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2012
ISSN 0035-6093
ELENCO E PREZZI DEI PERIODICI «CEDAM» per il 2012 ANNO LVIII N. 1 GENNAIO-FEBBRAIO 2012
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ANNO LVIII - N. 1
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(conv. in L. 27/02/2004 n. 46) art. 1, comma 1, DCB Milano
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ISTITUZIONE EX RE CERTA
E DIVISIONE FATTA DAL TESTATORE
( 2 ) Per tutti, G. Bonilini, Institutio ex re certa e acquisto, per virtù espansiva, dei beni
non contemplati nel testamento, in Tratt. Bonilini, II, La successione testamentaria, Milano
2009, pp. 239 s. e Id., Institutio ex re certa e acquisto, per virtù espansiva, dei beni non
contemplati nel testamento, in Fam. Pers e Successioni, 2008, pp. 532 ss.
( 3 ) Ammessa la compatibilità tra le due discipline, va da sé, anche a giustificazione del
suo ampio ricorso, che la coincidenza tra momento istitutivo e divisorio pone il testatore al
riparo dai maggiori problemi applicativi che possono sorgere nel caso di preventiva deter-
minazione di quote e cioè da problemi di preterizione, di rescissione e di difformità tra va-
lori dei beni assegnati e valore della quota. Così, anche, G. Amadio, La divisione del testato-
re senza predeterminazione di quote, cit., p. 267.
( 4 ) Rimane estraneo all’indagine il problema posto dalla presenza dei legittimari.
( 5 ) G. Amadio, La divisione del testatore senza predeterminazione di quote, cit., p. 246.
( 6 ) Una tale considerazione credo debba valere anche nel caso, pur raro e di scuola,
PARTE II - COMMENTI 55
dubbio che la presenza di una sola istituzione di erede, ove pure essa venga
realizzata mercé l’indicazione di tutti i beni, non porrebbe un problema di di-
visione, il quale, per definizione, presuppone l’esistenza di una pluralità di
istituiti.
ché, ove così si ragionasse, delle due, soltanto l’una: o si considerano con-
tratto e testamento come negozî giuridici e, allora, entrambe le loro discipli-
ne sono speciali, ovvero, pur non contestando il condiviso e condivisibile
fondamento negoziale di entrambi, si prescinde dalla loro riconducibilità al-
la categoria del negozio, la quale, per altro, sprovvista di una disciplina ge-
nerale, ha punto valore logico-ordinante, e si postula che entrambe sono di-
scipline generali (8).
Il tratto della generalità, poi, parrebbe ulteriormente confermato dal suo
contenuto. Come tutte le norme sull’interpretazione della legge e degli atti
giuridici, essa finisce col dividere il significato della forma rappresentativa tra
il suo senso letterale e quello funzionale. Dimostrando come l’interpretazione
giuridica resti sempre divisa tra un dato letterale, vincibile e superabile, e un
dato funzionale, con valore di orizzonte euristico. Con l’avvertenza che, nella
prospettiva adottata, la superabilità e la vincibilità del testo non deve, né può
significare assegnazione di un senso di cui esso è totalmente incapace, bensì
scelta di uno dei suoi possibili significati (9), dacché la conquista della mono-
semia è orientata dal dato funzionale, il quale non è fine, bensì mezzo erme-
neutico (10).
Ciò che muta, rispetto all’interpretazione della legge, all’interpretazione
del contratto e all’interpretazione dell’atto unilaterale in senso stretto, non è
tanto e soltanto la dinamica del difficile rapporto tra testo e contesto, tra dato
letterale e funzionale, quanto, la prospettiva attraverso la quale si deve svol-
gere l’indagine (11), in uno con la consapevolezza che quel testo ha, a diffe-
renza degli altri, il fragile tratto della definitiva e assoluta irripetibilità.
Non trascurando il punto di rilevanza ermeneutica e con la consapevolez-
za dell’effimera irripetibilità del testo, il comma 1o dell’art. 588 c.c., al pari di
quanto l’art. 1362 c.c. non faccia per il contratto e l’art. 12 prel. per la legge,
( 12 ) Si tratta di una formula nuova la quale non compariva nel corrispondente art. 760
del previgente codice. Al pari di come nuova è la formulazione del comma 2o dell’attuale
art. 588 c.c. Per un analisi sul raffronto dei testi, C. Gangi, La successione testamentaria
nel vigente diritto italiano, I, Milano 1952, II ed., pp. 364 s.
( 13 ) L. Mengoni, L’istituzione di erede « ex certa re » secondo l’art. 588, comma 2o, c.c.,
cit., p. 742, qualificare legato la disposizione in cui il testatore impropriamente usi la deno-
minazione erede attua una comune applicazione del principio falsa demonstratio non nocet
relativamente, non all’oggetto, ma alla natura del negozio. Discorre, invece, di irrilevanza
della qualifica di legatario usata dal testatore, S. D’Andrea, La heredis institutio ex re cer-
ta, in Tratt. Bonilini, vol. II, La successione testamentaria, cit., p. 223 s.
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Il testo, però, non può esser privo di qualunque rilievo (14), smarrisce,
soltanto, la sua precisa e preventiva funzione selettiva. Sicché, ove pure le pa-
role scritte nel testamento fossero provviste di un significato proprio o di un
univoco significato primario, nondimeno il testo che le raccoglie avrebbe la
capacità di esprimere un significato esattamente uguale e contrario o, anche
soltanto e, più semplicemente, un significato diverso, ma non opposto, da
quello che il pre-concetto giuridico o letterale renderebbe preventivamente in-
telligente. Il legislatore pare escludere, allora, non la rilevanza, ma il valore
determinante, ossia la concludenza del segno. Denominazioni ed espressioni
non sono concludenti: rispetto alle prime è possibile predicare un significato
opposto o diverso da quello proprio, rispetto alle seconde un qualunque signi-
ficato secondario.
Per superare la concludenza del testo, occorre avere riguardo al contenu-
to della disposizione testamentaria (15). Con la precisazione che la parola
« contenuto » viene utilizzata in questo caso nel duplice senso di cui essa è ca-
pace, sicché occorre non soltanto verificare l’oggetto della disposizione testa-
mentaria (16), quanto e soprattutto far riferimento a ciò che, in termini obiet-
tivi, essa specificamente contenga, essendo determinante il suo comprendere
l’universalità o una quota dei beni del testatore (17).
Il discorso, prima di aprirsi sul che significhi comprendere, reclama, ine-
vitabilmente, qualche chiarimento sul significato delle espressioni universalità
e quota. Le quali, sebbene quando siano usate dal testatore non siano deno-
minazioni concludenti ai fini della qualificazione, diventano determinanti e
concludenti quando le medesime risultino il parametro obiettivo di riferimen-
to alla stregua del quale l’esegeta, a’ sensi dell’art. 588 c.c., è chiamato a in-
terpretare e qualificare le disposizioni medesime.
Dal latino universalem, composto di universum e del suffisso -alem, la
parola universalità (18) indica un complesso di cose considerate nella loro to-
( 14 ) Almeno secondo la prospettiva che ho adottata nel testo.
( 15 ) G. Amadio, L’oggetto della disposizione testamentaria, cit., p. 899, nella irrilevanza
del riconoscimento formale del nomen heredis v’è la differenza tra diritto moderno e diritto
romano.
( 16 ) Di riferimento esclusivo al contenuto obiettivo discorrono F.S. Azzariti-G. Marti-
nez-Giu. Azzariti, Successioni per causa di morte e donazione, VI ed., Padova 1973, p.
491.
( 17 ) Ma, G. Bonilini, Institutio ex re certa e acquisto per virtù espansiva, dei beni non
contemplati nel testamento, cit., p. 240 e Id., Institutio ex re certa e acquisto, per virtù
espansiva, dei beni non contemplati, cit., p. 535, scrive « criterio sovrano, non può che es-
sere la volontà reale del testatore, data l’ininfluenza delle espressioni o denominazioni im-
piegate dallo stesso ».
( 18 ) Si prescinde, qui, dal problema della eredità quale universitas, sul quale mi per-
metto di rinviare al mio, Note per uno studio intorno al significato della parola eredità, in
Rass. d. civ., 2011, in corso di stampa. Per una condivisibile critica della teoria della here-
ditas-universitas già L. Mengoni, L’istituzione di erede « ex certa re » secondo l’art. 588,
comma 2o, c.c., cit., pp. 744 ss. e spec. 746.
PARTE II - COMMENTI 59
stica, nella misura in cui voglia semplicemente chiarire che la tecnica logico-
linguistica consistente nell’indicare beni determinati o un complesso di beni
non sia concludente ai fini della qualificazione (31). Con l’ulteriore conseguen-
za che non potrebbe istituirsi un rapporto di genere-specie o di regola-ecce-
zione (32) tra la norma di cui al comma 1o e quella di cui al comma 2o, essen-
do l’ultima soltanto uno dei possibili e plausibili svolgimenti logici della pri-
ma (33).
Al fine di conservare la tenuta di questo risultato, bisogna, però, verifica-
re se davvero possa escludersi ogni qualsivoglia carattere di originalità. Poi-
ché, anche un solo tratto di novità, vi attribuirebbe o vi potrebbe attribuire
un diverso valore e, soprattutto, potrebbe e dovrebbe mettere in discussione il
rapporto di essa con la regola contenuta nel comma 1o (34).
