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end

R2.V2M4
Hof.

Q. ORAZIO FLACCO

LE OPERE
I
LE ODI
IL CARME SECOLARE
GLI EPODI

tomo secondo

Commento di ELisA ROMANO

dich ih mai
ln
ISTITUTO POLIGRAFICO E ZECCA DELLO STATO

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LIBRERIA DELLO STATO
ROMA 1991

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NOTA BIBLIOGRAFICA (*)

PRINCIPALI EDIZIONI E COMMENTI

Tutte le opere
F. Kiinener, Lipsiae 1939 (19592).
S. BorzsAK, Leipzig 1984.
D.R. StackLeron Bair, Stutgardiae 1985.

Odi ed epodi
© 1991 Libreria dello Stato. Roma I.G. OreLLi — I, G. Barrer — G. HirscaFeELDER, I*, Berolini 1886. Con commento.
Tutti i diritti riservati. G. Pascoti, Lyra, Livorno 1895. Antologia con commento.
O. KeLter — A, Holter, I°, Lipsiae 1899.
V. UssaniI, Torino 192272. Con commento.
F. Pressis, Paris 1924. Con commento.
F. VirLeNEUve, I, Paris 1927. Con traduzione francese.
A. Kiessune — R. Heinze, I, Berlin 1930 (1960, con aggiornamento bibliografico
a cura di E. Burck). Con commento.
M. LeNcHANTIN DE GuserNATIS — D. Bo, I°, Torino 1957.

Odi
O. Tescari, Torino 1936 (19483).
G. WirLiams, 1. III, Oxford 1969.
R.G. M. Nisser —- M. Hussarp, 1. I, Oxford 1970; 1. II, Oxford 1978. Solo com-
mento.

Epodi
C. GiarraTANO, Torino 1930. Con commento.

(*) Il presente elenco è limitato agli studi cui si fa riferimento col solo nome dell’autore
all’interno delle sezioni bibliografiche che accompagnano ciascun componimento.
454 Orazio Nota bibliografica 455

STUDI CRITICI D. AsterTIincER-GrUNBERGER, Der junge Horaz und die Politik. Studien zur 7. und 16.
Epode, Heidelberg 1971.
Monografie generali
E. Kraccerun, Horaz und Actium. Studien zu den politischen Epoden, « Symb. Osl. »
TH. ZieLInsKI, Horace et la société romaine du temps d’ Auguste, Paris 1938. suppl. XXVI, Oslo 1984.
W. Wii, Horaz und die augusteische Kultur, Basel 1948.
E. FrAENKEL, Horace, Oxford 1957. Altre opere
E, CastorINA, La poesia d’Orazio, Roma 1965. R. RerrzeNsTEIN, Aufsdtze zu Horaz. Abhandlungen und Vortrige aus den Jahren 1908-
192, Darmstadt 1963.
A. LA PENNA, Orazio e la morale mondana europea, saggio introduttivo a Orazio. Tutte
le opere a cura di E. Cetrangolo, Firenze 1968 (= La Penna 1968). U. von Wiramowrrz-MéLieNDORFF, Sappho und Simonides, Berlin 1913.
K. Quinn, Latin Explorations, London 1963.
Odi ed epodi
G. Wair.iams, Tradition and Originality in Roman Poetry, Oxford 1968.
Tu. Priss, Horazstudien. Alte und neue Aufsditze iber horazische Lyrik, Leipzig 1882
F. Caxrns, Generic Composition in Greek and Roman Poetry, Edinburgh 1972.
(= Pliss 1882). i
Wege zu Horaz, hrsg. von H. OpPPERMANN, Darmstadt 1972.
G. Pasquali, Orazio lirico, Firenze 1920 (ristampa xerografica con introduzione, indici
ed appendice di aggiornamento bibliografico a cura di A. La Penna, Firenze 1964). D. Gacniarpi, Studi su Orazio, Palermo 1986.

L.P. Wirkinson, Horace and his Lyric Poetry, Cambridge 1945.


A. LA Penna, Orazio e l'ideologia del principato, Torino 1963 (= La Penna 1963).
V. PòscHt, Horazische Lyrik, Heidelberg 1970.

Odi
S. Commacer, The Odes of Horace. A Critical Study, New Haven-London 1962.
C. Becker, Das Spdtwerk des Horaz, Géottingen 1963.
H. P. Sywprkus, Die Lyrik des Horaz. Eine Interpretation der Oden, Darmstadt I 1972,
II 1973,

Epodi
F. Leo, De Horatio et Archilocho, Giottingen 1900 (= Ausgewéhlte kleine Schriften II,
Roma 1960, 139 sgg.).
Tu. Prùss, Das Jambenbuch des Horaz im Lichte der eigenen und unserer Zeit, Leipzig
1904 (= Pliiss 1904).
V. GRASSMANN, Die erotischen Epoden des Horaz, Literarischer Hintergrund und Sprach-
liche Tradition, Minchen 1966.
K. BicHuner, Die Epoden des Horaz, in Studien zur ròmischen Literatur, 8: Werkana-
lysen, Wiesbaden 1970.
Odi I 1 459

LIBRO PRIMO

WiramowiTz, 188 sgg.; PASQUALI, 746 sgg.; D. NorBERG, L’Olympionique, le poète


et leur renom éternel, Uppsala 1945; G. CARLSSON, « Eranos » 44, 1946, 404 sgg.; A. LA
PENNA, « Ann. Sc. Norm. Pisa » 24, 1955, 161 sgg. (= La Penna 1963, 203 sgg.);
FRAENKEL, 230 sgg.; H. MusuriLLo, « Trans. Amer. Philol. Ass. » 93, 1962, 230 sgg.;
E. Pasoti, in Studi De Falco, Napoli 1971, 409 sgg.; A. VrETsKA, « Hermes » 99, 1971,
323 sgg.; A. GuiseLli, Orazio, Ode 1, 1. Saggio di analisi formale, Bologna 1983.

Non vi sono indizi cronologici interni a questa ode che fa da proemio ai primi
tre libri. Alcuni argomenti tuttavia inducono a pensare che essa sia stata scritta in oc-
casione della pubblicazione della raccolta (23 a.C.): oltre alla considerazione che proemi
e prefazioni vengono composti per tradizione ad opera ultimata, oltre alla presumibile
contemporaneità rispetto all’ode di commiato 3,30, con la quale 1,1 mostra una
intenzionale corrispondenza, una prova convincente è quella addotta da Fraenkel, e
cioè il fatto che essa è ricca, come forse nessun’altra, di rinvii tematici e di allusioni
formali ad altri componimenti della raccolta (cfr. note di commento), che ne fanno
una vera e propria ouverture ai tre libri. I sostenitori di una composizione dell’ode
fra le più antiche si fondano invece su un’interpretazione che vede nei versi finali

Ì
un riferimento alla poesia giambica degli epodi e un accenno all'opera lirica come

ili li
ancora da compiere; sull’atteggiamento, ancora vicino a quello delle satire, che carat-
terizzerebbe la galleria caricaturale dei tipi umani descritti; sull’incertezza nell’orga-
nizzazione del sistema strofico (difficilmente infatti i versi si possono raggruppare in
strofe tetrastiche, come vorrebbe la legge di Meineke).

