vista (etico-sociali) si stabiliva allora tra il cervello della condiscendenza
illuminante e quello finalmente illuminato106 del lucidatore di parquets. Una specie di nodo alla marinara107
avvinceva le due anime, una fune gittata da bordo a bordo, che noncurasse la disparità di bordo.108 Idee
e idee, pareri e pareri, si trasfondevano dal castoro alla casacca, raggiungendo in civica simbiosi una
edificante cognazione d’affetti.
E, infine, lamentati i mali del mondo, adempiuto il periplo109 delle cose che non vanno, ecco, alfine, «i
mè brilànt!» La idea soprana e ossedente110 che i truci111 figuri del crepuscolo, nella via solitaria, li avessero
criminosamente concupiti112 all’incontro, almen quelli, i brillanti!
«I mè brilànt» e la paura-speranza113 di sentirseli un dì sradicar d’orecchio – con eventuale lacerazione
del lobo – da una mano virilmente predatrice, sono una delle più ghiotte, segrete immaginative 114 della
gentildonna che risfólgora in brillanti; del suo narcisismo un po’ masocone115 esasperato dal presagio della

103 La stessa situazione era già stata descritta a p. 302: «magari accanto a un pane, a un bel piatto di minestra con le cótiche».
104 Immancabile inserimento d’una nota grottesca nella descrizione fisica dei confessori.
105 Qui inserita con intento d’ironia, la «matrona» rappresentava, «in Roma antica, donna maritata o vedova appartenente a

famiglia di cittadini liberi o di nobile casato» (cfr. DEMA, s. v. «matrona»), oppure, nell’uso comune, «donna maritata, madre
di famiglia specialmente di alto rango, di contegno sostenuto e austero» (cfr. ibid.). La comparsa delle matrone nelle satire
dell’età classica è frequente (vd. Orazio, Giovenale).
106 Sottolinea qui l’acquisita ‘familiarità’ nel rapporto e nella conversazione.
107 Forte accostamento di registri diversi: dalla «perfetta identità di punti di vista (etico-sociali)» e la «condiscendenza

illuminante» si passa all’ironica illuminazione del «lucidatore» e poi, con abbassamento allo stile comico, nonostante si faccia
riferimento ad un topos della tradizione letteraria, al «nodo alla marinara» (intendendo probabilmente ‘ben stretto’). Il tema è
classico poiché il «nodo» che «avvince le due anime» ricorda (tra gli altri) il verso presente all’interno d’una tra le più note
tenzoni della letteratura italiana, quella tra i tre poeti della corte federiciana (nell’ordine): Jacopo Mostacci, Pier della Vigna,
Giacomo da Lentini. Quest’ultimo, nella sua risposta ‘per le rime’ scrive a v. 7: «ma quell’amor che stringe con furore» (G.
CONTINI, Poeti del Duecento, Milano, Riccardo-Ricciardi, 1960, Vol. I, p. 90); tema fortemente ripreso poi anche dal sodalizio
stilnovista e dal Petrarca.
108 Da notare la triplice comparsa di «bordo», e la doppia poco più tardi con i sostantivi «idee» e «pareri». L’utilizzo

dell’anadiplosi potrebbe essere la modalità d’espressione del nuovo legame ormai consolidato: la consustanzialità tra i due (il
«castoro» si ricollega alla «pellicciosa […]regalità» citata a p. 303, sempre in riferimento alla signora; la casacca invece
all’operaio) è simboleggiata, in clausola di periodo, con forte tono d’ironia, da una «simbiosi civica» (d’unione di classi sociali
differenti) e dalla «edificante cognazione d’affetti» (cfr. DEMA, s. v. «cognazione»: «stretto vincolo di parentela»).
109 Cfr. ivi, s. v. «periplo»: «basso uso; viaggio tortuoso, specialmente che si conclude al punto di partenza». L’aulicismo provoca

un effetto di ridicolizzazione.
110 Cfr. ivi, s. v. «soprana»: «che sta più in alto»; cfr. GPI, p. 193, s. v. «ossedere»: «opprimente, ossessionante».
111 Cfr. DEMA: «di sguardo, aspetto […] torvo, minaccioso».
112 Cfr. ivi, s. v. «concupire»: «desiderare con passione, bramare, specialmente sessualmente»; la connotazione sessuale, qui

vagheggiata dalle signore (sebbene l’oggetto bramato sia un traslato, ovvero gli orecchini), è più che conveniente al contesto
gaddiano. La componente erotica-violenta è resa maggiormente visiva nelle righe seguenti: «sradicar d’orecchio»; «lacerazione
del lobo».
113 La costruzione ossimorica è il tropo che meglio permette di esprimere l’antinomia presente nell’animo delle signore

borghesi, tra grigiore della vita quotidiana ed eccitante novità fornita dall’ipotetico pericolo avventuroso.
114 Cfr. GPI, p. 142, s. v. «immaginativa»: «facoltà dell’immaginazione». La vis imaginativa è parte integrante delle teorie

anatomiche e di pneumo-fantasmologia utilizzate come base teorico-filosofica dai poeti stilnovisti (cfr. R. REA, «Amor est passio
virtutis ymaginative». Immaginazione, immagine e immaginare nella lirica amorosa duecentesca, in Immagine poetica, immaginazione: Dante e la
cultura medioevale. Atti dell’incontro di studi di Firenze della Società Dantesca Italiana, 3-4 aprile 2017, in «Letteratura e Arte»,
a. XVI (2018), pp. 119-39).
115 Cfr. GPI, p. 169, s. v. «masocone»: «neoformazione aggettivale e suffissale, dalla radice di “masochista” più il suffisso “-

one”; il lemma è attestato dal GDLI con l’unico esempio gaddiano».


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tenebra. Anche una sessantaseienne gode, gode116 iteratamente117 ed a lungo, al fabulare seco medesima,118
al farneticare per interi pomeriggi che le verrà un giorno incontro, oh sì sì, certo, anche a lei, anche a lei,
certo,119 il maschio repentino e brutale cont el züff in süi oeucc: i120 a farsi laceratore del dilicato121 e ben
costrutto suo lobo, lobo di «signora», ma nello stesso tempo lobo di «una povera donna», di una «creatura
impotente a difendersi».122 Perché secondo loro, poverine, si sentono anche «impotenti a difendersi», oltre
tutto, se appena appena gli date spago.123
L’adorabile farabutto, oh! sì!, oh! no!,124 si approprierà le due nocciuole125 con la maniera forte: lo stile
perentorio del rapinatore di strada che è: riempirà della sua violenza priva di riguardi la paurosa vertigine
del crepuscolo, distillando, dalle lunghe brume126 degli anni, il fulgore di un attimo paradisìaco.
Magari col cipiglio e con l’atto che usò in Duomo il piccinella,127 pallido e glabro,128 e incomptis capillis,l129
quei quattro che gli rimanevano, e indaffarato ovunque verso le fanfare e la gloria: quando prese su di lui

116 Anadiplosi.
117 Cfr. DEMA, s. v. «iteratamente»: «basso uso; ripetutamente»; l’avverbio è sottolineato dall’utilizzo dell’anadiplosi nello stesso
periodo.
118 Nuovamente, la tecnica di innalzamento del dettato crea una sensazione grottesca: «fabulare seco medesima» ricorda uno

dei versi più famosi della tradizione letteraria italiana, ovvero «di me medesmo meco mi vergogno» (cfr. RVF, I, v. 11, in F.
PETRARCA, Canzoniere, a cura di P. VECCHI-GALLI, p. 95).
119 Vd. n. 116; la figura retorica dell’anadiplosi permette di esprimere al meglio il «farneticare» della signora.
120 Cfr. GPI, p. 343, s. v. «züff»: «“ciuffo o zuffo sugli occhi”, a celare il più possibile i tratti del volto; “zuffo” è termine

presente anche ne’ I promessi sposi».


121 Cfr. GDLI, s. v. «delicato»: segnala l’allotropo «dilicato» come antico.
122 Costruzione in anti-climax (dall’attributo più reale di «signora» a quello più erotico e fantasioso di «creatura impotente a

difendersi»).
123 Cfr. DEMA, s. v. «dare corda»: «mostrarsi disponibile, incoraggiare».
124 Le esclamazioni contradditorie simboleggiano l’antinomia presente nell’animo delle signore (vd. n. 113).
125 Vd. n. 81.
126 Cfr. DEMA, s. v. «bruma»: indica una prima accezione comune di «leggera nebbia, foschia» e una più letteraria con «il

periodo più freddo dell’inverno (Petrarca)». La nebbia (o il freddo più pungente) sta ad indicare il grigiore della quotidianità
borghese, opposta alla folgorazione («attimo paradisiaco») data dal potenziale scontro con il «lókk».
127 Il referente è Napoleone Bonaparte (qui paragonato, in modo spregiativo, al «lókk»), protagonista della fantasiosa nota

romanzesca gaddiana (l), dove ciò che qui viene solo accennato è esposto con varie digressioni e smarrimenti d’autore: «[…]
per questo racconto di 36 pagine, Gadda ha scritto 12 pagine di note e spiegazioni, che nell’edizione Garzanti sono state
stampate con caratteri più piccoli di quelli del testo. Usando la stessa grandezza le note sarebbero circa 24 pagine, cioè due
terzi del testo» (cfr. A. TAMAS, «Quando il Girolamo ha smesso»: alcune caratteristiche dell’opera di Gadda, in «Nuova Corvina», a. IV
(1998), pp. 205-08). Per «piccinella» (cfr. GPI, p. 204): «“piccolino”, vezzeggiativo maschile di uso comune in milanese; usato
qui in tono irrisorio in riferimento alla statura di Napoleone». Sull’auto-incoronazione in Francia, comunque rilevante sebbene
qui Gadda si concentri su quella italiana (vd. n. 134) cfr. Il filo dell’arte, a cura di C. PESCI, L. GUASTI, B. CONTI, R. MOTTADELLI,
L. FENNELLI, M. QUINTINI, M. SPERAGGI, Firenze, Giunti, 2017, Vol. III, pp. 32-33, riguardo ad una raffigurazione
dell’evento di J. L. DAVID, L’incoronazione di Napoleone Bonaparte, (1805-07), Museo del Louvre, Parigi, olio su tela, (6,21x9, 79m):
«Al centro della composizione c’è Napoleone: tutti gli occhi sono rivolti verso di lui. Alle sue spalle c’è invece il papa, che,
secondo la tradizione avrebbe dovuto incoronare l’imperatore mentre qui si limita a benedire la cerimonia. Napoleone infatti
si sta mettendo da solo una grande corona sul capo, a simboleggiare il fatto che non ha bisogno di nessun’altra autorità per
ottenere il potere che ha conquistato da solo».
128 Cfr. DEMA, s. v. «glabro»: «del viso dell’uomo: privo di barba, imberbe».
129 Da intendere ‘capelli spettinati’; per la chiosa della citazione oraziana vd. n. 282.

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stesso dal cuscino cremisi (francese cramoisi)130 la corona del re Agilulfo131 che gli veniva oblata,132 e con
una risolutezza spavalda se la pigiò su la capa133 lui stesso, cointeressando l’Onnipotente alla ben nota
millanteria.134
Questa rottura, questo crackingm della nenia e querimonia135 procedurale, esercita un fascino
incredibile sull’animo delle donne: stupendo tatràc,136 repentino gitto137 della lama e della punta fuora138
del guscio,139 del coltello a serramànico.
Tuttodì recava notizia, il Corriere, di orecchini evulsi140 dai propri lobuli141 nelle vie solitarie, nell’ora
che i veli della nebbia, impigliatisi ad alti scheltri142 di pioppi, ingarzavano143 il crepuscolo di Via Pelizza

130 La traduzione (che risulta corretta, cfr. ROBERT, s. v. «cramoisi»: «qui est d’une couleur rouge foncé, tirant sur le violet») dall’italiano
al francese offre una maggiore pomposità ironica, e del personaggio e del gesto (oltre a dare comunque una parvenza di
mimetismo linguistico).
131 «Agilulfo fu re dei Longobardi. Non longobardo di sangue, perché della stirpe dei Turingi, certo si era unito ai Longobardi

quando avevano invaso l'Italia, e nelle loro schiere aveva guadagnato grande fama e raggiunto alti posti di comando, perché lo
troviamo duca di Torino e cognato di Autari quando, il 5 sett. 590, questo re morì» (cfr. Dizionario biografico degli italiani, a cura
di O. BERTOLINI, 1960, Vol. I, s. v.: «Agilulfo, re dei Longobardi»). Il paragone storico avvicina i due personaggi (in una
ipotetica continuità di regno non plebiscitato sull’Italia) per il fatto di essersi entrambi auto-incoronati e per l’essere considerati
stranieri dai propri sudditi: «[…] i duchi longobardi diedero alla regina Teodolinda […] il mandato di scegliere il nuovo re.
Agilulfo, allora duca di Torino andò a rendere omaggio alla regina […]. In questo modo lo investì del diritto di essere re e
contestualmente suo sposo. Più verosimilmente, l’intera operazione fu orchestrata dallo stesso Agilulfo […]» (cfr. ibid.). Cfr.
anche la nota d’autore (l).
132 Cfr. DEMA, s. v. «oblato»: «termine specialistico della liturgia (in riferimento all’ostia prima della consacrazione o al pane e

vino che vengono presentati sull’altare): “presentare, offrire”».


133 Da intendere: «se la mise con forza sulla testa». Cfr. GPI, p. 347, s. v. «capa»: «“testa”, voce diffusa in tutti i dialetti

meridionali».
134 L’auto-incoronazione a Milano di Napoleone è rappresentata da Gadda come un vero e proprio affronto divino (presenza

già anticipata in precedenza dal linguaggio liturgico, vd. n. 132), in una «ben nota millanteria» (cfr. DEMA, s. v. «millanteria»:
«atteggiamento, manifestazione di vanagloria sfacciata ed esagerata»). Il «cointeressamento» divino potrebbe riferirsi ad una
frase pronunciata da Napoleone durante la cerimonia d’incoronazione a re d’Italia: «Si inginocchiò a pregare, poi consegnò lo
scettro e la mano di giustizia ai grandi ufficiali destinati a portarli, infine ascese all'altare, prese la corona ferrea e se la pose sul
capo, pronunciando le celebri parole: “Iddio me l’ha data, guai a chi la toccherà”» (cfr. E. PIGNI, Le due incoronazioni di Napoleone, in
«Aevum», a. LXXIX (2005), fasc. III, pp. 739-44). Cfr. (l).
135 Cfr. GPI, p. 219, s. v. «querimonia»: «“lamentela, doglianza”, latinismo mutuato dal passo oraziano dichiarato esplicitamente

da Gadda nella Cognizione del dolore […]». Cfr. DEMA, s. v. «nenia»: «canto lento e monotono in cui ritorna la stessa formula
melodica e lo stesso tono dopo ogni verso» (rappresenta la noia e della vita borghese e delle procedure cerimoniali che
Napoleone infrange, come il «lókk» infrange le regole del diritto).
136 Onomatopea che ricalca il rumore dell’apertura del coltello a serramanico.
137 Cfr. GDLI, s. v. «getto»: «antico e letterario gitto […]; il gettare, lo scagliare»; in questo contesto indica piuttosto il

‘movimento’.
138 Cfr. ivi, s. v. «fuori»: «antico e letterario fuora».
139 Si intende metaforicamente il manico.
140 Cfr. GPI, s. v. «evulso»: «latinismo; “strappato a viva forza”».
141 Sineddoche per ‘orecchie’.
142 Cfr. ivi, p. 234, s. v. «scheltro»: «“scheletro”, di cui è forma letteraria e poetica»; termine ottenuto tramite sincope della

vocale post-tonica tra una liquida (-l-) e una occlusiva (-t-). L’ambientazione ricorda quella sognante di Notte di Luna: «Angeli
diàfani, formazioni opalescenti della luce lunare, esalavano dai vertici dei pioppi, congiunte le mani, per recare a Dio le orazioni
della sera» (cfr. C. E. GADDA, Romanzi e racconti, I, a cura di R. RODONDI, G. LUCCHINI, E. MANZOTTI, p. 292).
143 Cfr. ivi, p. 148, s. v. «ingarzare»: «“coprire di un leggero velo”; neoformazione parasintetica verbale denominale da “garza”,

col prefisso “in-” con valore illativo (che indica moto reale o figurato)»; il GDLI attesta soltanto questo passaggio gaddiano.
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Quando il Girolamo ha smesso…
Commento ad un estratto del primo ‘vero’ «Disegno milanese»; Seminario MA di Lessicografia moderna e contemporanea;
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(da Volpedo,144 pittore) d’una fabulosa145 malinconia cisalpina.146 Persa la scintilla bluastra d’ogni tram, di
là dall’opaco essere del mondo.147 Quando la desolazione cimmeria148 occupava le strade sella sera, ivi
l’alito della tenebra aveva dato favore agli agguati.
Sicché vecchie in brillanti ci fantasticavano su tutta notte, su quel capocrònaca;149 previvevano nel
sogno, smaniandone, la paventata e sperata effrazione.150 Deste, in una ruminazione di ore,151
farneticavano a se stesse parità di merito (e di brutti incontri) con le seviziate:152 non soffrendo di ritenere
che la sevizie avesse potuto prediligere altra vecchia, altri brillanti, altri lòbuli153. Talora potenziavano il
proprio orgasmo154 fino all’acme dello spasimo, romanzando il fattaccio di pimenti estremi, situandolo in
congiuntura ferroviaria: scompartimento di prima classe, eran sole, controllore evaporato, entra un tipo:
ma di quelli! «con voeunna de qui facc!»:155 siede rimpetto: guarda: guarda a lungo, «fissandomi con una
strana insistenza», «e specialmente i brillanti!»: entra il treno, a sua volta, in una galleria che nessuno se
l’aspettava: eccetera eccetera. Non succede niente.156
«Ma però poteva anche succedere».157
E così al rincasare, dopo la gomitata158 del lókk. «Ona pagüra, ma ona pagüra, cara el me Giròlom!....
Pèna me son corgiüda ch’el me vegneva incontra…. E mi guardava fisso le orecchie…. in un modo….

