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UN SOGNO

GRANDE GRANDE
di

ROBYN DONALD
Questo libro è un’opera di fantasia.
Personaggi e luoghi citati sono invenzioni dell’autore
e hanno lo scopo di conferire veridicità alla narrazione.
Qualsiasi analogia con fatti, luoghi e persone,
vive o scomparse, è assolutamente casuale.

Titolo originale dell’edizione in lingua inglese:


Long Journey Back
© 1986 Robyn Donald

Copyright © 1986 Harlequin Enterprises BV, Amsterdam


© 1993 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano
1

The Towers, il grande e lussuoso condominio dove la


famiglia Hollingworth abitava quando veniva ad Auc-
kland, sorgeva ai piedi di uno dei piccoli vulcani che
erano una caratteristica dell’istmo.
Assomigliavano, decise Melly Hollingworth con-
templandoli dalla finestra, a enormi castelli di sabbia.
Verdi, ripidi e frastagliati, i pendii erbosi si innalzavano
verso un cielo che cominciava appena a tingersi dei co-
lori del crepuscolo. Nonostante la violenza della sua ge-
nesi, era un paesaggio che ispirava calma e serenità, ma
Melly non riuscì a trattenere un sospiro che soffocò in
un moto di determinazione.
Lei era felice! Appena due minuti prima, parlando al
telefono con la sua sorellastra, le aveva assicurato di es-
sere perfettamente felice, persino entusiasta. Perché non
sarebbe dovuta esserlo? Il giorno prima aveva saputo
che la sua domanda per quello che sembrava un lavoro
stimolante e impegnativo era stata accolta. Tornando in
Nuova Zelanda non si aspettava che avrebbe potuto
sfruttare l’esperienza fatta nei due anni precedenti a
Londra, dove aveva lavorato come bibliotecaria per una
importante compagnia. Era stata una fortuna insperata
che si fosse presentata un’offerta così adatta alle sue ca-
pacità proprio quando lei si era messa in cerca di un la-
voro.
Così la sua vita professionale era sistemata. Contenta
di essere di nuovo a casa dopo quasi tre anni di esilio,
libera, ventiquattrenne e con un fondo fiduciario che
suo padre, Dougal Hollingworth, aveva creato per lei,
poteva godere di un introito più alto di quanto le potesse
mai servire. Aveva un adorabile fratellastro, figlio unico
di suo padre, e un’adorabile sorellastra, nata dal primo
matrimonio di sua madre, prima che incontrasse e si in-
namorasse di Dougal. Dopo anni passati ciascuno per
conto proprio, Rafe e Jennet si erano a loro volta incon-
trati, innamorati e sposati e ora avevano uno splendido
bambino che Melly amava moltissimo.
Sorrise ripensando al suo incomprensibile chiacchie-
riccio al telefono e si accorse di sentire già la mancanza
dei suoi bacetti appiccicosi. Per fortuna l’avrebbe rivi-
sto a Natale, fra meno di un mese. Anche quella era una
circostanza fortunata. Era appena cominciata l’estate e
l’aria era tiepida e carica di profumi inebrianti.
Aveva già ripreso i contatti con la sua vecchia cer-
chia di amicizie e dunque non doveva temere la solitu-
dine. Non c’era spazio per l’autocommiserazione nella
sua giovane vita.
Andò in camera e indossò un paio di pantaloncini che
lasciavano generosamente scoperte le lunghe gambe, la
cui abbronzatura era la conseguenza dell’estate eccezio-
nalmente calda trascorsa nell’emisfero settentrionale e
dei lunghi pomeriggi passati ai bordi della piscina a Te
Puriri, la fattoria di suo fratello nel Nord. Una maglietta
sottolineava il seno formoso e la vita un po’ troppo sot-
tile per i moderni canoni estetici.
Grazie al cielo sono alta, si disse guardandosi nello
specchio con occhio critico.
Il condominio era circondato da un giardino vastis-
simo cui provvedeva un devoto e ispirato giardiniere e,
grazie alla sua posizione, sembrava sorgere in campa-
gna. Mentre correva a ritmo sostenuto lungo il vialetto,
Melly respirava profondamente l’aria fresca e profu-
mata di fiori, mentre i rumori del traffico si confonde-
vano con il ritmico tock delle palle che rimbalzavano
sul campo da tennis e con le risate provenienti dalla pi-
scina.
Controllando il passo per non stancarsi troppo, Melly
uscì dai cancelli e si avviò verso il parco vicino, all’om-
bra di giganteschi olivi dalle foglie argentate. Provava
una sensazione di gioia e di vitalità che la fece sorridere
ad altri corridori, a una giovane donna che spingeva una
carrozzina, a una coppia di innamorati che cammina-
vano mano nella mano.
Finalmente, arrossata e accaldata, si avviò di nuovo
verso casa ed entrando nell’atrio pensò che una bella
nuotata sarebbe stata l’ideale per concludere quel pome-
riggio. Proprio in quel momento si accorse che le porte
dell’ascensore si stavano chiudendo e affrettò il passo
pur sapendo che non ce l’avrebbe fatta. Normalmente
non le sarebbe importato aspettare, ma era tutta sudata
per la corsa e l’aria stava cominciando a rinfrescare.
Si era già voltata per chiamare l’altro ascensore
quando sentì le porte del primo riaprirsi alle sue spalle.
Chiunque ci fosse dentro, doveva averla vista e si era
gentilmente fermato. Un sorriso radioso le illuminò il
volto mentre si affrettava a entrare, conscia della lieve
impazienza dell’uomo che aspettava con un dito sul
pannello dei comandi.
«Grazie mille…» La voce le tremò e le si spense in
gola quando si voltò trovandosi a fissare degli occhi
grigi, freddi e duri come il ghiaccio.
«Ciao, Melissa» disse calmo Trent Addison, pre-
mendo il pulsante del suo piano. «Da quanto tempo sei
arrivata?»
Lo sapeva già, pensò lei fissando con occhi stupefatti
il pannello dei comandi. Non aveva nemmeno avuto bi-
sogno di chiederle a che piano abitasse. Per un momento
rimase così attonita che dovette appoggiarsi alla parete
e aspettare che il rombo che le aveva invaso la testa si
placasse. Fu solo la rabbia che le risparmiò l’umilia-
zione di svenire ai suoi piedi, rabbia per gli scherzi di
un destino che già troppo spesso si era intromesso nella
loro vita e che sembrava sul punto di farlo di nuovo.
Deglutendo forzatamente per schiarirsi la voce, lei si
voltò e rispose con voce piatta: «Più di un mese. Quasi
sei settimane».
Lui alzò la testa verso i numeri del piano che si ac-
cendevano e si spegnevano. Un lieve sorriso conferiva
ai suoi lineamenti irregolari un aspetto ambiguo.
«Ero a Te Puriri» aggiunse lei come se fosse impor-
tante.
Lui sapeva anche questo. «Da tuo fratello e tua so-
rella» disse senza incertezza.
«Fratellastro e sorellastra» lo corresse automatica-
mente. Era ormai un riflesso condizionato, dopo tutte le
volte che aveva dovuto spiegare alla gente incuriosita
che sebbene Rafe fosse il suo fratellastro e Jennet la sua
sorellastra, non c’era alcuna parentela di sangue fra
loro.
Ma Trent sapeva tutto dei complicati legami della
sua famiglia; in un certo senso era quasi uno di loro.
Annuì. «In questi tempi di divorzi e nuove nozze, le fa-
miglie complicate sono all’ordine del giorno. Ma devo
ammettere che è la prima volta che sento di due fratel-
lastri che si sposano. So che hanno un figlio.»
Il volto teso di lei si addolcì al pensiero del nipotino.
«Sì» confermò con immensa soddisfazione.
Il suono che annunciava la fermata dell’ascensore la
riportò alla realtà. Il suo piano, grazie a Dio. Mentre le
portiere si aprivano lei si congedò con un banale: «Pia-
cere di averti rivisto».
Udì le porte dell’ascensore richiudersi alle sue spalle
e quasi si accasciò per il sollievo mentre frugava in tasca
per cercare le chiavi. Le mani le tremavano mentre le
infilava nella toppa, ma il rumore leggero della serratura
fu coperto da un suono che la fece voltare, gli occhi di-
latati.
«Calmati» le ordinò Trent, con uno sguardo gelido
che la inchiodò alla porta.
«Abiti qui?» chiese lei nervosamente, poi arrossì per
la stupidità della domanda. «Intendo dire a questo
piano?»
«No, al piano di sopra.» Una mano scura e affusolata
si chiuse sulla maniglia e aprì la porta dietro di lei. Sor-
ridendo alla sua espressione incredula, aggiunse:
«Abito nell’attico, Melissa».
Lei entrò con tutta la sua attenzione concentrata su
Trent che la seguiva e chiudeva la porta dietro di sé. «E
allora che cosa stai facendo qui? Che cosa vuoi?»
Trent aveva sopracciglia sottili ed eleganti e le usava
con efficacia devastante; come adesso, che gli bastò
inarcarle leggermente per farla sentire goffa e stupida.
«Noi ci conosciamo» le ricordò lui con una certa in-
solenza, mentre il tono gentile non nascondeva affatto
la nota di sarcasmo nella sua voce profonda. «E molto
bene. Abbastanza perché potessimo, dopo la fine del tuo
fidanzamento con mio cugino Derek e prima della tua
partenza per l’Europa, parlare seriamente di matrimo-
nio. Perché non dovrei farti visita e prendere un caffè
con te mentre mi racconti che cosa hai fatto in questi tre
anni?»
«Per il semplice fatto che hai sposato Cathy Durrant
anziché me» replicò lei furente.
Il viso di lui parve indurirsi, per nulla illuminato dal
sorriso cinico e indolente che le rivolse. «Neanche l’in-
ferno possiede la furia di una donna abbandonata» disse
con tono disinvolto. «Be’, suppongo di meritarmela,
sebbene sperassi che in questi ultimi anni tu avessi
perso quella tipica tendenza giovanile a vedere tutto o
bianco o nero. Sapevi che io e Cathy abbiamo divor-
ziato?»
«Sì.» La bella bocca di Melly si contrasse in una
smorfia. «Vi siete divisi appena Sir Peter Durrant è
morto, mi pare.»
Un breve silenzio carico di tensione calò nella stanza.
Fu Trent a interromperlo dicendo con voce piana: «Ab-
biamo reso ufficiale la notizia un mese dopo, ma in ef-
fetti, Cathy andò a stare con Lady Durrant il giorno
dopo la morte di suo nonno. È deprimente constatare
che presti abbastanza fede alle chiacchiere e a simili
pettegolezzi».
Lei sorrise appena. «Ho ancora questa tendenza gio-
vanile a credere all’evidenza dei miei occhi» lo schernì.
«Se si tratta di pettegolezzi, ebbene spiacente di delu-
derti, ma ne tengo conto.»
«Eppure credevo che l’esperienza con Derek ti
avesse insegnato che l’evidenza dei tuoi occhi non è ne-
cessariamente la verità.»
Melly trasalì sentendo il colore defluirle dal volto.
Durante il fidanzamento con Derek lei era rimasta del
tutto all’oscuro del lato violento della sua personalità
fino al momento in cui lui era stato provocato al punto
da perdere il controllo e attaccarla. Trent aveva avuto
un certo ruolo in questa provocazione, poiché essendo
suo cugino lo conosceva bene.
Sulle difensive lei ribatté: «Quella era… un’altra fac-
cenda».
«Sicuro» disse lui educatamente, gli occhi tristi come
se stesse contemplando una visione molto dolorosa.
Lei sollevò la testa. «Molto bene allora, dimmi» lo
invitò con voce calma e ironica. «Hai sposato Cathy
Durrant perché l’amavi, Trent?»
Le palpebre si abbassarono sugli occhi di lui renden-
doli simili a due fessure. «No» rispose senza spiega-
zioni.
«E non è vero che ora controlli le proprietà di suo
nonno, Sir Peter?»
Un muscolo guizzò sul viso di lui. «Sì.»
«E ti è dispiaciuto quando lei è andata a vivere con
Lady Durrant?»
Lui si appoggiò alla porta, le braccia conserte
sull’ampio petto, e un sorriso da pirata, rude, impietoso,
gli incurvò le labbra. Melly sentì una scarica improvvisa
di adrenalina che la aiutò a non lasciarsi intimidire e a
sostenere il suo sguardo.
«No» rispose lui. «Sono stato felice di vederla andar
via.»
Faceva male. Dopo tre anni faceva ancora male sen-
tire confermare tutte le odiose insinuazioni fatte sul
conto dell’uomo che aveva amato, ma il tempo le aveva
dato una certa pratica nel nascondere il dolore. Così in-
spirò profondamente e lo ricacciò indietro, mentre lo
shock di quell’incontro indesiderato cominciava a sva-
nire.
«Forse c’era un’altra ragione, diversa da quella che
balza agli occhi, per il tuo matrimonio» suggerì con sar-
casmo.
Lui fece un’alzata di spalle. «Ci crederesti, se te la
fornissi?»
«Dovrebbe essere maledettamente buona.»
Per un istante lui sembrò esitare, mentre la scrutava
con uno sguardo acuto e penetrante. Poi alzò nuova-
mente le spalle, nascondendo ogni emozione dietro
un’espressione impassibile. «Spiacente, mia cara» disse
mellifluo. «Non intendo darti giustificazioni, neanche
se sono vere. Ho come il sospetto che non mi credere-
sti.»
Fino a quel momento Melly non si era resa conto di
quanto avesse desiderato che lui le fornisse una ragione
valida per averla lasciata così crudelmente. La delu-
sione a quella risposta fu devastante, e a stento lei si
trattenne dal dare libero sfogo alle sue emozioni e, seb-
bene sconvolta dall’intensità della sua reazione, riuscì
perfino a sorridere. «Probabilmente hai ragione.
Quindi…»
Trent ignorò il gesto con cui lei gli indicava la porta
e disse: «Gradirei una tazza di caffè». Quando lei co-
minciò a protestare lui le posò un dito sulle labbra, fa-
cendola tacere. «Perché no?»
«Perché io… noi…» Le parole di indignazione le si
spensero in gola quando divenne conscia dell’intensità
dello sguardo di lui. Immediatamente fu assalita da sen-
sazioni sconvolgenti, come quella procuratale dal calore
del dito di lui contro le sue labbra.
Poi lui tolse il dito e indietreggiò. Improvvisamente
fredda, lei si scoprì a odiarlo per la facilità con cui riu-
sciva a infiammarla.
Con voce che quasi tremava disse: «Per piacere, vai
via, Trent. Sono stanca e non vedo l’ora di fare una doc-
cia e andare a letto».
«Nessun problema. Mostrami la cucina e mi occu-
però io del caffè.»
«Non vuoi capire, allora. Non ti voglio qui!»
«Forse» aggiunse lui, e rise della rabbia manifesta
che le vide nello sguardo. «Adoro il modo in cui ti bril-
lano gli occhi quando sei furiosa. Non pensi di esage-
rare? Hai paura di me? O forse dell’effetto che ho su di
te?»
«Non cercare di manipolarmi!» gridò lei.
«Perché no? Reagisci con tale vigore. No, no, non
diventare furiosa. Non ti permetterò di colpirmi, quindi
non provarci nemmeno. Rassegnati all’inevitabile, Me-
lissa. Non sei abbastanza forte per sbattermi fuori dalla
porta e io prometto di andarmene non appena avrò avuto
il mio caffè. Sai, stai facendo tante di quelle storie che
un uomo potrebbe sentirsi autorizzato a pensare che sei
un po’ innamorata di lui.»
Sentirglielo dire le fece saltare i nervi. Non era vero,
non provava che disprezzo per lui, ma per un secondo,
nel vedere l’aria divertita con cui la osservava, provò
l’impulso di ucciderlo.
«Dovrei essere masochista» disse invece sforzandosi
di essere disinvolta. «Dubito persino di averti mai
amato.»
«Davvero?» Lui inarcò le sopracciglia con un misto
di incredulità e derisione.
«Davvero!»
Lui rise di nuovo. «Be’, forse hai ragione. In tal caso,
non devo sentirmi in colpa per averti spezzato il cuore,
no? Ora mostrami dov’è la cucina e io metterò su la caf-
fettiera.»
Una delle doti di Melly era quella di capire quando
era battuta: Trent non se ne sarebbe andato finché non
avesse avuto la sua maledetta tazza di caffè, così, anche
se esasperata, lo condusse in cucina.
A quel punto decise che avrebbe fatto prima a sbri-
garsela da sola e mise su il caffè senza ulteriori discus-
sioni. «Ecco fatto. Vado a cambiarmi. Non ci metterò
molto.»
Impiegò giusto il tempo di fare una doccia, di asciu-
gare i capelli con una salvietta e di indossare un abitino
di seta del suo rosa preferito. Non le importava che
aspetto avesse per Trent Addison, si disse fermandosi
davanti allo specchio e mettendosi il rossetto.
Quando ritornò in cucina, Trent aveva appena ver-
sato il caffè nelle tazze ed era in piedi accanto alla fine-
stra a guardare la città illuminata. La cucina non era pic-
cola, eppure lui sembrava riempirla. Possedeva un im-
patto visivo immediato che non aveva nulla a che fare
con gli attributi fisici, né con il rango o la ricchezza. Era
carisma, pensò Melly confusamente, un carisma conna-
turato, immediatamente riconoscibile quelle rare volte
che lo si incontrava.
«Lo anneghi ancora nel latte?» le disse lui interrom-
pendo i suoi pensieri.
«Sì, grazie» gli rispose invitandolo a sedersi in sog-
giorno.
«Bene, ora raccontami che cosa hai fatto da quando
ci siamo visti l’ultima volta» la sollecitò Trent dopo
aver preso una lunga sorsata di caffè.
Era di una sfacciataggine inaudita. Come poteva
avere il coraggio di guardarla negli occhi e chiederle
che cosa aveva fatto negli ultimi anni? Che cosa si
aspettava? La verità, che aveva pianto disperatamente
sul suo amore infranto, che aveva eretto alte e solide
barriere intorno al suo cuore per non dover mai più af-
frontare quello strazio insopportabile? O che altro?
Bevve un lungo sorso di caffè per guadagnare tempo
e intanto lo osservava da sotto le lunghe ciglia confron-
tando i suoi ricordi con la realtà. Sembrava più vecchio,
come se quei tre anni gli avessero succhiato un po’ della
sua giovinezza. Non era bello nel senso classico del ter-
mine. Aveva lineamenti irregolari, un arrogante naso
aquilino e una bocca larga dalle labbra sottili; no, era
tutt’altro che bello.
Ma non aveva bisogno di esserlo. Aveva stile. E,
pensò Melly osservandolo mentre si appoggiava allo
schienale della poltrona, una dose superiore alla media
di quello che Diana, sua madre, chiamava sex appeal,
una vitalità istintiva, animale, che l’austero abito scuro
non diminuiva.
Mentre lo scrutava di sottecchi si rese conto sgo-
menta che, anche se non lo amava più e certo non si sa-
rebbe più potuta fidare di lui, lo trovava ancora molto
attraente.
«Allora?» chiese lui senza nascondere il suo diverti-
mento quando la sorprese a osservarlo. «Ti sei divertita
ad andare in giro per la Riviera con l’affascinante
Diana?»
«Ho trascorso la maggior parte del tempo a Londra»
replicò lei aspra. Non aveva alcun diritto di prendere in
giro sua madre.
Naturalmente lui lo sapeva già; ma d’altra parte non
sarebbe stato difficile scoprirlo, dato che lei aveva con-
tinuato a scrivere ad Auckland a parecchie persone,
delle quali almeno un paio frequentavano gli stessi am-
bienti di Trent.
«E che cosa facevi?»
«Lavoravo nella biblioteca di una grande compa-
gnia.»
«E ti piaceva?»
«Sì» rispose lei onestamente, ma non poté trattenersi
dall’aggiungere: «Una volta abituata ad avere a che fare
con i dirigenti, però. Non rappresentano il tipo di gente
che il bibliotecario medio ha di solito come interlocu-
tori».
Lui rise. «Dovevi faticare a tenerli al loro posto,
vero?»
Lei non poté trattenere un sorriso. Trent era sempre
stato capace di farla divertire. «Gli uomini sposati erano
i peggiori.»
«Il matrimonio è spesso più simile a una camicia di
forza che al paradiso che la gente si aspetta.»
Non c’era cinismo nella sua voce, ma lei avvertì la
presenza di una forte emozione. Alzò lo sguardo a scru-
tare quel viso affascinante ma, trovandolo impassibile,
distolse nuovamente gli occhi.
Un istinto indefinito la spinse a dire a disagio: «Mi…
mi è dispiaciuto di sentire che il tuo non ha funzionato».
«Davvero?» Ora appariva sardonico. «Non avevi
l’abitudine di mentire, Melissa. Possedevi una traspa-
rente onestà. Che cosa ti spinge ora a ricorrere all’ipo-
crisia?»
La stava punzecchiando, cercava crudelmente di pro-
vocare una reazione, ma lei aveva il controllo dei suoi
nervi ormai. Gli anni che avevano reso lui più duro, ave-
vano dato a lei un maggior autocontrollo e la capacità
di nascondere le proprie emozioni.
«Immagino che sia semplicemente la maturità» disse
con un certo distacco riuscendo a esibire un sorriso.
«Chi ha detto che l’esperienza è una buona maestra ma
fa pagare conti esorbitanti?»
«Un cinico» rispose Trent piano, gli occhi strana-
mente pensosi. «Sei diventata cinica, Melissa? Per
colpa mia?»
Lei alzò la testa con un gesto orgoglioso. «No, sono
solo diventata più realistica. E non sei stato tu. L’espe-
rienza con Derek ha avviato il processo, tu hai contri-
buito per la tua parte, ma è stato il soggiorno a Londra
a farmi aprire veramente gli occhi. Accade a tutti, prima
o poi. Incluso te.»
Lui sollevò appena le sopracciglia quando, osservan-
dola, colse la sfida nei suoi occhi.
«Hai avuto molti uomini? E il fare la bella vita ti è
venuto a noia dopo un po’?»
«No e no» rispose lei senza perdere la calma. «E poi
quanti intendi per molti? Quattro? Una dozzina? Un
centinaio?»
Il suo tipico sorriso da pirata mise in mostra per un
attimo denti bianchissimi, poi sul viso gli si dipinse la
solita espressione ironica. Per un attimo finse di pen-
sarci. «Vediamo… Penso di poter escludere un centi-
naio. E anche una dozzina, che avrebbe voluto dire un
nuovo uomo ogni tre mesi. Perciò direi quattro. Di’ la
verità, è stato un lapsus freudiano. Bene, cinque è sem-
pre stato il mio numero fortunato. Io non sono supersti-
zioso, ma è stupefacente quante volte è saltato fuori
nelle mie vicende, e sempre a mio vantaggio.»
Melly corrugò le sopracciglia nere. «Non capisco di
che cosa stai parlando» disse cercando di dissimulare il
suo disagio.
«Pensavo che fosse evidente.» Senza staccarle gli oc-
chi di dosso finì il suo caffè e appoggiò la tazza sul ta-
volino accanto alla poltrona.
Rigida, lottando contro il rossore che le affluiva al
volto, lei replicò: «Allora devo essere un po’ lenta per-
ché non capisco dove tu voglia arrivare. E se vuoi scu-
sarmi, fra poco devo uscire».
«Mi dispiace, avresti dovuto dirmelo» disse lui al-
zandosi, con l’aria di non crederle affatto. Poi con arro-
gante sicurezza aggiunse: «Vorrà dire che te lo spie-
gherò meglio».
Melly aveva cominciato a raccogliere le tazze, ma
quell’affermazione e il tono in cui era stata fatta la bloc-
carono. Lentamente si raddrizzò irrigidendo le braccia
lungo i fianchi.
«No!» disse con voce aspra.
«Non vorrei che tu ti facessi l’idea sbagliata. Intendo
essere il tuo quinto amante» dichiarò Trent come se lei
non avesse parlato, e non potevano esserci dubbi sulla
determinazione della sua voce.
Da qualche parte dentro di lei, in un punto così pro-
fondo e nascosto che ne aveva dimenticato l’esistenza,
quelle parole colpirono il segno. Fu come un’esplo-
sione, più emotiva che fisica, eppure sentì il corpo in-
vaso da una specie di lento languore. Alzò lentamente
la testa e ciò che vide negli occhi di lui la fece indietreg-
giare.
«No» ripeté con voce soffocata.
«Sì» replicò lui senza fare nulla per nascondere il de-
siderio che brillava come una fiamma nei suoi occhi.
Melly avrebbe voluto ribattere con qualche frase ta-
gliente, punirlo per quella spudorata insolenza, ma si
sentì sopraffatta dall’impotenza. Come poteva impedir-
gli di comportarsi così se non riusciva nemmeno a con-
trollare le sue stesse reazioni, se il suo stesso corpo sem-
brava in balia dello sguardo magnetico di quell’uomo?
Trent sembrò rendersi conto di ciò che lei provava.
Le rivolse uno strano sorriso e, presale una mano fra le
sue, se la portò alle labbra, baciandola delicatamente.
Melly rabbrividì sentendo sulla pelle la sua bocca
calda, mentre un languido tepore si diffondeva nelle sue
membra.
«Sì» insistette lui con dolcezza. «Sono assoluta-
mente deciso. Vieni ad accompagnarmi alla porta, Me-
lissa.»
Senza lasciarle la mano la condusse in ingresso.
«Un’ultima cosa» aggiunse prima di uscire. E, pre-
sala fra le braccia, la baciò teneramente sulle labbra. Poi
se ne andò.
2