i
All’interno dell’architettura complessiva della raccolta, la corrispondenza più evi-

ilalbicabdacii Gai di Li aulin


dente è quella con l’ode finale 3, 30, sottolineata dall’uso di un metro, l’asclepiadeo
minore, che nei primi tre libri è adoperato soltanto in questi due casi.
È difficile delineare una struttura dell’ode: l’unico dato sicuro è l'autonomia della
prima e dell’ultima coppia di versi, contrassegnate dall’allocuzione al destinatario, che
si chiudono come un cerchio attorno allo svolgimento centrale, offrendo un esempio
di composizione anulare. Per il resto, il problema ha dato luogo a una grande varietà
di proposte (Vretska, Ghiselli), alcune delle quali arrivano a scorgere complicati
schemi numerici nell’ode, che tuttavia, dal punto di vista della struttura, rimane ati-
pica (Pasoli), dominata com'è dal gusto della varietà; essa sfugge al tentativo di rag-
460 Orazio Odi I 1, 1-3 461

grupparne i versi in unità significative, perché la ricerca oraziana di una struttura v. 1 atavis-—regibus: Mecenate non apparteneva alla nobilitas, ma all’ordo equester
simmetrica ha dovuto adeguarsi allo schema formale della Priamel (‘ preambolo ). (cfr. 1, 20, 5; 3, 16, 20; ed inoltre Tac. ann. 6, 11 e Vert. 2, 88, 2, dai quali appren-
Tale schema poetico, che costituisce l’ossatura dell’ode, era particolarmente adatto diamo che durante le guerre civili Ottaviano affidò a M. ogni potere). Pur essendo
ad elencare una serie significativa di attività e di interessi umani cui Orazio potesse semplice eques, e pur non avendo mai voluto intraprendere la carriera politica (VeLL.
contrapporre, alla fine, la propria scelta: la poesia greca offriva molti precedenti, da loc. cit.), era di famiglia illustre: discendeva, se non da lucumoni etruschi, da una
SappH. fr. 16 L.-P. oi uèv imrftv otphrov oi SÌ réodcuv / ol SÈ vdewv gato” èrd yav famiglia di Arezzo, che, secondo Liv. 10, 3, 2, era ancora molto potente nel IV sec.
uercivay | Eupevar xkXMotOv, Eyw dì xiv dr / tw i Eparar (« c'è chi dice che la cosa a.C., probabilmente per patte di madre, attraverso il Cilnium genus (cfr. Cilnius Mae-
più bella sulla nera terra sia una schiera di cavalieri, chi di fanti, chi di navi, ma io cenas in Tac. ann. 6, 11; Cilniorum smaragde nel frammento di un’epistola di Augusto
dico che è ciò che si ama ») a Pimp. fr. 221 Sn-M. deXMorbSwy piv tw edppalvorow a M. in Macr. Sat. 2, 4, 12). La medesima allusione alle nobili origini etrusche in
Urmcov | riad xd oTEPAVOL, / Tobe dev roduypioors Fadd pos Brord: / ripretar Sì al ric 3, 29, 1 Tyrrhena regum progenies; sat. 1, 6, 1 sgg. non quia Maecenas, Lydorum quid-
er’ oldu’ &Atov / vat d0% (« c'è chi si rallegra degli onori e delle corone conseguite con quid Etruscos | incoluit finis nemo generosior est te, [nec quod avus tibi maternus fuit atque
i cavalli rapidi come il turbine, chi della vita nei talami sfarzosi, chi gode di solcare paternus| olim qui magnis legionibus imperitarent; in Prop, 3, 9, 1 Maecenas eques Etrusco
i flutti del mare su una nave veloce »), da Soton. fr. 13, 43 sgg. W. ad Eur. fr. 659 de sanguine regum. La solennità dell’apostrofe è accentuata dalle voci del registro epico
N°? a Baccurt. 10, 35 sgg. Pasquali pensava ad uno spunto dal passo su riportato di atavus e edite. Atavus, qui probabilmente nel significato generico di ‘antenato ’, in-
Pindaro, che era stato escluso da Wilamowitz, il quale postulava piuttosto un influsso dica propriamente il quinto grado della parentela ascendente, dopo pater, avus, pro-
di Bacchilide; ma è più probabile che su Orazio operasse la suggestione dei molti passi avus, abavus e prima di tritavus (la serie completa nella parodia di PLauT. Pers. 57):
greci dedicati al tema in questione, e non di uno in particolare (Fraenkel). Oltre che cfr. Verc. Aen. 7, 56. L’uso di edite in riferimento alla discendenza presuppone la
a modelli poetici, l’ode rimanda anche ad uno schema filosofico molto diffuso almeno rara accezione di edere nel senso di ‘generare’ (cfr. Vero, Aen. 8, 136 se.): doppia-
a partire da Platone e da Aristotele, divenuto topico nel pensiero ellenistico, quello mente inconsueto perché adoperato in relazione agli antenati e non ai genitori, esso
dei diversi generi di vita (flor): esso è presente nel componimento, sia pur non nella vale a rendere efficacemente l’idea della vicinanza fra Mecenate e i reges.
forma rigidamente schematica voluta da Wilamowitz, il quale ritrovava in 1, 1, come
già in Bacchyl. 10, 35 sgg., la quadripartizione dei flor in praAécogog (« dedito alla cono- v. 2 praesidium proviene dal linguaggio militare (cfr. Varr. ling. 5,90) ed è ter-
mine usato per indicare l’aiuto del patronus al cliens (SALL. Iug. 14, 18; 35, 4} CAES.
scenza »), gWéruoc (« dedito alla ricerca degli onori e della gloria »), puioypiuaro
(« dedito all’accumulo di ricchezze »)
Gall. 7, 10, 1; Cic. Att. 2, 1, 16), specialmente sotto forma di assistenza legale (Cic.
e gunhdovog (« dedito ai piaceri »). La rifles-
Cacecil. 2, 15; Verr. 2, 2, 118), ma anche l’aiuto del cliens al patronus (SaLr. lug. 85, 4).
sione sui generi di vita potrebbe derivare ad Orazio dalla letteratura protreptica,
Nella sfera politica designa l’appoggio fornito da un uomo o da un partito in cam-
forse da un protreptico di Epicuro (La Penna), tanto più che la sede proemiale è la
pagna elettorale (Cic. Rab. Post. 47; Phil. 5, 7) e, nel campo delle relazioni familiari,
più idonea ad accogliere lo svolgimento di motivi di tal genere. In ogni caso, Orazio
il sostegno offerto dal padre di famiglia (Lucr. 3, 897 sg. non poteris factis florentibus
avrà avuto presente anche il dibattito, proprio della cultura a lui contemporanea, sul
esse tuisque | praesidium). In unione con decus, ad indicare protezione e prestigio in-
rapporto fra vita attiva e vita contemplativa e, in particolare, la trattazione del tema
sieme, diventa un nesso formulare: Lucr. 2, 643 praesidioque parent decori parentibus
della scelta della vita in Lucrezio (cfr. specialmente 2, 1 sgg.) e in Virgilio (cfr. georg.
esse; SaLL. lug. 19, 1. Piuttosto che parola ‘impoetica ’, praesidium è termine tecnico
2, 458 sgg.). Caro ad Orazio, che lo affronta anche in sat. 1, 1 e in epist. 1, 1, il tema
adatto ad esprimere l’ufficialità (accentuata dalla solennità del vocativo con 0) di un
della scelta della vita si risolve qui in una affermazione del valore di una scelta, quella
rapporto che è anche amichevole (l’aspetto affettivo è sottolineato dal nesso allitte-
della poesia, che si definisce ulteriormente in un programma poetico, secondo la rante dulce decus). Una wvariatio di questa espressione in 2, 17,3 sg. Maecenas, mea-
tradizione callimachea del proemio apologetico. rum / grande decus columenque rerum. Decus è riferito a Mecenate anche in Vera. georg.
Con sat. 1, 1 ed epist. 1, 1 quest’ode ha in comune anche il destinatario: l’amico 2,40 sg.; Prop. 2, 1, 74.
e protettore Mecenate era un dedicatario d’obbligo per la raccolta, ma qui la sua
presenza non incide sullo svolgimento poetico, non va oltre i limiti di un ‘posto v. 3 curriculo: ablativo strumentale (“con il cocchio da corsa ”); secondo altri,
d’onore ’. determinazione locale (“ nell’ippodromo ”; in tal caso, Olympicum sarebbe una enal-
lage); secondo altri ancora, forma avverbiale equivalente a cursim, propria della
Metro: asclepiadeo minore. lingua dei comici (Praur. Rud. 798; 855; Ter. Haut. 733).
462 Orazio Odi I 1, 4-8 463