La lettura del comma 2o dell’art. 588 c.c., mentre restituisce l’idea che
essa nulla aggiunge alla regola contenuta al comma 1o, nella parte in cui chia-
risce che la tecnica logico-linguistica consistente nell’indicazione di un bene o
un complesso di beni determinato non esclude che il testatore abbia inteso as-
segnare quel bene o quel complesso di beni come quota del proprio patrimo-
nio (35), ossia che la disposizione possa essere qualificata a titolo universale e
non necessariamente a titolo particolare (36), come si potrebbe a prima vista
ipotizzare, finisce con l’avere fondamentale rilevanza nella parte e per il mo-
do in cui autorizza l’interprete a compiere tale valutazione (37). Il comma 2o
dell’art. 588 c.c. detterebbe una regola in linea di continuità (38) rispetto a
quella contenuta nel comma 1o, limitandosi a prevedere una classe di ipotesi,
sebbene essa risulti la più frequente e problematica, in cui la tecnica logico-
linguistica, più che le denominazioni o le espressioni usate dal testatore,
smarriscono, come il comma 1o ben chiarisce a livello più generale, ogni spe-
cifico valore concludente (39). Tale comma, nondimeno, avrebbe un tratto di
novità nella parte in cui, con l’uso della forma verbale « risulta », legittima
l’interprete al percorso esegetico che la stessa derivazione etimologica della
parola inevitabilmente suggerisce.
A seguire questo ragionamento non sarebbe possibile istituire un rappor-
to di genere specie o di regola eccezione tra comma 1o e 2o dell’art. 588 c.c.,
non tanto e non soltanto perché la regola contenuta nel comma 2o è, piuttosto,
lo svolgimento (40) in chiave esemplificativa di quella posta al 1o, quanto e so-
prattutto perché comma 1o e 2o non offrirebbero due norme giuridiche, rispet-
to alle quali è possibile la verifica di un rapporto di relazione, ma un’unica e
I, cit., p. 378.
( 46 ) Precisa G. Amadio, La divisione del testatore senza predeterminazione di quote, cit., p.
250, a conferma di questa lettura, che l’utilizzazione di elementi extratestuali e la valutazione
della loro rilevanza costituisce, esclusivamente, problema giudiziario, ma non sostanziale.
( 47 ) Così, E. Betti, Teoria generale del negozio giuridico, cit., pp. 367 ss. e spec. p.
370.
( 48 ) C. Grassetti, voce Interpretazione dei negozi giuridici mortis causa (Diritto civile),
in Noviss. Dig. It., vol. VIII, Torino 1957, pp. 907 ss., ammette l’applicazione analogica
delle sole norme sull’interpretazione soggettiva e di quella contenuta all’art. 1367 c.c. N.
Lipari, Autonomia privata e testamento, Milano 1970, p. 350, i quali, però, negano l’appli-
cabilità del comma 2o dell’art. 1362 c.c.; L. Bigliazzi Geri, Delle successioni testamentarie,
in Comm. Scialoja-Branca, a cura di F. Galgano, Roma-Bologna 1993, pp. 118 ss.; G. Op-
PARTE II - COMMENTI 65
nei limiti di compatibilità (49), della norma contenuta all’art. 1362 c.c. (50), la
quale, nell’una come nelle altre prospettive condurrebbe a un tale risultato,
anche altri argomenti sospingono verso questa direzione (51).
Intanto non può essere irrilevante che il comma 2o dell’art. 588 c.c., nel
disegnare il percorso interpretativo, precisa che il lascito di beni determinati
vada inteso come disposizione a titolo universale quando risulta che il testato-
re intese lasciare quei beni come quota del patrimonio. Si badi, non « risulta
dal testamento » (52), ma, semplicemente, « risulta » (53).
Se, poi, si tengono in conto le peculiarità che caratterizzano l’interpreta-
zione del testamento e, dunque, per un verso, il singolare punto di rilevanza
ermeneutica e, per altro verso, la fragile unicità e irripetibilità del testo, non
v’ha dubbio che, a fini conservativi, non si possa non aprire l’indagine inter-
pretativa al materiale extratestuale (54). In mancanza del quale, la compren-
sione del testo potrebbe essere compromessa, mentre l’uso del quale, senza
violare il formalismo testamentario, può consentire di ricostruire l’intenzione
del testatore, anche al fine di individuare la disciplina da applicare al caso.
po, Profili dell’interpretazione oggettiva del negozio giuridico, Bologna 1943, ora in Scritti
giuridici, III, Obbligazioni e negozio giuridico, Padova 1998.
( 49 ) G. Oppo, Profili dell’interpretazione oggettiva del negozio giuridico, Bologna 1943, ora
in Scritti giuridici, Vol. III, Obbligazioni e negozio giuridico, Padova 1998, ammette l’applica-
zione delle norme sull’interpretazione del contratto al testamento sulla base del criterio di com-
patibilità di cui all’art. 1324 c.c. Il quale, però, per il suo specifico riferimento ad atti tra vivi,
non mi pare possa valere o servire per estendere al testamento le norme sul contratto.
( 50 ) Sull’interpretazione del testamento, almeno, P. Rescigno, Interpretazione del testa-
mento, Napoli 1952. Per una sintesi R. Carleo, L’interpretazione del testamento, in L’in-
terpretazione del contratto nella dottrina italiana, a cura di N. Irti, Padova 2000, pp. 539
ss. e Id., L’interpretazione del testamento, in Tratt. Bonilini, II, La successione testamenta-
ria, cit., pp. 1475 ss. G. Baralis, L’interpretazione del testamento, in Successioni e dona-
zioni, a cura di Pietro Rescigno, vol. I, cit., pp. 927 ss.; L. Bigliazzi Geri, La volontà nel te-
stamento e l’interpretazione, in Aa.Vv., Tratt. Rescigno, VI, cit., p. 77 ss.
( 51 ) Tra gli altri, ammettono il ricorso ai criteri extratestuali, A. Burdese, « Institutio ex
re certa » e divisione testamentaria (Sulla natura dell’atto divisorio), cit., p. 466; C. Gangi,
La successione testamentaria nel vigente diritto italiano, I, cit., p. 378; P. Rescigno, Inter-
pretazione del testamento, cit.; P. Trimarchi, Interpretazione del testamento mediante ele-
menti a esso estranei, cit., cc. 445 ss.; L. Mengoni, L’istituzione di erede « ex certa re » se-
condo l’art. 588, comma 2o, c.c., cit., p. 759; L. Mengoni, La divisione testamentaria, cit.,
pp. 17 s.; F.S. Azzariti, G. Martinez, Giu. Azzariti, Successioni per causa di morte e dona-
zione, cit., pp. 495 s.; G.F. Basini, « Lasciti » di beni determinati ed istituzione di erede ex
re certa, cit., p. 245; F. Ziccardi, Le norme interpretative speciali, cit., pp. 100 s.; S. D’An-
drea, La heredis institutio ex re certa, cit., pp. 226 ss.; R. Carleo, L’interpretazione del te-
stamento, cit., pp. 1517-1525; G. Perlingieri, La rilevanza del testo nell’individuazione
dell’incapacità naturale di testare, in Rass. d. civ., 2005, pp. 273 ss.
( 52 ) Come nelle norme di cui agli artt. 624, comma 2o, e 626 c.c.
( 53 ) Così, anche, S. D’Andrea, La heredis institutio ex re certa, cit., p. 226. Già, chiara-
mente, L. Mengoni, La divisione testamentaria, cit., p. 18.
( 54 ) Contrario, L. Salis, L’istituzione di erede in una cosa determinata, in D. e giur.,
1946, pp. 87 ss., il quale, negli esempi utilizzati, non sempre resta coerente alla propria tesi.
66 RIVISTA DI DIRITTO CIVILE - 1/2012
( 55 ) Precisa L. Bigliazzi Geri, Il contenuto del testamento, cit., p. 145, che il lascito di
bene determinato impone sempre di risalire alla volontà del testatore.
( 56 ) Così, G. Amadio, L’oggetto della disposizione testamentaria, cit., pp. 904 s.
( 57 ) F. Ziccardi, Le norme interpretative speciali, cit., p. 99, considera ammissibile l’in-
dagine sull’intenzione del testatore, che l’A. intende in senso psicologico e volontaristico,
soltanto in presenza di una diposizione costruita in termini di lascito di un ben determina-
to, rispetto al quale esista un indice idoneo a giustificare l’interesse « della speciale ricerca
ermeneutica ».
( 58 ) In questo senso, C. Gangi, La successione testamentaria nel vigente diritto italiano,
I, cit., p. 378, il quale ammette il ricorso a elementi extratestuali, precisando però, che l’in-
dagine sulla volontà del testatore « non potrebbe esser fatta soltanto con elementi estranei
al testamento ».
PARTE II - COMMENTI 67
Al riguardo, basti considerare che se è pur vero che ciascun erede rispon-
de pro quota dei debiti e dei pesi ereditari, non è men vero che il testatore po-
trebbe diversamente disporre e, in forza dell’autonomia testamentaria (72),
porre a carico di un solo erede o di un legatario l’obbligo di pagare tutti i de-
biti e i pesi ereditari (73). Si tratterebbe di un legato a favore di uno degli ere-
di e a carico di altro erede o di legatario. Così confermando che l’esclusione
del destinatario del lascito di bene determinato dalla responsabilità per i de-
biti, non è un dato di disciplina dal quale trarre, necessariamente, la qualifica
di legato, bensì un’autonoma disposizione testamentaria a titolo particolare
avente a oggetto la limitazione o l’esclusione della responsabilità dell’onorato
e la correlativa obbligazione dell’onerato di tenere indenne il primo (74).
