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Capitolo 2

La concentrazione del potere politico

1. Le forme pre-statali e lo Stato originario


La massima concentrazione di potere politico è nell’odierna idea di Stato; tale idea però corrisponde
ad un prodotto storico determinato, affermatosi in Europa tra il XV e il XVII sec.
Prima e accanto a questo modello, ci sono state e sono altre forme di concentrazione territoriale del
potere politico: lo studio accurato di tali forme si deve all’antropologia politica che, grazie alle
ricerche sul campo, ha allargato l’orizzonte aperto dalle ricostruzioni dei storiografi, interessati a
privilegiare le società dotate di scrittura e di documenti scritti.
Inizia una feconda stagione di studi in cui si confrontano varie scuole, dal neoevoluzionismo
multilineare allo strutturalismo, dalle teorie della processualità a quelle della modernizzazione,
dall’approccio sistemico alle teorie dell’azione.
I contributi consistono in molte indagini sul campo e in numerosi tentativi di concettualizzazione e
di classificazione.
Nel riportare i risultati più significativi di tali studi, è però opportuno premettere tre considerazioni
di merito e di metodo.
 La prima premessa riguarda il modo in cui il termine ‘politica’ è associabile alle società
primitive o arcaiche.
G.Balandier ha osservato che l’operazione è praticabile solo se le strutture e i processi con
cui ci riferiamo universalmente a tale termine (potere, autorità, legittimità) siano cercati
nelle dimensioni che fondano i rapporti interni ed esterni tra i membri di gruppi umani,
ovvero nei legami di parentela, nelle forme ritualizzate della circolazione dei beni, nei
richiami al sacro, nei tipi di relazione con il territorio;
 La seconda premessa concerne il fatto che la grande varietà di situazioni analizzate
empiricamente dagli antropologi rende difficile la costruzione di tipologie generalizzanti,
ma non impossibile.
Più si sta a ridosso del gruppo umano studiato, meno facilmente si accetta l’idea di farlo
rientrare in una determinata classificazione. Se ci si pone su un livello più astratto o
idealtipico, l’atto del classificare, con l’ammissione dell’approssimazione, diventa
praticabile, come strumento di lavoro scientifico;
 La terza premessa serve ad introdurre un ulteriore richiamo alla cautela.
Anche se in molte esperienze si rintracciano tratti evolutivi, non tutte le situazioni possono
essere interpretate in chiave evolutiva; serve perciò cautela al fine di evitare di cadere in
forme ideologiche di etnocentrismo.

Le macro-variabili, condizionano nei gruppi umani lo strutturarsi della dimensione politica.

L’ordine delle comunità pre-statali è collegato:


 al modo di procurarsi le risorse materiali: possono essere quelle società nomadi basate
sulla caccia e sulla raccolta, oppure delle società che aggiungono alla caccia un’agricoltura
di tipo temporaneo, oppure ancora delle società stanziali che si formano introno
all’allevamento di animali ed un’agricoltura di tipo stabile;
 ai legami parentali: in essi vanno considerati i tipi di matrimonio (monogamici o
poligamici, ma soprattutto endogamici o esogamici, se cioè interni o esterni allo stesso
gruppo), il ruolo delle donne e degli anziani, il valore dei figli per sesso e l’importanza dei
lignaggi;
 all’idea di sacro: quando e quanto il sacro viene chiamato in causa (sotto forma di culto
degli antenati, di legame totemico, di riti a divinità naturali o trascendenti), per rinforzare il
rispetto di certe regole, i vincoli comunitari e l’obbedienza ai capi.
A partire dalla combinazione delle variabili economiche, parentali e simboliche, i sistemi politici
pre-industriali vengono divisi in:
 sistemi non centralizzati*;
 sistemi centralizzati**.

*I primi comprendono:
 le bande: esse sono organizzazioni socio-politiche di caccia e raccolta e sono costituite da
piccoli gruppi territoriali autonomi, dalle 20 alle 50 persone.
Non sono differenziati; presentano due unità sociali, quali le famiglie e la banda delle
famiglie imparentate; Sono relativamente non-integrate.
Le decisioni vengono prese da tutto il gruppo su base egalitaria, e la leadership funzionale è
esercitata dai cacciatori più abili o basata sull’influenza morale degli anziani.
(È un’organizzazione tipica del Paleolitico, sopravvissuta fino tempi recenti tra i Boscimani,
gli Eschimesi, i Shoshoni, i Semang e altri piccoli gruppi);
 le tribù: sono sistemi di relazione tra individui e gruppi più ampi delle bande e, ancorché
costruite su ordini non centralizzati e il più delle volte egalitari, si differenziano dalle bande
per un maggior controllo delle risorse alimentari e per essere più sedentarie.
L’elemento caratterizzante, è l’esistenza di un ‘sodalizio pan-tribale’, che diventa attivo in
caso di minacce verso i territori controllati.
La struttura regolativa ruota intorno ai lignaggi, ai clan e alle associazioni volontarie e non.
I lignaggi sono gruppi che riconoscono una discendenza comune matrilineare o patrilineare.
In Africa esistono forme di organizzazione politica fondate sui lignaggi segmentari, in cui
gruppi autonomi ma simili si uniscono per fini difensivi o rituali in unità più grandi del
villaggio.
I clan sono gruppi di lignaggio che appartengono a una discendenza comune riferita a un
antenato mitico comune.
Paul Kirchhoff, ha fatto notare che esistono o esistevano due tipi di clan:
1)i clan unilaterali esogamici, con un’economia basata su un’agricoltura migratoria e su
forme primitive di allevamento animale, in cui la politica della riproduzione è basata sulla
circolazione delle donne, che, essendo di tipo esogamico, permette un’apertura alle relazioni
esterne, vitale per la sopravvivenza, e la circolazione dei beni;
2)i clan conici, in cui l’importanza degli individui e dei gruppi è legata alla vicinanza della
relazione con l’antenato comune, da cui derivano un principio aristocratico, un orientamento
endogamico e una società stratificata ed economicamente più differenziata.
Nel cuore dei clan conici nascono gli aristoi, i discendenti più diretti degli antenati comuni,
destinati ad impersonare l’aristocrazia dei sistemi politici relativi.
Nelle tribù possono avere un ruolo rilevante le associazioni, che tagliano in modo
trasversale i legami di parentela per ricomporre associazioni su base iniziatica e/o
generazionale.
Così, stessi individui che hanno partecipato insieme a riti di passaggio, possono essere
destinati a funzioni diverse con il passare dell’età.
Nelle tribù abbiamo una notevole varietà di sistemi di potere a seconda della struttura
nucleare di riferimento: può prevalere una logica egalitaria, con riconoscimento del ruolo di
guida degli anziani (consigli di villaggio), di stratificazione rituale, di costruzione di
gerarchie e di attribuzione del potere ai grandi uomini che sono generosi materialmente
verso la tribù.

