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J. G.

Fichte

2. Caratteri dell’idealismo fichtiano


La Dottrina della scienza

La filosofia di Fichte è conosciuta soprattutto attraverso il suo


primo testo di carattere programmatico: i Fondamenti dell’intera
dottrina della scienza, o anche semplicemente la Dottrina della
scienza (1794-95).
Quest’opera di dottrina della scienza teoretica, di carattere dunque
epistemologico, conferisce a Fichte il ruolo di vero e proprio fon-
datore dell’idealismo trascendentale, di cui la Dottrina è conside-
rata il manifesto.
La Dottrina della scienza è pensata come una sorta di “filosofia
prima”, ossia di sapere preliminare che sta alla base di ogni al-
tra e ulteriore conoscenza.
Con la sua filosofia teoretica Fichte vuole mostrare come, muo-
vendo dall’Io puro, sia possibile dedurre rigorosamente da
esso tutto il reale: la natura, il nostro corpo, le cose intorno a noi.
• Dobbiamo spiegare il significato dell’espressione “idealismo
trascendentale”. Il vocabolo kantiano trascendentale significa
“che è condizione della pensabilità di qualche cosa”; dunque
l’espressione idealismo trascendentale significa più o meno
che l’idea (da intendersi come spirito, coscienza, o ancora
soggetto pensante) è condizione della pensabilità della ma-
teria.
• Il vero protagonista della Dottrina della scienza fichtiana è
l’Io puro (dove puro vuol dire fuori da ogni relazione con og-

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getti esterni): di cosa si tratta? Che cos’è l’Io? Qui sotto pro-
verò a darne alcune definizioni, seguite dalle sue caratteristi-
che.
Per Io dobbiamo intendere:
➢l’Autocoscienza, cioè la ragione nella purezza o assolu-
tezza della sua essenza disincarnata; è la condizione
stessa del pensare, quella che è presente in tutti gli uo-
mini, ma che in Fichte diventa realtà trascendente e se-
parata dall’uomo;
➢in altre parole, è la funzione del pensare che, astratta
dall’uomo, prende vita autonoma e natura di soggetto in
sé e per sé, ossia indipendente dalla realtà, trascendente
e fuori dall’uomo;
➢l’Io va inteso e pensato come l’universale astratto nello
stesso modo con cui ci si riferisce anche al concetto di
umanità: essa è l’insieme di tutti gli uomini, pur senza
identificarsi con nessun uomo in particolare.
➢in ultimo, ma con qualche riserva, potrei dire che l’Io è
il soggetto assoluto allo stesso modo in cui lo è dio. Ma
questa è una definizione che può andare bene solo se la
usiamo come una sorta di analogia, più che come una
vera definizione.
Quali sono le caratteristiche dell’Io fichtiano?
➢Esso è inesauribile produrre, è un porre illimitato,
una pura funzione dinamica che può vivere solo nell’a-
zione, nel fare, nell’attività.
➢E’ attività creatrice del mondo, dato che questo – sen-
za l’Io – non avrebbe né significato né esistenza. L’Io
non va dunque confuso con l’io empirico, che è anzi una
produzione dell’Io che chiameremo puro o universale.
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➢L’Io, inteso come infinita originalità creatrice, è infini-
to nella sua essenza, ed è fuori del tempo (il tempo è
anzi la manifestazione della realizzazione successiva e
progressiva in cui l’Io, limitandosi, prende coscienza di
sé).
➢L’Io puro fichtiano è dunque condizione di ogni possi-
bile esistenza. Questo Io generale, che è presupposto da
ogni esistenza, non è l’io individuale, il soggetto indivi-
duale, bensì ciò che ne costituisce il fondo, l’essenza.
➢Esso non è il nostro stato di individui limitati, bensì ciò
che costituisce il loro presupposto. In altre parole, l’Io
puro è la condizione di ogni essere empirico, tra cui
l’uomo (io empirico).
➢Tuttavia l’Io non può giungere alla coscienza di se stesso
se non nelle sue determinazioni empiriche, ossia tra-
mite i modi particolari nei quali la vita cosciente si rea-
lizza e si manifesta.
➢L’Io è sempre uno e identico a sé, il mondo empirico è
invece molteplice.
➢In altri termini, l’Io infinito o puro di cui parla Fichte
non è qualcosa di diverso dall’insieme degli io finiti nei
quali esso si realizza, esattamente come l’umanità non è
qualcosa di diverso dai vari individui che la compongo-
no, anche se l’Io infinito, come l’Umanità, perdura
nel tempo, mentre i singoli io finiti e i particolari in-
dividui sono soggetti alla nascita e alla morte.