pulverem Olympicum: le gare olimpiche si svolgevano nell’Elide (Peloponneso) nobilis con significato attivo (‘che dà gloria’). Termine particolarmente significa-
ogni quattro anni, ma al tempo di Orazio non si tenevano quasi mai (non se ne ha tivo, che presuppone la concezione greca della vittoria sportiva come apportatrice
notizia dal 72 a.C. al 17 d.C.). Da ciò alcuni interpreti hanno dedotto che Olympicum di onore sociale, di gloria e di immortalità (cfr. Cic. Flacc. 12,31 est apud Graecos
sia un epiteto letterario per indicare la polvere non di un campo da corsa, ma di un prope maius et gloriosius quam Romae triumphasse), e quindi la tradizione poetica del-
circo. Ma è probabile che qui agisca su Orazio l’influsso della concezione pindarica l’epinicio.
della vittoria olimpica come conseguimento della gloria suprema; e, in particolare,
v. 6 dominos apposizione di deos (per l’ordine delle parole cfr. 1, 3, 2), come con-
l’attività sportiva era di rito nei cataloghi degli interessi umani (cfr. il frammento di
ferma l’imitazione-interpretazione di Ov. Pont. 1, 36 terrarum dominos quam colis ipse
Pindaro riportato nell’introduzione). Non è necessario tuttavia pensare che l’atleta
deos. Altri intendono come predicativo dell’oggetto (il vincitore olimpico sarebbe
sia intenzionalmente il termine greco della coppia dei rappresentanti del uériuos
assimilato ad uno dei signori della terra), sulla base del confronto con attestazioni
Bfos accanto all’uomo politico romano (così Wilamowitz, il quale riconosceva una
di terrarum dominus in riferimento a mortali divinizzati (per es. Ov. Pont. 2, 8, 26 ter-
articolazione di ciascun genere di vita per coppie di tipi umani, uno greco ed uno
rarum dominum (sc. Augustum) quem sua cura facit): lo stesso esempio ovidiano su
romano): la polvere olimpica vale emblematicamente per ogni attività agonistica. È
riportato confermerebbe tale interpretazione, in quanto allusione ad Augusto. Ma
da respingere anche l’ipotesi di una assimilazione dell’atleta al poeta lirico e della
un valido argomento a favore della prima ipotesi è il fatto che Orazio, come è stato
vittoria olimpica alla gloria poetica (Norberg). In pulverem c'è chi avverte una con-
dimostrato, tende ad evitare la rima fuorché fra parole connesse sintatticamente.
notazione negativa mirante a una svalutazione della vita dell’atleta, a una accentua-
zione dell’aspetto prosaico di essa contro le comuni idealizzazioni; in realtà, l’uso evehit
— deos: concetto pindarico (Pyth. 10, 27; Isthm. 2, 28 sg.); cfr. 4, 2, 17 sg.
metonimico del termine rivela semplicemente il gusto oraziano del particolare. domum reducit | palma caelestes,
v. 4 collegisse: perfetto poetico che esprime il piacere non tanto di fare, ma di aver
v. 7 hunc come illum del v. 9 dipende, secondo la maggior parte degli esegeti, sia
fatto qualcosa; secondo altri, perfetto aoristico. Per l’espressione cfr. sat. 1, 4,31 da iuvat del v. 4 sia da evehit ad deos. Altri pensano che dipenda esclusivamente da
pulvis collectus turbine. iuvat e che evehit rimanga senza un soggetto soddisfacente.
vv. 4-5 meta...evitata: secondo alcuni soggetto di evehit, secondo altri di iuvat, a
mobilium — Quiritium: l’espressione risulta parodica, perché accosta la solennità
cui si collegherebbe strettamente mediante l’enclitica —que. Chi sostiene questa se-
della dizione Quirites; che indica nei Romani i discendenti di Romolo-Quirino, al
conda interpretazione pensa che evitare la meta non sia paragonabile alla gioia della
termine turba, che sta a designare spregiativamente la folla, e alla nozione di volu-
vittoria, che sarebbe l’unico soggetto di evehit. Meta era ciascuna delle due colonne
bilità e leggerezza contenuta in mobilis, aggettivo che si addice alla massa (cfr. epist,
poste alle estremità del muro che traversava il circo, attorno alle quali girava il

di
1, 19,37 ventosae plebis). La vita politica fa parte tradizionalmente dei cataloghi dei
cocchio, compiendo un certo numero di stretti giri (dodici in Grecia secondo Pimp.
Bfo, ma qui l’accento posto sulla volubilità dell’elettorato sottintende l’idea della
OI. 2, 55 etc.). Rappresentava il punto più pericoloso del percorso (in greco, répua

ii misi
vanità delle aspirazioni politiche, e sembra riflettere soprattutto un atteggiamento
o vbicca; cfr. Hom. Il. 23, 309 sgg.).
epicureo: si pensi agli inutili sforzi di colui qui petere a populo fasces saevasque secu-
fervidis...rotis: l’espressione si riferisce alle ruote infuocate per il rapido girare:
res | imbibit in Lucr. 3, 995 sgg.
cfr. anche Vero. Aen, 11, 195 ferventes. . .rotas.
v. 8 tergeminis...honoribus: ablativo strumentale, comunemente interpretato come
v. 5 palma: il simbolo della vittoria nei giochi olimpici era tradizionalmente la corona

|
2 riferimento alle tre cariche che costituivano i gradini principali del cursus honorum:
(Pimp. Nem. 6, 21; Isthm. 28 sg.; cfr. Pausan. 8, 48, 2), che in Olimpia era di ulivo
(Pinp. Ol. 4, 10), altrove di alloro (Delfi), di pino (Istmo), di mirto (Megara), di questura o edilità curule, pretura, consolato. Tergeminus (= trigeminus) equivarrebbe
apio (Nemea). Più tardi, non si sa quando, fu aggiunto, per influsso orientale, il ramo quindi a triplex nel senso di una successione di gradi: cfr. Liv. 6, 7, 4 trigeminae
di palma (cfr. PLuT. quaest. conv. 723 sg.; Vere. georg. 3, 12 Idumaeas ... palmas); victoriae (meno probanti altri paralleli spesso istituiti, come quello con Prop. 4,
tale uso fu accolto nel 293 a.C. dai Romani (Liv. 10, 47, 3 palmaeque tum primum 11, 65 sellam geminasse curulem o Liv. 39, 39, 9 geminati honoris, in cui geminare
translato e Graecia more victoribus datae). Ciò non significa che Orazio pensi ai ludi si riferisce all’iterazione della medesima carica). Ma Porfirione intendeva ‘con
Romani piuttosto che alle gare greche: Olimpia e la palma sono soltanto i simboli ripetuti applausi’, ed alcuni interpreti moderni accettano questa spiegazione, che
della vita dell’atleta. presuppone il triplice applauso come espressione proverbiale di consenso (cfr. 2,
Orazio Odi 1.1, 9-18 465
464