144 Come segnalato esplicitamente all’interno del testo, Giuseppe Pellizza da Volpedo fu un pittore (Volpedo 1868 - ivi 1907):
«Ai primi anni Novanta dell’ 800’ risalgono i primi studi su Il quarto stato […]. L’opera divenne immediatamente un’icona
rivoluzionaria del Novecento: manifesto politico di un socialismo umanitario schierato accanto alle lotte dei lavoratori […]»
(cfr. Dizionario biografico degli italiani, a cura di D. LACAGNINA, 2015, Vol. LXXXII, s. v. «Pellizza da Volpedo, Giuseppe»). La
via è indicata da Gadda erroneamente con la scempia invece della geminata.
145 Cfr. GPI, p. 111, s. v. «fabuloso»: «“favoloso, leggendario, mitico”; è termine usato da Ariosto nell’ Orlando Furioso».
146 «Malinconia cisalpina» riporta il lettore all’episodio di Napoleone descritto poco prima, mantenendo il paragone con la

figura del «lókk».


147 L’assenza di «scintille bluastre» dei tram indica l’ambiente desolato e sperduto durante l’ora tarda, momento ideale per gli

assalti alle signore. Cfr. DEMA, s. v. «opaco»: «letterario; che si trova in penombra, ombroso (Leopardi, Pascoli)».
148 Cfr. GPI, p. 63, s. v. «cimmerio»: «dei cimmeri (il popolo mitico che si riteneva vivesse nelle nebbiose regioni settentrionali);

vale anche figurativamente per “cupo, tenebroso”».


149 Cfr. DEMA, s. v. «capocronaca»: «articolo di apertura della pagina di cronaca cittadina di un quotidiano». Da notare la

ripetizione della preposizione «su», forma più colloquiale rispetto a «sopra». Il fatto reale di cronaca soddisfa e alimenta la
fantasia delle donne borghesi.
150 Vd. n. 113.
151 Dopo il sogno, le signore passano ore sveglie a «ruminare» (cfr. DEMA: «figurativo; meditare a lungo, rimuginare fra sé»)

sul perché siano loro a meritare d’essere le prossime vittime del «lókk», in una (bizzarra) competizione con le altre.
152 Cfr. ivi, s. v. «seviziare»: «sottoporre ad atti di efferata violenta fisica e morale».
153 La focalizzazione del ‘bersaglio’ della sperata e temuta violenza simboleggia il desiderio e la immoderata cogitatio delle signore.
154 Sempre grazie e soltanto alla loro immaginazione, qui esemplificata in un racconto descritto probabilmente ai lucidatori-

confessori. Il fatto è romanzato con «pimenti estremi» (ironicamente dei contenuti e un tono aggressivo), ambientato durante
un viaggio in treno, in particolare in un punto di collegamento («congiuntura ferroviaria»), così da renderlo più accattivante
per gli interlocutori e per sé stesse.
155 Da intendere: «con una di quelle facce».
156 Il racconto qui del ricordo-sogno sperato e temuto delle signore viene immesso nel «Disegno» senza segnalazioni, fluendo

direttamente all’interno della narrazione (anche nello scambio dalla terza persona plurale alla prima singolare). Il registro è
colloquiale: «eran sole»; «controllore evaporato»; «entra un tipo»; «ma di quelli»; «con voeunna de qui facc!»; «che nessuno se
l’aspettava».
157 L’accostamento del periodo che nega qualsiasi accadimento reale («Non succede niente») a quello introdotto dalla

avversativa («ma però poteva anche succedere», con una struttura rafforzativa pleonastica tipica del linguaggio orale) rende
evidente al lettore il vaneggiamento, il desiderio febbrile della signora.
158 Probabilmente immaginaria.

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Quando il Girolamo ha smesso…
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Ma in un modo….»159 Così confidavano, rincasando, al quarantottardo160 buon uomo della «Confidenza».


Rabbrividivano ancora, nel ricordo-sogno, carezzandosi gli stagionati padiglioni, quasi a certificarsi e’
fussero tuttora161 ben ammanigliati alla zucca: e all’elisio delirare della zucca medesima. Palpavano
commosse: i diti scivolavano ai lobi: due dilicati lardelli,162 su ognun de’ quali persisteva a rifulgere
impagabile e gemmante poliedro.163 L’estrusione kimberlitican aveva maturato la nocciuola: valicati i
millenni, la nocciuola era pervenuta a mano dello smerigliatore di Amsterdam:164 che l’aveva sfaccettata,
molata, polita:165 lavorando per loro, «esclusivamente per loro».
Il lucidatore-confessore, il Giròlom, ancora involto in qui pantaloni da struscio,166 ma già in procinto
di spellarsene come della sua pelle il serpe ad aprile,167 era cointeressato al romanzo dalla cointeressata
delle cotenne e del bicchier di vino: a quell’ora già consustanziàtisi con le sue proprie budella, ma talvolta
anche soltanto avvistati: sulla tavola.168
Sicché il suo volto era il volto stesso della deferenza, direbbe Gabriele.169
«Be’ buonasera, Anselmo».

159 Da intendere: «Una paura (cfr. GPI, p. 320, s. v. «pagüra»), ma una paura, caro il mio Girolamo!.... Appena (cfr. ivi, pp. 321-
22, s. v. «pèna») mi sono accorta (cfr. ivi, p. 298, s. v. «còrges») che lui mi veniva (cfr. ivi, p. 340, s. v. «vegnì») incontro…. e mi
guardava fisso le orecchie…. in un modo…. ma in un modo….». Per l’esito al femminile di «caro» vd. n. 89.
160 Vd. n. 35.
161 Innalzamento del dettato a scopo d’ironia: cfr. DEMA, s. v. «ei»: «letterario; pronome personale di terza persona maschile

plurale»; cfr. BIZ, s. v. «fussero»: l’attestazione più recente, risalente ai sonetti di Giuseppe Gioacchino Belli, ne dice l’aulicità;
subito contrastato con un abbassamento: cfr. GPI, s. v. «ammanigliato»: «“legato, fermato, assicurato fortemente con la
maniglia”; uso estensivo del termine marinaresco» e «zucca» per ‘capo’. Lo stesso procedimento si ripresenta poco dopo,
nell’accostamento di «elisio» (cfr. DEMA: «degno dei campi elisi») con «delirare» (etimologicamente ‘uscire dal solco’) e
nuovamente a «zucca».
162 Le orecchie delle signore sono descritte più volte in modo ironico: da «stagionati padiglioni» a «dilicati lardelli» (per

l’aggettivo vd. n. 111; per il grottesco «lardelli» cfr. DEMA: «pezzetto di lardo da introdurre nella carne per insaporirla», il suo
utilizzo figurativo è registrato dal GDLI attestando proprio questo passaggio).
163 Gli orecchini di diamanti (vd. n. 81) sono qui definiti dei «poliedri» (cfr. DEMA, s. v. «poliedro»: «solido delimitato da facce

poligonali» e cfr. (n): «Le facce talora bombate de’ cristalli […] richiamano giusto l’idea salgariana della nocciola»), inseriti
all’interno del periodo con astensione dell’articolo. Inoltre sono detti «rifulgere» (cfr. DEMA: «risplendere») e «gemmanti» (cfr.
GPI, p. 128, s. v. «gemmante»: «che splende come gemma (D’Annunzio)».
164 Cfr. la nota d’autore (n): «La roccia madre […] è la così denominata kimberlite, da Kimberley: nella già Colonia del Capo,

presso il confine occidentale dello Stato di Orange […]. Il diamante si è segregato dal magma eruttivo durante il
raffreddamento, per cristallizzazione del carbonio disciolto nel magma stesso: (perciò «l’estrusione…. aveva maturato la
nocciuola») e vd. n. 366. Il periodo descrive il passaggio del diamante dalla materia prima alla vendita in commercio, fino ad
arrivare alle orecchie delle signore, come se essi fossero stati prodotti «“esclusivamente per loro”».
165 Il lavoro dello smerigliatore è descritto con un trinomio verbale che segue il processo di trasformazione della materia prima:

dalla «sfaccettatura» (cfr. DEMA: «termine specialistico; nella lavorazione delle pietre preziose, taglio di una pietra grezza in
modo da ottenere […] un orientamento tale da mettere in rilievo i pregi») alla «molatura» (cfr. ivi: «levigare»), per arrivare infine
alla «politura» (cfr. ivi: «obsoleto; operazione di rifinitura consistente nel lisciare […] la superficie di un oggetto»).
166 Per la prima menzione degli stessi pantaloni da lavoro vd. n. 71. Inoltre per «struscio» cfr. GPI, p. 254: «“sgraffio”; termine

non registrato dai vocabolari, formazione nominale deverbale da “strusciare”; consuona con il milanese strusà».
167 In modo grottesco la volontà degli operai di ‘togliersi i pantaloni da lavoro’ per ritornare a casa propria è paragonata alla

muta (cfr. DEMA: «perdita e rinnovamento periodico del rivestimento cutaneo») dei serpenti.
168 Il poliptoto («cointeressato»-«cointeressata») rende il registro comico: l’operaio è reso partecipe del romanzo attraverso il

racconto di colei che allo stesso tempo rende lui «cointeressato» alla sua cena. Il registro basso è confermato dall’accostamento
di termini di grado espressivo differente: «consustanziàtisi» (cfr. DEMA, s. v. «consustanziazione»: «dottrina luterana […]
secondo la quale nell’Eucaristia il corpo di Cristo è presente insieme con la sostanza del pane e del vino») con «budella».
169 Il lessico biblico si ripresenta (in accostamento extravagante), con la menzione dell’angelo Gabriele e la sua testimonianza

del rispetto ossequioso di Maria (come descritto in Lc. 1: 26-38; cfr. La Sacra Bibbia, Unione Editori Cattolici Italiani (UECI)).
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«Buonasera, signora Pelizza.170 E tante grazie».


«A rivederci martedì».
Oh confortevole aura, salubre terra e clima dell’Olona e del Lambro!171 oh, Sèveso!172 oh, pioppi! Oh!
plasma germinativo173 della gente! Dove tu, per quanto174 minchione175 te tu176 sia, o anzi proprio e
precisamente per quello, che ci hai nella testa un bel turàcciolo, te tu ti senti tenuto a galla come un papa
senza neanche darti pena nuotare: da un clima unto e fraterno,177 da una pégola178 vivificatrice. Come una
sagace broda:179 o lardo sfriggente, che si strugga nelle opere, e nella padella de’ civili soccorsi. Come
feeders (barre alimentatrici) da cui ogni derivato circuito180 ripeta il flusso metallopermeante

170 Il cognome è lo stesso della via indicata a p. 305.


171 Cfr. G. GÜNTERT, Satira sociale e male di vivere: I Disegni milanesi di Carlo Emilio Gadda, p. 6: «Nella sua più antica redazione, la
fabula del frammento intitolato “La crisi domestica”, corrispondente al primo capitolo di Un fulmine sul 220, appare già delineata
nei suoi tratti essenziali; ma solo al momento della sua pubblicazione in rivista, risalente ai primi mesi del 1943, il testo si
arricchisce delle sue parti più propriamente riflessive (sul passato risorgimentale di Milano e sulla mentalità conservatrice dei
suoi abitanti) e autoriflessive (sulle proprietà del testo stesso). È sintomatica, a questo riguardo, l’inclusione di una lunga sequenza
su vita e morte della terra lombarda (“Oh, confortevole aura, salubre terra e clima dell’Olona e del Lambro!”) e in particolare
dei suoi fiumi (“Oh Seveso, oh pioppi!”), peraltro gravemente inquinati a conseguenza di una industrializzazione
irresponsabile. L’intera sequenza – l’unica ad essere priva di personaggi individualizzati, dato che si riferisce alla collettività –
fu concepita per la versione pubblicata su rivista, da dove sarebbe passata con poche modifiche al testo della princeps.[…]
Combina la satira con l’elegia, vale a dire, i due stili in cui Gadda svolge la materia di questo “disegno”». L’invettiva elegiaca
non può non ricordare l’ode pariniana La salubrità dell’Aria (cfr. G. PARINI, Le odi, a cura di N. EBANI, Milano, Fondazione
Pietro Bembo, 2010, pp. 23-38), che oltre ad avere come spunto iniziale lo stesso luogo si propone in egual misura di
denunciare «La corruzione dell’aria di Milano […] presentata come corollario di una corruzione morale […]» (cfr. ivi, p. 23).
Ad essere diverso dall’esempio pariniano è ovviamente il tono della denuncia gaddiana, nella sua commistione di stili e nella
rappresentazione ‘infernale’ (nel lessico, nelle immagini) dei personaggi.
172 Come illustrato da Gadda stesso (cfr. (o)) Olona, Lambro, Seveso, sono i tre fiumi maggiori che fanno parte dell’idrografia

milanese.
173 Cfr. DEMA, s. v. «germinale» : «relativo alla riproduzione».
174 Con valore concessivo.
175 Vd. n. 184.
176 L’allitterazione tramite inserimento grammaticalmente errato del ‘te’ (ripetuta poco più sotto per ben due volte) rende

l’elegia-invettiva comica, assieme al lessico gastronomico e al pastiche di registri differenti.


