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GIAN VITTORIO CAPPEUETTO

L'UO'MO
VERSO L'ASSOLUTO
Corso elementare di storia delle religioni
Dispense a cura di carlo Guidoni

XVII

TANTRISMO TIBETANO DI NAROPA E MILAREPA

TIPOGRAFIA GlU6EPPINI • PINEROLO


Bisogna sentire da chi l'ha vissuta, quanto sia grandiosa
la natura nel Tibet, quali incredibili scenari formino queste
montagne alte 8000 metri e più, perennemente bianche, che
si riflettono su laghi azzurri nelle strette pianure che separano
questi colossi; occorre che si scateni una tempesta o che piova
o che cadano fulmini per sentire come questa natura abbia
qualcosa di stregato, di demoniaco, di grandioso e caratterizzi
inconfondibilmente il panorama del Tibet. Dice il Tucci che:
« la natura qui è straboccamento, prepotere, scatenamento,

impeto primordiale. Strafà in tutto, nel creare e nello ster­


minare, è qualcosa di impressionante, che sopraffà l'uomo ».
È naturale che, in questo scatenarsi di forze, l'individuo pri­
mitivo senta l'urgenza di trovare rifugio nella religione, che
è fatta per buttarlo a capofitto, e spersonalizzarlo in quel rit­
mo di vita e di morte per farlo vivere in simbiosi con questa
natura che non ha mezzi termini.
Per forza di cose si devono trovare dei punti estremi,
quelli a cui la religione è sempre tesa. Gli elementi di tan­
trismo notati nell'induismo e nel buddismo trovano qui la
loro massima espansione. È solo in questo modo che l'uomo
può trarsi fuori dalla difficile condizione in cui la natura l'ha
posto.
Occorre il grande maestro, che indirizzi sulla giusta strada
e sia il parafulmine, rappresenti la massima tutela. È per
questo che nella storia della religione tibetana vediamo, come
evidente caratteristica, la grande personalità e l'esaltazione
della figura del maestro, che è un taumaturgo e deve bloccare
la natura, tutelare l'uomo e guidarlo al retto cammino.
Riprendendo e sviluppando la tradizione indiana, il lamai­
smo (da lama, maestro tibetano) pone al centro la figura del
maestro, che appare come il pilastro della vita mistica, oltre
che pilastro della vita monastica. Il vincolo che lega il mae­
stro al discepolo è molto più di un rapporto padre-figlio, è
un rapporto tra chi dà la vita e chi la desidera con urgenza;
è quindi più importante dei vincoli del sangue, per cui questa
esaltazione del maestro diventa tanto più indispensabile quan­
to più questa necessità urge. La necessità di un maestro è
fuori di ogni dubbio, qualunque sia la sede in cui se ne parla.
Sappiamo che l'iniziazione porta al discepolo tutti quei
segreti che sono la ricchezza del maestro; questi trasmette
con l'iniziazione un potere autentico; pone chi la possiede
fuori dell'ordine comune delle cose, quindi permette di sa­
persi orientare in questo mare pericoloso. Il maestro diventa
a poco a poco un capo; se c'è un piccolo gruppo egli diventa
il capo supremo di una comunità religiosa.
Questo insegnamento diretto - dice il Tucci - garanti­
sce anche la giusta interpretazione delle scritture, la corretta
comprensione dello spirito dei testi, necessaria perché le pa­
role del Buddha possano compiere l'opera di redenzione. Non
sarebbero efficaci senza questa autorevole interpretazione.
Dopo il capitolo leggendario del famoso re SRON-BTSAN­
SGANS-PO che avrebbe sposato due principesse cinesi bud­
diste, che vollero costruire nel Tibet un primo tempio a Bud­
dha, passiamo alla storia documentata nell'VIII secolo dopo
Cristo - quindi nell'epoca di un buddhismo di terza mano-.
Il grande PADMA-SAMBA VA, viene chiamato ufficialmente
nel Tibet dalle autorità, per insegnare alla gente il buddhi­
smo. Si viveva allora un periodo di crisi e di difficoltà e Pad­
ma-Sambava fu certamente una buona scelta, perché era un
