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DIR-CIV1-12 OK.pdf 1 10/02/12 08.

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2012
ISSN 0035-6093
ELENCO E PREZZI DEI PERIODICI «CEDAM» per il 2012 ANNO LVIII N. 1 GENNAIO-FEBBRAIO 2012

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ISTITUZIONE EX RE CERTA
E DIVISIONE FATTA DAL TESTATORE

Sommario: 1. Il tema. — 2. La norma sull’interpretazione delle disposizioni testamentarie.


— 3. Il lascito di bene determinato. — 4. Il lascito di tutti i beni. — 5. Intorno a pre-
sunti indici che escluderebbero l’intenzione di assegnare beni determinati come quota.
— 6. Determinazione della quota e beni non compresi nel lascito. — 7. Segue: la sorte
dei beni residui. — 8. Funzione della istituzione ex re certa. — 9. Disposizioni sulla di-
visione e disposizioni di divisione. — 10. Efficacia delle disposizioni testamentarie di di-
visione. — 11. Disposizioni testamentarie di divisione che non comprendano tutti gli
istituiti e divisione fatta dal testatore in violazione delle quote. — 12. Disposizioni testa-
mentarie di divisione e istituzione di eredi in quota espressa. — 13. Segue: disposizioni
testamentarie di divisione e istituzione di eredi ex lege. — 14. Segue: disposizioni testa-
mentarie di divisione e istituzione di eredi ex lege ed ex testamento. — 15. Disposizioni
testamentarie di divisione e istituzione ex re certa.

1. — La lettura di schede testamentarie olografe confezionate senza una


precisa consapevolezza giuridica del problema istitutivo e sorrette soltanto da
ansia di giustizia o ragione di vendetta, in uno con la convinzione e la consa-
pevolezza che non si tratta di testi fuggevoli e occasionali, ma di quelli più co-
muni e frequenti, induce queste riflessioni, con le quali, senza aspirazione di
completezza o novità, arieggia, con tratto di padrone, il tema del rapporto tra
istituzione ex re certa e divisione fatta dal testatore (1).
Arduo rapporto in cui le possibili soluzioni sono avvinte in un circolo er-
( 1 ) Sull’indubbio legame sistematico tra le due norme, almeno, G. Amadio, La divisione
del testatore senza predeterminazione di quote, in questa Rivista, 1986, I, pp. 243 ss.; Id.,
La divisione del testatore, in Successioni e donazioni, a cura di P. Rescigno, vol. II, Padova
1994, pp. 73 ss., spec. pp. 104-107, e L. Mengoni, L’istituzione di erede « ex certa re » se-
condo l’art. 588, comma 2o, c.c., in R. trim. d. proc. civ., 1948, p. 762 e Id., La divisione te-
stamentaria, Milano 1950, p. 70, secondo cui la heredes institutio ex re assume il profilo di
una divisione fatta dal testatore senza determinazione di quote. A. Cicu, Successioni per
causa di morte. Parte generale. Divisione ereditaria, in Tratt. Cicu-Messineo, vol. XLII, 2,
Milano 1958, p. 432; S. Delle Monache, Revoca tacita dell’istituzione ex re certa, in questa
Rivista, 2008, I, pp. 395 e ss. e spec. p. 401. Contrari, invece, G. Bombarda, Osservazioni in
tema di norme date dal testatore per la divisione, divisione fatta dal testatore e disposizio-
ne dei conguagli, in G. it., 1975, IV, c. 109 ss. e spec. c.c. 117-119, secondo la quale in di-
fetto di quote astratte preventivamente determinate non si potrebbe configurare una divi-
sione; G. Capozzi, Successioni e donazioni, I, Milano 1983, p. 49 e Id., Successioni e dona-
zioni, II, Milano 1982, pp. 765 s., il quale distingue l’istitutio ex re certa dalla divisione
fatta dal testatore, assumendo che la prima « esclude la predeterminazione di quote »,
mentre la seconda, sempre, « la presuppone necessariamente ». In questo senso parrebbe
orientato anche G. Perlingieri, Heredis institutio ex re certa, acquisto di beni non contem-
plati nel testamento e l’art. 686 codice civile, in Studi in onore di Giovanni Gabrielli, anche
in Le corti Salernitane, 2010, e in R. trim., 2011, p. 6, il quale, incidentalmente e al fine di
dimostrare che nel caso di chiamato ex re certa non trova applicazione la norma di cui al
comma 2o dell’art. 734 c.c., precisa che « la divisione del testatore presuppone, di regola,
l’espressa predeterminazione di quote da parte del de cuius ».
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meneutico mai semplice da sbrogliare e aperto dalle norme di riferimento a


soluzioni non facili da comporre, soprattutto nei casi in cui il testatore si limi-
ti a « lasciare » taluni beni a taluni soggetti, senza preventivamente istituirli
eredi. Ponendo, cioè, l’irrimediabile problema della qualificazione (2) della
disposizione testamentaria, e, risolto questo nel senso delle istituzioni di eredi,
nei limiti in cui se ne postuli una compatibilità, mai premessa, ma tutta da
verificare e dimostrare, se tra costoro esista una comunione ovvero se essa di-
fetti proprio in ragione della divisione (3).
Il tema, poi, è destinato ulteriormente a intricarsi nei casi, anch’essi assai
consueti, in cui le attribuzioni fatte dal testatore non valgano a coprire l’inte-
ro patrimonio e in cui l’indicazione dei soggetti non comprenda tutti gli isti-
tuiti (4). I problemi, cioè, diventano ancora più complessi quando le attribu-
zioni divisorie fatte dal testatore siano, cumulativamente o alternativamente
tra loro, oggettivamente e/o soggettivamente parziali.
Il difficile rapporto tra disposizioni testamentarie recanti l’indicazione di
un bene determinato e divisione fatta dal testatore muove, allora e di necessi-
tà, da due fondamentali e conseguenti l’una all’altra, premesse logico-giuridi-
che: che manchi un’espressa istituzione in quota (5) e che si possa dare, alme-
no in via d’interpretazione, più d’una istituzione di erede. Detto in altri termi-
ni e con formula di eco classicheggiante, occorre che via sia una istituzione si-
ne partibus scripti e che vi sia una divisio inter coeheredes.
Le istituzioni di eredi in quote espresse, infatti, pur non facendo venire
meno i numerosi problemi sollevati dall’applicazione della disciplina sulla di-
visione fatta dal testatore, soprattutto nei casi in cui le assegnazioni fossero di
valore non corrispondente alle quote indicate o nei casi in cui non venisse ap-
porzionato un erede pur nominato, nondimeno, escluderebbero un problema
di coordinamento con la disciplina di cui al comma 2o dell’art. 588 c.c. D’al-
tra parte, la qualificazione dei lasciti di beni determinati siccome legati risol-
verebbe in radice la questione, posto che l’orizzonte di domande e problemi
sollevato dalle norme sulla divisione fatta dal testatore non avrebbero ragione
di porsi in assenza di pluralità di eredi testamentari (6). E, infine, non v’ha

( 2 ) Per tutti, G. Bonilini, Institutio ex re certa e acquisto, per virtù espansiva, dei beni
non contemplati nel testamento, in Tratt. Bonilini, II, La successione testamentaria, Milano
2009, pp. 239 s. e Id., Institutio ex re certa e acquisto, per virtù espansiva, dei beni non
contemplati nel testamento, in Fam. Pers e Successioni, 2008, pp. 532 ss.
( 3 ) Ammessa la compatibilità tra le due discipline, va da sé, anche a giustificazione del
suo ampio ricorso, che la coincidenza tra momento istitutivo e divisorio pone il testatore al
riparo dai maggiori problemi applicativi che possono sorgere nel caso di preventiva deter-
minazione di quote e cioè da problemi di preterizione, di rescissione e di difformità tra va-
lori dei beni assegnati e valore della quota. Così, anche, G. Amadio, La divisione del testato-
re senza predeterminazione di quote, cit., p. 267.
( 4 ) Rimane estraneo all’indagine il problema posto dalla presenza dei legittimari.
( 5 ) G. Amadio, La divisione del testatore senza predeterminazione di quote, cit., p. 246.
( 6 ) Una tale considerazione credo debba valere anche nel caso, pur raro e di scuola,
PARTE II - COMMENTI 55

dubbio che la presenza di una sola istituzione di erede, ove pure essa venga
realizzata mercé l’indicazione di tutti i beni, non porrebbe un problema di di-
visione, il quale, per definizione, presuppone l’esistenza di una pluralità di
istituiti.

2. — Converrà muovere, nel tentativo di ordinare i numerosi problemi


che popolano il rapporto tra istituzione ex re certa e divisione fatta dal testa-
tore, dalla prima disciplina.
La complessità e densità della quale suggerisce, anche in considerazione
dell’ampia e profonda letteratura e nella consapevolezza della non definitività
delle soluzioni, di considerare per acquisiti i principali e fondamentali risulta-
ti, limitandosi a indugiare sui profili che, più strettamente, si legano al pro-
blema del rapporto di questa disciplina con quella sulla divisione fatta dal te-
statore.
Condivisibile l’idea che la norma contenuta nell’art. 588 c.c. debba con-
siderarsi una norma interpretativa.
Non già una norma di interpretazione, ossia una regola che fissa il signi-
ficato da attribuire, una et semper, a talune espressioni usate dal testatore,
bensì una norma sull’interpretazione, ossia una regola che segna taluni criteri
in base ai quali è possibile attribuire il significato giuridico alla disposizione
scritta dal testatore.
Dubbio, però, che questa regola possa considerarsi una norma speciale
sull’interpretazione (7). Non tanto in ragione del suo contenuto, non tanto in
ragione della sua collocazione, quanto perché credo sia difficile recuperarne
il tratto di specialità o, più esattamente, scovare la norma o il complesso di
norme rispetto alle quali essa possa essere considerata tale. Non aiuta, in
questa direzione, il suo raffronto con le norme sull’interpretazione del con-
tratto, dal momento che non sembra possibile istituire tra le due materie un
qualunque rapporto di genus-species, difettando una disciplina o un princi-
pio di disciplina rispetto al quale sia possibile predicare la specialità del-
l’una o la generalità dell’altra o, più rigorosamente, dell’una rispetto all’al-
tra. Non giova, neppure, il richiamo alla figura del negozio giuridico. Per-
nondimeno possibile e plausibile, in cui il testatore disponga della totalità del proprio pa-
trimonio mercé dei legati. L’erede non istituito con il testamento dovrebbe essere indivi-
duato, per necessità logico giuridica, secondo la disciplina, inevitabilmente, concorrente
della successione legittima. Sarebbe, quindi, erede il parente più prossimo. Il quale, non
risultando beneficiato da alcuna disposizione testamentaria, o, più esattamente, da alcuna
attribuzione patrimoniale, si limiterebbe ad assolvere una mera funzione di liquidatore
dell’eredità.
( 7 ) La considera speciale F. Ziccardi, Le norme interpretative speciali, Milano 1972,
pp. 98 ss., il quale, però, usa, come dichiara a p. 43, tale espressione, soltanto, per designa-
re le norme diverse dalle generali e prive della attitudine di espandere il proprio ambito di
applicazione oltre gli istituti per la cui disciplina sono previste. La loro applicazione non
può concorrere con le norme generali, dipendendo esclusivamente dalla presenza degli ele-
menti della fattispecie.
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ché, ove così si ragionasse, delle due, soltanto l’una: o si considerano con-
tratto e testamento come negozî giuridici e, allora, entrambe le loro discipli-
ne sono speciali, ovvero, pur non contestando il condiviso e condivisibile
fondamento negoziale di entrambi, si prescinde dalla loro riconducibilità al-
la categoria del negozio, la quale, per altro, sprovvista di una disciplina ge-
nerale, ha punto valore logico-ordinante, e si postula che entrambe sono di-
scipline generali (8).
Il tratto della generalità, poi, parrebbe ulteriormente confermato dal suo
contenuto. Come tutte le norme sull’interpretazione della legge e degli atti
giuridici, essa finisce col dividere il significato della forma rappresentativa tra
il suo senso letterale e quello funzionale. Dimostrando come l’interpretazione
giuridica resti sempre divisa tra un dato letterale, vincibile e superabile, e un
dato funzionale, con valore di orizzonte euristico. Con l’avvertenza che, nella
prospettiva adottata, la superabilità e la vincibilità del testo non deve, né può
significare assegnazione di un senso di cui esso è totalmente incapace, bensì
scelta di uno dei suoi possibili significati (9), dacché la conquista della mono-
semia è orientata dal dato funzionale, il quale non è fine, bensì mezzo erme-
neutico (10).
Ciò che muta, rispetto all’interpretazione della legge, all’interpretazione
del contratto e all’interpretazione dell’atto unilaterale in senso stretto, non è
tanto e soltanto la dinamica del difficile rapporto tra testo e contesto, tra dato
letterale e funzionale, quanto, la prospettiva attraverso la quale si deve svol-
gere l’indagine (11), in uno con la consapevolezza che quel testo ha, a diffe-
renza degli altri, il fragile tratto della definitiva e assoluta irripetibilità.
Non trascurando il punto di rilevanza ermeneutica e con la consapevolez-
za dell’effimera irripetibilità del testo, il comma 1o dell’art. 588 c.c., al pari di
quanto l’art. 1362 c.c. non faccia per il contratto e l’art. 12 prel. per la legge,

( 8 ) In senso contrario parrebbe orientato G. Amadio, L’oggetto della disposizione testa-


mentaria, in Successioni e donazioni, a cura di Pietro Rescigno, vol. I, Padova 1994, p.
905, il quale, istituendo un rapporto con le norme sull’interpretazione del contratto, precisa
che la norma in parola prescrive un modello di interpretazione a scopo prefissato che si po-
ne in antitesi con la libertà di fini posta nel canone di cui all’art. 1362 c.c.
( 9 ) A. Trabucchi, Il rispetto del testo nell’interpretazione testamentaria, in Scritti giuri-
dici in onore di F. Carnelutti, vol. III, Padova 1950, pp. 688 ss., il quale ammette il ricorso
al dato extratestuale, purché sia volto a interpretare un testo e non a ricercare una volontà
presunta. Anche P. Trimarchi, Interpretazione del testamento mediante elementi a esso
estranei, in G. it., 1956, I, 1, c. 445 ss. Sul primato del testo, N. Irti, Disposizione testa-
mentaria rimessa all’arbitrio altrui, Milano 1967, p. 37.
( 10 ) L’impianto è di N. Irti, Testo e contesto, Padova 1997; Id., Principî e problemi di
interpretazione contrattuale, in R. trim. d. proc. civ., 1999, pp. 1139 ss. Per uno sviluppo
sul tema dei contratti plurilaterali il mio Profili civilistici del leveraged buyout, Milano
2003, cap. III, sez. II, e sul tema dell’atto giuridico in senso stretto, La rinunzia all’eredità,
Milano 2008, cap. III, sez. I.
( 11 ) Sul punto di rilevanza ermeneutico, E. Betti, Teoria generale del negozio giuridi-
co, in Tratt. Vassalli, 2a ed., Torino 1960, p. 370.
PARTE II - COMMENTI 57

risolve il rapporto tra testo e contesto, segnando all’interprete il percorso che


quegli deve compiere per rendere intelligente le parole scritte sul testamento.
La superabilità del dato letterale sembra, nell’art. 588 c.c., ancora più
forte che negli altri luoghi normativi. Perché al fine di ridurre le disposizioni
testamentarie nel genere di quelle a titolo universale o a titolo particolare oc-
corre verificare se esse comprendano, o meno, l’universalità o una quota dei
beni ereditari, qualunque sia l’espressione o la denominazione usata dal testa-
tore (12).
Fermando l’attenzione sul dato letterale, non credo che possa essere tra-
scurabile la circostanza che il legislatore, nel segnarne la misura di rilevanza,
usi, unitamente, le parole « espressione » e « denominazione ». L’ultima de-
scrive qualcosa di più e di diverso della prima: non un semplice e qualunque
significante, bensì un nome che identifica e specifica la cosa denominata. Al-
tro il generico riferimento all’espressione, ossia all’indefinito vocabolo o alla
impersonale locuzione a cui il testatore affida il suo pensiero, altro una deno-
minazione, ossia un’espressione propria, recante un preciso e univoco signifi-
cato scientifico.
Nel comma 1o dell’art. 588 c.c. il legislatore, riferendosi espressamente
anche alla denominazione, ha inteso limitare l’influenza non soltanto del lin-
guaggio comune, bensì anche di quello tecnico, compiendo, così, una scelta
radicalmente diversa da quella consumata nell’art. 12 prel. Nell’una autoriz-
za l’interprete a prescindere dal significato della denominazione usata dal te-
statore (13), nell’altra, invece, impone all’interprete di non attribuire altro
senso che quello fatto palese dal significato proprio delle parole. La ragione
della diversità è evidente: lì, l’autore del testo è il legislatore, ossia un soggetto
che dovrebbe sempre possedere una piena consapevolezza conoscitiva e
un’adeguata capacità critica per scegliere ciascuna denominazione; nella ma-
teria testamentaria, invece, non soltanto manca una presunzione di tale cono-
scenza e consapevolezza nell’autore, ma, addirittura, ne esiste, stante il tenore
letterale dell’art. 588 c.c., una eguale e contraria. La quale suggerisce al legi-
slatore di condurre colui che tenti l’interpretazione del testamento, prescin-
dendo dal significato primario e letterale delle parole comuni (espressioni) e
dal significato proprio delle parole tecniche (denominazioni).

( 12 ) Si tratta di una formula nuova la quale non compariva nel corrispondente art. 760
del previgente codice. Al pari di come nuova è la formulazione del comma 2o dell’attuale
art. 588 c.c. Per un analisi sul raffronto dei testi, C. Gangi, La successione testamentaria
nel vigente diritto italiano, I, Milano 1952, II ed., pp. 364 s.
( 13 ) L. Mengoni, L’istituzione di erede « ex certa re » secondo l’art. 588, comma 2o, c.c.,
cit., p. 742, qualificare legato la disposizione in cui il testatore impropriamente usi la deno-
minazione erede attua una comune applicazione del principio falsa demonstratio non nocet
relativamente, non all’oggetto, ma alla natura del negozio. Discorre, invece, di irrilevanza
della qualifica di legatario usata dal testatore, S. D’Andrea, La heredis institutio ex re cer-
ta, in Tratt. Bonilini, vol. II, La successione testamentaria, cit., p. 223 s.
58 RIVISTA DI DIRITTO CIVILE - 1/2012

Il testo, però, non può esser privo di qualunque rilievo (14), smarrisce,
soltanto, la sua precisa e preventiva funzione selettiva. Sicché, ove pure le pa-
role scritte nel testamento fossero provviste di un significato proprio o di un
univoco significato primario, nondimeno il testo che le raccoglie avrebbe la
capacità di esprimere un significato esattamente uguale e contrario o, anche
soltanto e, più semplicemente, un significato diverso, ma non opposto, da
quello che il pre-concetto giuridico o letterale renderebbe preventivamente in-
telligente. Il legislatore pare escludere, allora, non la rilevanza, ma il valore
determinante, ossia la concludenza del segno. Denominazioni ed espressioni
non sono concludenti: rispetto alle prime è possibile predicare un significato
opposto o diverso da quello proprio, rispetto alle seconde un qualunque signi-
ficato secondario.
Per superare la concludenza del testo, occorre avere riguardo al contenu-
to della disposizione testamentaria (15). Con la precisazione che la parola
« contenuto » viene utilizzata in questo caso nel duplice senso di cui essa è ca-
pace, sicché occorre non soltanto verificare l’oggetto della disposizione testa-
mentaria (16), quanto e soprattutto far riferimento a ciò che, in termini obiet-
tivi, essa specificamente contenga, essendo determinante il suo comprendere
l’universalità o una quota dei beni del testatore (17).
Il discorso, prima di aprirsi sul che significhi comprendere, reclama, ine-
vitabilmente, qualche chiarimento sul significato delle espressioni universalità
e quota. Le quali, sebbene quando siano usate dal testatore non siano deno-
minazioni concludenti ai fini della qualificazione, diventano determinanti e
concludenti quando le medesime risultino il parametro obiettivo di riferimen-
to alla stregua del quale l’esegeta, a’ sensi dell’art. 588 c.c., è chiamato a in-
terpretare e qualificare le disposizioni medesime.
Dal latino universalem, composto di universum e del suffisso -alem, la
parola universalità (18) indica un complesso di cose considerate nella loro to-
( 14 ) Almeno secondo la prospettiva che ho adottata nel testo.
( 15 ) G. Amadio, L’oggetto della disposizione testamentaria, cit., p. 899, nella irrilevanza
del riconoscimento formale del nomen heredis v’è la differenza tra diritto moderno e diritto
romano.
( 16 ) Di riferimento esclusivo al contenuto obiettivo discorrono F.S. Azzariti-G. Marti-
nez-Giu. Azzariti, Successioni per causa di morte e donazione, VI ed., Padova 1973, p.
491.
( 17 ) Ma, G. Bonilini, Institutio ex re certa e acquisto per virtù espansiva, dei beni non
contemplati nel testamento, cit., p. 240 e Id., Institutio ex re certa e acquisto, per virtù
espansiva, dei beni non contemplati, cit., p. 535, scrive « criterio sovrano, non può che es-
sere la volontà reale del testatore, data l’ininfluenza delle espressioni o denominazioni im-
piegate dallo stesso ».
( 18 ) Si prescinde, qui, dal problema della eredità quale universitas, sul quale mi per-
metto di rinviare al mio, Note per uno studio intorno al significato della parola eredità, in
Rass. d. civ., 2011, in corso di stampa. Per una condivisibile critica della teoria della here-
ditas-universitas già L. Mengoni, L’istituzione di erede « ex certa re » secondo l’art. 588,
comma 2o, c.c., cit., pp. 744 ss. e spec. 746.
PARTE II - COMMENTI 59

talità; non la constatazione di un mero dato fattuale e obiettivo, qual è una


totalità, bensì la valutazione di quella, attraverso un accertamento di tipo
deontologico e non meramente fenomenologico (19).
La mera circostanza che il destinatario della disposizione testamentaria
non risulti beneficiario della totalità dei beni del testatore, non può far mec-
canicamente escludere che la disposizione comprenda l’universalità dei beni.
Si pensi, infatti, al caso di un soggetto che, con testamento, istituisca unico
erede Tizio, legando, però, a Caio la proprietà di un immobile. Non v’ha dub-
bio che la disposizione testamentaria non offra a Tizio tutti i beni che sono
appartenuti al testatore e neppure tutti i beni che costituiscono la di lui eredi-
tà, perché è inevitabilmente esclusa la proprietà del bene legato a Caio. Non-
dimeno, pur non trattandosi della totalità, non v’ha dubbio che si tratti del-
l’universalità, perché a esclusione del bene specificamente indicato, Tizio ri-
sulta beneficiario del complesso di tutti i beni, indipendentemente dal loro es-
sere indicati nel testamento e per il solo fatto di costituire l’eredità del testato-
re medesimo, ossia per il loro essere considerati siccome la totalità (20).
Non meno semplice, la parola quota, dal latino quotus, la quale, indican-
do la parte di un tutto, esprime un concetto di relazione, che non pone dinan-
zi a un mero dato fattuale e obiettivo, bensì alla valutazione di un rapporto. Il
quale, non essendovi limiti matematici o logici per descriverne e designarne la
misura, ossia la frazione, intesa come l’oggetto matematico che indica un
quoziente di due numeri interi, o la percentuale, intesa come l’equivalente og-
getto matematico che descrive la grandezza di una quantità rispetto a un’al-
tra (21), può essere espresso nel modo più vario (22). Sicché la quota è, da un