17, 26 ter crepuit sonum; Martiat. 3, 46, 8; anth. Lat. 804, 8 R.). Ma è difficile am- casi nella poesia delle Odi (cfr., in questa stessa, il mare Mirtoo e i flutti Icarii), da
mettere che Orazio usi honos nell'accezione di ‘applauso ’; né è valido l’argomento un lato risponde al gusto alessandrino dell’aggettivazione erudita e, in particolare,
secondo cui tergemini honores, se riferito alle magistrature, indicherebbe la costanza della determinazione geografica, dall’altro rientra in una tendenza dello stile poetico
alluderebbe genericità del discorso poetico attraverso
e non la mutevolezza della folla, mentre nel senso di ‘triplice applauso ’ oraziano, che mira a ottenere la massima
ad un successo effimero, perché i tre gradi della carriera politica sono qui rappre- la massima specificità del linguaggio.
sentati come aspirazione dell’uomo politico. v. 14 Myrtoum...mare: il mare fra il Peloponneso e le Cicladi, secondo la tradi
v. 9 proprio. ..-horreo: ablativo di luogo in forma poetica, senza preposizione. Pro- zione geografica; ma lo stesso nome fu dato al tratto di mare a Sud dell’Eubea, o dal
prius, rafforzativo del possessivo suus, sottolinea l’attaccamento del ricco alla pro- nome della vicina isola di Myrtos, o per legame etimologico con Myrtilos, guidatore
prietà possidente, che sta a rappresentare il piAoyphuatoc Bloc. del cocchio di Enomao, che là era annegato. L’attributo geografico ha la stessa fun-
zione che è stata indicata nella nota al verso precedente: dietro il riferimento speci-
v. 10 quidquid—areis: espressione iperbolica, nella quale i campi dell’Africa del fico bisogna cogliere una generica notazione sui pericoli del mare.
Nord indicano per antonomasia un territorio tradizionalmente produttore di grano,
pavidus: predicativo del soggetto nauta. Artisticamente collocata entro la cornice
come in sat. 2, 3, 87 (pure in un contesto iperbolico). la paura del
delle parole Myrtoum e mare, l’espressione pavidus nauta rappresenta
vv, 11-12 gaudentem-agros: gaudentem dipende da demoveas (per la costruzione contadino inesperto che si avventura in mare. Il contrasto fra la sicurezza della terra
con l'infinito cfr. sat. 1,4, 78). All’agricoltura del latifondo si oppone l’agricoltura e le insidie del mare è tradizionale: cfr., per esempio, Prop. 3, 7, 43 sgg.
di sussistenza: patrios agros suggerisce un contrasto con Libycis areis. La figura del
piccolo agricoltore contento del suo campicello sembra avere dietro di sé la rappre secet: termine poetico per ‘solcare’ il mare: cfr. il precedente omerico di Od. 3,
sentazione positiva del contadino nelle Georgiche virgiliane (si pensi soprattutto al 174 sg. réAoyos réuvew e Vero. Aen. 9, 103.
senex Corycius di 4, 125 sgg.) e, più in generale, la concezione romana dell’agricoltura v. 15 luctantem— Africum: per la costruzione di luctor (luctantem dipende da me-
come unico mestiere che garantisse l’autosufficienza e, quindi, la dignità sociale (cfr. tuens del verso successivo) con il dativo, esemplata su quella di udyoua cfr. 1, 3, 13;
Cic. off. 1, 151). 2, 6,15 sg.; Vero. ecl, 5,8; Aen. 4, 38. L’Africo è il vento di Sud-Est, tradizional-
mente indicato come impetuoso e foriero di tempeste (protervus in epod. 16, 22; cre-
v. 11 findere sarculo: espressione del linguaggio tecnico: findere si dice del fendere
ber procellis in Vere. Aen. 1, 85), ma vale genericamente per qualsiasi vento di tem-
la terra con l’aratro, mentre sarculum è propriamente una zappa con una pala in un
pesta. Il mare Icario è il tratto dell'Egeo fra Samo e Micono (Prin. nat. hist. 4, 51)
angolo, usata in sostituzione dell’aratro su terreni rocciosi (PLIN. nat. hist. 18, 178
per nel quale era precipitato Icaro durante il suo volo da Creta con le ali fabbricate dal
montande gentes sarculis arant). Alla genericità della tipizzazione corrisponde,
padre Dedalo; si trova ricordato già in Hom. Il. 2, 144 sg.
converso, la precisione dei riferimenti attraverso l’uso di espressioni tecniche.
v. 16 mercator metuens: nesso allitterante. A differenza di pavidus del v. 14, me-
v. 12 Attalicis condicionibus cioè a condizioni particolarmente vantaggiose, con
tuens indica la paura momentanea suscitata dalla tempesta. La figura del mercante è
offerte che avrebbe potuto fare solo un Attalo, cioè, per antonomasia, un re molto
tradizionalmente bersaglio di polemica da parte dei poeti e, in generale, della cultura
ricco (Porfirione: regiis opibus). L'espressione, equivalente ad altre, ancor oggi pro-
antica: cfr. 1,31, 11 sgg.; sat. 1, 1, 6; 1, 4, 29 sgg.; epist. 1, 1, 45 sgg.; Tis. 1, 3, 39 sg.
verbiali, sulle ricchezze di Creso o di Mida, introduce un tratto tipicamente romano:
già PLauT. Pers. 339 si riferiva ad Attalo I come simbolo di ricchezza. Anche in vv. 16-17 otium= sui: endiadi con allitterazione in o. Ai negotia del commercio si
Prop. 3, 18, 19 Attalicas.. .vestes e 2, 13, 22 in Attalico toro l’aggettivo è sinonimo contrappone l’otium, aspirazione di tutti i vari affaccendati anche in sat. 1, 1, 29 sgg.
di ‘ ricco, sfarzoso’. Orazio pensa, forse, in particolare, ad Attalo III, l’ultimo re di (in cui è sviluppato il tema diatribico della peuyipoipla, cioè della scontentezza della
Pergamo, che, morendo nel 133 a.C., aveva lasciato in donazione il proprio regno propria sorte). Espressioni come rura oppidi sono attestate in latino, sia pur rara-
ai Romani (cfr. 2, 18, 5 sg. neque Attali / ignotus heres regiam occupavi). mente (cfr. Lucan, 1, 419 rura Nemetis; Sir. 4, 227 tura Casini; 8, 431 rura Numanae);
pertanto si rende non necessario l'emendamento tuta (Acidalius, Bentley).
v. 13 Cypria: le fonti antiche ci informano che l’isola di Cipro era ricca di legname
adatto alla costruzione di navi, e che vi si trovava tutto il materiale occorrente anche vv. 17-18 mox- quassas: l’asindeto sottolinea la rapidità con cui il mercante muta
per arredare una nave (cfr. AmMian. 14, 8, 14). Ma l'epiteto, qui come in molti altri parere non appena la tempesta è cessata. Alcuni interpreti notano l'analogia con EuR.
466 Orazio Odi I 1, 18-29 467