grandissimo maestro, pare autore del celebre « La conoscen­
za della liberazione» oppure « Libro della conoscenza della
mente o autoliberazione mediante la meditazione ». Era un
bengalese, buddista tantrico, che arrivò nel Tibet verso il
743d.C. e fondò la famosa scuola di NYING-MA, o della
dottrina della grande perfezione, che ancor oggi ha seguaci.
In questo trattato insegna i segreti della meditazione tantrica,
che è quella seguita anche da noi. Si vede chiaramente l'in­
telligenza di questo tantrismo, che non è legato ad una reli­
gione, che non si propone di convertire, ma che, accetta pra
ticamente le tradizioni locali. Poiché gli indigeni hanno biso­
gno di visualizzare queste forze della natura, che sono il vento,
la tempesta, le bufere, la nebbia, queste personalizzazioni ven­
gono inglobate nel pantheon buddista e la comunità buddista
adotta senza difficoltà riti antichi, e miti locali profondamente
radicati; demoni indigeni vengono accolti tra le divinità bud­
diste e ancor oggi - conferma il Tucci - i contratti tra
famiglie, tra tribù, che vengono sanciti con particolari riti,
avvengono nella cornice della religione BON, così come viene
chiamata la religione primitiva del Tibet, anteriore all'influsso
buddhista.
Il buddhismo sa soprattutto adattare la figura del Buddha,
che acquista tutti i nomi che già erano di Shiva e di Visnù
cioè: Vairochana (saggezza della legge universale), Ratma­
sambava (saggezza dell'eguaglianza), Amithaba (saggezza della
visione discriminante), Aksobhia (saggezza del grande spec­
chio), Avalokitesvara (l'incarnazione della compassione attiva)
in cui il Buddha acquista le sei braccia per essere pronto a
tutelare i suoi devoti e quegli occhi particolari che sono di­
pinti sulle facciate dei suoi templi per osservare la valle intera
e proteggerla, Amoghasiddhi (la saggezza che tutto realizza).
Tali adattamenti dicono la mentalità universalistica del bud­
dhismo, che non vuole essere la religione di un piccolo ceto
o di un piccolo gruppo, ma si propone come annuncio reli­
gioso a tutti i popoli.
Il trattato di Padma Sambava incomincia con una distin­
zione tra conoscenza e saggezza che è espressa in termini di
attualità anche ai giorni nostri e nella nostra civiltà. La cono­
scenza è essenzialmente utilitaristica e mondana, è fallibile e
illusoria, in quanto derivata da una mente piccola e limitata,
dipende dalla gran madre « maya », quindi illude ed offusca.
Caratteristiche sue sono dipendenza e incompletezza (i nostri
testi devono essere aggiornati, le teorie scientifiche cambiano
e si fanno influenzare dalle strutture, ecc.). La saggezza ha
invece come caratteristica l'indipendenza - è cioè autonoma
- ed è sempre completa. Essa è l'unica radice di ogni intel­
ligenza e la riconciliazione dell'intelligenza. Chi aspira alla
saggezza deve rinunciare alla conoscenza, il che per noi è par­
ticolarmente difficile. I libri servono ben poco per incomin­
ciare una vera esperienza, occorre fare altro, mettersi sulla
strada della saggezza, bandire dalla propria mente gli intel­
lettualismi preparatori. Essendo la conoscenza il prodotto del­
l'utilitarismo, essa sta a fondamento dei sistemi educativi del
mondo (si va a scuola per diventare efficienti), ma questi si­
stemi educativi sono destinati ad insegnarci lo sfruttamento
parassitario delle ricchezze. La razza umana passa continua­
mente da un'illusione all'altra, l'abuso del sapere terreno con­
duce alla distruzione e alla regressione: conduce, in termini
moderni, alla bomba atomica e all'inquinamento. Finché i
saggi hanno esistenza separata, idee e funzioni separate, essi
tradiscono un'intelligenza limitata, di cui fruisce solo un pic­
colo numero di creature. Quando si sia invece entrati nella
« buddhità », si possiede un solo essere, un'intelligenza infi­