Quanto tempo fosse rimasta a fissare la porta dopo che


si era chiusa alle spalle di Trent, Melly non lo sapeva.
Dopo un po’ si portò la mano alla bocca e premette il
palmo sulle labbra mentre pensieri sconnessi l’assali-
vano.
Parla sul serio. Intende diventare il mio amante. Il
mio quinto amante!
Un sorriso molto simile a una smorfia le contorse la
bocca. Quinto! Se solo sapesse!
Non aveva avuto nessun amante, nemmeno uno,
nemmeno Derek con cui era stata fidanzata. Ma forse
ciò era da attribuire al fatto che durante tutto il suo fi-
danzamento era stata innamorata di Trent.
Il successivo tradimento di lui sembrava aver conge-
lato ogni capacità di reazione del suo corpo. Fino a quel
momento, però, grazie al quale ogni cellula era tornata
in vita di nuovo, bombardando la sua mente con impulsi
che lei non osava analizzare.
«Che nervi!» disse ad alta voce cercando di contra-
stare con la rabbia il ricordo del momento in cui le lab-
bra di Trent avevano toccato le sue e lei aveva risposto
con una deliziosa eccitazione.
Funzionò. Cinque minuti dopo era furiosa con lui, fu-
riosa con se stessa per non averlo schiaffeggiato, furiosa
con il Destino e la Coincidenza e altre entità astratte per
aver fatto sì che Rafe avesse scelto proprio quel condo-
minio fra tutti per comprare un appartamento.
Una volta a letto, lesse e rilesse la stessa frase del
libro per almeno trenta volte prima di spegnere la luce
con un gesto brusco, solo per ritrovarsi a fissare il sof-
fitto a occhi spalancati mentre le sue orecchie si tende-
vano per carpire suoni inesistenti provenienti dal piano
di sopra.
Incapace di addormentarsi, riandò tristemente alle
circostanze del primo incontro con Trent.
Lei aveva quasi vent’anni, Trent otto di più, ed era
già abbastanza noto per il suo senso degli affari nel
campo dell’elettronica. Si erano incontrati a casa di un
amico e lei era stata attratta e affascinata da lui tanto che
le era occorsa tutta la sua considerevole forza di volontà
per concentrarsi sui suoi corsi universitari.
Quando lui l’aveva invitata a uscire si era sentita tutta
eccitata e aveva apprezzato immensamente la sua com-
pagnia, dato che lui aveva la capacità di neutralizzare le
voci insistenti che lo dipingevano come un uomo peri-
coloso e troppo mondano.
Era allora che si era innamorata di lui? Non lo capiva
nemmeno ora. Probabilmente no; era ancora una ra-
gazza immatura travolta dal primo manifestarsi di una
forte attrazione sessuale.
Considerata la situazione, c’era da meravigliarsi che
fosse riuscita a passare sei esami, pensò con una punta
di orgoglio, per non dire che li aveva passati a pieni voti.
Al termine dell’anno accademico sarebbe dovuta an-
dare a Te Puriri, ma non riusciva a decidersi, sempre
più prigioniera di quell’incantesimo, finché Rafe era ve-
nuto ad Auckland.
E le aveva raccontato che anni prima era stato Trent
che aveva coinvolto Jennet in una storia con Derek che
si era conclusa con un matrimonio disastroso. A lei De-
rek era sempre piaciuto e non aveva mai capito perché
la sua sorellastra fosse fuggita da lui dopo solo otto mesi
di matrimonio.
Se fosse stata più saggia e matura avrebbe affrontato
Trent chiedendogli spiegazioni di quanto era avvenuto,
invece si era comportata scioccamente e si era rifugiata
a Te Puriri. E lì ecco Derek, bello, simpatico ed entu-
siasta di una Melly cresciuta e decisamente attraente.
Che cosa aveva provato per l’uomo con cui si era fi-
danzata? Non amore, si disse pensosa. Erano stati l’or-
goglio ferito, la rabbia e la gelosia da entrambe le parti
a provocare quell’unione. Inconsciamente Melly aveva
usato Derek per anestetizzare i suoi sentimenti verso
Trent. Il ricordo di come si era comportata la faceva an-
cora sentire stupida e meschina.
In seguito si era pentita e aveva avuto paura degli ef-
fetti della sua sventatezza. E Trent, con immensa pa-
zienza, si era adoperato per riportarla fra le sue braccia.
Prima che sua madre la portasse con sé in vacanza nel
Sud della Francia, Melly si era sentita innamorata, anzi
si era persa in lui. E i suoi sentimenti erano ricambiati,
tanto che avevano parlato seriamente di matrimonio e
persino fissato una data indicativa.
Così, quando era arrivata la lettera con la quale lui la
respingeva, quelle orribili, fredde parole avevano uc-
ciso qualcosa dentro di lei, lasciandola alla mercé dei
consigli della madre.
«Tutti devono avere il cuore spezzato una volta nella
vita» le aveva detto Diana quasi allegramente. «È come
un rito di purificazione.»
Melly si era morsa il labbro voltandosi a considerare
la bionda bellezza della madre. «Anche tu?»
«Anch’io. Mi ha insegnato a non cadere vittima di
simili dispiaceri una seconda volta.»
«E sei felice?»
Diana aveva riso. «Molto più felice che se avessi
sposato l’uomo in questione» le aveva risposto. «Cre-
dimi, Melly, l’amore dura un anno, forse due. Poi
passa.»
Melly non era stata d’accordo allora e non lo era del
tutto nemmeno adesso. La settimana che aveva appena
passato a Te Puriri con Rafe e Jennet l’aveva convinta
che per qualche persona privilegiata l’amore durava, te-
nero, forte, appassionato. Forse loro erano unici. A ogni
modo Melly aveva abbracciato il punto di vista di Diana
trovando in esso una certa consolazione e, in effetti, in
capo a un anno il dolore era quasi passato. Aveva pen-
sato che quell’irresistibile attrazione, quel coinvolgi-
mento di tutti i sensi che aveva sperimentato con Trent
fossero svaniti. Fino a quella sera.
«No!» esclamò con rabbia. Ora che sapeva di quale
cinico opportunismo lui fosse capace, era abbastanza
forte per resistere al suo sex appeal.
Lasciò vagare la mente ricordando la strana tene-
rezza che a volte manifestava, la sollecitudine che le
aveva mostrato dopo il fallimento del suo fidanza-
mento. Jennet – Melly lo sapeva – pensava che alla base
del matrimonio di Trent con Cathy Durrant ci fossero
motivi diversi dall’ambizione e dal desiderio di potere;
ma in fondo per Jennet lui era l’amico saggio che
l’aveva aiutata a venir fuori da un catastrofico matrimo-
nio con Derek.
Trent Addison era forte, duro, certo non l’uomo che
si possa costringere a fare qualcosa contro la sua vo-
lontà. Aveva una personalità piena di contraddizioni, in
cui si fondevano arroganza e gentilezza, crudeltà e te-
nerezza. Melly sapeva che, se l’avesse sottovalutato, sa-
rebbe stato a suo rischio e pericolo.
Stava considerando la possibilità di traslocare in un
altro appartamento quando finalmente cadde in un
sonno profondo.
Quando si svegliò, la mattina seguente, si accorse di
essere finalmente rilassata, dopo le ore di tensione della
notte. Dopo pranzo indossò un fresco abito di lino che
metteva in mostra le sue gambe slanciate e uscì per an-
dare a trovare una vecchia compagna di scuola che abi-
tava poco lontano.
Trascorsero un pomeriggio divertente a rievocare gli
anni della scuola e Melly si fermò a cena. Poi il marito
della sua amica l’accompagnò a casa in macchina, e
quando l’auto imboccò il vialetto del condominio, istin-
tivamente diresse lo sguardo verso l’attico di Trent; lei
notò le luci accese e per un attimo si irrigidì.
«Vuoi che salga con te?» le chiese in quell’istante il
suo accompagnatore.
Sorridendo lei scosse la testa. «No. La sorveglianza
è molto efficiente, sono perfettamente al sicuro.»
Ma lui era un cavaliere nato. «Ci vorrà un minuto, e
di sicuro Sara si aspetta che vegli su di te fino alla porta
di casa» replicò lui accompagnandola e lasciandola con
un sorriso e un augurio di buonanotte.
Piacevolmente stanca, Melly sbadigliò e si accinse a
leggere una lettera di sua madre. Lo stile era tipico di
Diana, leggero, egocentrico eppure divertente.
«Nessun uomo lo merita» aveva detto a Melly nei
giorni in cui era in preda a una profonda autocommise-
razione. «Nemmeno uno, perciò smettila di pensare che
la tua vita sia perduta per sempre. La vita è un compro-
messo, non un affare. Un giorno il dolore passerà.»
In questo aveva avuto ragione. Il dolore di aver
amato un uomo che aveva permesso all’ambizione di
prendere il posto dei sentimenti si era dissolto quasi nel
nulla.
Strano, considerò Melly ripiegando la lettera, che
non avesse mai dubitato del suo amore. Anche dopo la
traumatizzante notizia che lui la lasciava, lei era certa
che l’avesse amata e che fosse solo la prospettiva di ac-
quisire potere senza troppo sforzo a indurlo a gettare
alle ortiche la loro relazione. Il che rendeva il suo tradi-
mento ancora più grave.
Erano ancora legati in qualche modo, ma era un le-
game costituito solo da un’insopprimibile attrazione fi-
sica. L’inquietudine che non riusciva a dominare era un
sintomo che il suo corpo aveva bisogno di un uomo. Va
bene, pensò con un sorrisetto gelido, la calmerò con un
bel bagno rilassante.
Ma dopo il bagno era ancora inquieta e la prospettiva
di un’altra notte insonne la faceva rivoltare nel letto.
Doveva dormire! L’indomani sarebbe stato il primo
giorno del suo nuovo lavoro e se non si fosse riposata
sarebbe sembrata uno zombie. Uno degli svantaggi di
avere una carnagione del suo caldo colore ambrato era
che diventava gialla quando lei era stanca. E gli occhi
neri avevano bisogno di una scintilla per non sembrare
spenti e opachi. Nessuno aveva un’aria meno efficiente
di una donna alta con i capelli che le ricadevano piatti
attorno a un viso tirato.
Dormi, accidenti a te!, si disse innervosita.
Alla fine si addormentò, scivolando in quel sonno pe-
sante che rende il suono della sveglia una intollerabile
intrusione. Completamente disorientata Melly giacque
supina per qualche minuto prima di avviarsi a tentoni
verso la doccia. Poi fece colazione a base di yogurt e
frutta, ma fu solo la seconda tazza di tè che la fece sen-
tire meglio.
Era una giornata limpida e tersa con giusto la brezza
necessaria per temperare il caldo umido della stagione.
Melly si ritrovò a canticchiare fra sé mentre indossava
il completo di maglia che aveva scelto. La corta gonna
a pieghe ondeggiava maliziosamente attorno alle gambe
snelle e quando ebbe allacciato il giacchettino a doppio
petto si sentì abbastanza soddisfatta e rilassata da sorri-
dere. Nel complesso l’abbigliamento aveva un’aria
Anni Cinquanta, ma si adattava al suo fisico alto e flo-
rido. Il colore bianco la faceva sembrare un po’ pallida;
aveva appena finito di mettere fard e rossetto quando
suonò il campanello.
Oh, accidenti!, borbottò fra sé. Proprio quella mat-
tina doveva avere visite inattese! Almeno aveva una
scusa perfetta per liberarsi di chiunque fosse.
Ma la voce all’interfono era quella di Trent, brusca,
decisa e impossibile da tacitare.
«Sbrigati» le disse. «Finirai col far tardi se perdi
tempo.»
«Io… che cosa?»
«Apri questa benedetta porta!»
Spinta dalla durezza di quel comando lei eseguì, ine-
betita. Occhi color ghiaccio la valutarono con sguardo
critico.
«Molto elegante» commentò lui entrando. «Ma ora
prendi la borsa, da brava ragazza, e andiamo.»
Riprendendosi rapidamente, Melly smise di indie-
treggiare e precisò gelida: «Sono quasi pronta per an-
dare al lavoro».
«Io sono già pronto.» Fece un risolino. «Sbrigati che
ti accompagno.»
«Ma se non sai…»
«Certo che lo so.»
Immediatamente capì, e la sua espressione si fece
dura. «Era un’offerta di lavoro pilotata?»
«Non essere sciocca» replicò lui calmo. «Sono un
uomo d’affari, Melissa; tu avevi le credenziali migliori,
sei stata assunta prima che io potessi anche solo leggere
il tuo nome. Ora va’ a prendere la tua borsa, non mi
piace arrivare in ritardo.»
«Non posso presentarmi con te.»
«Perché no?» chiese lui con tono impaziente. «Io non
ho tenuto segreto il fatto che ti conosco.»
«Ma è diverso» ribatté lei con voce sconsolata, sen-
tendo che la sua fermezza stava vacillando. «Una cosa
è conoscerti, un’altra è presentarmi in ufficio il primo
giorno di lavoro in tua compagnia. E tu lo sai dannata-
mente bene!»
Senza curarsi di risponderle, lui la prese per le spalle
facendola voltare e intimandole con impazienza:
«Prendi la borsa e andiamo, per l’amor del cielo, o al-
trimenti i miei dipendenti penseranno che hai una cat-
tiva influenza su di me».
A quanto pareva, era costretta ad adeguarsi a questa
forma non richiesta di favoritismo. Prendendo la bor-
setta con gesto altezzoso, Melly dette un’ultima oc-
chiata in giro e uscì dalla porta ignorandolo.
Salirono in macchina e lui guidò senza parlare, de-
streggiandosi abilmente nel traffico dell’ora di punta.
Melly dapprincipio volse la testa verso il finestrino ma,
dopo qualche minuto, si ritrovò con sua massima irrita-
zione a gettare rapide occhiate di sottecchi all’incisivo
profilo di Trent. Lui non parve accorgersene, ma
quando la macchina imboccò l’ingresso del parcheggio
sotterraneo dell’edificio dove lei avrebbe lavorato, le
disse: «Non ho intenzione di sedurti in macchina, perciò
puoi smettere di lanciarmi quelle occhiate terrorizzate».
Che cosa poteva rispondere? Si limitò a indirizzargli
un’occhiata di fuoco, questa volta diretta, e si infuriò
ancor di più per il sorriso divertito con cui lui la ricam-
biò.
Un’ora più tardi stava considerando con un po’ di ci-
nismo che arrivare in ufficio con il capo contribuiva a
facilitare certi aspetti della vita lavorativa. Se non fosse
stata così in collera, si sarebbe probabilmente divertita
nel vedere le reazioni dei suoi colleghi. Trent la accom-
pagnò all’Ufficio Personale trattandola come se fosse la
sorellina di un vecchio amico e lei fu l’unica a notare
l’espressione maliziosa dei suoi occhi quando la lasciò.
Seccata all’idea che nel giro di mezz’ora i pettego-
lezzi, senz’altro fantasiosi, avrebbero raggiunto qual-
siasi stanza dell’edificio, Melly fu presentata alla ra-
gazza che aveva cercato di mandare avanti le cose fino
al suo arrivo.
«Ho fatto del mio meglio» le disse Susan Field. «Ma
il mio forte è l’archivio, non il lavoro di biblioteca, e il
personale continua a richiedere libri!»
Consapevole che doveva stare attenta a come si com-
portava, Melly sorrise. «Nessuno può fare più del suo
meglio, dice sempre mio fratello. Mi hai preparato una
buona base di lavoro, in ogni caso.»
Susan si rilassò e guardò Melly con curiosità. «Que-
sto tuo fratello… ti assomiglia?»
«Sì, ma è sposatissimo.»
«Peccato… Vuol dire che dovrò continuare a inse-
guire il nostro energico capo.» Susan emise un sospiro
drammatico, ma i suoi occhi non persero di vista la rea-
zione di Melly.
«E stai avendo successo?» Melly non riuscì a evitare
una nota asciutta nel formulare la domanda.
«Ahimè, no. Non mi vede nemmeno, per quanto fac-
cia. So che è un tuo amico.»
«Era compagno di scuola di mio fratello» rispose
Melly consapevole di omissione ma sforzandosi di es-
sere disinvolta. «Lo conosco da anni.»
«Un fratello molto utile» disse Susan con una punta
di invidia. «Mi piacerebbe avere un paio di amici così,
ma mi accontenterei che il nostro affascinante signor
Addison si degnasse di darmi un’occhiata. Purtroppo
gira la voce che lui non si interessi molto a noi signore.»
Susan era decisamente un po’ pettegola, ma sapeva
quando era ora di smettere. «Peccato» concluse. «Be’,
devo lasciarti, ora. Lancia un grido se hai bisogno di
aiuto.»
Alle quattro e mezzo Melly risentiva ormai in pieno
degli effetti di due notti di scarso sonno. Un messaggio
di Trent con cui le chiedeva di andare nel suo ufficio
non contribuì a migliorare il suo umore, ma decise di
obbedire. Sarebbe stato capace di metterla in una situa-
zione imbarazzante se lei avesse ignorato quella peren-
toria richiesta.
Quando giunse al suo ufficio la segretaria la informò
gentilmente che il signor Addison non avrebbe tardato,
ma passarono quasi dieci minuti prima che la sua porta
si aprisse. Vedendolo comparire, Melly gli rivolse uno
sguardo carico di risentimento, ma lui non parve accor-
gersene. «Pronta?» le chiese senza scomporsi. «An-
diamo, allora.»
Melly dovette mordersi la lingua per non dargli una
rispostaccia, ma riuscì a trattenersi. Per tutto il tragitto
in ascensore tenne gli occhi fissi a terra, decidendo che
avrebbe comprato un’auto il più presto possibile, ma-
gari di seconda mano.
«Dove ti piacerebbe andare per cena?» esordì lui non
appena la macchina si fu istradata nel traffico.
«Io non… Trent, non ti permetterò di comportarti
così con me! Non intendo venire a cena con te, né re-
carmi in ufficio con te né…»
«Venire a letto con me» si intromise lui.
«…avere niente a che fare con… Che cosa hai
detto?»
«Indovina.»
Il rossore le inondò il viso e lei si girò di scatto a
guardarlo, sentendosi avvampare. Le labbra di lui erano
atteggiate al solito sorriso di derisione e il suo profilo si
delineava arrogante contro l’azzurro del cielo.
«Non intendo tollerare queste… queste provocazioni
continue.»
«Allora, più presto mi darai quello che voglio, prima
finiranno le provocazioni.»
«Non voglio avere una relazione con te.» Melly parlò
con voce aspra e rabbiosa, scandendo ogni parola.
Trent alzò appena le sopracciglia e le diede una breve
occhiata beffarda. «Sai, hai davvero scarsa immagina-
zione. Sarebbe per te una vendetta perfetta: pensa alla
soddisfazione di assecondarmi per un po’ e poi pian-
tarmi in asso lasciandomi in preda allo sconforto.»
«Non sai nemmeno che cosa sia lo sconforto» rispose
lei sprezzante, cercando di ricacciare in un recesso della
mente l’insana idea di prenderlo in parola.
«Insegnamelo tu, allora.»
Per un attimo Melly si trastullò con quella fantasti-
cheria, ma si rese subito conto che avrebbe significato
lasciargli la scelta delle armi in una battaglia in cui lui
sarebbe stato quasi sicuramente il vincitore.
«Non essere idiota» si affrettò a rispondergli con
tono di scherno, per non fargli capire fino a che punto
la proposta la tentasse. «E comunque stasera esco con
qualcuno.»
«Dovresti smetterla di dire bugie. Sei troppo coscien-
ziosa per aver programmato di uscire la sera del tuo
primo giorno di lavoro. Scommetto che hai deciso di
andare a correre per un po’, farti un lungo bagno e an-
dare a letto presto, così da essere fresca e riposata do-
mani mattina.»
Lei quasi digrignò i denti nel constatare con quanta
facilità lui riuscisse a indovinare le sue intenzioni, ma
poi fece appello al suo autocontrollo. «Ed è esattamente
quello che intendo fare.»
«Dopo aver cenato» aggiunse lui infischiandosene
allegramente della sua rabbia. «Con me.»
«Io non voglio cenare con te!»
«Tuttavia…»
Melly dovette fare uno sforzo per non colpirlo, per
nulla aiutata dall’occhiata falsamente patetica che lui le
rivolse.
«Accontentami almeno in questo» disse Trent dolce-
mente mentre la macchina entrava nel parcheggio del
condominio.
La sua gentilezza fece breccia là dove l’arroganza
non era riuscita. Melly deglutì, notando senza volerlo le
rughe profonde che solcavano il volto di lui. Non era la
sola a essere stanca.
Per nascondere quell’involontario slancio di tene-
rezza gli chiese acida: «Fare il magnate dell’industria
non ti diverte come pensavi, Trent?».
Il motore si spense. Nella penombra del garage lui la
guardò pensieroso.
«Se mi diverte? Sì, direi di sì. È un lavoro duro e a
volte sono stanco, ma non è nulla in confronto agli inizi.
Sono finalmente riuscito a ingranare con l’attività e ho
dei collaboratori in gamba, così posso delegare il più
possibile.»
Interessata suo malgrado, Melly chiese: «Sir Peter
aveva lasciato la compagnia in uno stato così disastroso,
allora?».
Lui socchiuse per un attimo gli occhi. «Temo di sì. È
voluto andare avanti più di quanto avrebbe dovuto.
Forse, se avesse avuto un figlio… ma il papà di Cathy
morì quando lei aveva solo due anni.» Alzò le spalle in
un gesto di impotenza. «Penso che sia stato allora che
Sir Peter perse ogni interesse.»
Ora la stava scrutando da vicino, certo per vedere
come reagiva al nome della sua ex moglie. Lei si irri-
gidì. A colpirla era soprattutto il modo casuale con cui
lui ne parlava, come se Cathy Durrant non avesse signi-
ficato nulla per lui. Nessuna emozione per la donna che
aveva condiviso il suo nome e il suo letto, niente, né
rabbia o dolore o affetto o irritazione.
Melly si sentì gelare. Se Trent gliel’avesse detto
esplicitamente, non sarebbe potuto essere più chiaro sul
fatto che il suo breve matrimonio era stato solo un espe-
diente. Una volta ottenuto il controllo delle proprietà di
Sir Peter, il divorzio era stato immediato.
E questo era l’uomo che lei aveva imparato ad amare,
per cui aveva pianto disperata e a cui aveva permesso di
cambiare la sua vita! Gli ultimi anni erano stati segnati
dal suo rifiuto nei confronti degli uomini, di qualunque
uomo cercasse di avvicinarlesi troppo. Vigliaccamente
aveva evitato tutto ciò che avrebbe potuto arrecarle do-
lore.
Ora, affranta, si rendeva conto di quanto tutto fosse
stato inutile. Lui, semplicemente, non lo meritava. Non
si vergognava nemmeno di quel che aveva fatto; il suo
viso era rilassato, quasi divertito, e gli occhi la guarda-
vano senza turbamento.
Che cosa si aspettava da lei? Debolezza? L’ammis-
sione che si sentiva ancora attratta dalla sua prorom-
pente virilità? Perché anche questo era vero. Anche in
quel momento lei sentiva risvegliarsi impulsi e sensa-
zioni che aveva a lungo represso. Lentamente alzò lo
sguardo. Sapeva che Trent si aspettava che lei facesse o
dicesse qualcosa… Ma tenne chiusa la bocca e distolse
lo sguardo, rifiutando di concedergli qualsiasi cosa si
aspettasse.
«Andiamo» disse lui brusco, come se l’avesse de-
luso; la mano che l’aveva presa per il gomito le fece
quasi male quando la spinse nell’ascensore.
Al pianoterra l’ascensore si fermò e una graziosa
biondina entrò rivolgendo un sorriso di circostanza a
Melissa e uno molto più caloroso a Trent il quale, con
somma irritazione di Melly, lo ricambiò con palese ap-
prezzamento.
È quasi certamente tinta, pensò lei scrutando mali-
gnamente la bionda sconosciuta e accorgendosi troppo
tardi che lui l’aveva sorpresa a fissarli.
Quando, dopo un ultimo sguardo di seduzione, la
donna uscì dall’ascensore, Trent osservò, in tono appa-
rentemente neutro: «Come sei permalosa, Melissa».
Solo questo, ma il sarcasmo nella sua voce la fece
fremere di risentimento.
«Se è così, perché non ti cerchi un’altra compagnia
per la serata?» lo apostrofò piccata. «Dopotutto, le per-
sone permalose difficilmente riescono a essere diver-
tenti.»
«Può darsi, ma non intendo cambiare programma.
Non mi aspetto che tu risulti divertente, stasera».
L’ascensore fece il suo ting di avvertimento e, non
appena si fermò, le porte si aprirono.
La mano di Trent spinse Melly verso un ampio vesti-
bolo; la sua voce era quasi un sussurro mentre le diceva:
«No, non divertente, bensì stimolante, aggressiva, per-
sino eccitante, ma il divertimento non è quello che
avevo in mente».
Doveva essere il giorno delle confessioni, pensò
Melly furiosa mentre prendeva atto di quell’osserva-
zione. Ovviamente si stava accertando che non avesse
illusioni riguardo ai suoi programmi per lei. Nessun ac-
cenno all’amore o al matrimonio, nulla di così banale.
Non voleva nulla da lei se non la soddisfazione di
quell’appetito sessuale che il suo corpo giovane e at-
traente aveva risvegliato in lui. Era tutto ciò che provava
per lei, tutto ciò che era rimasto del tenero amore che
avevano una volta condiviso.
3