Sotto un diverso profilo, la disposizione con la quale il testatore espressa-
mente estromettesse il beneficiario di un lascito di bene determinato da acqui-
sti ulteriori (75), non potrebbe necessariamente escludere l’intenzione del te-
statore di considerare quel bene come quota del patrimonio. La disposizione,
infatti, potrebbe avere un diverso valore. Il testatore potrebbe aver voluto sta-
bilire che la quota del beneficiario debba essere corrispondente a quella che il
bene assegnatogli rappresenta, con la precisazione, però, che ove il suo patri-
monio dovesse, al tempo della apertura della successione, essere significativa-
mente incrementato, nondimeno il valore della quota dovrebbe ridimensio-
narsi, di guisa che quegli non abbia, comunque, più e oltre del valore di quel
bene. Sarebbe a dire che il testatore potrebbe istituire il beneficiario in una
certa quota, limitando il valore dell’acquisto a un tetto massimo. Il destinata-
rio, mentre non potrebbe conseguire più di quanto il bene determinato valga,
potrebbe, invece, nel caso in cui il valore del patrimonio al tempo dell’apertu-
ra della successione fosse inferiore rispetto a quello esistente al tempo della
confezione del testamento, conseguire meno. Questo risultato non sarebbe
possibile se il lascito venisse qualificato come legato, perché il beneficiario
avrebbe, comunque, diritto a quel certo bene e una riduzione del patrimonio
sarebbe ininfluente sul suo acquisto. Senza considerare, poi, che l’alienazione
( 72 ) Almeno, G. Bonilini, Autonomia testamentaria e legato. I legati così detti atipici,
Milano 1990.
( 73 ) A. Cicu, Successioni per causa di morte. Parte generale. Divisione ereditaria, cit.,
p. 447.
( 74 ) In senso contrario, G. Amadio, La divisione del testatore senza predeterminazione
di quote, cit., p. 249; Id., L’oggetto della disposizione testamentaria, cit., p. 915, secondo
cui l’intenzione di escludere la responsabilità del beneficiario della disposizione è un indice
assolutamente univoco dal quale trarre l’intenzione del testatore di non istituirlo erede. An-
che, S. Delle Monache, Revoca tacita della istituzione ex re certa, cit., p. 405. Vi aderisce,
S. D’Andrea, La heredis institutio ex re certa, cit., p. 235. Già, C. Gangi, La successione te-
stamentaria nel vigente diritto italiano, I, cit., p. 367.
( 75 ) Ma, secondo G. Amadio, La divisione del testatore senza predeterminazione di quo-
te, cit., p. 249, la limitazione dell’efficacia acquisitiva del titolo alla sola res commemorata
è un indice assolutamente univoco dal quale trarre l’intenzione del testatore di non istituire
il beneficiario erede. Vi aderisce, S. D’Andrea, La heredis institutio ex re certa, cit., p. 235.
72 RIVISTA DI DIRITTO CIVILE - 1/2012
( 76 ) Così, G. Amadio, L’oggetto della disposizione testamentaria, cit., pp. 920 s.; V.
Scalisi, La revoca non formale del testamento e la teoria del comportamento concludente,
Milano 1974, p. 494. S. Delle Monache, Revoca tacita dell’istituzione ex re certa, cit.,
pp. 417 e ss., precisa che la mera alienazione del bene non può valere quale revoca della
istituzione ex re certa qualora non si accompagni a circostanze delle quali sia possibile
desumere che il testatore intendeva revocare la disposizione. La funzione di revoca, allora,
non è affidata alla mera alienazione, bensì alla valutazione ermeneutica della complessità
di circostanze del caso concreto. Diverso, allora, il problema della forma: ossia se possa
ammettersi una revoca della disposizione testamentaria per facta concludentia. In senso
contrario, M. Porcari, Alienazione del bene oggetto dell’« institutio ex re certa », in G. it.,
1993, I, 2, cc. 297 ss. e spec. 300. Il quale non convince, non soltanto perché postula,
senza una adeguata giustificazione, l’applicazione analogica di una norma eccezionale, ma
anche perché fonda la tesi su profili episodici e concreti, trascurando ogni rilievo dogma-
tico e sistematico. Di recente, con ben altri argomenti, G. Perlingieri, Heredis institutio
ex re certa, acquisto di beni non contemplati nel testamento e l’art. 686 codice civile, cit.,
p. 11 ss., il quale dopo aver negata la natura eccezionale alla norma di cui all’art. 686
c.c., assumendo che la revocabilità costituisce la regola, e, in ogni caso, considerata la
possibilità, nel rispetto della legalità costituzionale, di dare applicazione analogica anche a
regole eccezionali, osserva come tale norma serva a tutelare la libertà testamentaria e la
volontà del de cuius manifestata in vita, espressamente o tacitamente. In ragione di questi
argomenti l’A. ammette che, salva la prova di una diversa volontà, la alienazione o la tra-
sformazione della cosa assegnata a titolo di erede, vale revoca, totale o parziale, della isti-
tuzione medesima.
( 77 ) A. Cicu, Successioni per causa di morte. Parte generale. Divisione ereditaria, cit.,
p. 436. In questo senso già, L. Coviello, L’istituzione di erede ed il lascito di beni determi-
nati, cit., c. 1167.
( 78 ) Secondo L. Mengoni, L’istituzione di erede « ex certa re » secondo l’art. 588, com-
ma 2o, c.c., cit., p. 760, poiché la institutio ex re certa ha la funzione di istituire e approzio-
nare l’erede, essa postula in atto almeno due istituzioni in rebus certis fra loro connesse,
traducendosi, di necessità, nella divisione fatta dal testatore. Va da sé, che avendo ammessa
la possibilità di una isolata istituzione ex re certa non credo necessaria la coesistenza di al-
meno due istituzioni, al pari di come non credo esistente una necessaria coincidenza del fe-
nomeno con quello divisorio, potendosi dare, come tento di chiarire nel testo, divisioni non
istitutive e istituzioni ex rebus certis non divisorie.
( 79 ) Così, G. Amadio, La divisione del testatore senza predeterminazione di quote, cit.,
p. 257, il quale argomenta la soluzione con un esempio. Già C. Gangi, La successione testa-
PARTE II - COMMENTI 73
bilità di una istituzione ex re certa nei casi in cui il testatore non dispone di
tutto il patrimonio, si finirebbe, inevitabilmente, per comprimere la libertà
del testatore. Il quale, per l’ipotesi in cui non volesse disporre dell’intero, po-
trebbe istituire l’erede soltanto facendo espressa menzione della quota e non
anche mercé l’indicazione di un bene determinato.
Ragioni analoghe inducono dissenso verso l’idea secondo cui il lascito di
beni determinati non possa mai valere come istituzione ex re certa se, conte-
stualmente, vi sia una disposizione con cui l’ereditando lasci ad altri il resi-
duo (80). Credo, infatti, che una tale struttura della scheda testamentaria non
consente di affermare che il lascito di bene determinato debba essere conside-
rato necessariamente un legato. Ben potendo la disposizione con la quale si
regola il residuo non già valere quale istituzione nell’universalità del patrimo-
nio, bensì quale istituzione nella quota residuale rispetto a quella attribuita
all’istituito ex re certa. In altri termini, ben potrebbe risultare l’intenzione del
testatore di istituire tanto il beneficiario del lascito di bene determinato quan-
to il beneficiario del residuo come eredi (81). Il primo nella quota risultante
dal rapporto tra certa res e tutto; il secondo nella quota che residua al com-
pletamento dell’unità (82).
Infine, neppure assolutamente decisiva la circostanza che il testatore non
conosca o sia incerto sulla misura della propria titolarità di un bene. Tale da-
to, come gli altri, pur potendo essere un indice dal quale trarre l’intenzione
del testatore di non attribuire quel bene come quota del proprio patrimonio,
non credo che debba condurre a tale risultato con assoluta certezza. Soprat-
tutto se si considera che sovente, nei casi dubbi, è anche opinabile che l’inten-
zione del testatore di lasciare un bene come quota dipenda esattamente dalla
conoscenza della titolarità sul bene, essendo, piuttosto, legata all’utilità che il
testatore trae dal bene medesimo. Perché, anche prescindendo dal tratto giu-
ridico che giustifica l’utilità tratta dal bene, è tendenzialmente dall’ultima che
è possibile valutare il rapporto della certa res con il resto.
Tutti gli elementi indicati sono allora utili, perché, insieme ad altri, con-
sentono di trarre l’intenzione del testatore (83). La quale, ricavata dal conte-
sto, ossia da tutti gli atti, i fatti e i documenti del testatore, consente, indipen-
dentemente da denominazioni, espressioni e tecnica logico-linguistica usate
mentaria nel vigente diritto italiano, I, cit., pp. 380 s., il quale, condivisibilmente, ammette
una istituzione ex re certa anche in presenza di altre istituzioni in quota espressa.
( 80 ) Così, F. Degni, Delle successioni testamentarie, in Comm. D’Amelio-Finzi, Libro
delle successioni e donazioni, Firenze, 1941, sub art. 134, pp. 379 s.; L. Coviello, L’istitu-
zione di erede ed il lascito di beni determinato, cit., c. 1169; L. Mengoni, L’istituzione di
erede « ex certa re » secondo l’art. 588, comma 2o, c.c., cit., p. 762.
( 81 ) Così, G. Amadio, La divisione del testatore senza predeterminazione di quote, cit.,
p. 251; Id., L’oggetto della disposizione testamentaria, cit., pp. 916 s. e spec. p. 921.