( 19 ) Precisa C. Gangi, La successione testamentaria nel vigente diritto italiano, I, cit.,


p. 370, che l’universalità è concetto che comprende tanto i beni quanto i debiti.
( 20 ) Problematico stabilire se il lascito di usufrutto universale sia da considerare una di-
sposizione a titolo universale o particolare. Nel primo senso la dottrina maggioritaria, e per
tutti, G. Bonilini, La costituzione mortis causa, in Usufrutto, uso e abitazione, a cura di G.
Bonilini, Nuova giurisprudenza di diritto civile e commerciale, fondata da W. Bigiavi e di-
retta da G. Alpa, G. Bonilini, U. Breccia, O. Cagnasso, F. Carinci, M. Confortini, G. Cotti-
no, A. Iannarelli e M. Sesta, 1, Torino 2010, pp. 718 ss., e spec. p. 734 ss. e C. Gangi, La
successione testamentaria nel vigente diritto italiano, I, cit., pp. 383-386. Nel secondo sen-
so, il nostro, L’eredità, in Usufrutto, uso e abitazione, a cura di G. Bonilini, cit., pp. 347 ss.
e spec. pp. 379 ss. e già A. Cicu, Natura giuridica della vocazione nell’usufrutto di eredità,
in Studi in onore di F. Mancaleoni, in Studi Sassaresi, XVI e in F. it., 1938, IV, c. 134 ss.;
Id., Successione legittima e dei legittimari, 2a ed., Milano 1943, pp. 118 ss.; Id., Usufrutto
d’eredità, in R. trim. d. proc. civ., 1950, pp. 821 ss.; Id., Usufrutto d’eredità, in R. trim.,
1951, pp. 584 s.; Id., Successioni per causa di morte. Parte generale. Divisione ereditaria,
in Tratt. Cicu-Messineo, vol. XLII, 2, Milano 1958, p. 349 ss.; Id., Successioni per causa di
morte. Parte generale. Delazione e acquisto dell’eredità, cit., p. 26 ss., spec. par. 10.
( 21 ) C. Gangi, La successione testamentaria nel vigente diritto italiano, I, cit., pp. 374
s.
( 22 ) Su questo argomento anche la dottrina sul testo del codice previgente. Almeno, L.
Coviello, L’istituzione di erede ed il lascito di beni determinati, in F. it., 1931, I, 1, c.
60 RIVISTA DI DIRITTO CIVILE - 1/2012

lato, l’oggetto matematico che segna la frazione o la percentuale, e dall’altro,


la rappresentazione parziale di un’unità costituita non già dalla totalità dei
beni del testatore, bensì dall’universalità dei medesimi (23).
Coerentemente alla non concludenza delle denominazioni ed espressioni
usate dal testatore, il legislatore precisa che la disposizione testamentaria va
qualificata come universale (24) per il sol fatto di comprendere, ossia di racco-
gliere e offrire al beneficiario, l’universalità o una quota dei beni del testato-
re (25).
Il verbo comprendere, nel suo esaltare il profilo del mero contenere, cir-
condare e abbracciare, per un verso, pare prescindere dal modo in cui il testa-
tore abbia manifestata la sua intenzione e, per altro verso, ammettere qualun-
que tecnica logico-linguistica che sia capace di far considerare compresa in
quel testo scritto l’universalità o una quota dei beni del testatore.
In conseguenza, non soltanto non è concludente il significato delle espres-
sioni e denominazioni usate dal testatore, ma non è concludente, neppure, la
tecnica logico-linguistica alla quale il testatore affida le proprie intenzioni.
Essa può essere la più varia e congeniale sia alle consuetudini lessicali che al
modello socio-culturale del testatore (26), purché, però, quale che siano le pa-
role e quale che sia la tecnica di formulazione del pensiero, la disposizione
comprenda l’universalità o la quota (27) dei beni del testatore.
Infine, sempre per restare al comma 1o dell’art. 588 c.c., un ultimo rilie-
vo sembra necessario. Non credo, infatti, che possa considerarsi priva di rilie-
1157 ss. e, ivi, riferimenti di dottrina e giurisprudenza del regno. In giurisprudenza, alme-
no, Cass. 14 luglio 1926, in Corte di Cassazione, 1927, pp. 6 ss.; Cass. 9 gennaio 1929, in
G. it., 1929, I, 1, c. 386 ss. e, in senso contrario, Cass. 11 marzo 1931, in G. it., I, 1, c. 691
ss.
( 23 ) L. Mengoni, L’istituzione di erede « ex certa re » secondo l’art. 588, comma 2o, c.c.,
cit., p. 756, la legge non richiede che la quota sia indicata mediante un preciso linguaggio
matematico, indi non v’è ragione per escludere la compatibilità logica della institutio ex re
certa.
( 24 ) A riprova che l’istituzione di erede non dipende, come nel diritto romano classico,
dalla formale attribuzione del titolo, bensì dalla sostanziale attribuzione dell’universalità o
di una quota dei beni. L. Mengoni, L’istituzione di erede « ex certa re » secondo l’art. 588,
comma 2o, c.c., cit., p. 750, precisa « la qualità di erede non acquista più un’autonomia lo-
gico-funzionale, e si riduce a mera designazione del soggetto che è successo in locum et
ius »; Id., La divisione testamentaria, cit., p. 6.
( 25 ) Acutamente, G. Amadio, La divisione del testatore senza predeterminazione di quo-
te, cit., pp. 246 ss. discorre di criterio oggettivo-contenutistico.
( 26 ) G. Amadio, L’oggetto della disposizione testamentaria, cit., p. 912, esclude che
possa essere risolutiva per valutare la intenzione di cui all’art. 588 c.c. la consapevolezza
del testatore circa le conseguenze tipiche della chiamata.
( 27 ) Secondo S. D’Andrea, La heredis institutio ex re certa, cit., p. 224, conta soltanto
l’attribuzione dell’intero patrimonio o di una quota di esso « non la precisazione della enti-
tà della quota ». Aggiungo, però, che è necessaria, almeno, non essendo diversamente nep-
pure plausibile il riferimento al concetto di quota, se n on la precisazione diretta e imme-
diata dell’entità, almeno una precisazione indiretta e mediata o anche per relationem.
PARTE II - COMMENTI 61

vo la tecnica di costruzione della fattispecie. La quale, mentre definisce in po-


sitivo e in relazione al suo contenuto la disposizione a titolo universale, affida,
invece, la disposizione a titolo particolare al tratto del residuale e a un giudi-
zio di carattere puramente negativo (28). La residualità della seconda finisce,
inevitabilmente, per comprimere l’area delle prime, assorbendo al suo interno
non soltanto quelle che sicuramente non lo sono, ma anche quelle rispetto alle
quali non v’è conferma che lo siano (29). Conseguentemente, l’interprete che
si interroghi sulla idoneità della disposizione testamentaria a offrire al suo de-
stinatario l’universalità o una quota dei beni ereditari, sappia che soltanto la
risposta positiva comporterà la riconducibilità di essa alle disposizioni a titolo
universale, mentre tanto quella negativa quanto quella dubbia farà rifluire la
medesima nella residuale categoria del legato (30).

3. — Il risultato raggiunto, nel paragrafo precedente, può essere così rac-


colto: il comma 1o dell’art. 588 c.c. contiene una norma generale sull’inter-
pretazione del testamento. La quale, nel negare rilevanza concludente alle
espressioni e denominazioni e nel negare rilevanza concludente alla tecnica
logico-linguistica, assegna valore ermeneutico determinante e concludente al
suo contenuto o, più esattamente, al suo comprendere o escludere l’universa-
lità o una quota dei beni del testatore.
Il che è affatto rilevante soprattutto in riguardo al rapporto tra il 1o e il 2o
comma dell’art. 588 c.c. Perché affermare l’irrilevanza normativa generale
della tecnica logico-linguistica del testatore può indurre a considerare il com-
ma 2o dell’art. 588 c.c. una mera precisazione del 1o, ossia una norma pleona-

( 28 ) C. Gangi, La successione testamentaria nel vigente diritto italiano, I, cit., p. 363.


G. Amadio, L’oggetto della disposizione testamentaria, cit., p. 903; S. Delle Monache, Re-
voca tacita dell’istituzione ex re certa, cit., p. 396.
( 29 ) S. Delle Monache, Revoca tacita dell’istituzione ex re certa, cit., p. 404. In senso
contrario, M.C. Tatarano, Il testamento, in Tratt. Perlingieri, VIII; 4, Napoli 2003, pp. 360
s., secondo cui la disposizione testamentaria, in caso di dubbio, va interpretata, anche per
ragioni di ordine pubblico, come istituzione a titolo universale. In questo senso, recente-
mente, anche G. Perlingieri, Heredis institutio ex re certa, acquisto di beni non contempla-
ti nel testamento e l’art. 686 codice civile, cit., p. 8, il quale a ulteriore conferma di questa
ipotesi, aggiunge una considerazione di metodo che muove dal bilanciamento dei principi e
dalla valutazione comparativa degli interessi.
( 30 ) A questo profilo credo debba legarsi il tema del dubbio e, più precisamente, del
dubbio interpretativo, ossia del dubbio oggettivamente qualificato dalla circostanza che le
norme sull’interpretazione oltre a consentire la qualificazione del fatto sono, nel caso, anche
il modello normativo di riferimento. Il dubbio, ossia l’impossibilità di ricondurre sulla base
di un giudizio normativo di tipo positivo un dato fatto all’interno di un dato tipo normati-
vo, esclude, di necessità, la riconducibilità del primo al secondo. In conseguenza, salva
l’ipotesi dell’esistenza di una categoria residuale assorbente, capace di attrarre ciò che non
può essere ricondotto alla prima, deve concludersi per l’irrilevanza del fatto, e, dunque, de-
ve respingersi la domanda. Essendo il dubbio non una caratteristica ontologica del fatto,
ma l’esito di una valutazione che consente, all’esito del procedimento interpretativo norma-
tivo, di ricondurlo almeno a due modelli normativi alternativi.
62 RIVISTA DI DIRITTO CIVILE - 1/2012

stica, nella misura in cui voglia semplicemente chiarire che la tecnica logico-
linguistica consistente nell’indicare beni determinati o un complesso di beni
non sia concludente ai fini della qualificazione (31). Con l’ulteriore conseguen-
za che non potrebbe istituirsi un rapporto di genere-specie o di regola-ecce-
zione (32) tra la norma di cui al comma 1o e quella di cui al comma 2o, essen-
do l’ultima soltanto uno dei possibili e plausibili svolgimenti logici della pri-
ma (33).
Al fine di conservare la tenuta di questo risultato, bisogna, però, verifica-
re se davvero possa escludersi ogni qualsivoglia carattere di originalità. Poi-
ché, anche un solo tratto di novità, vi attribuirebbe o vi potrebbe attribuire
un diverso valore e, soprattutto, potrebbe e dovrebbe mettere in discussione il
rapporto di essa con la regola contenuta nel comma 1o (34).
La lettura del comma 2o dell’art. 588 c.c., mentre restituisce l’idea che
essa nulla aggiunge alla regola contenuta al comma 1o, nella parte in cui chia-
risce che la tecnica logico-linguistica consistente nell’indicazione di un bene o

( 31 ) Si afferma, da più parti, che l’indagine sull’intenzione del testatore di lasciare la


certa res come quota sia possibile soltanto in caso di disposizione dubbia. Così, S. Delle
Monache, Testamento. Disposizioni generali. Artt. 587-590, in Comm. Schlesinger, Milano
2005, p. 168; G.F. Basini, « Lasciti » di beni determinati ed istituzione di erede ex re certa,
in Fam., Pers. e Successioni, 2007, p. 244. Credo opportuno precisare che la chiarezza o il
dubbio è l’esito dell’attività esegetica, ma non il presupposto per poter dar corso a essa. Il
permanere del dubbio, nonostante siano stati sperimentati i criteri offerti dalla legge, costi-
tuisce, talvolta, il presupposto di una precisa scelta legislativa che, dovendo necessariamen-
te rompere la tregua dell’indecisione, preferisce l’una o l’altra soluzione.
( 32 ) Nel senso che si tratti di norma eccezionale, L. Mengoni, L’istituzione di erede « ex
certa re » secondo l’art. 588, comma 2o, c.c., cit., p. 758 e Id., La divisione testamentaria,
cit., pp. 16 s., per il quale solo nel caso di lascito di beni determinati sarebbe possibile
un’indagine, altrimenti esclusa, della volontà del disponente. Il portato di questa idea è che
nel dubbio, prevalendo il precetto di cui al comma 1o, la disposizione testamentaria va inte-
sa come legato. Anche G. Bombarda, Osservazioni in tema di norme date dal testatore per
la divisione, divisione fatta dal testatore e disposizione dei conguagli, cit., p. 120, la quale
considera il comma 2o di carattere suppletivo e F. Messineo, Manuale di diritto civile e
commerciale, vol. VI, Diritto delle successioni per causa di morte, IX ed., Milano 1962, p.
46. Esclude che si tratta di norma eccezionale, L. Bigliazzi Geri, Il contenuto del testamen-
to, in Aa.Vv., Tratt. Rescigno, VI, Successioni , 2a ed., Torino 1997, p. 67.
( 33 ) Contrario, S. D’Andrea, La heredis institutio ex re certa, cit., p. 233, secondo cui
non si tratterebbe di una norma sull’interpretazione. Secondo S. Delle Monache, Revoca
tacita dell’istituzione ex re certa, cit., p. 397, il capoverso dell’art. 588 c.c. si pone in linea
di continuità rispetto al primo comma in relazione alla istituzione di erede, ma in linea di
rottura rispetto alla figura del legato. A p. 399, l’A. precisa, infatti, che « Netta appare, per
contro, l’incrinatura sofferta da quella definizione generale, se si considerano le cose con
specifico riguardo alla figura del legato ».
( 34 ) Non mi sembra un caso che, pur vigendo il vecchio codice, il quale non contempla-
va una norma corrispondente all’attuale comma 2o dell’art. 588 c.c., la corte di legittimità,
nella importante decisione a Sezioni Unite del 3 ottobre 1925, in F. it., 1925, I, c. 1063 ss.,
fosse già pervenuta a tale risultato. Critico sulla decisione, avuto riguardo al tessuto norma-
tivo esistente, C. Gangi, La successione testamentaria nel vigente diritto italiano, I, cit., p.
374.
PARTE II - COMMENTI 63

un complesso di beni determinato non esclude che il testatore abbia inteso as-
segnare quel bene o quel complesso di beni come quota del proprio patrimo-
nio (35), ossia che la disposizione possa essere qualificata a titolo universale e
non necessariamente a titolo particolare (36), come si potrebbe a prima vista
ipotizzare, finisce con l’avere fondamentale rilevanza nella parte e per il mo-
do in cui autorizza l’interprete a compiere tale valutazione (37). Il comma 2o
dell’art. 588 c.c. detterebbe una regola in linea di continuità (38) rispetto a
quella contenuta nel comma 1o, limitandosi a prevedere una classe di ipotesi,
sebbene essa risulti la più frequente e problematica, in cui la tecnica logico-
linguistica, più che le denominazioni o le espressioni usate dal testatore,
smarriscono, come il comma 1o ben chiarisce a livello più generale, ogni spe-
cifico valore concludente (39). Tale comma, nondimeno, avrebbe un tratto di
novità nella parte in cui, con l’uso della forma verbale « risulta », legittima
l’interprete al percorso esegetico che la stessa derivazione etimologica della
parola inevitabilmente suggerisce.
A seguire questo ragionamento non sarebbe possibile istituire un rappor-
to di genere specie o di regola eccezione tra comma 1o e 2o dell’art. 588 c.c.,
non tanto e non soltanto perché la regola contenuta nel comma 2o è, piuttosto,
lo svolgimento (40) in chiave esemplificativa di quella posta al 1o, quanto e so-
prattutto perché comma 1o e 2o non offrirebbero due norme giuridiche, rispet-
to alle quali è possibile la verifica di un rapporto di relazione, ma un’unica e

( 35 ) G. Amadio, La divisione del testatore senza predeterminazione di quote, cit., p.


249; Id., L’oggetto della disposizione testamentaria, cit., p. 914, precisa muta soltanto il
linguaggio utilizzato dal testatore, il quale, da aritmetico ed astratto, si fa concreto e imme-
diato.
( 36 ) Anche ponendo rilievo all’uso della forma verbale « possa », si sostiene, opportuna-
mente, che se l’intenzione di assegnare i beni come quota non risulti in modo sicuro, per-
manendo l’ambiguità del testo, la disposizione deve essere considerata a titolo particolare.
Così, G. Bonilini, I legati, in Comm. Schlesinger, Milano 2001, p. 34; S. Delle Monache,
Testamento. Disposizioni generali. Artt. 587-590, in Comm. Schlesinger, cit., p. 170; Id.,
Revoca tacita dell’istituzione ex re certa, cit., p. 401; G.F. Basini, « Lasciti » di beni deter-
minati ed istituzione di erede ex re certa, cit., p. 245.
( 37 ) A. Burdese, « Institutio ex re certa » e divisione testamentaria (Sulla natura dell’at-
to divisorio), in questa Rivista, 1986, II, p. 466, individua l’elemento oggettivo della fatti-
specie nella considerazione di cose determinate e non di una data quota astratta.
( 38 ) F.S. Azzariti, G. Martinez, Giu. Azzariti, Successioni per causa di morte e dona-
zione, cit., p. 494, discorrono, invece, di criterio meramente suppletivo.
( 39 ) S. D’Andrea, La heredis institutio ex re certa, cit., p. 231, bene osserva che il dub-
bio non sorge dalla scheda, ma dalla scelta del legislatore che con il comma 2o dell’art. 588
c.c. « lo ha introdotto, in astratto, per ogni disposizione testamentaria » che si atteggi a la-
scito di bene determinato.
( 40 ) Discorre di continuità tra le previsioni contenute al comma 1o e 2o, V. Cuffaro, Art.
588, in Aa.Vv., Comm. Gabrielli, Delle Successioni, vol. 2, artt. 565-712, a cura di V. Cuf-
faro e F. Delfini, Torino 2010, pp. 180 s.
64 RIVISTA DI DIRITTO CIVILE - 1/2012

sola regola capace di descrivere un unitario percorso esegetico (41), differente


soltanto nella misura di rilevanza dell’intenzione, con la conseguenza che il
comma 2o avrebbe il medesimo tratto di generalità del 1o (42), anch’esso,
aperto, per effetto del secondo, al comune materiale interpretativo.
Non v’ha dubbio che oggetto dell’attività di interpretazione, anche avuto
riguardo al rigoroso formalismo che vige in materia testamentaria (43), non
può che essere il complesso delle parole scritte dal testatore nella scheda te-
stamentaria, indipendentemente da quale sia il documento e indipendente-
mente dall’unità del documento in cui esse sono recate (44). Ciò che conta è il
complesso delle parole scritte che danno corpo all’atto. Altro, però, è l’oggetto
dell’interpretazione, altro è il materiale interpretativo (45). L’uno è il testo, os-
sia le parole scritte nella scheda testamentaria; la forma rappresentativa in at-
tesa di ricevere il significato giuridico; l’altro è dato dal testo e dal contesto.
Inteso, quest’ultimo, come ciò che sta intorno al testo e, dunque, come il com-
plesso degli atti, dei fatti e dei documenti circostanti alla forma rappresentati-
va.
La rilevanza ermeneutica del contesto non credo possa e debba essere messa in
discussione (46). Di là del problema dell’applicabilità diretta (47), analogica (48) o

( 41 ) In senso contrario parrebbe orientato G. Amadio, La divisione del testatore senza


predeterminazione di quote, cit., pp. 246 ss., secondo il quale l’indagine volontaristica di
cui al comma 2o sarebbe consentita soltanto qualora il criterio oggettivo-contenutistico, in-
dicato al primo non sciolga il dubbio interpretativo. Anche Id., L’oggetto della disposizione
testamentaria, cit., p. 906.
( 42 ) In senso contrario, F. Ziccardi, Le norme interpretative speciali, cit., p. 103.
( 43 ) P. Trimarchi, Interpretazione del testamento mediante elementi a esso estranei,
cit., cc. 445 ss.; N. Irti, Disposizione testamentaria rimessa all’arbitrio altrui, Milano
1967, pp. 36 ss. Efficace la considerazione di S. Delle Monache, Revoca tacita della istitu-
zione ex re certa, cit., p. 402, secondo cui, in base a un solido argomento fondato sull’art.
588 c.c., il formalismo testamentario riguarderebbe soltanto il contenente, ma non anche il
contenuto.
( 44 ) Sul rapporto tra atto e documento testamentario, sia consentito il rinvio al nostro,
Distruzione di un testamento olografo, in Fam., Pers. e Successioni, 2010, pp. 356-368.
( 45 ) Così, L. Mengoni, L’istituzione di erede « ex certa re » secondo l’art. 588, comma
2 , c.c., cit., p. 759 e già C. Gangi, La successione testamentaria nel vigente diritto italiano,
o