**I secondi comprendono:


 i regimi dei capi: in cui la nascita di una forma di autorità centralizzata è connessa ad una
società che è più complessa delle tribù sotto due aspetti: la densità della popolazione
superiore e la maggiore efficienza nella capacità produttiva.
Dato che si generano disuguaglianze tra gruppi e persone, al capo viene riconosciuto un
potere coercitivo da utilizzare per la redistribuzione del surplus economico.
La vicinanza al capo e le funzioni da assicurare comportano una gerarchia di ranghi che
trova il suo corrispettivo negli individui posti in basso nella scala gerarchica sottoposti a
coloro che sono posti più in alto.
 gli stati stratificati: il più rilevante sistema centralizzato è senza dubbio lo Stato originario.
I primi processi di unificazione politica si hanno tra il 5500 a.C. e il 1000 d.C. in aree del
mondo lontane tra loro.

Claessen e Skalnik, hanno definito gli Stati originari come ‘organizzazioni centralizzate socio-
politiche per la regolazione delle relazioni sociali, in società complesse e stratificate, divise in due
strati fondamentali o in due classi sociali, i governanti e i governati. Sono rapporti caratterizzati dal
dominio politico dei primi e dall’obbligo tributario dei secondi, legittimato da un’ideologia
comune’.
Il mantenimento dell’ideologia, espressa in forme sacralizzate, era affidato alla classe sacerdotale
che affiancava il potere politico e coincideva con esso ai livelli più alti.

Sulle origini di tali Stati, storici e antropologi hanno formulato numerose teorie sia utilizzando
spiegazioni monocausali, sia approcci sistemici basati sull’interazione di più variabili.
Le teorie che hanno sottolineato la prevalenza di un solo fattore hanno messo al centro della loro
attenzione:
 un conflitto interno: la teoria più nota del conflitto interno si deve ad Engels, influenzato
dall’antropologo evoluzionista Lewis Henry Morgan.
Nel teso L’origine della famiglia, della proprietà privata e dello Stato, sostiene che lo Stato
sia l’esito finale di un processo che si basa nelle trasformazioni del modo di produzione,
nell’introduzione della proprietà privata (differenza dei ruoli maschili e femminili,
riconoscimento dell’ereditarietà) e nell’innovazione tecnologica che permette di realizzare
un surplus economico.
Grazie a tale surplus la classe imprenditoriale si appropria dei mezzi di produzione e
promuove la creazione di una struttura centralizzata permanente che detiene e può usare la
forza per tutelare il nuovo ordine.
 un conflitto esterno: la spiegazione del conflitto esterno si deve a Robert Carniero e alla
teoria della ‘circoscrizione ambientale’.
Secondo questa teoria, un gruppo umano insediato in territori aperti e attaccato da nemici
esterni più forti, al fine di mettersi in salvo ricorrerà al trasferimento in altre aree più che
all’unificazione politica.
Diversa è la situazione delle popolazioni che occupano zone coltivabili circoscritte,
circondate da deserti, montagne o mari, dato che per fronteggiare gli aumenti demografici o
gli attacchi esterni, devono ricorrere all’unificazione politica e aumentare le capacità
produttive, costituendo lo Stato, a pena di dover subire il dominio dei conquistatori.
 la civiltà idraulica: la teoria della civiltà idraulica è stata elaborata da Karl Wittfogel.
La produzione agricola delle popolazioni insediate in vallate con fiumi è strettamente legata
all’irrigazione.
Con il tempo, ci si rese conto che un efficace controllo del flusso idraulico, tramite cisterne e
dighe, consentiva di pilotare i fenomeni delle inondazioni e di realizzare la fertilizzazione
del suolo in modo programmato.
Ciò portò all’aumento della capacità produttiva della terra con crescita della popolazione e
alla formazione di specialisti in grado di governare il fiume.
 la pressione demografica e la densità economica Ester: Boserup e Marvin Harris si sono
occupati in modo diverso di documentare come l’aumento della produttività-pressione
demografica-densità economica si rispecchia sulle forme più complesse di organizzazione
politica.
La prima ha osservato come una crescita di popolazione dovuta al miglioramento delle
condizioni di produzione presuppone l’introduzione di più elevate strutture sociali e
politiche.
Il secondo sostiene che le visioni del mondo di una società e i suoi modelli organizzativi
sono collegati alle modalità di adattamento (tecnologico e complessivo) della società
all’ambiente fisico; ciò in riferimento al rapporto tra il carico della popolazione e le risorse
disponibili.
 il ruolo della leadership: un fattore incidente nel consolidarsi degli Stati originari è nella
‘teoria integrativa’ di Elman Service nel ruolo della leadership. La catena che muove dalla
stratificazione e dalla disuguaglianza sociale fino all’istituzionalizzazione del potere e al
privilegio dei capi non può reggersi sul ricorso alla forza.
Uno Stato per svolgere il compito di redistribuzione delle risorse, di cooperazione nei
commerci e di integrazione sociale, necessita della legittimazione del potere, della
costruzione di un immaginario collettivo, a fondamento sacro, affinché tutti aderiscono ad
un’organizzazione politica portatrice di pace e di benefici diffusi.

A fronte delle suddette teorie mono-casuali, la maggior parte degli antropologi e degli storici
odierni tende ad adottare teorie multi-causali e approcci sistemici.
I fattori in gioco sono sempre gli stessi: il modo di produzione e di circolazione dei beni, le
dinamiche demografiche, l’innovazione tecnologica, le credenze della popolazione, le intenzionalità
degli attori sociali e politici.
È la combinazione tra i fattori a determinare l’equilibrio o lo squilibrio, lo sviluppo o il declino di
una società.
La teoria sistemica, con i principi relativi alle dinamiche di autoconservazione (an-entropia), di
retroazione (feed-back) e di equifinalità, può spiegarci meglio i motivi profondi di successo o di
insuccesso delle organizzazioni sociali e politiche.

2. La moderna forma Stato


La nascita della moderna forma di Stato è ricondotta alle vicende storiche dell’Europa occidentale
tra la metà del XV sec. e la metà del XVII.
Tale forma, si è consolidata come Stato-nazione, nell’800 e nella prima metà del ‘900, costituisce il
modello più forte di organizzazione della concentrazione del potere politico fino al XXI sec, quando
con il fenomeno della globalizzazione essa rivela numerosi aspetti di inadeguatezza e dinamiche di
profonda trasformazione.