fr. 793 N? paxdpiog Bor sùruydiv olxor uevere / Èv Yyfj dd péproc, xal rddev vavttzdetat. v. 22 ad- sacrae: la fonte è considerata sacra, perché abitata da una ninfa (cfr. Serv.
Ma forse in Orazio il riferimento è più specifico; egli ironizza su una valutazione Aen. 7, 84 nullus enim fons non sacer). Lene è riferito per enallage a caput anziché ad
corrente dei mestieri, canonizzata in Cic. off. 1, 151, nella quale il commercio all’ine aquae.
grosso era in qualche modo compatibile con una vita svolta nell’otium agreste, e
vv. 23-24 lituo — sonitus: lituo è forma brachilogica per litui sonitu. Lo ps.-Acrone
quindi con le ragioni dell’honestum: mercatura autem si...magna et copiosa...non est
spiega che la tuba era diritta, il lituus ricurvo, e che la prima era la tromba della fan-
admodum vituperanda, atque etiam, si satiata quaestu vel contenta potius, ut saepe ex alto
teria, il secondo della cavalleria. Il suono del lituus doveva essere acuto e stridulo
in portum, ex ipso portu se in agros possessionesque contulit, videtur iure optimo posse lau-
(cfr. Enn. ann. 544 Sk. lituus sonitus effudit acutos), quello della tuba cupo e profondo
dari. La rappresentazione ironica che del mercante dà Orazio nega proprio la possi-
(Lucan. 1, 237 stridor lituum clangorque tubarum). La frequenza onomatopeica di t (una
bilità che il commercio sia conciliabile con l’otium.
delle poche in Orazio, che non ama l’allitterazione, tanto meno quella mimetica) è
v. 18 indocilis...pati: per la costruzione dell’aggettivo con l’infinito, comune in comune in contesti epici: cfr. ENN. ann. 451 Sk. at tuba terribili sonitu taratantara
poesia, cfr. 1, 6, 6; 1, 12, 26 sg.; 1, 15, 18 etc. dixit; Vere. Aen. 9, 503 at tuba terribilem sonitum procul aere canoro.
pauperiem: i termini fauperies e paupertas indicano povertà non nel senso di ‘mi- vv. 24-25 bella detestata si riferisce al dolore delle madri che perdono i figli in
seria’, ma di ‘ modesta condizione’ (cfr. la definizione di Sen. epist. 87, 40 non video guerra (matribus è dativo di agente), secondo altri al dolore « delle loro madri », cioè
quid aliud sit paupertas quam parvi possessio); si riferiscono cioè ad una valutazione di quelli che amano la guerra; secondo altri ancora, matres indica le donne in genere.
sociale ancor prima che economica. Per detestata, un esempio di participio di verbo deponente usato in senso passivo,
v. 19 est qui segna l’inizio di un’altra galleria di personaggi e di un'altra unità strut- cfr. modulate in 1,32, 5; abominatus in epod. 16, 8; venerata in sat. 2, 2, 124.
turalmente rilevante del carme, Il singolare costituisce una variatio rispetto al prece-
v. 25 manet con il significato di ‘ pernottare’, come in sat. 1, 5, 37 0, secondo una
dente sunt quos e, secondo alcuni interpreti, anche un’allusione alla rarità del genere altra interpretazione, con un riferimento alla continuità dell’azione del cacciatore
di vita descritto immediatamente dopo. durante il venatus (CAPPONI, « Maia » 38, 1986, 161 sgg.).
nec Massici dipende da spernit del v. 21, che regge anche l’infinito demere del v.
sub Iove: Giove rappresenta metonimicamente il cielo, come in 1, 22, 20 e in epod.
20, con una costruzione &rò xotvod frequente nella poesia oraziana (cfr. per es. 1, 2,
2, 29; 13,2.
49 sg.). Nec spernit è una litote. Il Massico è un vino pregiato della Campania, che
Orazio ricorda spesso (cfr. 2, 7, 21; 3, 21, 5; 4, 12, 17; sat. 2, 4,51). v. 26 tenerae —P immemor: l’incompatibilità fra l’attività venatoria e l’amore era mo-
tivo topico: cfr. epod. 2,37 sg.; Prop. 2, 19, 17 sg.; Ov. rem. 199 sg.
v. 20 partem—die: la locuzione solidus dies indica la giornata lavorativa intera, il
complesso delle ore dedicate ai negotia, dal mattino fino alla decima hora (cfr. SEN. v. 28 teretis...plagas: plaga era la rete adoperata per chiudere le aperture fra i
epist. 83,3 hodiernus dies solidus est, nemo ex illo quicquam mihi eripuit). Sottrarre una cespugli. Teretis si riferisce non alle reti, ma alle corde con cui queste erano fatte
parte del giorno significa interrompere gli affari per darsi ai piaceri: cfr. anche 2, 7, (ps.--Acrone: de tereti fune ait factas), che saranno state ben attorcigliate, quindi so-
6 sg. saepe diem mero/ fregi. L’espressione riecheggia altre, simili, della lingua del- lide. Tale uso di teres è raro: cfr. Sen. Phaedr. 45b teretes. . .laqueos.
l’uso, come PLauT. Asin. 825 de die potare; Cau. 47, 5 convivia de die facitis.
Marsus: determinazione locale che rivela il gusto oraziano dell’epiteto: altrove il
vv. 21-22 viridi — stratus: la descrizione dell'uomo dedito ai piaceri della vita, che
cinghiale è Laurens (epod. 5, 28) o Lucanus (sat. 2, 8, 6).
ama starsene sdraiato sotto un corbezzolo verdeggiante o presso una sorgente, rinvia
al quadro di Lucr. 2, 29 sgg. cum tamen inter se prostrati in gramine molli, / propter aquae v. 29 me: il pronome di prima persona, in posizione enfatica all’inizio del verso e
rivom, sub ramis arboris altae, | non magnis opibus iucunde corpora curant. È stato osser- rafforzato dall’anafora, segna la conclusione della Priamel (come in 1, 7, 10). Lo stile
vato che l’imitazione di Lucrezio corrisponde in realtà ad un distacco, almeno in que del me, e in generale l’uso del pronome o dell’aggettivo possessivo di prima persona
sta ode, dall’ideale di vita epicureo, cui altrove Orazio mostra di aderire. In questi in posizione di rilievo, è molto comune in Orazio: vi è stata vista, oltre che il cor-
versi, però, l’accento è posto non sulla ricerca di atarassia, come in Lucrezio, ma sul rispettivo stilistico dell’ io’ lirico, l’espressione dell’interiorità, che ha grande valore
godimento materiale. Si noti il duplice parallelismo nec. ..nec, nunc.. nunc. nella sua poesia,
Odi 1 1, 30-35 469
468 . » Orazio .