( 82 ) L. Mengoni, La divisione testamentaria, cit., pp. 20 s.
( 83 ) C. Gangi, La successione testamentaria nel vigente diritto italiano, I, cit., pp. 376
ss.
74 RIVISTA DI DIRITTO CIVILE - 1/2012
zione dipende dall’attività giuridica del suo titolare (87) e che la grandezza del
patrimonio può essere sensibilmente diversa a seconda dell’istante temporale
nel quale essa venga valutata.
Il tempo di riferimento del tutto assume, quindi, una straordinaria impor-
tanza, al punto che la misura astratta della quota dell’istituito mediante l’indi-
cazione di un bene determinato potrebbe essere sensibilmente diversa a secon-
da che si debba far riferimento al tempo di confezione del testamento o a quello
dell’apertura della successione. Ipotizzando che nel primo Tizio sia titolare dei
beni X, Y, e Z e che nel secondo sia, invece, titolare dei beni X, Y, W e K, è ov-
vio che una istituzione ex re certa relativa al bene X, consentirà di attribuire al
beneficiario una quota astratta diversa a seconda che si abbia riferimento al-
l’uno o all’altro tempo. Perché nell’un caso il valore della quota astrat-
x x
ta è data dal rapporto xyz , mentre nell’altro è data dal rapporto xywk. Ciò sta a
significare, supponendo, per esemplificazione, che tutti i beni valgano 10, che
nel primo caso la quota astratta sarebbe pari a 1/3, mentre nel secondo a 1⁄4.
La norma contenuta al comma 2o dell’art. 588 c.c., pur non contenendo
alcun esplicito riferimento al tempo al quale far riferimento per valutare il
tutto, pare suggerire, contrariamente all’opinione che par dominare in dottri-
na (88), l’idea che si debba tener conto del tempo di confezione del testamen-
to. Attraverso lo strumento dell’istituzione ex re certa il testatore, pur senza
indicare espressamente la quota astratta offerta al beneficiario, istituisce, co-
munque, quest’ultimo erede, assegnandogli il bene o il complesso di beni de-
terminato come quota del patrimonio. Tale forma di istituzione, seppur in via
indiretta, ossia mercé la mediazione offerta dall’indicazione del bene determi-
nato, assolve la medesima funzione di una qualunque disposizione testamen-
taria istitutiva in quota espressa.
Il testatore è, dunque, libero di istituire i propri eredi o in quote espresse
o in quote inespresse, mediante l’indicazione di beni determinati. Credo che
tale libertà non sarebbe, affatto rispettata se la misura della quota venisse a
posteriori determinata avendo riguardo al tutto esistente al tempo dell’apertu-
ra della successione, perché si assumerebbe a parametro determinante una
grandezza diversa da quella considerata dal testatore, ossia una grandezza di-
versa da quella che il testatore ha avuto presente, quando, indicando la certa
res o le certae res, ha considerato la medesima o le medesime siccome una
quota del proprio patrimonio (89).
( 87 ) Fare o ricevere una donazione, rispettivamente, riduce o aumenta il valore del pa-
trimonio e, ancora, per restare ai casi più comuni e semplici, una vendita o una compera
modificano la composizione del patrimonio, la prima sostituendo un bene con denaro e la
seconda, all’inverso, sostituendo a un bene del danaro.
( 88 ) Vedi nota n. 85.
( 89 ) Così, chiaramente, G. Amadio, La divisione del testatore senza predeterminazione
di quote, cit., p. 250 e, modificando la precedente opinione, L. Mengoni, La divisione testa-
mentaria, cit., p. 13.
76 RIVISTA DI DIRITTO CIVILE - 1/2012
tae col tutto, ossia con tutti i beni esistenti e conosciuti dal testatore al tempo
della confezione del testamento. Nel tutto debbono, quindi, comprendersi non
soltanto i beni menzionati nel testamento, purché non si tratti di beni legati,
ma anche quelli di cui il testatore non abbia disposto, purché si tratti di beni
noti al testatore. Il che, in termini concreti, sta a significare che deve aversi ri-
guardo, al netto dei legati, al valore di tutti i beni, comunque, esistenti al
tempo della apertura della successione, a meno che non venga offerta la pro-
va, da parte di chi ne abbia interesse, ossia da parte dell’istituito ex re certa,
che l’esistenza di taluno di quei beni era, in quel tempo, ignota allo stesso te-
statore.
differenza tra le due istituzioni, poiché attiene soltanto alle modalità di deter-
minazione della quota, non consente di segnare o assegnare ai due chiamati
discipline disuguali, né di lambire la conclusione che le modalità di designa-
zione possano modificare il comune e unitario statuto disciplinare dell’ere-
de (95). Il quale, pro quota, non soltanto contribuisce, salva una diversa ed
espressa volontà del testatore, al pagamento dei debiti e pesi ereditari, ma ha,
altresì, diritto al riparto dell’attivo (96).
Una volta che sia determinata la misura astratta della quota spettante al-
l’erede, quegli ha diritto di conseguire, rispetto al complesso dei beni che co-
stituiscono l’eredità, diritti per un valore corrispondente alla quota nella qua-
le, direttamente o indirettamente, è istituito. Si discorre, al riguardo, della
c.d. virtù espansiva (97), ossia della capacità dell’erede di raccogliere a sé tutti
i beni dell’eredità in proporzione al valore della quota.
Questo principio di carattere generale, che insieme a quello sulla riparti-
zione dei debiti, costituisce le fondamenta dello statuto disciplinare dell’erede,
non credo possa essere derogato nel caso di chiamato ex re certa. La precisa
indicazione di beni determinati, infatti, non mi pare possa considerarsi un in-
controvertibile indice dell’intenzione del testatore di escludere il beneficiario
dal riparto di beni ulteriori o diversi (98). Così ragionando, non soltanto si tra-
direbbe il senso della norma sull’interpretazione delle disposizioni testamen-
tarie, ma si finirebbe, altresì, per violare la stessa libertà del testatore di isti-
tuire un erede con precisa indicazione di beni determinati.
La tesi che esclude, in via di principio, l’istituito ex re certa dal riparto
dei beni residui o ulteriori finisce, inevitabilmente, per un verso, per eludere
l’intenzione del testatore di considerare i medesimi quale quota del patrimo-
nio, limitando l’acquisto a quelli e, per altro verso, per violare la norma sul-
l’interpretazione del testamento che impone, sulla base del testo e del conte-
sto, di assegnare alla disposizione testamentaria un significato che sia indi-
pendente dalla tecnica logico-linguistica e vincolato al suo comprendere l’uni-
versalità o una quota dei beni del testatore.
L’indicazione di beni determinati non sfugge, dunque, all’alternativa: o
( 95 ) F. Messineo, Manuale di diritto civile e commerciale, vol. VI, Diritto delle succes-
sioni per causa di morte, cit., p. 47. Recentemente, G. Perlingieri, Heredis institutio ex re
certa, acquisto di beni non contemplati nel testamento e l’art. 686 codice civile, cit., p. 8, il
quale, al fine di confermare l’identità dello statuto disciplinare dell’erede, quale che sia la
modalità della sua chiamata, invoca la norma costituzionale che pone il c.d. principio di
eguaglianza.
( 96 ) L. Mengoni, La divisione testamentaria, cit., p. 15.
( 97 ) Piena è l’adesione a G. Bonilini, Institutio ex re certa e acquisto per virtù espansi-
va, dei beni non contemplati nel testamento, cit., pp. 239 ss., il quale preferisce alla formu-
la « forza espansiva » quella più efficace di « virtù espansiva ». Id., Institutio ex re certa e
acquisto, per virtù espansiva, dei beni non contemplati, cit., p. 538, par. 8.
( 98 ) Così era, invece, nel diritto romano classico, in cui tale istituzione consentiva di at-
tribuire il titolo formale di erede, limitando, al contempo l’acquisto alla certa res.
PARTE II - COMMENTI 79
risulta che il testatore ha inteso assegnare quei beni come quota del patrimo-
nio e, allora, il beneficiario è erede nella quota che i beni ritraggono, con la
logica e consequenziale avvertenza che i beni indicati non esauriscono né co-
stituiscono necessariamente la di lui quota, soltanto rappresentandola (99);
ovvero il testatore non ha inteso assegnare quei beni come quota del patrimo-
nio e, allora, il beneficiario è legatario, sicché succede esclusivamente e limi-
tatamente in quei diritti.
Del resto, qualora si affermasse che l’istituito ex re certa non ha diritto al
riparto sui beni esclusi o sopravvenuti, la stessa logica che sottende una qua-
lunque istituzione d’erede, ossia una chiamata a subentrare nell’intero o nella
quota dell’eredità, parrebbe violata. Atteso, infatti, che nell’eredità devono
comprendersi, indipendentemente dall’indicazione che ne faccia o dalla noti-
zia che ne abbia il de cuius, tutti i beni, i diritti e le cose che, comunque, co-
stituiscono l’eredità, non v’ha dubbio che postulare la limitazione dell’acqui-
sto ai soli diritti menzionati esclude il necessario contenuto per relationem
della disposizione e, per l’effetto, la sua qualificazione nel genere di quelle a
titolo universale (100).
Assumere che la virtù espansiva sia un principio generale (101), il quale
prescinde dalle modalità logico-linguistiche con le quali l’erede viene chiama-
to in quota, in uno con l’esatta determinazione dei successibili, scioglie il pro-
blema intorno alla sorte dei beni residui e dei beni dei quali il testatore non
abbia disposto (102).