nita, una funzione unificata e ci si rende utili per sempre ad


una moltitudine di creature. Questa è somma saggezza, in cui
si sente la forza tantrica universalistica. Poiché l'uomo illu­
minato è lontano dalla veglia completa, crede di essere in
possesso di una mente individualizzata unicamente propria
mentre la creatura viziata dall'illusione crede di avere un'ani­
ma separata. Il genere umano è un'unità di illusioni mentali.
Per potere aderire alla verità - dice questo grande mae­
stro - la mente deve spogliarsi del suo bagaglio, delle illu­
sioni, deve denudarsi: diventa quiescente e allora improvvi­
samente e provvisoriamente, nel sonno senza sogni, cioè nella
meditazione profonda, simile a bambino che ha messo da
parte i propri giocattoli e le proprie idee, essa trascende le
apparenze e si illumina.
Questa grandissima scuola venne purtroppo distrutta dalle
persecuzioni e dalle lotte finché, verso l'anno 1000, ATISA,
altro monaco bengalese, sentendosi attirato dal Tibet (questi
monaci bengalesi frequentavano il Kashemir, che era pro­
vincia tibetana, soprattutto durante la stagione calda, perché
Il potevano avere grotte e ashram a disposizione), vi giunge
e riforma il monachesimo locale. Si ha un nuovo momento
di altissima spiritualità, che matura nella grande figura di
NAROPA. Bisogna leggerne la vita quasi mitologizzata.
Naropa era figlio di genitori regali, bengalese, educato
fino a 16 anni in un monastero buddhista del Kashemir, dove
era stato inviato per studiare ed imparare la saggezza. Tor­
nato a casa a 16 anni si deve sposare, ma dopo otto anni con­
vince la moglie di non essere entrambi fatti per una vita così
limitata. Ritorna nel Kashemir in un monastero buddhista e
vi apprende tutto ciò che ancora non conosceva della dot­
trina. In una disputa pubblica si fa talmente valere che nel
1049 viene eletto abate di Nalanda, un grande monastero
Buddhista. Esercita l'incarico per otto anni, ma davanti al­
l'impegno di guidare delle anime, sentire il loro bisogno di
espansione senza però sapere cosa dare se non dottrina, testi,
libri, traduzioni, ecc., si vergogna e, sentendosi inadatto a
questa attività, si propone di imparare il segreto di cui parla­
vano i libri e di cercare un maestro che possedesse quella tra­
dizione. Abbandona disperato il monastero per andare a cer­
carlo, inutilmente trattenuto dai suoi monaci e, dopo tante
peripezie, riesce finalmente a trovare Tilopa, un maestro scor­
butico, di cui non sappiamo gran che: pare che sia vissuto
dal 988 al 1069 e che abbia avuto pochi discepoli, perché
del tutto privi di misericordia. Rimase sotto la sua direzione
per 12 anni allo scopo di ottenere l'insegnamento.
Chiese di approfondire in particolare il contenuto di qual­
che libro per aiutarsi a progredire, ne ebbe come risposta di
lasciare tutti i libri e di dimenticare le proprie idee per fare
silenzio. Stette in silenzio per dodici anni e servì il maestro,
girando a cercare l'elemosina per lui. Tilopa non gli dava mai
niente, ma prometteva che dopo un anno qualcosa gli avrebbe
insegnato. « E Tilopa rimase seduto immobile e rigido per un
anno; era silenzioso come uno che fosse stato privato della
parola ». Passato un anno Naropa fece il gesto appropriato,
girò attorno con le mani giunte e pregò. Quando Tilopa volse
il capo e lo fissò, Naropa gli chiese umilmente l'istruzione.
« Se vuoi l'istruzione seguimi ». Tilopa si arrampicò sulla cima
del tempio di Otantra, che aveva un triplice tetto cinese e si
mise a cavalcioni sulle ali di uno degli uccelli ornamentali.
« Se avessi avuto un discepolo, egli sarebbe certamente sal­
tato giù da qui », disse Tilopa, e Naropa saltò giù senza esi­
tare. Si slogò una spalla e si ruppe un braccio, giacendo come
un cadavere, vittima di un dolore terribile. Ma Tilopa gli
chiese: «Naropa, che cosa c'è che non va in te? ». - «