doctarum...frontium: doctus equivale al greco c0ps, attributo del poeta in Soton. 10 at populus tumido gaudeat Antimacho). La formulazione oraziana che più efficace-
13,51 sg. W.; Pin. OI. 9, 28 sg. (l'epiteto riflette una concezione arcaica del poeta mente scolpisce quest’ultima concezione è nel celebre inizio di 3, 1 (odi profanum
come depositario di ogni conoscenza: cfr. l’onniscienza delle Muse in Hom. Il. 2, vulgus et arceo).
485; Hrs. theog. 38). Ma nell’uso poetico augusteo (cfr. Trs. 1,4, 61 Pieridas, pueri, vv. 32-33 si- Polyhymnia: la formulazione ipotetica introduce una dichiarazione di
doctos et amate poetas) sulla connotazione legata all'aspetto sapienziale della poesia modestia, comune nei contesti proemiali, qui accentuata dalla litote di neque cohibet
prevale il riflesso della concezione alessandrina e neoterica della poesia come doctrina. e nec refugit. Inoltre tale costruzione risulta una variatio rispetto alla tradizionale in-
hederae: uso poetico del plurale per il singolare. Pianta sacra a Bacco, l’edera è co- vocazione alle Muse, ricorrente anche in poesia lirica (cfr. MELEAGR. anth. Pal. 4,
munemente associata alla poesia, soprattutto in età augustea: cfr. Vero. ecl. 7, 28 1, 1; Carutt. 1,9 patrona virgo). Euterpe e Polinnia indicano genericamente le Muse,
pastores hedera crescentem ornate poetam; Prop. 4, 1, 62 mi folia ex hedera porrige, Bac- poiché Orazio non conosce la distinzione fra le prerogative delle nove sorelle: altrove
un termine-chiave Clio (1, 12, 2), Calliope (3, 4, 2), Melpomene (1, 24; 4, 3, 1).
che, tua. Doctarum hederae è un accostamento audace che pone egli invoca
della concezione neoterica della poesia accanto a un elemento di simbologia bac-
v. 34 Lesboum. . .barbiton: il barbitos (o barbiton) era uno strumento a sette corde
chica, rinviando contemporaneamente a un’idea della poesia come labor e come ispi-
uguale alla lira, ma più grande. Nell’aggettivo Lesbous è contenuta un’allusione ai
dell’attività artistica, ars e ingenium, che saranno
razione divina. Le due componenti poeti di Lesbo, Alceo e Saffo, e quindi un’indicazione dei propri modelli poetici che
oggetto di trattazione specifica nell’ars poetica, sono sempre presenti alla coscienza ,
anticipa il verso successivo: prima ancora di dire a quale genere vuole appartenere
poetica di Orazio. Orazio rende omaggio ai maggiori rappresentanti di quel genere. Secondo alcuni
in-

praemia: apposizione di hederae, indica il premio per una scelta di vita piuttosto terpreti, i flauti (v. 32 tibias) e la lira sono qui i simboli della lirica corale, accompa-
che la ricompensa finale per i risultati artistici raggiunti. In 3,30 Orazio chiederà gnata dal flauto, e di quella monodica, accompagnata dalla lira. Secondo altri, Orazio
per sé la corona di alloro: «l'edera è di Bacco che ispira; l’alloro di Febo che pre- si riferisce alla poesia degli epodi, « in cui l'intonazione giambica indicata per mezzo
mia » (Pascoli). delle tibiae si fonde con l’intonazione lirica indicata per mezzo del barbitos » (Ussani).
Ma è più probabile che flauto e lira siano entrambi semplicemente simboli del genere
v. 30 dis superis: molti interpreti vedono in questa espressione un voluto richia- lirico.
mo ad evehit ad deos del v. 6. Ma queste ultime parole indicano proverbialmente il medi, partico-
v. 35 quod si: congiunzione prosastica, adoperata in poesia in generi
raggiungimento della massima felicità, mentre miscent dis superis si riferisce a una reale
grazie all’ispirazione bacchica. larmente nel didascalico.
partecipazione del poeta alla sfera divina,
ma dietro il
gelidum nemus: gelidus nel senso di ‘fresco’, come in 3, 13, 6. Il paesaggio con- me inseres: Orazio chiede a Mecenate di inserirlo fra i poeti lirici;
re il pubblico colto, esperto di poesia greca,
venzionale del bosco delle Muse, il cui archetipo è nel proemio della Teogonia di dedicatario ufficiale bisogna immagina
Esiodo, è comune in poesia augustea: cfr. 3, 4, 6 sgg.; Prop. 3, 1, 1 sg.; Ov. am. 3, cui sono destinate le odi. I sostenitori di una cronologia alta di 1,1 vedono nel
1,1 sgg. Ma il nemus simboleggia anche l’isolamento necessario al poeta per creare futuro inseres la formulazione di una speranza più che il riferimento ad un risultato
(cfr. epist. 2, 2, 77 scriptorum chorus omnis amat nemus et fugit urbes). raggiunto; ma l’espressione rientra in una formula di augurio di successo, e normal-
tale augurio viene espresso quando ci si accinge non a comporre un’opera,
mente
m ninfe e satiri fanno parte del corteggio bacchico (cfr. 2, 1,8
v. 31 Nympharu — chori: ma a pubblicarla (in tal senso, tutto il passo è stato confrontato con Carutt.
19, 1 seg.); ma le danze leggere contribuiscono a rendere il paesaggio dionisiaco, alessandr ino dei nove poeti lirici
sgg.). Orazio ha presente probabilmente il canone
rispetto all’asprezza selvaggia di altre rappresentazioni oraziane (2,19; 3, 25), più (Pindaro, Bacchilide, Saffo, Anacreonte, Stesicoro, Simonide, Ibico, Alceo, Alcmane),
simile ad un locus amoenus.. a noi noto da un epigramma ellenistico anonimo (anth. Pal. 9, 184). Lyricus è qui
volta in latino; Cicerone scriveva ancora eorum poetarum, qui
v. 32 secernunt populo: altra espressione-chiave della concezione oraziana della attestato per la prima
poesia, nella quale convergono il concetto diffuso dell'isolamento materiale richiesto 2upixot a Graecis nominantur (orat. 183). L'accostamento del termine, che designa un
al poeta (cfr. ars 298; Ov. trist. 1, 1, 41), teorizzato in QuinT. inst. 10,3, 22; Tac. genere poetico greco, ad una parola di tradizione latina, carica di sacralità nazionale,
dial. 9, 6, e il rifiuto aristocratico dei gusti del popolo, proprio della poesia alessan- come vates (cfr. Enn. ann. 207 Sk.) crea uno degli audaci nessi attraverso cui Orazio
drina e neoterica (cfr. Cat. epigr. 28, 4 Pf. cxyalvio dvia Ti Inubora; CATULL. 95, esprime la propria idea di una unità artistica greca e romana.
470 Orazio Odi I 1, 36 — 2 471