177 La dittologia esprime al meglio il carattere e d’accusa e di elogio del passaggio dedicato alla città di Milano e ai suoi cittadini.
178 Cfr. DEMA, s. v. «pegola»: «obsoleto e letterario; pece: “bollia là giuso una pegola spessa” (Dante)».
179 Il disordine domestico descritto nelle primissime pagine del «Disegno» si estende poi ad «un disordine esterno (l’accenno

ai furti di gioielli o al “plasma generativo” della gente lombarda, una “sagace broda” avvolta in un etere “sanguigno e
luganegone”, sorta di “etere-lardo”, insomma. Contini accennava allo scatenarsi di un “fondo di totale irrazionalità”». L’elegia
a Milano, dunque, trova «direttamente “la sua garanzia nella caricatura”» (N. LORENZINI, Il carnevale della Cognizione del dolore,
in «The Edinburgh Journal of Gadda studies», Milano, Garzanti, a. IV (2004), pp. 1-14). Inoltre cfr. S. VANDI, Satura: varietà
per verità in Dante e Gadda, Milano, Mimesis, 2021, p. 120: «“Plasma”, “pégola”, “broda, “lardo”, con comune denominatore la
viscosità, sono le immagini-chiave della prima parte del quadro e servono a rappresentare la borghesia lombarda, costituita di
ipocriti legami sociali “confortevoli”. Immagini di sostanze coesive disgustose […] sono associate nel testo a caratteri positivi
(“germinativo”, “vivificatrice” […]) per essere riferite ai rapporti tra le persone, al concetto di società».
180 Cfr. DEMA, s. v. «termine specialistico (elettronica); circuito elettronico che trasforma una tensione o una corrente variabile

nel tempo in un’altra che costituisce la derivata temporale della prima».


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dell’elettrico.181 Oh! terra e aura, nei mattini di lavoro! A polmoni pieni,182 udendo battere cianfrini183
lontani, te tu vi respiri e vi sguazzi in un etere elisio, però sanguigno e luganegone,184 una specie di etere-
lardo. Velato di fantasiose nebbie, o d’una allegante185 calura: tale una pittura di Tosi.186 Lieto di ceci e
verze. Che bollono e aggallano,187 passato appena San Carlo,188 contubernali189 ad alcune costole di
veridico porco, in pentola. Un misto di ideologie di terza mano e di calci in culo autentici, ai tempi di
Spagna o di Francia:190 e a’ miei anni la sana fatica avente nel suo punto focale un «giambòn»,191 o un
«motore con valvole in testa», e con l’osso da rosicolare, dentro, il giambone:192 e anche tutt’e due alla
volta. Un guazzabuglio di tram, un’epifania di meringhe, un rinascimento Bartesaghi,193 una quasi civile
convivenza di salumai uremici,194 di bozzolieri195 onesti, di elettrotecnici mazziniani:196 e di sballati

181 Per una possibile spiegazione dei motivi concettuali che stanno dietro a questo passaggio cfr. F. G. PEDRIALI, Fistola in
succhio. Chiamate idrauliche per l’Adalgisa, in «The Edinburgh Journal of Gadda studies», a. VII (2007), pp. 105-63: «Il male esiste,
origina dall’esclusione. Suggerisce la cernita malevola dell’Olona e del Lambro delle genti; fa respingere, contraffacendolo, il
giudizio, altrettanto inappellabile, di chi è nella pienezza della vita. Provoca domande sulla gestione, sulla costituzione dei corpi
[…]. Gadda, gran studioso di meccanica, oltre che impietoso giudice non divino, non cessa di denunciare l’inutilità, il peccato
di tali corpi […]».
182 Cfr. G. PARINI, Le odi, a cura di N. EBANI, p. 25, vv. 7-9: «Già nel polmon capace|Urta sé stesso e scende|Quest’ etere

vivace». Il riferimento ai polmoni evoca una parte positiva dell’elegia, così come già nell’ode pariniana.
183 Cfr. DEMA, s. v. «cianfrino»: «termine specialistico (meccanica); utensile simile allo scalpello usato per cianfrinare (cfr. ivi:

“battere con uno speciale scalpello il bordo di lamiere o le teste dei chiodi che le collegano o fissano”)».
184 Cfr. G. GÜNTERT, Satira sociale e male di vivere: I Disegni milanesi di Carlo Emilio Gadda, p. 7, a proposito del «luganegone»: «Né

mancano in questo quadro le «vacche materne» e le «balie», figure della nutrizione, della terra madre che alimenta, dall’evidente
simbolismo uterino, al quale si affianca un non meno insistito simbolismo fallico: vi si scoprono, inevitabilmente, «i bei spàrg»,
le salsicce, tramite l’epiteto «luganegone», e l’infallibile «minchione», legittimato dal Porta, che aveva parlato del «Sur Minciun».
185 Cfr. DEMA, s. v. «allegagione»: «termine specialistico (botanica); crescita e maturazione dei giovani frutti sul ramo dopo la

caduta dei fiori». Da notare la somiglianza fonica con il successivo «aggallano».


186 «Il cenno a Tosi, minimo, diviene illuminante se collocato nel contesto. Gadda lo considera un paesista, naturalmente, […]

riconoscendo in lui l’interprete ideale della comune appartenenza lombarda, una condizione dello spirito […]. Così il
cromatismo linguistico dello scrittore pasticheur consuona con la tavolozza del pittore. Dal quadro di Tosi, lo sguardo
dell’Ingegnere si volge al pullulare della vita, dentro e fuori la città […]. Ed ecco, (sarcastica o commossa?) l’epopea della gente
lombarda con la sua “bischeraggine generosa” e la sua “vena romantica e brodolona” […]. Rancore e nostalgia si mescolano
come le acque limpide o inquinate dei fiumi lombardi» (cfr. P. GIBELLINI, Descrivere un paesista: Arturo Tosi, per Linati e Gadda,
in «Italianistica», a. XXXVIII (2009), no. III, pp. 65-68, a p. 66).
187 I riferimenti culinari portano sempre verso l’immagine di Milano come ‘brodo primordiale’, in cui la maggior parte dei

milanesi («minchioni»), viventi per inerzia, non fanno altro che essere «tenuti a galla come un papa senza neanche darsi pena
di nuotare». Per «aggallano» cfr. GPI, p. 12, s. v. «aggallare»: «“venire a galla, salire alla superficie, affiorare”; in Dante si trova
la forma aferetica “gallare”, cfr. Inf. XXI 57 […]».
188 Intendendo il giorno dell’anno (cfr. C. E. GADDA, La cognizione del dolore, a cura di E. MANZOTTI, p. 175: «[…] sicché le

pere, a maturazione avvenuta, il che si verifica dopo San Carlo e dopo Sant’Ambrogio […]».
189 Cfr. DEMA, s. v. «contubernale»: «basso uso; per estensione compagno d’armi, commilitone; amico intimo».
190 Probabilmente in riferimento alla contesa per la dominazione della penisola italiana (e per la Lombardia) tra i due imperi

nella storia.
191 Cfr. GPI, p. 306, s. v. «giambòn»: «prosciutto».
192 L’espressione ricorda il «bel piatto di minestra con le cotiche: di cui poi fuoruscisse l’osso […]» descritto a p. 302.
193 Forse riferimento al politico italiano Ugo Bartesaghi.
194 Cfr. DEMA, s. v. «uremia»: «termine specialistico (medicina); sindrome morbosa propria di casi di grave insufficienza

renale».
195 Cfr. GPI, p. 41, s. v. «bozzoliere»: «produttore di bozzoli» e vd. n. 201.
196 Cfr. Dizionario biografico degli italiani, a cura di R. CORIASSO, 2008, Vol. LXXII, s. v. «Mazzini, Giuseppe»: «Eletto al

Parlamento con largo suffragio il Mazzini iniziò l’esperienza a Montecitorio, protrattasi ininterrottamente per ben quattro
legislature, ottenendo la nomina a segretario del gruppo parlamentare liberaldemocratico, carica che mantenne fino a tutto il
1923».
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architetti! Una bischeraggine197 generosa e totale, una vena romantica e brodolona, una antica luce dalle
torri e dai tamburi delle cupole sui poveri morti.198 Oh! sangue e gente delle stragi e delle ibridazioni
lontane, tra ligure e gallico e longobardo e minchione,199 con quello spruzzo di bugie curuli200 in coppa a
dargli il sapore e la parvenza d’una civiltà, quasi polvere di cannella sulla panna frullata!201
Oh, vada, vada la nera202 Olona delle tintorie gallaratesi a intrefolarsi nel fiotto decumano203 della
Vettabia,o204 cui205 rugginosi pitali decorano, alle due sponde, d’un fiore: il verde e tenero fiore del basilico.
Vada il Sèveso color caffè a scolarsi in trincera,206 nella fossa buia e profonda del Redefossus,207 più
profonda del riposo dei morti: il ri-scavato, il re-de’-fossi. Vada, deceda lungo il settembre l’elegia lenta
del Lambro,208 con guardia de’ suoi pioppi su specchianti ambagi,209 verso i pascoli rintronati di
Marignano.p210 Qui è il groppo, il nodo, qui è il plasma valido e vitale della gente, come un coàgulo di
peccati e di porcelli su verde o bruna terra, sposa al seme: che ha coltre di neve, o di grani: o di fumigante211

197 Cfr. DEMA, s. v. «bischero» : «regionalismo toscano; persona stupida, grullo».


198 Il periodo e quello precedente sono strutturati in una accumulazione del nominare, tra personaggi viventi e oggetti fisici.
La clausola è tendente al negativo, con le case dei cittadini milanesi paragonate a «cupole sui poveri morti».
199 La discendenza della città di Milano è rappresentata in modo grottesco e spregiativo: essa si compone d’un «ibridismo» (cfr.

DEMA: «coesistenza disarmonica e arbitraria di elementi eterogenei») tra popolazioni liguri, galliche, longobarde e il risultato
odierno del «minchione».
200 Cfr. ivi, s. v. «sella curule»: «termine specialistico (storia); in Roma antica, sedia propria dei maggiori magistrati, ornata di

intarsi in avorio, divenuta simbolo del potere giudiziario».


201 Dalla metafora strettamente culinaria si passa in quest’ultima parte di paragrafo ad una descrizione più generale della

confusione milanese, utilizzando vari paragoni per i suoi abitanti: «salumai uremici»; «bozzolieri onesti»; «elettrotecnici
mazziniani». «I “salumai” sono probabilmente “uremici” per la dieta che simboleggiano, l’“onestà” dei “bozzolieri” (ossessione
negativa gaddiana della chimerica professione del padre) sarà sicuramente da intendersi in senso ironico, a “sballati architetti”
corrispondono probabilmente sballati edifici […]. Tutto fa parte della stessa “pégola” sociale, è tutto un “coàgulo di peccati e
di porcelli” […]»(S. VANDI, Satura: varietà per verità in Dante e Gadda, p. 130). La critica più efferata è lanciata da Gadda a questo
punto, definendo la grande civiltà milanese soltanto «parvenza» d’essa, paragonandola a «polvere di cannella», ossia effimera,
illusione auto-compiacente.
202 Cfr. n. (o): «La Vettabbia fu adibita a collettore principale di fogna (1893-1901) mediante convenzione stipulata dal Comune

coi rivieraschi ed utenti. Videro essi per tal modo le concupite acque luride – fertilizzanti non che irriganti – pervenire in copia
sempre più ragguardevole alle loro verdi marcite […]».
203 Cfr. ibid.: «Decumano, il fiotto, perché si immagina defluito di sotto alla porta decumana […]. Antichi fognòli d’epoca

romana rinvenuti negli scavi della regione Vettabbia».


204 Cfr. ibid.: «L’intrico dei navigli, canali, rogge, sgrondi e dotti di cloaca nella parte meridionale della città e del suburbio (zona

Ticinese) può […] consentirne l’immagine: è un intrefolarsi topografico […] ove la Vettabbia assurga ad eponimo della
scolatura cittadina. La Vettabbia è ab antiquo il canale collettore delle acque di pioggia e di scolo della regione Duomo-Ticinese
[…]».
205 Da intendere: ‘i quali’, riferito ai «rugginosi petali» (cfr. DEMA, s. v. «pitale»: «vaso da notte»), che ironicamente (assieme al

«color caffè») vanno a decorare il sistema fognario milanese.


206 Cfr. ivi, s. v. «trincera» : «variante obsoleta di “trincea”».
207 Cfr. n. (o): «[…] che immette nel circonvallante Redefosso».
208 Ironicamente il movimento del Lambro è paragonato a quello d’un elegia (cfr. DEMA: «componimento di carattere lirico-

meditativo»).
209 Cfr. GPI, p. 17, s. v. «ambage»: «giro tortuoso, meandro». Il termine è utilizzato già con questo significato in Par. XVII, v.

31: «Né per ambage, in che la gente folle […]» (cfr. D. ALIGHIERI, Paradiso, a cura di R. MERCURI, Torino, Einaudi, 2021, p.
221) intendendo le parole oscure tipiche degli oracoli pagani.
210 Cfr. n. (p): «Oggi Melegnano (sul Lambro; alt. m. 88), 16 chilometri a sud-est di Milano»; «rintronati» perché nella «cosiddetta

battaglia dei giganti […] la strage fu insigne […]» (cfr. ibid.).


211 Cfr. GPI, p. 124, s. v. «fumigare»: «“fumare, vaporare”, dal latino aureo fumicare».

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Quando il Girolamo ha smesso…
Commento ad un estratto del primo ‘vero’ «Disegno milanese»; Seminario MA di Lessicografia moderna e contemporanea;
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letame.212 Popolo di pioppi meditabondi, corona213 di intangibili nevi.


Oh!214 il vecchio facchino dal berretto scarlatto con su scritto a oro «Facchino patentato»; col naso
patentato dalla grappa, viceversa: peperonato: e, più che uno stizzone,215 rubente.216 Sul cantone del
Solferino!217 Oh il garzone del salumiere Freguglia, dal bisunto grembiule divenuto angue218 e cintola
tutt’attorno la vita, cilicio219 grasso pei220 lombi del ciclista a rompicollo senza campanello: che sul più
bello s’è involato di bottega, non si sa come, verso la «sciora del 47». «Hè, al quint pian». Messaggero
gorgonzolante221 in rattoppati calzoni da ciclista.
Oh, oh! il sangue vivente222 delle lavandaie nei mattini gelati! naso granita-di-lampone223 tra gli spiri224
delle nebbie: insciallate225 in serpa226 lungo i ghiacci suburbani della roggia Vanzàga:227 poi leste, col sacco,
e nero stivaletto, a discendere dal predellino del carro: a risalirvi più leste! E subito a mano la lor frusta
corta, che sparapràc!,228 la schioccherà sulla groppa in sudore, crepitando tra gli impennati orecchi del
baio. Dimodoché tutto è già corsa, il quattrogambe,229 zoccolante corsa sulle selci di strada: un citrullone
d’un cavallo che spara via dentro la fuga del trotto, manovellando con due natiche lustre, rotonde e grasse,
erta la coda, come se il culo ce lo avesse solo lui! Oh! lavandaie oneste della vecchia gente, che non dite
bugìa! Davanti al cui forte stomaco s’è sciorinato, senza farlo vomitare, il non petrarchesco relitto:230

212 Qui è il «nodo» (termine purgatoriale) anche della critica di Gadda: la corruzione dilagante nella città (come dilagano le
fogne presso i suoi fiumi) rende i cittadini stessi «un coàgulo di peccati e di porcelli», «definizione decisamente infernale, che
suggerisce […] un’altra rassegna dantesca, un “inferno” terreno, non lombardo ma toscano, che segue il percorso dell’Arno (i
“porci” sono i casentinesi e gli altri animali, via via: aretini, fiorentini, pisani, ecc.): Tra brutti porci, più degni di galle […] (Purg.
XIV, v. 43)» (S. VANDI, Satura: varietà per verità in Dante e Gadda, p. 132).
213 Cfr. DEMA, s. v. «corona»: «serie di cose, di oggetti o individui legati o vicini fra loro».
214 Continua il tono satirico-elegiaco, qui però focalizzato su soggetti e situazioni più dettagliate e personali che vanno a

comporre il quadro della decadenza milanese.