Lo Stato moderno è contemporaneamente un modello e una realtà fattuale, nella prospettiva


sociologica non può essere studiato se non usando approcci diversi o complementari.
Abbiamo diversi approcci:
 di tipo struttural-sociale;
 di tipo storico o storicistico;
 di tipo struttural-istituzionale.

In prospettiva storica cosa avviene nell’Europa Occidentale, durante e al termine del Medioevo,
affinché si realizzi la forma Stato moderna?
Il processo, lungo, articolato e complesso, inizia con il declino e lo smembramento dell’impero
romano, dovuti prevalentemente alle invasioni barbariche.
Lo spostamento dell’area degli scambi e delle relazioni commerciali dal Mediterraneo all’Europa
continentale porta ad un vuoto di potere che è colmato dall’impero carolingio, che cerca di salvare
la tradizione romana sacralizzandola con la collaborazione della Chiesa.
Neanche l’impero carolingio però, riesce a tenere sotto controllo la vastità dei territori e dei popoli
in Europa.
Quello che si apre a partire dai secoli finali del primo millennio è, insomma, uno scenario
apparentemente universalistico, ma sostanzialmente frammentato, particolaristico e disordinato.

In questo contesto, il percorso di institutional building conosce tre tappe, di cui la terza consiste
nella nascita dello Stato moderno.
 La prima tappa è il consolidamento del sistema feudale.
Il suo presupposto è costituito dalla condizione di insicurezza delle popolazioni stanziali,
dedite all’agricoltura e all’allevamento.
Per far fronte a questo problema e per realizzare un’efficace linea di controllo e di
sfruttamento tributario dei territori, si sviluppò una struttura gerarchica in cui, con
l’attribuzione di comando a nuclei di soldati abili nell’uso delle armi, vi erano diverse aree
di amministrazione di diversa dimensione.
Nella sua forma semplificata il rapporto di dominio su un territorio avveniva tra un dominus
e un vassus, sulla base di regole fondamentali.
La prima regola definiva il rapporto di scambio: con essa, il dominus concedeva al vassus,
che si impegnava alla sottomissione, alla fedeltà personale e alla fornitura di sostegni
materiali e simbolici, un benificium consistente in terre (inclusi gli obblighi di alcune
prestazioni della popolazione ivi residente), attrezzature e uffici da cui ottenere un vantaggio
materiale.
La seconda riguardava la concessione dell’immunitas, ovvero dell’esenzione dalla
sottomissione ad altre autorità e, nel caso del vassus, dal conferimento diretto della
giurisdizione sul territorio affidatogli.
Tale organizzazione rispecchiava un assetto sociale semplice: da un lato c’era il vassallo,
che poteva nominare dei valvassori su porzioni del feudo, con il proprio seguito di uomini
d’arme; dall’altro gli agricoltori e gli allevatori, suddivisi in contadini liberi e servi della
gleba.
La sfera parentale e amicale giocava un grande ruolo: era in essa che il vassallo andava a
pescare per l’affidamento dei compiti di collaborazione e per la creazione della milizia
armata, fatta di cavalieri equipaggiati, che poteva intervenire con la coercizione per il
controllo del territorio e l’amministrazione della giustizia.
All’insicurezza da fronteggiare, che si manifestava sotto forma di razzie esterne o di
particolari illegittime pretese da parte del dominus superiore, si pose rimedio con
l’incastellamento dell’intero insediamento abitato, che veniva circondato da mura
fortificate e della residenza del signore che assumeva la forma del mastio o del cassero.
La struttura gerarchica si articolò, sotto l’imperatore o il re, in ambiti e titoli di rango
diverso:
1) principati e ducati, di vasta estensione e con molti villaggi;
2) contee e marchesati, di media estensione;
3) baronati e cavalierati.
Il sistema feudale tipico del Medioevo, si caratterizzò per la frammentazione e la divisione
dei poteri, a partire da quando i feudatari pretendono e ottengono il diritto di successione per
i discendenti.
 La seconda tappa è costituita dalle organizzazioni politiche prodotte dalla società dei ceti.
Progressivamente l’economia feudale, agricola e statica necessita di funzioni complementari
e dinamiche.
Nei borghi intorno ai castelli e nelle città sopravvissute al processo di feudalizzazione, si
sviluppano attività artigianali e commerciali, i cui membri si organizzano in artes o
corporazioni di mestiere.
La richiesta antifeudale di autonomia, di vera e propria autogestione, si innesta nella stessa
logica del diritto feudale dell’immunitas.
La communitas cittadina del X sec. si differenzia dal sistema politico feudale per tre
elementi:
1) superamento della base personale e prevalentemente giuridica del potere;
2) mutamento della struttura economica sottostante;
3) passaggio da un’impronta militaristica del rapporto politico ad una più sociale.
Pur restando importanti i rapporti di parentela, la nuova socialità si sviluppa su base
associativa, con corporazioni e gilde con costumi e regole fondati sulla reciprocità: è la
società dei ceti, i cui componenti godono, per la comune condizione, della stessa posizione
di diritti e doveri politici, e per il fatto di goderne insieme, elaborano e praticano forme di
gestione della loro posizione che sono comunitarie o rappresentative.
I tipi di organizzazione politica che si originano da tali comunità hanno caratteri simili e
diversi in base all’area geografica, all’incombenza dei circostanti domini feudali, alla
tradizione giuridica di riferimento.
In Italia, ad esempio, le città d’origine romana e i centri ostili alle pretese dell’imperatore
danno luogo ai liberi comuni autonomi.
Il consolidarsi di attori forti, emersi dall’intreccio tra la nobiltà fondiaria ed un abile
inserimento in speculazioni commerciali, fa evolvere tale esperienza in quella delle
signorie, istituzioni che ripropongono, senza mai riuscirci completamente, forme di autorità
politica forte e autocentrata.
Le signorie sono il segno di una società che si è dinamicizzata, in senso culturale quanto in
senso socio-economico.
Dal punto di vista politico-istituzionale abbiamo la debolezza di una pluralità di ordinamenti
di piccole dimensioni, senza un potere superiore che consentisse il governo di comunità più
vaste.
 La terza tappa è costituito dalla nascita dello Stato moderno.