I, cit., p. 378.
( 46 ) Precisa G. Amadio, La divisione del testatore senza predeterminazione di quote, cit., p.
250, a conferma di questa lettura, che l’utilizzazione di elementi extratestuali e la valutazione
della loro rilevanza costituisce, esclusivamente, problema giudiziario, ma non sostanziale.
( 47 ) Così, E. Betti, Teoria generale del negozio giuridico, cit., pp. 367 ss. e spec. p.
370.
( 48 ) C. Grassetti, voce Interpretazione dei negozi giuridici mortis causa (Diritto civile),
in Noviss. Dig. It., vol. VIII, Torino 1957, pp. 907 ss., ammette l’applicazione analogica
delle sole norme sull’interpretazione soggettiva e di quella contenuta all’art. 1367 c.c. N.
Lipari, Autonomia privata e testamento, Milano 1970, p. 350, i quali, però, negano l’appli-
cabilità del comma 2o dell’art. 1362 c.c.; L. Bigliazzi Geri, Delle successioni testamentarie,
in Comm. Scialoja-Branca, a cura di F. Galgano, Roma-Bologna 1993, pp. 118 ss.; G. Op-
PARTE II - COMMENTI 65

nei limiti di compatibilità (49), della norma contenuta all’art. 1362 c.c. (50), la
quale, nell’una come nelle altre prospettive condurrebbe a un tale risultato,
anche altri argomenti sospingono verso questa direzione (51).
Intanto non può essere irrilevante che il comma 2o dell’art. 588 c.c., nel
disegnare il percorso interpretativo, precisa che il lascito di beni determinati
vada inteso come disposizione a titolo universale quando risulta che il testato-
re intese lasciare quei beni come quota del patrimonio. Si badi, non « risulta
dal testamento » (52), ma, semplicemente, « risulta » (53).
Se, poi, si tengono in conto le peculiarità che caratterizzano l’interpreta-
zione del testamento e, dunque, per un verso, il singolare punto di rilevanza
ermeneutica e, per altro verso, la fragile unicità e irripetibilità del testo, non
v’ha dubbio che, a fini conservativi, non si possa non aprire l’indagine inter-
pretativa al materiale extratestuale (54). In mancanza del quale, la compren-
sione del testo potrebbe essere compromessa, mentre l’uso del quale, senza
violare il formalismo testamentario, può consentire di ricostruire l’intenzione
del testatore, anche al fine di individuare la disciplina da applicare al caso.
po, Profili dell’interpretazione oggettiva del negozio giuridico, Bologna 1943, ora in Scritti
giuridici, III, Obbligazioni e negozio giuridico, Padova 1998.
( 49 ) G. Oppo, Profili dell’interpretazione oggettiva del negozio giuridico, Bologna 1943, ora
in Scritti giuridici, Vol. III, Obbligazioni e negozio giuridico, Padova 1998, ammette l’applica-
zione delle norme sull’interpretazione del contratto al testamento sulla base del criterio di com-
patibilità di cui all’art. 1324 c.c. Il quale, però, per il suo specifico riferimento ad atti tra vivi,
non mi pare possa valere o servire per estendere al testamento le norme sul contratto.
( 50 ) Sull’interpretazione del testamento, almeno, P. Rescigno, Interpretazione del testa-
mento, Napoli 1952. Per una sintesi R. Carleo, L’interpretazione del testamento, in L’in-
terpretazione del contratto nella dottrina italiana, a cura di N. Irti, Padova 2000, pp. 539
ss. e Id., L’interpretazione del testamento, in Tratt. Bonilini, II, La successione testamenta-
ria, cit., pp. 1475 ss. G. Baralis, L’interpretazione del testamento, in Successioni e dona-
zioni, a cura di Pietro Rescigno, vol. I, cit., pp. 927 ss.; L. Bigliazzi Geri, La volontà nel te-
stamento e l’interpretazione, in Aa.Vv., Tratt. Rescigno, VI, cit., p. 77 ss.
( 51 ) Tra gli altri, ammettono il ricorso ai criteri extratestuali, A. Burdese, « Institutio ex
re certa » e divisione testamentaria (Sulla natura dell’atto divisorio), cit., p. 466; C. Gangi,
La successione testamentaria nel vigente diritto italiano, I, cit., p. 378; P. Rescigno, Inter-
pretazione del testamento, cit.; P. Trimarchi, Interpretazione del testamento mediante ele-
menti a esso estranei, cit., cc. 445 ss.; L. Mengoni, L’istituzione di erede « ex certa re » se-
condo l’art. 588, comma 2o, c.c., cit., p. 759; L. Mengoni, La divisione testamentaria, cit.,
pp. 17 s.; F.S. Azzariti, G. Martinez, Giu. Azzariti, Successioni per causa di morte e dona-
zione, cit., pp. 495 s.; G.F. Basini, « Lasciti » di beni determinati ed istituzione di erede ex
re certa, cit., p. 245; F. Ziccardi, Le norme interpretative speciali, cit., pp. 100 s.; S. D’An-
drea, La heredis institutio ex re certa, cit., pp. 226 ss.; R. Carleo, L’interpretazione del te-
stamento, cit., pp. 1517-1525; G. Perlingieri, La rilevanza del testo nell’individuazione
dell’incapacità naturale di testare, in Rass. d. civ., 2005, pp. 273 ss.
( 52 ) Come nelle norme di cui agli artt. 624, comma 2o, e 626 c.c.
( 53 ) Così, anche, S. D’Andrea, La heredis institutio ex re certa, cit., p. 226. Già, chiara-
mente, L. Mengoni, La divisione testamentaria, cit., p. 18.
( 54 ) Contrario, L. Salis, L’istituzione di erede in una cosa determinata, in D. e giur.,
1946, pp. 87 ss., il quale, negli esempi utilizzati, non sempre resta coerente alla propria tesi.
66 RIVISTA DI DIRITTO CIVILE - 1/2012

Determinante è, dunque, l’intenzione del testatore (55).


La quale, come pure la comune intenzione delle parti del contratto, non è
il fine dell’attività interpretativa, né può risolversi in una mera indagine psi-
cologica (56) o intimistico-soggettivistica (57). Essa è, piuttosto, un autentico e
indispensabile strumento di interpretazione, che consente di selezionare tra i
plausibili e possibili significati di cui il testo è capace quello più coerente con
la mens testatoris, e la cui determinazione è offerta dalla valutazione del com-
portamento del testatore. Occorre, cioè, valutare il contesto, ossia gli atti, i
fatti e i documenti dai quali è possibile trarre e determinare l’intenzione del
testatore. Nella consapevolezza che tra intenzione del testatore e contesto v’è
un rapporto di derivazione logica tale per cui è possibile determinare la prima
soltanto valutando il secondo. Il quale è, sempre e soltanto, indice della se-
conda.
Testo e contesto diventano rilevanti (58). Perché se non v’ha dubbio che
molte volte il solo testo possa consentire di chiarire se vi fosse l’intenzione del
testatore di lasciare un bene o un complesso di beni determinato come quota
del proprio patrimonio, soprattutto nei casi in cui quegli abbia dichiarato nel
testamento, a esempio, di aver trattato i beneficiari in modo eguale oppure di
aver ricompensato l’uno in misura doppia dell’altro oppure nei casi in cui ab-
bia fatta una stima dei beni o li abbia posti in relazione di proporzionalità op-
pure quando abbia lasciato il danaro al soggetto che credeva di dover ricom-
pensare per aver avuto un bene di valore inferiore agli altri, occorre ed è utile,
negli altri casi, aver riguardo al contesto. Così, l’interpretazione del testamen-
to con il quale Tizio lascia a Caio il bene X e a Sempronio il bene Y, non può
non essere influenzata dall’esistenza di una perizia commissionata da Tizio, la
quale accerta e stabilisce che il bene X rappresenta 1/3 del suo patrimonio,
mentre il bene Y i 3/5, oppure da altra scrittura con la quale il testatore ab-
bia, ipoteticamente, stimato e raccolto in più lotti i propri beni o, ancora, del-
le lettere personali alle quali il testatore affida a taluno dei beneficiari compiti
e funzioni compatibili soltanto con la sua intenzione di istituirli eredi, ma non
legatari.
L’interpretazione del testamento è, dunque, l’interpretazione delle parole

( 55 ) Precisa L. Bigliazzi Geri, Il contenuto del testamento, cit., p. 145, che il lascito di
bene determinato impone sempre di risalire alla volontà del testatore.
( 56 ) Così, G. Amadio, L’oggetto della disposizione testamentaria, cit., pp. 904 s.
( 57 ) F. Ziccardi, Le norme interpretative speciali, cit., p. 99, considera ammissibile l’in-
dagine sull’intenzione del testatore, che l’A. intende in senso psicologico e volontaristico,
soltanto in presenza di una diposizione costruita in termini di lascito di un ben determina-
to, rispetto al quale esista un indice idoneo a giustificare l’interesse « della speciale ricerca
ermeneutica ».
( 58 ) In questo senso, C. Gangi, La successione testamentaria nel vigente diritto italiano,
I, cit., p. 378, il quale ammette il ricorso a elementi extratestuali, precisando però, che l’in-
dagine sulla volontà del testatore « non potrebbe esser fatta soltanto con elementi estranei
al testamento ».
PARTE II - COMMENTI 67

scritte nella scheda testamentaria. Colui che ne voglia intendere il significato


e stabilirne la riconducibilità alle disposizioni a titolo universale o a titolo
particolare, indipendentemente dalle denominazioni e dalle espressioni usate
dal testatore e dalla tecnica logico-linguistica di cui quegli si è valso, dovrà
indagare se con quella disposizione il testatore ha inteso comprendere l’uni-
versalità o una quota dei beni del testatore. Rilevante l’intenzione del testato-
re, la quale, ridotta a strumento interpretativo, può essere determinata valu-
tando il contesto, che così, acquista, inevitabilmente, rilievo nell’attività ese-
getica. Confermando che il procedimento interpretativo ha struttura circolare:
muove da un testo e a esso ritorna, costituendo quest’ultimo un confine che il
giurista non può, né deve valicare.

4. — La ricostruzione proposta consente di offrire un principio di solu-


zione a quei casi che, tradizionalmente, sono ricorrenti e sui quali si è, princi-
palmente, fermata l’attenzione della letteratura e della giurisprudenza.
Il riferimento è, ovviamente, al lascito di tutti i beni, al lascito di tutti i
beni immobili e, infine, al lascito dei beni mobili.
Intanto converrà muovere da una considerazione di carattere generale: il
faticoso problema di stabilire se il lascito di tutti beni del testatore debba es-
sere risolto facendo applicazione della norma contenuta al comma 1o o di
quella contenuta al comma 2o dell’art. 588 c.c., smarrisce, nella prospettiva
disegnata, ogni tratto di rilevanza. Dal momento che stabilire se si tratta di
un lascito di un complesso di beni ovvero del lascito, seppur indiretto, del-
l’universalità del patrimonio, non è determinante, essendo, invece, essenziale
soltanto se il testatore intese, o meno, comprendere l’universalità dei beni. Il
problema pare assumere, allora, un valore meramente descrittivo, dovendosi
verificare, senza che ciò implichi, in punto di soluzione alcuna conseguenza,
se la tecnica logico-linguistica di lasciare tutti i beni si possa considerare, o
meno, corrispondente a quella specificamente descritta nel comma 2o dell’art.
588 c.c.
Al riguardo e ai soli fini classificatori e descrittivi indicati, mi pare che
tale tecnica difficilmente possa ricondursi a quella del lascito di un complesso
di beni determinati. Non tanto perché non vi sia un lascito di un complesso di
beni, quanto perché l’ipotesi descritta nel comma 2o dell’art. 588 c.c. parreb-
be escludere che la designazione di beni determinati possa valere quale asse-
gnazione dell’universalità. Il tenore letterale della disposizione parrebbe tra-
dirlo in modo inequivoco. Il comma 2o, infatti, differentemente dal 1o, non si
riferisce all’universalità dei beni del testatore, bensì alla sola quota. Ingene-
rando il convincimento che questa tecnica logico-linguistica, pur potendo
consentire di qualificare a titolo universale la disposizione testamentaria che
la sfrutti, non possa, però, valere a comprendere l’universalità dei beni del te-
statore, ma soltanto una quota del patrimonio (59).
( 59 ) Così, G. Bonilini, Institutio ex re certa e acquisto per virtù espansiva, dei beni non
68 RIVISTA DI DIRITTO CIVILE - 1/2012

La disposizione testamentaria con la quale il testatore lascia tutti i suoi be-


ni a un solo beneficiario può ben considerarsi, ove essa comprenda, effettiva-
mente, l’universalità dei beni del de cuius, una disposizione a titolo universa-
le (60), che attribuisce al beneficiario, con tutti i corollari che da ciò derivano, la
qualità di erede universale (61). Occorre soltanto che la disposizione, nei limiti
nei quali ho tentato di circoscriverne il significato, sia effettivamente attributi-
va dell’universalità dei beni. Non già della totalità di essi (62), perché il testato-
re ben potrebbe averne dimenticato uno o averne acquistati altri successiva-
mente o, deliberatamente, deciso di tacere l’esistenza di alcuni, bensì del com-
plesso dei beni considerati e valutati dal testatore medesimo siccome la totalità.
Diversamente, sebbene l’ipotesi appare di difficile verificazione, ove ri-
sulti che il testatore ha lasciato al beneficiario tutti i beni, ma non ha inteso
considerare i medesimi come l’universalità, si apre una difficile alternativa.
Che la disposizione testamentaria, per quanto esaurisca del tutto, o, quasi del
tutto, i beni del testatore debba considerarsi a titolo particolare, ovvero, e per
il solo caso in cui residuino ancora altri beni, che la disposizione sia a titolo
universale, ma che istituisca erede il beneficiario non per l’intero, bensì in
quota, seppur assai rilevante (63). Le conseguenze dell’una e dell’altra ipotesi
sono assai considerevoli. Nel primo caso il beneficiario, essendo legatario, ac-
quista senza accettazione il diritto su tutti e soltanto i beni legati, mentre
l’erede, ove pure assuma la sola funzione di liquidatore, sarà designato secon-
do le norme sulla successione legittima. Nel secondo caso, invece, il beneficia-
rio sarà erede, ma soltanto pro quota. Per la parte restante l’erede sarà desi-
gnato secondo le norme sulla successione legittima e l’uno e l’altro concorre-
ranno, in proporzione delle rispettive quote, al riparto dei beni.
Diverse considerazioni possono, invece, svolgersi con riguardo alle dispo-
contemplati nel testamento, cit., p. 241; Id., Institutio ex re certa e acquisto, per virtù
espansiva, dei beni non contemplati, cit., p. 536, e già L. Mengoni, L’istituzione di erede
« ex certa re » secondo l’art. 588, comma 2o, c.c., cit., p. 761. Contrario G. Amadio, L’ogget-
to della disposizione testamentaria, cit., p. 925.
( 60 ) Così, G. Bonilini, Institutio ex re certa e acquisto per virtù espansiva, dei beni non
contemplati nel testamento, cit., p. 241 ss.
( 61 ) Contrario, S. D’Andrea, La heredis institutio ex re certa, cit., pp. 234 s., il quale si
limita ad aderire alla tesi di Amadio.
( 62 ) G. Bonilini, Institutio ex re certa e acquisto per virtù espansiva, dei beni non con-
templati nel testamento, cit., pp. 251 ss. e Id., Institutio ex re certa e acquisto, per virtù
espansiva, dei beni non contemplati, cit., p. 539. Contrario V. Cuffaro, Art. 588, cit., p.
183, secondo il quale la deliberata esclusione di un bene escluderebbe l’intenzione della
chiamata nell’universalità dei beni. Non credo, però, anche in relazione alla tesi sostenuta
nel testo, che questa interpretazione possa condividersi. Ben potrebbe darsi che il testatore
deliberatamente, per ragioni fiscali o di altra natura, ometta di indicare un bene, pur eco-
nomicamente rilevante, intendendo, nondimeno istituire il beneficiario nell’universalità. Ri-
mane sempre fondamentale la distinzione tra universalità e totalità. La carenza della secon-
da non esclude la prima.
( 63 ) Il caso è ipotizzato anche da G. Amadio, L’oggetto della disposizione testamentaria,
cit., p. 925.
PARTE II - COMMENTI 69

sizioni testamentarie con le quali il de cuius lascia a un certo soggetto la tota-


lità dei propri beni immobili (64) o la totalità dei propri beni mobili (65).
Confermando l’idea che, nell’unità della norma, la riconducibilità allo
schema normativo disegnato al comma 1o o 2o dell’art. 588 c.c. abbia valore
meramente classificatorio e descrittivo, mi pare che il lascito di tutti i beni
immobili o il lascito di tutti i beni mobili, differentemente dal lascito di tutti i
beni, possa essere ricondotto alla figura descritta nel comma 2o della norma
evocata. Perché il testatore, consapevolmente o inconsapevolmente, finisce
con il disporre soltanto di un complesso di beni, i quali, ove la disposizione
dovesse risultare a titolo universale, varrebbero a istituire erede il beneficiario
non già nell’universalità, bensì nella corrispondente quota.
Di là di questo rilievo e, quindi, della riconducibilità delle ipotesi descrit-
te al c.d. lascito di beni determinati, il vero nodo che disposizioni di tal sorta
sollevano è quello qualificatorio.
In linea puramente teorica e astratta esse possono essere considerate sia a
titolo universale che a titolo particolare. La risposta dipenderà dal testo e dal
contesto della disposizione, dovendosi verificare, indipendentemente dalle de-
nominazioni, dalle espressioni e dalla tecnica logico-linguistica, se risulti che
il testatore intese assegnare il complesso dei beni mobili o il complesso dei be-
ni immobili, quale quota del proprio patrimonio (66).
Questa considerazione, mentre conferma pienamente, anche rispetto a
ciascuna delle ipotesi abbozzate, il metodo interpretativo segnato nella norma
di cui all’art. 588 c.c., induce a dissentire con quelle ricostruzioni concettuali
secondo le quali il lascito di tutti gli immobili o il lascito economicamente ri-
levante debbono considerarsi, di necessità e senza altre valutazioni, come si-
cure ipotesi di istituzioni ex rebus certis.
Il risultato non credo che non possa essere questo e, anzi, in molti casi lo
sarà, senz’altro. Ma il metodo non convince e credo non possa e non debba
essere condiviso.
Considerazioni di carattere economico (67), come pure considerazioni sul be-
neficiario della disposizione o sulla natura dei beni assegnati, sono indici testuali

( 64 ) Sul punto le considerazioni di A. Burdese, « Institutio ex re certa » e divisione testa-


mentaria (Sulla natura dell’atto divisorio), cit., pp. 465 s.
( 65 ) L. Mengoni, La divisione testamentaria, cit., p. 26, esclude che il lascito dei mobili
debba considerarsi necessariamente a titolo particolare, ove pure concorra con il lascito di
tutti gli immobili.
( 66 ) C. Gangi, La successione testamentaria nel vigente diritto italiano, I, cit., pp. 379
s. S. Delle Monache, Revoca tacita dell’istituzione ex re certa, cit., p. 409, pur rilevando
che il lascito di tutti i beni mobili a taluno e dei beni immobili ad altri determina, in genere,
una divisione mediante più istituzioni in rebus certis, precisa che non può escludersi un di-
verso esito qualificatorio « quando risulti che il testatore intendeva semplicemente [...] di-
strarre dall’asse ogni e qualunque suo bene, senza alcun possibile residuo ».
( 67 ) Determinate nella decisione di Trib. Milano 14 dicembre 1990, in G. it., 1993, I, 2,
cc. 298 ss.
70 RIVISTA DI DIRITTO CIVILE - 1/2012

e, talvolta, extratestuali, utili al fine di verificare se la disposizione comprenda


l’universalità o una quota dei beni del testatore, ma non dati dai quali è possibile
trarre una inferenza necessaria, presupponendo un’intenzione in re ipsa (68) o
una valutazione legale tipica (69). Non di meno, la circostanza che un lascito con-
siderevole abbia come beneficiario un familiare può essere un indice, ma non un
dato dal quale togliere, con certezza e senza la verifica necessaria, il tratto univer-
sale della disposizione testamentaria (70). Soprattutto se si considera che l’argo-
mento che volesse far leva sull’intenzione del testatore di beneficiare il familiare,
non è detto che spinga l’interpretazione verso una istituzione ex re certa, dacché
un legato potrebbe reputarsi maggiormente favorevole.

5. — Le considerazioni che precedono debbono indurre un certo dissenso


anche verso quelle autorevoli ricostruzioni che leggono alcune e precise circo-
stanze testuali o extratestuali siccome idonee a escludere la riconducibilità del
lascito di un bene determinato o di un complesso di beni entro la categoria
dell’istituzione ex re certa.
In particolare, dovrebbe escludersi l’intenzione di assegnare beni deter-
minati come quota, quando il testatore non dispone di tutto il patrimonio,
quando sia incerto sulla misura della propria titolarità di un bene, quando
escluda il beneficiario dalla successione nel debito, quando escluda il benefi-
ciario da acquisti ulteriori rispetto a quelli specificamente menzionati, quan-
do, dopo aver attribuito un bene determinato, lasci il residuo ad altri.
Ciascuno di questi elementi credo possa, senz’altro, essere reputato un
importante indice dal quale trarre l’intenzione del testatore di non voler asse-
gnare i certi beni come quota, ma non credo che alcuno di essi abbia o possa
avere l’esclusiva capacità di far desumere una tale intenzione. Anche le dispo-
sizioni con le quali il testatore escludesse espressamente il beneficiario del la-
scito dai debiti e pesi ereditari o dal riparto di beni ulteriori, ossia da quei
profili che paiono toccare l’essenza stessa dello statuto disciplinare dell’erede,
non mi pare che, da soli, possano essere assolutamente determinanti. Non sol-
tanto perché la disciplina è piuttosto un corollario di qualificazione che non
un dato di essa (71), quanto perché non necessariamente esiste l’incompatibi-
lità, altrimenti, denunciata.

( 68 ) S. Delle Monache, Testamento. Disposizioni generali. Artt. 587-590, in Comm.