215 Cfr. GPI, p. 253, s. v. «stizzone»: «“tizzone”, di cui è forma letteraria con “s-” prostetica».
216 Cfr. ivi, p. 227, s. v. «rubente»: «“rossastro, rosseggiante” (D’Annunzio)».
217 Cfr. ivi, p. 245, s. v. «“del Corriere della Sera” (stampato in via Solferino)».
218 Cfr. ivi, p. 18, s. v. «angue»: «“serpe”, aulicismo di ampia tradizione letteraria (Dante, D’Annunzio)».
219 Cfr. DEMA, s. v. «cilicio»: «cintura provvista di punte, nodi e simili o, anche, veste di stoffa particolarmente ruvida indossata

direttamente sulla pelle a scopo di mortificazione»; da riferire dunque alla «cintola» precedente.
220 Cfr. GDLI, s. v. «per»: «preposizione articolata ormai in disuso “pei”».
221 Cfr. GPI, p. 133, s. v. «“maleodorante”, oppure “adibito alla consegna di cibarie” (“gorgonzola” per sineddoche)».
222 Cfr. p. 307: «Oh! sangue e gente delle stragi e delle ibridazioni lontane, tra ligure e gallico e longobardo e minchione […]».
223 Tra le immagini più riuscite del «Disegno»: il naso congelato e rossastro (come prima era «peperonato» quello del fattorino

ma a causa della grappa) assomiglia ad una «granita-di-lampone».


224 Cfr. DEMA, s. v. «spiro»: «letterario; soffio di vento, alito d’aria (D’Annunzio)».
225 Cfr. GPI, p. 149, s. v. «insciallato»: «“avvolto in uno scialle”; formazione aggettivale denominale da “scialle” col prefisso

“in”».
226 Cfr. p. 301.
227 Cfr. GPI, p. 226, s. v. «roggia»: «canale artificiale costruito per irrigazione, per dare acqua ai mulini, ecc.».
228 Onomatopea che rende la violenza dello schiocco della frusta.
229 Definizione comica del cavallo al galoppo.
230 Passaggio di non facile interpretazione: forse s’intende lo stomaco (ironicamente delle lavandaie oneste) che sopporta lo

sfociare delle fognature e dei ‘relitti’ (che però, tramite litote, non è relitto petrarchesco, come lo può essere il lessico del
petrarchismo) ivi contenuti.
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d’ogni boria,231 d’ogni cupidigia, e d’ogni gangrena.232 Oh! porcelli senza frode della cassina Mornaga,233
oh! materne vacche, oh! tremuli brumisti!234 e voi bigliettari in salive, con occhiali e occhi sui «dü frank»
a dipanar numero e serie: oh! nobili facchini della «stazione centrale» e della «Ditta Fratelli Gondrand!».235
Oh! pollivendole furbe, che, in cambio d’un bel pollo, volete denaro.236 Oh! Oh!
Oh bovisiq237 che contrabbandate, a maggio, i primi mazzi d’asparagi: rivendendoli alla chetichella
senza la patente fra un’edicola e un distributore di benzina. «Hè, la patent del Münicippi: per minga pagà
anka quella, di vòlt….»238 Con la coda dell’occhio al cappellone eventuale, non gli salti il ticchio di sbucare
da via Lauro, il serpente.239 Contrabbandieri d’una povera lira! frodatori in sussurro: peccatori e tentatori
del sottovoce: «Spàrg i bei spàrg»,240 (ma sottovoce però): «bei spargioni, sciora, …. vott e cinquanta al
màzz…. che la varda che spàrg….»241 E la dama, andando, non può ricusarsi242 al susurro: né all’esibizione
del soggetto. Sogguardatolo in tràlice, pur andando, cuberà243 mentalmente l’inusitata cilindratura
dell’Iperaspàrago, del Nembroth degli asparagi.244
Oh! cavalli! oh! gente! Oh, ben è d’uopo245 che al vostro operoso coraggio si volga e si affidi – così un
pargolo con sue manucce alla latteria della balia, opima e tepente246 – a voi invece, come a soccorso vero
e sicuro e Croce Verde immortale, a voi la maturità sermoneggiante intrappolata in pelliccia, intasata in
uno scafandro di castoro.247 Ogni testa, nell’imbuto del bavero, è legata per un filo d’anima al plasma
totale della speranza.248 Così nasi brodosi, a febbraio, presagiscono il raffreddore del fieno.249 Vedendo il

231 Cfr. DEMA, s. v. «boria»: «atteggiamento di vanitosa ostentazione di sé».


232 Cfr. GPI, p. 125, s. v. «gangrena»: «“cancrena”; voce dotta dal latino gangraena».
233 Cfr. DEMA, s. v. «cassino»: «obsoleto; carretto simile a una cassa usato un tempo da spazzini e accalappiacani».
234 Cfr. p. 301 e n. (b).
235 «Nel frattempo il Gondrand, in accordo con la famiglia Girard, partì per Milano dove, nel 1866, fondò, insieme con i suoi

fratelli la ditta di trasporti Fratelli Gondrand; questa nuova attività imprenditoriale ebbe una rapida espansione […]» (Dizionario
biografico degli italiani, a cura di S. AGNOLETTO, 2001, Vol. LVII, s. v. «Gondrand, Francesco).
236 Tra i vari personaggi menzionati nell’invettiva qui, per la prima volta, la denuncia è chiaramente rivolta all’economia

milanese (sebbene sorprendentemente non all’industria o alla borghesia, bensì ai venditori di strada), e più in generale alla
cupidigia umana.
237 Cfr. n. (q): «(dial. Milanese): bovìs: guardiano di buoi o di sensale di buoi: chi vive tra il bestiame».
238 Da intendere: «Eh, la patente del Municipio: per mica (cfr. GPI, p. 316, s. v. «minga») niente si paga anche quella, delle

volte….».
239 Probabilmente intendendo i carabinieri.
240 Da intendere: «Asparagi, belli asparagi» («con relativa simbologia oscena», cfr. ivi, p. 333, s. v. «spàrg»).
241 Ossia: «belli asparagioni, signora,…. otto e cinquanta al mazzo….ma guardi che asparago….».
242 Cfr. DEMA, s. v. «ricusare» : «rifiutare, respingere».
243 Cfr. GPI, p. 79, s. v. «cubare»: «calcolare la cubatura, il volume».
244 Cfr. GDLI, s. v. «Nembrotto»: «forma italianizzata dell’ebraico Nimbrod (Nembrod nella Volgata), patriarca biblico di corpo

gigantesco e forza smisurata, proverbiale cacciatore […]». Tra la dama che non può «ricusarsi al susurro» e le multiple allusioni
alle dimensioni degli asparagi la simbologia è ormai palese.
245 Necessario.
246 Cfr. GPI, s. v. «opimo»: «“grasso”; dal latino aureo opimus» e Cfr. DEMA, s. v. «tepente»: «letterario; “tiepido”».
247 Ironicamente Gadda allude alle speranze che tutti debbono rivolgere all’ «operoso coraggio» dei personaggi milanesi

dell’elegia satirica. Dall’altra parte, troviamo invece la «maturità sermoneggiante» borghese e le «pellicce» di castoro delle
signore.
248 Per «plasma» vd. n. 212.
249 «Il carnevale irrompe dunque come argomento gradatamente anticipato, assumendo comunque la funzione di innesto

narrativo che introduce disordine nel sistema, e deformazione, sconcezza: anticipato da un accenno ai «nasi brodosi» che
paiono sul momento non appartenere all’orizzonte diegetico in cui sono collocati, così come, di lì a poco, «i nasi brodosissimi»,
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Quando il Girolamo ha smesso…
Commento ad un estratto del primo ‘vero’ «Disegno milanese»; Seminario MA di Lessicografia moderna e contemporanea;
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sole a temprarsi in Acquario, i monti, lontani e bianchi, vegliare. 250


La confidenza nei vostri ginocchi doppi è l’unica possibile confidenza.251

La «Confidenza!» Nessuno crederebbe. Eppure di tutta la baracca non era avanzato che un uscio:
chiuso: e una placca gialla sull’uscio: di latta, col titolo della ditta: con su il numero del telefono e un uomo
coi baffi, in berretto a visiera: il quale, nel pieno del vigore degli anni, mena vigorosamente lo spazzettone.
Perché la «Confidenza» era dolorosamente fallita. Ossia i proprietari, poveracci, i fratelli Borlotti, 252
Pietro e Luigi, el Péder, el Lüìs, fratelli gemelli, «avevano commesso degli errori»: «ona quai fotta», 253
soggiungeva taluno, «una qualche imprudenza». E avevano di gran fastidi, e anche con l’autorità
giudiziaria:254 «non per colpa loro, magari, e tanto meno dell’impresa….», «che era fondamentalmente
sana….»: così mi garantivano, e mi garantiscono ancora oggi, all’Ufficio Sviluppo della mia banca.255 In
poche parole gli avevano buggerati256 a loro, questi due poveri baciocchi:257 dato che un’impresa del
genere, «in sé e per sé», difficilmente potrebbe fallire, anche volendolo.
Sicuro: la «Confidenza»….
E aveva lasciato nella costernazione le più distinte famiglie: e le più ragionative258 signore della vecchia
Milano, quelle che si annidano nelle illibate259 case, e fuorescono poi nere verso la Messa di noeuv’òr dai
più degni portali di Via Santa Maria Podone, Fulcorina, Borgospesso, Contrada del Nerino, Rugabella,

complice non solo il raffreddore da fieno dei gemelli Borlotti, ma da pianto, anche, per il fallimento economico, e da
raffreddamento stagionale […]» (cfr. N. LORENZINI, Il carnevale della Cognizione del dolore, pp. 1-14). Infatti a p. 313: «I gemelli,
lacrimando in silenzio, e soffiandosi alternamente il naso, due nasi brodosissimi – altro che il nove per cento, gli rendevano,
in quel punto! […]».
250 Cfr. G. GÜNTERT, Satira sociale e male di vivere: I Disegni milanesi di Carlo Emilio Gadda, p. 7: «L’intera sequenza interpolata (da

“Oh confortevole aura” (p. 306) a “i monti, lontani e bianchi, vegliare” (p. 309)) è composta di sei paragrafi legati dalla figura
retorica dell’anafora. Tutti si aprono con un’apostrofe: “Oh confortevole aura!”, “Oh vada, vada la nera Olona delle tintorie
gallaratesi!”, “Oh, il vecchio facchino dal berretto scarlatto!”, “Oh, oh! Il sangue vivente delle lavandaie nei mattini gelati!”,
“Oh bovini (espressione dialettale per “buoi” e per i sensali che se ne occupano) che contrabbandate, a maggio, i primi mazzi
d’asparagi!”, “Oh cavalli! Oh gente!”, apostrofi che si rivolgono alla natura prima inanimata (aura, acque), poi animata: animali,
uomini e donne, natura e cultura». In febbraio il sole si sposta nella costellazione zodiacale dell’«Acquario».
251 Proprio dopo aver detto che l’unica «possibile confidenza» è quella verso gli operai (i «ginocchi doppi», in sineddoche,

ricordano i «ginocchi rinforzati» di p. 303), Gadda riprende il filo diegetico interrotto a p. 303: «Ma tutt’a un tratto, che è, che
non è, la “Confidenza” aveva amaramente deluso le vecchie famiglie […]», illustrando le cause del fallimento dell’azienda.
252 L’onomastica gaddiana (poi la traslazione al dialetto) danno subito un tono comico ai due nuovi personaggi.
253 Da intendere: «una qualche (cfr. GPI, p, 326, s. v. “quai”) azione imprudente (cfr. ivi, p. 305, s. v. “fotta”)», come chiarificato

dall’autore poco più sotto. La vox populi inserita da Gadda riporta la sorpresa e l’incredulità per il fallimento di un azienda come
«la Confidenza», talmente onesta e stabile che, «in sé e per sé», solo per causa propria non poteva trovarsi in questa situazione.
254 La scrittura ricalca fortemente il linguaggio orale e dialettale: «E avevano […] e anche»; «di gran fastidi»; poco più sotto

anche il pleonastico «a loro».


255 Questo è l’unico punto dell’estratto in cui il narratore del racconto si rende compartecipe d’esso, dando forma reale a quella

che fino a questo punto era soltanto voce esterna onnisciente.


256 Cfr. ivi, p. 46, s. v. «buggerare»: «“ingannare”; voce dialettale romanesca».
257 Cfr. ivi, p. 29, s. v. «baciocco»: «“ingenuo, sempliciotto”; dal milanese baciòcch: “bamboccio”».
258 Fortemente ironico (riprendendo le descrizioni delle signore compiute alle pp. 304-305), cfr. ivi, p. 220, s. v. «ragionativo»:

«atto a ragionare».
259 Cfr. DEMA, s. v. «che non è corrotto moralmente». L’immagine molto evocativa rappresenta le signore milanesi, pure, non

corrotte dalla «boria», «cupidigia» e «gangrena» dell’invettiva precedente, che si dirigono dai migliori quartieri di Milano alla
messa delle nove del mattino.
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Quando il Girolamo ha smesso…
Commento ad un estratto del primo ‘vero’ «Disegno milanese»; Seminario MA di Lessicografia moderna e contemporanea;
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Maddalena e Pasquirolo.260 E pare, siamo sempre lì, pare proprio fosse per via della Banca. La Banca di
Milano. Dove avevano avuto l’idea, i due Borlotti, ma più forse el Péder che non el Lüìs, di depositare
alcuni modesti fondi: che, superstiti a quelli dei pantaloni dei loro agenti,261 eran venuti loro a mancare da
qualche tempo – (l’epoca precisa della liquefazione nessuno riusciva più a ricostruirla) – ma certo ne’
momenti più critici.262
Il carnovale impazziva263 per le vie,r come suole, ed era una mucillaginosa264 mattina di febbraio: piena
di influenze, di grippes, di agrippine,265 di tossi, di catarri, di pasticche, di broncopolmoniti, di sputi, di
sternuti, di nasi rossi, e di interminabili ed estremamente redditizie soffiate di naso:266 allorché l’avvocato
Cazzola, el Casoéula,267 come lo chiamavano, confermò loro, ai due Borlotti, l’autenticità garantita del
crack.268 I loro depositi in un conto vincolato non se ne avevano più notizie da un pezzo, sebbene fossero
stati convertiti, colo loro entusiastico assenso, in «obbligazioni ipotecarie al nome»,269 fruttanti el noeuf

260 I «portali», zone di partenza delle signore, si trovano, non a caso, intorno a quello che oggi è il centro storico di Milano,
accanto al Teatro della Scala e il Duomo.
261 Vd. n. 251.
262 Nelle pagine seguenti verrà illustrato nel dettaglio il fallimento finanziario dei due fratelli Borlotti, truffati da un finanziere

senza scrupoli e rovinati dal cattivo esito di alcuni investimenti sbagliati. Cfr. U. DOTTI, Gli scrittori e la storia. La narrativa
dell’Italia unita e le trasformazioni del romanzo (da Verga a oggi), Torino, Aragno, 2012, p. 120: «[…] questo gran palcoscenico fissato
grosso modo tra gli anni venti e trenta del gran Novecento, ci propone, quasi ad apertura del suo stesso sipario, un esemplare
fallimento bancario, una frode finanziaria in cui tutti o quasi cadono; non però, guarda caso, un “omarino del Sol Levante”
che avendo “fiutato” nel suo tessitore il “futuro commendatore con le manette ai polsi”, aveva agito “con criterio” e con
“pronta energia”: “On bel pée in del cü”, vale a dire “un bel calcio nelle posterga”. Quello che proprio ci voleva».
263 Cfr. GPI, p. 143, s. v. «impazzare»: «manifestarsi tumultuosamente, freneticamente».
264 Cfr. DEMA, s. v. «mucillagine»: «sostanza gelatinosa chimicamente simile alla gomma naturale che si forma spontaneamente

nelle piante, in grado di assorbire e trattenere una notevole quantità d’acqua, impiegata in medicina e in farmacia».
265 L’elencazione sfocia nel divertissement verbale, preannunziato dai «nasi brodosi» di p. 309: «agrippine» è inserito soltanto in

libera associazione di termini e somiglianza fonica, non ha rilevanza semantica in questo contesto.
266 Le «estremamente redditizie soffiate di naso» confermano il presagio del crack bancario, della truffa subita dai fratelli, tutto

inserito nel contesto «rivoluzionario» carnevalesco.