Essi andranno ripartirti, pro quota, tra gli eredi (103).
Il che riduce, drasticamente, il senso del difficile dibattito intorno al pos-
sibile concorso del successore legittimo con il chiamato ex re certa e, di neces-
sità, la plausibilità delle tesi che, in via di mero principio, si propongono di
assegnare i beni residui o al solo successore legittimo o al solo successore te-
stamentario o a entrambi.
I due temi, pur intrinsecamente connessi, vanno distinti.
( 104 ) L. Mengoni, L’istituzione di erede « ex certa re » secondo l’art. 588, comma 2o,
c.c., cit., p. 761, esclude che un solo heres ex re possa concorrere con gli eredi legittimi,
dacché l’esistenza di un solo lascito di bene determinato non può mai qualificarsi quale in-
stitutio ex re certa. In senso parzialmente difforme Id., La divisione testamentaria, cit., pp.
24 ss. dove, conclude: « l’applicazione dell’art. 5882 non ammette limitazioni di sorta, al-
l’infuori di quella, di ordine pratico, inerente all’indagine dell’elemento subiettivo della di-
sposizione testamentaria ».
( 105 ) F.S. Azzariti-G. Martinez-Giu. Azzariti, Successioni per causa di morte e dona-
zione, cit., p. 667. Giu. Azzariti, Divisione fatta dal testatore, in Aa.Vv., Tratt. Rescigno,
VI, cit., p. 425. G. Bonilini, Institutio ex re certa e acquisto per virtù espansiva, dei beni
non contemplati nel testamento, cit., pp. 252 s. Anche L. Mengoni, L’istituzione di erede
« ex certa re » secondo l’art. 588, comma 2o, c.c., cit., pp. 766 ss., il quale, in caso di diviso-
ne totale, esclude sempre il concorso, che, invece, ammette nel caso di visione parziale. Cre-
do valga la pena precisare che quella proposta dall’A. debba considerarsi un’esemplificazio-
ne e che la soluzione non dipenda dal residuare o non residuare beni, ma, più esattamente,
dalla intenzione del testatore di assegnare l’universalità o no del proprio patrimonio. Al ri-
guardo, infatti, si consideri che anche nel caso di divisione totale potrebbero residuare beni,
qualora, essi siano successivamente acquistati dall’ereditando.
( 106 ) Così, anche G. Perlingieri, Heredis institutio ex re certa, acquisto di beni non
contemplati nel testamento e l’art. 686 codice civile, cit., p. 9.
( 107 ) Ammette la possibilità del concorso di istituzione ex re certa e successione legitti-
ma, G. Amadio, La divisione del testatore senza predeterminazione di quote, cit., p. 252 e
spec. p. 256, in cui precisa che l’apertura della successione legittima nei beni residui sarà
possibile solo nel caso in cui « la parziarietà riguardi non solo il riparto, ma la stessa volon-
tà istitutiva ». Più di recente, Id., La divisione del testatore, cit., p. 86, in cui precisa che
presupposto per l’apertura della successione legittima è la parzialità nella volontà istitutiva.
La quale ricorre « quando il de cuius abbia avuto presente la circostanza che il complesso
dei beni assegnati non esauriva il patrimonio di cui si sarebbe potuto disporre ».
( 108 ) Precisa G. Amadio, La divisione del testatore senza predeterminazione di quote,
cit., p. 256, che il concorso tra successione testamentaria e legittima può verificarsi anche
nel caso in cui il testatore abbia diviso soltanto una parte dei beni.
PARTE II - COMMENTI 81
ma. Diversamente, ove si accertasse che Caio, Sempronio e Mevio sono stati
istituiti nella quota di 1⁄4 ciascuno, dovrebbe darsi luogo alla successione legit-
tima, indispensabile per attribuire la restante quarta parte dell’eredità (109).
La considerazione che i beni non contemplati non pongono un problema di
distribuzione, bensì uno di individuazione degli eredi, esclude, in conseguenza,
anche la plausibilità delle tesi che pretendono di assegnare i beni residui, in via di
mero principio e di là del problema intorno al numero e alle quote dei successibi-
li. Una volta che sia fatta chiarezza sugli eredi e sulla misura della quota nella
quale ciascuno di loro concorre (110), il problema del residuo smarrisce ogni appe-
tibilità, relegandosi a profilo di mera distribuzione matematico-contabile.
Alcuni esempi possono aiutare la comprensione e offrire la dimostrazio-
ne (111).
Supponiamo che Tizio sia titolare, al tempo della confezione del testa-
mento e al tempo dell’apertura della successione, dei beni 1, 2, 3, 4, 5, che i
beni siano tutti del medesimo valore, che con testamento lasci a Caio i beni 1,
2, 3, 4, che risulti l’intenzione del testatore di lasciare tali beni come quota
del patrimonio. Dati tali fatti, Caio sarà erede nella quota di 4/5. Per attri-
buire la restante quota di 1/5, rappresentata dal bene Z, si dovrà far luogo
alla successione legittima. Il parente più prossimo, Filano, sarà, dunque, chia-
mato nella restante quinta parte. In tale caso il bene residuo dovrà essere at-
tribuito interamente a Filano. Non perché, in via di principio, il bene residuo
spetti all’erede legittimo, ma perché l’erede legittimo ha diritto a 1/5 dell’ere-
dità e nel caso di specie il bene 5, che rappresenta esattamente 1/5 dell’eredi-
tà è il bene del quale il testatore non ha disposto (112).
( 109 ) Fin troppo ovvio che in un caso di questo tipo non si può mai far questione di de-
voluzione ereditaria. La quale, di là dell’idea che essa determini una vicenda di modifica-
zione soggettiva o una doppia vicenda di estinzione e costituzione (sul tema, il mio La ri-
nunzia all’eredità, cit.), non v’ha dubbio che il suo presupposto sia il non volere o non po-
tere accettare l’eredità. In caso come quello proposto nel testo prescindiamo dal problema
della possibilità dei chiamati di accettare e, più a monte, ci poniamo il problema della c.d.
delazione dell’eredità, intendendo con l’ultima espressione, l’offerta dell’intera eredità o per
legge o per testamento.
( 110 ) Precisa acutamente L. Mengoni, L’istituzione di erede « ex certa re » secondo l’art.
588, comma 2o, c.c., cit., p. 768 che in presenza di una divisone parziale, qualora risulti
l’intenzione del testatore di escludere la successione legittima, dovrà ripartirsi il patrimonio
tra i soli istituiti, calcolando le quote di questi ultimi non già in rapporto alla totalità dei
beni di cui il primo poteva disporre, bensì « in rapporto al valore complessivo dei beni col-
piti dalla divisione, di guisa che la somma delle frazioni, così ottenute, è eguale all’unità ».
Va da sé che anche in questo caso non v’ha questione di divisione di beni ulteriori, ma di
individuazione, secondo l’intenzione del testatore, degli eredi e delle loro quote. Tema al
quale quello divisorio segue.
( 111 ) F.S. Azzariti-G. Martinez-Giu. Azzariti, Successioni per causa di morte e dona-
zione, cit., pp. 667 s., propongono diverse ipotesi.
( 112 ) L. Mengoni, La divisione testamentaria, cit., p. 27, precisa che codesto risultato
non è effetto di un atto distributivo, ma un effetto riflesso. Gli acquisti dell’erede istituito e
di quello legittimo, pur risalendo a un unico autore, si fondano su titoli diversi.
82 RIVISTA DI DIRITTO CIVILE - 1/2012
Fermi tutti gli altri presupposti di fatto, ipotizziamo che Tizio sia titolare
dei beni 1, 2, 3, 4, 5 al tempo di confezione del testamento e titolare dei beni
1, 2, 3, 4, 5, 6 al tempo dell’apertura della successione. Caio sarà erede nella
quota di 4/5, mentre la restante quinta parte sarà devoluta a Filano, secondo
le norme sulla successione legittima. Individuati gli eredi e le loro rispettive
quote si tratta di assegnare loro i beni esistenti al tempo dell’apertura della
successione. A Caio andranno assegnati, certamente, i beni 1, 2, 3, 4, espres-
samente assegnatigli con testamento. Essi, però, non rappresentano 4/5 del-
l’eredità, bensì i 4/6. Ciò significa che Caio, essendo erede nella quota di 4/5,
ha diritto a ulteriori beni per un valore pari alla differenza tra 4/5 dell’eredità
ai quali ha diritto e ai 4/6 effettivamente conseguiti con le attribuzioni speci-
fiche dei beni 1, 2, 3, 4 disposte con testamento. Considerando che i beni 5 ed
6, costituiscono 1/3 dell’eredità complessiva e che Caio deve ancora comple-
tare la propria quota, a quest’ultimo spetteranno 2/15 della terza parte, men-
tre all’erede Filano i restanti 3/15. Assumendo che ogni bene valga 10, a Caio
sono assegnati, per volontà espressa del testatore, beni per un valore di 40. I
restanti beni, per un valore complessivo di 20, andranno attribuiti a Caio per
un valore pari a 8 e a Filano per un valore pari a 12. In questo caso parteci-
pano al riparto dei beni residui sia l’erede testamentario che l’erede legittimo,
non perché, in via di principio, il residuo spetti a entrambi, ma perché l’erede
legittimo ha diritto a 1/5 dell’eredità e l’erede testamentario a 4/5.