Schlesinger, cit., p. 211. Id., Revoca tacita dell’istituzione ex re certa, cit., pp. 405 e ss.
( 69 ) Così, F. Galgano, Il negozio giuridico, in Tratt. Cicu-Messineo-Mengoni, continua-
to da P. Schlesinger, Milano 2002, vol. II ed., pp. 636 s.
( 70 ) G. Bonilini, Institutio ex re certa e acquisto per virtù espansiva, dei beni non con-
templati nel testamento, cit., p. 251. Sul punto anche le efficaci considerazioni su un inte-
ressante caso di Id., Institutio ex re certa e acquisto, per virtù espansiva, dei beni non con-
templati, cit., pp. 538 ss.
( 71 ) G. Amadio, La divisione del testatore senza predeterminazione di quote, cit., pp.
247 s.; Id., L’oggetto della disposizione testamentaria, cit., p. 911. Vi aderisce, S. D’An-
drea, La heredis institutio ex re certa, cit., p. 235.
PARTE II - COMMENTI 71

Al riguardo, basti considerare che se è pur vero che ciascun erede rispon-
de pro quota dei debiti e dei pesi ereditari, non è men vero che il testatore po-
trebbe diversamente disporre e, in forza dell’autonomia testamentaria (72),
porre a carico di un solo erede o di un legatario l’obbligo di pagare tutti i de-
biti e i pesi ereditari (73). Si tratterebbe di un legato a favore di uno degli ere-
di e a carico di altro erede o di legatario. Così confermando che l’esclusione
del destinatario del lascito di bene determinato dalla responsabilità per i de-
biti, non è un dato di disciplina dal quale trarre, necessariamente, la qualifica
di legato, bensì un’autonoma disposizione testamentaria a titolo particolare
avente a oggetto la limitazione o l’esclusione della responsabilità dell’onorato
e la correlativa obbligazione dell’onerato di tenere indenne il primo (74).
Sotto un diverso profilo, la disposizione con la quale il testatore espressa-
mente estromettesse il beneficiario di un lascito di bene determinato da acqui-
sti ulteriori (75), non potrebbe necessariamente escludere l’intenzione del te-
statore di considerare quel bene come quota del patrimonio. La disposizione,
infatti, potrebbe avere un diverso valore. Il testatore potrebbe aver voluto sta-
bilire che la quota del beneficiario debba essere corrispondente a quella che il
bene assegnatogli rappresenta, con la precisazione, però, che ove il suo patri-
monio dovesse, al tempo della apertura della successione, essere significativa-
mente incrementato, nondimeno il valore della quota dovrebbe ridimensio-
narsi, di guisa che quegli non abbia, comunque, più e oltre del valore di quel
bene. Sarebbe a dire che il testatore potrebbe istituire il beneficiario in una
certa quota, limitando il valore dell’acquisto a un tetto massimo. Il destinata-
rio, mentre non potrebbe conseguire più di quanto il bene determinato valga,
potrebbe, invece, nel caso in cui il valore del patrimonio al tempo dell’apertu-
ra della successione fosse inferiore rispetto a quello esistente al tempo della
confezione del testamento, conseguire meno. Questo risultato non sarebbe
possibile se il lascito venisse qualificato come legato, perché il beneficiario
avrebbe, comunque, diritto a quel certo bene e una riduzione del patrimonio
sarebbe ininfluente sul suo acquisto. Senza considerare, poi, che l’alienazione
( 72 ) Almeno, G. Bonilini, Autonomia testamentaria e legato. I legati così detti atipici,
Milano 1990.
( 73 ) A. Cicu, Successioni per causa di morte. Parte generale. Divisione ereditaria, cit.,
p. 447.
( 74 ) In senso contrario, G. Amadio, La divisione del testatore senza predeterminazione
di quote, cit., p. 249; Id., L’oggetto della disposizione testamentaria, cit., p. 915, secondo
cui l’intenzione di escludere la responsabilità del beneficiario della disposizione è un indice
assolutamente univoco dal quale trarre l’intenzione del testatore di non istituirlo erede. An-
che, S. Delle Monache, Revoca tacita della istituzione ex re certa, cit., p. 405. Vi aderisce,
S. D’Andrea, La heredis institutio ex re certa, cit., p. 235. Già, C. Gangi, La successione te-
stamentaria nel vigente diritto italiano, I, cit., p. 367.
( 75 ) Ma, secondo G. Amadio, La divisione del testatore senza predeterminazione di quo-
te, cit., p. 249, la limitazione dell’efficacia acquisitiva del titolo alla sola res commemorata
è un indice assolutamente univoco dal quale trarre l’intenzione del testatore di non istituire
il beneficiario erede. Vi aderisce, S. D’Andrea, La heredis institutio ex re certa, cit., p. 235.
72 RIVISTA DI DIRITTO CIVILE - 1/2012

e la trasformazione della certa res, soltanto in caso di legato, ma non anche in


caso di istituzione a titolo di erede, varrebbero quale revocazione tacita totale
o parziale dell’attribuzione (76).
Neppure determinante che il testatore non abbia disposto dell’intero pa-
trimonio (77). Poiché credo che l’istituzione ex re certa è una mera disposizio-
ne testamentaria istitutiva, caratterizzata soltanto da una singolare tecnica lo-
gico-linguistica, come non si può dubitare della legittimità di un testamento
che si componga di una sola disposizione testamentaria con cui l’ereditando
istituisca erede in quota un certo soggetto, nulla disponendo del resto (78), al
pari non credo che possa escludersi che il testatore in luogo di istituire l’erede
in una quota espressa, possa istituirlo in quota inespressa e rappresentata
dalla certa res (79). Ove si volesse, in via di principio, escludere la configura-

( 76 ) Così, G. Amadio, L’oggetto della disposizione testamentaria, cit., pp. 920 s.; V.
Scalisi, La revoca non formale del testamento e la teoria del comportamento concludente,
Milano 1974, p. 494. S. Delle Monache, Revoca tacita dell’istituzione ex re certa, cit.,
pp. 417 e ss., precisa che la mera alienazione del bene non può valere quale revoca della
istituzione ex re certa qualora non si accompagni a circostanze delle quali sia possibile
desumere che il testatore intendeva revocare la disposizione. La funzione di revoca, allora,
non è affidata alla mera alienazione, bensì alla valutazione ermeneutica della complessità
di circostanze del caso concreto. Diverso, allora, il problema della forma: ossia se possa
ammettersi una revoca della disposizione testamentaria per facta concludentia. In senso
contrario, M. Porcari, Alienazione del bene oggetto dell’« institutio ex re certa », in G. it.,
1993, I, 2, cc. 297 ss. e spec. 300. Il quale non convince, non soltanto perché postula,
senza una adeguata giustificazione, l’applicazione analogica di una norma eccezionale, ma
anche perché fonda la tesi su profili episodici e concreti, trascurando ogni rilievo dogma-
tico e sistematico. Di recente, con ben altri argomenti, G. Perlingieri, Heredis institutio
ex re certa, acquisto di beni non contemplati nel testamento e l’art. 686 codice civile, cit.,
p. 11 ss., il quale dopo aver negata la natura eccezionale alla norma di cui all’art. 686
c.c., assumendo che la revocabilità costituisce la regola, e, in ogni caso, considerata la
possibilità, nel rispetto della legalità costituzionale, di dare applicazione analogica anche a
regole eccezionali, osserva come tale norma serva a tutelare la libertà testamentaria e la
volontà del de cuius manifestata in vita, espressamente o tacitamente. In ragione di questi
argomenti l’A. ammette che, salva la prova di una diversa volontà, la alienazione o la tra-
sformazione della cosa assegnata a titolo di erede, vale revoca, totale o parziale, della isti-
tuzione medesima.
( 77 ) A. Cicu, Successioni per causa di morte. Parte generale. Divisione ereditaria, cit.,
p. 436. In questo senso già, L. Coviello, L’istituzione di erede ed il lascito di beni determi-
nati, cit., c. 1167.
( 78 ) Secondo L. Mengoni, L’istituzione di erede « ex certa re » secondo l’art. 588, com-
ma 2o, c.c., cit., p. 760, poiché la institutio ex re certa ha la funzione di istituire e approzio-
nare l’erede, essa postula in atto almeno due istituzioni in rebus certis fra loro connesse,
traducendosi, di necessità, nella divisione fatta dal testatore. Va da sé, che avendo ammessa
la possibilità di una isolata istituzione ex re certa non credo necessaria la coesistenza di al-
meno due istituzioni, al pari di come non credo esistente una necessaria coincidenza del fe-
nomeno con quello divisorio, potendosi dare, come tento di chiarire nel testo, divisioni non
istitutive e istituzioni ex rebus certis non divisorie.
( 79 ) Così, G. Amadio, La divisione del testatore senza predeterminazione di quote, cit.,
p. 257, il quale argomenta la soluzione con un esempio. Già C. Gangi, La successione testa-
PARTE II - COMMENTI 73

bilità di una istituzione ex re certa nei casi in cui il testatore non dispone di
tutto il patrimonio, si finirebbe, inevitabilmente, per comprimere la libertà
del testatore. Il quale, per l’ipotesi in cui non volesse disporre dell’intero, po-
trebbe istituire l’erede soltanto facendo espressa menzione della quota e non
anche mercé l’indicazione di un bene determinato.
Ragioni analoghe inducono dissenso verso l’idea secondo cui il lascito di
beni determinati non possa mai valere come istituzione ex re certa se, conte-
stualmente, vi sia una disposizione con cui l’ereditando lasci ad altri il resi-
duo (80). Credo, infatti, che una tale struttura della scheda testamentaria non
consente di affermare che il lascito di bene determinato debba essere conside-
rato necessariamente un legato. Ben potendo la disposizione con la quale si
regola il residuo non già valere quale istituzione nell’universalità del patrimo-
nio, bensì quale istituzione nella quota residuale rispetto a quella attribuita
all’istituito ex re certa. In altri termini, ben potrebbe risultare l’intenzione del
testatore di istituire tanto il beneficiario del lascito di bene determinato quan-
to il beneficiario del residuo come eredi (81). Il primo nella quota risultante
dal rapporto tra certa res e tutto; il secondo nella quota che residua al com-
pletamento dell’unità (82).
Infine, neppure assolutamente decisiva la circostanza che il testatore non
conosca o sia incerto sulla misura della propria titolarità di un bene. Tale da-
to, come gli altri, pur potendo essere un indice dal quale trarre l’intenzione
del testatore di non attribuire quel bene come quota del proprio patrimonio,
non credo che debba condurre a tale risultato con assoluta certezza. Soprat-
tutto se si considera che sovente, nei casi dubbi, è anche opinabile che l’inten-
zione del testatore di lasciare un bene come quota dipenda esattamente dalla
conoscenza della titolarità sul bene, essendo, piuttosto, legata all’utilità che il
testatore trae dal bene medesimo. Perché, anche prescindendo dal tratto giu-
ridico che giustifica l’utilità tratta dal bene, è tendenzialmente dall’ultima che
è possibile valutare il rapporto della certa res con il resto.
Tutti gli elementi indicati sono allora utili, perché, insieme ad altri, con-
sentono di trarre l’intenzione del testatore (83). La quale, ricavata dal conte-
sto, ossia da tutti gli atti, i fatti e i documenti del testatore, consente, indipen-
dentemente da denominazioni, espressioni e tecnica logico-linguistica usate
mentaria nel vigente diritto italiano, I, cit., pp. 380 s., il quale, condivisibilmente, ammette
una istituzione ex re certa anche in presenza di altre istituzioni in quota espressa.
( 80 ) Così, F. Degni, Delle successioni testamentarie, in Comm. D’Amelio-Finzi, Libro
delle successioni e donazioni, Firenze, 1941, sub art. 134, pp. 379 s.; L. Coviello, L’istitu-
zione di erede ed il lascito di beni determinato, cit., c. 1169; L. Mengoni, L’istituzione di
erede « ex certa re » secondo l’art. 588, comma 2o, c.c., cit., p. 762.
( 81 ) Così, G. Amadio, La divisione del testatore senza predeterminazione di quote, cit.,
p. 251; Id., L’oggetto della disposizione testamentaria, cit., pp. 916 s. e spec. p. 921.
( 82 ) L. Mengoni, La divisione testamentaria, cit., pp. 20 s.
( 83 ) C. Gangi, La successione testamentaria nel vigente diritto italiano, I, cit., pp. 376
ss.
74 RIVISTA DI DIRITTO CIVILE - 1/2012

dall’ereditando, di verificare se la disposizione comprenda l’universalità o una


quota dei beni e attribuisca la qualità di erede ovvero se, non ricorrendo quel-
la ipotesi, sia una disposizione a titolo particolare e attribuisca la qualità di
legatario.

6. — Il lascito di un bene determinato o di un complesso di beni determi-


nato qualora, sulla base dei criteri segnalati, sia qualificabile come disposizio-
ne a titolo universale pone, almeno, due diversi ordini di problemi.
Verificare quale sia la quota nella quale l’istituito è chiamato a succedere
e, per l’ipotesi in cui il de cuius non abbia disposto di tutti i propri beni, de-
terminare la sorte di quelli per i quali il testatore nulla abbia stabilito.
Muoviamo dalla prima questione.
Intorno alla quale parrebbe esistere una certa concordia della dottrina, la
quale, con coro quasi unanime, segnala che la tecnica logico-linguistica consi-
stente nell’assegnare al beneficiario un bene o un complesso di beni determi-
nato, consente di definire la misura astratta della quota riconosciuta al suc-
cessore soltanto a posteriori, in base al rapporto di valore della res certa o
delle res certae col tutto.
Il vero nodo problematico, però, non è tanto l’assegnazione di tale fun-
zione determinativa a posteriori, sulla quale v’è concordia, quanto l’esatta de-
terminazione del « tutto » al quale raffrontare il valore della certa res o delle
certae res (84).
Sebbene il tema abbia una ricaduta concettuale e pratica di straordinaria
rilevanza, dal momento che a esso sono legati gli esiti del rapporto di relazio-
ne capace di marcare la misura astratta della quota, la questione pare, forse
in ragione di un antico pregiudizio, non essere considerata da parte della dot-
trina. La quale, movendo dall’idea che il « tutto » indica gli elementi attivi
del patrimonio (85), omette di interrogarsi sul tempo in cui tale tutto debba
avere rilevanza e, tralatiziamente, finisce con il valutare sempre e soltanto ciò
che il de cuius abbia lasciato al tempo dell’apertura della successione (86).
Omettendo di considerare che l’eredità è una variabile dipendente dal patri-
monio, che quest’ultimo è una grandezza dinamica, la cui misura e composi-
( 84 ) In riferimento alla posizione di Forchielli, ripresa, per certi versi, anche da Burde-
se, bene osserva G. Amadio, La divisione del testatore, cit., p. 87, che la tesi secondo cui nei
casi di istituzioni ex re certa la quantificazione a posteriori delle quote deve fare leva sulla
proporzione reciproca di valore tra le diverse assegnazioni, è inaccoglibile nel caso di divi-
sione parziale.
( 85 ) Parrebbe esistere concordia sull’idea che nel tutto debba aversi riguardo ai soli be-
ni e non anche ai debiti. L. Mengoni, L’istituzione di erede « ex certa re » secondo l’art.
588, comma 2o, c.c., cit., p. 748, a conferma, osserva che la certa res non potrebbe che es-
sere rapportata a elementi omogenei.
( 86 ) G.F. Basini, « Lasciti » di beni determinati ed istituzione di erede ex re certa, in
Fam., Pers. e Successioni, 2007, p. 245; P. Boero, Il testamento, in Aa.Vv., Diritto delle
successioni, a cura di R. Calvo e G. Perlingieri, vol. 2, Napoli 2008, p. 676; M. Porcari,
Alienazione del bene oggetto dell’« institutio ex re certa », cit., c. 300.
PARTE II - COMMENTI 75

zione dipende dall’attività giuridica del suo titolare (87) e che la grandezza del
patrimonio può essere sensibilmente diversa a seconda dell’istante temporale
nel quale essa venga valutata.
Il tempo di riferimento del tutto assume, quindi, una straordinaria impor-
tanza, al punto che la misura astratta della quota dell’istituito mediante l’indi-
cazione di un bene determinato potrebbe essere sensibilmente diversa a secon-
da che si debba far riferimento al tempo di confezione del testamento o a quello
dell’apertura della successione. Ipotizzando che nel primo Tizio sia titolare dei
beni X, Y, e Z e che nel secondo sia, invece, titolare dei beni X, Y, W e K, è ov-
vio che una istituzione ex re certa relativa al bene X, consentirà di attribuire al
beneficiario una quota astratta diversa a seconda che si abbia riferimento al-
l’uno o all’altro tempo. Perché nell’un caso il valore della quota astrat-
x x
ta è data dal rapporto xyz , mentre nell’altro è data dal rapporto xywk. Ciò sta a
significare, supponendo, per esemplificazione, che tutti i beni valgano 10, che
nel primo caso la quota astratta sarebbe pari a 1/3, mentre nel secondo a 1⁄4.
La norma contenuta al comma 2o dell’art. 588 c.c., pur non contenendo
alcun esplicito riferimento al tempo al quale far riferimento per valutare il
tutto, pare suggerire, contrariamente all’opinione che par dominare in dottri-
na (88), l’idea che si debba tener conto del tempo di confezione del testamen-
to. Attraverso lo strumento dell’istituzione ex re certa il testatore, pur senza
indicare espressamente la quota astratta offerta al beneficiario, istituisce, co-
munque, quest’ultimo erede, assegnandogli il bene o il complesso di beni de-
terminato come quota del patrimonio. Tale forma di istituzione, seppur in via
indiretta, ossia mercé la mediazione offerta dall’indicazione del bene determi-
nato, assolve la medesima funzione di una qualunque disposizione testamen-
taria istitutiva in quota espressa.
Il testatore è, dunque, libero di istituire i propri eredi o in quote espresse
o in quote inespresse, mediante l’indicazione di beni determinati. Credo che
tale libertà non sarebbe, affatto rispettata se la misura della quota venisse a
posteriori determinata avendo riguardo al tutto esistente al tempo dell’apertu-
ra della successione, perché si assumerebbe a parametro determinante una
grandezza diversa da quella considerata dal testatore, ossia una grandezza di-
versa da quella che il testatore ha avuto presente, quando, indicando la certa
res o le certae res, ha considerato la medesima o le medesime siccome una
quota del proprio patrimonio (89).

( 87 ) Fare o ricevere una donazione, rispettivamente, riduce o aumenta il valore del pa-
trimonio e, ancora, per restare ai casi più comuni e semplici, una vendita o una compera
modificano la composizione del patrimonio, la prima sostituendo un bene con denaro e la
seconda, all’inverso, sostituendo a un bene del danaro.
( 88 ) Vedi nota n. 85.
( 89 ) Così, chiaramente, G. Amadio, La divisione del testatore senza predeterminazione
di quote, cit., p. 250 e, modificando la precedente opinione, L. Mengoni, La divisione testa-
mentaria, cit., p. 13.
76 RIVISTA DI DIRITTO CIVILE - 1/2012

Ragionando in questi termini, in linea di rottura con la posizione della


dottrina maggioritaria, ma, credo, in linea di conformità al dettato positivo
del comma 2o dell’art. 588 c.c., la grandezza (90) alla quale bisognerebbe far
riferimento, per determinare la quota astratta, sembrerebbe offerta non già
dal complesso dei beni esistenti al tempo della apertura della successione,
bensì dal complesso dei beni, al netto dei legati, esistenti al tempo della con-
fezione del testamento.
Una conferma di questa chiave di lettura credo si possa cogliere anche
nel tenore letterale della disposizione in commento. La quale discorre non già
di eredità, bensì di patrimonio. Proprio a voler indicare che la grandezza di
riferimento non è il complesso dei beni nei quali l’erede deve succedere, ossia
dei beni esistenti al tempo dell’apertura della successione, bensì il patrimonio,
inteso come il complesso dei beni del testatore esistente al momento di confe-
zione della scheda testamentaria.
Questa chiave di lettura, nell’esaltare il valore dispositivo del testamento
e il ruolo della intenzione del testatore, reclama un’ulteriore precisazione.
Affermare che si deve aver riguardo ai beni esistenti al tempo di confe-
zione del testamento, onde si possa determinare la misura della quota del-
l’istituito ex re certa, significa che si deve tener conto non già dei soli beni dei
quali il de cuius abbia effettivamente disposto con il testamento, ma, più ge-
neralmente, di tutti i beni che costituiscono il di lui patrimonio. Ciò impor-
rebbe di comprendere non soltanto i beni dei quali abbia disposto a titolo
universale, ma anche quelli che ha deliberatamente omesso di considerare e,
non ultimo, quelli di cui il testatore ignorava l’esistenza o, più esattamente,
dei quali ignorava di esserne titolare.
Gli è, però, che il prendere in considerazione l’ultima tipologia beni si
espone alla stessa censura alla quale si espone la tesi che vorrebbe utilizzare
come termine di raffronto il complesso dei beni esistenti al tempo dell’apertu-
ra della successione. Perché indurrebbe a considerare beni che il testatore non
ha potuto considerare nel momento in cui ha assegnato il bene determinato
come quota del proprio patrimonio, alterando, in minus, la quota nella quale
il testatore era convinto di istituire il chiamato ex re certa.
In conclusione, credo, allora, che la istituzione ex re certa ha la funzione
di determinare la misura astratta della quota del destinatario del lascito di
bene determinato, in base al rapporto di valore della res certa o delle res cer-
( 90 ) Precisa G. Amadio, L’oggetto della disposizione testamentaria, cit., pp. 917 s., che
per determinare il valore delle certae res deve aversi riguardo al tempo dell’apertura della
successione. Precisa l’A. che questo criterio è soltanto in apparenza in contraddizione con la
scelta di prendere in considerazione i beni esistenti al tempo di confezione del testamento.
Perché il rapporto tra beni non può né deve trasformarsi in rapporto tra valori. Non può,
dunque, essere chiesto di recuperare la valutazione fatta dal disponente. In senso contrario
S. Delle Monache, Revoca tacita dell’istituzione ex re certa, cit., p. 403 n. 21, secondo cui
il riportarsi al momento in cui la scheda è stata perfezionata non implica necessariamente
che ci si debba riferire alla « rappresentazione soggettiva di quei medesimi valori propria
del testatore.
PARTE II - COMMENTI 77

tae col tutto, ossia con tutti i beni esistenti e conosciuti dal testatore al tempo
della confezione del testamento. Nel tutto debbono, quindi, comprendersi non
soltanto i beni menzionati nel testamento, purché non si tratti di beni legati,
ma anche quelli di cui il testatore non abbia disposto, purché si tratti di beni
noti al testatore. Il che, in termini concreti, sta a significare che deve aversi ri-
guardo, al netto dei legati, al valore di tutti i beni, comunque, esistenti al
tempo della apertura della successione, a meno che non venga offerta la pro-
va, da parte di chi ne abbia interesse, ossia da parte dell’istituito ex re certa,
che l’esistenza di taluno di quei beni era, in quel tempo, ignota allo stesso te-
statore.