Dal punto di vista fattuale, lo Stato nasce con il costituirsi delle monarchie assolute in Francia,
Spagna e Inghilterra tra la metà del XV sec. e la metà del XVII sec., in un periodo chiuso dalla pace
di Westfalia (1648).
Quali sono i motivi che portano a tale risultato?
La risposta risiede nella registrazione della convergenza di tre processi, che in origine partono da
dinamiche proprie.
 Il primo processo è di tipo economico.
Il passaggio da un’economia centrata sull’autoconsumo ad una centrata sullo scambio,
unitamente alla possibilità di realizzare maggiori surplus, porta con sé due esigenze che
danno luogo a crescenti pressioni: la richiesta di definire spazi mercantili più estesi, senza
l’intromissione feudale con barriere e balzelli eccessivi tra gli stati, e la domanda di
maggiore sicurezza per le nuove pratiche commerciali e sociali.
 Il secondo processo è di tipo culturale, religioso e ideologico, consiste in due movimenti:
1) la destabilizzazione del ruolo unificatore dell’Europa ricoperto dalla Chiesa di Roma;
2) l’emergere di teorie secolari sui fondamenti del potere politico.
 Il terzo processo è di tipo politico.
Fatti salvi i compromessi dei paesi cattolici stabiliti con l’Inquisizione, ogni principe può
controllare la sfera religiosa del territorio proprio.
La tendenza alla concentrazione della sovranità nelle mani del signore più forte, cioè il re, è
facilitata da innovazioni tecnologiche di tipo militare: l’introduzione delle armi da fuoco, il
perfezionamento della precisione e della gittata delle artiglierie, l’uso delle mine.

Lo Stato moderno nasce, quindi, dalla convergenza di opportunità di natura diversa che permetto il
riaccorpamento dei poteri contesi dalla Chiesa e frammentati tra i vassalli dell’impero.
L’operazione riesce in Francia, in Spagna e in Inghilterra.

Il senso sociologico e istituzionale di tali vicende storiche è ben reso da Weber: ‘lo sviluppo dello
Stato moderno viene promosso dall’avvio da parte del principe all’espropriazione di quei privati che
si trovano accanto a lui investiti di un potere di amministrazione indipendente, e cioè di coloro che
posseggono per diritto i mezzi per condurre l’amministrazione, la guerra e la finanza, o per
conseguire un fine politico. Nello Stato moderno la facoltà di disporre del complesso dei mezzi che
occorrono all’esercizio dell’azione politica converge in un unico centro, e nessun funzionario
singolo è più proprietario a titolo personale del denaro che spende o degli edifici, delle scorte, degli
strumenti, delle macchine da guerra di cui dispone’’.
Nella sintesi weberiana si possono cogliere due elementi strutturali che definiscono lo Stato
moderno:
 la concentrazione dei poteri;
 l’organizzazione.
La concentrazione dei poteri risponde a più logiche:
1) in primo luogo, fornisce al re un apparato strumentale per l’esercizio dell’autorità;
2) in secondo luogo, accresce tra la popolazione il senso d’ordine e di sicurezza.

C’è infine, un’ulteriore logica che altri studiosi hanno voluto evidenziare: N.Elias ha colto in tale
processo la cosiddetta via ‘sociogenetica’ alla civilizzazione, che non è altro che l’eliminazione
della violenza fisica dai rapporti umani in uno stesso paese, ammettendo il ricorso al conflitto
violento in determinate situazioni nei rapporti tra gli Stati.

Sempre Weber ha dato in proposito le definizioni più appropriate: ‘lo Stato moderno è
un’associazione di dominio in forma di istituzione, la quale, in un determinato territorio, ha
conseguito il monopolio della violenza fisica legittima come mezzo per l’esercizio della sovranità’;
e più in generale ‘lo Stato è quella comunità umana che, nei limiti di un determinato territorio, esige
per sé il monopolio della forza fisica legittima’.
Si tratta del monopolio che permette allo Stato di fare ricorso, in forma potenziale o in atto, ad una
capacità coercitiva assoluta.
Nelle puntualizzazioni di Weber troviamo concetti che i giuristi considerano come i tre elementi
fondamentali dello Stato, ovvero popolo, territorio e sovranità.

Importante è il nesso sovranità-territorio.


Per definizione un potere sovrano non ammette altri poteri sopra di sé (a meno che esso stesso non
accetti autonomamente di limitare la propria sovranità) e gerarchicamente è sovraordinato agli altri
poteri su un determinato territorio (a meno che esso stesso non consenta deroghe alla sua
sovraordinazione).
La nozione di territorio è fondamentale, in quanto, essendoci nel mondo la presenza contemporanea
di più Stati, ognuno può rivendicare la propria sovranità solo su un ambito spaziale dai confini ben
definiti e riconosciuti dalla comunità degli altri Stati.
Prima di pervenire all’idea di sovranità, intesa come risultato finale, lo Stato moderno ha dovuto
portare a compimento il processo di differenziazione e di autonomizzazione rispetto alle altre
sfere della società.
Se esiste una differenza tra gli odierni paesi occidentali e altri paesi egemonizzati da
fondamentalismi religiosi, essa consiste nella scissione avvenuta tra il XVI e il XVIII secolo tra lo
Stato e le Chiese nei primi, e nella permanenza di unità/continuità tra politica e religione nei
secondi.
Il processo di differenziazione tra la sfera politica e quella economica è stato descritto da un
sociologo del ‘900, Talcott Parsons, che, ricordando come le due sfere un tempo coincidessero,
osserva: ’nel feudalesimo il padrone aveva i diritti di proprietà sulla terra e la giurisdizione politica
sulle persone che agivano sulla terra. Nei sistemi legali moderni queste componenti si sono
differenziate così che il proprietario non è più anche il signore, dato che questa seconda funzione è
stata assunta dall’autorità politica locale’.
Allo stesso modo si compie il processo di differenziazione tra la sfera della politica e quella dei
rapporti primari (parentali e amicali).
In origine, i vassalli che amministravano i feudi in nome del signore di grado superiore erano i
parenti, i compagni d’arme e i soldati del signore stesso; con il tempo essi avevano conquistato una
propria autonomia, pretendendo e ottenendo che il possesso e la gestione economico-politico-
giudiziaria del feudo venissero trasmessi in via ereditaria.
Con il consolidamento dello Stato moderno il sovrano punta ad eliminare tale modello.

(ESEMPIO: Il passaggio da un sistema semi-privato ad uno pubblico controllato dal re è espresso


dal caso della Francia tra la metà del ‘400 e la metà del ‘600, da Luigi XI a Luigi XIV, il cosiddetto
‘Re Sole’, che porta a compimento la ristrutturazione dell’amministrazione pubblica.
La prima mossa consiste nell’indurre la nobiltà di terra e di ceto a trasferirsi con lui nella Reggia di
Versailles, lasciando i palazzi e i castelli dei vecchi feudi da cui esercitavano il dominio.
A Versailles costoro finiranno con il far evaporare il loro ruolo, depotenziandolo, in funzioni da
cortigiani; essi saranno sempre più impegnati a cercare di ottenere i favori del re con attribuzioni di
rango e di etichetta, finalizzate a rinforzare la figura del sovrano.
La seconda mossa si traduce nella sostituzione del corpo nobiliare che amministrava la giustizia e
riscuoteva i tributi nel regno, con un corpo di funzionari di nomina regia, costituito da governatori,
intendenti e ufficiali.
Grazie a questo disegno, il re coglie tre risultati:
1) ridimensiona il potere di potenziali concorrenti (altri nobili);
2) realizza un notevole utile dalla vendita ai funzionari delle cariche e degli uffici lasciati liberi dai
primi;
3) si guadagna la fedeltà degli intendenti e degli ufficiali, in quanto costoro identificano la fortuna
del loro personale stato con il consolidamento dello Stato-istituzione, della monarchia assoluta.)