267 Cfr. GPI, p. 295, s. v. «uno dei casi frequenti di semantizzazione dell’onomastica milanese: “cazzuola”, sostantivo femminile

(mestola [da muratore]) e “vivanda fatta mescolando più cose e specialmente carni di porco con verdure di varie specie”».
L’avvocato rappresenta l’incongruenza burocratica e l’indifferenza bancaria nei confronti dei due fratelli: «L’avvocato
Cazzuola, convocati i due Borlotti […]confermò loro, al Pietro e al Luigi, gli chiarì e precisò tutte le concatenate e subordinate
circostanze….per cui la Banca….sì, la Banca di Milano….“l’era andada in del balón”» (p. 311).
268 Cfr. N. LORENZINI, Il carnevale della Cognizione del dolore, pp. 1-14: «[…] si potrà parlare […] di un esercitarsi all’eccesso

lessicale, sintattico, che l’enumerazione a elenco veicola a meraviglia, tra paronomasie, slittamenti metonimici, lombardismi da
lingua parlata, come il termine “lingèra” (“Il carnovale impazzava per le vie, come suole […]”). E del resto, avverte in uno
studio recente il Giachery, a proposito di lingua parlata e dialettismi, non v’ha dubbio che esista uno stretto rapporto, sul piano
squisitamente linguistico, tra carnevale e “musa dialettale”, e che la “condizione carnevalesca”, e lo stile comico che le si
associa, si facciano portatori di una «vitalità esplosiva», veicolino il represso e il rimosso, in forme di “trasgressione liberatoria”
[…]. Il carnevale gaddiano raggiunge dunque le aree metaforiche dell’eccesso, dell’irrazionale, dell’onta,
divenendo ipotiposi dell’oltraggio, in una messa in scena della nevrastenia. Ed è la psicanalisi, a questo punto, a essere chiamata
in causa, se si vogliono indagare le ragioni profonde di quell’esplodere, che pare sfiorare, a livello psicologico, esiti incontrollati,
che la forma cerca ogni volta di contenere, nella sua controllata smodatezza». Nella tradizione letteraria il carnevale è stato
sempre motivo di libertà maggiori nella scrittura (ad esempio, come dimostrato per un noto caso cinquecentesco recentemente,
cfr. P. BEMBO, Stanze, a cura di A. JURI, Roma, Salerno, 2020, pp. I-LX).
269 Questo è il modo in cui i due fratelli sono stati truffati; per «obbligazioni ipotecarie al nome» cfr. DEMA, s. v. «obbligazione»:

«termine specialistico (finanza); titolo di credito a interesse fisso o indicizzato, emesso da un ente pubblico, da una società
privata o da un istituto di credito speciale, per ottenere prestiti a medio e a lungo termine rimborsabili gradualmente»; di certo
v’era scritto il loro nome, ma ciò non vuol dire che la banca (gli azionisti) non fosse legittimata a mutarne l’ammontare in altri
investimenti, poi andati persi nella crisi.
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per cènt…. nove per cento, …. Sigüra270…. «Le ricevute provvisorie?»…. Sì, proprio quelle….»
Ma come mai?.... se erano certificati nominativi?271.... «se even roba nostra?» Il come mai si spiega in
due parole. Ecco qua. Le loro «obbligazioni ipotecarie» eran roba loro, difatti: ma erano state disipotecate
a loro insaputa. Poiché sembra che gli instituti di diritto pubblico dei «paesi più civili d’Europa»
contemplassero la possibilità, e riconoscessero la validità, d’un simil genere d’operazioni.272
[…]

270 Il ‘tic’ dell’avvocato alterna comicamente il resoconto del fallimento della Banca di Milano (cfr. p. 312: «“Sigüra!”, esclamò.
E riprese ad esporre» e anche alle pp. 314-15).
271 Obbligazioni al portatore.
272 Cfr. p. 314: «I gerenti della “Confidenza” non erano però azionisti, ma depositanti solo: e, “in prosieguo”, detentori

entusiasti di obbligazioni ipotecarie noeuf per cènt, per quanto disipotecate a loro insaputa». Evidentemente la civilizzazione
dei paesi europei qui menzionata da Gadda è una forte critica all’alienazione del singolo individuo rispetto alla sfrontatezza
delle grandi banche.
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IV. Note273
a. «Parquets»: francese per pavimenti di legno, impalchettature a tarsìa (1880), ma per lo poi a spina di
pesce: (1890-1940). Più costosi e raccomandabili (termicamente) di altri pavimenti. Culto (religioso) dei
parquets a Milano: 1890-1915.274
b. «Brumisti»: vetturini, conduttori di brùmm ossia «brougham» (inglese); che è carrozza chiusa a un
cavallo.275
c. «Ribaltamento» è rotazione di una figura intorno ad un asse immaginato, sì che ne ricada nuovo
contorno sul foglio: (geometria proiettiva, disegno). E discesi di veicolo che vada sossopra: «L’auto è
ribaltata nel fosso co’ duo pomodori».276
d. «Lana» è quel soffice e grigio intrinsecarsi di polvere e di peluzzi, con alcun frùstolo e alcuna festùca,
quasi lanugine d’un pàpero giovinetto, che si riscopre da sotto e da dietro a’ mobili quando e’ siano stati
sanza cure: e anche nel suolo. 277
e. «D’un bue vero», cioè non toro o vacca. Di squisita carne ossia polpa, dalla campagna padana tradotto
in carretta apposita fino al macello milanese. Mentreché di Croazia e d’Ungària, per ferrovia, vecchie e
fibrose femmine: o maschi tigliosamente resistenti alla masticazione. Vedi: «Una mattinata ai macelli», di
penna dello scrivente.278
f. «Sàlgari» chiamavamo ragazzi Emilio Salgàri da Verona, autore diletto.

273 Sono queste delle note con funzione di commento, «che riflettono effettivamente su quanto è stato scritto o detto nel
passaggio che precede, provvedendolo di una forma di commento» (S. FRIGERIO, Strategie metatestuali autoriali, Thèse de Doctorat,
E. MANZOTTI, Université de Genève, 2015, p. 363). Una prosa come quella gaddiana permette, in una situazione assolutamente
sui generis, di «[…] avere, con la posizione de’ L’Adalgisa di equilibrio tra romanzo e racconto, la convivenza e la
giustapposizione di diversi nuclei narrativi […]» (ivi, p. 371).
274 Esempio di nota a metà tra l’esplicativo e il digressivo: di fatto una «Espansione della definizione in una pseudo-voce di

dizionario (indicazione dell’etimologia, delle varianti morfologiche, del contesto di impiego, di eventuali sottolemmi, della
fraseologia, ecc.), o addirittura di enciclopedia (con digressioni più ampie e aggiunte di contorno) […]» (ivi, p. 374). Inoltre:
«La nota a parquets presenta il caratteristico uso parodico di formule tipiche dei dizionari e delle enciclopedie. Il termine viene
definito con un eccesso di scrupolo per quanto riguarda la disposizione dei tasselli (si giustifica solo la specificazione di legno,
dato che in italiano non esiste un termine che equivalga effettivamente a parquet), peraltro tramite impiego di un vocabolo
raro e tecnico (impalchettatura). Si aggiungono dettagli sul costo e sulle qualità isolanti, ironizzando sull’attenzione e la cura
ossessiva di cui i parquets vengono fatti oggetto da parte dei proprietari. Le date naturalmente, così insistenti e iperbolicamente
precise, sono ironiche, non hanno un reale valore informativo e piuttosto giocano graficamente sull’accostamento di numeri
e parentesi, oltre che sulla fitta punteggiatura, che non teme di accostare (come si è visto anche in precedenza) i due punti al
segno di parentesi» ivi, p. 386).
275 Semplice nota esplicativa, ma riguardo al termine «brumisti» va aggiunto che «[…] i milanesi hanno effettivamente adattato

il termine inglese: i termini indicati esistono (sia brumisti che brougham, come pure brumm, […]) benché al non-milanese il termine
onomatopeico tipico del linguaggio infantile possa creare inizialmente qualche dubbio» (cfr. ivi, p. 387).
276 Vd. n. 273.
277 «Il registro alto della nota è impiegato per designare un referente estremamente banale, che il termine impiegato nel testo

principale certo bastava a chiarire (e già lo stesso testo principale accosta a lana una formula di registro ben più alto quale
retrostrutture normalmente inaccesse). La spiegazione dunque complica il quadro, designando la lana come misto di polvere
e peluzzi, con aggiunta di qualche frammento di materia di qualunque tipo (frùstolo) e di qualche fuscello di paglia (festùca)»
(S. FRIGERIO, Strategie metatestuali autoriali, p. 384).
278 In questo caso il rimando è intratestuale e assolutamente utile alla comprensione del testo per il lettore (vd. n. 56).

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g. «Una spera da ballo Amor». Due balletti fantasmagorici (Teatro alla Scala, 1900-1910) furono «L’Amor»
e l’ «Excelsior!». Epopea dell’homo sapiens; dall’infanzia del cavernicola al trionfo dell’elettricità. Sul
palcoscenico tram elettrici di cartone color maionese. Aurore boreali.279
h. «Lókk» : (dial. milanese): balordo, stordito, avventato: poi anche bravaccio: e oggi teppista e, più,
malvivente. «Inlokkì, trà lókk» = inlocchire, tirar locco = assordare, stordire, frastornare, anche sbalordire.
Probabile derivazione dallo spagnolo «loco» = pazzo, e anche sventato.280
i. «Züff in süi oeucc» (dial. Milanese): ciuffo o zuffo sugli occhi: a celare il più possibile i tratti del volto.
Pratica dei grassatori: (asasìn de strada). Vedi anche: MANZONI ALESSANDRO, I promessi sposi.281
l. «Incomptis capillis»: da ORAZIO, Carmina, I, 12, v. 41: «e Curio dagli scaruffati capelli».282 Secondo
testimonianze molteplici, il «grassouillet» mal sosteneva le cure minute della toilette esterna, fors’anche a
causa dello sfondo epilettoide283 della propria costituzione: i suoi camerieri, quando fu Cesare, dovevano
faticare non poco a potergli accomodare lo sbuffo284 ossia cascatella di lattughe trinate del colletto-
cravatta, e ad appiccargli sul davanti tutta la dorata e smaltata chincaglieria ed aquileria cesarea. 285 Era
però assai netto286 della persona e amante di bagni, anche in una reminiscenza neoclassica dei bagni e
delle vasche da bagno (bagnarole) imperiali romane, di granito e di porfido. Ebbe (a suo modo) il culto
di Roma: e, in certo senso, lo spirito costruttivo e organatore287 di Roma. Depredò Roma. Malmenò due

279 Vd. n. 273.


280 Esempio di nota di carattere esplicativo, esegetico, dove viene corrisposta «l’esigenza di fornire una traduzione di termini
lombardi difficilmente comprensibili altrimenti, e principalmente a tale esigenza corrispondono le annotazioni presenti nelle
edizioni su rivista; più brevi, queste note spesso si occupano di chiarire un termine, un uso, o tutt’al più accennano un
immagine» (S. FRIGERIO, Strategie metatestuali autoriali, p. 372).
281 Vd. n. 273.
282 ORAZIO, Odi ed Epodi, a c. di A. TRAINA ed E. MANDRUZZATO, Milano, BUR, 2010, p. 102: «Hunc et incomptis Curium

capillis|utilem bello tulit et Camillum|saeva paupertas et avitus apto|cum lare fundus […] («Buono alla guerra|lo fece, e fece Camillo e
Curio|dalla chioma confusa,|la povertà crudele, il campo|dei padri, la breve casa»). La citazione qui di Gadda ad un verso dal
carme oraziano ci permette di sottolineare anche, mutatis mutandi, una ispirazione per la tendenza al neologismo: «Orazio
nell’Ars poetica dà al poeta licenza, si forte necesse est, in caso di necessità, di foggiare nova verba, purché con discrezione […].[…]
Orazio ama piuttosto sfruttare il potenziale semantico delle parole esistenti tramite la collocazione. I procedimenti sono varii.
Uno, il più famoso, e il più discusso, è quello che Orazio denomina callida iunctura: dixeris egregie, notum si callida verbum /reddiderit
iunctura novum (ars 47 sg.: “dirai in modo personale se un accorto abbinamento renderà nuova una parola nota”)» (ivi, p. 39).
La stessa immagine, come indicato da Gadda stesso, è presente anche in A. MANZONI, Fermo e Lucia, a c. di D. ISELLA, B.
COLLI, P. ITALIA, G. RABONI, Milano, Casa Del Manzoni, 2006, Tomo III, Cap. IV, p. 354: «[…] poichè si parla tuttavia delle
magre cene di quel Curio mal pettinato, come lo chiamò Orazio;[…]. E perché dunque il tozzo di pane di Federigo e il suo
bicchier d’acqua non potranno ottenere una simile immortalità di gloria? […]». Il legame intertestuale con Orazio non è affatto
marginale, come analizzato in M. L. CECCOTTI, M. SASSI, La cultura latina in C. E. Gadda, Pisa, Istituto di linguistica
computazionale del consiglio nazionale delle ricerche, Servizio Tecnografico Area della Ricerca (S. T. A. R.), 2002, p. 31 e sg.
È questa un esempio di glossa storica, la più lunga in assoluto, quasi un racconto a sé: «È risaputa la feroce e sarcastica
avversione di Gadda per Napoleone […] il Bonaparte è il “piccinella”, “il grassouillet”, “epilettoide” […]» (A. SILVESTRI, Su
due note dell’Adalgisa. Tra storia e tecnica, in «The Edinburgh Journal of Gadda Studies», a. XV (2015), pp. 1-17).
283 Cfr. DEMA, s. v. «epilettoide»: «chi ha tendenza a soffrire di epilessia».
284 Cfr. ivi, s. v. «a sbuffo»: «di abito femminile o di una sua parte, rigonfio».
285 La ridicolizzazione di Napoleone e delle sue fantasie di grandezza ‘romane’ fungono perfettamente anche da critica al

fascismo capitanato da Mussolini.


286 Cfr. ivi, s. v. «netto»: «pulito».
287 Cfr. ivi, s. v. «organatore»: «basso uso; chi dà un’organizzazione razionale a una materia, un attività e simili».