Il suo appartamento era bellissimo, non il freddo posto


ultramoderno che si era inconsciamente aspettata, ma
un armonioso insieme di tappeti, pavimenti in traver-
tino, divani e sedie italiani, arricchito da una originale
combinazione di dipinti, sculture e piante.
«Sono lieto che ti piaccia» disse Trent dolcemente.
«Hai l’aria di sentirti a casa tua.»
«E a chi non piacerebbe?» proruppe lei sollevando
gli occhi con aria estasiata. «È… splendido, sono certa
che te l’hanno detto centinaia di volte.»
«Non così spesso» replicò lui rispondendo con un
sorriso al suo sguardo stupito. «Io tengo molto alla mia
privacy, Melissa. È poca la gente che viene invitata
qui.»
Per qualche strano motivo lei trattenne la pungente
risposta che aveva sulla punta della lingua. Per quanto
fosse irritata, una forma di istintiva prudenza le suggerì
di tacere.
«Bevi qualcosa?» le chiese Trent.
Lei fece un gesto di diniego distogliendo lo sguardo
dal meraviglioso arazzo che stava osservando. «No,
grazie. Vorrei fare una doccia e cambiarmi.»
«Fra dieci minuti ti accompagnerò a casa tua. Intanto
esci sulla terrazza e dai un’occhiata al panorama.»
La terrazza era in realtà un favoloso giardino pensile
con una piscina e aiuole verdeggianti di piante che
erano state accuratamente scelte per sopportare il vento
e il sole diretto, come le protee del Sud Africa, alcuni
resistenti arbusti australiani e qualche albero tipico della
Nuova Zelanda, e che offrivano all’occhio uno spetta-
colo rasserenante.
Come l’appartamento, anche il giardino recava l’im-
pronta della personalità del suo proprietario.
Passeggiando Melly si ritrovò sotto un pergolato for-
mato da rigogliose piante di gelsomino i cui boccioli
erano quasi sul punto di schiudersi e diffondere nell’aria
circostante il loro dolce profumo. Entro una settimana,
dieci giorni forse, quell’angolo sarebbe stato come un
piccolo paradiso terrestre, e Melly si sedette pensando
per un attimo a come sarebbe stato bello poter condivi-
dere quelle sensazioni con la persona amata.
Tre anni erano molti per continuare ad aggrapparsi ai
ricordi di una storia d’amore. Aveva lavorato sodo per
uccidere il sentimento che era nato in lei e ci era riuscita.
Trent aveva fatto lo stesso? Quasi certamente. Era
troppo cinico per aver mantenuto in vita per tutto quel
tempo un amore che lui per primo aveva così crudel-
mente tradito. Lentamente, pesantemente, alzò la testa,
le tempie e la fronte incorniciate dai riccioli neri. Lui la
stava osservando con un’espressione remota e imper-
scrutabile, come se stesse guardando qualcosa di irrag-
giungibile, un sogno irrealizzabile.
E nella mente di Melly si fece strada un ricordo del
passato, dei giorni del suo fidanzamento con Derek;
senza volerlo aveva sorpreso Jennet e Rafe che si bacia-
vano vicino alla piscina a Te Puriri, prima ancora che si
dichiarassero esplicitamente il loro amore, e le era ba-
stato uno sguardo per capire che erano fatti l’uno per
l’altro. Aveva provato un’invidia profonda, lacerante,
perché si era resa conto di non aver mai conosciuto una
tale passione.
Molto tempo dopo, fra le braccia di Trent, aveva cre-
duto che anche per lei stesse per avverarsi un simile so-
gno d’amore, sebbene lui avesse manifestato una grande
tenerezza piuttosto che la selvaggia passione che lei
aveva visto quel giorno a Te Puriri. Ma ora, pensò con
il cuore che le batteva irregolarmente, ora che la credeva
una donna dalle molte esperienze, come l’avrebbe ba-
ciata? Come l’avrebbe amata, ora?
Lui si stava avvicinando con l’eleganza che lo distin-
gueva, agile, forte, come animato da una fredda deter-
minazione. Melly rimase quietamente seduta mentre il
sangue le scorreva nelle vene come un torrente impe-
tuoso.
«Stanca?» le chiese lui porgendole la mano.
Lei la prese e lui l’attirò fra le braccia trattenendola
per un attimo contro il suo corpo, poi le passò affettuo-
samente un braccio attorno alle spalle e la condusse len-
tamente verso casa.
«Un po’. Il primo giorno di un nuovo lavoro è sempre
stressante.»
Piccoli brividi di piacere le correvano per il corpo. Il
braccio di Trent era pesante e lei poteva sentirne il ca-
lore attraverso la seta leggera della camicia.
«Trent?»
«Sì?»
Lei si fermò e lo guardò con occhi guardinghi.
«Se ti chiedessi di lasciarmi stare, lo faresti?»
I lineamenti del suo volto parvero indurirsi, mentre
le palpebre si riducevano a due fessure.
«Buon tentativo, Melissa, ma la risposta è no.»
«Perché?»
«Perché ti voglio» le rispose con fredda arroganza.
Melly aprì la bocca, ma prima che potesse protestare,
lui continuò: «E perché tu vuoi me, mia cara. Se così
non fosse, non ti saresti spaventata al punto da rivol-
germi quella patetica implorazione».
«Oh, io ti voglio, sì.» Inguaribilmente sincera, non
cercò nemmeno di trattenere quell’amara ammissione.
«Ma non posso, non intendo saltare nel tuo letto sui due
piedi.»
La deliberata crudezza di quelle parole lo fece ridere
piano mentre la stretta del suo braccio si faceva più
forte.
«Credo che tu mi stia chiedendo di farti la corte» le
disse mentre l’attirava ancora più vicino. «Pensi vera-
mente che io sia così rozzo da accontentarmi di una cosa
del genere? Sono affranto. Hai davvero una pessima
opinione di me. Certo che intendo corteggiarti.» La
mano di Trent scivolò lungo la sua gola costringendola
a sollevare il viso che avvampava di rossore. Gli occhi
di Melly si dilatarono vedendo il volto di lui avvicinarsi,
sentendo il suo alito dolce e caldo sulla pelle sensibile.
«Così…» La voce di lui era roca mentre si chinava a
baciarle le palpebre abbassate. «Così…» ripeté sfioran-
dole gli zigomi e i lobi delle orecchie. «Così…»
Come inebetita, il corpo scosso da ondate di piacere,
Melly emise un suono indistinto che somigliava perico-
losamente a una preghiera.
«Presto» le promise lui trattenendo il respiro. «Molto
presto, non appena avrai imparato a fidarti di me.»
Melly era troppo presa dall’incalzare tumultuoso di
sensazioni mai provate prima per afferrare il senso di
quelle parole. Non voglio questo, gridava il suo cer-
vello, ma sebbene le sue labbra si muovessero non ne
usciva alcun suono.
La bocca di lui sfiorò la sua, baciando dapprima gli
angoli, poi la curva piena delle labbra. Lievi baci sedu-
centi che la eccitarono senza soddisfare la fame che an-
dava crescendo dentro di lei. Si sentiva come ubriaca,
con la mente obnubilata dal desiderio, la pelle infiam-
mata, il cuore in subbuglio.
Le braccia di Trent la stringevano vigorosamente, ma
lui la trattava con tenerezza, come se fosse stata una
bambina, continuando a sfiorarle la bocca ma ignorando
il suo desiderio di qualcosa di più. Una sorta di rabbia,
mescolata alla passione che lui le aveva suscitato, le
corse per le vene come una fiamma e lei si mosse inten-
zionalmente, premendo il bacino contro quello di lui.
Gli infilò le mani fra i capelli e, incurante delle possibili
conseguenze, cominciò a baciarlo a sua volta, solo de-
siderosa di liberare in lui il desiderio che sapeva celato
sotto la maschera di autocontrollo.
Per un lungo istante temette di aver fallito. Il calore
in lei cominciò a raffreddarsi e un senso di vergogna e
di panico aveva cominciato a invaderla, quando, con un
gemito soffocato, lui si impossessò con impeto delle sue
labbra, costringendole ad aprirsi a un bacio dall’ardore
selvaggio.
Dopo un tempo che le sembrò lunghissimo, lui sol-
levò la testa, mormorando parole che sembravano sgra-
devolmente simili a delle scuse. Lentamente, languida-
mente, Melly sollevò le palpebre, fissandolo per un at-
timo con pupille dilatate per l’eccitazione. Poi tornò a
stringersi a lui, la sua bocca dischiusa in un invito che
per un momento lui sembrò accogliere.
«No» disse invece Trent con voce rotta.
Fu come se l’avesse rifiutata di nuovo, solo che la
prima volta l’aveva fatto con poche fredde parole su un
pezzo di carta, mentre ora era lì, una presenza concreta,
così vicina da riempirle gli occhi. Melly si sentì gelare.
«Cosa?» disse stupidamente, perché sapeva benis-
simo che cosa lui volesse dire.
«No» ripeté lui quasi calmo scuotendo la testa men-
tre il suo respiro cominciava a farsi normale.
Melly ebbe come un senso di nausea. «E allora che
cosa significa tutto questo?» gli chiese odiandolo.
«Non hai sentito quel che ti ho detto prima che ci ba-
ciassimo?» Quando lei lo fissò con sguardo interroga-
tivo Trent sorrise e ripeté parole che lei riconobbe, pur
essendo certa di non averle sentite prima. «Ti ho detto
che prima fra noi deve instaurarsi la fiducia. Non ho in-
tenzione di averti finché non ti fiderai nuovamente di
me.»
Fu come essere colpita in pieno viso da una manciata
di sassi, ma Melly riuscì a nascondere il suo stato
d’animo dietro un sorriso amaro.
«Starai scherzando» gli disse sbrigativa voltando la
testa per impedire che quegli occhi chiari le frugassero
nell’anima.
«Non sono mai stato più serio, te l’assicuro.»
Melly si morse un labbro cercando di pensare. Alla
fine, furiosa perché le tremava la voce, disse: «Sapevi
quel che facevi quando hai sposato la signorina Durrant.
Puoi darmi una buona ragione perché io dovrei fidarmi
ancora di te?».
«Solo che mi ami.»
Lei scosse la testa violentemente per eliminare il ron-
zio che le aveva invaso le orecchie. «Mi dispiace, non
sono d’accordo. Non ti amo e non mi fido di te. Tutto
ciò che è rimasto fra noi è quel che ha provocato la pic-
cola esplosione di poco fa: attrazione sessuale.»
Lui corrugò le sopracciglia. «Chiamala pure attra-
zione sessuale, non riuscirai a svalutare così facilmente
la passione. Quando ti deciderai ad ammettere che mi
ami, ti mostrerò esattamente che cos’è che ha reso così
ardente la tua risposta pochi minuti fa.»
Lei si ritrasse di scatto facendo ondeggiare i riccioli
neri e sollevando orgogliosamente la testa. «Le tue con-
quiste devono averti dato alla testa, temo» gli disse con
voce glaciale. «Mi dispiace se il credere che io abbia
passato gli ultimi tre anni a spasimare per qualcosa che
solo tu puoi darmi, solletica la tua mostruosa vanità, ma
la realtà è molto diversa. Ti ho dimenticato abbastanza
facilmente, così come ho dimenticato facilmente Derek,
così come dimenticherò facilmente qualsiasi uomo cui
sarò così stupida da permettere di venirmi troppo vi-
cino. Non ti amo. Ti voglio, il che è piuttosto diffe-
rente.»
«Davvero?» Trent sorrise cupo. «Per me, mia cara
ragazza, le due cose sono inestricabilmente collegate.»
«Oh, certo.»
Lui rispose alla sua battuta sprezzante posandole una
mano sulle spalle e facendola voltare. Per un istante si
fissarono senza che nessuno dei due abbassasse gli oc-
chi, poi lui allentò la stretta della mano e, quando parlò,
il suo tono era scherzoso. «Ora andiamo. Se non posso
soddisfare un certo appetito, gradirei soddisfarne un al-
tro.»
«Non intendo venire a cena con te» rispose lei capar-
bia.
«Certo che ci verrai.»
Quello fu tutto. Lei si voltò obbediente e si avviò alla
porta d’ingresso, consapevole che lui le aveva ancora
una volta tolto l’iniziativa.
Trent aspettò mentre lei faceva la doccia e indossava
una gonna nera con un piccolo spacco e una camicetta
rossa in seta. Una cintura nera sottolineava la sua vita
sottile e un paio di sandali scarlatti dal tacco alto abbi-
nati a una pochette dello stesso colore davano un tocco
di eleganza al semplice insieme. Possedeva vestiti
molto più lussuosi nel suo guardaroba, ma non aveva
intenzione – si disse mentre si passava il rossetto sulle
labbra – di mettersi in tiro per lui.
Ciononostante l’abbigliamento che aveva scelto le
donava e, sebbene Trent avesse l’irritante capacità di
nascondere le sue emozioni, lei non poté fare a meno di
provare una maligna soddisfazione per lo sguardo di ap-
prezzamento con cui lui accolse il suo arrivo.
«Non prendi una giacca?» le chiese gentilmente.
«No. Non credo che rinfrescherà molto e poi non in-
tendo fare tardi.»
«Neanch’io» rispose lui restituendole il sorriso iro-
nico. «I capitani d’industria hanno bisogno di molto
sonno. Mandare avanti un impero economico è stres-
sante.»
Melly si era già avviata alla porta, ma a quelle parole
si arrestò e scrutò il suo volto impassibile. «Non voglio
sentir parlare del tuo impero economico» gli disse con
amarezza.
«Mi dispiace» le rispose, ma non era vero. «Ma starai
a sentire ogni volta che avrò voglia di parlarne. C’è, e
io non intendo fingere che non esista.»
E suppongo che dovrò sentir nominare in continua-
zione Cathy Durrant, pensò Melly, ma non ebbe il co-
raggio di dirlo. «Pretendi troppo» replicò invece.
Nel frattempo, avevano raggiunto la porta e Trent si
arrestò fissandola con occhi fieri, quasi selvaggi. «Io
pretendo tutto» le disse aspro. «E intendo averlo. Pre-
tendo ciò che è mio.»
«Hai rinunciato…»
«Tu appartieni a me, mi sei sempre appartenuta. Ho
aspettato a lungo, abbiamo avuto molte deviazioni
lungo il percorso, ma questa volta accadrà.» La fece
voltare prendendole il viso fra le mani, con negli occhi
una determinazione inesorabile. «E non mi acconten-
terò di una semplice avventura, Melly; tu mi sposerai e
mi darai tutta quella passione che hai sprecato per altri.
E di più. Non sarò soddisfatto finché non confesserai
che mi ami.»
La rabbia le alterò i lineamenti e le indurì la voce.
«Se è così, starai fresco fino al giorno della tua morte,
perché dovrai aspettare fino ad allora.»
Un fuoco cupo le brillava nello sguardo mentre l’ira
e il dolore insieme l’aiutavano a nascondere le lacrime
che le annebbiavano gli occhi. Le mani di lui tremarono.
Un secondo dopo era libera e lo fissava nel viso compo-
sto in una gelida maschera.
«Non abbiamo sprecato abbastanza tempo?» le disse
lui a denti stretti. «Anni e anni, tutti grigi, tutti soppor-
tabili solo perché c’era così tanto da fare che potevo
confinarti in un recesso della mente…»
«Taci!» Non poteva sopportarlo, non poteva stare lì
a sentirlo dire menzogne o peggio, la verità. Di scatto si
voltò, il corpo rigido per la tensione. Con uno sforzo
riuscì a controllare la voce abbastanza per dire: «Non
dovremmo andare?».
Era una sorta di resa, ma era preferibile all’essere co-
stretta a sentir descrivere gli effetti del suo tradimento.
Perché lui parlava sul serio, c’era una intensità insolita
nella sua voce che non poteva essere fraintesa.
«Naturalmente» rispose Trent con voce piatta, come
se anche lui fosse stato scosso dalla sua momentanea
perdita di autocontrollo.
Il ristorante era un localino discreto sul lungomare di
Devonport, il sobborgo sorto intorno al porto di Auc-
kland. Dava sul Waitemata Harbour, con le sue acque
verdi e brillanti, e serviva dell’ottimo pesce.
Mentre mangiavano, Melly si ritrovò a seguire
l’esempio di lui e a parlare in modo educato e disin-
volto; osservava gli yacht che rientravano a riva mentre
fuori il cielo si tingeva dei colori della sera e di tanto in
tanto gli rivolgeva qualche domanda. Trent faceva vela
una volta, su una imbarcazione snella e leggera costruita
in funzione della velocità, ma anni prima l’aveva ven-
duta, le disse, e lei poté cogliere una nota di rimpianto
nella sua voce.
Decisa a non ammettere sentimentalismi lo guardò
ironica. «Uno degli svantaggi della posizione, Trent?»
«Purtroppo, sì.»
«Ma sono certa che i vantaggi sono ben superiori.»
«Davvero? Che cosa sai del mio mondo, Melissa?»
Melly bevve un sorso di vino per prendere tempo.
«So che la ricerca del potere corrompe come il potere
stesso.»
Lui le rivolse un sorriso duro. «Ho paura che tu abbia
ragione» ammise. «Che cosa pensi che accadrebbe se le
proprietà Durrant finissero nelle mani sbagliate?»
Lei fece spallucce. «Non capisco che cosa c’entri.»
«Molta gente perderebbe il lavoro» disse lui. «Que-
sta sarebbe la conseguenza finale. Niente profitti, niente
posti di lavoro. Hai idea di quante persone lavorino per
le compagnie che io controllo?» Melly scosse la testa e
lui glielo disse, facendole spalancare gli occhi per la
sorpresa. «E tu sei una di loro» aggiunse. «Ora, tu sei
una di quelle fortunate creature che potrebbero fare a
meno di lavorare, disponendo di un reddito più che suf-
ficiente a mantenerle, ma la maggior parte della gente
che lavora per me ha un disperato bisogno del suo im-
piego, specie ora che attraversiamo un periodo di reces-
sione.»
Lei capì quel che lui stava cercando di fare e la sua
espressione si indurì.
«E tu hai ritenuto di essere l’uomo più adatto a se-
guire gli interessi di Sir Peter?» gli chiese con lieve sar-
casmo.
«Era alla mercé dei profittatori. Accidenti, Melissa,
un anno prima della sua morte, già gli avvoltoi volteg-
giavano sulla sua testa.»
Melly cercò di nascondere l’emozione che le faceva
tremare le mani. «E Cathy Durrant era inclusa nel for-
fait?»
Trent le rispose con il solito tono arrogante, ma lei si
rese conto che stava scegliendo con cura le parole. «Non
posso parlare di questo con te. Se vuoi sapere qualcosa
del nostro matrimonio, chiedilo a lei.»
Lei lo fissò stupita per qualche secondo. «Non ho
nessuna intenzione di parlare del tuo matrimonio con
chicchessia» ribatté stizzita. «Mai. Penso sia ora di an-
dare.»
«Molto bene, allora» rispose lui trasalendo impercet-
tibilmente.
Paradossalmente Melly provò un moto di rabbia
verso se stessa. Era così sensibile a tutto quel che lo ri-
guardava, così conscia di ogni minima alterazione della
sua espressione, il minimo inarcarsi delle sopracciglia,
il guizzo di un muscolo all’angolo della bocca, come se
avesse assorbito e interiorizzato ogni dettaglio. Lo co-
nosceva come se avessero passato insieme anni e anni.
E sapeva che stava soffrendo. Con una sorta di ansia in-
sistette: «Trent, voglio andare a casa».
Rimasero in silenzio durante il tragitto del ritorno.
Melly teneva la testa voltata verso il finestrino ammo-
nendosi a non abbassare la guardia e chiedendosi se lui
l’avrebbe baciata una volta arrivati.
Il pensiero bastò a farle formicolare la pelle e lei re-
presse con forza quella segreta manifestazione di ecci-
tazione. Sarebbe stato facile lasciarsi andare e scivolare
a poco a poco nell’abitudine di desiderarlo, di amarlo.
Ricordati di Cathy Durrant, si disse amara. Sacrifi-
cata a un matrimonio senza amore e lasciata brutal-
mente non appena non c’era stato più bisogno di lei.
Persa nei suoi pensieri, trasalì quando lui spense il
motore della macchina.
«Eccoci a casa» disse Trent.
«Casa mia è Te Puriri» replicò lei con una vocina
distante.
Lui sorrise provocatorio. «Ah, sì, con il tuo fratel-
lone. Non gli piaccio molto, temo. Ci incontriamo in so-
cietà, di tanto in tanto, e lui mi guarda come se ce
l’avesse con me. Non ho mai capito se è perché ti ho
lasciata o se è che ancora si domanda se io non abbia
conosciuto Jennet un po’ troppo bene ai tempi in cui mi
sono intromesso nel suo matrimonio.»
«Che bestialità! Lui ama Jennet e sa bene, come me
del resto, che voi non avete… non eravate…»
«Amanti?» Lui pronunciò la parola con un tono bef-
fardo che la fece infuriare ma, prima che lei potesse in-
tervenire, proseguì: «In effetti non lo eravamo. Ma sia
tu sia Rafe pensavate il contrario, vero?».
Lei si torse le mani, poi parlò piano. «Rafe diceva…
sì, pensavo che lo foste.»
«E l’idea ti disgustava.»
«La detestavo!» esclamò lei con forza senza curarsi
di ciò che quella reazione emotiva poteva rivelare.
«Così come detestavi il pensiero che Cathy fosse mia
moglie.»
Ma Melly aveva ripreso il controllo. «Non mi inte-
ressa più» replicò con voce glaciale. «Se provo qualcosa
è pietà per una ragazza – aveva solo diciotto anni, no?
– che è stata barattata per un accordo commerciale. E
disprezzo per i due uomini che hanno fatto l’affare.»
«Davvero?» disse lui fissandola con un sorriso cru-
dele che la indusse a ritrarsi istintivamente. Lui appa-
riva… spaventoso, in preda a un’emozione che andava
al di là della furia. Slacciò entrambe le cinture di sicu-
rezza e poi con il dito affusolato tracciò il suo profilo
dalla scollatura della camicetta alla punta del mento.
«Mi disprezzi?» le fece eco. «Mi dispiace per te, perché,
disprezzo o no, odio o no, tu mi appartieni. E mi sei
sempre appartenuta. Preferirei che tu accettassi il fatto
con un minimo di compiacenza, non amo ferirti. Ma se
dovrò farlo lo farò, non intendo lasciarti andare. Tu mi
appartieni nel più primitivo dei modi. Sei la mia donna.
E io sono il tuo uomo. Lo sai anche tu, altrimenti non
saresti tornata a casa.»
La sua espressione implacabile spaventò Melly, che,
incapace di muoversi, lo guardò piegarsi su di lei e sfio-
rarle la bocca con le labbra.
Il più breve dei baci, la più lieve pressione, ma basta-
rono perché lei si sentisse come marchiata, soggiogata
dalla sua volontà.
Quando lui alzò la testa, lei si abbandonò contro lo
schienale, scossa, lottando per nascondere la paura e la
disperazione.
Trent non parve accorgersene. Scese dalla macchina
e le aprì la portiera, porgendole una mano che lei prese
senza osare guardarlo in faccia.
Alla porta del suo appartamento la salutò gentil-
mente. «Buonanotte, Melissa. Ci vediamo domani.»
In un estremo tentativo di ribellione, lei replicò:
«Sono perfettamente in grado di recarmi al lavoro da
sola, grazie».
«Lo so, ma voglio che tutti abbiano ben chiaro che tu
vieni con me.»
Lei arrossì. «Sai bene che genere di pettegolezzi pro-
vocheremo.»
«Temo che non mi interessino affatto» rispose lui ri-
cambiando con suprema indifferenza il suo sguardo ac-
cusatorio. «E poi perché dovrebbero preoccuparti? Pre-
sto sarà tutto vero.»
Lei reagì con violenza. «Non puoi costringermi a ve-
nire a letto con te!»
«Dolcezza, potrei entrare in casa tua e in capo a dieci
minuti mi imploreresti di prenderti. Ma non è questo che
voglio.» I suoi occhi chiari brillarono attraverso le lun-
ghe ciglia mentre diceva in un sussurro: «Voglio una
resa totale, Melissa, il mio anello al tuo dito e tu legata
a me con ogni possibile legame. Allora scoprirò quanta
passione brucia sotto quella fredda apparenza».
Melly lo guardò nuovamente spaventata. «Tu… tu
sembri odiarmi» balbettò.
«A volte penso che sia così» rispose lui con delibe-
rata franchezza. «Ma non abbastanza da lasciarti libera.
Mi hai tenuto avvinto troppo a lungo, ormai ho imparato
ad amare le mie catene. Quando tu sarai legata a me
come io lo sono a te, quando avrai imparato ad amare
questa prigione che abbiamo costruito l’uno per l’altro,
allora ti sposerò.»
Lei si volse senza rispondere, ancora incapace di
comprendere che cosa intendesse dire. Ma alle sue
spalle lui la richiamò.
«Melissa.»
Si bloccò senza rispondere, la sua slanciata figura te-
nuta su solo dalla forza di volontà.
«Non stare sveglia a rimuginare» la esortò. «E non
cercare di sfuggirmi. Ti seguirei all’inferno.»
«Ma non sei riuscito a venire fino a Londra» replicò
lei con un tono che tradiva tutta la sua amarezza.
«Il divorzio è appena stato ufficializzato. Tu lo sa-
pevi, ed è per questo che non sei tornata prima.»
Lei si voltò squadrandolo indignata. «Di che cosa nu-
tri il tuo ego, di bistecche?» gli disse sarcastica. «Io non
sapevo…»
«Menti pure a te stessa, non a me. Ora va’ a dormire,
sembri esausta.»
4

Melly era davvero esausta, ma impiegò molto tempo per


addormentarsi, perseguitata com’era da brani della con-
versazione di quella sera che si accavallavano nella sua
mente stanca. Quando ci riuscì, cadde in un sonno così
profondo che la sveglia esaurì la carica prima che lei
riuscisse a destarsi completamente, ragion per cui lei
dovette precipitarsi giù dal letto con la testa pesante e
troppo poco tempo per prepararsi.
Per fortuna, aveva riempito il frigo di yogurt che le
risparmiarono di preparare la colazione, ma rimpianse
di non aver tempo per un tonificante caffè.
La voce di Trent la fece voltare di scatto.
«Cos’è quella roba rivoltante che stai mangiando?»
le domandò comparendo sulla soglia della cucina.
«Yogurt.» Lei ricambiò la sua espressione divertita
con un’occhiataccia. «Come sei entrato? Come osi com-
portarti come se fossi a casa tua?»
«C’è molto poco che non oserei» rispose lui pensie-
roso. «Quella non è una colazione adatta a una donna
che lavora!»
«A me piace!»
«Ah, beh, immagino che dovrò farne una provvista.»
Melly non si lasciò sviare. «Ti ho chiesto che cosa ci
fai qui!»
«Mi accerto che tu sia pronta.»
«Come sei entrato?»
Lui corrugò le sopracciglia. «Tu, mia cara, eri così
stanca ieri sera che non ti sei preoccupata di chiudere a
chiave la porta. Non è stata una buona idea. Cerca di
ricordartene se non vuoi che io sgattaioli qui dentro a
mio piacimento.»
«Oh, lo farò, credimi.»

Per fortuna, quel giorno il lavoro la tenne troppo oc-


cupata per pensare. Durante la pausa di mezzogiorno,
che lei passò nel parco di fronte all’ufficio, fu raggiunta
da Susan Field, gli occhi vivi di interesse, e si preparò
mentalmente a una sorta di inchiesta.
«Come vanno le cose?» chiese Susan desiderosa di
chiacchierare, mentre adocchiava il panino di Melly
come se anche quello la incuriosisse.
«Be’, ho abbastanza lavoro per tenermi impegnata
per tutto il prossimo mese, e questo se nessuno frequen-
terà la biblioteca.»
Susan sorrise. «Oh, la frequenteranno» disse con
l’aria di chi la sa lunga. «È il progetto che più sta a cuore
al signor Addison.» Parlava con toni scherzosamente
drammatici, roteando gli occhi, ma moriva dalla curio-
sità e si vedeva.
«Vorrei che mi avesse dato il tempo di mettermi in
pari» brontolò Melly finendo l’ultimo boccone del suo
panino.
«Il signor Addison? Starai scherzando. Lui è del tipo:
Chi ha tempo non aspetti tempo» la informò Susan.
«Quando dice ora, intende dire ieri. E la settimana pros-
sima, significa tra cinque minuti. Almeno così dicono»
disse senza apparire per nulla irrispettosa.
Melly provò una certa simpatia per lei. «Ti credo»
sospirò. «Mio fratello è fatto allo stesso modo. Quando
gli viene in mente una cosa, scalpita per vederla realiz-
zata. Il bello è che ci riesce sempre.»
Susan sorrise incuriosita. «Sembra proprio un tipo
interessante. Che cosa fa?»
Fu piacevole sedere al sole e raccontare a Susan di
Te Puriri mentre le ragazze passeggiavano davanti a
loro nei loro freschi abiti estivi dai colori pastello. A di-
stanza era come se i fiori delle aiuole si fossero riversati
nelle strade e nell’aria si avvertiva l’eccitazione per le
imminenti feste natalizie.
Alla fine Melly, sebbene riluttante, disse: «Be’, sup-
pongo che faremmo meglio a tornare al lavoro».
Susan fu d’accordo e lentamente si avviarono cam-
minando all’ombra di enormi alberi, vecchi come Auc-
kland, piantati dai primi colonizzatori per alleviare la
nostalgia di casa.
Passando davanti a un teatro Melly volse la testa per
leggere la locandina. Davano un’opera di Tom Stoppard
che non aveva ancora visto.
«Stiamo combinando per andarci venerdì sera. Ti va
di unirti a noi?» propose Susan.
Melly accettò con piacere e nel corso del pomeriggio
Susan le presentò una collega che avrebbe fatto parte
della comitiva. Era simpatica e alla mano, ma Melly non
poté fare a meno di notare l’avida curiosità con cui le si
rivolgeva. Pettegolezzi!, pensò disgustata. Chiacchiere
e pettegolezzi. Dannato Trent!
Il resto della settimana passò rapidamente. Ogni
giorno Melly andava al lavoro con Trent e ogni sera lui
la riaccompagnava a casa in macchina. Era il solito tor-
mento, ma non cercò più di provocarla, accontentandosi
apparentemente di mantenere fra loro una certa distanza
di sicurezza.
Melly non si accorse, né allora né per un po’ in se-
guito, di quanta abilità lui avesse impiegato quella set-
timana per abbattere i timori che aveva suscitato in lei a
causa delle sue intenzioni. Fu come se la macchina su
cui compivano il tragitto giornaliero da e per l’ufficio
fosse diventata un terreno neutro; e lui tornò a essere il
Trent di cui si era innamorata anni prima, divertente, af-
fascinante, la miglior compagnia del mondo.
Senza nemmeno rendersene conto, cominciò a rilas-
sarsi in sua presenza. Naturalmente era tutto calcolato.
Trent era troppo accorto per non sapere esattamente
che cosa stava facendo, ma Melly riuscì a relegare in un
recesso della mente la consapevolezza che non si sa-
rebbe fermato davanti a nulla per ottenere ciò che vo-
leva.

Il venerdì sera le disse improvvisamente: «Vestiti, ti


porto fuori a cena».
Le diede un immenso piacere potergli rispondere con
tutta sincerità: «Spiacente, ma ho già un impegno».
«Con chi?» le chiese aspro, con un’occhiata inquisi-
toria che non le sfuggì.
«Con un po’ di gente. Andiamo a teatro.»
Erano fermi a un semaforo e lui tamburellò con le
dita sul volante.
«E poi?»
«E poi niente.»
«Con chi vai?»
«Trent, non è affar tuo» gli rispose Melly calma.
«Comunque non vado con qualcuno in particolare.
Siamo un gruppo.»
«Molto bene, allora riformulerò la domanda. Chi ti
accompagna a casa?»
Sospirando lei rispose: «Nessuno. Verrò a casa in au-
tobus».
«Non ci pensare nemmeno. È troppo pericoloso a
quell’ora di sera. Disdici la prenotazione e ti accompa-
gnerò io.»
Lei dovette attendere che scattasse il semaforo per
ottenere la sua attenzione. «Trent, andrò stasera» gli
disse quando si furono riavviati. «Voglio andarci. E mi-
gliaia di persone viaggiano in autobus a quell’ora di sera
in perfetta sicurezza, come tu sai benissimo.»
«Devi fare più di trecento metri a piedi per arrivare a
casa dalla più vicina fermata dell’autobus» obiettò lui.
L’esasperazione e il risentimento che cercava di na-
scondere le indurivano i lineamenti quando lo guardò.
«Allora prenderò un taxi» disse quasi con rabbia. «C’è
un parcheggio di taxi a cinquanta metri dall’ingresso del
teatro. Va bene?»
«Ma certo. Con chi hai detto che vai?»
«Un gruppo di gente dell’ufficio, ma non credo che
tu ne conosca qualcuno per nome: sono tutti dei piani
bassi» rispose Melly con una nota di sarcasmo che lo
indusse a voltare la testa.
Per un istante la scrutò in silenzio prima di tornare a
guardare la strada. «Si dà il caso che io conosca per
nome ogni persona che lavora nell’edificio.»
Melly si sentì piccola piccola. «Come diavolo fai?»
gli chiese. «No, non dirmelo. Fa parte delle regole del
capo perfetto, qualifica che tutti ti riconoscono.»
«Davvero?»
Lei rise della sua apparente incredulità. «Più o meno,
sì. Tutte le ragazze ti trovano affascinante e gli uomini
pensano che, per essere arrivato dove sei alla tua età,
devi essere un genio.»
«Ma tu naturalmente sai che io sono arrivato dove
sono con metodi spregevoli, no? Hai mandato in pezzi
le loro illusioni fornendo i dettagli delle mie imprese?»
Melly si morse la lingua. «No» disse con voce spez-
zata. «Come tua dipendente ti devo lealtà.»
«Per nessun altro motivo?»
Una massa di riccioli bruni ondeggiò mentre lei
scuoteva la testa. Non disse nulla, consapevole di avere
un groppo in gola.
«Non importa, anche questo cambierà» disse lui con
tono disinvolto imboccando il vialetto d’ingresso di The
Towers.
«Ne dubito.»
Lui fece un sorrisetto arrogante. Spegnendo il motore
della macchina si chinò su di lei e la baciò, rapidamente,
brutalmente. Nella semioscurità i suoi occhi chiari bril-
larono.
«Ma certo che accadrà» disse con voce suadente.
«Avrò la tua piena lealtà, Melissa. Ti ho già detto che
voglio tutto quel che hai da dare, ogni primo pensiero
del mattino, ogni sogno della notte, ogni respiro che fai.
Perciò divertiti stasera; le serate senza di me presto ap-
parterranno al passato.»
Scossa dalla selvaggia intensità che risuonava nelle
sue parole lei armeggiò con la portiera della macchina.
Quando fu al sicuro fuori dell’auto gli disse in tono
fiero: «Sono passati i tempi in cui un uomo poteva per-
mettersi di trattare la donna come una schiava. Tu avrai
da me solo quello che io sarò disposta a darti».
Con rapida efficienza Trent chiuse a chiave la mac-
china, sul viso un’espressione divertita che le fece quasi
digrignare i denti per la rabbia.
«Sarebbe così se avessi voglia di aspettare i tuoi co-
modi» le disse mentre si avviavano verso l’ascensore.
«Ma non ce l’ho, cara. Preferisco prendere.»
«Proprio come un pirata!»
Lui ridacchiò. «Proprio come un pirata. E come tutti
i corsari, divento impaziente se devo aspettare.»
«Mi stai minacciando, Trent?»
Lui sostenne il suo sguardo cupo con occhi sorri-
denti. «Sì, naturalmente. Ah, ecco l’ascensore.»
E dentro c’era una ragazza, minuta eppure sensuale,
la fulva chioma raccolta in un elegante chignon, il cui
bel viso si illuminò di un sorriso radioso quando vide
l’uomo che aspettava l’ascensore.
«Trent!» esclamò Cathy Durrant con trasporto.
«Stavo giusto per salire nel tuo appartamento quando tu
hai chiamato l’ascensore quaggiù. Come stai? Hai l’aria
di chi ha passato una settimana faticosa. Povero caro,
sembravi esausto quando mi hai telefonato.»
Il tono melodioso e volutamente sensuale della
donna fece venire a Melly un’ondata di nausea. Sentì il
colore svanirle dal volto, incontrò lo sguardo penetrante
nascosto dietro le folte ciglia di Cathy, e capì come do-
veva apparire a chi la guardasse.
In quel momento Trent la prese per il gomito, la
spinse dentro l’ascensore e lentamente il sangue riprese
a pulsare nel suo corpo.
«Melissa, conosci Cathy?» le chiese con voce neutra.
Melly scosse la testa, ma Cathy disse senza trasporto:
«Tu sei Melly Hollingworth, vero? Conosco tuo fratello
Rafe e sua moglie. Ero al loro matrimonio. Ma non
credo che tu ti ricordi di me».
«Temo di no.» Melly si sentì incoraggiata dal freddo
controllo del suo tono, così incoraggiata che cercò di
abbozzare un sorriso e quasi ci riuscì. «Ero così presa
dalla mia funzione di testimone che il resto del matri-
monio non mi ha quasi sfiorata.»
Cathy le sorrise calorosamente, per nulla sorpresa, a
quanto pareva, di vederla in compagnia del suo ex ma-
rito. «So che cosa vuol dire. Sono stata damigella
d’onore al matrimonio di mio cugino e ho passato l’in-
tera cerimonia a preoccuparmi che accadesse qualcosa
di orribile. Ed è successo. Uno dei paggetti si è ubria-
cato di champagne e hanno dovuto portarlo via fra urla
e strepiti e metterlo a dormire. Per fortuna non è suc-
cesso a me!»
E questo è tutto quel che importava, sembrava impli-
care il suo tono. Pur nel suo stato d’animo Melly si rese
conto che per Cathy quella era l’unica cosa che con-
tasse. Egoista, pensò mentre Trent faceva un’osserva-
zione spiritosa. Egoista da far spavento ma, oh, così
bella…
Non riusciva a guardare Trent, aveva paura di sco-
prire che luce gli brillava negli occhi chiari quando
guardava Cathy. Che fossero in ottimi rapporti era evi-
dente; e allora che cosa aveva provocato il divorzio?
E perché Trent le aveva telefonato per chiederle di
venire a casa sua?
Mentre queste domande angosciose la torturavano,
Melly dovette sorridere e fingere di essere perfetta-
mente normale e alla fine uscire dall’ascensore lascian-
doli soli.
Lottando a fatica contro la furia e l’irrazionale desi-
derio di vendetta che l’immagine di loro due insieme
aveva suscitato in lei, Melly entrò in casa e andò diret-
tamente in cucina dove aprì il frigorifero e si riempì un
bicchiere di succo d’arancia. Mentre lo sorseggiava len-
tamente fece appello a tutte le sue energie razionali riu-
scendo finalmente a riprendere il controllo di quella sel-
vaggia passione che le aveva offuscato la mente.
Rifiutandosi categoricamente di pensare a quel che
stava succedendo nell’attico sopra di lei, andò in camera
e si mise maglietta e pantaloncini, decisa a eliminare
ogni residua tensione con un po’ di sana attività fisica.
La tattica funzionò. Un’ora e mezza dopo si rinfre-
scava sotto la doccia pensando che quella sera uscire era
l’ultima cosa che desiderava! Tuttavia dopo un sostan-
zioso spuntino si sentì decisamente meglio e quando si
fu vestita e truccata, ogni segno della precedente tem-
pesta di sentimenti era scomparso.