A differenza delle precedenti forme della politica, lo Stato moderno si caratterizza per la
capacità di coercizione, esercitata in modo monopolistico e per l’organizzazione di una
macchina burocratica emancipata dai vincoli feudali, ed avente un’efficacia maggiore perché
più razionale nel dispiegamento dei ruoli e delle regole dell’intero regno.

Il monopolio della forza fisica legittima e l’organizzazione burocratica non sono i soli elementi di
modernità del nuovo modello: nella transizione dal sistema feudale allo Stato moderno, attraverso la
monarchia assoluta, si compiono altri due processi originati dalle componenti di razionalizzazione
introdotte soprattutto dalla neo-borghesia imprenditoriale e dagli intellettuali.
Ci riferiamo al superamento dell’ordinamento patrimoniale e del vecchio istituto giuridico del
gubernaculum (ovvero l’istituto secondo il quale, rispetto a tutti gli altri, il re non è soggetto alla
legge).
Se nel primo periodo dell’assolutismo, l’ordinamento patrimoniale tende a sopravvivere,
successivamente (‘600), comincia la separazione tra il patrimonio personale del sovrano e quello
della Corona: ovvero tra la proprietà privata e proprietà pubblica.
Al ruolo del sovrano vengo associati elementi giuspubblicistici e si sviluppa un’idea di governo
vicina alla concezione della politica attuale: quella di perseguire il bene comune.
Un altro processo che segna il distacco dal sistema imperial-feudale e dalla sacralizzazione
ideologica della figura dell’imprenditore e del re riguarda la sfera di applicazione del diritto: si
afferma il sistema della iurisdictio, per cui anche il re deve assoggettarsi alla legge, come i comuni
mortali.

Resta infine da chiarire il concetto popolo.


Tale termine ha un significato diverso da quello di popolazione, che è una mera categoria
demografica che si riferisce all’insieme degli individui in un determinato territorio.
Il popolo è piuttosto un attore collettivo, che vede mutare la sua connotazione e il suo peso politico
nel tempo.
 Inizialmente l’espressione sta ad indicare una moltitudine priva di potere;
 poi dalla Grecia antica fino al XVIII secolo, definisce una componente numerosa della
società politica;
 nella polis è il demos, che corrisponde sociologicamente ai liberi agricoltori e pastori;
 nella Roma antica è il populus, gli strati più popolari e la plebe;
 nel Medioevo e fino alla Rivoluzione francese, il popolo è il corpo sociale dei ceti non
aristocratici con elevata dinamicità: artigiani, commercianti, imprenditori, liberi
professionisti;
 infine, quando lo Stato assume la forma democratica, il popolo, tutto il popolo, diventa il
soggetto del potere costituente.

Verso la fine del XVIII sec. e ancor più nel corso del XIX sec., in pieno clima romantico, il
concetto di popolo confluisce nell’idea di nazione, sostituendo la forma dello Stato moderno nella
sintesi dello Stato-nazione.

La nazione è una costruzione sociale, storicamente determinata.


Il suo contenuto si carica nel tempo di due significati:
 in un’accezione pre-Rivoluzione francese, sta ad indicare una comunità di sangue, di terra,
di lingua e di costumi;
 nel periodo delle esplosioni delle rivoluzioni sette-ottocentesche, si aggiunge al primo un
significato politico: la nazione equivale così ad un popolo che ha un comune progetto
politico e costituisce il fondamento dello Stato unitario, per il quale i francesi ripropongono
il significato della parola Repubblica.

La nazione viene a definirsi, specie nell’800, come un popolo consapevole di condividere una stessa
origine, uno stesso destino e volontà.
Nella prima metà del ‘900 però, il concetto di nazione cambia in nazionalismo, conducendo ad
esiti opposti di quelli auspicati in senso liberale e democratico.
Con la diffusione delle idee marxiste dell’interazionalismo proletario, soggetti e gruppi con interessi
contrapposti non esitarono ad enfatizzare i vincoli di sangue, di terra-patria, di lingua, di religione e
di cultura per imporre regimi autoritari e totalitari, in nome del nazionalismo.
Insomma, il richiamo alla nazione segna la storia dell’800-900 in senso ambivalente: 1) da un lato
come sinonimo di apertura al valore universalistico dell’autodeterminazione (noi come gli altri);
2) come espressione di specifici gruppi di interesse di chiusura autodifensiva (noi diversi dagli
altri), se non di politica di potenza (noi contro gli altri).
3. Il sistema democratico
Il consolidamento dello Stato moderno come macchina autonoma e differenziata dalle altre sfere e il
superamento del patrimonialismo ereditario della tradizione feudale ripropongono il problema del
‘reggimento’ dello Stato.
Tale concetto indica le domande e le risposte alla questione: ‘chi detiene ed esercita il potere
politico, perché e come?’.
Le soluzioni presentano notevoli diversità nel tempo e nello spazio, in quanto i fattori che le
definiscono sono tipici in ogni paese; ma è comune la forma degli stessi fattori, relativa a tre aspetti:
 la vischiosità della cultura istituzionale pregressa;
 la dinamica delle forze socio-economiche;
 l’elaborazione ideologica prodotta dalle minoranze attive degli intellettuali che si occupano
di potere.

La costruzione del sistema democratico è il frutto di due movimenti che investono tanto la ‘base’
della società quanto i suoi ‘vertici’.
N. Bobbio ha osservato che la crescita della democrazia può e deve essere letta ‘dal basso’ ex parte
populi e ‘dall’alto’ ex parte principis.

La persona nell’approccio filosofico-antropologico:


Il passaggio dallo Stato assolutistico allo Stato costituzionale riguarda, in primo luogo, le persone
che costituiscono la popolazione di uno Stato.
Nel Medioevo l’unità sociale elementare è rappresentata da nuclei collettivi: la famiglia, il clan, il
ceto.
In senso antropologico-esistenziale il soggetto si declina come un noi.
E’ solo con la rottura rappresentata dall’Umanesimo e dal Rinascimento che avviene il rilancio
dell’io ed il processo di individualizzazione.
(Nell’opera La società degli individui, Elias scrive che l’Identità Io con il tempo si sostituisce
all’Identità Io-Noi, per affermarsi in epoca contemporanea come un Io-senza-Noi).