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Papi per ottenerne la benedizione.288 Con le donne (che non disdegnò) alquanto mal garbato,289 e a volte
enfatico (lettere a Giuseppina290 durante la campagna d’Italia del ’96: boccone ghiotto per la frottoleria
eterosessuale romantica): e per lo più sergentesco ne’ tratti (concordi testimonianze femminili italiane e
francesi), d’una brusquerie291 da caserma. A’ ricevimenti (Saint Cloud, Tuileries, Mombello, Malmaison,
ecc.),292 che voleva fastosi, da sostenere nel fasto il fulgore della rinverniciata regalità, riusciva talvolta e
spesso a noiar le persone, dovendo esser sempre lui a cicalare, de plenitudine majestatis, e gli altri a dir di sì,
de plenitudine servitutis:293 le «dames» annuire, con cenni del ben pettinato capo,294 e adorabile tremamento
di tutta la soavissima e dimolto scollata persona. La cerimonia della incoronazione milanese (a Re d’Italia,
il 26 maggio 1805, poco dopo mezzogiorno) ripete in alcuni momenti e nell’atteggiamento base del
protagonista la incoronazione parigina (a imperatore de’ Francesi, il 2 dicembre 1804. Il 2 dicembre è il
futuro giorno della «giornata» di Austerlitz, 1805, e poi del colpo di stato di Luigi, 1851). L’omettino col
diavolo in corpo, e col pepe in culo,295 è ancor lui, sempre lui, a Milano come a Parigi. Talché rinnova in
Duomo il gesto brusco dell’autoimposizione (del cerchio296 ingemmato) che usò in Notre-Dame alla
facciazza del papa, Pio Pontefice VII, (al secolo già Barnaba Chiaramonti da Cesena, e Gregorio
nell’ordine Benedettino di cui usciva): dopo che lo lasciò lungamente ad attenderlo al freddo (oltre un’ora)
nella chiesa, diaccia297 più che gelata. In Notre-Dame, quando furono finalmente all’altare, l’ex-generale
dell’armata repubblicana d’Italia prese su la corona che gli veniva presentata sull’immancabile cuscino
cremisi (vedi DAVID, GIACOMO LUIGI, Le sacre de Napoléon, ecc.),298 e se la pigiò in capo da sé, prevenendo
l’atto rituale del Papa;299 che avrebbe avuto troppa efficacia a resuscitar nella chiacchiera (de’ credenti-
miscredenti) le interminabili diatribe medioevalesche sulla preminenza dell’uno o dell’altro potere: papa-
sole imperatore luna, o viceversa.300 Poi coronò con corona femmina Joséphine (Giuseppina): in privato

288 Riferimento all’auto-incoronazione di cui si parlerà più sotto (cfr. pp. 331, 336).
289 Per l’intertestualità con Stendhal, Les temps héroïques de Napoléon, cfr. A. SILVESTRI, Su due note dell’Adalgisa. Tra storia e tecnica,
pp. 3-4: «a proposito di una signora che corteggiava Napoleone: “il prit la fuite”; e nei “récits de dame”: “Bonaparte […] garda
une silence glacial […] son caractère était froid”».
290 Prima moglie di Napoleone Bonaparte, Joséphine o Marie-Josèphe-Rose-Tascher de la Pagerie (Gadda si occupa di

modificare il secondo nome), come ci informa lo stesso autore prima moglie di Alessandro di Beauharnais, poi vedova alla
caduta di Robespierre.
291 Attitudine brusca.
292 Varie residenze napoleoniche.
293 Rispettivamente sulla perfezione delle maestà e sulla perfezione delle servitù.
294 In vistosa opposizione agli incomptis capillis attribuiti a Napoleone.
295 L’abbassamento di registro per le invettive a Bonaparte si amalgamano perfettamente al resoconto cronachistico.
296 Corona.
297 Cfr. GDLI, s. v. «diacciato»: «rappreso in ghiaccio, ghiacciato, congelato».
298 «“L’interesse per gli studi storici può dirsi innato in me” confidava ad Arbasino Gadda, riferendosi proprio in particolare

“ai fatti della grande storia francese”, alla personale passione per gli “storici francesi e inglesi […] e memorialisti […] gli
epistolari, le lettere”» (A. SILVESTRI, Su due note dell’Adalgisa. Tra storia e tecnica, p. 3).
299 Cfr. ibid.: «Emerge in più punti il Napoléon di Bainville (in un’edizione parigina Fayard del 1931) […]: “Napoleone,

prevenendo il pontefice, afferrò la corona per riporsela egli medesimo sul capo”».
300 La questione filosofico-teologica viene affrontata in modo sprezzante e ironico (la simbologia del sole e della luna erano

effettivamente utilizzate, come ad esempio da Dante nella Monarchia).


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Maria Giuseppa Rosa Tascher de la Pagerie,301 vedova del decapitato (1794) generale visconte Alessandro
dei marchesi di Beauharnais. Costui aveva comandato un corpo dell’armata del Reno, movendo al
soccorso degli assediati di Magonza (Merlin, Kléber) con una certa sua prudenza un po’ podagrosa:302 che
non giovò a nulla, insospettì la Convenzione,303 e gli valse la indesiderata lama sulla collottola.
Donna di begli occhi, lei, scuri e fondi e direi supplici nella dolcezza del viso, di garbato
conversare, di portamento signoresco, di figura incredibilmente elegante (flessuosa) oltreché sveltita 304
dalle mode, d’animo incline a bontà e ad un sorriso di gentilezza, e alquanto delicata di stomaco, e con
denti così così. Abile e intrigantuccia, con relazioni vastissime su entrambe le sponde, a tutti cara e gradita,
trafficando in permute e in rivendite di gioielli e di scialli, riuscì a tenersi a galla con l’Eugenio e
l’Ortensia305 fra ingioiellate mogliere dei pezzi grossi della Convenzione, fra Direttorio e fornitori militari,
fra generali di passaggio e banchieri di buon appetito, e visconti scampati e non emigrati, e maratiani in
contro-vapore. L’Eugenio lo tirava su «à la Rousseau».306
La «belle créole»,307 come la chiamavano per quanto non fosse affatto meticcia, se pur nata alla
Martinica (Trois Ilets) il 23 giugno 1763, era buona amica dei Carnot marito e moglie, e di madame
Tallien308 ex-De Fontenay ex-Teresa Cabarrus: quella spagnola dagli stupendi occhi che il popolo battezzò
per Nostra Signora di Termidoro309 e il Babeuf invettivò come Pompadour riacquistata:310 dal popolo
medesimo. Era costei moglie in seconde nozze (dopo il divorzio De Fontenay e dopo il carcere) a quel

301 «On the second of December 1804, Joséphine de Beauharnais (born Tascher de la Pagerie in Martinica; 23 June 1763 – 29
May 1814 in Rueil-Mailmaison) was crowned as Empress of the French in the Cathedral of Notre-Dame. Her husband […]
placed on her head the replica of the crown of Charlemagne before Pope Pius VII […]. The former viscountess of
Beauharnais, born a creole, would be wearing the imperial cape for six years until her official divorce from Napoleon on 10
January 1810 […]» (T. L. VIEL, The Empress of the French. Iconography of Joséphine de Beauharnais, in «Potestas», a. XV (2015), pp.
241-264, a p. 241).
302 Cfr. DEMA, s. v. «podagra»: «termine specialistico (medicina); gotta localizzata nell’articolazione dell’alluce».
303 Cfr. ivi, s. v. «convenzione»: «termine specialistico (storia); assemblea legislativa che tra il 1792 e il 1795 governò la Francia

ed elaborò la costituzione della prima Repubblica».


304 Cfr. ivi, s. v. «rendere più slanciato, più sottile».
305 I figli di Joséphine de Beauharnais. Cfr. T. L. VIEL, The Empress of the French. Iconography of Joséphine de Beauharnais, p. 248 : «In

1779 she married the rich young army officer Alexandre, Viscounte of Beauharnais, and moved to Paris. Although the Creole
bore him two sons, Hortense (1783- 1837) and Eugène (1781-1824), Alexandre was ashamed of her provincial manners;
carelessness towards his wife became so manifest that in 1785 they signed for divorce».
306 Il riferimento è probabilmente al trattato pedagogico-filosofico Émile ou de l’éducation di Jean-Jacques Rousseau (1762),

intendendo una educazione alla moda.


307 Cfr. DEMA, s. v. «creolo»: «chi è nato nelle colonie spagnole, francesi, e portoghesi d’America da genitori europei».
308 «[…] at a time when she often visited Madame Tallien’s house, in La Chaumière, the residence of Paul François Jean

Nicolas, viscount of Barras and the neo-Greek pavillion on Chanteriene Street» (T. L. VIEL, The Empress of the French. Iconography
of Joséphine de Beauharnais, p. 249).
309 Cfr. ivi, p. 248 : «Madame de Beauharnais frequented high society when she found herself involved in serious death threats

the moment her husband fell out of favour among leftist Jacobins and was guillotined in June 1794. The same Viscountess
herself was imprisoned; but after the coup of 9 Thermidor (July 27) the terror ended, and she was released».
310 Cfr. A. FREUND, The citoyenne Tallien: Women, Politics, and Portraiture during the French Revolution, in «The Art Bulletin», 2011,

Vol. 93, no. 3, pp. 325-44, a p. 343: «Among the early attackers of Cabarrus from the left was Gracchus Babeuf, who in 1794
referred to her and other women in her circle as new manifestations of Mme de Pompadour and Mme du Barry, both
mistresses of Louis XV, and Marie-Antoinette, who had become “lady legislators”».
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Giovanni Lamberto Tallien311 che l’aveva levata dal carcere: il giacobino, comunardo, convenzionale,
maratiano, e infine ex-terrorista in fase di rinculo di cui è piena la storia, nonché la cronaca.
La nostra Giuseppa Rosa312 fu poi amicissima (leggi tra i righi)313 a Barras (Paolo Giovanni
Francesco Nicola, visconte di) il montagnardo eversore di Tolone, il più direttoriale dei membri del
Direttorio. Il suo gusto per i bei vestiti la rendeva un po’ schiava di chi poteva pagarglieli. A furia di
pazienza, di grazia, di bontà, di coraggio, di piccoli servigi resi un po’ a tutti, e a tutte, era pervenuta a
salvare anche la casa della chaussée d’Antin.314 Aveva della biancheria, delle posate. Sapeva ricevere: gente
da ricevere non ne mancava nella Parigi del 95’. Nel suo salotto-zàttera il lugubre e sparuto generaluccio
del 13 vendemmiaio315 (5 ottobre 1795) sorbì qualche buona tazza di cioccolatto:316 la visconteria
superstite oramai si faceva passare lo spavento: con del cioccolatto in tazze. Il direttore Barras più degli
altri, ma anche il Carnot del resto, avevano ragioni di stima, di riconoscenza, chiamiamola così, per il
bravo artiglieretto di Tolone e soprattutto gendarmetto del 13, per il giallastro Vendémiaire: ed è però
anche probabile che verso il marzo ovvero dunque ventoso317 spasimassero già dalla voglia, non meno
lui che Carnot, di levarselo dagli zebedèi: avendolo meglio conosciuto nel frattempo: cioè per
quell’intrigante arrivista che di fatto era: e aspettandone il peggio. Tra Nizza e Oneglia il malinconico
Schérer,318 privo, al solito, «di pezzi d’assedio», si grattugiava un po’ di formaggio per conto suo,
titillandosi319 con le scarpe rotte, con le razioni ridotte, con l’insubordinazione, l’insuccesso, la mancanza
di mutande della sua «armée d’Italie», e sfogandosi nelle circolari «a tutti i comandi dipendenti». La vedova
Beauharnais si dava ormai un tono un po’ abbandonato: le sue toilettes costavano troppo per un direttore
«di animo sensibile» (repubblicanamente sensibile) come il visconte di Barras. La pelle e la persona ancor
morbida e servizievole a carezze, e magari a un repentino ritorno del desiderio, era però avviata al
settembre, ai toni dulcorosi320 dell’uva passa. I ragazzi del decapitato crescevano, specie Eugenio,
crescevano di giorno in giorno tra i piedi di tutti, testimoniando con la loro presenza di cardi in fiore circa
le imminenti stagioni della madre. Ortensia, nella sua tristezza di ipotimica321 e nella sua rettitudine di oca,

311 «It is more likely that her efforts to publicize her political engagements were intended as a form of preemptive self
justification, a defense against accusations that she had corrupted Tallien and used her influence to save aristocrats from the
guillotine» (A. FREUND, The citoyenne Tallien: Women, Politics, and Portraiture during the French Revolution, p. 329).
312 Il nome straniero reso secondo la grammatica italiana ha un effetto fortemente ironico, nonostante fosse una prassi ben

accettata fino a tutto il secolo del 900’.


313 «The gossip had some basis in fact; she began an affair with Paul Barras, one of the five directors, just months before the

Salon of 1796 opened, making any narrative of innocence and fidelity to Tallien difficult to sustain» (ivi, p. 341).
314 Quartiere parigino (IX arrondissement).
315 Cfr. DEMA, s. v. «vendemmiaio»: «termine specialistico (storia); nel calendario rivoluzionario francese, primo mese

dell’anno che andava da settembre a ottobre».


316 Cfr. GPI, p. 64, s. v. «cioccolatte»: «“cioccolato”, in forma pariniana».
317 Cfr. DEMA, s. v. «ventoso»: «nel calendario rivoluzionario francese, sesto mese dell’anno che andava da febbraio a marzo».
318 Generale francese del periodo rivoluzionario.
319 Cfr. ivi, s. v. «titillare» : «solleticare leggermente».
320 Cfr. ivi, s. v. «edulcorare»: «rendere dolce; attenuare, mitigare».
321 Cfr. GPI, p. 152, s. v. «ipotimico»: «“sofferente di ipotimia”, che è “diminuzione patologica del tono dell’umore e

dell’affettività, di frequente riscontro nella schizofrenia».


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non aveva ancora avuto occasione di rifiutar la mano del barone di Mun: (adducendo ch’egli era andato
a letto con madame de Staël).322 Barras stufo, sicché coltivava oltre tutto un suo ideale a parte, un
idealuccio privato ed interno, dopo quello esterno e pubblico di menar la repubblica: e cioè quell’altro
non meno ragionevole e civile di rifilare la nostra Giuseppa, con tutti i conti delle sue sarte, al primo
pretendente si facesse avanti: e palesasse, intendiamoci, avere intenzioni serie. O anche magari non serie.
Il coso, il Vendemmiaio, col suo fiuto di volpiccia cachettica,323 aveva annusato da tempo il bel salotto,
l’argenteria, i tappeti della Giuseppa: quella sua dolcezza un po’ fanée324 ma ancora suscettiva di un qualche
ardente sussulto nel ricordo della Martinica natìa: e soprattutto la sua capacità d’intrigare e di favorire, e
le sue relazioni d’ogni genere, desiderabile predella325 per una carriera politica. Aveva bazzicato lui pure,
e non invano, i Tallien: la società in insalata326 era il fatto suo: quei ministri, o direttori che fossero, quei
fornitori, quei maneggioni in rimescolo e in succhio, quei banchieri che caldeggiavano la spoliazione
d’Italia fra citazioni di Montesquieu e i propositi di rubar l’anima al Papa e a tuti i preti d’Italia: quadri
rubare, tappeti, vasi posate d’argento, regalando «assegnati», col trinomio, ai più solerti fornitori di
foraggio del lodigiano e del cremasco: rubare, rubare argento alle tombe, agli altari d’Abruzzo, alle arche
d’argento dei vecchi santi distesi, mitrati, color cioccolatto, con le loro orbite vuote, coi loro denti guasti
strizzati nell’eternità.327
Tutto sommato, dunque, il rigirìo dei sentimenti repubblicani del terzetto (Barras-Giuseppina-
Vendemmiaio) stava per risolversi nel miglior modo pensabile, in un gioco di lascia ch’io piglio: da parere
il gioco della polarità trifase nel motore di Ferraris a campo magnetico rotante.328 Fu allora che Giuseppina
fece un sogno: un sogno straordinario. Sognò che il suo Eugenio le appariva: che, orbato del padre, ne
rivoleva la spada: «chiedendole un protettore». No, Freud non ci ha che vedere.329 Il profondo istinto
della donna, della mamma, dal buio dei visceri vigilava le fortune proprie e del figlio; aggregò le nozze
seconde alla toga virile del figliolo. Il redditizio travaglio della di lei ragionevole amabilità non indugiò a
maturar l’incarico al Bonaparte, in quattro e quattr’otto, la fulgurativa missione! Guai ai ducati! e ai bei
bovi dei duchi. Manzo allesso doppio per l’armata d’Italia! Urràh! pantaloni nuovi! e finalmente le
mutande, a Milano!330

322 La nota scrittrice di cui, fine del 700’, venne pubblicato e discusso il noto articolo nella Biblioteca Italiana (d’invito alla
letteratura straniera e d’abbandono rispetto al classicismo); rivista frequentata dal giovane Leopardi.
323 Cfr. DEMA, s. v. «cachessia»: «grave deperimento fisico dovuto a malattie o a vecchiaia».
324 Cfr. GARZ, s. v. «fané»: «appassito, avvizzito».
325 Cfr. DEMA, s. v. «predella»: «predellino di una vettura».
326 Cfr. ivi, s. v. «insalata»: «mescolanza confusa di più cose».
327 Il nominare una serie lunga di oggetti è correlativo oggettivo della brama, del desiderio di possedere tutto.
328 Cfr. ivi, s. v. «trifase»: «termine specialistico (elettronica); di correnti alternate, ciascuna delle quali è sfasata di un terzo di

periodo rispetto alla precedente».