Infine, fermi gli altri presupposti di fatto, ipotizziamo che Tizio sia titola-
re dei beni 1, 2, 3, 4, 5 al tempo di confezione del testamento, titolare dei be-
ni 1, 2, 3, 4, 5, 6 al tempo dell’apertura della successione e che risulti l’inten-
zione del testatore di lasciare tali beni non già come quota del patrimonio, ma
come l’universalità del medesimo. Caio sarà erede universale, sicché non oc-
corre aprire la successione legittima. Va da sé, che a Caio andranno assegnati
anche il bene non contemplato nel testamento e quello successivamente rinve-
nuto. Non per una petizione di principio, ma soltanto perché quegli è l’erede
universale del de cuius.
Gli esempi mi pare che chiariscano in modo inequivoco come l’assegna-
zione dei beni residui non dipende mai da una petizione di principio o da una
scelta astratta e preventiva, bensì dalla sola precisa identificazione degli eredi
e dalla determinazione esatta del valore delle loro quote.
Queste considerazioni consentono non soltanto di segnare la sorte dei be-
ni residui, ma di risolvere anche il diverso caso, non meno frequente e assai
rilevante nell’economia complessiva del problema che intendo indagare, in
cui i beni esistenti al tempo dell’apertura della successione siano notevolmen-
te inferiori rispetto a quelli esistenti al tempo della confezione del testamento.
Poiché, come ho cercato di dimostrare, la determinazione della quota dell’isti-
tuito ex re certa deve essere fatta rapportando il valore della res certa al com-
plesso dei beni esistenti al tempo della confezione del testamento, l’originaria
proporzione astratta non può mai essere favorita o pregiudicata dalla succes-
siva consistenza del patrimonio ereditario. Ciò ha conseguenze assai rilevanti.
PARTE II - COMMENTI 83
complesso di beni non serve per assegnare i beni, ma per segnare la misura
astratta della quota (114). La quale attende al rapporto di valore tra la res cer-
ta o res certae, da un parte, e l’insieme dei beni esistenti e conosciuti dall’ere-
ditando al tempo della confezione del testamento, dall’altra (115).
L’indicazione dei beni determinati, nella misura in cui essa rilevi sotto il
profilo interpretativo e qualificatorio della disposizione testamentaria, non
assegna né distribuisce, ma segna e misura. Soltanto ove si abbia mente a
questa considerazione si capisce come sia possibile che all’istituito ex re certa
possa non essere assegnata o possa non essere integralmente assegnata la cer-
ta res o le certae res che pure il testatore parrebbe avergli, expressis verbis,
« lasciato ». Né un tale risultato può stupire. La disposizione, sotto questo
aspetto, non ha un’essenziale funzione distributiva, bensì un’essenziale fun-
zione istitutiva. La circostanza che l’istituzione si realizzi, poi, attraverso l’in-
dicazione di un bene determinato o un complesso di beni non rende l’attribu-
zione di quel bene o di quei beni necessaria, sicura e certa, così come la as-
senza dei medesimi non importa l’esclusione dell’istituito dalla successione e
così come l’alienazione o la trasformazione della certa res non vale a revocare,
totalmente o parzialmente, la disposizione testamentaria.
Di là del solo ed esclusivo caso, quasi di scuola, in cui il patrimonio del-
l’ereditando sia identico al tempo della confezione del testamento e al tempo
dell’apertura della successione, la istituzione ex re certa difficilmente riesce an-
che ad assolvere una funzione perfettamente distributiva. Infatti, a seconda che
il patrimonio dell’ereditando sia al tempo della apertura della successione
maggiore o minore di quello esistente al tempo della confezione del testamento,
si porranno, rispettivamente, problemi di distribuzione di beni ulteriori, con la
conseguenza che la certa res o le certae res potrebbero non risultare sufficienti
nell’apporzionamento dell’erede o, viceversa, problemi di distribuzione della
massa inferiore, con la conseguenza che all’istituito potrebbero non risultare
attribuite tutte le res certae che, secondo il testamento, gli sarebbero spettate.
In tali ipotesi è fin troppo ovvio che se si volesse riconoscere alla istituzio-
ne ex re certa una funzione distributiva e, quindi, sovrapporre la funzione
istitutiva con quella della divisione fatta dal testatore, il risultato smarrirebbe
di coerenza logica e la disposizione stessa, per definizione, perderebbe la fun-
zione che, altrimenti, gli si vuole assegnare.
( 116 ) Per una sintesi sul previgente istituto della divisio inter liberos, almeno, F.S. Azza-
riti, G. Martinez, Giu. Azzariti, Successioni per causa di morte e donazione, cit., p. 660.
( 117 ) L. Mengoni, La divisione testamentaria, cit., pp. 31 ss.
( 118 ) La struttura del primo sembra essere quella del legato obbligatorio a carico degli
altri coeredi e non già quella di un modo della istituzione. Così L. Mengoni, La divisione te-
stamentaria, cit., pp. 71 s. G. Bombarda, Osservazioni in tema di norme date dal testatore
per la divisione, divisione fatta dal testatore e disposizione dei conguagli, cit., pp. 121 ss.
esclude che possano ricondursi al legato le disposizioni puramente distributive. Da ciò l’A.
esclude che il contenuto patrimoniale del testamento debba esaurirsi nelle forme di istitu-
zione di erede e del legato. Tra le disposizioni patrimoniali accessorie del testamento l’A.
include, oltre agli assegni divisionali, anche i conguagli, ossia quelle disposizioni aventi la
mera funzione di ripartire valori patrimoniali. Per la conseguenza pratica di tale qualifica
del conguaglio l’esempio proposto dall’A. a p. 125. Larga parte della dottrina è nel senso
che si tratti di un onere e per tutti, C.M. Bianca, Diritto civile. 2. La famiglia e le successio-
ni, 3a ed., Milano 2001, p. 536 e A. Ciatti, La comunione ereditaria e la divisione, in Aa.
Vv., Diritto delle successioni, a cura di R. Calvo e G. Perlingieri, vol. 2, cit., p. 1201.
( 119 ) L. Mengoni, La divisione testamentaria, cit., p. 31, il testatore si limita a modifi-
care la par condicio heredum, attribuendo a uno o più di essi la preferenza nell’aggiudica-
zione di certi beni. Anche G. Bombarda, Osservazioni in tema di norme date dal testatore
per la divisione, divisione fatta dal testatore e disposizione dei conguagli, cit., p. 108, la
quale discorre di « preferenza nell’aggiudicazione ».
( 120 ) G. Amadio, La divisione del testatore senza predeterminazione di quote, cit., p.
254; Id., La divisione del testatore, cit., p. 76, definisce la divisione fatta dal testatore come
86 RIVISTA DI DIRITTO CIVILE - 1/2012
istituisce una comunione, nel secondo essa parrebbe, a priori e almeno limita-
tamente ai beni divisi, preclusa ed esclusa (121).
Pur nella profonda diversità delle due fattispecie (122), la lettura delle di-
scipline pare profilare all’interprete un tratto comune a entrambe. Il quale, di
là dello strumento tecnico con cui, mano a mano, esso viene realizzato o at-
tuato, concerne il profilo dell’efficacia.
Le predette disposizioni testamentarie, infatti, ora mercé la categoria del-
la validità, ora immediatamente e direttamente, ora mercé norme integrative
e suppletive, presentano una stabilità non ferma. Così, se il testatore può di-
sporre che la divisione non abbia luogo prima di un certo tempo, tale tempo
non può eccedere i cinque anni e, in ogni caso, l’autorità giudiziaria potrebbe,
comunque, consentirla anche prima (art. 713 c.c.); se il testatore può dare
norme per la divisione, esse non sono vincolanti se l’effettivo valore dei beni
non corrisponde alle quote (art. 733, comma 1o, c.c.); se il testatore può sta-
bilire che la divisione si effettui secondo la stima di persona da lui designata,
essa non può essere un erede o un legatario e, in ogni caso, non vincola se ri-
sulta manifestamente iniqua (art. 733, comma 2o, c.c.); se il testatore può di-
videre i suoi beni tra gli eredi, la divisione è nulla se non abbia compreso
qualcuno dei legittimari o degli eredi istituiti (art. 735 c.c.); se il testatore ha
diviso i beni e uno dei legittimari è leso, costui può esercitare l’azione di ridu-
zione; se il testatore ha diviso i beni e uno degli istituiti è leso oltre il quarto,
può agire per la rescissione (art. 763 c.c.) (123).
La ragione della singolare instabilità delle predette disposizioni testa-
mentarie credo che dipenda, di là del particolare caso della preterizione, in
cui si consuma una violazione di norme imperative che, sola, giustifica il ri-
corso alla categoria della nullità, dal loro rapporto con le disposizioni istituti-
ve, avuto riguardo alla consistenza del patrimonio (124). Il quale, perché può
esservi una divaricazione tra la misura di esso al tempo di confezione del te-
stamento e al tempo della apertura della successione o perché è stato stimato
non adeguatamente dallo stesso testatore o dalla persona da quello designata
o perché taluno degli istituiti ne è, astrattamente o concretamente, escluso,
potrebbe rendere le medesime incompatibili con le disposizioni istitutive.