Il lavoro teatrale si rivelò eccellente; era infatti acuto,


spiritoso, satirico e molto ben recitato dalla compagnia
locale. Quando fu terminato, andarono tutti insieme in
un bar a bere qualcosa, chiacchierarono, si scambiarono
opinioni e fecero progetti per successive serate. Alla
fine Melly espresse la sua intenzione di andare a pren-
dere un taxi e prontamente Susan le organizzò il ritorno
in macchina con un giovane estremamente piacevole
che aveva tenuto d’occhio Melly per tutta la serata.
«Ian Sanderson, Melly Hollingworth» li presentò Su-
san allegramente. «Ian, tu vai dalle parti di Melly,
vero?»
«Sì, naturalmente» rispose lui lasciando intuire che
sarebbe comunque stato disposto a deviare abbondante-
mente dal suo percorso per accompagnarla.
Melly accettò con un sorriso. Forse questo avrebbe
messo fine alle chiacchiere sui suoi rapporti con Trent.
Tutto sommato una piacevole serata. La compagnia
di Ian era gradevole e rilassante e Melly si ritrovò a casa
quasi senza accorgersene.
«Ti va una tazza di caffè?» propose quando lui ebbe
parcheggiato la macchina.
L’espressione di Ian lasciò intendere che aveva rece-
pito il messaggio. Se fosse salito in casa, sarebbe stato
solo per un caffè.
Rise. «Volentieri» accettò. «Ti confesso che sono cu-
rioso di vedere com’è dentro questo palazzo lussuoso.
Oltre, naturalmente, al desiderio di conoscerti meglio
senza che un’orda di colleghi di lavoro osservi ogni no-
stro movimento.»
«Allora sali» lo invitò Melly ripensando all’informa-
zione che Susan le aveva bisbigliato all’orecchio prima
che se ne andassero.
«È un tesoro» aveva detto. «Sono già uscita con lui e
tiene le mani a posto, non si ubriaca e sa tenere una con-
versazione intelligente. Tutti lo adorano.»
E in effetti sembrava davvero un tipo a posto, onesto
e affidabile. Non pazzamente eccitante forse, ma d’altra
parte non si può avere tutto, decise Melly mentre attra-
versavano l’ingresso sotto lo sguardo attento del guar-
diano notturno.
Lui ammirò l’appartamento e il panorama, chiac-
chierando disinvolto mentre lei metteva su la caffettiera.
Fu allora che squillò il telefono.
«Scusa» disse Melly corrugando le sopracciglia
mentre sollevava il ricevitore. «Pronto?»
«Che cosa diavolo hai fatto?»
Era la voce di Trent, gelida e controllata.
Melly spalancò gli occhi, poi li socchiuse. Con molto
tatto Ian si era allontanato nell’altra parte del soggiorno.
«Ti rendi conto che è passata mezzanotte…» comin-
ciò lei, ma fu subito interrotta.
«Perfettamente. So anche che la rappresentazione fi-
niva alle dieci e mezzo: ho telefonato per informarmi.
Dove sei stata da allora?»
«In un bar a bere qualcosa. Buonanotte.»
Le ci volle una buona dose di autocontrollo per non
sbattere giù la cornetta, ma ci riuscì. E riuscì anche a
sorridere al povero Ian, evidentemente interessato.
«Certa gente non ha il senso del tempo!» gli disse
dolcemente.
Ma ormai il danno era fatto. Già intuiva tutte le
chiacchiere che si sarebbero scatenate sul suo conto,
dato che Ian aveva certo indovinato chi era al telefono;
poté solo ammirare il savoir-faire con cui lui si con-
gedò, senza caffè e probabilmente con la sensazione di
essersela cavata per un pelo.
Cinque minuti dopo, mentre in bagno si spazzolava i
denti con vigore, Melly si ritrovò a pensare con deside-
rio a una serie di spiacevoli trattamenti che avrebbe vo-
lentieri inflitto a Trent Addison, compresa la ruota della
tortura e il bagno nell’olio bollente.
5

Pur avendo dormito bene, Melly si risvegliò la mattina


dopo con gli stessi pensieri di vendetta tanto che, dopo
aver riscaldato e bevuto il caffè della sera prima rimu-
ginando sulla perfidia di Trent, uscì di corsa da casa e
si infilò in ascensore con un’unica idea nella mente. Gli
avrebbe detto chiaro e tondo che le sue interferenze
nella sua vita privata le erano assolutamente sgradite.
Fu solo dopo che ebbe suonato con vigore il campa-
nello che si ricordò di Cathy Durrant. Che probabil-
mente si trovava ancora lì. Troppo tardi, si disse sen-
tendo che la sua rabbia si raffreddava mentre un’ondata
di panico l’assaliva.
Trent aprì con una prontezza sospetta, come se fosse
in attesa e le sorrise. «Ah, ti aspettavo stamattina, ma
non così presto. Sei venuta a fare una nuotata?»
Melly fu nuovamente in preda alla rabbia. «No, gra-
zie» rispose con voce tagliente. Non sarebbe entrata fin-
ché non fosse stata sicura che lui era solo.
Trent alzò un sopracciglio vedendo il suo sguardo
minaccioso. «Va bene, desideri sputare il rospo. Entra e
sfogati. Ah, dimenticavo, sono solo» aggiunse come se
le avesse letto nella mente, con il risultato di farla infu-
riare ancora di più.
Melly non se lo fece ripetere due volte. «Non avevi
alcun diritto di chiamarmi la notte scorsa, e lo sai! Come
sapevi l’ora del mio rientro?»
Trent chiuse la porta e le passò accanto dirigendosi
verso la cucina. «Perché ti stavo telefonando ogni dieci
minuti da un’ora» le rispose indicandole con un cenno
della testa di sedersi al tavolo dove tutto era pronto per
la colazione. Quando Melly sentì l’aroma del bacon che
riempiva l’aria e vide il pane tostato e la marmellata, il
suo stomaco ebbe un imbarazzante brontolio che indi-
cava chiaramente che non aveva fatto colazione. Ma
nemmeno la fame riuscì a distoglierla dall’argomento
che le stava a cuore. «Perché?» domandò esasperata.
«Santo cielo, hai una faccia tosta! Tu…»
«Chi era lui?» chiese Trent calmo andando verso la
cucina a gas per occuparsi del bacon.
Melly sollevò la testa con aria di sfida. «Non è affar
tuo!»
«Potrei dirti che lo considero tale» replicò lui serven-
dole un piatto con uova, pancetta e un pomodoro al
forno. «Non lo farò perché stimo abbastanza la tua in-
telligenza per sapere che ne sei già consapevole. Ma ti
do un consiglio. Questa è una battaglia privata. Non
coinvolgere nessun altro se non vuoi vederlo trascinato
fuori dal campo senza tanti complimenti. Ora, chi c’era
con te, ieri sera?»
«E ti aspetti che te lo dica dopo questa minaccia?»
chiese lei sarcastica portando alla bocca una fetta di
pane tostato. Aveva troppa fame per non mangiare, ma
non si sarebbe lasciata cogliere di sorpresa.
«Lo scoprirò» disse lui calmo.
«Non avrei pensato che spiare fosse nel tuo stile» re-
plicò Melly con tutto il disprezzo che riusciva a osten-
tare.
Improvvisamente lui parve molto più vecchio, molto
più lontano di quanto lei l’avesse mai visto. «Farò qual-
siasi cosa sia necessaria» disse con distacco. «Perché sei
così sorpresa, Melissa? È quello che credi tu, no? Che
io sia un freddo bastardo calcolatore teso ad acquisire il
potere con qualsiasi mezzo, per quanto sleale e disone-
sto sia, vero?»
«Se lo penso ho delle buone ragioni.» La voce le tre-
mava ma proseguì: «Non puoi semplicemente lasciar
perdere, Trent? So quello che vuoi da me, ma non c’è
nulla che tu possa fare per indurmi a fidarmi di nuovo
di te. Mi dispiace ma quando… se mi sposerò, sarà con
qualcuno che mi considera la cosa più importante della
sua vita». La sua rabbia se n’era andata, lasciandola
stanca come sembrava essere lui. Quietamente finì:
«Non con un uomo che non ci penserebbe due volte a
disfarsi di me se questa fosse la condizione per acquisire
maggior potere».
Osservò come le dita di lui si stringevano intorno alla
forchetta. Così poteva farlo soffrire, si disse, doman-
dandosi come mai la cosa non la rallegrasse affatto.
Forse era perché detestava vedere quell’espressione
dura come la pietra sul suo viso; per un istante ebbe vo-
glia di confortarlo, di rimangiarsi le parole crudeli che
aveva incautamente pronunciato e dirgli che non pen-
sava quello che aveva detto. Quasi per un moto proprio
la sua mano si sollevò verso di lui, poi cadde.
Non poteva concedergli la resa che lui voleva così
intensamente.
Trent aveva lo sguardo fisso sul tavolo, ma quel pic-
colo movimento glielo fece sollevare. «Allora dovrai
semplicemente cambiare idea perché io non intendo
farlo. Se dovrò, ti darò la caccia, Melissa, finché sarai
stanca di scappare.»
«Sei pazzo» sussurrò lei spaventata.
Lui ridacchiò, ma i suoi occhi rimasero freddi e de-
terminati. «No. Sono uno che sa quello che vuole. Ho
sempre saputo quello che volevo.»
«Suppongo che dovrei sentirmi lusingata.»
Lui alzò le spalle. «Perché? Perché ti voglio? E che
c’è di lusinghiero in questo? Ne farei a meno, credimi.»
Quell’affermazione non le piacque, ma capiva come
lui doveva sentirsi. Sapeva tutto di quel vano desiderio
che tormenta senza tregua, rendendo ogni cosa opaca e
priva di attrattiva. Per lei era stato così fino a quando
era entrata nell’ascensore e aveva rivisto Trent. Allora
il mondo aveva ripreso a splendere dei suoi vividi co-
lori.
«Allora cancellami dalla tua mente» gli disse con
voce dura.
«Ci ho provato, non funziona.» Sorrise senza alle-
gria. «Mi sei entrata nel sangue e non riesco a liberarmi
di te come non potrei strapparmi il cuore dal petto. Dio
solo sa perché. Ho incontrato donne più belle, più sofi-
sticate, certamente più disponibili, ma dalla prima volta
che ti ho vista non ci sei stata che tu. Devo averti. E ti
avrò.»
Lei impallidì, turbata da quelle parole e dalla fiamma
di ardente desiderio che rendeva i suoi occhi chiari
quasi minacciosi.
«Se tu ti fossi sposata quando eri all’estero sarei ve-
nuto a prenderti» continuò lui calmo. «Se ti impegnerai
con qualcun altro io manderò a monte la tua relazione.
Non mi interessa quante umiliazioni ti farò subire, né
mi importa che cosa diranno i tuoi amici o la tua fami-
glia. Tu mi appartieni e quando lo ammetterai, ci spose-
remo. Fino ad allora tu cammini su un filo, non dimen-
ticarlo. E niente più inviti come quello di ieri sera.»
Il viso di Melly era bianco, ma i suoi occhi lampeg-
giavano d’ira. «Puoi fare tutte le minacce che vuoi, ma
io non sono la tua schiava o il tuo giocattolo e farò esat-
tamente quello che voglio, quando voglio e con chi vo-
glio.» La voce le si spezzò. Si interruppe un attimo in
preda a una furia tale che avrebbe potuto colpirlo, sbat-
terlo a terra. «Non credo di aver mai disprezzato qual-
cuno come disprezzo te. Pensi davvero di poter usare
questa stupida attrazione fisica per costringermi a spo-
sarti? Piuttosto morirei!»
Si alzò di scatto facendo strisciare la sedia sul pavi-
mento, ma per quanto rapida non poté fare più di due
passi prima che lui la raggiungesse mettendole le mani
sulle spalle.
«Cara» l’apostrofò con un riso impietoso negli occhi
e nella voce. «Tu mi desideri con la stessa intensità con
cui mi odi. Un giorno tutto quel fuoco e quella furia sa-
ranno miei.»
Lui ci credeva. Ci credeva veramente, e lei l’avrebbe
picchiato perché si rendeva conto che, al di là della sua
rabbia e del suo disprezzo, aveva ben misere difese con-
tro una determinazione così incrollabile.
«Sei un prepotente» gli disse con la voce che le tre-
mava.
«Sei tu che mi costringi a esserlo.» Era implacabile.
Quando lei scosse la testa lui la baciò e il lento, lan-
guido movimento delle sue labbra su quelle di lei la fece
ansimare di desiderio. Si aspettava, voleva che lui con-
tinuasse, ma Trent sollevò la testa e al posto della pas-
sione lei vide nei suoi occhi tenerezza e comprensione.
«Mia povera cara» le disse attirandola a sé così che
lei posasse la testa sulla sua spalla. «Non farmi aspettare
troppo, mia dolcezza. Non sono un uomo paziente.»
«Suona come un’altra minaccia.»
Melly percepì il suo sospiro. «Temo che potrebbe es-
serlo. Guarda come mi hai ridotto! Al punto di minac-
ciare una donna!»
Lei rispose con un’ammissione che non avrebbe do-
vuto lasciarsi sfuggire. «Be’, tu sei l’unico uomo che
riesca a risvegliare in me il temperamento degli Hol-
lingworth.»
Lui la allontanò da sé per guardarla in faccia. «Bene»
commentò senza nascondere la sua soddisfazione. «Ora
siediti e finisci di fare colazione. Oggi ti porto fuori.»
«Mi dispiace, ma ho delle cose da fare, oggi» gli ri-
spose con voce neutra, non volendo innescare un’altra
schermaglia verbale.
«Per esempio?»
«Comprare una macchina.»
Sul volto di lui comparve la solita, odiosa espres-
sione divertita. «Che tipo di macchina?»
«Be’, Rafe ha detto…»
Gli raccontò che cosa aveva detto Rafe e in qualche
modo si ritrovò seduta davanti a lui a finire la colazione
che le aveva cucinato e a bere ottimo caffè mentre di-
scutevano di macchine e dei posti dove comprarle. E
quando lui le disse bruscamente: «Bene, scendi a fare
quello che devi, ti passo a prendere fra mezz’ora», le
occorsero alcuni secondi per rendersi conto che le aveva
completamente sottratto l’iniziativa.
«Non voglio che tu mi accompagni» disse debol-
mente.
«Lo so» rispose lui comprensivo. «Sai, dovrai supe-
rare l’avversione che hai nei miei riguardi. Non è nor-
male in una coppia sposata. La gente comincerebbe a
chiacchierare.»
Melly si morse il labbro, combattuta fra la voglia di
ridere e quella di urlare, ben consapevole che lui la stava
osservando con quella penetrante intuizione che la fa-
ceva tanto infuriare.
«Non importa» disse lui indirizzandola verso la
porta. «Funzionerà, credimi.»
Senza dubbio voleva essere rassicurante. Forse
aveva colto una traccia della sua confusione sotto l’at-
teggiamento freddo che si sforzava di assumere.
Melly era alta, con l’ossatura lunga degli Holling-
worth e le loro spalle larghe. Col tempo si era resa conto
che questo limitava il suo fascino. Molti uomini, aveva
deciso cinicamente, amavano sentirsi protettivi nei con-
fronti delle donne con cui uscivano. Era difficile per
loro esserlo con una donna che sembrava un’Amazzone.
Eppure, quando Trent le era accanto, lei si sentiva al si-
curo, come se nulla potesse accaderle. Non era per la
sua forza fisica, nonostante fosse più alto di lei e avesse
un fisico atletico; ora, mentre camminava al suo fianco,
si rese conto che era merito dell’inconfondibile carisma
che lo caratterizzava, della sua capacità di affrontare
qualsiasi situazione, di ispirare sicurezza.
Ad alta voce gli chiese: «Se un UFO atterrasse di
fronte a te, che cosa faresti?».
Lui rise, ma ci pensò su seriamente. «Starei molto
attento, immagino. Farei allontanare la gente che si tro-
vasse nei paraggi e aspetterei che qualsiasi cosa ci fosse
dentro si mettesse in contatto.» Lei annuì e Trent chiese
con aria divertita: «Ho passato un test, Melissa?».
«No» rispose lei. Ma in un certo senso era così. «Se
solo…» cominciò, ma la voce le mancò non appena si
rese conto di quel che stava per dire.
Se solo gli ultimi anni non fossero trascorsi. Se solo
potessi fidarmi di te. Se solo tu mi amassi.
«Aggrapparsi ai se è da sciocchi se non si è pronti a
fare in modo che i propri desideri si avverino.» La voce
di Trent era dura, come l’occhiata che le rivolse. «Non
cadere in quella trappola, cara, la vita è troppo breve per
passarla a inseguire chimere. Meglio essere realisti.
Sarà forse meno divertente, ma è infinitamente più gra-
tificante e ci sono minori probabilità di veder sfumare i
propri sogni.»
La nota amara nella sua voce stimolò la curiosità di
Melly. Ma quando alzò lo sguardo verso di lui il suo
viso era sereno. Eppure sembrava deluso, pensò lei rab-
brividendo. Cathy? Forse. O forse aveva scoperto da
solo che le scorciatoie per il potere erano delle armi a
doppio taglio.
Allora lui sorrise, di quel rapido, piratesco sorriso
che era forse la maschera che indossava per impedire a
chiunque di avvicinarsi troppo.
«Mezz’ora e… non lasciarmi fuori dalla porta ad
aspettare, Melissa.»
«Perché, che cosa faresti?»
La sua espressione si indurì. «Ti trascinerei fuori di
casa a forza.»
«E come potresti farlo?» chiese lei con espressione
provocatoria.
«Sarebbe facilissimo» rispose lui con tutta calma.
«Sono il proprietario di The Towers. Posso entrare in
ogni appartamento se voglio.»
«Il proprietario? Ma perché? Come?» Melly non riu-
scì a nascondere la sua incredulità.
«L’ho comprato non appena tuo fratello ha affittato
il suo appartamento.» La guardò ridendo del suo stu-
pore. «Ti ho detto che, se necessario, ti avrei dato la
caccia, cara, ma in realtà lo sto già facendo da qualche
anno. Comprare questo palazzo è stato uno dei passi in
questa direzione.»
Prima che lei potesse formulare qualsiasi tipo di ri-
sposta arrivò l’ascensore e lui ve la spinse dentro. Men-
tre le porte si chiudevano lo vide sorridere ironico e le
venne freddo. Si sentiva del tutto impotente.
Le ci volle tutta la mezz’ora che lui le aveva con-
cesso per vincere la tentazione di fuggire e ci riuscì solo
perché non avrebbe saputo dove andare. Il suo primo,
istintivo pensiero era stato di rivolgersi a Rafe per aiuto,
ma non sarebbe stato leale coinvolgerlo in quella fac-
cenda. Se l’avesse fatto, sarebbe scoppiata una guerra
aperta tra lui e Trent, e lei rabbrividì all’idea. Entrambi
erano uomini forti e determinati e l’esito non sarebbe
stato scontato, ma Jennet si sarebbe preoccupata. Dopo-
tutto, pensò Melly, ormai aveva ventiquattro anni ed era
abbastanza cresciuta per badare a se stessa.
Così sperava. In fondo Trent non poteva costringerla
a sposarlo. Aveva detto che non voleva un’avventura
con lei e si poteva credergli, quindi non c’era proprio di
che preoccuparsi.
Le ore che seguirono sembrarono darle ragione. Spa-
rita ogni traccia di possessiva rivendicazione, Trent la
trattava quasi come se fosse stata una vecchia amica.
Quando le chiese che tipo di macchina intendesse com-
prare, lei rispose: «Una macchina piccola ma non
troppo, altrimenti non mi ci stanno le gambe. E di se-
conda mano, perché non posso permettermene una
nuova». Rispose con una lieve alzata di spalle allo
sguardo interrogativo di lui. «Le mie uscite sono state
piuttosto consistenti in quest’ultimo periodo.»
«Regali natalizi?»
Melly annuì ripensando agli ultimi acquisti: un com-
pleto di camicia da notte e vestaglia in seta per Jennet,
un quadro di un artista contemporaneo che era costato
una cifra vertiginosa per Rafe e una carrellata di giocat-
toli per Dougal. Oltre, naturalmente, alle cose per sé che
non aveva saputo fare a meno di comprare.
«Vuoi un prestito?»
Melly rispose di no scuotendo vigorosamente la te-
sta.
Trent rise. «Hai paura di quel che potrei pretendere
in garanzia?» le chiese ridendo di nuovo allo sguardo
indignato che lei gli rivolse. «No, non esplodere, stavo
scherzando. Chi ti ha insegnato a non fare debiti?»
«Diana» rispose lei con un sospiro pensando con ri-
provazione alla decisione di sua madre di sposare un
uomo ricchissimo e insignificante perché non riusciva a
stare nella pur lauta rendita garantitale dal fondo fidu-
ciario.
«Già, posso immaginarlo» commentò asciutto Trent.
«Una signora molto costosa, tua madre.»
Pur sentendosi sleale, Melly dovette convenirne.
«E tu perché lavori?» le chiese Trent. «Sono sicuro
che non ne hai bisogno.»
«Morirei di noia in capo a sei mesi, se non lo facessi.
Mi piace lavorare.»
Lui annuì. «Ti capisco.» E cominciò a raccontarle
degli inizi della sua carriera finanziaria, quando aveva
investito tutte le sue ricchezze, consistenti in un piccolo
lascito di sua madre, in un promettente affare di compo-
nenti elettronici. Affascinata, Melly lo stette a sentire
mentre lui narrava una saga coinvolgente, a volte co-
mica e in certi punti addirittura eccitante come un thril-
ler.
L’incanto durò a lungo. Lui la portò in una enorme
rivendita di macchine usate e si immedesimò nella sua
ricerca con totale partecipazione, ispezionando cofani e
portabagagli, comportandosi con una combinazione di
professionalità e di entusiasmo tipica di ogni uomo che
si trovi di fronte a più macchine di quante possa con-
tarne e alla possibilità di comprarne una.
A un certo punto gli domandò sottovoce se lui si in-
tendesse di macchine e dovette reprimere una risata
quando lui le rispose sempre in un orecchio: «Un po’
meno della media degli uomini».
A questo punto l’assistente che li stava seguendo si
scusò per dover rispondere a una telefonata. «Ho por-
tato mia moglie al reparto maternità ieri sera e probabil-
mente ci sono notizie» spiegò dopo una certa esitazione.
«Oh, deve proprio andare» disse Melly con un sor-
riso guardandolo correre verso l’ufficio.
Quando l’uomo tornò, cinque minuti dopo, era al set-
timo cielo perché sua moglie gli aveva dato una bam-
bina. «Abbiamo già due maschietti» spiegò infervorato.
«Una bella bambina era ciò che desideravamo.»
In quella insolita circostanza Trent non si sarebbe po-
tuto rivelare più gentile, né allora né in seguito, quando
finalmente dopo varie prove e verifiche decisero per una
macchina. Mentre il rivenditore li accompagnava in uf-
ficio, Trent gli porse una busta invitandolo a servirsene
per fare un bel regalo a sua moglie e tagliando corto ai
ringraziamenti stupiti dell’uomo.
«È stato gentile da parte tua» gli disse Melly mentre
si allontanavano.
«Io sono gentile!»
Voleva essere una battuta e lei rise, ma dentro di sé
si chiese se era vero, se la sua ambizione poteva coesi-
stere con la gentilezza d’animo che aveva appena dimo-
strato.
Era un uomo difficile e complesso e lo sapeva privo
di scrupoli; avrebbe mai imparato ad accettare il lato
oscuro del suo carattere?
Mordendosi un labbro camminava fra i numerosi
clienti che affollavano il deposito senza vederli, lot-
tando per bandire dai suoi pensieri quella domanda
compromettente. Se si faceva prendere dalla debolezza
era perduta, e non poteva permetterselo. L’ultima volta
che l’aveva fatto, l’effetto era stato devastante e la sua
fiducia negli uomini era stata distrutta irrimediabil-
mente. Se ora avesse seguito gli impulsi del suo cuore e
del suo corpo, sarebbe vissuta nella paura di un altro
tradimento. Il suo matrimonio aveva provato una volta
per tutte che cosa significasse l’amore per lui e lei non
era disposta a rischiare di nuovo.
C’era dell’ironia in quella situazione, si disse fra sé
con un sorrisetto amaro. Se lei fosse stata meno esi-
gente, se avesse accettato la sconvolgente attrazione fi-
sica che c’era tra loro e il facile, amichevole rapporto
che caratterizzava momenti come quello, senza preten-
dere altro, un matrimonio fra loro avrebbe avuto sicura-
mente ogni probabilità di successo.
Ma lei era esigente. Voleva molto di più che sesso e
amicizia; voleva il tipo di amore che aveva visto negli
occhi di Rafe quando guardava Jennet. Perché lei era in
grado di dare quel genere di amore e sarebbe stata ama-
ramente infelice se non fosse stata contraccambiata.
E le bastava alzare gli occhi verso il profilo di Trent,
come faceva ora, per vedervi dipinta un’indipendenza
assoluta e per convincersi che, se fosse stata abbastanza
stupida da cedere al suo volere, avrebbe avuto in cambio
gratificazione sessuale e affetto e basta. Trent non era il
tipo d’uomo da farsi entrare nel cuore una donna. Aveva
parlato del suo desiderio per lei, della sua intenzione di
sposarla, ma da quando era tornata in Nuova Zelanda
non le aveva mai parlato d’amore.
Stava ancora guardando verso di lui quando una voce
pronunciò il suo nome ad alta voce facendola voltare di
scatto.
«Oh… Sara!» Le ci volle un momento per fare mente
locale. «Che cosa ci fai da queste parti?»
La sua vecchia compagna di scuola ridacchiò, pas-
sando con gli occhi da Melly a Trent e di nuovo a Melly.
«Guardiamo le macchine» disse. «Jim sogna che un
giorno avremo fatto abbastanza soldi da comprarci una
Rolls, così ogni tanto veniamo a vederle e scegliamo
quale acquistare.»
«Una Rolls?»
Sara si unì alla risata di Melly. «Non una nuova, na-
turalmente. E poi ogni tanto lui sembra orientarsi verso
una Ferrari o una Porsche, ma fondamentalmente pensa
che la Rolls sia quello che ci vuole per la sua imma-
gine.»
Chi è quest’uomo?, sembravano chiedere gli occhi
dell’amica. Rassegnata, Melly fece le presentazioni in-
cludendo anche Jim, il marito di Sara, che emergeva in
quel momento dalla contemplazione di una macchina
molto lunga e costosa.
Entrambi conoscevano Trent di nome; Jim sollevò
appena le sopracciglia prima di porgergli la mano e Sara
fece a Melly un cenno di approvazione. Per un po’ ri-
masero a chiacchierare amabilmente, finché Sara li in-
vitò a casa per un caffè, invito che Trent accolse senza
esitazioni.
6