questo corpo informe, modellato dai miei samskaras che s'è


infranto come un giunco e soffro ». Naropa allora scese, lo
toccò, lo guarl e gli diede il primo insegnamento, consistente
nel capire che noi non siamo il nostro corpo e che questo
deve essere soltanto uno strumento.
Dopo un anno dacché aveva approfittato di questo inse­
gnamento, a Tilopa di nuovo seduto e immobile, Naropa
chiese di nuovo di essere istruito. THopa si alzò improvvisa­
mente e se ne andò a sedersi presso un fuoco. Naropa rinnovò
la preghiera dell'istruzione e Tilopa disse che se avesse avuto
un vero discepolo, egli sarebbe balzato in mezzo al fuoco. Na­
rapa ci si buttò, si ustionò terribilmente e di nuovo Tilopa
gli domandò che cosa non andava in lui. 10 guarl e gli inse­
gnò come dominare il proprio interno per togliere le distin­
zioni tra io e tu. Dopo un altro anno, richiesto di un nuovo
insegnamento, Naropa lo invita ad andare a cercargli delle
elemosine. Essendo rimasto molto soddisfatto di una bella
dotala di riso che Naropa gli aveva già procurato, lo invitò a
cercarne ancora e versare dell'acqua sul cibo di coloro che non
gliene avessero dato volontariamente. Se inseguito, a tracciare
in terra il segno dell'acqua ed a brandire la spada di legno,
qualora non avessero desistito dall'inseguirlo. Naropa segue
le istruzioni e finisce pestato di santa ragione e lasciato mezzo
morto. Stesso intervento di Naropa per informarsi sul suo
stato e per sanarlo. Gli insegnò poi a non fidarsi della propria
ignoranza quando si tratta di cose di magia. Dopo un altro
anno Naropa dovette affaticarsi per costruire un ponte su uno
stagno pieno di sanguisughe e di zanzare, altro intervento di
Tilopa, cui segue l'insegnamento per trovare il calore mistico
dei chakras, quello stesso calore che serve solo per poter vi­
vere alle latitudini di quei paesi, essendo vestiti di semplice
cotone. Gli insegna a togliersi dai desideri della carne e a
distinguere la realtà dei miraggi. 10 mette quindi nella situa­
zione di tirar giù da cavallo il primo ministro del paese con
le solite conseguenze e con il successivo insegnamento: come
togliersi le luci apparenti. Butta quindi a terra la regina e gli
viene insegnato come ogni cosa inferiore è sempre segno di
una cosa superiore; segue la spiegazione sull'esistenza dei figli
di Dio, con l'interessante dottrina che questa figliolanza ci
deve invitare a crescere fino all'altezza di Dio. Termina con
l'istruzione sulla resurrezione, che porta all'identificazione con
lo stato di perfezione, capace di far entrare, rimanere e dis­
solvere tutte le vibrazioni del sentiero centrale per essere, a
imitazione di Dio, infinito e assoluto.
Gli fa infine sposare una donna che non lo capisce e lo
maltratta: di qui il bisogno di superare il dualismo per rag­
giungere la pace. L'anno dopo gli fa cedere la moglie, inse­
gnandogli a lasciare tutto per possedere tutto. L'insegna­
mento si conclude con il mandala fatto con il proprio sangue.
Gli dice cioè: «Tu hai fatto il giro solito intorno a me, fallo
ora con il tuo sangue ». Naropa si taglia allora le vene e spar­
gendo il sangue arriva alla fine del cerchio e sviene. Tilopa
gli fa allora capire che la vita è proprio lo stadio discrimi­
nante tra vita e morte. È in mano nostra vivere realistica­
mente o morire. Sta in noi capire attraverso tutte le prove,
perché siamo in vita e cosa dobbiamo fare in essa. Le prove
della vita sono mezzi che ci sono messi a disposizione dalle
forze superiori per farci capire a che cosa questa vita deve
servire. Sarebbe terribile che degli esseri intelligenti non sa­
pessero quello che sanno le foglie e gli animali. Una foglia
sa che dalla mattina alla sera deve respirare per assorbire
anidride carbonica e darci aria pura; una cozza nel mare sa
di assorbire acqua putrida ed emettere acqua pulita. Solo