La persona nell’approccio socio-economico:


Sociologicamente, gli individui emergenti tendono ad essere riclassificati in riferimento a categorie
di status/ruolo e di contesto.
Abbiamo così:
 nobili, in genere possidenti fondiari;
 borghesi, artigiani e commercianti residenti nei borghi;
 villani, contadini residenti nelle campagne.

La persona nell’approccio politico-istituzionale:


Con l’affermazione dello Stato assoluto le definizioni antropologiche e quelle sociologiche
confluiscono nella categoria giuridica del suddito, totalmente sottoposto al sovrano.
La lotta tra la fine del XVII sec. e il XX sec. capovolge lo status di suddito in quello di
cittadinanza, e l’individuo si trasforma da suddito in cittadino.
Secondo T.H.Marshall, che è tra i primi ad elaborare il concetto di cittadinanza come status che
viene conferito a coloro che sono membri a pieno diritto di una comunità’, tale status corrisponde
all’acquisizione di tre tipi di diritti: civili, politici e sociali.

La teoria di Marshall ha il pregio di individuare tre classi di tematiche con una logica di scambio
che associa diritti e doveri.
 La prima partita riguarda la conquista da parte dei singoli dei diritti civili di cittadinanza: i
diritti all’integrità della persona, all’inviolabilità del domicilio e della corrispondenza, alla
libertà di movimento e di manifestazione di opinione, alla proprietà privata.
All’ottenimento dei diritti civili si correla la rinuncia dei soggetti privati all’uso delle armi e
alla prassi di farsi giustizia da sé, con l’accettazione della sovranità dello Stato.
 La seconda partita riguarda i diritti politici di cittadinanza.
Il sovrano necessita di ricorrere con maggiore frequenza alle modalità di imposizione fiscale
per le esigenze dell’amministrazione pubblica, l’armamento dell’esercito e della flotta, la
realizzazione di opere ad uso della Corona; i ceti borghesi tartassati, d’altra parte,
contrappongono all’obbligo di pagare le tasse il diritto di inviare propri rappresentanti in
parlamento al fine di partecipare alle decisioni relative alle entrate e alle spese dello Stato.
La mobilitazione borghese grida ‘no taxation without representation’; il re è costretto a
cedere, con la formula di compromesso ‘no representation without taxation’.
È l’origine del suffragio elettorale ristretto su base di censo, che riconosce a chi ha risorse
per pagare le imposte il diritto politico di inviare i propri rappresentanti in parlamento.
Progressivamente, i diritti politici si vanno a definire come diritti di tutti i cittadini
all’elettorato attivo e passivo in elezioni libere, pluralistiche e ricorrenti . Questa formula
invoca due note di realismo. La legittimazione del potere dal basso che evoca non
corrisponde ad un’idea astratta e assoluta di democrazia, ma alla democrazia
rappresentativa. Per avere il carattere dell’effettività , le elezioni devono essere libere dai
condizionamenti, aperte al dibattito pubblico, partecipate da una pluralità di liste in
competizione tra loro (non da un partito unico), svolte periodicamente a scadenze
prestabilite per legge (Dahl 1981).
 La terza partita riguarda i diritti sociali di cittadinanza.
Essi riguardano: l’assistenza sociale e sanitaria, la previdenza, l’istruzione, la casa e la
tutela del lavoro (formazione, promozione dell’occupazione e sostegno in caso di
disoccupazione.
 Ai primi tre diritti, oggi si aggiungono i diritti di quarta generazione, riferiti
principalmente a tutto ciò che circonda gli esseri umani, ovvero, in prima battuta, alla tutela
dell’ambiente ed ai diritti degli animali.
Queste sono le tappe dell’evoluzione democratica dello Stato moderno ‘ex parte populi’, ma con
quali modalità organizzative si connota lo Stato in un’ottica dall’alto?

 La prima forma Stato che segna il passaggio dall’assolutismo al costituzionalismo è quella


dello Stato liberale.
È un apparato che si impegna a garantire nel patto tra sovrano e cittadini i diritti civili di
cittadinanza.
Di per sé lo Stato liberale non realizza ancora il principio democratico, limitandosi al
riconoscimento delle libertà civili;
 Lo Stato liberal-democratico prende forma quando al riconoscimento dei diritti civili si
aggiunge quello dei diritti politici in progressiva estensione.
Il criterio di inclusione politica è una condizione necessaria, ma non sufficiente per
l’affermazione della liberal-democrazia.
Al suo completamento occorre che lo Stato sia organizzato sulla separazione dei poteri
legislativo, esecutivo e giudiziario, secondo la formula di Montesquieu, e una precisa
disposizione degli apparati coercitivi e burocratici al rispetto delle garanzie riconosciute ai
cittadini.
 Si ha uno Stato liberal-democratico e sociale (Stato sociale) se anche i diritti sociali
entrano nei diritti di cittadinanza garantiti dall’autorità pubblica.

Le modalità di assicurazione dei diritti sociali hanno dato vita a modelli diversi di welfare State.
M. Ferrera, in proposito, ha suggerito una classificazione quadripartita che vede da un lato gli Stati
sociali con un modello occupazionale, puro o misto, e dall’altro gli Stati sociali con un modello
universalistico, puro o misto.
Mentre la differenza tra i modelli puri è il finanziamento su base contributiva e fruizione da parte
dei soli contributori nel primo caso; finanziamento su base fiscale generale e fruizione universale
nel secondo; per i modelli misti si valuta la forma iniziale e la successiva contaminazione.
Sono occupazionali-misti gli Stati sociali avviatisi con una logica occupazionale, ma che hanno poi
introdotto elementi universalistici, e universalistici-misti gli Stati sociali nati con impronta
universalistica ma poi tornati in alcuni settori al metodo occupazionale.
di partecipazione socio-politica dal basso

4. I regimi non democratici


La sociologia e la scienza politica, senza trascurare la prospettiva storica, si sono misurate con
classificazioni tipologiche dei regimi non democratici, andando a rilevare per ogni tipo di regime i
principali tratti morfologici.
Il contributo più sistematico al riguardo è forse quello fornito da Juan J.Linz, che insieme ad Alfred
Stepan, ha proposto una distinzione tra:
 regimi autoritari (1);
 regimi totalitari (2);
 regimi post-totalitari (3);
 regimi sultanistici (4).

(4) I regimi sultanistici.


Con il termine sultanismo ci si riferisce a situazioni in cui permane una confusione tra il patrimonio
privato del sovrano e i beni pubblici, nonché l’arbitrio personale dello stesso sovrano e la legge.
I sultanati sono regimi storicamente affermatisi in India, in altre aree del Medio e dell’Estremo
Oriente e nella Penisola Arabica.
Ancora oggi sono sultanati la Malesia, il Brunei, l’Oman e altri staterelli minori nella Penisola
Arabica.