«Una coppia simpatica» commentò Trent quando fu-


rono nella sua macchina.
Melly annuì in preda a un miscuglio di emozioni. Era
compiaciuta del fatto che Sara e Jim fossero visibil-
mente impressionati e allo stesso tempo questo la irri-
tava moltissimo.
«Sara e io eravamo compagne di scuola. Jim è avvo-
cato ed è associato a suo padre. Sono due care persone.»
«Jim Horning. Credo di conoscere suo padre. R.F.
Horning?»
«Sì, è lui. È un Queen’s Counsel ed è molto temuto.»
«Ah, sì, lo conosco.» Cogliendo lo sguardo interro-
gativo di lei, Trent spiegò: «Ha rappresentato la compa-
gnia in un paio di circostanze. Un uomo in gamba».
Ovviamente non aveva intenzione di dirle altro. Non
c’era nessun motivo di sentirsi piccata. E tuttavia lo era.
Sara e Jim vivevano in uno splendido disordine in
una vecchia, enorme villa kauri da cui, in un certo pe-
riodo, erano stati ricavati tre appartamenti che loro sta-
vano ora riconvertendo in un’unica casa. I lavori proce-
devano a rilento anche perché amavano fare il più pos-
sibile da soli, ma dal momento che avevano terminato il
retro della casa e un’ampia area destinata allo svago
all’esterno, il resto poteva aspettare ancora un po’.
«Finché non avremo i soldi» confessò Sara mettendo
la caffettiera sul fuoco.
«E il tempo» aggiunse Jim cupo, ma quando Trent
mostrò interesse per quanto avevano già fatto, si illu-
minò e lo portò fuori a vedere il complesso della pi-
scina.
Appena furono usciti, Sara sussurrò con aria da co-
spiratrice: «È assolutamente fantastico, Mel, ma sei si-
cura di quel che stai facendo? Voglio dire…».
«So che cosa vuoi dire.» Melly si passò una mano
nervosa fra i capelli, cercando le parole per spiegare
all’amica che cosa provava.
Sara conosceva qualcosa dei fatti successi tre anni
prima. «Non voglio intromettermi» la prevenne ansio-
samente. «Sono certa che sai quello che fai.»
«Vorrei poterne essere sicura anch’io» disse Melly
sconsolata.
«Suppongo che… Pensi che sia stato innamorato di
te per tutto questo tempo? Che il matrimonio sia stato
solo un momento di smarrimento? Cathy è terribilmente
attraente, anche se è peggio di una mocciosa viziata…»
Vedendo il sorriso tirato di Melly, Sara sorvolò. «Co-
munque non ho mai creduto alle storie che circolavano
sul suo conto… che l’avesse sposata per acquisire il
controllo sul gruppo Durrant. Anche il padre di Jim di-
ceva che quelle azioni erano più un rischio che una for-
tuna!»
«Ma non ora.»
«Be’, no. Ma deve aver lavorato sodo per rimettere
in piedi le sorti della compagnia. E non dev’essere stato
facile. Ricordo di aver letto sul giornale di tutti gli at-
tacchi e i tentativi di scalata che il signor Addison do-
vette fronteggiare prima di consolidare la sua posi-
zione.»
Melly si affacciò alla finestra che dava sul giardino
e, socchiudendo gli occhi contro il bagliore del sole, os-
servò i due uomini che camminavano intorno alla pi-
scina verso una baracca dove si trovavano l’impianto di
alimentazione della vasca e l’attrezzatura da giardino.
Trent si muoveva con una naturale eleganza che fa-
ceva apparire Jim, un po’ più basso di lui, quasi goffo.
Sara le si avvicinò e guardò fuori da sopra la sua
spalla.
«Forse io sono il riposo e il divertimento del guer-
riero dopo la battaglia» disse Melly con una voce che
non sembrava neanche la sua.
«Lo ami ancora? Non rispondere se non vuoi.»
Melly osservò i riflessi rossastri che il sole creava sui
capelli di Trent. «Non lo so» ammise con un sospiro.
«Tutto quello che so è che non mi lascerò fare del male
un’altra volta. Ho già sopportato tutto il dolore che po-
tevo tollerare da lui.»
«Eppure non mi sembra un uomo crudele» disse Sara
pensosamente. «Duro, forte, questo sì, ma non delibera-
tamente crudele. Almeno non nella vita privata.»
«Lo conosci così bene?»
«Sai, le voci circolano. Oh, noi non ci muoviamo ne-
gli stessi ambienti, ma il papà di Jim frequenta la stessa
cerchia di persone altolocate. Non che papà Horning sia
indiscreto, ma si capisce sempre quello che pensa della
gente. E, come ti ho detto, le voci circolano.»
«E che cosa pensa il signor Horning di Trent?»
«Lo rispetta» rispose semplicemente Sara. «Una
volta ha detto che se più industriali avessero il buon-
senso e la compassione del signor Addison, il mondo
sarebbe un posto migliore.»
«Che lodi sperticate» commentò Melly acida. «Forse
la sua compassione non si estende alla vita privata.»
«È questo che vuoi da lui? Compassione?»
Melly sospirò. «No, naturalmente. Non so. Temo di
volere più di quanto lui sia in grado di dare.»
Sara era degna della massima fiducia, il che era un
bene perché Melly aveva ammesso più di quanto fosse
opportuno. E poiché gli uomini avevano scelto quel mo-
mento per tornare verso la casa, l’argomento fu abban-
donato.
«Senti, perché non vi fermate a pranzo?» chiese Sara
con genuino entusiasmo. «È quasi ora. Potremmo prima
prendere un aperitivo e, se non avete nessun impegno
per il pomeriggio, questa è una bellissima giornata da
passare seduti attorno alla piscina.»
«Mi piacerebbe» disse Melly dubbiosa. «Ma do-
vremo chiedere a Trent. È lui il più impegnato dei due.»
Ma Trent si dichiarò più che felice di fermarsi dagli
Horning e così, dopo un pranzo improvvisato ma gu-
stoso a base di insalata mista e formaggi, si ritrovarono
tutti comodamente seduti intorno alla moderna piscina.
Melly, rilassata e serena come non si sentiva da
tempo, osservava Trent che metteva in mostra tutto il
suo fascino a beneficio dei loro ospiti. Era strano, non
avrebbe pensato che lui e Jim avessero molto in comune
e invece stavano chiacchierando come due vecchi
amici, qualche commento sull’attualità, poche battute
sul lavoro e poi un rapido esame sui vari sport, tra cui
scoprirono di prediligere entrambi la vela.
«Che tipo di barca?» chiese Jim con interesse.
Trent sorrise. «In questo momento sono in una fase
di transizione. Ho venduto Wave Cleaver alla fine
dell’ultima stagione.»
Il nome non significava nulla per Melly, ma Jim
parve colpito. «Naturalmente» disse con una nota di rin-
crescimento. «Avrei dovuto riconoscerti. Ti ho visto
vincere le Cento Miglia l’anno scorso.» Fece un fischio.
«Non avevo mai ammirato nulla di simile, non potevo
crederci! È balzata fuori dalle onde infuriate come se
venisse dall’inferno, giurerei quasi di aver sentito le
vele urlare… Non ho mai visto una barca reggere il
vento così, con una simile burrasca.»
Lo sguardo di Trent si posò divertito su Melly che
ascoltava incredula quella descrizione. «Non sono spe-
ricolato come mi dipingono» disse. «Sapevo di poter
contare su un equipaggio e una barca di prim’ordine.»
«Perché l’hai venduta?» chiese Jim quasi con rim-
pianto. «Nella sua classe è la barca più veloce che si sia
vista in Nuova Zelanda.»
Trent si rilassò sullo schienale e, dopo un attimo di
esitazione, rispose: «Avevo avuto da lei quel che vo-
levo. Era ora di cambiare».
«Ne hai già ordinata un’altra?» chiese Jim curioso.
«Sì, ma niente di simile. Voglio una barca familiare,
un mezzo per fare tranquille crociere. Sto diventando
troppo vecchio per lottare con i venti e le tempeste»
concluse Trent con insolita autoironia.
«Non ti mancherà l’eccitazione?» chiese Sara per-
plessa.
Lui alzò le spalle. «No» rispose con un’aria candida
che celava una certa malizia. «D’ora in avanti intendo
trovare l’eccitazione in altri aspetti della mia vita.»
Era ovvio che cosa intendesse dire. Sara e Jim nota-
rono i suoi occhi chiari posarsi deliberatamente sulla
bocca di Melly e poi sulla morbida curva del suo seno.
Melly sentì il rossore inondarle il viso quando gli
Horning si scambiarono una rapida occhiata d’intesa e
serrò le labbra come per sibilargli: Non avanzare pre-
tese su di me.
Implacabile anche se divertito, lui le rivolse uno
sguardo che la fece arrossire fino alla radice dei capelli,
perché indicava inequivocabilmente che le pretese le
aveva già avanzate. Ora le stava solo rendendo pubbli-
che!
Dopo qualche minuto di conversazione, cui non pre-
stò nemmeno orecchio, Melly sentì fare il suo nome e
alzò la testa.
«Un tuffo in piscina?» le chiese Sara. «Posso pre-
starti un bikini della tua taglia.»
«Perché no?» rispose Melly sorridendo.
Il bikini era rosso e ridottissimo, con un reggiseno
microscopico.
«Oh, cielo!» esclamò Sara quando la vide e poi urlò
attraverso la porta: «Jim, tu chiudi gli occhi!».
«Perché?»
Sara rise. «Non importa, tu fallo!» Poi, rivolta a
Melly: «Stai d’incanto, sembri l’incarnazione delle fan-
tasie maschili».
«Non posso mettere questa roba» gemette Melly. «È
troppo ridotto.»
«Storie» replicò Sara sbrigativa spingendola verso la
porta. «Copre tutto quello che c’è da coprire.» Lei stessa
indossava un costume molto piccolo che però, sulla sua
figura minuta, non appariva così provocante.
Gli uomini le stavano già aspettando accanto alla pi-
scina. C’erano Jim con gli occhi obbedientemente
chiusi, e Trent che, per un incredibile momento, sembrò
aver avuto una visione paradisiaca.
«Ecco!» esclamò Sara presentandogli Melly con aria
soddisfatta. «Non è assolutamente super? No, Jim, tu
continua a tenere gli occhi chiusi, finché non entra in
acqua.»
«Sì, per la mia dannazione.» Per una volta Trent non
si curò di nascondere le proprie emozioni.
Ma anche Melly si rendeva a malapena conto di ciò
che la circondava; il suo sguardo era puntato sulla figura
di Trent, i suoi occhi fissavano avidi le spalle ampie e
abbronzate di lui, la sua vita sottile, le gambe lunghe e
muscolose.
Mentre rimaneva lì a guardarlo estatica, Melly non
poté fare a meno di chiedersi perché non l’avesse mai
visto sotto quell’aspetto prima. Era bellissimo e lei si
sentì invadere da un languore che per un attimo la fece
sentire sul punto di sciogliersi.
L’incantesimo fu rotto dalla voce lamentosa di Jim.
«Per quanto tempo ancora devo stare con gli occhi
chiusi? Melly non è ancora decente?»
Con una voce spessa, a stento udibile, Trent disse:
«Per carità, Melissa, va’ a cambiarti».
E, spaventata, Melly fece proprio questo, indossando
come un’armatura un costume intero provvidenzial-
mente fornitole da Sara. Quando riapparve, Trent stava
nuotando da solo, macinando con potenti bracciate una
vasca dopo l’altra, mentre Sara e Jim giocavano in-
sieme, ridendo e schizzando, e in breve la coinvolsero
nei loro scherzi.
A poco a poco la tensione nel suo corpo si allentò e
la sua risata perse la nota forzata che aveva all’inizio,
ma Trent continuò a nuotare da solo per un’altra
mezz’ora. Finalmente il demone che sembrava non dar-
gli tregua lo abbandonò perché Trent uscì dalla vasca
tornando a sedersi sulla sua sdraio.
«Non c’è da meravigliarsi che tu ti azzardi a portare
la tua barca nella tempesta» osservò Jim con palese am-
mirazione. «Se facessi naufragio saresti in grado di nuo-
tare fino a riva!»
«Mi tengo in forma con il nuoto» rispose Trent.
«Non sono fatto per gli sport di squadra, come Me-
lissa.»
Melly ebbe un lieve fremito. Era pericolosamente
dolce essere associata a lui, anche in una osservazione
così banale, constatò ripensando a quegli interminabili
momenti, poco prima, in cui si erano guardati recipro-
camente riconoscendo la stessa primitiva, irresistibile
attrazione.
Il resto del pomeriggio trascorse in un piacevole
ozio, almeno così parve agli altri. Quanto a Melly, do-
veva lottare per sopprimere i brividi di eccitazione ogni
volta che gli occhi di Trent si posavano con sguardo
possessivo sul suo corpo.
Sembrava soddisfatto e sicuro di sé, certo di averla
ormai in suo potere, e questo la rendeva furiosa.
Bene, pensò con gelida determinazione, scoprirà ben
presto quanto si sbaglia.
Assorta nelle sue riflessioni, Melly perse parte della
conversazione. Una parte fondamentale, si rese conto
quando fu chiaro che Trent aveva invitato gli Horning a
cena per quella sera. Naturalmente avevano accettato,
sebbene il gridolino di Sara quando Trent propose il
nome del ristorante fosse acuto per lo shock.
«Festeggiate qualcosa?» chiese Jim con uno sguardo
tutto particolare.
Trent ridacchiò e rivolse una maliziosa occhiata alla
volta di Melly.
«Sì» rispose semplicemente senza lasciarle alcun
dubbio che ciò a cui si riferiva era la sua capitolazione.
«Sarete miei ospiti, naturalmente.»
«Ma riusciremo ad avere un tavolo? Ho sentito che
bisogna prenotare con mesi di anticipo» disse Sara mo-
strando di aver dimenticato per un attimo con chi stava
parlando.
«Le leggi del mercato sono sempre valide, anche con
i ristoranti alla moda» rispose Trent con un certo cini-
smo. «Posso usare il vostro telefono?»
«Naturalmente» rispose Jim conducendolo in casa e
lasciando con Melly una Sara mortificata.
«Ho fatto una figura da stupida, eh? No, non dirmi
che non è così. È solo che… è così adorabile, per un
momento ho dimenticato che è un capitano d’indu-
stria.»
«Be’, non credo che abbia difficoltà a comprare qual-
siasi cosa abbia bisogno o voglia» rispose Melly con
voce altrettanto cinica di quella di Trent.
«Ma non te» concluse Sara acutamente.
Melly la guardò con un sorriso amaro. «No» rispose
calma.
«È innamorato di te.» Sara parlò con assoluta sicu-
rezza. «L’ho visto. Si capisce da come ti guarda.»
«Avidamente? Sì, lo so. Era innamorato di me anche
quando ha sposato Cathy. Bell’amore!»
«Eppure, per quel che vale il mio parere, penso che
faresti bene ad abituarti all’idea di diventare la signora
Addison, perché scommetto che sono rare le cose che
vuole e che non riesce a ottenere.»
Finì affrettatamente perché gli uomini stavano ritor-
nando.
«Tutto organizzato?» chiese con voce squillante.
Era una domanda inutile, lo sapevano tutti, ma Trent
rispose. «Sì. Vi passeremo a prendere alle otto, va
bene?»
«Benissimo» rispose Sara con fanciullesco entusia-
smo. «Sono così eccitata! Indosserò il mio vestito più
bello e stupirò tutti con il mio fascino.»
«Non vedo l’ora» commentò Trent con divertito ap-
prezzamento. «Ma sono certo che non potrai essere più
bella di come sei ora.»
Sara arrossì di piacere e il suo sorriso fu spontaneo.
«Commenti come questo potrebbero farmi girare la te-
sta» gli disse spalancando gli occhioni e sbattendo le ci-
glia in una buffa parodia che li fece scoppiare tutti a ri-
dere.

Lungo la via del ritorno Melly fu insolitamente silen-


ziosa.
«Stanca?» le chiese Trent gentilmente.
Lei dapprima scosse la testa, ma poi parve cambiare
idea. «Un po’.»
«Mi aspettavo una tirata sulla mia perfidia lungo
tutto il tragitto verso casa» disse lui ridendo.
«Sarebbero energie sprecate» replicò lei.
«Sono lieto che tu abbia capito che è inutile resi-
stere.» Le coprì la mano con la sua, grande e calda, in-
trecciando le dita con quelle di lei. La strinse, poi la sol-
levò e la posò sulla sua coscia.
Melly sobbalzò al contatto del solido fascio di mu-
scoli sotto le sue dita, ricordando suo malgrado l’imma-
gine sensualmente virile che aveva visto sul bordo della
piscina.
Poi, come se fosse stata a contatto con un calore in-
sopportabile, ritirò di scatto la mano, tappandosi le orec-
chie per non udire il risolino soddisfatto di Trent.
Oh, era in gamba! Aveva usato Sara e Jim, invitan-
doli a cena perché sapeva che lei avrebbe rifiutato qual-
siasi altro invito da parte sua, rendendole così impossi-
bile rifiutare. Ma questa volta sarebbe stata l’ultima,
promise a se stessa.
Per la serata al ristorante indossò un abito di un pal-
lido color viola che, accostato all’abbronzatura dorata
del suo viso, la rendeva una seducente, sofisticata crea-
tura notturna. La maglina di seta le accarezzava morbi-
damente il seno e i fianchi, ondeggiando elegantemente
attorno alle lunghe gambe.
Si truccò con cura gli occhi e mise un rossetto di un
vivido colore scarlatto. Una spruzzata di profumo
dall’aroma esotico ed era pronta, con il cuore in gola per
l’eccitazione.
Trent le rivolse una lunga, attenta occhiata prima di
chiederle con apparente disinvoltura: «Esci con tutte le
vele spiegate, Melissa?».
Lei non rispose, ma il suo involontario gesto di esa-
sperazione non mancò di farlo ridacchiare.
Inviperita, Melly rimase in silenzio fino a quando
giunsero dagli Horning, ma poi di fronte all’entusiasmo
trascinante di Sara non poté fare a meno di mostrarsi
allegra e la serata decollò.
Il ristorante era alla moda e forniva un’atmosfera
calda e raffinata, un servizio impeccabile e una lista dei
vini all’altezza del sofisticato menu.
Per Sara il tutto fu reso ancora più eccitante dalla pre-
senza di numerose celebrità, fra cui Ryk Ward, una pop-
star americana la cui vita sentimentale era costante-
mente nel mirino della stampa.
«Ora capisco tutto» bisbigliò Sara a Melly. «È stu-
pendo, vero? Mi domando perché non ha con sé la sua
ultima fiamma, quella contessa italiana. Ehi, Mel, ti sta
guardando!» Ormai aveva bevuto quel tanto che bastava
ad allentare un po’ i freni inibitori. «Dio, è davvero
splendido! E tutta quella ardente passione è per te,
Mel.»
«Sciocchezze.» Melly non guardò nemmeno verso il
tavolo del cantante, troppo consapevole del sorriso sul
viso di Trent e del bagliore di violenza che si celava nel
suo sguardo per occuparsi di qualsiasi cantante pop, per
quanto sexy e appassionato potesse essere.
Sara ridacchiò. «Davvero, è da un po’ che ti sta guar-
dando. Mi domando se tutte le storie che raccontano su
di lui siano vere.»
«Non possono esserlo» replicò Melly con una nota di
derisione nella voce. «Nessun uomo potrebbe avere
tante energie.»
«Pubblicità» convenne Jim, lanciando un’occhiatac-
cia alla sua effervescente mogliettina. Aveva paura che
finisse con l’offendere Trent Addison.
Messa in guardia dall’occhiata di Jim, Sara piombò
nel silenzio, mortificata.
Trent le sorrise, un sorriso caldo e vagamente irri-
dente, come se lei fosse una sorellina amata e un po’
sventata. «Ti piacerebbe conoscerlo?» le chiese con
gentilezza.
Sara spalancò gli occhi per lo stupore. «Veramente?»
«Sì, certo» rispose rivolgendo a Melly un’occhiata
enigmatica. «Ho fatto degli affari con lui e ci siamo in-
contrati varie volte.»
«Accidenti!» Sara sorrise eccitata mentre Trent chia-
mava un cameriere e mandava una nota al tavolo
dall’altra parte della sala.
Dopo una rapida consultazione tra il manager della
popstar e il direttore di sala, fu approntato un tavolo per
otto dove il cantante prese posto con le tre persone che
lo accompagnavano. Trent lo raggiunse insieme ai suoi
ospiti e fece le presentazioni. Dopo una quantità di sor-
risi e di strette di mano, tutti si sedettero e Melly non si
stupì di trovarsi a fianco Trent da una parte e Ryk Ward,
che non faceva nulla per mascherare il suo interesse
verso di lei, dall’altra.
Gli occhi azzurri di Ryk erano accesi di desiderio
mentre accarezzavano il viso di lei e si percepiva che
c’era qualche forte emozione dietro la maschera triste
che indossava.
Era solo una maschera, tuttavia, per quanto inganne-
vole. Ryk era divertente, un po’ arrogante e sorrideva
benevolmente dell’entusiasmo ingenuo di Sara per
quell’insolita serata. Ryk Ward sapeva bene di far parte
dei belli; non mostrava alcun segno di presunzione, ma
conosceva il proprio valore.
E sebbene flirtasse amabilmente con Sara, era a
Melly che il suo interesse era rivolto. A lei parve di ri-
cordare di aver letto da qualche parte che di solito si te-
neva alla larga dalle donne sposate.
Stava mangiando il dolce e Trent era impegnato in
una conversazione d’affari con il manager del cantante,
quando Ryk Ward le posò una mano sulla sua, lascian-
dovela per qualche secondo.
Lei rispose al suo tacito invito con uno sguardo ge-
lido, inarcando le sopracciglia.
«Non arriverò da nessuna parte, vero?» commentò
lui.
«Spiacente.»
Lui ridacchiò. «Mi sembrava troppo bello per essere
vero.» Poi si sporse verso di lei e le disse quasi sotto-
voce: «Pensavo che tu fossi un’esca, cara. Il tuo uomo
sta trattando un affare con il mio agente; non sarebbe la
prima volta che una bella donna è usata come zucche-
rino. E lui sapeva che io sarei stato qui stasera».
Melly si morse il labbro impallidendo. «Be’, ti posso
assicurare che non è questo il caso» replicò in un sus-
surro aggiungendo senza pensarci: «Sono sicura che
Trent non lavora in questo modo».
«Oh, saresti sorpresa di sapere che cosa fa la gente
quando si tratta di soldi» commentò lui con un cinismo
che la fece rabbrividire.
Danaro… e potere. Un orrendo sospetto le attraversò
la mente e volse la testa a guardare il profilo deciso di
Trent, il naso aquilino e la bocca sottile. Lui dovette per-
cepire il suo sguardo perché si voltò a sua volta fissan-
dola con aria perplessa.
Certamente no! O Dio, ti prego, no, si augurò sen-
tendo che quel sospetto era come un pugno nello sto-
maco. Distolse gli occhi, conscia che anche Ryk la stava
osservando.
«Forse» ammise, e la sua voce era quasi calma, quasi
leggera. «Per fortuna, non mi muovo negli ambienti in
cui questo genere di comportamento è la norma.»
«Per tua fortuna» le rispose lui. «Anche se, in realtà,
cose simili accadono ovunque. Al livello del tuo uomo
le poste sono più alte, questa è l’unica differenza.»
«Detesterei essere così cinica!»
Lui sorrise con amarezza. «Oh, io ho passato i primi
ventidue anni della mia vita a fidarmi della gente. Poi
una mattina mi sono svegliato e mi sono ritrovato fa-
moso e senza un soldo. Il mio manager, grazie anche
alla mia stupida ingenuità, mi aveva derubato di tutto
quel che avevo. Ho recuperato quello che ho potuto,
cioè non molto, e da allora sto bene attento a non farmi
fregare un’altra volta. Il tuo uomo te lo confermerà: chi
si fida è uno stupido.»
«Non è il mio uomo» disse Melly rabbiosa, improv-
visamente esausta.
La risata di lui era incredula. «Ne sei innamorata, si
vede. Lui non vuole impegnarsi? Prendi tutto quello che
puoi, cara, e poi mollalo, prima che sia lui a scaricarti.
Questo ti permetterà di salvare almeno la faccia. Gli uo-
mini sono delle bestie, persino i migliori.»
Come se quelle parole fossero state un segnale, per
quanto non potesse in alcun modo averle udite, Trent
interruppe un attimo la conversazione con il manager
per dire con voce severa: «Hai perso l’appetito, Me-
lissa? Se non ti va, cambia menu».
«No» rispose lei debolmente riprendendo il cuc-
chiaio.
Da quel momento la serata fu un incubo. Sara e Jim
si stavano chiaramente divertendo molto, anche Ryk e i
suoi amici godevano un mondo a sbalordire Sara con
racconti del mondo dello spettacolo, alcuni scandalosi,
altri patetici. Melly si sforzava di partecipare, ma era
costantemente conscia della presenza al suo fianco di
Trent, che con ogni parola, gesto o sguardo avanzava i
suoi diritti su di lei, in un modo sottile ma impossibile
da ignorare. C’era un tale contrasto con il suo atteggia-
mento precedente che non poté fare a meno di chiedersi
se non avesse davvero cercato di usarla per affascinare
Ryk Ward.
Il solo pensiero di una simile infamia da parte di
Trent la faceva impazzire. Non poteva affrontarlo e così
si sforzò di rimuoverlo dalla sua mente e di essere il più
gradevole e brillante possibile.
Il suo sollievo quando la serata ebbe finalmente ter-
mine non durò a lungo. In macchina gli odiosi sospetti
tornarono ad affacciarsi alla sua mente e Melly, nau-
seata, si chiuse in un tetro silenzio.
Dopo aver lasciato gli Horning a casa, impiegarono
dieci minuti per arrivare a The Towers, e lei li passò con
la testa rivolta verso il finestrino e gli occhi che le si
chiudevano. Presto sarebbe stato Natale e sarebbe an-
data a Te Puriri dimenticandosi di Trent. In seguito con
una scusa qualsiasi si sarebbe trovata un appartamento
in compagnia di altre ragazze, così da avere una sorta di
protezione se lui fosse andato a cercarla. E infine si sa-
rebbe procurata un altro lavoro, perché non poteva an-
dare avanti così.
Ora sapeva che l’amore che aveva creduto morto era
ancora ben vivo; come una pianta nel deserto privata del
nutrimento, si era fatto sotterraneo, ma era bastata la
presenza di Trent per farlo rifiorire.
E con questo? Ciò provava solo che lei era un’idiota.
Forse era una caratteristica di famiglia. Rafe e Jennet si
erano amati in silenzio per anni prima che gli eventi co-
spirassero per costringerli ad affrontare l’argomento.
Erano stati fortunati; per lei non ci sarebbe stato lo
stesso lieto fine.
7

Fuori della porta Trent la guardò in faccia tenendole il


mento sollevato, così da impedirle di sottrarsi al suo
sguardo.
«Sembri esausta» le disse piano.
Melly alzò appena le spalle. «Ho le mie buone ra-
gioni» replicò pungente.
Lui corrugò le sopracciglia. «E con ciò che cosa vor-
resti dire?»
«Be’, la nostra seratina ha finito per rivelarsi piutto-
sto vantaggiosa per te, non è vero?»
«Oh, sì.» La sua bocca si indurì quando continuò:
«Hai le occhiaie, e siccome vedo che muori dalla voglia
di litigare, non intendo darti retta per stasera. Ci ve-
diamo domani mattina».
«Domani mattina esco.»
«Bene, passo a prenderti. A che ora?»
«Nove e quarantacinque» rispose lei secca.
«Buonanotte» le augurò chinandosi a posarle un ba-
cio dolcissimo sulla bocca.
Fu facilissimo addormentarsi. Prima di struccarsi
Melly prese una pillola di sonnifero e quando fu pronta
per andare a letto stava già sbadigliando.
La mattina dopo fu il telefono a svegliarla con una
serie di squilli laceranti che le trafissero il cervello, stra-
namente ottenebrato.
«Sì?» mugugnò nel ricevitore.
«Che diavolo ti succede? Sono cinque minuti che
faccio squillare il telefono! Stavo già per scendere.»
«Mi dispiace, non ho sentito la sveglia» rispose lei
soffocando uno sbadiglio e sollevandosi sui cuscini.
«Senti, sono le nove e mezzo. Hai ancora intenzione
di andare alla messa?»
«Come fai a sapere che era lì che…» Si interruppe,
seccata per avergli dato la soddisfazione di mostrarsi
stupita.
«Ti leggo nella mente.»
Melly sospirò. «Sì, sarò pronta in tempo. La chiesa
dista cinque minuti a piedi.»