v. 36 subl— imi vertice: espressione proverbiale, tanto in greco quanto. in latino ancora
V'è chi in 1, 2 avverte i segni di una tendenza assolutistica di Ottaviano, non
corrispondente al nostro ‘toccare il cielo con un dito”: cfr. ArRISrAz si ritrova il motivo
vi
NET. 1 ti ridimensionata dalla politica conciliativa con il Senato:
rad TÒ reyopevoy Sh TodTo Edéxer tf xepodfi Vabery roÙ odpavoò; Sappu.
fr. 52 LP. ideologico del pater patriae, che dopo il 27 verrà attenuato, a causa della sua peri-
Yabnv... dpdvo; Ov. Pont. 2, 5, 57 vertice sidera tangas: fast. 1, 210 tetigit summo colosa valenza antirepubblicana (La Penna), ed è ancora sottolineato il legame con
vertice ...deos; met. 7,61 vertice sidera tangam. Il tono ironico, oltre
che dall’uso Cesare (Ottaviano è qui Caesaris ultor), al quale dopo il 27 la propaganda augustea
dell’espressione colloquiale, è sottolineato dall’iperbole contenuta in ferio
(nel s darà minore spazio. Inoltre, se è vero che è presupposta la nascita del culto religioso
di ‘toccare ’) e dall’allitterazione sublimi sidera.
o di Ottaviano, sancito dal senatus consultum del 29 che collocava quello negli axamenta
al pari degli dei (cfr. Cass. Dio. 51, 21, 2), la forma del culto è ancora incerta: dopo
il 27 si affermerà l’idea dell’apoteosi dopo la morte, mentre in quest’ode troviamo
2 l’identificazione con Mercurio. Un culto di Ottaviano-Mercurio è tuttavia da esclu-
dere, malgrado la statua raffigurante Hermes dedicata dai rigattieri di Cos ad Augusto
i Priiss 1882, 39 sgg.; Wiramowrrz, Glaube der Hellenen II, 429; R. REITZENSTEIN da un rilievo di un altare
(cfr. La Penna, Scott) e la testimonianza tarda costituita
Poimandres, Leipzig 1904, 175 sgg.; PasquaLi, 182 sg.; K. Scort, «Hermes» 63, del Museo Civico di Bologna, che secondo qualcuno rappresenterebbe il dio sotto
1928, 15 sgg.; In., «Rém. Mitt. » 50, 1935, 225 sgg.; J. ELMoRE, « Class. Philol > le sembianze del princeps (Brendel). Improbabile è anche un'origine egiziana di tale
26, 1931, 258 sgg.; O. BrenpeL, «Rém. Mitt. » 50, 1935, 231 sge.; K. BARWICK identificazione (Reitzenstein, Norberg), o un suo legame con tradizioni ermetiche o
« Philologus » 90, 1935, 257 sge.: Tu. ZIELINSKI, « Ant. class. » 8, 1939,
171 sgg.; D. messianiche (Zielinski, Bickerman); tuttavia essa non è nemmeno una fantasia lette-
NorgeRG, « Eranos » 44, 1946, 398 sgg.; C. GALLAVOTTI, « Par.
pass. » 4, 1949 217 raria, come vorrebbero Wilamowitz e Fraenkel. Mercurio svolge qui il suo ruolo di
sgg.; FRAENKEL, 242 sgg.; CommacER, 175 sgg.; In., « Amer. Journ.
Philol. » 80 1959 divinità del commercio e della prosperità, e quindi della pace; egli incarna cioè quelle
37 sgg.; E.J. BIcKERMAN, « Par. pass. » 16, 1961, 5 sgg.; L.A. MacKay, 1, 2, quando
« Amer. Tour. che sono le aspirazioni più diffuse nel momento in cui Orazio compone
Philol. » 83, 1962, 168 sge.: LA PENNA 1963, 81 sge.; H. WomBLE, « Amer Journ. il ricordo delle guerre civili è ancora vivo. L’ode è costruita sul contrasto fra la
Philol. » 91, 1970, 1 sgg.; F. Carrns, « Eranos » 69, 1971, 68 sgg. i i i disperazione legata alle guerre civili e la speranza legata alla figura del salvatore, del
capo carismatico, che raccoglie le attese della comunità, a nome della quale parla Ora-
Ritenuta comunemente una delle odi più antiche, è stata collocata addirittu
ra zio. È questo il suo significato, piuttosto che quello di una conversione al cesarismo
nel 36 a.C. (Pliiss), ma i più propendono a porla successivamente ad Azio
(31 a.C.) (un peccavi del poeta tanto a lungo filorepubblicano), o quello di un ammonimento
Secondo alcuni (Elmore, Norberg), essa fu composta nell’inverno del 30-29
a.C | volto a trattenere Ottaviano da vendette che avrebbero riaperto la guerra civile (Com-
mentre Ottaviano era in Oriente: si spiegherebbe così l’influsso di culti orientali
che mager).
è possibile cogliervi. Secondo altri (Gallavotti, MacKay, con qualche riserva Nisbet- Modello principale dell’ode è il finale del libro I delle Georgiche, oggetto di una
Hubbard), l'inondazione del Tevere — una delle tante — cui si accenna cfr. note di commento), ma
nei versi vera e propria citazione (Barwick, Gallavotti, Fraenkel;
iniziali sarebbe quella del 27 a.C., della quale abbiamo notizia da Cass.
Dio. 53, 20 il debito nei confronti di Virgilio è così grande da aver generato equivoci già nella
1: l’ode andrebbe collocata nello stesso periodo di tale inondazione, nei giorni
attorno critica antica: nei prodigi descritti nella prima strofe Porfirione scorgeva lo stesso
alle sedute del Senato (13 e 16 gennaio) che sancirono il nuovo assetto a v. 13 sgg.).
costituzio- riferimento alla morte di Cesare che si trova nel modello (cfr. nota
nale, risentirebbe del clima di incertezza provocato, in quel periodo, dalla finta deci- Meno sicura è la dipendenza da carmi ellenistici in onore di sovrani (Pasquali,
sione, annunciata da Ottaviano, di ritirarsi dalla politica, ed esprimerebbe
fiducia e Nisbet-Hubbard); mentre è rilevante la serie di rinvii agli epodi, in particolare al
augurio misti a timore. Ma inondazioni del Tevere erano frequenti, e
non è neces: VII e al XVI (Fraenkel).
sario pensare a quella del 27; inoltre, il riferimento ad un omen sfavorevole (ciò vuol dire che Orazio
non sem: Collocata in un posto d’onore, subito dopo il proemio
bra il più adatto a una celebrazione della nuova costituzione, Maggiori probabili
tà la considerava la più laudativa nei confronti di Ottaviano) e prima di 1, 3, dedicata
avrebbe piuttosto il 29, con possibilità di scendere tutt'al più al 28: posterior
e alla a Virgilio (ma essa è già un elogio implicito del grande poeta contemporaneo), l’ode
ipotetica pubblicazione del libro I delle Georgiche, e quindi successiva non
solo ad non ha destinatario: Orazio parla a nome della comunità, della sua generazione (nos),
Azio, ma anche al trionfo di Ottaviano nel 29, l’ode sembrerebbe riflettere
una situa: anche se c'è chi ha visto nel componimento un peana pronunciato da un coro
zione costituzionale ancora incerta: siamo lontani dalla res publica restituta del 27. (Cairns).
Odi I 2, 1-9 473
472 Orazio

vi 3 sacras...arces: l’espressione indica il Campidoglio, e il plurale, più che come