7. — Determinata la misura della quota nella quale l’istituito ex re certa


è chiamato a succedere, si pone, per l’ipotesi assai frequente, che il de cuius
non abbia disposto di tutti i propri beni, o perché li abbia deliberatamente
omessi o perché essi non facevano ancora parte del suo patrimonio, di chiari-
re quale debba essere la loro sorte (91).
Il tema è affollato di numerose posizioni di dottrina che spaziano, co-
prendo quasi tutti i possibili risultati intermedi, dalla tesi che vuole escludere
l’istituito ex re certa (92) e assegnare i beni non compresi esclusivamente agli
eredi legittimi (93), aprendo, dunque, la concorrente successione legittima (94),
alla tesi che, invece, pretende di assegnare i beni all’istituito ex re certa, assu-
mendo che anche quegli, insieme agli altri eredi, debba concorrere. Il tessuto
normativo, per altro, non semplifica questo arduo compito, se soltanto si con-
sidera che, in tema, viene spesso evocata, non sempre a ragione, la disposizio-
ne normativa contenuta al comma 2o dell’art. 734 c.c.
La difficoltà della questione suggerisce di muovere da una prima consi-
derazione di carattere generale che non credo possa essere revocata in dubbio.
Accertata l’intenzione del testatore di assegnare un bene determinato come
quota del proprio patrimonio, non è più controvertibile che il beneficiario sia
un erede, al pari di come lo è colui che viene istituito in quota espressa. La
( 91 ) V. Cuffaro, Art. 588, cit., pp. 182 ss.
( 92 ) D. Barbero, Sistema istituzionale del diritto privato italiano, II, Torino, s.d., ma
1951, III ed., p. 821.
( 93 ) Non si può escludere che questa tesi sia legata alla funzione che l’institutio ex re
certa aveva nel diritto romano, nel quale valeva a istituire il soggetto erede, mercé la for-
male attribuzione del titolo, ma limitava a essa l’acquisto. Per una efficace sintesi tra diritto
romano e moderno, L. Mengoni, L’istituzione di erede « ex certa re » secondo l’art. 588,
comma 2o, c.c., cit., p. 742; Id., La divisione testamentaria, cit., pp. 2 ss. e in sintesi, G.
Amadio, L’oggetto della disposizione testamentaria, cit., pp. 900 s.
( 94 ) G. Gazzara, voce Divisione ereditaria, in Enc. d., XIII, Milano 1964, p. 436, am-
mette il ricorso alla successione legittima a prescindere dalla individuazione degli eredi e
avendo esclusivo riguardo alla assenza nel testamento di specifiche disposizioni o indicazio-
ni per la materiale attribuzione dei beni non divisi. Credo, invece, che l’individuazione degli
eredi e la determinazione delle loro quote siano l’unico criterio per la distribuzione dei beni
residui.
78 RIVISTA DI DIRITTO CIVILE - 1/2012

differenza tra le due istituzioni, poiché attiene soltanto alle modalità di deter-
minazione della quota, non consente di segnare o assegnare ai due chiamati
discipline disuguali, né di lambire la conclusione che le modalità di designa-
zione possano modificare il comune e unitario statuto disciplinare dell’ere-
de (95). Il quale, pro quota, non soltanto contribuisce, salva una diversa ed
espressa volontà del testatore, al pagamento dei debiti e pesi ereditari, ma ha,
altresì, diritto al riparto dell’attivo (96).
Una volta che sia determinata la misura astratta della quota spettante al-
l’erede, quegli ha diritto di conseguire, rispetto al complesso dei beni che co-
stituiscono l’eredità, diritti per un valore corrispondente alla quota nella qua-
le, direttamente o indirettamente, è istituito. Si discorre, al riguardo, della
c.d. virtù espansiva (97), ossia della capacità dell’erede di raccogliere a sé tutti
i beni dell’eredità in proporzione al valore della quota.
Questo principio di carattere generale, che insieme a quello sulla riparti-
zione dei debiti, costituisce le fondamenta dello statuto disciplinare dell’erede,
non credo possa essere derogato nel caso di chiamato ex re certa. La precisa
indicazione di beni determinati, infatti, non mi pare possa considerarsi un in-
controvertibile indice dell’intenzione del testatore di escludere il beneficiario
dal riparto di beni ulteriori o diversi (98). Così ragionando, non soltanto si tra-
direbbe il senso della norma sull’interpretazione delle disposizioni testamen-
tarie, ma si finirebbe, altresì, per violare la stessa libertà del testatore di isti-
tuire un erede con precisa indicazione di beni determinati.
La tesi che esclude, in via di principio, l’istituito ex re certa dal riparto
dei beni residui o ulteriori finisce, inevitabilmente, per un verso, per eludere
l’intenzione del testatore di considerare i medesimi quale quota del patrimo-
nio, limitando l’acquisto a quelli e, per altro verso, per violare la norma sul-
l’interpretazione del testamento che impone, sulla base del testo e del conte-
sto, di assegnare alla disposizione testamentaria un significato che sia indi-
pendente dalla tecnica logico-linguistica e vincolato al suo comprendere l’uni-
versalità o una quota dei beni del testatore.
L’indicazione di beni determinati non sfugge, dunque, all’alternativa: o

( 95 ) F. Messineo, Manuale di diritto civile e commerciale, vol. VI, Diritto delle succes-
sioni per causa di morte, cit., p. 47. Recentemente, G. Perlingieri, Heredis institutio ex re
certa, acquisto di beni non contemplati nel testamento e l’art. 686 codice civile, cit., p. 8, il
quale, al fine di confermare l’identità dello statuto disciplinare dell’erede, quale che sia la
modalità della sua chiamata, invoca la norma costituzionale che pone il c.d. principio di
eguaglianza.
( 96 ) L. Mengoni, La divisione testamentaria, cit., p. 15.
( 97 ) Piena è l’adesione a G. Bonilini, Institutio ex re certa e acquisto per virtù espansi-
va, dei beni non contemplati nel testamento, cit., pp. 239 ss., il quale preferisce alla formu-
la « forza espansiva » quella più efficace di « virtù espansiva ». Id., Institutio ex re certa e
acquisto, per virtù espansiva, dei beni non contemplati, cit., p. 538, par. 8.
( 98 ) Così era, invece, nel diritto romano classico, in cui tale istituzione consentiva di at-
tribuire il titolo formale di erede, limitando, al contempo l’acquisto alla certa res.
PARTE II - COMMENTI 79

risulta che il testatore ha inteso assegnare quei beni come quota del patrimo-
nio e, allora, il beneficiario è erede nella quota che i beni ritraggono, con la
logica e consequenziale avvertenza che i beni indicati non esauriscono né co-
stituiscono necessariamente la di lui quota, soltanto rappresentandola (99);
ovvero il testatore non ha inteso assegnare quei beni come quota del patrimo-
nio e, allora, il beneficiario è legatario, sicché succede esclusivamente e limi-
tatamente in quei diritti.
Del resto, qualora si affermasse che l’istituito ex re certa non ha diritto al
riparto sui beni esclusi o sopravvenuti, la stessa logica che sottende una qua-
lunque istituzione d’erede, ossia una chiamata a subentrare nell’intero o nella
quota dell’eredità, parrebbe violata. Atteso, infatti, che nell’eredità devono
comprendersi, indipendentemente dall’indicazione che ne faccia o dalla noti-
zia che ne abbia il de cuius, tutti i beni, i diritti e le cose che, comunque, co-
stituiscono l’eredità, non v’ha dubbio che postulare la limitazione dell’acqui-
sto ai soli diritti menzionati esclude il necessario contenuto per relationem
della disposizione e, per l’effetto, la sua qualificazione nel genere di quelle a
titolo universale (100).
Assumere che la virtù espansiva sia un principio generale (101), il quale
prescinde dalle modalità logico-linguistiche con le quali l’erede viene chiama-
to in quota, in uno con l’esatta determinazione dei successibili, scioglie il pro-
blema intorno alla sorte dei beni residui e dei beni dei quali il testatore non
abbia disposto (102).
Essi andranno ripartirti, pro quota, tra gli eredi (103).
Il che riduce, drasticamente, il senso del difficile dibattito intorno al pos-
sibile concorso del successore legittimo con il chiamato ex re certa e, di neces-
sità, la plausibilità delle tesi che, in via di mero principio, si propongono di
assegnare i beni residui o al solo successore legittimo o al solo successore te-
stamentario o a entrambi.
I due temi, pur intrinsecamente connessi, vanno distinti.

( 99 ) L. Mengoni, La divisione testamentaria, cit., p. 19.


( 100 ) M. Allara, Principî di diritto testamentario, Torino 1957, p. 120 e s., chiarisce:
« la categoria della vocazione universale è [...] caratterizzata dal modo come è indicato
l’oggetto, in senso specifico, della successione a causa di morte ». L’oggetto è determinato
per relationem alla situazione patrimoniale del testatore.
( 101 ) Chiaro G. Bonilini, Institutio ex re certa e acquisto per virtù espansiva, dei beni
non contemplati nel testamento, cit., pp. 249 ss., il quale, anche tramite un esemplare caso,
dimostra il paradossale risultato al quale, altrimenti si giungerebbe. Anche Id., Institutio ex
re certa e acquisto, per virtù espansiva, dei beni non contemplati, cit., p. 540. In senso par-
zialmente contrario, G. Amadio, La divisione del testatore, cit., p. 85, secondo cui l’apertura
della successione legittima è la regola, il funzionamento della quale può essere impedito
quando emerga una diversa intenzione del testatore.
( 102 ) Già, L. Coviello, L’istituzione di erede ed il lascito di beni determinati, cit., c. 1166.
( 103 ) Quale che sia la delazione. L. Mengoni, L’istituzione di erede « ex certa re » secon-
do l’art. 588, comma 2o, c.c., cit., pp. 764 e 766.
80 RIVISTA DI DIRITTO CIVILE - 1/2012

Il concorso del successore legittimo con il successore o con i successori ex


re certa, non credo, infatti, possa o debba dipendere dall’esistenza di beni re-
sidui (104). Più semplicemente, è legato alla scelta compiuta, consapevolmente
o inconsapevolmente, da parte del testatore che non assegni agli eredi, pur
frazionandola in quote, l’universalità del proprio patrimonio (105). Detto con
le parole dell’art. 457 c.c., si deve far luogo alla successione legittima soltanto
quando manchi in parte la successione testamentaria (106), ma non anche
quando essa sia, per così dire, completa (107).
Un esempio può chiarire. Dato il testamento con il quale vengano nominati
eredi, attraverso istituzioni ex re certa, Caio, Sempronio e Mevio, lo stabilire se
sia necessario aprire la successione legittima a favore del parente più prossimo
dipende non già dall’eventuale esistenza di beni ulteriori o di beni non menzio-
nati, bensì dalla verifica sulla capacità delle disposizioni testamentarie di asse-
gnare ai nominati l’universalità del patrimonio (108). Qualora risultasse l’inten-
zione del testatore di istituire Caio, Sempronio e Mevio, ciascuno nella quota di
1/3, non si darebbe luogo, quali che siano i beni ulteriori, a successione legitti-

( 104 ) L. Mengoni, L’istituzione di erede « ex certa re » secondo l’art. 588, comma 2o,
c.c., cit., p. 761, esclude che un solo heres ex re possa concorrere con gli eredi legittimi,
dacché l’esistenza di un solo lascito di bene determinato non può mai qualificarsi quale in-
stitutio ex re certa. In senso parzialmente difforme Id., La divisione testamentaria, cit., pp.
24 ss. dove, conclude: « l’applicazione dell’art. 5882 non ammette limitazioni di sorta, al-
l’infuori di quella, di ordine pratico, inerente all’indagine dell’elemento subiettivo della di-
sposizione testamentaria ».
( 105 ) F.S. Azzariti-G. Martinez-Giu. Azzariti, Successioni per causa di morte e dona-
zione, cit., p. 667. Giu. Azzariti, Divisione fatta dal testatore, in Aa.Vv., Tratt. Rescigno,
VI, cit., p. 425. G. Bonilini, Institutio ex re certa e acquisto per virtù espansiva, dei beni
non contemplati nel testamento, cit., pp. 252 s. Anche L. Mengoni, L’istituzione di erede
« ex certa re » secondo l’art. 588, comma 2o, c.c., cit., pp. 766 ss., il quale, in caso di diviso-
ne totale, esclude sempre il concorso, che, invece, ammette nel caso di visione parziale. Cre-
do valga la pena precisare che quella proposta dall’A. debba considerarsi un’esemplificazio-
ne e che la soluzione non dipenda dal residuare o non residuare beni, ma, più esattamente,
dalla intenzione del testatore di assegnare l’universalità o no del proprio patrimonio. Al ri-
guardo, infatti, si consideri che anche nel caso di divisione totale potrebbero residuare beni,
qualora, essi siano successivamente acquistati dall’ereditando.
( 106 ) Così, anche G. Perlingieri, Heredis institutio ex re certa, acquisto di beni non
contemplati nel testamento e l’art. 686 codice civile, cit., p. 9.
( 107 ) Ammette la possibilità del concorso di istituzione ex re certa e successione legitti-
ma, G. Amadio, La divisione del testatore senza predeterminazione di quote, cit., p. 252 e
spec. p. 256, in cui precisa che l’apertura della successione legittima nei beni residui sarà
possibile solo nel caso in cui « la parziarietà riguardi non solo il riparto, ma la stessa volon-
tà istitutiva ». Più di recente, Id., La divisione del testatore, cit., p. 86, in cui precisa che
presupposto per l’apertura della successione legittima è la parzialità nella volontà istitutiva.
La quale ricorre « quando il de cuius abbia avuto presente la circostanza che il complesso
dei beni assegnati non esauriva il patrimonio di cui si sarebbe potuto disporre ».
( 108 ) Precisa G. Amadio, La divisione del testatore senza predeterminazione di quote,
cit., p. 256, che il concorso tra successione testamentaria e legittima può verificarsi anche
nel caso in cui il testatore abbia diviso soltanto una parte dei beni.
PARTE II - COMMENTI 81

ma. Diversamente, ove si accertasse che Caio, Sempronio e Mevio sono stati
istituiti nella quota di 1⁄4 ciascuno, dovrebbe darsi luogo alla successione legit-
tima, indispensabile per attribuire la restante quarta parte dell’eredità (109).
La considerazione che i beni non contemplati non pongono un problema di
distribuzione, bensì uno di individuazione degli eredi, esclude, in conseguenza,
anche la plausibilità delle tesi che pretendono di assegnare i beni residui, in via di
mero principio e di là del problema intorno al numero e alle quote dei successibi-
li. Una volta che sia fatta chiarezza sugli eredi e sulla misura della quota nella
quale ciascuno di loro concorre (110), il problema del residuo smarrisce ogni appe-
tibilità, relegandosi a profilo di mera distribuzione matematico-contabile.
Alcuni esempi possono aiutare la comprensione e offrire la dimostrazio-
ne (111).
Supponiamo che Tizio sia titolare, al tempo della confezione del testa-
mento e al tempo dell’apertura della successione, dei beni 1, 2, 3, 4, 5, che i
beni siano tutti del medesimo valore, che con testamento lasci a Caio i beni 1,
2, 3, 4, che risulti l’intenzione del testatore di lasciare tali beni come quota
del patrimonio. Dati tali fatti, Caio sarà erede nella quota di 4/5. Per attri-
buire la restante quota di 1/5, rappresentata dal bene Z, si dovrà far luogo
alla successione legittima. Il parente più prossimo, Filano, sarà, dunque, chia-
mato nella restante quinta parte. In tale caso il bene residuo dovrà essere at-
tribuito interamente a Filano. Non perché, in via di principio, il bene residuo
spetti all’erede legittimo, ma perché l’erede legittimo ha diritto a 1/5 dell’ere-
dità e nel caso di specie il bene 5, che rappresenta esattamente 1/5 dell’eredi-
tà è il bene del quale il testatore non ha disposto (112).

( 109 ) Fin troppo ovvio che in un caso di questo tipo non si può mai far questione di de-
voluzione ereditaria. La quale, di là dell’idea che essa determini una vicenda di modifica-
zione soggettiva o una doppia vicenda di estinzione e costituzione (sul tema, il mio La ri-
nunzia all’eredità, cit.), non v’ha dubbio che il suo presupposto sia il non volere o non po-
tere accettare l’eredità. In caso come quello proposto nel testo prescindiamo dal problema
della possibilità dei chiamati di accettare e, più a monte, ci poniamo il problema della c.d.
delazione dell’eredità, intendendo con l’ultima espressione, l’offerta dell’intera eredità o per
legge o per testamento.
( 110 ) Precisa acutamente L. Mengoni, L’istituzione di erede « ex certa re » secondo l’art.
588, comma 2o, c.c., cit., p. 768 che in presenza di una divisone parziale, qualora risulti
l’intenzione del testatore di escludere la successione legittima, dovrà ripartirsi il patrimonio
tra i soli istituiti, calcolando le quote di questi ultimi non già in rapporto alla totalità dei
beni di cui il primo poteva disporre, bensì « in rapporto al valore complessivo dei beni col-
piti dalla divisione, di guisa che la somma delle frazioni, così ottenute, è eguale all’unità ».
Va da sé che anche in questo caso non v’ha questione di divisione di beni ulteriori, ma di
individuazione, secondo l’intenzione del testatore, degli eredi e delle loro quote. Tema al
quale quello divisorio segue.
( 111 ) F.S. Azzariti-G. Martinez-Giu. Azzariti, Successioni per causa di morte e dona-
zione, cit., pp. 667 s., propongono diverse ipotesi.
( 112 ) L. Mengoni, La divisione testamentaria, cit., p. 27, precisa che codesto risultato
non è effetto di un atto distributivo, ma un effetto riflesso. Gli acquisti dell’erede istituito e
di quello legittimo, pur risalendo a un unico autore, si fondano su titoli diversi.
82 RIVISTA DI DIRITTO CIVILE - 1/2012

Fermi tutti gli altri presupposti di fatto, ipotizziamo che Tizio sia titolare
dei beni 1, 2, 3, 4, 5 al tempo di confezione del testamento e titolare dei beni
1, 2, 3, 4, 5, 6 al tempo dell’apertura della successione. Caio sarà erede nella
quota di 4/5, mentre la restante quinta parte sarà devoluta a Filano, secondo
le norme sulla successione legittima. Individuati gli eredi e le loro rispettive
quote si tratta di assegnare loro i beni esistenti al tempo dell’apertura della
successione. A Caio andranno assegnati, certamente, i beni 1, 2, 3, 4, espres-
samente assegnatigli con testamento. Essi, però, non rappresentano 4/5 del-
l’eredità, bensì i 4/6. Ciò significa che Caio, essendo erede nella quota di 4/5,
ha diritto a ulteriori beni per un valore pari alla differenza tra 4/5 dell’eredità
ai quali ha diritto e ai 4/6 effettivamente conseguiti con le attribuzioni speci-
fiche dei beni 1, 2, 3, 4 disposte con testamento. Considerando che i beni 5 ed
6, costituiscono 1/3 dell’eredità complessiva e che Caio deve ancora comple-
tare la propria quota, a quest’ultimo spetteranno 2/15 della terza parte, men-
tre all’erede Filano i restanti 3/15. Assumendo che ogni bene valga 10, a Caio
sono assegnati, per volontà espressa del testatore, beni per un valore di 40. I
restanti beni, per un valore complessivo di 20, andranno attribuiti a Caio per
un valore pari a 8 e a Filano per un valore pari a 12. In questo caso parteci-
pano al riparto dei beni residui sia l’erede testamentario che l’erede legittimo,
non perché, in via di principio, il residuo spetti a entrambi, ma perché l’erede
legittimo ha diritto a 1/5 dell’eredità e l’erede testamentario a 4/5.
Infine, fermi gli altri presupposti di fatto, ipotizziamo che Tizio sia titola-
re dei beni 1, 2, 3, 4, 5 al tempo di confezione del testamento, titolare dei be-
ni 1, 2, 3, 4, 5, 6 al tempo dell’apertura della successione e che risulti l’inten-
zione del testatore di lasciare tali beni non già come quota del patrimonio, ma
come l’universalità del medesimo. Caio sarà erede universale, sicché non oc-
corre aprire la successione legittima. Va da sé, che a Caio andranno assegnati
anche il bene non contemplato nel testamento e quello successivamente rinve-
nuto. Non per una petizione di principio, ma soltanto perché quegli è l’erede
universale del de cuius.
Gli esempi mi pare che chiariscano in modo inequivoco come l’assegna-
zione dei beni residui non dipende mai da una petizione di principio o da una
scelta astratta e preventiva, bensì dalla sola precisa identificazione degli eredi
e dalla determinazione esatta del valore delle loro quote.
Queste considerazioni consentono non soltanto di segnare la sorte dei be-
ni residui, ma di risolvere anche il diverso caso, non meno frequente e assai
rilevante nell’economia complessiva del problema che intendo indagare, in
cui i beni esistenti al tempo dell’apertura della successione siano notevolmen-
te inferiori rispetto a quelli esistenti al tempo della confezione del testamento.
Poiché, come ho cercato di dimostrare, la determinazione della quota dell’isti-
tuito ex re certa deve essere fatta rapportando il valore della res certa al com-
plesso dei beni esistenti al tempo della confezione del testamento, l’originaria
proporzione astratta non può mai essere favorita o pregiudicata dalla succes-
siva consistenza del patrimonio ereditario. Ciò ha conseguenze assai rilevanti.
PARTE II - COMMENTI 83

Perché nel caso in cui il patrimonio ereditario, al tempo dell’apertura della


successione, sia inferiore a quello esistente al tempo di confezione del testa-
mento, l’istituito ex re certa potrebbe non soltanto non conseguire tutte le res
certae indicate, ma potrebbe anche dover dividere parte di quelle che gli sono
state assegnate con altri eredi.
Anche in questo caso, un esempio aiuta. Ancora, fermi tutti gli altri pre-
supposti di fatto già stabiliti, ipotizziamo che Tizio sia titolare dei beni 1, 2,
3, 4, 5 al tempo di confezione del testamento, e titolare dei beni 1 e 2 al tem-
po dell’apertura della successione. Caio sarà erede nella quota di 4/5, mentre
la restante quinta parte sarà devoluta a Filano, secondo le norme sulla suc-
cessione legittima. Sebbene in tale caso sembrerebbe legittimo pensare che a
Caio debbano almeno andare integralmente i beni 1 e 2, la tesi sostenuta in-
duce verso una soluzione di segno contrario. Poiché Caio non è erede univer-
sale, ma erede nei 4/5, a costui dovrà assegnarsi non l’intero dei beni 1 e 2,
ossia l’intero della massa da dividere, bensì i soli 4/5 dei beni 1 e 2, lasciando
il restante quinto all’erede legittimo. Il quale, nonostante i beni rimasti siano
inferiori a quelli originariamente assegnati all’istituito ex rebus certis, nondi-
meno, stante l’intenzione del testatore di non nominare l’ultimo erede univer-
sale, ma in quota, avrà diritto di conseguire sulla massa da dividere, ove pure
essa sia inferiore a quella assegnata nel testamento all’istituito ex re certa, be-
ni per un valore corrispondente alla propria quota.