La serenità e la pace della chiesa calmarono il suo


incipiente mal di testa e la fecero sentire meglio, ma
mentre camminava con Trent verso casa si ripromise
che non avrebbe più preso del sonnifero in vita sua. Non
intendeva affrontare un altro risveglio come quello del
mattino.
Sarebbe voluta andare direttamente nel suo apparta-
mento, ma Trent premette il bottone del suo piano e poi-
ché c’era altra gente nell’ascensore si accontentò di lan-
ciargli un’occhiata eloquente e poi di voltare la testa
dall’altra parte.
Dopo che l’ultimo inquilino fu uscito, Melly stava
per dirgli di lasciarla scendere al penultimo piano, ma
era troppo tardi. L’ascensore si fermò all’attico e lui la
fece uscire senza tanti complimenti.
Oh Dio, pensò in preda al panico, lo amo tanto!
Lui le servì la colazione al tavolo della terrazza:
succo d’arancia con una spruzzata di champagne, uova
strapazzate al caviale, toast di pane integrale e crois-
sants con vari tipi di marmellata.
«Dove hai imparato a cucinare così?» gli chiese lei
mentre i brontolii del suo stomaco le dicevano che l’ora
della colazione era già passata da un pezzo. «È una me-
raviglia. Io di solito mangio uno yogurt.»
«Lo so. Non ho un repertorio particolarmente vasto,
ma quel che faccio lo faccio bene!»
Mentre sorseggiava il tè, Melly aveva i nervi tesi.
Sentiva che lui stava attendendo solo il momento giusto
per affrontare la discussione che lei aveva tentato di ini-
ziare la sera prima.
Permettergli di condurre un litigio a modo suo, nel
suo appartamento e nel momento scelto da lui! Ebbene,
non l’avrebbe colta impreparata, pensò con un moto di
ribellione interiore.
«Guarda come sono saggio» le disse lui facendola
voltare. «Ti ho svegliata in tempo per riconciliarti con
il tuo Creatore, poi ti ho nutrita in modo che il tuo cer-
vello non soffrisse per mancanza di zuccheri…»
Lei si mosse a disagio sulla sedia, con la tentazione
di arrendersi, di dirgli che l’avrebbe sposato. Sarebbe
stato così facile cedere, così naturale!
Eppure non poteva. Una volta diventata sua moglie,
sarebbe stata legata a lui per sempre e se lui l’avesse
tradita – e c’erano tanti modi diversi di tradimento in un
matrimonio – le avrebbe strappato il cuore. Lo spirito di
conservazione ebbe il sopravvento e Melly sollevò il
viso rivolgendogli uno sguardo fiero.
«Ora» esordì lui con voce pacata. «Che cosa ha detto
esattamente Ryk Ward ieri sera per metterti così di cat-
tivo umore?»
Al ricordo dell’angoscia provata le tremarono le
mani. «Mi dispiace, speravo che nessuno l’avesse no-
tato.»
«I tuoi amici si stavano divertendo troppo per accor-
gersene, ma come sai, a me non sfugge nulla di quel che
ti riguarda. Allora, che cosa è stato, signora del mio
cuore?»
«Lui pensava che tu mi stessi usando come esca.»
Nel sole radioso di quel mattino le parole vennero fuori
dure e cattive, come i sospetti che le avevano provocate.
Sentì il colore affluirle alle gote, ma si costrinse a
guardarlo negli occhi, alla ricerca di un indizio che le
facesse capire che cosa stava pensando. Lui ricambiò il
suo sguardo con i freddi occhi grigi, del tutto privi di
emozioni.
«E tu gli hai creduto?» le chiese.
Lei si morse un labbro, poi disse con foga: «No…
Oh, come posso saperlo?».
«Gli hai creduto.»
Lei arrossì sentendosi in colpa.
«Per farla breve, io non ho manifestato alcuna pre-
tesa nei tuoi confronti, come tu invece affermi, sapendo
come la pensi in proposito; inoltre, volevo che tu e i tuoi
amici vi godeste pienamente la serata. Perciò mi sono
comportato come meglio ho potuto finché Ryk non ha
cominciato a farti delle avances. È un animale, e pur-
troppo il suo agente mi ha detto che tu corrispondi per-
fettamente al suo ideale di bellezza femminile.»
Lei impallidì, inconsapevole dello sguardo implo-
rante che gli stava rivolgendo.
Ma quando stava per chiedergli scusa, lui ebbe uno
scatto. «Oh, al diavolo! Tu non mi credi, vero? Per te io
sono solo un prepotente da disprezzare, uno che arraffa
quello che vuole senza preoccuparsi di chi ferisce.»
Lei si irrigidì mentre l’indignazione le bloccava le
scuse sulla lingua. «Sì» gli rispose con veemenza. «Se
non fosse così, mi avresti spiegato… mi avresti detto
perché… perché…»
«Perché ti ho piantata? » La sua risata fu amara, stri-
dula. «Se ti dicessi che non avevo alternative, mi crede-
resti?»
«Sì, perché il matrimonio con Cathy Durrant era
l’unico modo per poter controllare le proprietà di Sir
Peter» rispose lei aspra. «Per forza non avevi alterna-
tive. Dopotutto è il potere che ti dà la carica, no?
Quando facevi l’amore con lei come ti comportavi,
chiudevi gli occhi e ti figuravi tutto quel danaro…» Si
interruppe, spaventata dalla gelosia selvaggia che la
spingeva a dire simili volgarità, e alzò gli occhi a incon-
trare con apprensione lo sguardo di lui.
Il viso di Trent era pallido e inespressivo finché non
la guardò direttamente negli occhi. Allora lei colse la
furia nel suo sguardo e si sentì terrorizzata come non lo
era mai stata prima in vita sua. Questo era un Trent a lei
sconosciuto, in preda alle forze più istintive.
«Non l’ho mai toccata» disse muovendo appena le
labbra, così piano che lei dovette fare uno sforzo per
udirlo.
La rabbia era l’unica difesa che le restava per fron-
teggiare la tempesta di emozioni che aveva provocato.
Intrecciando le dita tremanti in grembo, disse con aria
di sfida: «E perché avresti dovuto? Avevi ottenuto quel
che volevi, no? O era lei che ti rifiutava?».
«Quello che volevo eri tu» ribatté lui con voce pau-
rosamente atona. «E ora ti avrò.»
Per un momento Melly pensò di non aver sentito
bene, ma un’occhiata al suo viso le tolse ogni illusione.
La stava guardando con desiderio e con negli occhi
un’amara determinazione.
Vincendo l’istinto di fuggire in preda al panico,
Melly aprì la bocca per parlare, rendendosi conto solo
allora che era troppo spaventata per profferire parola.
Sentì una sensazione di nausea comprimerle lo sto-
maco.
«Trent» formularono le sue labbra quando lui si av-
vicinò posandole una mano sulla nuca.
«Ho aspettato troppo» mormorò lui. «I desideri a
lungo repressi diventano ossessioni e gli uomini in
preda alle ossessioni sono pericolosi, Melissa. Intendo
averti, ora.»
«No!» disse lei in un singulto, cercando di allonta-
narlo con mani che erano prive di forza.
Senza esitazioni lui la tirò in piedi, la bocca ancora
incurvata in quel sorriso amaro. «Sì» sussurrò attiran-
dola a sé. «Sì, amore mio dolcissimo.»
Quando la sua bocca si posò su quella di lei, Melly
gemette, sentendo sorgere una lenta, inesorabile, istin-
tiva risposta in ogni cellula del suo corpo. «Questa è una
violenza» sussurrò quando lui la costrinse a reclinare la
testa e a offrire ai suoi baci la pelle liscia del collo.
Trent non disse nulla, ma le sue braccia la serrarono
con più forza, mentre le sue labbra calde lasciavano una
scia infuocata sulla sua gola pulsante di desiderio.
Melly sentì un’ondata di calore diffondersi nelle
membra, salirle al viso, al seno premuto contro il solido
petto di lui.
Riuscendo a stento ad articolare le parole, gli disse
con voce roca: «Se tu mi amassi non mi faresti questo,
Trent. Non potresti!».
Era l’unica arma che potesse usare contro di lui e lo
fece con la forza della disperazione. Ma ormai lui aveva
vinto e lo sapeva.
«È troppo tardi» mormorò. «Troppo tardi, Melissa.
Non era così che ti volevo, ma se questo è l’unico modo
per averti, ebbene, che sia.»
Quando si chinò nuovamente a baciarla, ogni resi-
stenza svanì definitivamente dalla mente di Melly, or-
mai solo in grado di registrare gli impulsi che le trasmet-
tevano i sensi eccitati.
Si sentiva forte, vibrante di desiderio, e un fremito
mai provato prima la percorse quando le mani di lui le
fecero scivolare dalle spalle il vestito, che si ammucchiò
ai suoi piedi con un fruscio.
«Oh, Dio, sei così bella!» sussurrò lui con voce roca
e, dopo un breve indugio, la prese tra le braccia per por-
tarla in camera da letto. «È da tanto tempo» le disse
prima di chinarsi a baciarla. «Da tanto tempo, tesoro
mio…»
Lei non capì che cosa volesse dire, non le importava.
Era troppo occupata a sfilare la camicia dalle sue spalle
muscolose, a esplorare con mani improvvisamente au-
daci il suo torace virile.
Quando la sentì armeggiare con la fibbia della sua
cintura, Trent emise un suono gutturale e si liberò del
resto degli abiti. Poi con mani febbrili finì di spogliarla
e per un attimo restò a fissarla con una intensità quasi
abbacinata.
Fino a quel momento aveva mantenuto un certo con-
trollo ma ora, come se fosse stata innescata la miccia di
un’esplosione, mormorò poche parole inintelligibili e la
prese senza ulteriori preamboli, libero da ogni freno ini-
bitore.
Per un attimo Melly sentì dolore, ma poi un ritmo
primitivo, istintivo, la pervase, fino a culminare in
un’ondata di piacere indicibile, che la rese cieca e sorda
a tutto ciò che non fossero le sue reazioni.
Forse svenne. Forse dormì. Quando la sua mente
tornò a essere pienamente cosciente, la prima cosa di
cui si rese conto fu che il tum tum nella sua testa era il
battito del cuore di Trent. Lei giaceva con il capo sulla
sua spalla, con il corpo completamente abbandonato
contro quello di lui e una mano sul suo petto.
Lentamente la sua estasi si trasformò. Un senso di
vergogna le incupì gli occhi unito alla rabbia nei con-
fronti di se stessa per aver reagito come… come una
donna innamorata, ammise.
Misteriosamente lui diede voce ai suoi pensieri di-
cendo dolcemente: «E ora dimmi che non mi ami».
Fu doloroso rispondergli con voce aspra: «È stato
solo sesso».
«Solo sesso?» Trent scoppiò in una risata sardonica.
«Se fosse stato solo sesso, ogni uomo che ti guardasse
con occhi libidinosi potrebbe farti provare le stesse sen-
sazioni. Pensi che Ryk Ward avrebbe potuto provocare
la stessa risposta da parte tua?» Lui avvertì il brivido di
disgusto che la percorse e disse: «Perché mi hai lasciato
pensare di aver avuto altri uomini?».
«Che importanza ha? Mi avresti lasciata stare se
avessi saputo che ero vergine?»
Lui ci pensò per qualche secondo prima di rispon-
dere. «No. No, non dispongo di un controllo sovru-
mano. Ti desideravo troppo. Ma avrei potuto essere più
gentile. Avresti potuto apprezzarlo di più.»
Lei quasi rise. «Non avrei potuto…» Si bloccò. Non
riusciva a pensare a niente di più esaltante di quella tem-
pesta di sensazioni, di quell’appagamento totale di de-
sideri e bisogni che lei stessa ignorava di avere.
Quanto al suo autocontrollo, Trent doveva possedere
freni estremamente efficaci se aveva resistito alla sen-
suale bellezza di Cathy. Non dubitava che le avesse
detto la verità su di lei. Conosceva la sua forza di vo-
lontà.
Si morse un labbro, poi con una voce così piatta che
era impossibile cogliervi il minimo interesse, gli chiese:
«Da quanto tempo?».
Lui capì immediatamente. «Da circa un mese dopo
averti incontrata la prima volta.»
Lei non poteva crederci e per la sorpresa alzò la testa
di scatto a guardarlo negli occhi. «Che cosa?»
Lui sorrise. «Non mi credi? È vero, te lo assicuro.
Quando ti ho incontrata, frequentavo una donna
molto… disinibita. Nel giro di poco tempo, molto poco,
l’attrazione che provavo verso di lei svanì. Un mese
dopo che ti avevo incontrata decidemmo che ci sa-
remmo visti solo come amici, nulla di più. E dopo di
allora non c’è stata nessun’altra.»
Melly incontrò i suoi occhi chiari.
«Non mi credi?» chiese lui dolcemente, mentre la sua
mano scivolava dalla spalla di lei per seguire la dolce
curva della sua schiena.
Quel tocco lieve la fece fremere.
«Sì» mormorò cercando di sottrarsi a quella carezza
insinuante.
Immediatamente lui la strinse con forza a sé. «No,
non farlo» le disse con voce roca. «Questo è il tuo posto
e tu ci starai finché deciderò di lasciarti andare. Dovessi
impiegarci mesi, ti farò fare l’amore finché ammetterai
di amarmi.»
La sua prepotenza la fece infiammare. «E tu?» do-
mandò con tono d’accusa.
«Io cosa?»
«Immagino che io dovrei amarti mentre tu mi riservi
i ritagli di sentimento che si salvano dalla tua quotidiana
battaglia per il potere. È la caccia che ti affascina, vero,
l’inseguimento della preda? Se perdessi la testa per te
un’altra volta e mi innamorassi, che cosa accadrebbe
poi?»
«Oh, Dio!» L’esclamazione di Trent aveva la tipica
intonazione indignata degli uomini. «Stai per caso chie-
dendomi se ti amo? Sciocca che non sei altro, ma certo
che ti amo. Venero la terra dove metti i piedi! Da sem-
pre! Quando ti guardo mi sento sciogliere, le mie ossa
si rammolliscono, i miei nervi diventano elastici. Me-
lissa, io…» Volse la testa sfiorandole i capelli con le
labbra. «Come devo dirtelo?» chiese con tono implo-
rante. «Sei tutto ciò che ho sempre desiderato.»
Per un istante lei gli credette. Sembrava sincero;
c’era una nota di commozione nella sua voce che le
toccò il cuore. Ma solo per un istante.
«Sembra tutto molto bello, Trent» replicò fiera. «Ma
tu dimentichi che mi hai detto questo, o qualcosa di
molto simile, la sera prima di mettermi sull’aereo per
l’Europa. Un mese dopo leggevo una tua lettera in cui
mi dicevi che speravi che io non avessi dato troppa im-
portanza a una dichiarazione fatta nell’entusiasmo di un
momento.»
Melly pensava che la rabbia nascondesse la dispera-
zione che aveva provato nel leggere quelle crude, orri-
bili parole, ma lui gemette: «Lo ricordo, pensavi dav-
vero che l’avessi dimenticato? Speravo che avresti tro-
vato… no, dannazione, non speravo che avresti trovato
un altro uomo, la sola idea mi faceva impazzire, ma ho
pensato di doverti dare una possibilità. Ho scritto esat-
tamente il tipo di lettera che pensavo ti avrebbe indotta
a odiarmi».
«Ci sei riuscito» replicò aspra. Una parte di lei si do-
mandava come potesse mentirgli così, con il viso ap-
poggiato sul suo petto, avvolta dal calore confortante
del suo corpo.
«Melissa, tesoro, mi hai creduto quando ti ho detto
di non aver mai fatto l’amore dopo che ti ho incontrata.
Perché non puoi credermi adesso?»
«Perché tu non mi hai detto niente!» gemette lei
prima di potersi frenare.
La mano di lui si mosse carezzevole sulla sua
schiena, giungendo a toccarle la base della nuca, sotto i
riccioli scuri. Melly rabbrividì di eccitazione mentre il
dolore, la rabbia, la determinazione si dissolvevano in
un’estasi erotica.
«Non farlo» lo implorò. «Non posso pensare quando
mi tocchi. Perché non vuoi dirmelo?»
«Perché non mi crederesti» sussurrò lui in risposta
voltandosi verso di lei in preda alla stessa eccitazione.
«No!» ansimò lei tirandosi su agitata. «Non ti per-
metterò di guadagnarti la mia fiducia con la seduzione!
Non sono più così stupida!»
Lui rise divertito. «Allora dovrai deciderti ad amarmi
senza seduzione, perché io ti voglio, voglio il tuo cuore,
il tuo cervello, il tuo corpo appassionato, e non mi im-
porta come li otterrò. Tu mi appartieni, Melissa, ogni
parte di te mi appartiene.»
Quando lei si divincolò per sottrarsi al suo abbraccio,
lui la prese per la vita e la sollevò contro di sé. Lei emise
un gemito… e in quel momento squillò il telefono, insi-
stente, invadente in quell’atmosfera surriscaldata. Trent
imprecò, trattenendola con una mano mentre con l’altra
si allungava a prendere il ricevitore.
«Chi… oh! Sì. Sì.» Corrugò la fronte, poi con voce
rassegnata e indulgente disse: «Ne sei sicura, stavolta?
Nessun isterismo?».
Era una donna. Al suono di quella voce acuta ed esi-
gente Melly si irrigidì, sentendosi invadere dalla gelo-
sia.
«Va bene» concluse Trent. «Sarò da te fra pochi mi-
nuti.»
Posò il ricevitore e per alcuni secondi rimase disteso
a fissare il soffitto. Era doloroso sentire la passione eva-
porare dal suo corpo che solo pochi momenti prima bru-
ciava di desiderio; con voce piatta, volutamente priva di
emozione lei chiese: «Cathy?».
«Cathy» rispose lui con un mezzo sospiro. «Sua
nonna sta male e lei è in preda al panico.»
«E così ti chiama e tu ti precipiti.» Si sentì sporca,
umiliata; era come se la sua ex moglie avesse dei diritti
prioritari su di lui e li stesse esercitando per dimostrare
quanto poco lei significasse nella sua vita. Il fatto che
questi sentimenti fossero del tutto irrazionali non li ren-
deva meno intensi o più sopportabili.
«Ha solo ventun anni» disse lui indulgente. «E non
c’è nessun altro.»
«Deve essere davvero sola per appoggiarsi all’uomo
che l’ha usata e poi l’ha respinta!»
Lui le prese il volto tra le mani e per un momento lei
ebbe paura. Poi lui sorrise, un sorriso tirato e stanco, e
le baciò le labbra pallide, mentre i suoi occhi penetranti
vedevano l’angoscia e l’incertezza nascoste dietro la
rabbia di lei.
«È sola, Melissa, più sola di quanto tu sia mai stata.
Sua nonna è l’unica persona al mondo che lei ama,
l’unica che l’abbia amata di un affetto non egoistico.
Cathy si aggrappa a lei, e a me, perché ha il terrore di
essere lasciata sola di nuovo. Non riesci a capirlo? Tu
hai sempre avuto la sicurezza dell’amore della tua fami-
glia. È troppo chiederti di avere un minimo di indul-
genza per una ragazza che è stata così viziata e così poco
amata da aver perso ogni sicurezza in se stessa?»
Melly si sentì meschina e cattiva e sentì la sua gelosia
svanire sommersa dal rimorso.
«Mi dispiace» si scusò posando il capo sulla spalla
di lui.
Lui le sorrise e la sua voce era piena di dolcezza e di
tenerezza quando le parlò. «Dispiace anche a me. Cathy
ha un talento tutto speciale per scegliere il momento
sbagliato. Devo andare, dolcezza del mio cuore.»
8

Tornata nel suo appartamento, Melissa si fece una tazza


di caffè riflettendo sul fatto che, dopo la telefonata di
Cathy, si sentiva come un’amante scaricata non appena
la moglie legittima si fa viva.
Cercando di fare ordine nella sua mente, Melly riper-
corse gli avvenimenti della mattina, arrossendo nel rie-
vocare il modo in cui lui l’aveva posseduta.
Eppure, nonostante l’irruenza di Trent, da parte sua
c’erano state anche generosità e dolcezza. Finalmente,
ora che lui si era impadronito del suo corpo nel più pri-
mitivo dei modi, era costretta ad ammettere che il suo
desiderio per lei aveva radici nell’amore. E questo fatto
la sgomentava.
Finché era stata convinta che lui la desiderasse sol-
tanto, le sue emozioni erano state facilmente controlla-
bili. La forte attrazione fisica fra loro era solo questo,
sensualità, pulsione istintiva di un uomo verso una
donna.
Ma ora che doveva accettare la realtà di un senti-
mento più serio e complesso era spaventata a morte per-
ché, amandosi reciprocamente, si sarebbero sposati. E
lei lo avrebbe amato con tutto il fervore di una donna a
lungo privata dell’amore, lo avrebbe amato… e avrebbe
passato la vita a chiedersi se poteva fidarsi di lui. Ogni
nuovo ostacolo e ogni crisi nella loro vita avrebbero
avuto un impatto maggiore, perché poteva essere quello
che li avrebbe separati.
«Non mi importa» sussurrò. «Non mi importa… lo
amo.»
Quando il telefono squillò, lei lo stava aspettando.
«Melissa?» disse Trent con voce stanca. «Ho paura
che dovrò passare qui la giornata.»
«Lady Durrant?»
«Ha un brutto attacco di asma e qualcuno deve rima-
nere con Cathy.»
Sebbene la sua mano serrasse con forza il ricevitore
nell’udire la nota di affetto e preoccupazione per Cathy
nella voce di lui, Melly dovette ammettere che la sua
sollecitudine per la ex moglie era stranamente commo-
vente. Con voce piatta rispose: «Sì, naturalmente».
«Cara, non avrei voluto questo. Vorrei tanto essere
con te. A presto, tesoro, ci vediamo stasera quando
torno.»
Riappese prima che lei potesse fare in tempo a repli-
care qualsiasi cosa.
Ma quando stava ormai per andare a letto il telefono
squillò di nuovo.
«Non posso tornare» disse Trent bruscamente.
«Penso che stia morendo.»
«Oh, Trent!» esclamò lei sentendo svanire la gelosia
che l’aveva tormentata gran parte del pomeriggio. «Mi
dispiace. C’è qualcosa che possa fare?»
«No. Solo ricordare che ti amo.»
La morte di Lady Durrant riempiva i giornali del
mattino dopo. Triste, Melly ne lesse la notizia durante
la colazione e preparandosi ad andare al lavoro non poté
fare a meno di chiedersi di quanto conforto avrebbe
avuto bisogno Cathy adesso.
Le ci volle tutto il percorso in autobus fino all’ufficio
per togliersi dalla mente quel pensiero angosciante e
Melly fu contenta che il lavoro la tenesse occupata.
Sfortunatamente, attraverso canali misteriosi ma ef-
ficienti come sempre, in ufficio si era sparsa la notizia
che Trent era con Cathy. Susan Field si mostrò così
avida di particolari, tanto che Melly rifiutò l’invito a
pranzare insieme adducendo il pretesto di dover fare ac-
quisti.
In qualche modo la giornata passò, solitaria come
quelle che seguirono. Trent non era tornato a casa – ne
era sicura – dal giorno in cui l’aveva sedotta, né le aveva
telefonato.
Solo un altro esempio di quanto poco lei contasse per
lui. Nemmeno a se stessa osava confessare il suo biso-
gno di rassicurazione e conforto. Lui aveva risvegliato
in lei energie e impulsi del tutto nuovi, e ora lei era
preda di desideri mai provati prima. Di notte giaceva
sveglia con gli occhi gonfi di lacrime mentre dentro il
risentimento le pesava sul cuore.
Quel fine settimana andò a Te Puriri prendendo un
volo economico il venerdì sera e ritornando il lunedì
mattina presto con Rafe, che la riportò con un piccolo
aeroplano che teneva giusto per queste occasioni.
La lasciò al lavoro e andò a incontrarsi con i suoi av-
vocati e consulenti, i membri della struttura che curava
e rendeva proficui gli interessi degli Hollingworth. Il la-
voro l’avrebbe trattenuto ad Auckland parecchi giorni.
«Perché non vieni anche tu, Jennet?» aveva chiesto
speranzosa Melly alla sorella.
Lei aveva scambiato una lunga occhiata con Rafe.
«Perché sono incinta» aveva confessato poi con un sor-
riso radioso. «Ho un po’ di nausea ed è meglio che non
voli.»
La notizia era stata motivo di gioia e di festeggia-
menti, ma in definitiva il fine settimana, per quanto pia-
cevole, non aveva fatto che esacerbare l’acuta tristezza
di Melly.
Il suo stato d’animo non era sfuggito ai suoi cari. Du-
rante il volo di rientro Rafe le aveva chiesto: «Che cosa
c’è che non va, cara?». Per molti anni il fratello era stato
l’unica persona di cui poteva fidarsi, ma le circostanze
della loro infanzia avevano insegnato a entrambi a es-
sere autosufficienti. Per quanto lo amasse e per quanto
sapesse di poter contare sul suo affetto, non poteva più
confidarsi con lui.
«Voglio la mamma» gli aveva risposto ironica, ma
con un tono che lui non poteva fraintendere.
Dopo un’occhiata carica d’affetto le aveva detto:
«Non posso più prometterti di sistemare ogni cosa, ma
posso garantire una spalla su cui piangere e niente criti-
che».
«Lo so.» Melly era commossa e la sua voce era roca
quando aveva continuato. «Ti voglio tanto bene, Rafe.
Se ci fosse qualcosa che tu potessi fare, te lo chiederei,
credimi. Ma questa volta devo cavarmela da sola.»
Non si era mai sentita così sola e priva di punti di
riferimento, ma la presenza di Rafe in quei giorni aveva
fatto una grossa differenza. Anzi, il fatto che lui le fosse
accanto le aveva dato un tale conforto che aveva comin-
ciato a capire come mai Cathy si aggrappasse così di-
speratamente a Trent.
La sera prima del suo ritorno a Te Puriri lui le aveva
detto: «In un momento di follia ho promesso di andare
a una festa dai Wetherall. Ti andrebbe di venire?».
«Oh, no…» Melly si era fermata, poi aveva fatto
spallucce. «Perché no?» si era corretta. «Non sono mai
stata a una delle loro feste. Sono piuttosto sfrenate, a
quanto dicono.»
Lui aveva ridacchiato. «Come accade a tutti, gli anni
li hanno calmati parecchio. Porterei mai la mia sorellina
a una festa sfrenata?»