l'uomo pur essendo intelligente può giungere ad una certa età
e chiedersi ancora per che cosa è stato fatto e a che cosa deve
tendere.
Naropa ebbe molti discepoli, tra cui il famosissimo MAR­
PA, detto il traduttore, che non avrebbe avuto gran fama se
non fosse a sua volta diventato maestro del grande Mila­
raspa, altrimenti detto MILAREPA. Per capire l'educazione
alle cose spirituali e la centralità del Lama, bisogna anche
capire come questi maestri insegnavano. Al di fuori del rac­
contino, dobbiamo ricercare questi meravigliosi insegnamenti,
che sono quattro, tutti diversi e progressivi.
L'insegnamento più facile, abitualmente usato, consiste
nel prendere in mano uno scritto sacro e insegnare su questo
a leggere e a scrivere, ma soprattutto le dottrine, che ser­
vono per il massimo sviluppo della nostra mente. Lo scritto,
dev'essere commentato dal maestro. Al di là dello scritto, ri­
cercare le parole rivelate, le quali hanno un suono dramma­
tico ed educativo. Questo suono, commentato dal canto del
cuore, diventa musica di luce: il mantra. Si tratta di parole
che, non solo danno una vibrazione, unitamente al significato
della parola, ma costituiscono il ritmo per cui varie parole
messe insieme non sono più soltanto parole, ma diventano
verso. E il verso è poesia e la poesia dice molto di più dello
stretto significato delle singole parole.
Oltre al mantra il Lama insegna ancora con i gesti del
corpo e soprattutto delle mani, che sono indicative, attive,
potenti per aprire e per scoprire; insegna inoltre con i dise­
gni, i mandala a forma centrale, incorniciati in un quadrato,
in cui dobbiamo cercare la nostra collocazione nell'universo.
Poiché il nostro io, per quanto ci si possa disprezzare, mode­
stamente è sempre al centro, dobbiamo mettere Dio sopra, il
male e il demonio sotto anche se ci domina, l'avvenire e il
futuro davanti e dietro le spalle, anche se è passato. Ciascuna
cosa deve trovare la sua giusta collocazione; il mandala deve
insegnarci le varie tappe della nostra vita e il nostro modo di
rapportarci con questa realtà. Si ha infine il grande insegna­
mento telepatico: il maestro deve conoscere nel proprio corpo
quel triangolo di luce irradiante e quando parla in pubblico
deve irradiare da quel triangolo tutti i raggi necessari· per
dominare, tranquillizzare o per allontanare chi non sia meri­
tevole, in modo che la sua parola sia pungolo, sia forza che
addormenta, sia incitamento, secondo i casi e alla fine della
conferenza deve poi ritirare i suoi raggi. La grande educa­
zione tibetana consiste essenzialmente in questa osmosi psi­
chica. Si insegnano soprattutto le sei leggi di Naropa:
10 - produzione del calore per poter vivere vestiti di cotone
a quelle altezze. La stampa ha riportato l'episodio se­
guente: siccome gli astronauti russi si addormentavano
durante gli esperimenti nel cosmo per le difficoltà di re­
spirazione, ad ovviarvi fu chiamato in Siberia un Lama
tibetano, che giunse vestito di cotone e che rifiutò la
pelliccia offertagli in quanto capace di autoprocurarsi
calore, qualora ne avesse sentito il bisogno ;
20 - il corpo di illusione cioè il triangolo in cui noi matu­
riamo la nostra forza e in cui espandiamo o ritiriamo le
nostre influenze;
30 - il sogno, distinguere cioè le immagini oniriche da quelle
ordinarie;
40 - la luce splendente, riconoscere cioè quella luce che più
volte ne] giorno si manifesta a colui che tenga gli occhi
aperti;
Y - il trasferimento del principio cosciente nel!'aldilà, scien­
za molto sottile con cui il maestro accompagna nella
morte il discepolo e gli suggerisce all'orecchio le formule
del « Libro tibetano dei morti»;
60 - il nostro trasferimento in un cadavere: avendone uno a
disposizione, il maestro può penetrare in esso e otte­
nere cose importanti, soprattutto in favore di chi ha
sofferto molto per questa morte (rassegnazione, con­
forto).