8. — Le note tracciate consentono di raccogliere e fermare qualche rifles-


sione di sintesi sull’istituzione ex re certa.
L’interpretazione della disposizione testamentaria, orientata dal singolare
punto di rilevanza ermeneutica e dalla fragile irripetibilità dell’atto, divisa tra
un testo, vincibile e superabile, e un contesto, dal quale è possibile trarre l’in-
tenzione del testatore, è retta, indipendentemente dalle espressioni e denomi-
nazioni usate dal testatore e dalla tecnica logico-linguistica assunta per di-
sporre delle sostanze, dal comprendere o escludere l’universalità o una quota
dei beni del testatore. Il lasciare beni determinati risponde, dunque, a una
pura tecnica logico-linguistica, sicché ove risulti l’intenzione del testatore di
assegnare quei beni come quota del proprio patrimonio, non v’ha dubbio che
essa è disposizione a titolo universale, che attribuisce qualità di erede. L’irri-
levanza della tecnica logico-linguistica segna la libertà dell’ereditando di isti-
tuire i propri eredi non soltanto in quota espressa, bensì anche in quota ine-
spressa, risultante dall’indicazione di certae res.
La funzione dell’istituzione ex re certa non è di apporzionamento del-
l’erede (113) o di attribuzione delle certae res, ma, più genuinamente, di deter-
minazione della quota astratta. L’indicazione di beni determinati o di un

( 113 ) Discorre, invece, di apporzionamento L. Mengoni, L’istituzione di erede « ex certa


re » secondo l’art. 588, comma 2o, c.c., cit., p. 742, il quale, però chiarisce che la indicazio-
ne non limita l’acquisto a quei beni.
84 RIVISTA DI DIRITTO CIVILE - 1/2012

complesso di beni non serve per assegnare i beni, ma per segnare la misura
astratta della quota (114). La quale attende al rapporto di valore tra la res cer-
ta o res certae, da un parte, e l’insieme dei beni esistenti e conosciuti dall’ere-
ditando al tempo della confezione del testamento, dall’altra (115).
L’indicazione dei beni determinati, nella misura in cui essa rilevi sotto il
profilo interpretativo e qualificatorio della disposizione testamentaria, non
assegna né distribuisce, ma segna e misura. Soltanto ove si abbia mente a
questa considerazione si capisce come sia possibile che all’istituito ex re certa
possa non essere assegnata o possa non essere integralmente assegnata la cer-
ta res o le certae res che pure il testatore parrebbe avergli, expressis verbis,
« lasciato ». Né un tale risultato può stupire. La disposizione, sotto questo
aspetto, non ha un’essenziale funzione distributiva, bensì un’essenziale fun-
zione istitutiva. La circostanza che l’istituzione si realizzi, poi, attraverso l’in-
dicazione di un bene determinato o un complesso di beni non rende l’attribu-
zione di quel bene o di quei beni necessaria, sicura e certa, così come la as-
senza dei medesimi non importa l’esclusione dell’istituito dalla successione e
così come l’alienazione o la trasformazione della certa res non vale a revocare,
totalmente o parzialmente, la disposizione testamentaria.
Di là del solo ed esclusivo caso, quasi di scuola, in cui il patrimonio del-
l’ereditando sia identico al tempo della confezione del testamento e al tempo
dell’apertura della successione, la istituzione ex re certa difficilmente riesce an-
che ad assolvere una funzione perfettamente distributiva. Infatti, a seconda che
il patrimonio dell’ereditando sia al tempo della apertura della successione
maggiore o minore di quello esistente al tempo della confezione del testamento,
si porranno, rispettivamente, problemi di distribuzione di beni ulteriori, con la
conseguenza che la certa res o le certae res potrebbero non risultare sufficienti
nell’apporzionamento dell’erede o, viceversa, problemi di distribuzione della
massa inferiore, con la conseguenza che all’istituito potrebbero non risultare
attribuite tutte le res certae che, secondo il testamento, gli sarebbero spettate.
In tali ipotesi è fin troppo ovvio che se si volesse riconoscere alla istituzio-
ne ex re certa una funzione distributiva e, quindi, sovrapporre la funzione
istitutiva con quella della divisione fatta dal testatore, il risultato smarrirebbe
di coerenza logica e la disposizione stessa, per definizione, perderebbe la fun-
zione che, altrimenti, gli si vuole assegnare.

( 114 ) Precisa G. Amadio, La divisione del testatore senza predeterminazione di quote,


cit., p. 249, che l’indicazione dei beni determinati non opera il distacco da resto del patri-
monio (delibatio hereditatis), bensì il « titolo di concretamento di una quota ». G. Amadio,
L’oggetto della disposizione testamentaria, cit., p. 913.
( 115 ) Benché giunga a conclusioni esattamente opposte, negando ogni compatibilità tra
istituzione ex re certa e divisione fatta dal testatore, sembra di questa idea G. Bombarda,
Osservazioni in tema di norme date dal testatore per la divisione, divisione fatta dal testa-
tore e disposizione dei conguagli, cit., p. 117, secondo la quale la norma di cui all’art. 588,
comma 2o, c.c. non esige che sia « individuata proprio la quota rappresentatasi dal de
cuius ».
PARTE II - COMMENTI 85

La istituzione ex re certa è soltanto una istituzione in quota; non ha una


speciale funzione distributiva. La quale compete ad altre disposizioni, delle
quali mi riprometto di indagarne presupposti e disciplina, rilevando, sin da
adesso, come esse debbano essere diverse per struttura e funzione dalle prime,
con le quali condividono soltanto il loro indicare beni determinati o un com-
plesso di beni, ma se ne separano per disciplina e per ruolo che l’indicazione
assume nelle une e nelle altre.

9. — Svolte le considerazioni che precedono sul difficile tema del lascito


di beni determinati, converrà, senza pretesa di completezza e nella consape-
volezza di un’ampia letteratura sul tema che difficilmente è docile alla sintesi,
esporre anche talune considerazioni sulla disciplina della divisione fatta dal
testatore in funzione del suo problematico rapporto con la istituzione ex re
certa.
La disciplina è divisa tra due fondamentali e diverse norme: quella di cui
all’art. 733 c.c. e quella di cui all’art. 734 c.c. (116). Entrambe destinate a re-
golare disposizioni date dal testatore, entrambe collocate nella disciplina della
divisione ereditaria, ma ciascuna dotata di una fattispecie specifica e capace
di un risultato proprio (117). Perché nel primo caso si tratta di disposizioni
sulla divisione, mentre nel secondo di disposizioni di divisione (118). Nel primo
caso, il testatore si limita a dettare criteri e metodi attraverso i quali la divi-
sione deve compiersi (119), mentre nel secondo provvede, immediatamente, a
dividere i beni tra gli eredi (120). Sicché mentre nel primo caso tra i coeredi si

( 116 ) Per una sintesi sul previgente istituto della divisio inter liberos, almeno, F.S. Azza-
riti, G. Martinez, Giu. Azzariti, Successioni per causa di morte e donazione, cit., p. 660.
( 117 ) L. Mengoni, La divisione testamentaria, cit., pp. 31 ss.
( 118 ) La struttura del primo sembra essere quella del legato obbligatorio a carico degli
altri coeredi e non già quella di un modo della istituzione. Così L. Mengoni, La divisione te-
stamentaria, cit., pp. 71 s. G. Bombarda, Osservazioni in tema di norme date dal testatore
per la divisione, divisione fatta dal testatore e disposizione dei conguagli, cit., pp. 121 ss.
esclude che possano ricondursi al legato le disposizioni puramente distributive. Da ciò l’A.
esclude che il contenuto patrimoniale del testamento debba esaurirsi nelle forme di istitu-
zione di erede e del legato. Tra le disposizioni patrimoniali accessorie del testamento l’A.
include, oltre agli assegni divisionali, anche i conguagli, ossia quelle disposizioni aventi la
mera funzione di ripartire valori patrimoniali. Per la conseguenza pratica di tale qualifica
del conguaglio l’esempio proposto dall’A. a p. 125. Larga parte della dottrina è nel senso
che si tratti di un onere e per tutti, C.M. Bianca, Diritto civile. 2. La famiglia e le successio-
ni, 3a ed., Milano 2001, p. 536 e A. Ciatti, La comunione ereditaria e la divisione, in Aa.
Vv., Diritto delle successioni, a cura di R. Calvo e G. Perlingieri, vol. 2, cit., p. 1201.
( 119 ) L. Mengoni, La divisione testamentaria, cit., p. 31, il testatore si limita a modifi-
care la par condicio heredum, attribuendo a uno o più di essi la preferenza nell’aggiudica-
zione di certi beni. Anche G. Bombarda, Osservazioni in tema di norme date dal testatore
per la divisione, divisione fatta dal testatore e disposizione dei conguagli, cit., p. 108, la
quale discorre di « preferenza nell’aggiudicazione ».
( 120 ) G. Amadio, La divisione del testatore senza predeterminazione di quote, cit., p.
254; Id., La divisione del testatore, cit., p. 76, definisce la divisione fatta dal testatore come
86 RIVISTA DI DIRITTO CIVILE - 1/2012

istituisce una comunione, nel secondo essa parrebbe, a priori e almeno limita-
tamente ai beni divisi, preclusa ed esclusa (121).
Pur nella profonda diversità delle due fattispecie (122), la lettura delle di-
scipline pare profilare all’interprete un tratto comune a entrambe. Il quale, di
là dello strumento tecnico con cui, mano a mano, esso viene realizzato o at-
tuato, concerne il profilo dell’efficacia.
Le predette disposizioni testamentarie, infatti, ora mercé la categoria del-
la validità, ora immediatamente e direttamente, ora mercé norme integrative
e suppletive, presentano una stabilità non ferma. Così, se il testatore può di-
sporre che la divisione non abbia luogo prima di un certo tempo, tale tempo
non può eccedere i cinque anni e, in ogni caso, l’autorità giudiziaria potrebbe,
comunque, consentirla anche prima (art. 713 c.c.); se il testatore può dare
norme per la divisione, esse non sono vincolanti se l’effettivo valore dei beni
non corrisponde alle quote (art. 733, comma 1o, c.c.); se il testatore può sta-
bilire che la divisione si effettui secondo la stima di persona da lui designata,
essa non può essere un erede o un legatario e, in ogni caso, non vincola se ri-
sulta manifestamente iniqua (art. 733, comma 2o, c.c.); se il testatore può di-
videre i suoi beni tra gli eredi, la divisione è nulla se non abbia compreso
qualcuno dei legittimari o degli eredi istituiti (art. 735 c.c.); se il testatore ha
diviso i beni e uno dei legittimari è leso, costui può esercitare l’azione di ridu-
zione; se il testatore ha diviso i beni e uno degli istituiti è leso oltre il quarto,
può agire per la rescissione (art. 763 c.c.) (123).
La ragione della singolare instabilità delle predette disposizioni testa-
mentarie credo che dipenda, di là del particolare caso della preterizione, in

un organico regolamento negoziale « sorretto e qualificato dall’unitario scopo distributivo,


ed attuato tramite un complesso di assegnazioni funzionalmente collegate e capaci di im-
mediata e reale efficacia dal momento dell’apertura della successione ». Già L. Mengoni, La
divisione testamentaria, cit., p. 81, tra le disposizioni esiste un « nesso di reciproca subor-
dinazione funzionale in vista di una causa unica: la distribuzione (per quote) di una massa
patrimoniale ». Precisa l’A. a p. 69 che la divisione non può mettere capo a legati, ma ad
attribuzioni a titolo universale.
( 121 ) In senso contrario, F.S. Azzariti-G. Martinez-Giu. Azzariti, Successioni per causa
di morte e donazione, cit., pp. 661 ss., e Giu. Azzariti, Divisione fatta dal testatore, cit., p.
421 — anche se nella pagina successiva sembra negare il sorgere della comunione — i quali
ammettono, anche per un breve istante, il sorgere tra i coeredi di una comunione. Ma la
dottrina maggioritaria esclude la esistenza di una comunione.
( 122 ) Secondo P. Forchielli, Della divisione. Artt. 713-768, in Comm. Scialoja-Branca,
Roma-Bologna 1970, pp. 186 ss., la prima ipotesi si differenzierebbe dalla seconda, per
l’incompletezza. Contraria la dottrina maggioritaria, secondo cui si tratta di questione d’in-
terpretazione. Ovvie le differenze tra gli uni e gli altri a seconda del ruolo attribuito al testo
e al contesto, alla lettera e all’intenzione.
( 123 ) Sui poteri spettanti al testatore, G. Amadio, La divisione del testatore, cit., pp. 76
ss., il quale concede al testatore almeno ciò che la legge consente al giudice, al notaio o al-
l’accordo dei condividendi. L’A. ammette anche la possibilità di apporre alla divisione una
condizione o un termine, precisando che l’effetto essenziale della fattispecie non è l’imme-
diata divisione, bensì la sua automaticità.
PARTE II - COMMENTI 87

cui si consuma una violazione di norme imperative che, sola, giustifica il ri-
corso alla categoria della nullità, dal loro rapporto con le disposizioni istituti-
ve, avuto riguardo alla consistenza del patrimonio (124). Il quale, perché può
esservi una divaricazione tra la misura di esso al tempo di confezione del te-
stamento e al tempo della apertura della successione o perché è stato stimato
non adeguatamente dallo stesso testatore o dalla persona da quello designata
o perché taluno degli istituiti ne è, astrattamente o concretamente, escluso,
potrebbe rendere le medesime incompatibili con le disposizioni istitutive.
La loro connessione con le disposizioni istitutive, avuto riguardo all’effet-
tiva consistenza del patrimonio ereditario, e, quindi, la loro astratta attuabili-
tà si spiega in ragione della loro funzione: sono volte a far cessare o a impedi-
re il sorgere della comunione ereditaria, presupponendo già individuati i sog-
getti tra cui dividere. Perché vi siano disposizioni testamentarie divisorie oc-
corre, allora, che, per testamento o per legge, siano determinati i successibili,
perché esse non istituiscono, né hanno questa vocazione, e che gli eredi siano
almeno due, perché non vi sarebbe ragione di dividere se non vi fosse più di
un erede. Perché, invece, esse siano efficaci, è necessario che esse siano tutte,
almeno astrattamente, attuabili, ossia che esistano beni per tutti gli istituti e
che i medesimi siano idonei a soddisfare le quote di ciascuno.

10. — Avere istituita una connessione tra disposizioni testamentarie di


divisione, disposizioni istitutive e patrimonio ereditario e da essa tolta una
giustificazione intorno alla singolare efficacia delle prime, consente di ipotiz-
zare principi di soluzione ai problemi che si profilano quando i beni effettiva-
mente esistenti al tempo dell’apertura della successione siano inferiori o par-
zialmente diversi da quelli esistenti al momento della confezione del testa-
mento. In quanto l’assenza anche di un solo bene o la diversità della consi-
stenza patrimoniale potrebbe incidere su tutte le disposizioni di divisione,
rendendole completamente inattuabili e, dunque, inefficaci (125).
Sebbene le questioni siano particolarmente complesse, aprendosi a molte-
plici e opposte soluzioni, esse non sono regolate da una precisa disposizione di
legge. Il legislatore si è, infatti, preoccupato e occupato del caso contrario, os-
sia quello in cui nella massa vi siano beni maggiori di quelli effettivamente

( 124 ) Sulla prevalenza delle disposizioni istitutive, G. Amadio, La divisione del testatore
senza predeterminazione di quote, cit., p. 255; G. Amadio, La divisione del testatore, cit., p.
78. L. Mengoni, La divisione testamentaria, cit., p. 84; F. Venosta, Art. 734, in Aa.Vv.,
Comm. Gabrielli, Delle Successioni, vol. 3, artt. 713-768 octies e leggi collegate, a cura di
V. Cuffaro e F. Delfini, Torino 2010, p. 187.
( 125 ) Non mi sembra che l’instabilità dipenda, in questo caso, dall’ammissibilità del
mezzo rescissorio. Il ricorso al quale, credo, presuppone l’astratta attuabilità della divisione
medesima, seppure essa importi la lesione. In ogni caso, ove pure non si condividesse que-
sta impostazione, le considerazioni svolte potrebbero, nondimeno, essere conservate, con la
sola avvertenza che il risultato finale dipenderebbe dall’uso del mezzo rescissorio. Il quale
determinerebbe un risultato analogo a quello prospettato nel testo.
88 RIVISTA DI DIRITTO CIVILE - 1/2012

divisi dal testatore e di quello diverso in cui vi sia la preterizione di un istitui-


to o di un legittimario.
Con questa consapevolezza bisognerà tentare la soluzione, tenendo conto
dell’irripetibilità dell’atto, del punto di rilevanza ermeneutica, della necessa-
ria prevalenza delle disposizioni istitutive su quelle divisorie e, infine, del co-
mune principio espresso nella norma contenuta al comma 1o dell’art. 733 c.c.
e in quella contenuta al comma 1o dell’art. 735, comma 1o, c.c.
Nel caso in cui i beni effettivamente esistenti al tempo dell’apertura della
successione siano inferiori a quelli esistenti al momento della confezione del
testamento, sebbene in linea puramente astratta le disposizioni divisorie rela-
tive ai primi potrebbero essere attuate, non credo si possa dubitare del fatto
che esse non meritino di essere conservate. Dalla loro attuazione, infatti, deri-
verebbe, inevitabilmente, per un verso, la inattuazione della disposizione isti-
tutiva e, per altro e consequenziale verso, l’estromissione dalla successione di
colui che, pur istituito erede in quota astratta, risulta assegnatario del bene
non più esistente (126). Il paradossale risultato induce la conclusione che in un
caso di tal sorta, ferme le disposizioni istitutive, deve negarsi efficacia alle di-
sposizioni di divisione, con l’ovvia conseguenza che deve considerarsi esistente
tra i coeredi una comunione ereditaria.
Un esempio chiarisce.
Immaginiamo che Tizio, dopo aver istituto con testamento A, B e C eredi
in parti eguali, abbia, così, diviso i propri beni: ad A il bene 1, a B il bene 2 e
a C il bene 3. L’efficacia della disposizione di divisione è indubbiamente lega-
ta all’esistenza dei beni 1, 2 e 3. Se supponiamo che alla morte di Tizio resi-
duino soltanto i beni 1 e 2 è fin troppo ovvio non soltanto che è inattuabile la
disposizione di divisione con cui è assegnato il bene 3, ma che sono, altresì,
necessariamente compromesse anche le disposizioni di divisione con cui sono
assegnati i beni 1 e 2. Per un evidente principio di non contraddizione, la di-
sposizione istitutiva con la quale A, B e C, sono nominati eredi in parti eguali
diventa, mercé l’assenza del bene 3, incompatibile con quelle di divisione.
Poiché credo che la disposizione testamentaria istitutiva debba avere preva-
lenza su quelle di divisione, par d’obbligo concludere che, in un caso del ge-
nere, la disposizione testamentaria di divisione sia inefficace (127) e, che, di
conseguenza, tra i tre eredi A, B e C si istituisce una comunione ereditaria sui
beni 1 e 2, da dividere, tra loro, in parti eguali.
Diverso il caso in cui i beni effettivamente esistenti al tempo dell’apertura
( 126 ) Credo plausibile affermare anche la nullità della stessa divisione fatta dal testato-
re, applicando, analogicamente, la norma di cui all’art. 735, comma 1o, c.c. Sebbene la re-
gola si riferisca all’ipotesi di preterizione formale, ossia al caso in cui il testatore non ha
compreso nella divisione qualcuno degli istituiti, credo che possa analogicamente valere an-
che per il caso in cui taluno degli istituiti pur essendo formalmente compreso nella divisione
sostanzialmente deve non considerarsi compreso per la deficienza del bene.
( 127 ) Addirittura nulla, mercé l’applicazione analogica della norma di cui al comma 1o
dell’art. 735 c.c.
PARTE II - COMMENTI 89

della successione siano parzialmente diversi da quelli esistenti al momento


della confezione del testamento. Possono darsi, astrattamente, tre casi: che i
beni della massa siano parzialmente diversi, ma non inferiori per valore a
quelli esistenti al momento della confezione del testamento; che i beni della
massa siano parzialmente diversi, ma esattamente corrispondenti per valore a
quelli esistenti al momento della confezione del testamento; che i beni della
massa siano parzialmente diversi, ma inferiori per valore a quelli esistenti al
momento della confezione del testamento.
Nel primo caso e per le medesime ragioni già espresse, non credo che la
soluzione possa e debba essere diversa da quella ipotizzata nel caso in cui i
beni effettivamente esistenti al tempo dell’apertura della successione siano in-
feriori a quelli esistenti al momento della confezione del testamento. L’attua-
zione delle disposizioni testamentarie di divisione potenzialmente eseguibili
determinerebbe, infatti, un non corretto apporzionamento dell’erede al quale
era stato assegnato il bene non più esistente, ove pure gli venissero assegnati
tutti i beni non esistenti al tempo della confezione del testamento. Sicché dal-
l’attuazione della disposizione di divisione deriverebbe una violazione della
disposizione istitutiva.
Diversamente, nel secondo e nel terzo caso le disposizioni testamentarie
di divisione astrattamente attuabili credo che possano e debbano essere con-
servate. Sicché, ferme le medesime, le due ipotesi si distinguono tra loro sol-
tanto per le modalità di assegnazione dei beni non attribuiti con il testamen-
to (128), d’ora in poi, per brevità, beni nuovi.
Se i beni della massa, pur diversi da quelli divisi dal testatore, hanno il
medesimo valore dei secondi, va da sé che i beni nuovi dovranno essere inte-
gralmente attribuiti all’erede al quale era stato assegnato il bene non più esi-
stente nella massa, con la conseguenza che non vi sarà nessuna comunione
ereditaria.
Se i beni della massa, pur diversi da quelli divisi dal testatore, hanno un
valore maggiore dei secondi, sui beni nuovi dovrà aprirsi la comunione eredi-
taria, alla quale concorreranno tutti gli eredi, in proporzione delle loro quote,
salvo l’obbligo di tener conto del valore dei beni già attribuiti a coloro a cui
sono stati assegnati singoli beni con le disposizioni di divisione conservate.
Per chiarire i tre casi, utilizziamo l’esempio precedente, supponendo, pe-
rò, che alla morte di Tizio residuino i beni 1, 2, 4 e 5, ma non 3.
Nel caso in cui i beni 4 e 5 abbiano un valore inferiore a quello del bene
3, l’attuazione delle disposizioni sulla divisione, ossia l’assegnazione ad A del
bene 1 e a B del bene 2, non pare possibile, sicché deve ipotizzarsi la loro
( 128 ) Precisa G. Amadio, La divisione del testatore senza predeterminazione di quote,
cit., pp. 260 s., che la preterizione di un istituito importa la nullità della divisione soltanto
se essa sia autentica e sostanziale, ossia l’omissione « da un riparto divisionale che esaurisse
tutti i beni in favore degli apporzionati, non residuandone alcuno da imputare alle quote
degli esclusi ». Più di recente e in replica alla posizione assunta nel 1992 da Loi, Id., La di-
visione del testatore, cit., pp. 93-97.
90 RIVISTA DI DIRITTO CIVILE - 1/2012

inefficacia e la necessaria apertura della comunione ereditaria. Supponendo,


infatti, che i beni 1, 2 e 3 valgano 15 ciascuno e che i beni 4 e 5 valgano 5
ciascuno, l’assegnazione di 4 e 5 a C gli attribuirebbe beni per un valore com-
plessivo di 10, ossia per un valore inferiore a 15 che gli spetterebbe in quanto
erede nella quota di 1/3.
Nel caso, diremmo di scuola, in cui i beni 4 e 5 abbiano lo stesso identico
valore del bene 3, l’attuazione delle disposizioni sulla divisione, ossia l’asse-
gnazione ad A del bene 1 e a B del bene 2, impone, per il rispetto della norma
istitutiva, di dover assegnare i beni 4 e 5 esclusivamente e direttamente a C.
Né, in questo caso pare plausibile tentare la conclusione che sperimenti la
possibilità di non dare esecuzione alle disposizioni di divisione pur attuabili,
assumendo che la diversa composizione del patrimonio suggerisce l’apertura
della comunione. A questa conclusione, astrattamente plausibile, osta, infatti,
il generale principio di conservazione della volontà testamentaria.
Nel caso in cui i beni 4 e 5 abbiano un valore maggiore del bene 3, l’at-
tuazione delle disposizioni sulla divisione, ossia l’assegnazione ad A del bene
1 e a B del bene 2, è possibile, ma sui beni 4 e 5 deve, necessariamente, aprir-
si la comunione ereditaria e la divisione andrà effettuata tenendo conto delle
quote nelle quali gli eredi sono istituiti e avendo riguardo a quanto gli altri
eredi hanno già conseguito in forza dell’assegno divisionale qualificato (129).
Supponendo che ciascun bene vale 15, i beni 4 e 5 del valore complessivo di
30, andranno divisi tra A, B e C, in modo tale che C abbia un controvalore di
15 e che A e B abbiano un controvalore di 5 ciascuno.