(1) I regimi autoritari.


I regimi autoritari vengono a definirsi, secondo Linz, come ‘sistemi a pluralismo politico limitato, la
cui classe politica non rende conto del proprio operato, che non sono basati su un’ideologia
articolata, ma sono caratterizzati da mentalità specifiche, dove non esiste una mobilitazione politica
capillare e su vasta scala, tranne che in alcuni momenti del loro sviluppo, esercita il potere entro
limiti mal definiti sul piano formale, ma in effetti piuttosto prevedibili’.
Questa categoria include gli Stati sultanici in quanto regimi di dominio personale, e ci rientrano
anche i regimi post-totalitari di paesi ex-comunisti non ancora democratici.
Più in generale, Linz si sofferma sulle seguenti quattro fattispecie:
 regimi autoritari burocratico-militari: risultano dominati da coalizioni di ufficiali
dell’esercito e di alti burocrati, godendo spesso dell’appoggio di istituzioni tradizionali,
come la Chiesa, e di gruppi sociali costituiti dai grandi possidenti terrieri e dagli industriali
più conservatori.
La maggiore diffusione di questi regimi si è avuta nell’America Larina e in alcuni paesi
dell’Europa orientale;
 regimi a stalinismo organico: essi tentano di superare i limiti di consenso e di stabilità dei
regimi militari attraverso l’attivazione di strutture organiche di tipo corporativo.
Questi regimi affidano la rappresentanza degli interessi ad un numero circoscritto di
categorie che hanno i caratteri dell’obbligatorietà, della non-competitività, della
differenziazione funzionale e di un’ordinata gerarchizzazione.
Esempi storici di Stati siffatti si sono avuti in alcuni paesi neolatini dell’Europa degli anni
Venti e Trenta del ‘900;
 regimi autoritari di mobilitazione delle società post-democratiche: si impongono nelle
situazioni in cui alla spinta ugualitaria provocata dal mutamento politico in senso
democratico, e alle sollecitazioni provocate dallo sviluppo economico, non corrisponde
l’adeguamento delle mentalità e dei vecchi modelli sociali e culturali dominanti.
Il fascismo italiano e il franchismo spagnolo, ne sono un esempio.
Si differenziano dal secondo tipo di regime autoritario essenzialmente per essere nati con
atti di rottura nei confronti di precedenti esperienze democratiche, e quindi per una maggiore
forza impiegata nella realizzazione della relativa forma Stato;
 regimi autoritari di mobilitazione dopo l’indipendenza : caratterizzano i paesi usciti dal
dominio coloniale o dalla condizione di sudditanza verso una potenza straniera.
Gli esempi più diffusi si trovano in Africa, tanto nell’area sub-sahariana quanto nel
Maghreb.
Esso è l’esito di una malriuscita combinazione tra una pregressa tradizione tribale, il
tentativo di imposizione di un modello statale occidentale, con criteri essenzialmente
formali, e l’influenza sovietica con principi nominalmente socialisteggianti.

(2) I regimi totalitari.


Rispetto ai regimi autoritari, i regimi totalitari presentano una presa sui governanti decisamente più
intensa e completa.
In qualche modo si può dire che i regimi totalitari elevino a livello l’intera società i criteri che
ispirano e regolano le istituzioni totali.
Eckstein e Apter, hanno scritto che ‘l’essenza del totalitarimo sta nel fatto che esso annulla ogni
differenza tra lo Stato ed i gruppi sociali, e perfino tra lo Stato e la personalità individuale’.
Il presupposto di tale prassi sta nel convincimento del gruppo dirigente di aver compreso la verità
circa i fondamenti del senso dell’esistenza e la natura dei rapporti tra gli esseri umani, e di essere
chiamato ad affermarla per una specie di ‘messianismo politico’.
J. Talmon, sostiene esplicitamente che il totalitarismo si basa ‘sull’assunzione di un’unica ed
esclusiva vertità politica’.
La connotazione dei regimi totalitari in termini di controllo dell’ideologia politica su tutti gli ambiti
di vita, fa sì che anche l’aspetto repressivo si manifesti con modalità più dure di quelle dei regimi
autoritari.
E proprio per esprimere tale dimensione, H. Arendt ha osservato che è il terrore la vera essenza del
totalitarismo.
C.J. Friedrich, con una formulazione ripresa più volte insieme a Z. Brzezinski, ha attribuito allo
Stato totalitario le seguenti sei caratteristiche:
 un’ideologia onnicomprensiva;
 un partito unico, guidato da un solo uomo, impegnato ad imporre l’ideologia;
 un potere di polizia fondato sul terrore;
 il monopolio dei mezzi di comunicazione;
 la subordinazione completa delle forze armate del potere politico;
 un sistema centralizzato di pianificazione economica e il controllo delle organizzazioni.
Da un punto di vista teorico, gli elementi di distinzione tra un regime totalitario e uno autoritario
sono:
 un’ideologia ben strutturata contro una mentalità, sia pure specifica;
 l’assenza di pluralismo di contro ad un pluralismo limitato;
 la negazione di ogni spazio di autonomia ad altre organizzazioni economiche o culturali
contro sostegni contrattati con gruppi sociali con una certa autonomia.
Dal punto di vista empirico la questione è meno lineare.
È di sicuro un esempio di Stato totalitario l’Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche, sotto
Stalin, la Repubblica Popolare Cinese sotto Mao Tse-Tung, l’Albania di Enver Hoxa, il Vietnam di
Ho Chi Min, la Cuba di Fidel Castro.
(3) I regimi post-totalitari.
I regimi post-totalitari, si riferiscono alle esperienze dei paesi dell’Est europeo usciti dalla crisi del
comunismo, caratterizzati appunto da una situazione di transizione (a volte assai lenta) verso una
maggiore apertura.
Essi si collocherebbero, secondo Linz, in un continuum che va da un post-totalitarismo ‘precoce’ a
un post-totalitarismo ‘congelato’ fino a un post-totalitarismo ‘maturo’.
Nel primo caso risulterebbe alta la vicinanza al regime totalitario, tranne che per l’introduzione di
alcuni limiti al potere del leader.
Nel secondo caso, pur rimanendo congelati gli apparti di controllo del partito-Stato, tenderebbe ad
aumentare la tolleranza verso alcune critiche espresse della società civile.
Nel terzo caso si verificherebbero importanti mutamenti in tutte le dimensioni istituzionali, tranne
l’intangibilità del ruolo guida del partito.