Fiona e Peter Wetherall formavano una coppia la cui


fondamentale insicurezza si manifestava nell’inces-
sante inseguimento dell’ultima moda. Riuscivano tutta-
via a non rendersi ridicoli grazie a una certa dose di
buonsenso e di umorismo, che li salvava dagli eccessi.
Melly aveva sentito parlare delle loro feste con ac-
centi scandalizzati, ma le bastò guardarsi intorno per
scoprire che i pettegolezzi erano più interessanti della
realtà.
C’era gente di tutti i tipi e vestita nelle fogge più
strane. C’erano personalità del mondo della televisione
e della moda, e una scrittrice il cui ultimo libro aveva
rappresentato un grosso successo di vendite in America.
E c’era Trent, con il braccio intorno alla vita di Cathy
Durrant, la quale levava verso di lui un visino pallido e
dolcemente malinconico.
Dopo i primi incredibili secondi, Melly si comportò
molto bene. Sorrise e continuò a chiacchierare tenendo
in mano con grazia un bicchiere di vino bianco. Cercò
di apparire del tutto disinvolta, ma in seguito non riuscì
a ricordare una parola di quel che aveva detto e quando
incontrò lo sguardo di Rafe vi lesse preoccupazione, se-
gno che lui aveva capito perfettamente l’origine di
quella tensione.
Doveva accadere, naturalmente, ma quando udì la
voce di Trent alle sue spalle, il cuore le balzò in gola e
non riuscì a muoversi. Accanto a lei Rafe voltò la testa;
i due uomini si fissarono aggressivi per qualche secondo
finché Melly trovò il coraggio di affrontare Trent, fis-
sandogli in faccia due occhi freddi e apparentemente
privi di emozioni.
«Salve, Trent» gli disse con voce stranamente ferma.
Lui distolse lo sguardo da Rafe e le sorrise con il suo
tipico sorriso da pirata. «Sei… splendida» le disse dopo
una lunga occhiata d’apprezzamento alla sua figura,
evidenziata dall’abito di jersey color cremisi che le la-
sciava scoperta una spalla. «Vieni a ballare.»
Lei sorrise con disinvoltura. «E Cathy? Non sei ve-
nuto…»
«Oh, lei è con il suo ragazzo» rispose lui, consape-
vole dell’ostilità di Rafe.
Senza ulteriori proteste lei lo seguì, tremando quando
il suo braccio le circondò la vita e i loro corpi si tocca-
rono.
«Rilassati» le mormorò dolcemente, chinando la te-
sta a sfiorarle le tempie con le labbra. «Che cosa hai
fatto dall’ultima volta che ci siamo visti? Ti sono man-
cato?»
In quel momento lei sentì di odiarlo e l’emozione
rese i suoi occhi cupi e tempestosi.
«Ti avrei telefonato, ma ho preferito non farlo. Non
avrei potuto dirti quel che volevo al telefono.»
«E cioè?»
Trent chinò la testa e sussurrò vicino al suo orecchio:
«Che mi sei mancata, che avevo bisogno di te e ti desi-
deravo giorno e notte. Che udire la tua voce è un dolce
tormento e i giorni senza di te sono amari e intermina-
bili».
Lei rabbrividì d’emozione a quelle parole appassio-
nate e fece uno sforzo tremendo per restare rigidamente
scostata da lui. Si guardò intorno e subito trovò gli occhi
azzurri di Cathy Durrant, in cui la perplessità non celava
una sorta di rabbioso stupore.
Fu come essere gettata in un mare di ghiaccio. Con
voce dura disse: «La tua ex moglie si domanda certo che
razza di storie mi stai raccontando. Non sembra esatta-
mente soddisfatta».
«È viziata e possessiva, ma sa di non avere diritti su
di me» replicò lui brusco.
«Mi sembrava che avessi detto che era sconvolta
dalla morte di sua nonna.»
«Non farti ingannare dall’apparenza. Ha dovuto im-
parare a nascondere i suoi sentimenti. Ma abbiamo do-
vuto insistere in due, il suo fidanzato e io, per persua-
derla a uscire stasera, perché lei pensava che sarebbe
stata una mancanza di rispetto verso la defunta.» Si
voltò a guardare Cathy che stava parlando con la pa-
drona di casa, poi aggiunse: «Non si sta esattamente di-
vertendo, Melly».
«Nemmeno io» replicò lei trattenendo il respiro. «E
neanche tu, Trent. Tutto questo non può funzionare, non
lo capisci?»
«No» rispose lui senza esitazione, stringendola a sé
in un abbraccio più tenero che passionale. «Mio dolce
amore, so perché ce l’hai con me, capisco i tuoi senti-
menti, ma non permetterò che i tuoi scrupoli e la tua
paura rovinino l’unica cosa bella della mia vita.»
«Come puoi dire questo?» La voce di lei era incre-
dula. «Se io ti chiedessi di rinunciare a tutto per me, di
abbandonare il tuo lavoro, lo faresti?»
Percepì la tensione che irrigidiva il corpo di lui e in-
duriva i suoi lineamenti. «È questo che vuoi che fac-
cia?» le chiese senza alcuna enfasi.
Lei scosse la testa. «Certo che no. Non ho il diritto di
chiederti un simile sacrificio, e poi troppa gente dipende
da te per il suo lavoro. E tu ami il tuo lavoro, vero,
Trent?»
«È stata l’unica cosa che mi ha permesso di conser-
vare la mia sanità mentale in questi anni» ammise lui
laconico. «Ma anche se lo odiassi, non potrei abbando-
nare tutto. L’ho promesso a Sir Peter.»
Lei scosse la testa esausta. «Te l’ho detto, non te lo
chiederei mai. Ti inaridiresti e moriresti senza le conti-
nue sfide che la tua attività ti impone. Non ho il diritto
di pretendere questo da te.»
«Mi conosci così bene. Ci conosciamo così bene,
Melissa, dalla prima volta che ci siamo incontrati. Per-
ché non ti lasci guidare dal tuo cuore? Basterebbe che ti
fidassi di me quando ti assicuro che non ti farei mai del
male. Quell’ultima volta è stato come strapparmi il
cuore dal petto. L’ho fatto perché tu eri via; non avrei
potuto guardarti in faccia e dirti quello che ti ho scritto.»
Esitò, poi con voce roca per l’emozione aggiunse:
«Forse, se tu fossi stata qui, non sarei stato nemmeno
costretto a farlo».
Melly si morse il labbro, combattuta fra l’angoscia e
l’amarezza da cui era oppressa. «Scusami» disse, senza
sapere esattamente di che cosa si stesse scusando.
«Sembri esausta.» La voce di Trent era priva di co-
lore. «Dovresti essere a letto. Quanto si ferma ancora ad
Auckland tuo fratello?»
Ricordandosi solo allora della presenza di Rafe, lei si
guardò intorno per cercarlo nell’enorme locale, finché
lo vide che parlava con un uomo più anziano, le spalle
appoggiate alla parete.
«Riparte domani» gli rispose con voce soffocata.
«Trent, io… non voglio più rivederti. Ti prego, non in-
sistere, o sarò costretta a lasciare Auckland.»
Lei sentì i muscoli tendersi sotto la mano, poi rilas-
sarsi.
«Molto bene» rispose lui sostenuto, aggiungendo
con un mesto sorriso: «Non voglio farti ancora del male,
tesoro; è quello che ho fatto finora, vero?».
Lei si sentì stringere il cuore. «Non funzionerebbe»
disse confusa, sentendo la bocca arida. «Era… era de-
stino che finisse così fin dall’inizio. Oh Dio, sto tirando
in ballo un sacco di luoghi comuni. Dov’è Rafe?»
«Ti accompagno da lui.»

Mezz’ora dopo Melly era a letto cercando di soffo-


care il rumore dei suoi singhiozzi nel cuscino. Non sentì
la porta che si apriva e solo quando lui le mise la mano
sulla spalla, si accorse della presenza del fratello.
Rafe aspettò con pazienza che i suoi singulti cessas-
sero, poi le disse: «Non faresti meglio a spiegarmi tutto?
Sfogarti ti farebbe bene».
In silenzio Melly si rizzò a sedere e, dapprima esi-
tando, poi con voce sempre più sicura, gli raccontò ogni
cosa.
«Capisco» disse Rafe quando ebbe finito, e per un
lungo momento nella penombra della stanza ci fu il si-
lenzio. «Non hai mai pensato che potresti sbagliarti,
Melly?»
Lei sospirò. «L’ho desiderato tante volte, ma quale
altro motivo avrebbe avuto per sposarla?»
«Oh, me ne vengono in mente parecchi» rispose Rafe
alzandosi e mettendosi a passeggiare per la stanza. «Il
ricatto, per esempio. Il vecchio Sir Peter era un uomo
duro e Cathy era la sua unica debolezza. Potrebbe aver
cercato di assicurarle un futuro e deciso che Addison era
l’uomo giusto.»
Melly sorrise amara. «Credi onestamente che Trent
sia tipo da cedere ai ricatti?» gli chiese.
«No, cara, ma nemmeno riesco a vederlo sposare Ca-
thy Durrant per interesse. Non dimenticare che lo cono-
sco dai tempi della scuola e il carattere di un uomo non
cambia così radicalmente. È sempre stato ambizioso ma
leale. E non dimenticare anche che Sir Peter aveva un
potere immenso, non gli sarebbe stato difficile fare
pressione su di lui fino a costringerlo a piegarsi. Sai an-
che tu come vanno queste cose.»
Una parte di Melly avrebbe voluto credergli, aggrap-
parsi alla sua soluzione, ma…
«E perché non dirmelo? Si è rifiutato di darmi qual-
siasi spiegazione.»
«Forse vorrebbe che tu ti fidassi di lui senza essere
costretto a darti prove inconfutabili della sua buonafede.
In fondo, tra persone che si amano la fiducia è fonda-
mentale e noi Hollingworth spesso misuriamo le per-
sone in base a standard difficilmente raggiungibili. Ho
quasi perso Jennet perché ero restio ad accordarle la fi-
ducia che chiedeva da me. E se l’avessi persa, Melissa,
la mia vita sarebbe stata un inferno.» Fece una pausa,
poi continuò: «Chiediti che cosa sarebbe la tua vita
senza Addison».
«Prima ero sola» rispose lei con voce fattasi dura.
«Ero abbastanza felice.»
«Lo eri?»
Lei abbassò gli occhi sulle lenzuola. «No» rispose in
un sussurro.
Rafe le si avvicinò e la baciò su una guancia. «Non
faresti meglio ad ammettere che lo ami disperatamente?
Oh, lo so, hai paura, temi di soffrire, di non essere più
padrona dei tuoi sentimenti. Ma negarsi alla vita è da
vigliacchi, Melly. E tu non sei una vigliacca.»
La lasciò con quelle parole e a lei non restò che ri-
muginarci sopra finché si addormentò esausta.

Quando la mattina dopo si svegliò, la sua mente


aveva già trovato rifugio nel comodo rifiuto di ogni ri-
schio. Non è da codardi cercare di proteggersi, decise,
ostinatamente convinta di avere tutto il diritto di sospet-
tare di chi l’aveva già tradita una volta.
Uscì per andare al lavoro, determinata a far capire
chiaramente a Trent che non c’era futuro per loro. Ma a
quanto pareva, lui doveva essere giunto alla stessa con-
clusione e quando, passata la settimana, si convinse che
non avrebbe cercato di contattarla, si sentì prendere
dalla disperazione.
Sapeva che era tornato nel suo appartamento; a volte
vedeva la macchina nel parcheggio, e spesso, tornando
dalle corse con cui cercava di liberarsi del senso di fru-
strazione, i suoi occhi notavano la luce accesa nelle
stanze dell’attico.
A mano a mano che le settimane passavano e il Na-
tale si avvicinava, cominciò a rendersi conto che, nono-
stante le feste e le serate alle quali amici e conoscenti la
invitavano spessissimo, Auckland era solitaria quanto
Londra.
Si sforzava di tirare avanti stoicamente, dicendosi
che era già passata una volta attraverso tutto questo e ne
era uscita. Ma allora non era ossessionata dal ricordo
dei baci ardenti, delle carezze sensuali con cui lui aveva
risvegliato i suoi sensi fino all’estasi vertiginosa in cui
i loro corpi si erano fusi in uno.
Oh, ora conosceva la disperazione, la rabbia, ma an-
cora più tormentosa, la sensazione di essere incompleta,
una persona a metà.
La combatté, paurosa della dipendenza da lui, rifiu-
tandosi ostinatamente di ammettere che aveva bisogno
di lui in tutti i sensi, a parte il desiderio sessuale, e che
anche questo desiderio aveva radice nell’amore.
9