La loro connessione con le disposizioni istitutive, avuto riguardo all’effet-
tiva consistenza del patrimonio ereditario, e, quindi, la loro astratta attuabili-
tà si spiega in ragione della loro funzione: sono volte a far cessare o a impedi-
re il sorgere della comunione ereditaria, presupponendo già individuati i sog-
getti tra cui dividere. Perché vi siano disposizioni testamentarie divisorie oc-
corre, allora, che, per testamento o per legge, siano determinati i successibili,
perché esse non istituiscono, né hanno questa vocazione, e che gli eredi siano
almeno due, perché non vi sarebbe ragione di dividere se non vi fosse più di
un erede. Perché, invece, esse siano efficaci, è necessario che esse siano tutte,
almeno astrattamente, attuabili, ossia che esistano beni per tutti gli istituti e
che i medesimi siano idonei a soddisfare le quote di ciascuno.
( 124 ) Sulla prevalenza delle disposizioni istitutive, G. Amadio, La divisione del testatore
senza predeterminazione di quote, cit., p. 255; G. Amadio, La divisione del testatore, cit., p.
78. L. Mengoni, La divisione testamentaria, cit., p. 84; F. Venosta, Art. 734, in Aa.Vv.,
Comm. Gabrielli, Delle Successioni, vol. 3, artt. 713-768 octies e leggi collegate, a cura di
V. Cuffaro e F. Delfini, Torino 2010, p. 187.
( 125 ) Non mi sembra che l’instabilità dipenda, in questo caso, dall’ammissibilità del
mezzo rescissorio. Il ricorso al quale, credo, presuppone l’astratta attuabilità della divisione
medesima, seppure essa importi la lesione. In ogni caso, ove pure non si condividesse que-
sta impostazione, le considerazioni svolte potrebbero, nondimeno, essere conservate, con la
sola avvertenza che il risultato finale dipenderebbe dall’uso del mezzo rescissorio. Il quale
determinerebbe un risultato analogo a quello prospettato nel testo.
88 RIVISTA DI DIRITTO CIVILE - 1/2012
Così, se, per ipotesi, Tizio, con una divisione oggettivamente parziale,
avesse omesso di assegnare taluni beni a un erede o pur avendogli assegnato
qualche bene, gli abbia, comunque, fatto assegnazioni per un valore inferiore
rispetto alla quota a quegli spettante, i beni non specificamente assegnati po-
trebbero consentire di conservare le disposizioni testamentarie di divisione,
qualora fossero sufficienti ad apporzionare tutti in modo corretto (131).
Svolta questa precisazione e nella consapevolezza che, fin quando resi-
duano beni con i quali apportare delle correzioni, la conservazione delle di-
sposizioni testamentarie di divisione mi pare doverosa, anche avuto riguardo
alla fragile irripetibilità del testamento, al generale principio di conservazione
della volontà testamentaria e al singolare punto di rilevanza ermeneutica, oc-
corre analizzare cosa accade nei casi in cui la divisione non abbia compreso
qualcuno degli eredi e nel caso in cui, pur comprendendo tutti gli eredi, il va-
lore dei beni assegnati a ciascuno non corrisponda alle loro quote.
Ferma la convinzione che le disposizioni testamentarie di divisione hanno
la sola ed esclusiva funzione di impedire il sorgere della comunione ereditaria,
credo che la divisione fatta dal testatore che non abbia compreso alcuno degli
eredi, a meno che non risulti una diversa volontà del testatore, debba consi-
derarsi nulla. E ciò indipendentemente dal fatto che l’erede pretermesso o
mal apporzionato sia un successibile testamentario o legittimo.
Trova sempre applicazione la norma di cui al comma 1o dell’art. 735 c.c.,
la quale commina la nullità alla divisione nella quale il testatore non abbia
compreso qualcuno degli eredi istituiti (132).
Sebbene tale ultima formula parrebbe voler evocare soltanto gli eredi
istituiti con il testamento, credo che essa possa e debba valere, in difetto di
quelli, anche nel caso di eredi istituiti per legge. Credo, quindi, che tale regola
possa trovare applicazione anche per il testamento con il quale il de cuius,
senza compiere alcuna istituzione, si limita a dividere i beni agli eredi legitti-
mi. Ove quegli ometta di comprendere uno degli eredi legittimi non credo che
esistano ragioni per escludere l’applicabilità della richiamata regola. La nor-
ma, infatti, ove pure se ne volesse negare l’applicazione diretta, che, invero,
mi pare preferibile e ragionevole, nondimeno troverebbe applicazione analo-
gica. Essendovi tra i due casi identità di ratio: come non può il testatore che
abbia istituito taluno erede, escluderlo dalla successione nel momento diviso-
rio; del pari non può il testatore che si sia rimesso alla volontà della legge per
determinare gli eredi, escluderne uno nel momento divisorio. Ove il testatore
avesse voluto escludere quel tale erede dalla successione, ben avrebbe potuto
provvedere autonomamente alle istituzioni di erede in luogo di rimettersi alla
volontà della legge.
( 133 ) Precisa A. Ciatti, La comunione ereditaria e la divisione, cit., p. 1202, che in caso
di scarto minimo non si faccia questione di inefficacia della divisione, quanto, piuttosto, di
compensazione mediante conguaglio in danaro.
( 134 ) Nello stesso senso anche G. Amadio, La divisione del testatore, cit., p. 96, mercé la
norma di cui all’art. 1424 c.c. La quale, però, non mi pare che possa essere applicata ana-
logicamente al caso di specie, difettando la somiglianza e ostando la norma di cui all’art.
1324 c.c.
( 135 ) Si consideri che L. Mengoni, La divisione testamentaria, cit., p. 19 considera l’as-
segnazione dei mobili e degli immobili, al pari dell’assegnazione dei beni di campagna,
piuttosto che di quelli di città, chiari indici dai quali ricavare l’intenzione del testatore di
considerare il complesso di beni come quota.
PARTE II - COMMENTI 93
Varrà soltanto precisare cosa accade nel caso in cui la massa da dividere
sia maggiore rispetto a quella avuta presente da testatore. In tale ipotesi, non
v’ha dubbio che i beni divisi dal testatore andranno assegnati a ciascun bene-
ficiario, mentre sui beni nuovi si dovrà aprire la comunione ereditaria, alla
quale parteciperanno, in proporzione alla quota nella quale sono nominati,
tutti gli eredi testamentari. Le disposizioni testamentarie istitutive escludono,
infatti e senza dubbio, esprimendo una precisa volontà del testatore, la possi-
bilità di un concorso di successori legittimi e, dunque, la possibilità di attri-
buire i beni non compresi nella divisione « conformemente alla legge » (139).
Questa conclusione credo, peraltro, che debba valere in tutti i casi di di-
visione parziale, indipendentemente dal fatto che la parziarietà provenga dal-
l’esistenza di beni nuovi o, più semplicemente, da una mera scelta del testato-
re. Ove pure il de cuius avesse deliberatamente deciso di non dividere tra gli
eredi tutti i beni, ma di dividerne soltanto alcuni, nondimeno, stante l’esisten-
za delle disposizioni istitutive capaci di comprendere l’intero patrimonio, non
potrebbe mai ipotizzarsi un’intenzione di attribuire i beni non compresi agli
eredi legittimi. In altri termini, l’esistenza di disposizioni testamentarie istitu-
tive che comprendono, pur frazionandolo in quote, l’intero patrimonio, esclu-
de la possibilità di concorso di successione legittima. La quale, come è ovvio,
presuppone sempre che manchi in tutto o in parte la successione testamenta-
ria.
Sotto un diverso profilo, è necessario che la divisione fatta dal testatore
comprenda tutti gli eredi testamentari e che l’effettivo valore dei beni asse-
gnati a ciascuno corrisponda alle quote stabilite dal testatore.
Prescindendo, infatti, dai casi nei quali residuino beni che consentano,
pur conservando le disposizioni di divisione, di apportare le necessarie corre-
zioni divisorie, non ci sono ragioni per escludere la nullità della divisione che
non comprenda qualcuno degli eredi istituiti per testamento e l’inefficacia
delle disposizioni testamentarie di divisione la cui esecuzione importerebbe
l’assegnazione di beni per valori non corrispondenti alle quote stabilite dal te-
statore.
13. — Veniamo, quindi, alla seconda ipotesi: pur in presenza di una divi-
sione fatta dal testatore, gli eredi sono istituiti direttamente dalla legge.
Il caso, come ovvio, è molto complesso, presupponendo, necessariamente,
( 139 ) A. Cicu, Successioni per causa di morte. Parte generale. Divisione ereditaria, cit.,
p. 435, condivisibilmente, reputa più precisa la formula: « i beni in essa non compresi sono
attribuiti conformemente alle quote formate dal testatore se non risulta una sua diversa vo-
lontà ». Si dichiara contrario, F. Messineo, Manuale di diritto civile e commerciale, vol. VI,
Diritto delle successioni per causa di morte, cit., pp. 593 s., secondo cui l’inciso attribuisce
al testatore il potere di manifestare una diversa volontà « nel senso di stabilire che i beni,
da lui intenzionalmente non-divisi, siano attribuiti, secondo le sue disposizioni di carattere
non-divisorio e che, soltanto se manchino queste, si dovrebbe fare ricorso alla successione
per legge ».
PARTE II - COMMENTI 95
14. — Veniamo, quindi, alla terza ipotesi: gli eredi sono istituiti in parte
dalla legge e in parte dal testamento.
Perché ricorra un tale caso è necessario, che il testatore, oltre ad aver di-
viso, totalmente o parzialmente, i propri beni, abbia anche istituito taluno co-
me erede. Occorre, però, che le disposizioni testamentarie istitutive non com-
prendano l’universalità del patrimonio, ma soltanto una quota, ossia che
( 142 ) Secondo L. Mengoni, La divisione testamentaria, cit., p. 77, allorché la vocazione
ex testamento coincida con quella ex lege, la manifestazione di volontà del testatore è inuti-
le. Nel caso in parola, però, tale principio non potrebbe valere, perché la composizione con-
creta delle quote varrebbe, comunque, quale chiamata in beni determinati ex art. 588,
comma 2o, c.c. Con la conseguenza che gli assegnatari sarebbero eredi testamentari.