La parola scritta non serve per tutti questi insegnamenti,


che sono in gran parte impartiti sotto segreto. Anche se si
tratta di scritti di grandi maestri, essi rimangono senza effetto
vitale; si può addirittura deviare dalla retta via e prendere
una strada dannosa se ci si limita a leggere libri. Se la catena
iniziatica si interrompe, la dottrina contenuta negli scritti
perde la sua efficacia. Il Tucci rileva che la dottrina tibetana
senza inizi azione sarebbe un corpo morto, che nessuna forza
al mondo potrebbe far rinascere; persa la tradizione, è neces­
sario che la grazia investa di nuovo una persona, perché attra­
verso di lei si ritrovi la strada.
Anche Naropa ebbe tanti discepoli, ma uno solo diventò
un grande maestro: Marpa. Quando Milarepa dovette cer­
care un maestro per riparare le sue terribili vendette compiute
per amore materno, andò proprio in cerca di Marpa.
Milarepa è il grande patrono, il « bodhisatva» odierno
del Tibet (cioè Budda che rivive in un personaggio che si
dedica al bene dei suoi fratelli). Era figlio di un ricco tibe­
tano, che morì quando egli aveva solo sette anni. La madre
dovette passare sotto la tutela di uno zio insieme con i suoi
due figlioli. 10 zio era particolarmente avido e, facendosi pa­
gare annualmente in beni immobili la sua tutela, finl per im­
padronirsi completamente del patrimonio dei suoi pupilli.
Vendette quindi questi beni e con il ricavato se ne andò, non
facendosi più vedere. La madre che stava morendo di inedia
nella più grande miseria, si fece allora giurare dal figlio che
avrebbe vendicato l'onore di sua sorella e la sua morte. Mila­
repa cercò allora chi potesse insegnargli la magia nera e im­
parò talmente bene che, quando possedette i segreti e i man­
tra opportuni, si presentò in paese e, saputo che tutti i figli
dello zio stavano banchettando in una casa, la fece crollare
su .di loro. Il paese gli si rivoltò contro come se fosse un cane
rognoso ed egli allora si vendicò facendo cadere sul paese una
grandine tale che fece smottare e rovinare sul paese addirit­
tura un pezzo di montagna. Tutto ciò gli creò un enorme
rimorso e gli fece sentire il bisogno di togliersi di dosso tutto
questo peso. Cercò allora un maestro che gli insegnasse la
strada per riparare; lo cercò nei templi, nei conventi, ma non
lo trovò. Gli venne finalmente additato un certo Marpa, che
indulgeva un po' troppo al cibo e trattava piuttosto male i
discepoli. Milarepa venne subito messo a rigovernare le bestie
nella stalla. Si adattò, sperando nell'insegnamento, ma visto
che questo tardava, cominciò a lamentarsi. Marpa allora lo
chiamò e si disse disposto a dargli l'insegnamento appena egli
fosse stato pronto a riparare il male fatto. Gli fece quindi
costruire una torre rotonda su un monte vicino, trasportando
le pietre dal fondo valle a spalla. Ad opera quasi finita, Marpa
gli si presentò per invitarlo a distruggerla e a costruirne
un'altra a mezzaluna su un monte diverso. Fatta che fu,
Marpa gliela fece disfare per costruirne un'altra di forma
triangolare, ma anche questa non andava bene e dovette es­
serne costruita una quadrata. Dopo di questa fu la volta di
una casa a logge per dimora dei figli che si dovevano sposare.
Tutto questo ha il sapore di una leggenda, ma sta a sottoli­
neare quanto sia difficile trovare un maestro che ci porti fuori
dai nostri limiti a percorrere la strada della divinità. Marpa,
dopo la loggia si fece ancora costruire una torre a tre piani,
ma poi Milarepa andò da lui quasi esigendo l'insegnamento.
L'altro rifiutò ancora ed allora Milarepa ricevette dalla moglie
di Marpa il consiglio di andare a cercare un altro maestro al di
là -delle montagne. Con il consiglio ricevette anche mezzi e
denaro, nonché un asino per il trasporto. Giunto a destina­
zione il maestro Guogpa lo rimandò da Marpa. Questi, quan­
do si ritrovò davanti il vecchio discepolo, lo ritenne final­
mente pronto e gli diede il desiderato insegnamento, che durò
due anni. Poi lo invitò a mettere in pratica quanto insegnato,
ritirandosi in una grotta sopra un monte, al freddo e con po­
che vettovaglie, e a pregare giorno e notte fino all'illumi­
nazione.
Finite le poche disponibilità di vitto, incominciò a man­
giare le ortiche dei dintorni e divenne magrissimo. Si con­
serva ancora la sua ciotola di terracotta, tutta tappezzata di
rimasugli di ortiche, ch'egli neppure ripuliva. Finalmente
giunse l'illuminazione, che gli si presentò come una tipica
siddhi tibetana: mentre era in preghiera si ricordò molto luci­
damente di sua sorella e la vide nel villaggio del suo paese;