Una domenica mattina in cui il peso dei ricordi si era


fatto particolarmente insopportabile, Melly uscì a pas-
seggiare lungo il viale ombroso che conduceva al parco.
La giornata era calda e l’estate australe riempiva l’aria
di fragranti profumi, ma la vitalità della natura non fece
che ricordarle quanto la sua vita fosse invece priva di
calore. Desolatamente triste, camminò senza meta per
un po’, lottando per ricacciare le lacrime che le anneb-
biavano gli occhi ogni volta che il filo dei pensieri e dei
ricordi le evocava immagini che appartenevano ormai a
un passato sepolto: il sorriso rapace di Trent, il suo
corpo forte e agile, le sue braccia che la stringevano con
passione o tenerezza.
A risvegliarla da quello stato di assorta autocommi-
serazione fu il suono lacerante di un clacson a pochi
centimetri da lei, seguito da uno stridere di freni. Ebbe
la visione fugace di una massa di capelli rossi e di una
donna che la fissava a bocca spalancata dal sedile del
passeggero, poi con un balzo istintivo si ritrasse e si
fermò tremante sul marciapiede mentre Trent accostava
e fermava la macchina.
Passivamente aspettò che lui uscisse dall’auto sbat-
tendo la portiera e tornasse verso di lei con il suo passo
elastico, mentre Cathy si voltava sul sedile a osservare
la scena.
«Piccola stupida!» la aggredì con un’espressione
sconvolta afferrandola per le spalle e scuotendola.
Melly non reagì, conscia che entrambi dovevano
smaltire in qualche modo la scarica di adrenalina dovuta
alla tensione.
«Stai bene?» le chiese lui guardandola con occhi ap-
prensivi. «Oh, Dio, ho creduto…» Si interruppe e la
strinse a sé con tale forza che lei poteva sentire la ten-
sione in ogni muscolo del suo corpo vigoroso e i battiti
del suo cuore a poco a poco rallentare e riprendere il
ritmo che lei conosceva, lento e regolare. Sarebbe vo-
luta restare così per sempre.
Ma lui la allontanò e quando lei alzò gli occhi, il suo
sguardo era quello di sempre, freddo e arrogante.
«La prossima volta, ricordati di guardare prima di at-
traversare la strada» le disse senza enfasi.
«Mi dispiace, io… il sole mi ha accecata» balbettò
lei scossa.
«Allora comprati un paio di occhiali da sole.» Sorrise
senza calore. «E togliti il paraocchi, Melissa, prima che
ti faccia perdere per sempre tutto quello che ti sta a
cuore.»
Non stava parlando dell’incidente di poco prima e
Melly non faticò a capire l’allusione.
«Oh, io non indosso mai il paraocchi. Forse è questo
il mio problema, ci vedo troppo bene.»
«Coloro che amano la loro cecità…» L’ironia indurì
ulteriormente il sorriso di lui, mentre i suoi occhi in-
quieti esploravano i lineamenti di Melly soffermandosi
sulla curva della bocca per poi seguire la linea slanciata
del collo fino al seno. «E tu la ami, vero? Tu coccoli la
tua cecità e i tuoi pregiudizi con un fervore degno di
miglior causa.»
Per un istante lei provò una maligna soddisfazione
nel rendersi conto che lui la desiderava. Un sorriso for-
zato le incurvò le labbra. «E indovino quale sarebbe
questa causa» gli disse sarcastica facendo un passo in-
dietro.
«Trent, dobbiamo davvero andare.» La voce di Ca-
thy, a pochi passi da loro, li colse entrambi alla sprov-
vista. «Ciao, Melly.»
«Cathy.» Fu tutto ciò che riuscì a dire, senza nem-
meno tentare di sorridere.
La ragazza nascose abilmente la sua curiosità.
«Scusa, ma Trent e io abbiamo un appuntamento. Fa-
remo tardi» aggiunse quando Trent non disse nulla.
Lui annuì. «Un momento.»
Era un congedo, brusco e deciso, e Cathy, domi-
nando un moto di stizza, salutò Melly prima di allonta-
narsi. «Be’, io… piacere di averti rivista, Melly.»
Trent guardò la figura aggraziata della sua ex moglie
che si allontanava con un’intensità che fece rizzare i ca-
pelli sulla nuca di Melly e con voce decisa le disse:
«Tornerò fra un paio d’ore. Dobbiamo parlare».
«Abbiamo parlato abbastanza. Io… io non voglio più
vederti, Trent.»
Lui sorrise. «Riesco sempre a capire quando dici bu-
gie. Ci sono delle ombre nei tuoi luminosi occhi neri.»
Si fece nuovamente serio. «Non cercare di sfuggirmi,
amor mio. Ti inseguirò fino all’inferno se sarà necessa-
rio, ma non sarò dell’umore migliore quando ti tro-
verò.»
Melly lo guardò tornare verso la macchina maledi-
cendo il fatto che gli bastava sorriderle con quel sorriso
cinico per farle perdere la padronanza di sé.
Eppure, per quanto si sforzasse di convincersi che
tutto quello che voleva da lui era gratificazione ses-
suale, dovette ammettere che voleva molto di più. Il suo
cuore, il suo amore, il suo rispetto.
Voleva tutto di lui e per tutta la vita. Lentamente,
prima che la macchina si allontanasse, ritornò verso The
Towers.
E sebbene rimanesse in casa per tutto il pomeriggio,
nessuno si fece vivo.
Quando il telefono suonò, ebbe un sobbalzo e impal-
lidì, poi con dita tremanti sollevò il ricevitore.
«Melly?»
La delusione le fece venire un nodo alla gola. «Sì,
Cathy?»
«Trent è con te?»
Lei seppe dominare così bene la sua collera che
quando rispose la sua voce era completamente incolore.
«No, non c’è. Sono passate le nove, sai.»
«Sì, lo so.» Ci fu una pausa. «Voglio vederti. Va
bene se vengo fra mezz’ora?»
«Stasera? Adesso?»
Cathy rise, un risolino stridulo privo di divertimento.
«Sì. Temo che sia importante.»
«Va bene, allora.»
Perché mai aveva accettato? L’ultima persona al
mondo che avesse voglia di vedere era Cathy Durrant!
E che diavolo aveva da dirle Cathy Durrant, che non
potesse aspettare l’indomani mattina? Non le venne in
mente nessuna risposta, solo il pessimistico presenti-
mento che sarebbe stato qualcosa di sgradevole.
Quando il campanello suonò, le ci volle tutta la sua
forza di volontà per aprire a Cathy, la quale tradiva nel
nervosismo del suo sguardo sfuggente un’insicurezza
ben lontana dalla mondana disinvoltura che esibiva di
solito.
«Hai pianto!» le disse Cathy immediatamente con un
tono che sembrava un’accusa.
Cercando di nascondere il suo disagio, Melly rispose
subito: «Un mal di testa. Mi capita a volte».
Cathy annuì con aria comprensiva, poi esordì:
«Senti, so che sono… C’è qualcosa che devo dirti, e se
non mi fai entrare immediatamente e non chiudi la porta
alle mie spalle, credimi, probabilmente fuggirò per non
tornare mai più, e sarebbe un peccato».
Non era solo tesa. Era spaventata. Le sue parole in-
vestirono Melly come un fiume in piena lasciandola at-
tonita per un istante, ma subito si riprese. «Scusami, en-
tra. Ti va una tazza di caffè?»
«No, grazie. Penso che farò meglio a sedermi e a dirti
tutto» rispose Cathy accomodandosi sul divano. «Non
ti piacerà ma… ti prego, puoi cercare di tenere presente
che tutto questo accadde quando ero una stupida diciot-
tenne viziata?»
«Sì, certo.» Ormai Melly aveva i nervi a fior di pelle.
Pensava di sapere che cosa sarebbe seguito e avrebbe
voluto ribellarsi, non starla a sentire. Ma era come se la
lotta sostenuta nelle ultime settimane avesse esaurito
tutte le sue energie. L’arrivo di Cathy le dava il colpo
finale.
Sedette anche lei e un silenzio imbarazzante piombò
nella stanza. Cathy non aveva fretta di cominciare e si
lisciava con cura le pieghe del grazioso vestitino giallo
che indossava.
Quando ormai Melly sentiva che si sarebbe messa a
urlare se lei non avesse iniziato a parlare, la giovane
donna le piantò in viso i suoi occhioni blu e le chiese
con voce emozionata: «Sei innamorata di Trent?».
Melly spalancò la bocca. «Come?»
«Capisco che lo sei.» Cathy si mosse a disagio. «So
che anche lui è innamorato di te, ma ho capito solo ora
che ti amava già quando ci siamo sposati.»
«E allora perché ti ha sposato?»
«Perché io… e mio nonno… lo abbiamo costretto.»
Cathy si appoggiò allo schienale e chiuse gli occhi.
«Pensavo di essere innamorata di lui» proseguì con
voce dura. «Avevo preso una sbandata memorabile e
continuavo a tormentarlo. Lui era molto gentile e pa-
ziente. Poi una sera gli dissi che lo amavo e lui fu ancora
più gentile, mi disse che avrei trovato qualcuno più
adatto a me. Fu molto tenero e dolce e…. e io pensai
che stesse ridendo di me.» Aprì gli occhi e fissò Melly.
«Probabilmente era vero, dovevo essere davvero ridi-
cola. In ogni caso mi sentii terribilmente umiliata. Che
tu ci creda o no, era il primo rifiuto che ricevevo. Fino
ad allora tutto era sempre andato come avevo voluto.
Mia madre mi lasciava fare quel che mi pareva, a scuola
ero abbastanza brava, e avevo avuto tutti i ragazzi che
volevo. Quando Trent mi disse di no, e io mi resi conto
che faceva sul serio, divenni semplicemente furiosa.»
Melly la fissava a occhi spalancati senza osare pro-
ferire parola.
«Capisci già quel che accadde in seguito, vero? Tor-
nai a casa e architettai un piano. Sir Peter e Trent sta-
vano combinando un affare insieme e io sentii mio
nonno dire che sarebbe passato a prenderlo il mattino
successivo. Quando arrivò, io ero lì con addosso…
solo… la camicia da notte. Feci una scenata terribile.
Dissi a mio nonno che lui… che noi… beh, hai capito
che cosa voglio dire. Dissi che amavo Trent e che vo-
levo sposarlo.»
«Capisco» disse Melly con voce strozzata per la
pena.
«Trent negò naturalmente, ma io insistetti e mio
nonno lo costrinse a sposarmi.» Qui Cathy esitò, mor-
dendosi il labbro. «Non so esattamente come ci riuscì,
ma lo ricattò. Era qualcosa che riguardava la compagnia
di Trent. In seguito seppi che Trent si era rifiutato anche
dopo che mio nonno lo aveva minacciato di costringerlo
alla bancarotta, ma poi si era reso conto che tutti i suoi
dipendenti avrebbero perso il loro lavoro e questo
l’aveva convinto.» Melly era certa di aver controllato le
sue espressioni, ma Cathy le disse con enfasi: «Non
puoi disprezzarmi più di quanto mi disprezzi io stessa.
E poi ti giuro, non sapevo che lui fosse innamorato di
te».
«Avrebbe fatto differenza?»
«Sì» rispose Cathy semplicemente.
Ci fu un altro silenzio durante il quale Melly cercò di
trovare un filo conduttore nel marasma dei pensieri che
le affollavano la mente.
«Così ci sposammo. Ero certa che sarei riuscita a
farlo innamorare di me col tempo, ma non mi ha mai
nemmeno toccata. Oh, ci ho provato… ho fatto di tutto
per sedurlo, ho sperimentato tutte le possibili tattiche.
Ma lui era completamente indifferente.» Scoppiò in una
risata aspra. «Era gentile, gentile da gelare il sangue,
non litigava né alzava la voce. Si limitava a tagliarmi
fuori completamente da tutto ciò che lo riguardava. Non
sono mai stata così infelice in vita mia.»
Si alzò in piedi e andò nervosamente verso la fine-
stra, fermandosi per un attimo in controluce. Era incan-
tevole, con quei capelli rosso tiziano sciolti sulle spalle
e la figura snella e flessuosa. Melly non poté fare a
meno di ammirare la forza di volontà di Trent: doveva
essere stato quasi impossibile in certi momenti ignorare
il fascino di quella bellezza sensuale. E l’aveva fatto per
lei, per la donna che amava e che non lo meritava. La-
crime pungenti le riempirono gli occhi, costringendola
ad abbassare le palpebre. Quando le riaprì, Cathy era
tornata a sedersi.
«Ora so perché» riprese. «Quando guardava me, era
te che vedeva, sempre. Quando mio nonno morì la-
sciando a Trent il controllo dei suoi affari, io avevo su-
perato la mia infatuazione per lui, ma ero ancora ferita
e arrabbiata, così andai a vivere con mia nonna. Speravo
che mi avrebbe seguito.» Sorrise esitante. «Così avrei
potuto rifiutarlo, capisci?»
Melly capì e la compassione prese il posto
dell’amara collera che l’aveva invasa.
«Ero così giovane» continuò Cathy fissandosi le
punte dei piedi. «Non che questa sia una scusante, ma è
tutto ciò che posso dire. Narrai a mia nonna ciò che era
successo e lei inorridì. Trent le piaceva e lui… lui era
stato così premuroso nei suoi riguardi dopo che il nonno
era morto, aveva continuato a farle visita fino… fino…»
Le mancò la voce per un momento e rimase in silen-
zio per un po’, un’espressione triste e pensosa sul viso.
«Dopo che eravamo vissuti separati per due anni
Trent mi chiese il divorzio. Gli dissi che glielo avrei ac-
cordato a patto che lui non rivelasse a nessuno quel che
era accaduto… ciò che avevo fatto.» La sua bella bocca
si contorse in una smorfia. «Ormai il mio risentimento
era svanito e io avevo cominciato a volergli bene…
quasi come a un fratello. Quando ripensavo a quel che
avevo combinato mi vergognavo, ma ero ancora molto
infantile e volevo che la gente credesse che ero stata io
a stancarmi di lui. Non mi ero resa conto che tutti erano
convinti che lui mi avesse sposato per mettere le mani
sulle proprietà di mio nonno, come potevo?»
«Avrei pensato che fosse una deduzione abbastanza
logica» osservò Melly asciutta.
«Sì, per chi non conosce Trent.» Cathy la fissò con
un’espressione molto vicina all’ostilità e Melly si morse
il labbro imbarazzata.
«Che cosa ti ha spinta a venire qui stasera?» le chiese
dopo un attimo di silenzio.
Cathy fece una risatina nervosa. «Vi ho visti insieme
a quella stupida festa… Trent non era più lo stesso ulti-
mamente, era irritabile, distante, come se stesse sof-
frendo. Così vi ho osservati al party. Trent non lascia
trapelare le sue emozioni, ha la stoffa del giocatore di
poker, ma c’è stato un momento in cui ti ha guardata
come… come se tu fossi la sua chiave per il paradiso. E
tu eri in collera con lui. Ho pensato che dovevate aver
litigato, ma un’amica mi ha chiesto se mi ingelosiva il
fatto che Trent avesse ripreso a corteggiarti.»
«Non mi sembra una grande amica.»
Cathy si strinse nelle spalle. «Forse no, ma non è
questo il punto. Dopo quelle parole, mi vennero in
mente altre allusioni che avevo sentito e feci una piccola
inchiesta scoprendo che anni prima, mentre io ero persa
nella mia infatuazione, lui era già innamorato di te.
Questo mi fece sentire molto meglio, perché allora non
c’era da meravigliarsi che lui non mi avesse voluta,
no?»
Sembrava così ingenuamente soddisfatta all’idea,
che Melly si sentì combattuta fra divertimento e collera,
pensando alle conseguenze che i capricci infantili di una
ragazzina viziata avevano provocato. Alla fine la collera
ebbe il sopravvento.
«Tre anni!» esplose balzando in piedi e camminando
avanti e indietro per la stanza come un leone in gabbia.
«Tu hai sprecato tre anni della nostra vita!»
Cathy si fece piccola piccola. «Lo so» disse con una
voce che era poco più che un sussurro. «Sono desolata,
te lo assicuro, è l’unico motivo per cui sono venuta
qui… non è stato divertente per me, credimi.»
Il momentaneo scoppio d’ira di Melly si calmò. «No,
lo so. E ti sono grata» le disse, improvvisamente esau-
sta.
«Dovevo venire» continuò Cathy con accento sin-
cero. «Conosco abbastanza Trent per sapere che non
avrebbe rotto la promessa che mi aveva fatto di non rac-
contare a nessuno l’accaduto. Io… io voglio che sia fe-
lice.» Le lacrime le riempirono gli occhi. Ora che aveva
detto tutto si alzò, ansiosa di andarsene.
Lentamente Melly la seguì alla porta, sentendosi
come se fosse stata bastonata. Sarebbe dovuta essere al-
legra, ma il dolore l’aveva accompagnata per così tanto
tempo che le sembrava di non potersene liberare.
«Ti sono grata di essere venuta» le disse un po’ sbri-
gativamente.
Cathy si guardò le mani rigirandosi al dito un piccolo
anello con un turchese, poi alzò gli occhi su Melly.
«Non credo che tu lo pensi veramente» le disse con uno
sguardo penetrante. «Devo sembrarti meschina ed egoi-
sta, e so di essermi comportata come se lo fossi. Ma sto
cercando di migliorare. Mi dispiace moltissimo per
quello che ho fatto. Io ho meritato di soffrire ma tu e
Trent no, e questa consapevolezza è la peggiore puni-
zione per me. Ti prego…» Le porse una mano piccola e
ben curata. «Ti prego, Melly, sii felice.»
Melly le prese la mano cercando di dirle qualcosa di
sensato.
«Volevo dire a Trent che poteva raccontarti tutto»
aggiunse ancora Cathy quando fu uscita. «Ma poi ho ca-
pito che dovevi sentirlo da me, altrimenti avresti potuto
pensare che fosse tutta un’invenzione. Tu sei il tipo che
ha bisogno di essere convinta, vero?»
Melly annuì, chiuse la porta alle spalle della sua in-
credibile ospite e tornò lentamente in salotto. In qualche
modo, le ultime parole di Cathy le avevano fatto male.
Aveva bisogno di essere convinta? Se Trent le avesse
raccontato la stessa storia, gli avrebbe creduto? Proba-
bilmente no; la sua fiducia in lui era stata così dura-
mente colpita che solo il racconto di Cathy poteva farla
ricredere.
Si fermò in piedi accanto alla finestra, guardando
senza vedere nell’oscurità punteggiata di luci e lottando
con la domanda che improvvisamente era diventata cru-
ciale per lei. A poco a poco si rese conto che avrebbe
accettato qualsiasi cosa Trent le avesse detto. Per una
ragione molto semplice: non aveva mai davvero creduto
alle orribili chiacchiere che circolavano sul suo conto.
Senza rendersene conto, era stata certa che la ragione
del suo comportamento non potesse che rendergli me-
rito. Era per questo che lo amava ancora, che non aveva
mai smesso di amarlo anche quando sembrava non es-
serci speranza.
Si morse nervosamente le labbra chiedendosi che
cosa dovesse fare.
Si sentiva le ginocchia così deboli che si sedette sulla
poltrona più vicina, riflettendo sulle possibili scelte. Ca-
thy aveva detto che lui la amava ancora. Normalmente
lei non si sarebbe fidata del suo giudizio, ma ora era in-
cline a crederle. Anzi, lo voleva con tutte le sue forze.
«Che cosa posso fare?» si chiese ad alta voce nel si-
lenzio della stanza. Tutto era stato così facile finché
pensava di disprezzarlo. Sebbene fosse combattuta fra
l’amore e i suoi principi, aveva almeno chiaro in mente
come dovesse comportarsi. Ma ora…
A poco a poco il rumore del traffico svanì, la notte
divenne silenziosa, ma Melly continuava a restare se-
duta immobile, gli occhi vuoti fissi su una natura morta,
la mente occupata da quell’unico interrogativo. Questa
volta era lei che doveva fare la prima mossa, solo così
avrebbe potuto persuadere Trent del suo amore.
E anche allora, pensò cupamente, lui avrebbe avuto
motivo di dubitare della sua intensità. Le aveva chiesto
fiducia e lei lo aveva deriso; ora non sarebbe bastata una
vita d’amore per convincerlo.
Senza ancora un piano nella mente, andò a letto e
dormì pesantemente, risvegliandosi presto in un mattino
radioso di sole. Per parecchi minuti restò a letto, con-
templando il cielo di un azzurro intenso, tenero e bril-
lante. Durante la notte le sue emozioni si erano placate
e ora si sentiva come quella nuova giornata: vitale, otti-
mista e piena di aspettative.
Un’intima sensazione di benessere la pervase, tanto
che, quando si alzò e diede un’occhiata alla sua imma-
gine allo specchio, la differenza la stupì. Era sparita dai
suoi lineamenti quella severità che ormai era diventata
la sua maschera abituale. Gli occhi splendevano come
gemme e l’incarnato era soffuso di un delicato color pe-
sca. Ma la differenza maggiore era nella bocca che, non
più serrata in una linea dura, si sollevava agli angoli in
un involontario, irrefrenabile sorriso.
Dopo essersi lavata la faccia e i denti, tirò fuori pan-
taloncini e maglietta, poi si bloccò, le mani sui fianchi.
Ripensandoci, ripose gli indumenti nell’armadio e tirò
fuori un bikini scarlatto e ridotto come quello che aveva
indossato dagli Horning. In quello che poi aveva defi-
nito come un momento di totale follia, una settimana
dopo, ne aveva visto uno in una esclusiva, costosa bou-
tique, e l’aveva acquistato. Quando era tornata a casa,
l’aveva piazzato insieme al copricostume che la com-
messa l’aveva persuasa ad acquistare, sullo scaffale più
alto dell’armadio, dimenticandosene.
«Sì, lo so che sembra una camicia da uomo» aveva
detto la commessa. «Ma, mia cara, non c’è nulla di più
sexy di una donna con abiti maschili. Arrotoli le mani-
che… ecco, così. E ora si guardi allo specchio. Con
quelle gambe lunghe e il bikini che si intravede da
sotto… ogni uomo in circolazione non potrà fare a
meno di ammirarla!»
Ora, guardandosi allo specchio, Melly ringraziò di
cuore la sconosciuta commessa. Sorridendo fra sé, in-
dossò dei sandali dello stesso colore del costume e prese
il telefono.
Ci volle non poca persuasione per convincere il cu-
stode a usare le sue chiavi per farla entrare nell’appar-
tamento di Trent e Melly ci riuscì solo con una piccola
bugia, dicendogli che era il compleanno di Trent e vo-
leva fargli una sorpresa.
«Be’, non saprei» aveva detto lui dubbioso. «Non mi
metterà nei guai, signorina Hollingworth? Sa, il signor
Addison è parecchio geloso della sua privacy.»
«Le prometto che non avrà nessun guaio.»
Finalmente, aiutata dal fatto che lui li aveva spesso
visti insieme e dai pettegolezzi che erano cominciati a
circolare nel palazzo, riuscì nel suo intento.
Quando fu dentro, con un’eccitazione impaziente
che le faceva balzare il cuore in gola, attraversò in si-
lenzio l’appartamento entrando per pochi secondi nel
bagno degli ospiti, poi uscì decisa sulla terrazza.
I cespugli e le piante erano ancora carichi di rugiada,
che rifletteva i raggi del sole in mille piccoli arcobaleni.
Melly restò a lungo in piedi a guardare il panorama: i
lunghi bracci argentati del porto, i parchi, il mare, tutto
scintillava nella calda luce del sole.
Poi si sfilò il copricostume dalla testa, tolse i sandali
e si tuffò nella piscina.
L’acqua fresca fu uno shock all’inizio, ma dopo al-
cune vigorose bracciate si sentì meglio e continuò a
nuotare con energia, cercando di soffocare la gelida vo-
cina che continuava a dirle che era una stupida.
Era così impegnata che la mano che le strinse im-
provvisamente la caviglia la colpì come una sgradevole
sorpresa. Inghiottì una boccata d’acqua, sputando e tos-
sendo mentre si rimetteva in piedi per ritrovarsi contro
il petto muscoloso di Trent.
«Oh, mascalzone» sbuffò, cercando senza risultato di
divincolarsi.
Sentì la sua risata vibrare in quel corpo giovane e
scattante. Arrossendo, si scostò i capelli dal viso e lo
guardò in volto. Rideva, ma i suoi occhi grigi erano
caldi e teneri.
Rivoli d’acqua colavano lungo le spalle solide e ab-
bronzate di Trent, scintillavano e si asciugavano sul suo
viso sorridente. Le apparve così bello che Melly si sentì
la bocca secca e rimase lì a fissarlo inebetita.
«È questo il modo di salutare il tuo amore?» le chiese
con voce lieve mentre le faceva scivolare la mano dietro
la schiena.
«Tu non sei…»
«Sei venuta da me. Questo ti rende mia. Il mio
amore, mia moglie, il mio tesoro, mia…» La sua testa
le coprì il sole quando la sua bocca toccò quella di lei.
Senza pensarci, solo desiderosa di recuperare il tempo
sprecato negli ultimi anni, lei aprì le labbra in un muto
invito.
Un invito che Trent accolse senza esitazione. Si era
aspettata un approccio rude e appassionato, quasi vio-
lento, sapendo come il suo amore per lei fosse stato in-
quinato dalla collera e dalla frustrazione. Ma quando la
bocca di lui toccò la sua, capì che sarebbe stato tenero e
gentile, dimostrandole meglio di tante parole quanto
l’amasse.
L’unico segno dell’intensità della sua emozione era
la stretta delle sue braccia, così vigorosa che le ci volle
un po’ per rendersi conto che non aveva addosso il co-
stume. Un piccolo fremito d’eccitazione la fece vibrare.
Si premette con desiderio contro di lui, mentre le sue
labbra si allargavano in un sorriso.
«Stai tremando» disse Trent.
Ma quando fece per allontanarla da sé, lei gli strinse
le braccia attorno alla vita senza lasciarlo andare.
Molto tempo dopo, guardandola con un’espressione
divertita e appassionata allo stesso tempo le disse: «Fare
l’amore al fresco ha le sue attrattive, ma tu stai comin-
ciando a sentirti come una ranocchia, tutta fredda e tre-
mante. Vieni dentro, ti preparo un po’ di colazione».
La colazione non era esattamente quello che Melly
aveva in testa, tuttavia lo lasciò andare e si fece aiutare
a uscire dalla vasca. Ma quando furono fuori dall’acqua
lui cominciò a baciarla di nuovo, con baci lunghi e ar-
denti colmi di un desiderio troppo a lungo represso.
«Oh, Melly, amore mio, ti amo così tanto che sono
incapace di aspettare» le disse dopo un po’ con la voce
roca per l’emozione. «Quando possiamo sposarci? Ci
vogliono solo tre giorni per avere la licenza… Vuoi che
ci sposiamo a Te Puriri? Jennet ha già organizzato tutto.
Ha solo bisogno di una data definitiva.»
«Ti sei dato da fare!» esclamò lei, ma non era sec-
cata.
Lampi di desiderio illuminarono gli occhi grigi di lui.
«Sì. Ho fatto tutto come si deve. Ho anche chiesto la tua
mano a tuo fratello, quando era qui.»
«A Rafe?» Melly era stupefatta. «Quel mascalzone!
Non mi ha detto una parola!»
Trent rise, molto compiaciuto di sé. «Gliel’avevo
chiesto io. Era un po’ contrario all’inizio, ma poi ha ac-
cettato. Avevo capito che di tanto in tanto era il tuo con-
fidente.»
«Infatti» confermò lei con una voce la cui severità
era smentita dal modo sensuale in cui gli accarezzava il
collo bagnato. «Sta cominciando a sembrare una specie
di cospirazione!»
«Sì, ma molto piccola.»
Lei rise e alzò la testa per mordicchiargli delicata-
mente il lobo dell’orecchio. «Non è necessario aspettare
il matrimonio» gli sussurrò. «Quando sono entrata ho
sistemato il mio spazzolino da denti e poche altre cose
nel bagno degli ospiti. È strano che tu non mi abbia sen-
tita.»
«Probabilmente è questo che mi ha svegliato allora»
osservò lui con aria assente. Poi, quando lei iniziò a
tracciare con la punta della lingua il contorno del suo
orecchio, lui le prese il mento fra le mani. «No!» disse
con forza.
Ma quando vide la passione che traspariva dagli oc-
chi di lei emise un gemito. Come se lei rendesse vano
ogni sforzo di autocontrollo che si fosse potuto imporre,
si impossessò nuovamente della sua bocca e, dopo aver
slacciato i nodi che trattenevano il suo bikini, la sollevò
fra le braccia.
Non arrivò in camera da letto. Si fermò invece ap-
pena dentro la grande porta a vetri, la depose delicata-
mente sul tappeto e dolcemente, delicatamente, si impa-
dronì di tutto quello che desiderava, mentre parole
d’amore le scaldavano il sangue e mani adoranti segui-
vano ogni curva del suo corpo, finché la passione che
aveva suscitato in lei fu pari alla sua. Allora, come preda
di un incantesimo dei sensi, lei lo attirò dentro di sé ed
entrambi furono rapiti in una vertigine erotica.
Dopo, molto tempo dopo, lei gli disse: «Mi sembra
di non farcela più. Tu non conosci la tua forza».
Trent sorrise del suo tipico sorriso da pirata. «Oh, sì
che la conosco» replicò. «È colpa tua se ti fai male. Non
dovresti essere così desiderabile da farmi perdere il con-
trollo.»
«Non importa» disse Melly con voce lieta, versando
il caffè in due grandi tazze. Il sole inondava la stanza
come un caldo fiume d’oro, il caffè aveva il profumo e
il sapore del nettare, le fragole che Trent le aveva pre-
parato per colazione erano dolci e fragranti. Aveva per-
sino dello yogurt in frigorifero. Sorridendo si chinò su
di lui a baciarlo con affetto e lui l’attirò sulle sue ginoc-
chia.
«Sai di uva» scherzò lei.
«E tu sai di paradiso.»
Melly arrossì. «Dici cose così affascinanti!»
«Le penso sul serio.» La sua mano forte si chiuse su
quella di lei. «Che cosa ti ha fatto cambiare idea, amore
mio?»
«Cathy è venuta da me, ieri sera.»
Lui fu stupito e per un momento i suoi lineamenti si
contrassero. Le strinse la mano. «Capisco. Col tempo
riuscirà a rimediare agli errori di un’educazione sba-
gliata.»
«Ne sono sicura. Le ci è voluto tutto il suo coraggio
per farlo. Ha detto che ti avrebbe sciolto dalla promessa
di non parlare, ma che sapeva che io non ti avrei cre-
duto.» Melly lo guardò in viso con un’espressione tur-
bata. «Trent, ti avrei creduto.»
«Lo so.»
Lei fece un sorrisetto triste. «Mi sono sentita molto
meschina. Sono rimasta seduta al buio per ore ripen-
sando a tutta la storia e mi sono resa conto che non
avevo mai veramente rinunciato a te. Ero convinta di
averlo fatto.»
«So anche questo» disse lui rassicurante. «Quando ci
siamo rivisti in ascensore, quel giorno, è stato come ri-
cevere un pugno nello stomaco, ma mi resi conto imme-
diatamente che mi amavi ancora.»
«Come?» chiese lei. «Sei stato… abbastanza sgrade-
vole, e neanch’io mi sono comportata gentilmente con
te.»
«Perché tu sei l’altra mia metà» rispose lui calmo.
«Ho percepito la tua reazione come se fosse la mia.
Pena, rabbia, disprezzo… e dietro tutto questo, una
grande sorgente di gioia e di sollievo.»
«Capisco» disse lei annuendo. «Sai, non ho mai cre-
duto veramente alle chiacchiere, per quanto dicessi a me
stessa che erano vere.»
«L’avevo capito. Le usavi come uno scudo, per paura
di dover soffrire di nuovo.» Le lasciò la mano e bevve
una sorsata di caffè, poi posò la tazza e continuò:
«Quando Cathy mise in atto il suo perfido stratagemma
l’avrei uccisa. Era una ragazzina egoista e viziata, e io
mi rifiutai di cedere a quel grossolano ricatto. Sir Peter,
quel vecchio demonio, era completamente soggiogato
da lei, la considerava perfetta. Mi trattò come uno
sporco traditore».
«Non hai bisogno di raccontarmi questo» disse
Melly dolcemente.
«Voglio farlo, e poi dimenticare tutto.» Corrugò le
sopracciglia fissando pensoso la tazzina del caffè. «Pur-
troppo aveva il potere di costringermi a fare quello che
voleva.» Le rivolse uno sguardo quasi implorante. «Me-
lissa, a quell’epoca avevo investito il mio futuro e quasi
ogni centesimo che possedevo in quell’affare. Sir Peter
controllava l’unica ditta fornitrice dell’unità di memoria
che noi utilizzavamo. Poteva bloccare tutte le forniture.
Se la minaccia avesse riguardato solo me, gli avrei detto
di andare all’inferno. Ma se l’avessi fatto, avrei dovuto
spendere un’immensa quantità di denaro, che non
avevo, per acquistare del materiale sostitutivo, e almeno
metà della forza lavoro sarebbe dovuta essere licenziata.
Non potevo farlo. Quella gente aveva bisogno del suo
lavoro. Così ho ceduto.»
«Hai fatto bene» disse lei accarezzandogli una guan-
cia. «Conoscendoti, non c’era altro che tu potessi fare.»
«Il potere ha le sue responsabilità» disse Trent ama-
ramente. «Dovetti arrendermi, anche se mi fece quasi
impazzire il vedere le facce soddisfatte di Cathy e suo
nonno. Ma la cosa peggiore fu scriverti quella lettera.
Volevo costringerti a odiarmi così che tu potessi stac-
carti da me più rapidamente.»
«Speranza vana» disse lei in un soffio.
«Ti ha fatto molto male?»
Lei fece un sorriso tirato. «Sì, moltissimo.»
I lineamenti di lui si indurirono. «Non mi sposai cer-
tamente con il cuore in festa, e non mi sentivo per nulla
incline a essere gentile con Cathy. Probabilmente sa-
rebbe stato meno stressante per entrambi se io l’avessi
trattata come un’egoista, spregevole ingannatrice.
Ma… all’inferno, era solo una scolaretta viziata. Non
aveva idea di quel che aveva fatto, continuava a vivere
in un sogno romantico.» Fece una pausa. «Per poco,
però. Con tutta la migliore volontà, non potevo essere
più che educato con lei. Ti dissi la verità, dicendoti che
non l’avevo mai toccata.»
«E io ti credetti» replicò Melly, aggiungendo con aria
colpevole: «Cercai di convincermi che l’avevi lasciata
solo perché le chiacchiere erano vere, perché l’avevi
sposata per mettere le mani sulle proprietà Durrant. Per
un momento credo di averci creduto sul serio».
Trent annuì e finì il suo caffè, posando la tazza sul
tavolo e facendola girare con le lunghe dita. «Sì, l’hai
dimostrato ampiamente! Credimi, ho maledetto me
stesso per essermi lasciato provocare al punto da do-
vermi giustificare con quell’ammissione.»
Smise di giocherellare con la tazza e le prese una
mano, poi le appoggiò la testa sul seno come se cercasse
conforto. Rimasero entrambi in silenzio, ripensando a
quell’episodio e alle sue conseguenze.
«Vorrei poterti dire che mi dispiacque di averti presa
in quel modo» riprese lui stringendola alla vita. «Ma
devo ammettere che godetti ogni minuto. Ti avevo
amata così a lungo, sentendomi incompleto senza di te;
mi comportai senza alcun controllo ma, oh Dio, avevo
un tale bisogno di saperti mia! Mi dispiace di essere
stato così impetuoso. Pensavo davvero che non fosse la
prima volta per te.»
«E ti dispiace che lo fosse?» gli chiese lei timida-
mente, nascondendo il viso nei suoi capelli perché non
vedesse il rossore che l’aveva invaso.
«Se ti dicessi che la scoperta di essere stato il tuo
primo, il tuo unico amante, mi ha esaltato, mi credere-
sti?»
Lei annuì con un sorriso indulgente.
«Non sono mai stato un fissato della verginità, non
mi è mai importato molto di quanti uomini avesse avuto
la donna che io desideravo. Ma tu… tu sei speciale.
Quando penso a te, mi sento riportare a una fase primi-
tiva dei rapporti sociali. Penso: È mia e guai a chi me la
tocca!» Trent rise di quell’ammissione, poi cambiò im-
provvisamente discorso. «Tesoro, vuoi che partiamo su-
bito per Te Puriri?» le chiese rimettendola in piedi con
una pacca sul didietro. «Se telefono subito per l’aereo,
potremo essere là fra un’ora e mezza. Ti piacerebbe pre-
sentarti da Rafe e Jennet e dir loro di organizzare il ma-
trimonio fra… diciamo quindici giorni?»
Lei rise. «Ne sarei entusiasta! Anche se, bada, Jennet
ci ucciderà! Così poco tempo…»
«Ti sto facendo pressione?» le chiese preoccupato al-
zandosi in piedi. «Preferiresti aspettare e fare una ceri-
monia in piena regola, con otto damigelle e tutti gli an-
nessi e connessi?»
«Non essere idiota» gli rispose lei con immensa te-
nerezza circondandogli la vita con le braccia. «Ho
aspettato fin troppo. Anni e anni e anni e anni. Ho paura
che, se non ci sposiamo immediatamente, qualcun altro
potrebbe ricattarti o rapirti o…»
«O niente» la interruppe lui. «Niente potrà più strap-
parmi a te. Niente e nessuno. Neanche allora sarebbe
stato possibile se tu non fossi stata dall’altra parte del
mondo.»
«E se tu non fossi stato così preoccupato del benes-
sere dei tuoi dipendenti» aggiunse Melly dolcemente.
Lui parve schermirsi, ma Melly sapeva che era il lato
protettivo del suo carattere a spingerlo al matrimonio.
Ed era lo stesso istinto di protezione che lo induceva a
prendersi cura di Cathy ora e a darle l’appoggio di cui
aveva bisogno per trovare la sua strada nella vita. Ci sa-
rebbero state occasioni in cui Melly si sarebbe chiesta
perché doveva sopportare la presenza di Cathy, ma ogni
gelosia era scomparsa. Sentiva persino un po’ di ammi-
razione per la ragazza. C’era voluto un coraggio tutto
particolare per confessare le sue colpe, ma l’aveva fatto
e, per giunta, non senza una certa dose di dignità.
«Ah, devo confessarti una cosa: mi piace questa ca-
micia, specialmente indossata in questo modo.»
L’improvviso cambiamento di rotta della conversa-
zione fece ridere Melly, che gli riferì le parole della
commessa della boutique.
Lui l’ascoltava annuendo e sbottonandole, apparen-
temente senza accorgersene, i bottoni della camicia. In
pochi secondi l’aveva spogliata di nuovo e contemplava
con desiderio il suo corpo dorato.
«Sei insaziabile?» gli disse lei con voce roca per l’ec-
citazione.
«Sembrerebbe. Vogliamo scoprirlo?»
«E Te Puriri?»
Lui ridacchiò. «Oh, al diavolo anche quello! Telefo-
neremo più tardi. Che ne diresti di vivere qualche giorno
nel peccato?»
Lei scosse dapprima la testa con espressione severa,
ma poi scoppiò a ridere. «Ti ho detto che ho portato qui
il mio spazzolino. Mi sembra di essere stata abbastanza
esplicita al riguardo.»
«Quanto ti amo!» La baciò, poi alzò la testa per guar-
dare il volto dall’espressione rapita che le sue mani in-
corniciavano. Lentamente la fiamma negli occhi di
Trent si spense e con un gemito soffocato lui la attirò a
sé, affondando la testa nei suoi riccioli e stringendola
così forte da farle male. «Amore» mormorò. «Oh,
amore, è stato un inferno! Desiderarti, avere un bisogno
così disperato di te e sapere che ti avevo spinta a
odiarmi. Mi dispiaceva per Cathy, era amaramente in-
felice, ma non potevo sopportare la sua vista. Ogni volta
che la guardavo pensavo: Per colpa tua, Melissa mi
odia, e mi ci voleva tutto il mio autocontrollo per non
schiaffeggiare quel suo grazioso faccino. La odiavo.
Non ho perso il controllo solo perché temevo di ucci-
derla.»
«Oh, Trent! Tu hai sopportato la parte peggiore della
situazione, amore mio.»
Lui alzò le spalle e l’espressione di collera selvaggia
svanì dai suoi occhi. «Neanche lei si è goduta molto la
vita. Quando si rese conto del suo errore, cercò di rime-
diare le cose. Raccontò a Sir Peter quel che aveva fatto.»
«Bene.» Melly di solito non era vendicativa, ma la
sua voce era furiosa quando continuò: «Spero che que-
sto l’abbia fatto sentire un verme! Giocare con la vita
altrui…».
«Lei era la pupilla dei suoi occhi, ma in realtà il vec-
chio demonio non aveva una grande opinione delle
donne. Le trattava come giocattoli, persino Cathy. Gli
dispiacque di averle dato ascolto, ma mi disse di cercare
di trarre il meglio dalla situazione. Mi assicurò che sa-
rebbe stata una buona moglie, tutto ciò di cui aveva bi-
sogno era assaggiare il bastone di tanto in tanto per es-
sere rimessa in riga.»
Melly si irrigidì, inorridita. La nota cinica che tanto
odiava era risuonata nella sua voce e lei ne provava re-
pulsione, così come detestava l’opinione del vecchio
Durrant sul matrimonio.
«Sono lieta che tu non fossi d’accordo» gli disse.
Trent rise e ogni traccia di cinismo scomparve
quando il suo sguardo si posò sulla bocca sensuale di
lei. «Non aveva scrupoli, il vecchio tiranno. Riteneva
che la mia fosse una debolezza, ma non esitò a servir-
sene quando mi chiese di prendermi cura di Cathy. È
per questo che la vedo così spesso.»
«Dev’essere stato difficile per te, dopo la separa-
zione» osservò Melly, compiaciuta della padronanza
che era riuscita a dare alle sue parole.
«Oh, sì.» Le sue mani le accarezzarono la schiena in-
dugiando sulla vita sottile. «Ma ne fui felice. Sapevo
che ci sarebbero voluti due anni prima di poter chiedere
il divorzio, ma il lavoro per rimettere in piedi gli affari
di Sir Peter mi ha tenuto occupato.»
«Ma tu non sapevi che io sarei ritornata!» esclamò
Melly turbata.
«No?»
«No.» Un’ombra le passò negli occhi quando alzò lo
sguardo verso di lui. «E se io mi fossi sposata in Eu-
ropa?»
Lui sorrise malizioso. «Allora ti avrei sedotta e per-
suasa a lasciare tuo marito.»
«E poi dici di avere degli scrupoli!» replicò lei con
una battuta per nascondere il turbamento provocato
dalla sua affermazione.
«Non quando si tratta di te.» La guardò intensa-
mente. «Ancora non capisci, vero? Tu e io ci apparte-
niamo. Avrei mandato a monte il tuo matrimonio, anche
se tu fossi stata felice. Ci fossero voluti anche vent’anni,
prima di essere libero, ti avrei inseguita ovunque. Per-
ché pensi che abbia comprato questo posto? Sapevo che
Rafe aveva un appartamento qui, e volevo assicurarmi
ogni possibile vantaggio, per quando tu fossi tornata. Mi
hai detto spesso che sono un pirata, Melissa. Quello che
non sembri capire è che lo sono davvero. E tu sei il mio
tesoro.»
Rise piano mentre le sue mani si spostavano posses-
sive sui fianchi di lei.
«Mia!» esclamò con enfasi fissandola con occhi ar-
denti. «Mia per sempre, dal momento in cui mi sono
reso conto di amarti.»
Melly gli fece scivolare le braccia intorno al collo of-
frendosi a lui, ogni cosa finalmente chiara nella sua
mente. «E tu sei mio» gli disse quietamente.
Lui la sollevò facendola roteare in aria come una
bambina. «Bene» concluse con immensa soddisfazione.
«Ora prepariamoci ad andare. Ho deciso che mi sentirò
molto più sicuro della mia conquista quando avremo
parlato con la tua famiglia e reso la cosa ufficiale.»
«Niente vita nel peccato?»
Lui rise della sua finta delusione. «No. Noi pirati sof-
friamo di una forma di insicurezza che ci rende biso-
gnosi di poter esibire delle catene… catene d’oro, come
anelli di fidanzamento e fedi nuziali. Ci rassicurano.»
Lei fece una risatina soffocata. «I pirati avevano in-
teresse solo per tesori concreti. Tu non sei così, Trent.
Se lo fossi stato, ti saresti adeguato alla vita con Cathy
e mi avresti dimenticata.»
«Immagino di sì.» La lasciò andare e la guardò men-
tre si rimetteva la camicia e cominciava ad abbottonarla.
«Be’, non ho potuto. Tutto quel che so è che non ero
mai stato così felice nella mia vita come quando ti ho
vista entrare nell’atrio e venire verso l’ascensore. In
quel momento ho saputo con certezza che senza di te la
vita non valeva la pena di essere vissuta.»
Lei si bloccò, guardandolo con un’espressione im-
provvisamente trepidante. «Una constatazione che fa
paura, no?» gli disse senza enfasi.
«Paura?» disse lui con un sorriso colmo di promesse.
«No, mia cara, è la cosa più eccitante del mondo! Tu e
io, ragazza, questo è tutto. Che cosa potrebbe esserci di
meglio?»

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