5. Le forme post-statali
Nei decenni a cavallo tra la fine del XX sec. e l’inizio del XXI sec. emergono segni evidenti della
destrutturazione della mappa dell’ordine politico della pace di Westfalia.
I fattori che mettono in crisi tale ordine sono diversi:
 un impressionante sviluppo tecnologico;
 la vittoria della logica utilitaristica: essa sostituisce progressivamente il primato dell’etica
dei valori con il dominio della ragione strumentale, dell’incombenza dei rapporti mezzi-fini
e dell’unico criterio di efficienza ;
 l’alterazione del vecchio concetto di spazio: il cambiamento intervenuto nei mezzi di
comunicazione, trova espressione nella velocità con cui è possibile entrare in contatto con
individui e territori un tempo lontanissimi.
Secondo Virilio, lo spazio si comprime e il mondo tende a diventare un solo luogo.
Il nuovo scenario è la globalità, frutto del processo di globalizzazione.
Conseguenze: si spezza l’equilibrio raggiunto tra la sfera della politica e dell’economia, basato sulla
supremazia della prima sulla seconda.
La tecnologia e la logica utilitaristica si sposano con l’economia finanziaria, mettendo in crisi le
categorie dell’ordine politico.
A.Bagnasco descrive tale perdita di controllo da parte dello Stato su ambiti fondamentali della
propria sfera di giurisdizione (e sul mercato) con l’espressione ‘società fuori squadra’.
Ciò avviene perché il controllo ‘verticale’ di tutte le attività su un territorio, tipico della statualità
tradizionale, viene scosso da forze ‘trasversali’ prodotte dal capitalismo nella globalità.
Secondo Bauman, si tratta dei flussi (comunicativi, finanziari, di merci e di persone) che mettono
in discussione la solidità della strutture istituzionali tradizionali.
U.Beck, osserva che ‘il politico nell’era globale non è morto, ma è migrato’; e secondo lo stesso, la
sociologia ha costruito i suoi strumenti concettuali a partire da un sostanziale ‘nazionalismo
metodologico’, tramite l’identificazione della società con lo Stato nazionale.
Sempre secondo Beck, i concetti fondamentali della società moderna quali patrimonio, famiglia,
classe, democrazia, sovranità, Stato, economia, opinione pubblica, politica, etc, devono essere
sottratti al nazionalismo metodologico ed essere ridefiniti nel cosmopolitismo metodologico.

Grazie al possesso di un elevato know how tecnologico nazionale, di potenza economico-industriale,


di forza militare e di massa critica demografica e spaziale, alcuni Stati conservano un ruolo
importante: Stati Uniti d’America, Giappone, Regno Unito, Germania, Francia, Italia, ed i paesi
Bric (ovvero Brasile, Russia, India, Cina).
Al contrario, i paesi più piccoli, esposti alle dinamiche dell’economia mondiale, accusano (come
scrive Bauman) la regressione della politica al livello dell’amministrazione, e la regressione del
controllo del territorio nazionale alla gestione interna dell’ordine pubblico.

Oggigiorno, a determinare le sorti degli individui e dei popoli concorrono gli Stati, organismi di
emanazione degli Stati più ricchi ma gestiti con logica non democratica (Banca mondiale, Fondo
monetario internazionale, Organizzazione mondiale del commercio o Wto), le grandi imprese
multinazionali mossa da una logica di valorizzazione del capitale investito e altre associazioni che si
muovono tra gli Stati e il mercato perseguendo obiettivi di solidarietà verso i paesi più poveri, come
le Organizzazioni non governative (Ong).
Il quadro che emerge da questo affollamento di attori, presenta due caratteristiche:
 la grandissima difficoltà a ritrovare sintesi politiche internazionali e accettate da tutti, sia di
livello nazionale quanto di livello globale;
 la necessità di mantenere in vita quelle istituzioni giuridiche tipiche degli Stati che
obbligano i vari soggetti a rispettare le regole delle relazioni internazionali (diritti di
proprietà, contratti, disciplina dei titoli di borsa e delle obbligazioni, regolamentazione del
lavoro meno garantista, etc).
In proposito, S.Sassen sostiene che, più che un’erosione della sovranità, siamo davanti ad una sua
trasformazione, collocandosi ormai al di fuori dei territori nazionalizzati la ‘nuova geografia del
potere’.

Su dove e come si esercita la nuova global governance abbiamo diverse ipotesi. Alcuni ritengono
che questo ruolo sia svolto (o almeno spetti) dall’Organizzazione delle Nazioni Unite.
A sostegno ci sta il fatto che nell’Onu sono rappresentati tutti gli Stati del mondo e che le sue
Agenzie operano a vantaggio di tutti i popoli e a tutti i livelli (locale, macro-regionale e mondiale).
I critici di tale visione ottimistica ricordano che l’Onu esiste perché non fa nessuna distinzione tra
Stati democratici e non, non dispone di mezzi coercitivi propri per imporre le sue risoluzioni e che il
suo Consiglio di sicurezza (con diritto di veto) nasce dalla seconda guerra mondiale e quindi non
riproduce in modo adeguato i nuovi equilibri di potere internazionale, né le legittime richieste di
partecipazione alle decisioni avanzate da tutti i paesi che ne sono esclusi.
Altri autori sostengono che ‘un nuovo ordine mondiale’ si sia imposto in via sostanziale, e che per
esso sia da usare il termine ‘impero’.
L’impero ha una costruzione piramidale che vedrebbe ai livelli superiori gli Usa e gli altri Stati forti
(G8 e i club di Parigi, Londra e Davos) e, subito dopo, ‘le reti delle corporazioni capitalistiche
transnazionali’ che eserciterebbero il comando in modo più estensivo e articolato sulla superficie
mondiale.
In questa rappresentazione, ‘le Nazioni Unite funzionano come una cerniera nella transizione dalle
strutture giuridiche internazionali a quelle globali’.

Ma che cos’è, dunque, in termini istituzionali l’Unione Europea?


Di sicuro, non è uno Stato, poiché manca l’elemento della sovranità sui territori che la compongono,
cui si associa la possibilità di fare uso della forza fisica legittima.
Non è neanche una federazione di Stati, mancando di autentici organi di governo federale, anche se
su singole materie ogni Stato membro ha ceduto porzioni di sovranità nei suoi confronti.
L’UE è pertanto, un sistema politico sovranazionale, di incerta definizione e dall’identità
dinamica.
L’UE è ciò che l’attività dei suoi organi, la Commissione e la burocrazia di Bruxelles, e le
azioni d’intesa con le varie Regioni europee, l’hanno fatta e la faranno diventare: un nucleo di
iniziative economiche di successo all’inizio, e poi, per allagamento una trama ramificata, organica e
coerente di polity e policy.

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