329 L’avvento del matrimonio con Napoleone Bonaparte è ironicamente spiegato con una apparizione in sogno. Il commento

di Gadda è quasi una risposta d’anticipo alle possibile future interpretazioni errate dei critici.
330 La venuta del futuro re d’Italia, rivoluzionaria e a nome della libertà, è così comicamente resa con un semplice ma netto:

«finalmente le mutande, a Milano!» (forse con riferimento ironico ai sanculotti).


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Il decreto, con tutte le firme direttoriali, glielo portò lei stessa. Gli sorrise pensosa. Fu il
matrimonio (9 marzo 1796, nel solo rito civile): e tre giorni dopo la partenza.
Si venne al 2 dicembre del ’4.
Con la ex-vedova di Beauharnais il primo console a vita aveva regolato la propria posizione
religiosa il dì avanti, alla chetichella, dietro adeguate insistenze della Gloriosa Memoria del Chiaramonti
Papa, il quale non intendeva incoronarli, così sbroffò, né lui né sua moglie, se non fossero marito e moglie
anche davanti a Dio. Tali, poi, Renzo e Lucia.331
Consentì dunque l’incoronando prepontello a che il rito della Chiesa tenesse per valido quale
matrimonio religioso il matrimonio civile di otto anni prima. Era una scocciatura santissima questa di
questo Papa servente, ma pignoleggiante all’ultimo momento; non già per la pignoleria in sé, di cui non
gliene importava un fico secco, al piccinella: ma perché il piccinella (1804!) era già strastufo della vecchia:
non più utile alla carriera332 e non più in grado di scodellare l’auspicato erede alla raggiunta corona:
offertagli dal popolo repubblicano con quel po’ po’ di fracassi. Meditava dunque disfarsene al primo
incontro, della Giuseppina; ma, insomma, abbozzò: rimuginando che dopo tutto una qualche scappatoia
canonica si sarebbe sempre potuta escogitare, al momento buono, per togliersi d’attorno quell’utero
quarantunenne.
Al «sacre»,333 com’è ovvio, presenziarono tutta una gala e una pompa di dignitari, generali, neo-
marescialli; di ciambellani, di dame; e anche qualche marchese di quei d’una volta che avesse finalmente
inghiottito, o fatto le viste di inghiottire, il bel rospone tricolore; con tutta la serqua334 dei fratelli e sorelle
e parenti poveri non più poveri, impennacchiati e diademati per la circostanza: il Giuseppe, il Luciano,
l’Elisa, il Luigi, la Paolina, la Carolina, il Girolamo, oltreché beninteso la chioccia madre Letizia:
(Ramolino vedova Bonaparte, detta dal Carducci bel nome italico:335 buona a raspare, però, tutto quello
che c’era da raspare).
Verso la fine, il Papa, tanto per far qualcosa anche lui, prese a recitar l’orazione con che si batte il
ciaraffo336 a’ regnanti, e’ disperdano la genìa maledette degli infideli:337 mentre che il piccoletto sotto

331 «At the arrival of the coronation, Madame Bonaparte and Napoleon were forced to perform a religious ceremony to bless
their marriage, because the Pope refused to consecrate future emperors if they failed to meet this requirement. Thus, in the
Royal Chapel of the Tuileries on the eve of the coronation and in discreet private celebration, the couple went to the altar for
the first time» (T. L. Viel, The Empress of the French. Iconography of Joséphine de Beauharnais, p. 248). Il riferimento ai Promessi Sposi
ricorda ironicamente le peripezie dei due innamorati e la ritrosia di Don Abbondio.
332 «Madame Bonaparte proved an indifferent woman who did not use to answer the passionate letters written by the future

emperor to whom she was unfaithful. The general, aware of his betrayal, threatened to divorce her but thanks to the
intervention of Eugène and Hortense, the children of Joséphine, Napoleon eventually discarded the idea» (ibid.).
333 Propriamente l’intronizzazione.
334 Cfr. DEMA, s. v. «serqua» : «grande quantità».
335 Cfr. G. CARDUCCI, Odi barbare, a cura di L. BANFI, Torino, Einaudi, 1986, p. 46: «Ivi Letizia, bel nome italico» (Per la morte

di Napoleone Eugenio, v. 33).


336 Cfr. GPI, p. 61, s. v. «battere il ciaraffo»: «chiedere denaro, battere cassa».
337 Ricalco del francese infidèles.

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corona davasi a diveder noiato e ristucco338 di quel borbottato codicillo, apposto così da ultimo alla sua
immatricolazione cesarea: e con ostenti sbadigli riceveva dentro gli orecchi, senza pur intenderne un’acca,
le clausole successive della lungagnata.339
A Milano, a maggio, le cose andarono press’a poco a quel modo: se pur facilitate dal precedente
parigino del 2 dicembre e rese più solenni e più cupe dalla maggior capienza, sonorità, e buio del
Duomo:340 e forse da un più lauto accozzo di porporati e popolo, se non di ceri e di moccoli. Si vide il
nano uscir di palagio alle dodici, tutto ammantato d’una sua sorta di accappatoio amaranto, di seta, e
dentro, però, ermellino: o forse viceversa: dallo strascico interminabile, che i Grandi Scudieri del nuovo
regno reggevano, fieri di reggerlo.341 Cardinale, arcivescovi e vescovi attesero il superstite di Marengo e
domatore di Pavia e di Verona342 in sulla porta maggiore di quell’allora baraccone della facciata
incompiuta: che aveva falde di tetti provvisori un po’ per tutto, al disopra: e un par di dozzine di pinnacoli
fra cui il massimo ne isbucavan qua o là, come altrettante punte ritte dalla cotenna bigia d’un istrice,343
che sieda ispelacchiato344 per tigna.345 La corona primamente cinta dal grassottello fu la così denominata
corona di ferro o ferrea, di certa consacrazione lombarda: messa su, pare, da Agilulfo re (salutato poi
Flavio) marito secondo, dopo Autari Flavio, a Teodolinda regina.346 La quale fu operatrice di folte
conversioni langobardiche (dalla eresia di Ario alla verità della Cattedra) e protettrice e donatrice di
monisteri: e fondò la di poi guasta e rifatta basilica di San Giovanni Battista in Monza (commemorata da
Paolo Warnefrido, De Gestis Lang., libro IV, cap. 22), ove la corona tuttora si conserva, con l’evangelario
d’oro: e con altri curiosissimi aggeggi e calìe,347 quale d’oro, e quale d’argento. Scortata a Milano per

338 Il linguaggio ricercato è fortemente ironico: «davasi» (con enclisi del pronome atono), «divedere» (cfr. DEMA, s. v.
«divedere»: «basso uso; vedere») e «noiato» (forma aferetica di ‘annoiato’). Per «ristucco» cfr. GPI, p. 225: «fortemente annoiato,
infastidito».
339 Cfr. ivi, pp. 160-61, s. v. «lungagnata»: «“discorso lungo e noioso”, da “lungo” incrociato con “lagna”».
340 «Per inaugurare una nuova era, a Napoleone I non basto essere nominato imperatore dei Francesi, il 18 maggio 1804, per

voto del Senato della Repubblica francese, e re d'ltalia, il 17 marzo 1805, per voto della Consulta di Stato e dei deputati dei
collegi e dei corpi costituiti della Repubblica italiana; voile anche essere "consacrato e coronato" a Parigi il 2 dicembre 1804 e
coronato a Milano il 26 maggio 1805, con il massimo della solennità e alia presenza delle più alte autorità dello Stato e della
Chiesa, nella tradizione delle monarchie europee tra le quali il nuovo Impero doveva occupare il primo posto» (E. PIGNI, Le
due incoronazioni di Napoleone, p. 739).
341 «Domenica 26 maggio fu la giornata dell'incoronazione. A mezzogiorno l'imperatore e re usci dal Palazzo reale portando

sul capo la corona imperiale e la corona d'ltalia inserita in essa, tenendo nelle mani lo scettro e la mano di giustizia d'ltalia e
indossando il manto reale sostenuto dai grandi scudieri d'ltalia e di Francia (Carlo Caprara e Caulaincourt). Per raggiungere la
cattedrale percorse una galleria appositamente costruita dalla scala maggiore del Palazzo reale alia porta della chiesa
metropolitana» (ivi, p. 743).
342 Ironica perifrasi per Napoleone Bonaparte.
343 Cfr. DEMA, s. v. «istrice»: «piccolo mammifero con il corpo coperto di aculei appuntiti ed erettili, che vive specialmente

nei luoghi boscosi».


344 ‘Spelacchiato’ con -i- prostetica.
345 Cfr. ivi, s. v. «tigna»: «termine specialistico (medicina); affezione contagiosa del cuoio capelluto».
346 «La corona ferrea era stata scelta da Napoleone come emblema del suo Regno d'ltalia per le ragioni cosi esposte da

Marescalchi, ministro delle Relazioni estere, alia Consulta di Stato (lettera del 20 febbraio 1805 citata nella nota precedente):
“Pare non vi sia stemma, che possa servire a disegnare più generalmente, e vulgarmente il Regno de’ Lombardi o italiano della
Corona di ferro, di cui e opinione stabilita che si servissero i Re longobardi per farsi incoronare, e che si pretende sia quella,
che si conserva ancora attualmente a Monza”» (E. PIGNI, Le due incoronazioni di Napoleone, p. 741).
347 Cfr. GPI, pp. 50-51, s. v. «calìa»: «minute particelle di oro o di argento che si staccano durante la lavorazione».

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l’occasione (22 maggio) da robusti e volonterosi giovanotti monzesi, questi poi la vegghiarono348 dì e
notte all’altare, su cui fu deposta, fino a consumazione della festa. È detta ferrea perché vi rigira drento
un bel cerchio di ferro, il qual vuolsi349 ottenuto dall’un de’ chiodi di che fu crocifisso il Signore.350
Si venne al giorno. Il cardinal Caprara,351 quando la pompa fu pervenuta nel presbiterio, e i pezzi
più importanti dell’altare, porse al neo-re, che se n’era svestito e se ne rivestì, l’addobbo del mantellone
detto manto reale, con gli stromenti della sovrana dignità: la spada, la mano della giustizia, ecc. Ma la
corona di ferro il Bonaparte se la prese su, dal cremisi, e se la pigiò in capo da sé. La frase del «guai a chi
la tocca» fu realmente pronunziata:352 ne fremettero i ciambellani: poi, risaputa e ripetuta da tutti, fece
dimolta impressione su le genti, specie le donne. Seguirono suoni di campane e di trombe, fuori, spari di
mortai, ascensioni di palloni aereostatici, libazioni di latte con zuppàtovi dentro pan giallo dolce (pan de
mèi): e, sotto le volte del Duomo, canti religiosi, sacre funzioni, rese di grazie all’Altissimo per quel bel
regalo del regno, benedizioni, genuflessioni, nuove congratulazioni terrene, professioni di fedele
sudditanza, incensi, inchini, incitamenti, giuramenti. Più tardi piovvero anche le tasse, e fiorirono
(inopinato fiore) le «contribuzioni volontarie».353
Era una giornata stupenda: le cronache lo attestano.354 Il maggio «radioso», il latte a secchie, per
la città e nella terra lombarda: ed era il quasi anniversario della battaglia detta del ponte di Lodi (10 maggio
1796), lorché355 il fulmine di quel secùro, adibitovi il personale ardimento d’Andrea Massena, superò
l’Adda guardata da forti contingenti della retroguardia di Beaulieu, e gli stiantò sulla retroguardia, al
Beaulieu: (Jean Pierre, barone di, generalissimo austriaco): sforzandolo issofatto evacuar Crema e
Cremona.356

348 Cfr. DEMA, s. v. «vegghiare»: «variante obsoleta di ‘vegghiare’».


349 Vd. n. 338.
350 «I dotti invero pretendono, che la storia di questa Corona sia tutta una favola; ma ciononostante quest'idea e comune, e la

Corona in tanto maggior venerazione, che se ne crede formato il cerchio d'un chiodo della passione di Gesù Cristo» (E. PIGNI,
Le due incoronazioni di Napoleone, p. 740).
351 «[…] in assenza del papa, il rito religioso fu presieduto dal cardinale Caprara, arcivescovo di Milano e contemporaneamente

legato pontifico a latere a Parigi (dove risiedeva), personaggio notevole ma non tanto da contendere a Napoleone l'attenzione
del pubblico» (ibid.).
352 Vd. n. 134.
353 L’enumerazione di situazioni gioiose e festive descrive ironicamente l’assoggettamento degli italiani al nuovo re d’Italia.
354 «La cerimonia di Parigi si svolse in una giornata di neve e di freddo (una dozzina di gradi sotto zero), quella di Milano in

una radiosa giornata di piena primavera: una primavera che ricordava quella del 1796, in cui il generale Bonaparte era entrato
per la prima volta da vincitore nella metropoli lombarda, e quella del 1800 in cui il primo console Bonaparte vi era rientrato
ponendo fine ai tredici mesi di rioccupazione austriaca. Si sarebbe dunque potuto parlare di un "sole di Milano" simbolo delle
vittorie di Napoleone, come successivamente si parlò del famoso sole di Austerlitz (che, come e noto, si levo il 2 dicembre
1805, primo anniversario dell'incoronazione di Parigi)» (E. PIGNI, Le due incoronazioni di Napoleone, p. 741).
355 Variante aferetica di ‘allorché’.
356 La battaglia di Lodi fu una grande vittoria di Napoleone contro le truppe austriache che gli aprì le porte di Milano; così egli

commentò quelle giornate: «fu solo alla sera di Lodi, che cominciai a ritenermi un uomo superiore […]» (cfr. ibid.). Da notare
il divertissement del poliptoto «Crema»-«Cremona».
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m. «Cracking»: rottura, frantumazione (degli idrocarburi pesanti nella raffineria dei petroli): da «to crack»
= spaccare, frantumare con romore: e intr. spaccarsi con romore, andare a pezzi, come in franc.
«craquer».357
n. «L’estrusione kimberlitica ecc.». Il diamante cristallizza volentieri358 nella prima classe del sistema
monometrico359 (classe esacisottaedrica o della fluorite) per quanto forse pertenga alla classe successiva
(esacistetraedrica o della blenda).360 Le facce talora bombate de’ cristalli, specie di quelli ad habitus
ottaedrico o esacisottaedrico, richiamano giusto l’idea salgariana della nocciola.361 I più cospicui giacimenti
nell’Africa australe britannica. Scoperti nel 1867. Bacino dell’Orange e poi oltre Waal: (Transwaal). Questi
fornirono a certi anni (1907-1912) i nove decimi della produzione mondiale. Benché neppur vi difettino
le alluvioni diamantifere, il ricavo più cospicuo, nel Sud Africa, è ottenuto dai giacimenti primitivi. La
roccia madre ossia eccipiente362 è la così denominata kimberlite, da Kimberley: nella già Colonia del Capo,
presso il confine occidentale dello Stato di Orange, 100 chilometri a nord-est-est dalla confluenza del
Waal e dell’Orange. È una roccia estrusa (eruttiva) a componenti basiche, cioè povera di silice, ricca di
magnesio e di ferro: resulta in buona parte da olivina,363 più o meno serpentinizzata.364 Riempie fino
all’orlo certe grandi cavità imbutiformi, dovute a lontana esplosione vulcanica un gruppo di tali imbuti è
intorno a Kimberley, altro, pure notevole, nelle vicinanze di Pretoria nel Transwaal. La kimberlite palesa
una sua struttura brecciata: causa la violenza de’ fenomeni onde a suo tempo sgorgò, e risentì poi di
ulteriori sussulti. Alquanto scura e tenace nel profondo, d’un verde nerastro o azzurrastro (blue ground), è
più intimamente decomposta alla superficie: e appare ivi friabile, giallastra: (yellow ground). Il diamante si è
segregato dal magma eruttivo durante il raffreddamento, per cristallizzazione del carbonio disciolto nel
magma stesso: (perciò «l’estrusione…. aveva maturato la nocciuola»). Esso si trova «in posto» nella roccia
madre: non cioè trasferito dal dilavamento o alluvione, come accade nelle sabbie diamantifere.365 Il tenore
in diamante della breccia kimberlitica oscilla fra i 30 e i 250 milligrammi per tonnellata di grezzo.366

357 Vd. n. 274.


358 Nel senso di ‘tendenzialmente’.
359 Cfr. DEMA, s. v. «termine specialistico (cristallografia); sistema monometrico»: «sistema di simmetria dei cristalli in cui gli

assi cristallografici sono ortogonali ed equivalenti fra loro».