( 143 ) Sul tema del rinvio le considerazioni di M. Confortini, Problemi generali del con-
tratto attraverso la locazione, Padova 1988, pp. 222 ss.
PARTE II - COMMENTI 97
ge, per i secondi. Prescindendo, infatti, dai casi nei quali residuino dalla divi-
sione fatta dal testatore beni che consentano, pur conservando le disposizioni
di divisione, di apportare le necessarie correzioni divisorie, non ci sono ragio-
ni per escludere la nullità della divisione che non comprenda qualcuno degli
eredi istituiti, per testamento o per legge, e l’inefficacia delle disposizioni te-
stamentarie di divisione la cui esecuzione importerebbe l’assegnazione di beni
per valori non corrispondenti alle loro quote.
Ragioni analoghe inducono a estendere al caso in parola le conclusioni
già tolte a livello più generale, per le ipotesi in cui la massa da dividere sia in-
feriore o maggiore rispetto a quella divisa con il testamento. In via di sintesi,
se la massa è inferiore a quella divisa dal testatore, le disposizioni di divisione
debbono considerarsi inefficaci e tra i successori legittimi e testamentari si
apre una comunione ereditaria; se, invece, la massa è maggiore, perché ci so-
no beni nuovi o perché il testatore non ha diviso tutti i beni, le disposizioni di
divisione possono essere tutte conservate e i beni restanti, ossia i beni non di-
visi dal testatore, dovranno essere ripartiti tra gli eredi legittimi e gli eredi te-
stamentari in proporzione alle rispettive quote.
Se solo si apprezza la coesistenza nel medesimo testo delle due diverse di-
sposizioni testamentarie, quella istitutiva e quella divisoria, in uno con la di-
versa funzione di ciascuna, non stupisce che l’erede possa risultare assegnata-
rio anche di beni ulteriori rispetto a quelli indicati o, au contraire, di beni di-
versi o, ancora, di alcuni soltanto dei beni indicati o, infine, non risultare as-
segnatario di alcuno dei beni che il testatore parrebbe avergli, expressis ver-
bis, « lasciato »; al pari di come non stupisce che tra gli eredi possa sorgere,
comunque, una comunione ereditaria o rispetto a tutti i beni da dividere o
soltanto rispetto a beni nuovi e diversi.
I problemi che pone un testamento nel quale l’istituzione ex re certa è lo
strumento attraverso il quale la divisione ereditaria viene realizzata, si posso-
no più semplicemente sciogliere, tenendo conto della singolare coesistenza nel
medesimo testo di diverse disposizioni. Con questa avvertenza, l’interprete
dovrà, in primo luogo, individuare tutti gli eredi, determinando la misura del-
la quota nella quale ciascuno è chiamato, successivamente verificare l’attua-
bilità della divisione fatta dal testatore, mediante le istituzioni ex re certa, in-
di, verificare se, in che misura e rispetto a quali beni vi sia o non vi sia, tra lo-
ro, comunione ereditaria.
La particolare modalità attraverso la quale la divisione viene realizzata
esclude, in radice, la possibilità che il testatore nella divisione possa non aver
compreso qualcuno degli istituiti (154), ossia una divisione soggettivamente
parziale, dal momento che l’istituzione presuppone, per definizione, l’asse-
gnazione almeno di un bene determinato (155). Esclude, altresì, che il valore
dei beni possa non corrispondere alle quote stabilite dal testatore o che la di-
visione possa essere rescindibile (156), dal momento che la misura delle quote
è data, nel caso di specie, proprio dal rapporto di valore della certa res indi-
cata e assegnata a ciascuno degli istituiti rispetto al tutto (157).
( 154 ) Così, G. Amadio, La divisione del testatore, cit., pp. 90 s. Nella prospettiva che ho
tentato di disegnare, resterebbe, però, salva l’ipotesi dell’applicazione analogica del comma
1o dell’art. 735 c.c. al caso in cui la preterizione di un istituito non sia formale, ma sostan-
ziale e dipendente dalla mancanza del bene al tempo dell’apertura della successione.
( 155 ) Possibile, invece, una divisione parziale in caso di istituzioni in quote espresse. Co-
sì, G. Amadio, La divisione del testatore, cit., p. 88.
( 156 ) G. Amadio, La divisione del testatore senza predeterminazione di quote, cit., pp.
258, 261 e 264. Nell’ultima si legge: « la coincidenza strutturale tra apporzionamento e di-
sposizione istituiva esclude l’operatività [...] dell’art. 735 c.c., così la proporzionalità in re
ipsa tra quota e porzione rende inapplicabile il rimedio rescissorio ». Di recente, Id., La di-
visione del testatore, cit., p. 99.
( 157 ) G. Bombarda, Osservazioni in tema di norme date dal testatore per la divisione, di-
visione fatta dal testatore e disposizione dei conguagli, cit., p. 111. Ora, in senso favorevo-
le, G. Amadio, La divisione del testatore, cit., pp. 77 s. Osserva S. Delle Monache, Revoca
tacita dell’istituzione ex re certa, cit., p. 427, che in ipotesi di beni insufficienti a soddisfare
l’assegnatario di res non più esistente al tempo della apertura della successione, la tutela
non può che essere offerta dall’azione di rescissione. Confermando, così, che il rimedio può
darsi anche in caso di divisione senza predeterminazione di quote. Nella prospettiva che ho
PARTE II - COMMENTI 101
Ne deriva, pertanto, che, in ipotesi di questo tipo, non potendosi mai far-
si questione di divisione soggettivamente parziale, possono porsi soltanto pro-
blemi legati alla consistenza della massa, quando essa sia diversa da quella
esistente al tempo della confezione del testamento. Perché, come potrebbe
darsi il più semplice, lineare e scolastico caso in cui la massa da dividere sia
esattamente corrispondente, per valore e/o consistenza, a quella esistente e
nota al momento della confezione del testamento, nondimeno potrebbero dar-
si i casi in cui la prima sia maggiore o minore rispetto alla seconda.
Nella prima ipotesi, il caso non pone particolari problemi, soprattutto se
si versa in ipotesi di divisione oggettivamente totale. Si tratterà, soltanto, di
misurare il valore delle certae res in rapporto al tutto, al fine di individuare la
misura delle quote di ciascuno. Nelle quali, stante la corrispondenza tra mas-
sa da dividere e massa divisa dal testatore, saranno esattamente compresi i
beni assegnati come quota, con ovvia conseguenza che tra i coeredi non sor-
gerà alcuna comunione ereditaria. Diversamente, qualora la divisione e, in
conseguenza, le assegnazioni non fossero totali, si porrebbe il problema del-
l’attribuzione e della divisione dei beni non assegnati e divisi. Ovvio che,
stante la virtù espansiva della quota, i beni ulteriori andranno ripartiti pro
quota tra tutti gli eredi. Tra i quali sorgerà, quindi, la comunione limitata-
mente ai beni non divisi (158).
Supponiamo che Tizio sia titolare, al tempo della confezione del testa-
mento e al tempo dell’apertura della successione dei beni 1, 2, 3 e 4, che cia-
scuno di essi valga 20, che il testamento rechi il seguente testo: « lascio ad A
il bene 1, a B il bene 2 e a C i beni 3 e 4 » e che risulti l’intenzione istitutiva e
quella divisoria. Non v’ha dubbio che A e B sono eredi per 1⁄4 ciascuno e che
C è erede per 1/2, al pari di come non v’ha dubbio che non v’è comunione
ereditaria, risultando A titolare del bene 1, B, del bene 2 e C dei beni 3 e 4.
La soluzione sarebbe in parte diversa se, fermi tutti gli altri elementi, il
testamento recasse questo testo: « lascio ad A il bene 1, a B il bene 2 e a C il
bene 3 ». Diversamente dal caso precedente, A, B e C, sono eredi in parti
eguali, ossia per 1/3 ciascuno e non v’ha comunione ereditaria soltanto ri-
spettivamente ai beni 1, 2 e 3, risultando A titolare del primo, B del secondo e
C del terzo. Da chiarire, invece, la sorte del bene 4. Il quale, in ragione della
virtù espansiva, spetterà, pro quota, ossia per 1/3 ciascuno, a i tre eredi, tra i
quali sorgerà, limitatamente a quel bene, una comunione.
Non molto diverso, il caso in cui la massa da dividere sia, per valore e/o
consistenza, maggiore della massa divisa dal testatore. Esso pone, infatti,
analoghe questioni e, di conseguenza, si apre alle medesime soluzioni del caso
in cui, pur essendovi identità tra massa da dividere e massa divisa dal testato-
tentato di tracciare nel testo, in casi di tal sorta, non si tratta, punto, di applicare il rimedio
rescissorio, bensì di rilevare la inefficacia della divisione.
( 158 ) Secondo G. Gazzara, Divisione ereditaria, cit., p. 437, si tratta di una comunione
ordinaria. Contrario, A. Cicu, Successioni per causa di morte. Parte generale. Divisione ere-
ditaria, cit., pp. 343 ss.
102 RIVISTA DI DIRITTO CIVILE - 1/2012
Vincenzo Barba
Prof. straord. dell’Università di Roma
« La Sapienza »