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Riepilogo dei concetti chiave e delle questioni di fondo finora
trattate

• Per la tensione morale che lo caratterizza l’idealismo fich-


tiano prende il nome di idealismo etico.
• Per Fichte il concetto romantico di infinito va inteso in senso
morale.
• E cioè, l’Io fichtiano è infinita libertà: ciò perché alla sua at-
tività sono dovuti non solo il pensiero della realtà oggettiva,
ma questa stessa realtà nel suo contenuto materiale.
• Questa autonomia può essere garantita solo da una filosofia
che afferma l’assenza di ogni dipendenza dell’io rispetto
alle cose.
• Questa filosofia è l’idealismo, come atteggiamento filosofico
ed esistenziale per cui è il pensiero, lo spirito, la mente del-
l’io a produrre la materia, non viceversa.

• La posizione idealistica è guadagnata in opposizione alla filo-


sofia kantiana.
• Secondo Fichte, la filosofia kantiana delimitava l’Io penso o
Autocoscienza con l’ammissione di qualcosa di esterno e ir-
riducibile alla coscienza: la cosa in sé come limite invalicabi-
le del conoscere.
• In questo modo Kant assegnava dei limiti al soggetto, e non
lo riconosceva come forza creatrice del mondo esterno.
• L’idealismo è l’atteggiamento filosofico opposto: non vi è
nessuna realtà esterna all’Io, essa deve semmai la sua esi-
stenza alla presenza dell’Io.
• Ciò è abbastanza comprensibile se pensiamo che, per affer-
mare che qualcosa esiste, dobbiamo sempre rapportarlo alla
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nostra coscienza, dunque l’oggetto è sempre un oggetto-
per-noi: la coscienza è allora il fondamento dell’essere.
• Dunque l’Io non solo non dipende dalle cose, ma ne è anzi
l’unica ragion d’essere.
• Qui abbiamo colto un primo significato del termine fich-
tiano di libertà:
➢il soggetto è libero nel senso che non dipende dalla
realtà, a cui non è asservito, ma anzi il soggetto stesso è
il principio primo a partire dal quale ha senso dire che
qualcosa esiste.
➢se questo è vero, allora l’io che percepisce, conosce,
pensa l’oggetto crea l’oggetto, cioè concretamente
produce il materiale sensibile.
• L’affermazione secondo cui, per Fichte, l’Io è essenzialmente
libertà significa dunque che l’Io non è secondario né dipen-
dente da un mondo di cose esterne, che non trae significato
dalle cose esterne (non-Io), bensì, semmai, che è ciò da cui
solo trae significato e realtà il fenomeno.
• L’Io è dunque il creatore del senso del mondo, e della sua
realtà concreta, il principio primo in base al quale tutto il si-
stema della realtà è deducibile.
• Ora, per Fichte, la conseguenza filosofica di questa esaltazio-
ne idealistica dell’assoluta libertà e autonomia del soggetto
va ritrovata innanzitutto sul piano morale.
• Questa libertà, infatti, va letta anche (ed è un secondo signi-
ficato del concetto di libertà) come
➢volontà di progredire nel perfezionamento morale e
spirituale;

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➢per perfezionamento morale quale sinonimo di libertà
ho poi inteso qualcosa di molto simile a ciò che inten-
diamo quando diciamo che il sapere rende liberi;
➢in altre parole, per Fichte progresso morale significa li-
berare l’uomo dalle catene dell’ignoranza;
➢progredire moralmente significa rendere razionale, cioè
comprensibile e conoscibile, l’oscuro mistero dell’esi-
stenza e dell’agire della natura;
➢libertà, o progresso morale, in questo caso, significa ri-
condurre alla razionalità ciò che appare irrazionale;
➢realizzare la libertà è anche non accontentarsi dello stato
presente dell’umanità, dei rapporti attuali degli uomini
tra loro stessi e con la natura, ma puntare “incessante-
mente verso il futuro e il meglio”, come scrive Fichte
in un passo della Missione dell’uomo;
➢si tratta di credere – con le parole di Fichte dai Discorsi
alla nazione tedesca – nella “migliorabilità infinita e
nell’eterno progresso della nostra specie”;
➢questa fiducia nel progresso della razionalità è un vero e
proprio riflesso di illuminismo in Germania.
• Poi abbiamo cercato di definire la natura di questo Io
puro:
➢È l’atto o la funzione del pensare, ma che si fa realtà
autonoma fuori dall’uomo, e che lo trascende.
➢l’Autocoscienza, cioè la ragione nella purezza o assolu-
tezza della sua essenza disincarnata; è la condizione
stessa del pensare, quella che è presente in tutti gli uo-
mini, ma che diventa realtà trascendente e separata dal-
l’uomo.