360 Varie classi appartenenti al sistema monometrico dei cristalli.
361 Vd. n. 81.
362 Cfr. DEMA, s. v. «eccipiente»: «termine specialistico (medicina); di sostanza inerte».
363 Cfr. ivi, s. v. «olivina»: «termine specialistico (mineralogia); gruppo di silicati di ferro e magnesio di colore verde che

cristallizza nel sistema rombico e rappresenta uno dei costituenti essenziali delle rocce eruttive».
364 Cfr. ivi, s. v. «serpentina»: «termine specialistico (petrologia); roccia metamorfica a struttura compatta di colore verde con

screziature che ricordano la pelle del serpente, costituita principalmente da serpentino e usata, in alcune varietà, per rivestimenti
ornamentali».
365 Cfr. ivi, s. v. «kimberlite»: «roccia eruttiva della famiglia delle peridotiti, composta da olivina, pirosseni e anfiboli, che in Sud

Africa costituisce la roccia madre contenente diamanti».


366 «Gadda segue nell’ A.A. 1912-1913 il corso del prof. Ettore Artini di Mineralogia e Materiali da Costruzione: il corso, i cui

laboratori probabilmente si tenevano ancora […] al Museo di Storia Naturale […] è quello di cui Gadda diceva ad Arbasino
[…]: “a certe esercitazioni, per esempio di mineralogia, occorreva presentarsi alle sette di mattina”. Uno dei famosi manuali di
Artini, I minerali (Milano: Hoepli, 1914), è conservato con sottolineature e annotazioni al Burcardo; due successivi volumi di
Artini, uno per le scuole secondarie […], l’altro a più ampio spettro e proprio per gli allievi politecnici, Lezioni di Mineralogia e
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o. «La nera Olona…. a intrefolarsi nel fiotto decumano della Vettabbia». All’incitamento non corrisponde
uno stato di fatto, perocché il fiume Olona, inalveato oggi in canale all’entrar Milano (Piazzale Stuparich),
si immette dopo circonvallante percorso nella cosiddetta darsena di Porta Ticinese e per essa nel naviglio
di Pavia e dunque in definitiva nel Ticino. L’intrico dei navigli, canali, rogge, sgrondi e dotti di cloaca
nella parte meridionale della città e del suburbio (zona Ticinese) può tuttavia consentire l’immagine: è un
intrefolarsi topografico, anziché propriamente idrologico, ove la Vettabbia assurga ad eponimo367 della
scolatura cittadina. La Vettabbia è ab antiquo il canale collettore delle acque di pioggia e di scolo della
regione Duomo-Ticinese: che occupa la parte «romana» della città. Per le acque luride valevano altresì
pozzi neri, svuotati o almeno alleggeriti semestralmente nei carri-botte, più o meno profumati e più o
meno evoluti dietro alla «évolution de la mécanique». Li ammirai stupefatto ragazzo.368 Decumano, il
fiotto, perché si immagina defluito di sotto alla porta decumana dell’ideale «castrum». Antichi fognòli
d’epoca romana rinvenuti negli scavi della regione Vettabbia.
La città di Milano fu dotata di un sistema di fognature col piano elaborato negli anni 1889-1901
dall’Ufficio Tecnico Municipale, sopraintendendovi l’ingegnere Felice Poggi: piano mandato ad effetto
dalle relative delibere del Consiglio Comunale: 1893, poi 1901. Difficoltà gravi per la qualità dei terreni,
la scarsa pendenza disponibile, la presenza di cospicue falde acquifere nel sottosuolo. Già da secoli, per
altro, la sistemazione idrica della città e del territorio milanese s’era andata formando in quel complesso
di aggrovigliate e ragionevoli e servizievoli opere e manufatti, che è non meno caro al pensiero di quanto
non sia necessario alla vita, della vivente città: canali detti navigli, disciplina di sorpassi e di comunicazioni
fra essi, salti con chiuse dette conche, rogge come la Stadera o la Balossa, inalveazione dell’Olona e del
Seveso, protezione da monte: e intorno i due Lambri (il meridionale nasce da Milano): e, a valle,
captazione delle risorgive: e cloache, sgrondi, fonde, fognòli.369 Senza contare l’acqua potabile.
La Vettabbia fu adibita a collettore principale di fogna (1893-1901) mediante convenzione
stipulata dal Comune coi rivieraschi ed utenti. Videro essi per tal modo le concupite acque luride –
fertilizzanti non che irriganti – pervenire in copia sempre più ragguardevole alle loro verdi marcite: donde
10 e insino a 12 fienagioni per anno. Nella Vettabbia immettono il collettore di Vigentino e il collettore

Materiali da Costruzione (Milano: Libreria Editrice Politecnica di Cesare Tamburini fu Camillo, 1920) sono precisamente […] le
fonti principali dei dati sia tecnici sia storico-geografici della nostra nota. E non ci stupisce, se si pone attenzione ad un appunto
personale (relativo ai materiali per il Fulmine e L’Adalgisa) conservato nel Fondo Gadda dell’Archivio Garzanti, in cui Gadda
appunta: Mineralogia: Man. Artini.-» (A. SILVESTRI, Su due note dell’Adalgisa. Tra storia e tecnica, p. 9).
367 Cfr. DEMA, s. v. «eponimo»: «termine specialistico (storia); personaggio storico o mitico che dà il nome a una città, a una

stirpe, a un periodo storico o a un movimento artistico».


368 Raramente compare il Gadda-autore, che qui giustifica biograficamente l’illustrazione fognaria.
369 Cfr. ivi, s. v. «cloaca»: «condotto sotterraneo che raccoglie e scarica altrove le acque piovane e i liquidi reflui di una città»;

l’elenco è ordinato in una anti-climax.


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di Nosedo: oggimai vi si raccoglie soltanto una parte, ma certo cospicua, di tutta la civica evacuazione.370
Ché son cresciute le genti, e dietro loro i quartieri, e i budelli371 difficili delle cloache.
Quanto al Seveso, la sua portata di piena è oggi accolta in un canale intercettore che immette nel
circonvallante Redefosso e, per tramite di esso, nel Lambro detto settentrionale a Melegnano ossia
Marignano.
p. «Pascoli rintronati di Marignano». Oggi Melegnano (sul Lambro; alt. m. 88), 16 chilometri a sud-est di
Milano. Ivi il 13 e 14 settembre 1515 si svolse la cosiddetta «battaglia dei giganti».372 L’esercito del re
cristianissimo Francesco I, duce Giovan Giacomo Trivulzio, milanese, (e maresciallo di Francia dal 26
settembre 1499),373 ruppe gli sforzeschi e svizzeri stipendiati-padroni del ducheronzolo, Massimiliano
Sforza, figlio del Moro. Nerbo dell’alleata Venezia, al comando di Bartolomeo d’Alviano,374 secondò la
bravura de’ francesi. Le sorti della furibonda battaglia furon decise dai «roventi bronzi» dell’artiglieria
campale del re, di che il Trivulzio seppe magistralmente aiutarsi: frantumando l’esercito svizzero del duca
quando e’ moveva all’assalto per colonne compatte, all’antica maniera.375 Gli stormi della cavalleria veneta
tormentarono l’un fianco della massa attaccante. Ventimila morti, di cui quattordicimila svizzeri, seimila
francesi e alleati, non paiono troppi all’oculatezza degli storiografi. Certo la strage fu insigne: e il tuono
proporzionato alla strage: e il Trivulzio stesso lo proferì, ch’era già stato a dieciotto fazioni.
Secoli dopo, la gente dello stesso borgo (insorta) fu duramente malmenata da Radetzki, lorché il
maresciallo vi trapassò con la guarnigione di Milano, ritraendosi a Mantova in seguito ai fatti di Porta
Tosa: (23 marzo 1848).376
Undici anni di poi, nel giorno medesimo che i due sovrani su cavallo entrorno a Milano (sotto la
immancabile «pioggia i fiori»), il maresciallo Baraguay d’Hilliers, con tre divisioni, vi assaliva e ne snidava

370 L’ironia sulle espletazioni dei cittadini milanesi ricorda l’invettiva ‘infernale’ di p. 307.
371 Cfr. DEMA, s. v. «budello»: «passaggio angusto».
372 La nota battaglia che fermò il controllo svizzero sul ducato di Milano.
373 «Comandava queste forze il Maresciallo Gian Giacomo Trivulzio. Era questi un milanese che, per odio verso gli Sforza, si

era posto al servizio dei francesi. Piuttosto anziano, sulla settantina, aveva un passato alquanto movimentato. Appartenente
ad una grande e nobile famiglia, era dotato di viva intelligenza e di grande senso tattico, messi a buon frutto a Fornovo, ad
Agnadello contro i veneziani ed a Ravenna dove, dopo la morte di Gastone di Foix, assunse il comando dell'esercito francese»
(S. ONNIS, La battaglia di Marignano, in «Rivista militare della Svizzera italiana», a. LXVIII (1989), pp. 35-50, a p. 39).
374 «Alleata dei francesi era, come si è detto, la Serenissima Repubblica di Venezia, le cui forze comprendevano forti aliquote

di cavalleria ed erano comandate da Bartolomeo d'Alviano, uno dei maggiori condottieri del Rinascimento» (ibid.).
375 «Le artiglierie francesi brillavano per la loro modernità ed efficacia. In particolare, il comandante dell'artiglieria francese,

Jacques de Genouillac, disponeva, come si è visto, di 72 pezzi fusi in bronzo, tirati da cavalli, dotati di una buona celerità di
tiro e di una mobilità tattica paragonabile a quella della fanteria. Innovazione importante era stata l'introduzione dell'affusto a
ruote, degli orecchioni per l'inclinazione della bocca da fuoco, delle palle di ferro in sostituzione di quelle di pietra» (ivi, p. 42).
376 Riferimento alle Cinque giornate di lotta cittadina a Milano contro gli austriaci.

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una forte retroguardia austriaca (35.000) che s’era aggreggiata in paese e arroccata nella munizione
tutt’attorno il paese: battaglia dell’8 giugno 1859, «unde Melegnani nomina clara nitent».377
q. «Bovisi»: (dial. Milanese): bovìs: guardiano di buoi o di sensale di buoi: chi vive tra il bestiame. Oggi
per «campagnolo del suburbio» ; col vezzeggiativo «bovisòtt».
r. «Il carnovale impazzava per le vie» : da certa musa novelliera dell’ultimo romanticismo.378

377 Tappa fondamentale per l’Indipendenza italiana: «L’8 giugno del 1859, l’Imperatore francese Napoleone III e Re Vittorio
Emanuele II di Sardegna facevano il loro trionfale ingresso a cavallo, nella Milano appena liberata dagli austriaci che avevano
abbandonato la capitale lombarda a seguito delle sconfitte militari subite dall’esercito franco piemontese. I primi ad entrare in
Milano furono le truppe del Maresciallo Mac Mahon il giorno 7 giugno» (E. MOCCETTI, La campagna d’Italia del 1859, in «Rivista
militare della Svizzera Italiana», a. XXXI (1959), pp. 125-50, a p. 132). Per la locuzione latina intendi: «motivo per il quale il
nome di Melegnano risplende limpido».
378 Forse in riferimento al Demetrio Pianelli del De Marchi (cfr. N. LORENZINI, Il carnevale della Cognizione del dolore, in «The

Edinburgh Journal of Gadda studies», pp. 1-14): « Si potrebbe risalire alla Scapigliatura, specie a quella lombarda, con appendici
nel Demetrio Pianelli del De Marchi, ad esempio, per monitorare la frequenza di un tema abbastanza diffuso presso la narrativa
tardo ottocentesca: quella che utilizza il carnevale, appunto, momento topico della convivenza degli opposti e
dello scoronamento, per verificarne gli effetti in ambiente piccolo borghese, tra le tristezze di un vivere da travèt».
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V. Conclusione
«Mein Werk besteht aus zwei Teilen: aus dem, der hier vorliegt, und aus alledem, was ich nicht
geschrieben habe. Und gerade dieser zweite Teil ist der Wichtige».379 In questo modo il filosofo-linguista
Ludwig Wittgenstein dava l’incipit al trattato che avrebbe rivoluzionato la filosofia europea
contemporanea: importanza essenziale è data al non-detto, al quid che non si presenta di fronte all’uomo.
Di tutt’altro avviso è Carlo Emilio Gadda, e non soltanto ne’ L’Adalgisa: se, seguendo la lezione
continiana, ogni posizione di stile è anche gnoseologica, allora la prospettiva gaddiana è quella d’un
essenziale fiducia nel dire, nel rappresentare la confusione della realtà. Questo processo di scrittura
avviene però non secondo un trasporto puro della percezione sulla pagina, ma secondo precise coordinate
retoriche. Quando il Girolamo ha smesso… è uno scritto composto principalmente di enumerazioni: su tutte
l’elenco dei mobili e degli oggetti contenuti in casa Cavenaghi, affollamento di testimoni storici che non
trovano senso nel presente se non come testimoni d’un passato opaco, che però influenza costantemente
le vite dell’hic et nunc (non per nulla l’invettiva satirico-elegiaca porta in rassegna, ponendoli sullo stesso
piano, personaggi storici e cittadini della Milano odierna). L’impulso incontrollabile del nominare è
dunque tentativo di razionalizzazione d’una realtà disordinata, strutturata dalla compresenza di tempi
storici differenti che però si richiamano; una digressione sulla moglie di Napoleone Bonaparte, Joséphine
de Beauharnais, diventa critica per l’oggi, osservazione delle signore borghesi di Milano; gli aggettivi
assegnati agli operai della «Confidenza» sono gli stessi di chi aveva partecipato alle storiche Cinque
Giornate, sotto il denominatore comune del «tacito seme del ribaltamento» e d’una «simultanata sintassi».

Commentare Gadda significa esercitare le proprie conoscenze: il suo linguaggio evoca qualsiasi
settore della scienza, tecnica ed umanistica, non permette d’asserrarsi nel placido mondo di ciò che al
lettore è comunemente noto: l’orizzonte d’attesa è travalicato da un utilizzo della tradizione letteraria
inedito, così come nella scelta di metafore più che ardite. La funzione di accompagnamento al testo è in
questo caso particolarmente necessaria, ma allo stesso tempo rischiosa: il sistema-testo dello scrittore
milanese è una rappresentazione della confusione del sensibile che, se analizzata nelle sue varie
componenti singole, rischia di perdere la sua ragione d’essere, il suo impatto sul lettore. Per questo motivo
commentare Gadda resta (e forse rimarrà a lungo) una questione spinosa: in particolare circa il grado
d’intensità con cui si sceglie d’interpretare il testo, di fornirgli una parafrasi, di collegarlo nella rete
intertestuale e il grado di libertà che si decide di lasciare alla parola trascritta dall’autore sulla pagina,
disponibile a innumerevoli interpretazioni per altrettanti lettori ma che forse chiede, in ultima battuta,
d’essere svelata nel suo significato più autentico.

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