DiagTamma semplificato dei centTi della fOTza psichica secondo la tTadizione


del Kunddini-Y ogll.
desiderando di essere anch'egli colà senti il suo corpo innal­
zarsi e volare, per dirigersi verso il posto contemplato. Mila­
repa è detto il saggio volante. La sua vita è raccontata in
forma autobiografica dallo stesso Milarepa; è un libro in poe­
sia, che costituisce ancor oggi un testo tibetano letterario
classico. Vi insegna che bisogna raggiungere le quattro pu­
rezze: del corpo, della parola, della psiche e dello spirito,
cioè la purezza delle terre di Buddha, liberandosi delle appa­
renze illusorie dovute al dualismo facendo il vuoto, facendo
coincidere profondità e luminosità (orientamento delle onde
cerebrali verso la luce e viceversa). In primo luogo la purezza
del corpo dalla maya, che si ha quando il corpo si trasforma
in cosa divina, per cui dobbiamo capire come va religiosa­
mente nutrito e usato; 2°) la purezza della parola che si rag·
gi,unge
un mantra da pronunciare, perché altre menti vibrino in con·
sonanza con noi e con Dio; 3°) la purezza dell'anima che si
ottiene quando le infinite potenzialità spirituali si riescono a
sviluppare giorno per giorno; 4°) la purezza dello spirito che
si ha con la confruizione, cioè quando si può godere di par­
tecipare agli altri tutto quello che si ha, finché si perviene alla
somma purezza, che non è pensare più a se stessi, ma total­
mente agli altri. Tutto questo corrisponde esattamente al pre­
cetto evangelico «chi è Superiore sia come chi serve »: più
si cresce, più si diventa come Dio, preoccupati del bene di
tuttI. Questo è l'ideale del Bodhisattva. Dice Milarepa: «C'è
qualcuno che si preoccupa del suo enorme dolore e non vede
l'ora di liberarsene e di uscire da questo mondo per non sof­
frire più; ma c'è anche qualcuno che, per amore degli altri,
sentendo più che le proprie sofferenze quelle altrui, si ferma
in questo mondo a vivere per aiutare gli altri a liberarsi. Sono
praticamente le quattro investiture: l'investitura, la confer­
ma del vaso, che cancella le debolezze del corpo e lo rende
strumento idoneo, l'investitura della parola, che la fa stru­
mento. di congaudio e di confruizione, l'investitura dello spi­
rito per meditare nella luce splendente e finalmente l'investi­
tura della possibilità della macchia cioè togliere via anche la
possibilità di peccare non pensando più a sé, ma sempre agli
altri in una totale attività. Questo è opera della grazia che ci
porta in alto. Tutto in rapporto con tutto; nulla è impuro.
Tutte le cose e i pensieri sono causa di dolore, quindi negarli
assolutamente; tutte le cose e i pensieri con sembianze reali
sono vuoti finché non raggiungiamo la maturità spirituale.

Confucio.
Tutte queste apparenze hanno una sostanza interna per chi sa
leggere. Al di là delle apparenze e delle sostanze particolari
c'è la sostanza assoluta, il nirvana.
Questa scienza si cristallizza in tante forme tantriche che
nel Tibet sono visibili, quotidiane e presenti e sono soprat­
tutto mandala, mantra, mudra e yantra.

BIBLIOGRAFIA

Il libro tibetano della grande liberazione · Newton Compton . Roma, 1975.


B. TOdol: Il libro tibetano dei morti - Utet - Torino, 1972.
G. Tucci: Le religioni del Tibet . Mediterranee · Roma, 1976.
W.Y. Evans-Wentz: Lo yoga tibetano - Ubaldini - Roma, 1973.
G. Tucci: Tibet ignoto · Newton Compton . Roma, 1978.
H.V. Guenther: La vita e l'insegnamento di Naropa - Ubaldini . Roma,
1975.
Vita di Milarepa Mondadori . Verona, 1975.
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