11. — Di là del problema intorno all’individuazione degli eredi e a quello


correlato intorno alla determinazione della quota esatta nella quale ciascuno è
chiamato alla successione, le disposizioni testamentarie di divisione presup-
pongono, certamente nei casi di divisione oggettivamente totale e con qualche
margine di apertura nei casi di divisione oggettivamente parziale, che la divi-
sione fatta dal testatore comprenda tutti gli eredi e che l’effettivo valore dei
beni assegnati a ciascuno corrisponda esattamente alla sua quota.
Il comprendere la divisione tutti i beni o soltanto una parte dei medesimi
non è indifferente. Perché ove la divisione fatta dal testatore fosse oggettiva-
mente parziale, rimarrebbero fuori dalla medesima taluni beni. L’esistenza
dei quali, ove pure la divisione non comprenda taluno degli eredi o non lo ap-
porzioni correttamente, lascerebbe, nondimeno, un certo margine di correzio-
ne, consentendo di rispettare le prescrizioni in tema di istituzioni (130).
( 129 ) L. Mengoni, La divisione testamentaria, cit., p. 33: è qualificato dalla funzione
unitaria di apporzionamento degli eredi istituiti.
( 130 ) Così, anche, G. Bombarda, Osservazioni in tema di norme date dal testatore per la
divisione, divisione fatta dal testatore e disposizione dei conguagli, cit., pp. 114 s., la quale
precisa che nel caso in cui il testatore compone solo alcune quote lasciando valori sufficienti
per gli altri beneficiari, significa che ha inteso apporzionarli collettivamente. Precisamente,
G. Amadio, L’oggetto della disposizione testamentaria, cit., p. 923.
PARTE II - COMMENTI 91

Così, se, per ipotesi, Tizio, con una divisione oggettivamente parziale,
avesse omesso di assegnare taluni beni a un erede o pur avendogli assegnato
qualche bene, gli abbia, comunque, fatto assegnazioni per un valore inferiore
rispetto alla quota a quegli spettante, i beni non specificamente assegnati po-
trebbero consentire di conservare le disposizioni testamentarie di divisione,
qualora fossero sufficienti ad apporzionare tutti in modo corretto (131).
Svolta questa precisazione e nella consapevolezza che, fin quando resi-
duano beni con i quali apportare delle correzioni, la conservazione delle di-
sposizioni testamentarie di divisione mi pare doverosa, anche avuto riguardo
alla fragile irripetibilità del testamento, al generale principio di conservazione
della volontà testamentaria e al singolare punto di rilevanza ermeneutica, oc-
corre analizzare cosa accade nei casi in cui la divisione non abbia compreso
qualcuno degli eredi e nel caso in cui, pur comprendendo tutti gli eredi, il va-
lore dei beni assegnati a ciascuno non corrisponda alle loro quote.
Ferma la convinzione che le disposizioni testamentarie di divisione hanno
la sola ed esclusiva funzione di impedire il sorgere della comunione ereditaria,
credo che la divisione fatta dal testatore che non abbia compreso alcuno degli
eredi, a meno che non risulti una diversa volontà del testatore, debba consi-
derarsi nulla. E ciò indipendentemente dal fatto che l’erede pretermesso o
mal apporzionato sia un successibile testamentario o legittimo.
Trova sempre applicazione la norma di cui al comma 1o dell’art. 735 c.c.,
la quale commina la nullità alla divisione nella quale il testatore non abbia
compreso qualcuno degli eredi istituiti (132).
Sebbene tale ultima formula parrebbe voler evocare soltanto gli eredi
istituiti con il testamento, credo che essa possa e debba valere, in difetto di
quelli, anche nel caso di eredi istituiti per legge. Credo, quindi, che tale regola
possa trovare applicazione anche per il testamento con il quale il de cuius,
senza compiere alcuna istituzione, si limita a dividere i beni agli eredi legitti-
mi. Ove quegli ometta di comprendere uno degli eredi legittimi non credo che
esistano ragioni per escludere l’applicabilità della richiamata regola. La nor-
ma, infatti, ove pure se ne volesse negare l’applicazione diretta, che, invero,
mi pare preferibile e ragionevole, nondimeno troverebbe applicazione analo-
gica. Essendovi tra i due casi identità di ratio: come non può il testatore che
abbia istituito taluno erede, escluderlo dalla successione nel momento diviso-
rio; del pari non può il testatore che si sia rimesso alla volontà della legge per
determinare gli eredi, escluderne uno nel momento divisorio. Ove il testatore
avesse voluto escludere quel tale erede dalla successione, ben avrebbe potuto
provvedere autonomamente alle istituzioni di erede in luogo di rimettersi alla
volontà della legge.

( 131 ) Sui problemi nascenti da una preterizione meramente formale di un legittimario,


almeno, le considerazioni di G. Amadio, La divisione del testatore senza predeterminazione
di quote, cit., pp. 259 s.
( 132 ) S. Delle Monache, Revoca tacita dell’istituzione ex re certa, cit., p. 424 e ss.
92 RIVISTA DI DIRITTO CIVILE - 1/2012

Risolto questo primo problema, rimane da esaminare il secondo, ossia il


caso in cui il testatore abbia compreso nella divisione tutti gli eredi, ma il va-
lore dei beni non corrisponda alle quote nelle quali ciascuno è chiamato (133).
In questo caso, sempre a meno di non voler rintracciare nella predetta di-
sposizione una diversa volontà istitutiva che prenderebbe il luogo della succes-
sione legittima, e sempre prescindendo dall’ipotesi in cui residuano dalla divi-
sione beni che consentano le opportune correzioni nelle assegnazioni, non credo
che esistano valide ragioni per escludere la conseguenza generale indicata per i
casi di conflitto con le disposizioni istitutive. Poiché l’attuazione delle disposi-
zioni testamentarie di divisione determinerebbe una violazione delle norme
sulla istituzione, attribuendo a taluno dei successibili beni per un valore infe-
riore alla quota spettantegli, non v’ha dubbio che le prime non potrebbero con-
siderarsi efficaci, con la conseguenza che sussisterebbe tra gli eredi una comu-
nione ereditaria. Anche a questo caso, al pari di quello esaminato nel paragrafo
precedente, credo che possa trovare applicazione il principio espresso dalla
norma di cui all’art. 733 c.c. e dalla norma di cui al comma 1o dell’art. 735 c.c.
Le disposizioni testamentarie di divisione ove siano in contrasto con le
istituzioni di erede, siano esse di fonte testamentaria o di fonte legale, debbo-
no considerasi inefficaci, con la conseguenza che tra gli eredi, testamentari
e/o legittimi, sorge un’ordinaria comunione ereditaria.
Casi del genere pongono, piuttosto, una diversa domanda: se le disposi-
zioni di divisione del testatore, una volta che siano considerate inefficaci, non
possano, per altra via e in ragione dei noti principi in materia di interpreta-
zione e conservazione del testamento, avere un qualche valore. Se, infatti, è
pur vero che gli assegni divisionali qualificati non possono trovare applicazio-
ne, dacché la loro attuazione importerebbe una violazione delle regole istituti-
ve, estromettendo o mal apporzionando taluno degli eredi, nondimeno, lette
nel loro complesso, in relazione all’eventuale disegno che esse lasciano traspa-
rire e astraendo dalla concreta divisione, potrebbero essere considerate, alme-
no, come regole per formare le porzioni, ossia potrebbero considerarsi siccome
assegni divisionali semplici (134).
Così, se per ipotesi, in una divisione, il testatore avesse lasciato tutti i
propri quadri ad A, gli immobili a B e, infine, l’azienda a C (135), e risultasse,

( 133 ) Precisa A. Ciatti, La comunione ereditaria e la divisione, cit., p. 1202, che in caso
di scarto minimo non si faccia questione di inefficacia della divisione, quanto, piuttosto, di
compensazione mediante conguaglio in danaro.
( 134 ) Nello stesso senso anche G. Amadio, La divisione del testatore, cit., p. 96, mercé la
norma di cui all’art. 1424 c.c. La quale, però, non mi pare che possa essere applicata ana-
logicamente al caso di specie, difettando la somiglianza e ostando la norma di cui all’art.
1324 c.c.
( 135 ) Si consideri che L. Mengoni, La divisione testamentaria, cit., p. 19 considera l’as-
segnazione dei mobili e degli immobili, al pari dell’assegnazione dei beni di campagna,
piuttosto che di quelli di città, chiari indici dai quali ricavare l’intenzione del testatore di
considerare il complesso di beni come quota.
PARTE II - COMMENTI 93

altresì, che A è un noto appassionato d’arte, che B è un noto immobiliarista e


che C è un imprenditore di successo nel ramo merceologico dell’azienda del-
l’ereditando, non potrebbe escludersi che quelle disposizioni testamentarie,
pur non potendo valere quali assegni divisionali qualificati, potrebbero invece
valere quali assegni divisionali semplici. Recuperando, così, se non proprio la
divisione concreta, almeno i criteri che potevano averla ispirata e, quindi,
l’intenzione che aveva mosso il testatore a una divisione che, per varie ragio-
ni, non può attendere alla sua attuazione.

12. — Le disposizioni testamentarie di divisione, non avendo alcuna vo-


cazione istitutiva, presuppongono, necessariamente, l’istituzione di una plura-
lità di eredi (136). I quali, come è ovvio, potrebbero essere istituiti direttamen-
te con il testamento oppure dalla legge o, infine, dal concorso di testamento e
legge.
Le ipotesi meritano tutte di essere distinte.
Muoviamo dalla prima.
Gli eredi potrebbero essere istituiti esclusivamente con il testamento. Il
quale, oltre a recare le disposizioni di divisione potrebbe recare disposizioni
istitutive con le quali il testatore ha compreso, frazionandolo in quote, l’intero
patrimonio.
Considerata, poi, la libertà del testatore di istituire gli eredi non soltanto
facendo espressa menzione della quota, ma anche mercé l’indicazione di un
bene determinato o di un complesso di beni, è ovvio che le disposizioni testa-
mentarie di divisione potrebbero accompagnarsi tanto con le une quanto con
le altre (137).
Rinviando al prosieguo, dacché tocca il cuore del problema, il caso del
concorso tra istituzione ex re certa e disposizione di divisione, l’altro appare
di pronta e facile intelligenza. Rappresenta, anzi, il caso più semplice che si
possa immaginare. Tizio istituisce eredi più soggetti in eguali quote o in quote
diverse e, contestualmente, divide tra loro i beni, assegnandone uno o più di
essi a ciascuno (138).
Posta la differenza tra disposizioni istitutive e divisorie, non v’ha dubbio
che l’efficacia delle seconde è subordinata alla loro attuabilità, valendo, nel
caso in cui la massa da dividere sia inferiore o di diversa consistenza rispetto
a quella avuta presente dal testatore, le considerazioni già svolte intorno al-
l’efficacia delle disposizioni di divisione.
( 136 ) Così anche L. Barassi, Le successioni per causa di morte, Milano 1941, p. 318, il
quale precisa che « la disposizione testamentaria che contiene la divisione ha un contenuto
distributivo, non necessariamente attributivo ». Anche se, poi, l’A. precisa che i due carat-
teri debbono coincidere, lasciando il dubbio se nella sua prospettiva possa concorrere con
una divisione totale una istituzione testamentaria parziale.
( 137 ) G. Amadio, La divisione del testatore, cit., pp. 73 ss.; F.S. Azzariti-G. Martinez-
Giu. Azzariti, Successioni per causa di morte e donazione, cit., p. 664.
( 138 ) A. Ciatti, La comunione ereditaria e la divisione, cit., p. 1206.
94 RIVISTA DI DIRITTO CIVILE - 1/2012

Varrà soltanto precisare cosa accade nel caso in cui la massa da dividere
sia maggiore rispetto a quella avuta presente da testatore. In tale ipotesi, non
v’ha dubbio che i beni divisi dal testatore andranno assegnati a ciascun bene-
ficiario, mentre sui beni nuovi si dovrà aprire la comunione ereditaria, alla
quale parteciperanno, in proporzione alla quota nella quale sono nominati,
tutti gli eredi testamentari. Le disposizioni testamentarie istitutive escludono,
infatti e senza dubbio, esprimendo una precisa volontà del testatore, la possi-
bilità di un concorso di successori legittimi e, dunque, la possibilità di attri-
buire i beni non compresi nella divisione « conformemente alla legge » (139).
Questa conclusione credo, peraltro, che debba valere in tutti i casi di di-
visione parziale, indipendentemente dal fatto che la parziarietà provenga dal-
l’esistenza di beni nuovi o, più semplicemente, da una mera scelta del testato-
re. Ove pure il de cuius avesse deliberatamente deciso di non dividere tra gli
eredi tutti i beni, ma di dividerne soltanto alcuni, nondimeno, stante l’esisten-
za delle disposizioni istitutive capaci di comprendere l’intero patrimonio, non
potrebbe mai ipotizzarsi un’intenzione di attribuire i beni non compresi agli
eredi legittimi. In altri termini, l’esistenza di disposizioni testamentarie istitu-
tive che comprendono, pur frazionandolo in quote, l’intero patrimonio, esclu-
de la possibilità di concorso di successione legittima. La quale, come è ovvio,
presuppone sempre che manchi in tutto o in parte la successione testamenta-
ria.
Sotto un diverso profilo, è necessario che la divisione fatta dal testatore
comprenda tutti gli eredi testamentari e che l’effettivo valore dei beni asse-
gnati a ciascuno corrisponda alle quote stabilite dal testatore.
Prescindendo, infatti, dai casi nei quali residuino beni che consentano,
pur conservando le disposizioni di divisione, di apportare le necessarie corre-
zioni divisorie, non ci sono ragioni per escludere la nullità della divisione che
non comprenda qualcuno degli eredi istituiti per testamento e l’inefficacia
delle disposizioni testamentarie di divisione la cui esecuzione importerebbe
l’assegnazione di beni per valori non corrispondenti alle quote stabilite dal te-
statore.

13. — Veniamo, quindi, alla seconda ipotesi: pur in presenza di una divi-
sione fatta dal testatore, gli eredi sono istituiti direttamente dalla legge.
Il caso, come ovvio, è molto complesso, presupponendo, necessariamente,

( 139 ) A. Cicu, Successioni per causa di morte. Parte generale. Divisione ereditaria, cit.,
p. 435, condivisibilmente, reputa più precisa la formula: « i beni in essa non compresi sono
attribuiti conformemente alle quote formate dal testatore se non risulta una sua diversa vo-
lontà ». Si dichiara contrario, F. Messineo, Manuale di diritto civile e commerciale, vol. VI,
Diritto delle successioni per causa di morte, cit., pp. 593 s., secondo cui l’inciso attribuisce
al testatore il potere di manifestare una diversa volontà « nel senso di stabilire che i beni,
da lui intenzionalmente non-divisi, siano attribuiti, secondo le sue disposizioni di carattere
non-divisorio e che, soltanto se manchino queste, si dovrebbe fare ricorso alla successione
per legge ».
PARTE II - COMMENTI 95

che nel testamento il de cuius abbia diviso, totalmente o parzialmente, i pro-


pri beni, omettendo, però, di istituire gli eredi, la cui individuazione viene,
dunque, rimessa alla legge.
La complessità di esso, impone, prima di indagarne la disciplina, più
d’una precisazione.
Intanto, perché si possa, anche solo astrattamente, pensare a un caso del
genere è indispensabile che il testamento abbia un contenuto esclusivamente
divisorio (140), ossia che le sue disposizioni non possano in alcun caso essere
riconducibili a istituzioni ex rebus certis (141). Perché, ove così fosse, vi sareb-
be, comunque, una istituzione e, in conseguenza, si rifluirebbe, necessaria-
mente, o nel primo caso, se le istituzioni ex rebus certis valessero a compren-
dere l’universalità del patrimonio, ovvero nel terzo se le istituzioni ex rebus
certis comprendessero soltanto una quota, ma non l’intero. Con tutte le preci-
sazioni e le cautele che la materia dell’interpretazione del testamento suggeri-
sce, è palese che mentre formule del tipo « lascio il bene 1 ad A, il bene 2 a B
e il bene 3 a C » sono in odore di istituzioni ex rebus certis, diversamente for-
mule del tipo « così divido i beni tra i miei eredi legittimi: il bene 1 ad A, il
bene 2 a B e il bene 3 a C » parrebbero più facilmente riconducibili alle mere
disposizioni di divisione, compatibili con la individuazione degli eredi confor-
memente alla legge.
È indispensabile, inoltre, non soltanto che il testamento abbia un conte-
nuto esclusivamente divisorio, ma anche che la divisione fatta dal testatore
comprenda tutti i successori legittimi che avrebbero diritto e che l’effettivo
valore dei beni assegnati a ciascuno corrisponda alle quote virili. Il che, so-
prattutto in caso di divisione oggettivamente totale, rende la probabilità del-
l’ipotesi obiettivamente remota, aprendo maggiori spazi di verosimiglianza al
caso di divisione oggettivamente parziale, in cui l’esistenza di beni non divisi
lascia un certo margine di correzione, perché possano essere rispettate le pre-
( 140 ) A. Ciatti, La comunione ereditaria e la divisione, cit., p. 1206; Giu. Azzariti, Di-
visione fatta dal testatore, in Aa.Vv., Tratt. Rescigno, VI, Successioni, 2a ed., Torino 1997,
p. 425.
( 141 ) In senso contrario sembrerebbe orientato, F. Messineo, Manuale di diritto civile e
commerciale, vol. VI, Diritto delle successioni per causa di morte, cit., p. 591, secondo il
quale la divisione fatta dal testatore implica sempre una chiamata a titolo universale. Ove
non risultasse l’intenzione del testatore di lasciare i beni determinati come quota, le attribu-
zione non implicherebbero necessariamente divisione fatta dal testatore. Nello stesso senso
anche L. Bigliazzi Geri-U. Breccia-F.D. Busnelli-U. Natoli, Diritto civile, vol. 4, tomo 2,
Le successioni a causa di morte, Torino 1996, p. 254, secondo i quali v’è sempre piena
coincidenza tra divisione fatta dal testatore e istituzione ex re certa e F.S. Azzariti-G. Mar-
tinez-Giu. Azzariti, Successioni per causa di morte e donazione, cit., p. 669, i quali sem-
brano escludere una divisione non istitutiva, rilevando che « la istituzione di erede [...] non
può che essere implicitamente contenuta nell’attribuzione dei beni ». In questo senso par-
rebbe orientato anche S. Delle Monache, Revoca tacita dell’istituzione ex re certa, cit., p.
412, secondo il quale la « presunzione (legale) di legato » dovrebbe reputarsi vinta quando
il testatore opera un riparto tra tutti i soggetti che è legittimo « attendersi siano percepiti
dal testatore come propri eredi futuri (già in base ad una chiamata ex lege) ».
96 RIVISTA DI DIRITTO CIVILE - 1/2012

scrizioni normative in tema di successione legittima. Non v’ha dubbio, infatti,


che nei casi in cui la divisione non comprenda un successibile e nel caso in
cui, pur comprendendo tutti i successibili, il valore dei beni non corrisponda
alle quote virili, debbano valere le soluzioni che, in linea generale, ho già pro-
spettate.
Infine, perché si possa ipotizzare un testamento con funzione esclusiva-
mente divisoria, credo che qualche considerazione debba spendersi rispetto
all’ipotesi che il de cuius faccia esplicito riferimento alla disciplina sulla suc-
cessione legittima, con formule del tipo « la mia successione sia regolata se-
condo la legge » o equivalenti.
Poiché si discute in questi casi intorno al carattere precettivo o pleonasti-
co della formula, non v’ha dubbio, senza con ciò voler entrare nel merito del-
l’arduo dibattito, che a seconda che si preferisca la prima o la seconda lettu-
ra, si dovrà, in conseguenza, negare o affermare che il testamento che la con-
tenga abbia un tratto esclusivamente divisorio (142). D’altra parte, però, non
posso nascondere che formule di questo tipo sollevano anche il problema del-
la natura del rinvio, potendosi discutere se esso sia fisso o mobile (143).
Così chiarito il perimetro delle ipotesi riconducibili al testamento mera-
mente divisorio, non v’ha dubbio, a livello generale, che anche a questa ipote-
si debbano trovare applicazione tutte le considerazioni già svolte in merito a
eventuali problemi dipendenti dalla esistenza di una massa da dividere infe-
riore o maggiore rispetto a quella divisa con il testamento.
In via di estrema sintesi, indipendentemente dalla consistenza della mas-
sa, se essa sia inferiore a quella divisa dal testatore, le disposizioni di divisio-
ne debbono considerarsi inefficaci e tra i successori legittimi si deve aprire
una comunione ereditaria; se, invece, sempre indipendentemente dalla consi-
stenza, la massa sia maggiore, perché ci siano beni nuovi o perché il testatore
non ha diviso tutti i beni, le disposizioni di divisione possono essere tutte con-
servate e i beni restanti, ossia i beni non divisi dal testatore, dovranno essere
divisi tra gli eredi legittimi, in proporzione delle loro quote.