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➢È definibile anche come dio, nel senso di soggetto asso-
luto, realtà spirituale trascendente da cui tutto deriva,
fonte del reale; un dio che produce le cose con un atto
del pensiero.
• Abbiamo anche tentato di capire cos’è I’Io puro, dandone
le caratteristiche:
➢E abbiamo detto allora che dobbiamo distinguere tra un
Io puro o assoluto o universale e un io empirico
➢L’io empirico non crea problemi, è l’individuo, il sog-
getto singolo calato nella realtà quotidiana, quello sotto-
posto alla vicenda del nascere, del divenire e del morire.
➢L’Io puro invece qualche problema lo dà: innanzitutto, si
chiama puro proprio perché non è coinvolto nell’esi-
stenza materiale come l’io empirico.
➢Anzi, in quanto puro, esso precede la realtà nel suo
contenuto materiale ed è la condizione stessa dell’esi-
stenza di tutto ciò che esiste.
➢E’ insomma il principio assoluto da cui emana la real-
tà concreta, che a questo punto esiste solo in quanto
esiste una realtà spirituale che la pensa, e nel pensarla la
rende possibile, ossia la produce materialmente.
➢Esso è inesauribile attività creatrice del mondo, dato
che questo – senza l’Io – non avrebbe né significato né
esistenza.
➢L’Io non va dunque confuso con l’io empirico.
➢l’Io è infinito nella sua essenza, ed è fuori del tempo.
➢L’Io puro è la condizione di ogni essere empirico, tra
cui l’uomo.

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➢L’Io è sempre uno e identico a sé, il mondo empirico è
invece molteplice.
➢Tuttavia l’Io non può giungere alla coscienza di se
stesso se non tramite i modi particolari nei quali la
vita cosciente si realizza e si manifesta.

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La vicenda dell’Io universale

L’Io e la sua attività

Nella Dottrina della scienza si afferma innanzitutto che l’Io puro


o universale è infinita attività creatrice. Lo è perché conferisce
senso e realtà al mondo, il quale – altrimenti – non potrebbe esi-
stere.

Sappiamo infatti, ormai, che:

❑ per gli idealisti tutto ciò che esiste è esistente in quanto vi è


una coscienza che lo percepisce, che ne ha conoscenza, e che
gli conferisce senso e significato;

❑ per l’idealismo, questo rappresentarsi le cose del mondo


equivale a crearle.

Noi possiamo dire infatti che qualcosa esiste solo rapportandolo


alla nostra coscienza, solo in quanto appare a noi: senza l’io, cioè
se l’io non esistesse, non ci sarebbe dunque alcun atto dell’attività
conoscitiva (percezione, rappresentazione, pensiero, giudizio,
principio logico).

Ora, sulla base di questa elementare considerazione della vita teo-


retica dell’uomo, della vita della sua mente, ossia la presenza di
una coscienza alla quale appaiono gli oggetti, oggetti che – a rigor
di logica, idealistica perlomeno – non potrebbero esser detti esi-
stenti senza un io penso, Fichte modella il suo Io puro in generale,
come sorta di originario atto di coscienza che a tutto dà senso e
tutto fonda.

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Questo Io iniziale, creatore del mondo, non è quindi l’io personale
o empirico di ciascun individuo (non è – cartesianamente – il cogi-
to ergo sum). Sebbene sia stato foggiato in analogia con la co-
scienza dell’uomo, esso è la coscienza in generale, l’Io origina-
rio o universale.

Si tratta di una realtà spirituale che precede l’esistente: l’Io


puro, appunto, come fondamento di ogni realtà.

Questo Io puro o Spirito è un processo creativo e infinito: un por-


re illimitato e inesauribile.

La dinamicità dell’Io originario si articola in tre momenti essen-


ziali.

Nel primo momento “l’Io pone se stesso”. L’io non potrebbe sta-
bilire alcun rapporto con la realtà al di fuori di sé se non ponesse
prima se stesso, cioè se non si ponesse come esistente.

L’io non può affermare nulla senza affermare in primo luogo


la propria esistenza. Esso, a sua volta, non è posto da altri, ma si
pone da sé (se lo ponesse qualcuno, ecco che non sarebbe più una
realtà originaria, qualcosa infatti sarebbe più originario di lui).

Dunque, il primo principio della Dottrina della scienza afferma


che l’Io, pensando se stesso:

➢ “pone se stesso” come realtà originaria e autocrea-


trice.

L’Io, poi, non è immobile, anzi è infinita tensione verso un’ideale


meta di perfezione.

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Allora l’Io sarebbe qualcosa di astratto e di vuoto, se non si tro-
vasse di fronte a un Non-io, ossia a qualcosa che è diverso da sé, e
che gli si contrappone, gli resiste, fungendo da ostacolo alla sua
attività.