14. — Veniamo, quindi, alla terza ipotesi: gli eredi sono istituiti in parte
dalla legge e in parte dal testamento.
Perché ricorra un tale caso è necessario, che il testatore, oltre ad aver di-
viso, totalmente o parzialmente, i propri beni, abbia anche istituito taluno co-
me erede. Occorre, però, che le disposizioni testamentarie istitutive non com-
prendano l’universalità del patrimonio, ma soltanto una quota, ossia che
( 142 ) Secondo L. Mengoni, La divisione testamentaria, cit., p. 77, allorché la vocazione
ex testamento coincida con quella ex lege, la manifestazione di volontà del testatore è inuti-
le. Nel caso in parola, però, tale principio non potrebbe valere, perché la composizione con-
creta delle quote varrebbe, comunque, quale chiamata in beni determinati ex art. 588,
comma 2o, c.c. Con la conseguenza che gli assegnatari sarebbero eredi testamentari.
( 143 ) Sul tema del rinvio le considerazioni di M. Confortini, Problemi generali del con-
tratto attraverso la locazione, Padova 1988, pp. 222 ss.
PARTE II - COMMENTI 97

manchi in parte la successione testamentaria (144); presupposto necessario e


sufficiente perché possa concorrere la successione legittima (145). Volendo
proporre un esempio, il de cuius, dopo aver istituito erede A in un terzo del
proprio patrimonio, immediatamente o mercé istituzione ex re certa, ha divi-
so, senza che risulti alcuna volontà istitutiva, il (o parte del) proprio patrimo-
nio, assegnando il bene 1 ad A, il bene 2 a B e il bene 3 a C (146).
Posto che sarà, certamente, erede, nella quota espressa o inespressa, colui
che viene immediatamente istituito nel testamento, il problema è quello della
individuazione degli altri eredi. Al riguardo, facendo applicazione dei generali
principi in materia successoria, non v’ha dubbio che, per la parte in cui la
successione testamentaria manchi, deve aprirsi quella legittima. Ipotizzando
che il de cuius abbia istituito Tizio erede nella misura espressa di 1/3, nella
restante quota di 2/3 saranno eredi coloro che, secondo la disciplina sulla
successione legittima, ne abbiano titolo.
Il caso in parola è, tuttavia, complicato da un’importante circostanza. Poi-
ché si presuppone che il de cuius, da un lato, abbia istituito uno o più eredi,
senza comprendere l’universalità del proprio patrimonio, e dall’altro, abbia di-
viso, totalmente (147) o parzialmente, i propri beni tra gli eredi, si potrebbe da-
re il caso che nella divisione abbia compreso non soltanto colui o coloro che ab-
bia nominato eredi testamentari, ma anche eredi legittimi. In tale evenienza,
prima di poter affermare che la successione testamentaria non sia completa, sa-
rà necessario verificare, secondo le norme sull’interpretazione del testamento,
che dietro la disposizione divisoria non si celi, altresì, una disposizione istituti-
va che, con quella, conviva. Perché, ove così fosse, non si avrebbe concorso di
successione legittima con successione testamentaria, ma sola successione testa-
mentaria. La quale sarebbe completa e non reclamerebbe altro da sé.
Anche in questo caso, come in quello precedente, è necessario che la divi-
sione fatta dal testatore comprenda tutti gli eredi, testamentari e legittimi, e
che l’effettivo valore dei beni assegnati a ciascuno corrisponda alle quote sta-
bilite dal testatore, per ciò che concerne i primi, e alle quote fissate dalla leg-
( 144 ) Anche, F. Venosta, Art. 734, cit., p. 193.
( 145 ) In senso contrario, almeno nell’ipotesi in cui con il testamento si istituisse un solo
erede, L. Mengoni, L’istituzione di erede « ex certa re » secondo l’art. 588, comma 2o, c.c.,
cit., p. 761, secondo cui « non si può avere un heres ex re che sia l’unico istituito (heres ex
asse), oppure in concorso con l’erede legittimo ». Tuttavia, a p. 764, l’A. ammette il con-
corso tra eredi ex re certa ed eredi legittimi, nel caso in cui i primi siano almeno due.
( 146 ) G. Amadio, La divisione del testatore, cit., p. 86.
( 147 ) Secondo A. Cicu, Successioni per causa di morte. Parte generale. Divisione eredi-
taria, cit., p. 436, per poter far luogo a successione legittima occorre una divisione parziale.
In senso contrario, in linea con la tesi sostenuta nel testo, posso precisare che una divisione
totale non ostacola il concorso di una successione legittima, dacché quest’ultimo non dipen-
de dalla divisione, ma dalla completezza della istituzione. Potrebbe, paradossalmente, darsi
un testamento con il quale il de cuius non copra con le istituzioni d’erede l’universalità del
proprio patrimonio (istituisco erede nella misura di 1⁄4 Tizio), ma nondimeno divida, tra
l’erede istituito e gli eredi legittimi, la totalità del proprio patrimonio.
98 RIVISTA DI DIRITTO CIVILE - 1/2012

ge, per i secondi. Prescindendo, infatti, dai casi nei quali residuino dalla divi-
sione fatta dal testatore beni che consentano, pur conservando le disposizioni
di divisione, di apportare le necessarie correzioni divisorie, non ci sono ragio-
ni per escludere la nullità della divisione che non comprenda qualcuno degli
eredi istituiti, per testamento o per legge, e l’inefficacia delle disposizioni te-
stamentarie di divisione la cui esecuzione importerebbe l’assegnazione di beni
per valori non corrispondenti alle loro quote.
Ragioni analoghe inducono a estendere al caso in parola le conclusioni
già tolte a livello più generale, per le ipotesi in cui la massa da dividere sia in-
feriore o maggiore rispetto a quella divisa con il testamento. In via di sintesi,
se la massa è inferiore a quella divisa dal testatore, le disposizioni di divisione
debbono considerarsi inefficaci e tra i successori legittimi e testamentari si
apre una comunione ereditaria; se, invece, la massa è maggiore, perché ci so-
no beni nuovi o perché il testatore non ha diviso tutti i beni, le disposizioni di
divisione possono essere tutte conservate e i beni restanti, ossia i beni non di-
visi dal testatore, dovranno essere ripartiti tra gli eredi legittimi e gli eredi te-
stamentari in proporzione alle rispettive quote.

15. — Rientra, certamente, nella prima classe di ipotesi il concorrere nel


testamento di disposizioni di divisione e di istituzioni ex rebus certis. Si tratta
del caso in cui il testatore, purché risulti, secondo i noti principi sulla succes-
sione testamentaria, sia l’intenzione istitutiva che quella divisoria (148), in luo-
go di istituire gli eredi in quota espressa, preferisca istituirli in quota inespres-
sa, limitandosi a indicare un bene determinato o un complesso di beni come
quota del patrimonio, il quale vale, anche, ai fini della divisione ereditaria.
L’ipotesi non avrebbe nulla di particolare e nulla di diverso da quella più
semplice, offerta dalla istituzione in quota espressa, se non vi fosse una singo-
lare coincidenza e compenetrazione tra la disposizione istitutiva e quella divi-
soria (149). Dacché, con una medesima formulazione linguistica o, se si prefe-
risce, mercé un’unica disposizione testamentaria, il de cuius non soltanto isti-
tuisce l’erede, al quale assegna un bene determinato o un complesso di beni
come quota del patrimonio, ma divide i beni medesimi, assegnando a ciascu-
no dei nominati esattamente quel bene determinato o quel complesso di beni
che ha utilizzato per la di lui istituzione (150).

( 148 ) In senso contrario parrebbe orientato L. Mengoni, L’istituzione di erede « ex certa


re » secondo l’art. 588, comma 2o, c.c., cit., p. 763, secondo il quale le institutiones ex re
certa dovrebbero sempre avere una funzione divisoria. Sicché, diversamente da quanto so-
stenuto nel testo, non potrebbero darsi casi, pur di difficile verificazione, in cui lasciti di be-
ni determinati in funzione di quote non svolgano, anche, la funzione di divisione.
( 149 ) G. Amadio, La divisione del testatore senza predeterminazione di quote, cit., p.
258, discorre di coincidenza dei due momenti volitivi e a p. 267 precisa che « l’unicità
strutturale della disposizione non esclude, ma anzi garantisce, l’assolvimento di una duplice
funzione, al contempo istitutiva e divisoria ».
( 150 ) L. Mengoni, La divisione testamentaria, cit., p. 84, discorre di struttura attributi-
PARTE II - COMMENTI 99

Per quanto sia ragionevole e condivisibile che, in questi casi, la istituzio-


ne ex re certa è lo strumento attraverso il quale la divisione ereditaria viene
realizzata (151) o, da una diversa prospettiva, che la divisione testamentaria
mediante assegni divisionali qualificati è un’estensione del principio della isti-
tuzione ex re certa (152), occorre, nondimeno, assumere consapevolezza della
circostanza che in un medesimo testo linguistico concorrono, purché tale pos-
sa essere il significato giuridico (153), due disposizioni testamentarie diverse
per funzione ed efficacia.
L’una l’istituzione ex re certa e l’altra la divisione fatta dal testatore.
Diverse per funzione, in quanto la prima serve a istituire il beneficiario
erede nella quota che la certa res rappresenta in relazione al tutto, mentre la
seconda serve a impedire il sorgere della comunione ereditaria. Il testatore,
mercé l’indicazione di beni determinati, per un verso, segna e misura la quota
dell’erede e, per altro verso, e nei limiti di compatibilità, assegna e distribui-
sce tra gli eredi.
Diverse in punto di efficacia, in quanto la prima risulta necessariamente
stabile, avendo la funzione di determinare la misura astratta della quota,
mentre la seconda ha una stabilità precaria, dal momento che la concreta at-
tribuzione delle certae res dipende dalla attuabilità giuridica della divisione,
avuto riguardo alle disposizioni istitutive e alla consistenza della massa eredi-
taria.
va e funzione distributiva. Da ciò il criterio metodologico per la soluzione dei problemi di
disciplina: « la disciplina della divisione testamentaria deve elaborarsi sulla base della na-
tura attributiva dell’istituto, mentre i principî della divisione, richiamati dalla funzione di-
stributiva, entrano a costituire un limite alle conseguenze che, di per sé, sarebbero logica-
mente deducibili da quella natura ». S. Delle Monache, Revoca tacita dell’istituzione ex re
certa, cit., p. 403, precisa, che in ipotesi del genere il c.d. lascito si « sdoppia in due deter-
minazioni negoziali »: l’una avente funzione istitutiva e l’altra la funzione di apporziona-
mento.
( 151 ) È la tesi di G. Amadio, La divisione del testatore senza predeterminazione di quo-
te, cit., pp. 243 ss. e spec. pp. 267 s.; Id., La divisione del testatore, cit., p. 107. Nel quale
precisa che l’istituzione ex re certa è uno dei possibili mezzi tecnici della divisione del testa-
tore.
( 152 ) È la tesi di L. Mengoni, L’istituzione di erede « ex certa re » secondo l’art. 588,
comma 2o, c.c., cit., p. 762 e Id., La divisione testamentaria, cit., pp. 28, 70, il quale, nella
seconda opera, mitiga la propria posizione, precisando che l’heredes institutio ex re assume
costantemente ma non esclusivamente il profilo di una divisione fatta dal testatore senza
determinazione di quote. Il che, risulta chiaro anche all’A. il quale a p. 6, nt. 16, precisa
che alcuni punti del suo precedente lavoro sono « da ripudiare ».
( 153 ) Non si può escludere a priori che il testatore, benché abbia usate formule linguisti-
che, apparentemente idonee a essere lette sia come istituzioni ex re certa che come disposi-
zioni di divisione, nondimeno possa avere avuta soltanto l’una o soltanto l’altra intenzione.
Sicché potrebbe darsi che, mancando l’intenzione di divisione, si tratta soltanto di istituzio-
ni ex rebus certis, con la conseguenza che si tratta soltanto di istituzioni di eredi in quota
inespressa; viceversa, potrebbe esistere soltanto l’intenzione divisoria, sicché quelle disposi-
zioni non potrebbero avere alcuna funzione istitutiva, la quale sarebbe rimessa alla legge.
Contrario a questa ipotesi, A. Ciatti, La comunione ereditaria e la divisione, cit., p. 1207.
100 RIVISTA DI DIRITTO CIVILE - 1/2012

Se solo si apprezza la coesistenza nel medesimo testo delle due diverse di-
sposizioni testamentarie, quella istitutiva e quella divisoria, in uno con la di-
versa funzione di ciascuna, non stupisce che l’erede possa risultare assegnata-
rio anche di beni ulteriori rispetto a quelli indicati o, au contraire, di beni di-
versi o, ancora, di alcuni soltanto dei beni indicati o, infine, non risultare as-
segnatario di alcuno dei beni che il testatore parrebbe avergli, expressis ver-
bis, « lasciato »; al pari di come non stupisce che tra gli eredi possa sorgere,
comunque, una comunione ereditaria o rispetto a tutti i beni da dividere o
soltanto rispetto a beni nuovi e diversi.
I problemi che pone un testamento nel quale l’istituzione ex re certa è lo
strumento attraverso il quale la divisione ereditaria viene realizzata, si posso-
no più semplicemente sciogliere, tenendo conto della singolare coesistenza nel
medesimo testo di diverse disposizioni. Con questa avvertenza, l’interprete
dovrà, in primo luogo, individuare tutti gli eredi, determinando la misura del-
la quota nella quale ciascuno è chiamato, successivamente verificare l’attua-
bilità della divisione fatta dal testatore, mediante le istituzioni ex re certa, in-
di, verificare se, in che misura e rispetto a quali beni vi sia o non vi sia, tra lo-
ro, comunione ereditaria.
La particolare modalità attraverso la quale la divisione viene realizzata
esclude, in radice, la possibilità che il testatore nella divisione possa non aver
compreso qualcuno degli istituiti (154), ossia una divisione soggettivamente
parziale, dal momento che l’istituzione presuppone, per definizione, l’asse-
gnazione almeno di un bene determinato (155). Esclude, altresì, che il valore
dei beni possa non corrispondere alle quote stabilite dal testatore o che la di-
visione possa essere rescindibile (156), dal momento che la misura delle quote
è data, nel caso di specie, proprio dal rapporto di valore della certa res indi-
cata e assegnata a ciascuno degli istituiti rispetto al tutto (157).

( 154 ) Così, G. Amadio, La divisione del testatore, cit., pp. 90 s. Nella prospettiva che ho
tentato di disegnare, resterebbe, però, salva l’ipotesi dell’applicazione analogica del comma
1o dell’art. 735 c.c. al caso in cui la preterizione di un istituito non sia formale, ma sostan-
ziale e dipendente dalla mancanza del bene al tempo dell’apertura della successione.
( 155 ) Possibile, invece, una divisione parziale in caso di istituzioni in quote espresse. Co-
sì, G. Amadio, La divisione del testatore, cit., p. 88.
( 156 ) G. Amadio, La divisione del testatore senza predeterminazione di quote, cit., pp.
258, 261 e 264. Nell’ultima si legge: « la coincidenza strutturale tra apporzionamento e di-
sposizione istituiva esclude l’operatività [...] dell’art. 735 c.c., così la proporzionalità in re
ipsa tra quota e porzione rende inapplicabile il rimedio rescissorio ». Di recente, Id., La di-
visione del testatore, cit., p. 99.
( 157 ) G. Bombarda, Osservazioni in tema di norme date dal testatore per la divisione, di-
visione fatta dal testatore e disposizione dei conguagli, cit., p. 111. Ora, in senso favorevo-
le, G. Amadio, La divisione del testatore, cit., pp. 77 s. Osserva S. Delle Monache, Revoca
tacita dell’istituzione ex re certa, cit., p. 427, che in ipotesi di beni insufficienti a soddisfare
l’assegnatario di res non più esistente al tempo della apertura della successione, la tutela
non può che essere offerta dall’azione di rescissione. Confermando, così, che il rimedio può
darsi anche in caso di divisione senza predeterminazione di quote. Nella prospettiva che ho
PARTE II - COMMENTI 101

Ne deriva, pertanto, che, in ipotesi di questo tipo, non potendosi mai far-
si questione di divisione soggettivamente parziale, possono porsi soltanto pro-
blemi legati alla consistenza della massa, quando essa sia diversa da quella
esistente al tempo della confezione del testamento. Perché, come potrebbe
darsi il più semplice, lineare e scolastico caso in cui la massa da dividere sia
esattamente corrispondente, per valore e/o consistenza, a quella esistente e
nota al momento della confezione del testamento, nondimeno potrebbero dar-
si i casi in cui la prima sia maggiore o minore rispetto alla seconda.
Nella prima ipotesi, il caso non pone particolari problemi, soprattutto se
si versa in ipotesi di divisione oggettivamente totale. Si tratterà, soltanto, di
misurare il valore delle certae res in rapporto al tutto, al fine di individuare la
misura delle quote di ciascuno. Nelle quali, stante la corrispondenza tra mas-
sa da dividere e massa divisa dal testatore, saranno esattamente compresi i
beni assegnati come quota, con ovvia conseguenza che tra i coeredi non sor-
gerà alcuna comunione ereditaria. Diversamente, qualora la divisione e, in
conseguenza, le assegnazioni non fossero totali, si porrebbe il problema del-
l’attribuzione e della divisione dei beni non assegnati e divisi. Ovvio che,
stante la virtù espansiva della quota, i beni ulteriori andranno ripartiti pro
quota tra tutti gli eredi. Tra i quali sorgerà, quindi, la comunione limitata-
mente ai beni non divisi (158).
Supponiamo che Tizio sia titolare, al tempo della confezione del testa-
mento e al tempo dell’apertura della successione dei beni 1, 2, 3 e 4, che cia-
scuno di essi valga 20, che il testamento rechi il seguente testo: « lascio ad A
il bene 1, a B il bene 2 e a C i beni 3 e 4 » e che risulti l’intenzione istitutiva e
quella divisoria. Non v’ha dubbio che A e B sono eredi per 1⁄4 ciascuno e che
C è erede per 1/2, al pari di come non v’ha dubbio che non v’è comunione
ereditaria, risultando A titolare del bene 1, B, del bene 2 e C dei beni 3 e 4.
La soluzione sarebbe in parte diversa se, fermi tutti gli altri elementi, il
testamento recasse questo testo: « lascio ad A il bene 1, a B il bene 2 e a C il
bene 3 ». Diversamente dal caso precedente, A, B e C, sono eredi in parti
eguali, ossia per 1/3 ciascuno e non v’ha comunione ereditaria soltanto ri-
spettivamente ai beni 1, 2 e 3, risultando A titolare del primo, B del secondo e
C del terzo. Da chiarire, invece, la sorte del bene 4. Il quale, in ragione della
virtù espansiva, spetterà, pro quota, ossia per 1/3 ciascuno, a i tre eredi, tra i
quali sorgerà, limitatamente a quel bene, una comunione.
Non molto diverso, il caso in cui la massa da dividere sia, per valore e/o
consistenza, maggiore della massa divisa dal testatore. Esso pone, infatti,
analoghe questioni e, di conseguenza, si apre alle medesime soluzioni del caso
in cui, pur essendovi identità tra massa da dividere e massa divisa dal testato-
tentato di tracciare nel testo, in casi di tal sorta, non si tratta, punto, di applicare il rimedio
rescissorio, bensì di rilevare la inefficacia della divisione.
( 158 ) Secondo G. Gazzara, Divisione ereditaria, cit., p. 437, si tratta di una comunione
ordinaria. Contrario, A. Cicu, Successioni per causa di morte. Parte generale. Divisione ere-
ditaria, cit., pp. 343 ss.
102 RIVISTA DI DIRITTO CIVILE - 1/2012

re, si abbia un’assegnazione e una divisione oggettivamente parziale. Perché


v’è sempre il problema dell’assegnazione e divisione dei cc.dd. beni nuovi. I
quali, per la virtù espansiva della quota, dovranno essere attribuiti a tutti gli
eredi in proporzione delle quote di ciascuno e, in assenza di una divisione, do-
vranno cadere in comunione. Con la precisazione che se la divisione fosse og-
gettivamente parziale, la medesima sorte dei beni nuovi avrebbero anche i be-
ni non assegnati e non divisi.
Utilizziamo l’esempio precedente, ma ipotizziamo che Tizio sia titolare,
al tempo della confezione del testamento dei beni 1, 2, 3 e 4; al tempo del-
l’apertura della successione dei beni 1, 2, 3, 4, 5 e 6; che il che il testamento
rechi il seguente testo: « lascio ad A il bene 1, a B il bene 2 e a C i beni 3 e
4 ». Non v’ha dubbio che A e B sono eredi per 1⁄4 ciascuno e che C è erede per
1/2, al pari di come non v’ha dubbio che non esista comunione ereditaria sui
beni 1, 2, 3 e 4, risultando A titolare del primo, B del secondo e C del terzo e
del quarto. I beni 5 e 6, non assegnati e non divisi, essendo beni nuovi, an-
dranno assegnati per 1⁄4 ad A, per 1⁄4 a B e per 1⁄2 a C, tra i quali sussisterà, li-
mitatamente a tali beni, una comunione.
Veniamo, quindi alla terza e più complessa ipotesi, ossia quella in cui la
massa da dividere sia, per valore e/o consistenza, inferiore alla massa divisa
dal testatore.
Diversamente dai casi precedenti, salvo il caso di una divisione oggettiva-
mente parziale, dalla quale residuino beni comunque sufficienti per rispettare
le quote di ciascuno e la composizione delle medesime o nella quale non siano
compresi i beni non più presenti al tempo dell’apertura della successione, la
divisione fatta dal testatore risulta compromessa. Secondo i principi illustrati,
la divisione è costretta a essere inefficace, con la conseguenza, già anticipata,
che gli eredi potrebbero anche non risultare assegnatari della certa res che il
testatore gli ha espressamente lasciata. In tale caso, infatti, rispetto alla dispo-
sizione testamentaria mentre è ferma e sicura la funzione istituiva, può essere
dubbia e compromessa quella divisoria. La circostanza che al momento del-
l’apertura della successione esistano o no le certae res specificamente assegna-
te e divise nel testamento, mentre è irrilevante ai fini della istituzione, serven-
do, soltanto, a segnare astrattamente la quota nella quale i singoli beneficiari
sono chiamati, è, invece, straordinariamente rilevante nel momento distribu-
tivo, dal momento che dalla presenza o dall’assenza di esse dipende l’attuabi-
lità della divisione medesima e che da quest’ultima, credo, dipenda l’efficacia
delle disposizioni di divisione.
Per chiarire, utilizziamo l’esempio precedente, ma ipotizziamo che Tizio
sia titolare, al tempo della confezione del testamento, dei beni 1, 2, 3 e 4 e, al
tempo dell’apertura della successione dei beni 1, 2 e che il che il testamento
rechi il seguente testo: « lascio ad A il bene 1, a B il bene 2 e a C i beni 3 e
4 ». Secondo le considerazioni che ho svolto, A e B saranno eredi per 1⁄4 cia-
scuno e C per 1/2. Gli è, però, che l’assegnazione, ove pure fosse in funzione
divisoria, non è attuabile, perché dalla sua esecuzione deriverebbe una viola-
PARTE II - COMMENTI 103

zione delle istituzioni e, in questo caso, addirittura, la preterizione dell’erede


che ha diritto alla maggior quota. Salva la funzione istitutiva, viene compro-
messa soltanto quella divisoria. In conseguenza, di là della disposizione testa-
mentaria, sui beni residui 1 e 2 si aprirà una comunione ereditaria, alla quale
parteciperanno, in proporzione alle rispettive quote, tutti gli eredi istituiti.
Le considerazioni svolte valgono, naturalmente, non soltanto nel caso in
cui il testatore, mediante le istituzioni ex re certa comprenda l’intero patrimo-
nio, ma anche nei casi in cui esse valgano a comprenderne soltanto una quo-
ta. Stante la parziale mancanza della successione testamentaria, si tratterà di
assegnare la quota vacante secondo le norme della successione legittima. Una
volta individuati gli eredi, ex testamento ed ex lege, e le quote di ciascuno, i
principi che ho cercato di tracciare, con qualche facilitazione dipendente dal
carattere necessariamente parziale delle assegnazioni e divisioni, consentiran-
no di offrire soluzioni ai diversi casi che si dovessero profilare, consapevoli del
valore binario delle predette disposizioni testamentarie.

Vincenzo Barba
Prof. straord. dell’Università di Roma
« La Sapienza »

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