L’io puro (la ragione) non è cosa che esista sempre e comunque,
non è sostanza, realtà già data, ma attività che deve realizzarsi e
che, se non agisse, cesserebbe di esistere.

L’Io universale, dunque, se non ponesse qualcosa di diverso da sé


sarebbe solo un’astrazione, qualcosa di perfetto ma vuoto, statico
e privo di vita nella sua perfezione.

Ma si è detto che l’Io puro è costantemente impegnato in un’infi-


nita attività creatrice. Ecco allora che per esistere deve dare vita a
un’altra realtà.

Da ciò il secondo momento della deduzione fichtiana, che è quel-


lo per cui “l’Io” – inesauribile attività creatrice:

➢ “pone il non-Io”.

L’Io pone un Non-Io contro la sua propria irrefrenabile produttivi-


tà. All’Io è opposto quindi un non-Io come realtà altra, posta dal-
l’infinita attività produttiva dell’Io. Nasce così un’autolimitazione
volontaria, e nasce in modo inconsapevole.

Allora “l’Io si pone nel Non-Io un limite rispetto alla sua stessa
produttività infinitamente esuberante. Il soggetto dunque pone e
produce l’oggetto per amore di se stesso, per avere un limite e non
fluire all’infinito”.

Il perché della posizione del Non-Io sarà chiaro quando parleremo


della morale, cioè della dottrina della scienza pratica.
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Il non-Io è il mondo della natura e della molteplicità; come tale
comprende tutto ciò che è materiale e privo di ragione, anche il
nostro corpo e le nostre sensazioni.

In altri termini, l’io non solo pone se stesso, ma oppone anche a se


stesso qualcosa che, in quanto gli è opposto, è un Non-io (oggetto,
mondo, natura, tutto ciò che è sensibile e corporeo).

Tale Non-io (la natura, il mondo sensibile), che appare alle co-
scienze individuali e finite qualcosa di esterno e contrapposto a
esse, non è tuttavia tale se considerato dalla prospettiva dell’Io
puro.

Il Non-io è infatti posto dall’Io stesso ed è quindi interno all’Io


puro: è chiaro il tentativo fichtiano e idealistico in genere di spiri-
tualizzazione della natura.

La natura, il mondo e gli individui non esistono insomma pri-


ma dell’Io, in modo indipendente da esso; sono piuttosto mo-
menti indispensabili della vita dello spirito, sue manifestazioni.

Ora, però, il principio spirituale, l’Io puro, non sarebbe conoscibi-


le se non si mostrasse nelle sue manifestazioni empiriche: è questo
il terzo momento della vita dell’Io:

➢ l’Io si particolarizza e si concretizza nei singoli io


empirici e finiti, nella pluralità dei soggetti empirici,
negli individui (l’uomo inteso come intelligenza o ra-
gione) che trovano di fronte a loro il mondo esterno o
Non-Io.

L’io empirico e il non-Io hanno nell’Io puro la loro fonte, sono le


determinazione empiriche dell’Io puro, che però esiste concreta-
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mente solo attraverso le sue manifestazioni particolari, ossia la
natura e la molteplicità degli io finiti.

E’ necessario precisare che questi tre princìpi, o momenti, dell’“at-


tività liberamente fluttuante” dell’Io universale non vanno intesi in
senso cronologico, bensì logico.

Fichte non vuole dire che prima esiste l’Io infinito, che in seguito
pone il Non-Io della natura, del quale infine fa parte anche l’io in-
dividuale.

Con il primo principio, afferma Fichte, è subito inevitabilmente


pensato e posto insieme anche il secondo. Ciò vuol dire che non vi
è assolutamente nessun Io senza un Non-Io e assolutamente un
Non-Io senza un Io.

Dire che non esiste un Non-Io senza un Io, a sua volta, significa
che non si dà per la natura la possibilità di essere una realtà
autonoma, che precede lo Spirito. Essa è qualcosa che esiste sol-
tanto come manifestazione dell’Io, in relazione all’Io e in funzione
dell’Io. E quindi per l’Io e nell’Io.

Ma dire che non vi è nessun Io senza un Non-Io significa dire che,


posto il soggetto, è necessariamente e contemporaneamente posto
anche l’oggetto, e anzi è solo grazie alla presenza del mondo sen-
sibile e dell’io empirico che l’Io può giungere alla coscienza di sé.

L’io individuale incarna in sé in modo concentrato l’Io universale,


che dunque viene a manifestazione soltanto nell’uomo; ma se que-
sto è vero, è vero anche che dio viene risolto negli uomini, e gli
uomini fanno ingresso nel divino.

Sarà una conquista che, come vedremo, avverrà nel campo della
dottrina della scienza pratica, ossia della morale.
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