Nell’ode si individuano due blocchi contrapposti: il ricordo delle guerre civili
nei vv. 1-24, la speranza nei vv. 30b-52, con i vv. 25-30a che collegano le due parti forma poetica (cfr. 2, 6, 22; epod. 7, 6), si spiega con il fatto che il singolare arx era
mentre il riferimento
principali. la denominazione comune della rocca settentrionale del colle,
Giove Capitolino. Era
è qui alla cima meridionale, sulla quale sorgeva il tempio di
a lui dedicati
Metro: strofe saffica.
un segno di grande ira la distruzione, da parte di Giove, dei templi
sgg. Biichn. nam pater altitonan s stellanti nixus
(cfr. Cic. div. 1, 19 = carm. fr. 6, 36
v. 1 iam satis: l’incibit consiste in una citazione virgiliana, che segnala immediata- | et Capitoli nis iniecit sedibus ignis;
Olympo / ibse suos quondam tumulos ac templa petivit
mente al lettore il rapporto di aemulatio con il finale del libro I delle Georgiche: cfr. ipse suos lucos iaculatur et
e l'imitazione del passo oraziano in Ov. am. 3, 3, 35 Iuppiter
georg. 1, 501 sg. satis iam pridem sanguine nostro | Laomedonteae luimus periuria Troiae. 6, 417 sgg.) vedeva
arces), mentre lo scetticismo irreligioso di Lucrezio (2, 1101 sg.;
lam satis (o satis iam) è espressione colloquiale che indica stanchezza e insofferenza, gine non divina di
nella distruzione dei templi colpiti dal fulmine una prova dell'ori
corrispondente al greco &t e ad esclamazioni delle lingue moderne come « basta! »,
questo.
« assez! », « enough of it! »; in Virgilio e in Orazio essa, inserita in un contesto sti-
a quella successiva
listico elevato, si arricchisce di una sfumatura di disgusto e di ansia. vv. 4-5 terruit gentis: l’anafora di terruit lega la prima strofe
o. Urbs è, per anto-
terris: si noti la frequenza di r nei primi cinque versi. La ripetizione del suono aspro e crea un effetto stilistico, rendendo il ritmo poetico più concitat
nomasia, Roma, mentre gentis indica qui l'umanità intera, come in 1, 3, 28; 2, 13, 20.
della cosiddetta littera canina è un mezzo stilistico comune nella poesia oraziana (cfr.,
per es., 1, 3, 36; 2, 1, 36; 2, 14, 13 seg.; 4, 7, 14); in questo caso, essa mira a ripro- temere che fosse
vv. 5-6 ne questae: le manifestazioni dell’ira divina lasciavano
durre il fragore e la violenza della tempesta. È più difficile stabilire se l’omeoteleuto di distruggere
sopraggiunta un’epoca uguale a quella in cui Giove, avendo deciso
in —is nei primi due versi sia intenzionalmente adoperato, come vorrebbe qualcuno, to un diluvio. In tale occasione
la generazione dell’età del bronzo, aveva provoca
per imitare il fischio del vento nella tempesta. un’arca che Deucali one aveva
si salvarono soltanto Deucalione e Pirra, rifugiatisi in
di Prometeo. Il mito è narrato da Ovidio in met. 1, 253
vv. 1-2 nivis — grandinis: la costruzione di satis con il partitivo corrisponde a quella costruito su suggerimento
l’espressione ora-
di &Xxc (cfr. Ter. Phorm. 436 satis iam verborumst). Dirae, grammaticalmente legato sgg. (cfr. in particolare, nei vv. 291 sgg., i prodigi cui si riferisce
senso di ‘ genera»
soltanto a grandinis, si riferisce concettualmente anche a nivis, ed è vocabolo parti- ziana nova monstra) e da AporLon. 1, 7, 2. L'uso di saeculum nel
forse indicare l’avvice ndarsi ciclico
colarmente adatto ad esprimere l’idea del cattivo augurio e della maledizione divina: zione’, al posto del più appropriato detas, vuol
una etimologia diffusa, a noi nota da Paut. Fesr. 61, 1 L., faceva infatti derivare l’ag- delle età del mondo (cfr. Vere. ecl. 4, 5 sg. magnus ab integro saeclorum nascitur ordo,/
teoria del magnus
gettivo dall’espressione dei ira. In riferimento a un prodigio sinistro, esso era adope- iam redit et Virgo, redeunt Saturnia regna). Orazio ha forse presente la
o, come nel
rato già da Virgilio nel finale del libro I delle Georgiche, che Orazio ha avuto costan- annus, secondo la quale ogni ciclo finiva a causa © di una conflagrazione
. meteor. 352 a 28 seg.;
temente davanti a sé nel comporre quest’ode: georg. 1, 488 nec diri totiens arsere caso di Deucalione, di un diluvio (cfr. PLaT. Tim. 22c; ARISTOT
una interpreta-
cometae. CHÙrysipp. SVF 2, 186, 25; Cic. rep. 6, 23; SEN. nat. 3, 27). Secondo
per alludere a una

UU
zione, il mito di Deucalione e Pirra sarebbe richiamato da Orazio
archetipo
v. 2 pater cioè Iuppiter, come già nel passo delle Georgiche (1, 328) che è qui rie- situazione di colpevolezza di una intera generazione, che si porrebbe come
cheggiato (cfr. la nota successiva). della situazione vissuta da Roma durante le guerre civili (Commager).

vv. 2-3 rubente dextera: la mano è detta rosseggiante perché resa tale dalla fiamma vv. 7-8 omne montis: secondo una variante mitografica attestata da Serv. ecl.
del fulmine, con una immagine audace sottolineata dall’enjambement, suggerita da 6, 41 Proteo, dio marino custode del gregge di foche di Poseidone (cfr. Hom. Od.
Vero. georg. 1, 328 sg. ibse pater media nimborum in nocte corusca | fulmina molitur dextra. 4, 411 sgg.; Vero. georg. 4, 393 sg.), al tempo del grande diluvio condusse il suo
Variazione di corusca dextra, l’espressione oraziana costituisce nello stesso tempo una gregge fin sul monte Athos. Per l’infinito finale visere cfr. 1, 26, 3; epod. 11, 4.
corretta interpretazione del testo virgiliano, nel quale corusca è da intendere come
larmente ado-
epiteto di dextra, secondo una lettura confermata da Sen. Phaedr. 156 vibrans corusca v. 9 piscium-— genus: l’anastrofe di et è un’eleganza neoterica, partico
cfr. Lucr.
fulmen Aetnaeum manu e da Prup. perist. 4,9 Deus dextram quatiens coruscam, malgrado perata dagli elegiaci e da Virgilio. Per genus riferito a una specie animale
1, 162 squamigerum genus; Vero. georg. 3, 243 genus aequore um.
il commento di Servio ad I., che riferisce corusca a fulmina.
474 Orazio Odi I 2, 9-18 475

vv. 9-12 haesit » dammae: l’immagine delle colombe (ma secondo alcuni interpreti perché vidimus (se escludiamo che si tratti di un espediente retorico) risulta più
columbis indica i colombi selvatici, più propriamente denominati palumbes) che si efficace se le fasi dell’inondazione sono state osservate, non semplicemente intuite.
impigliano nei rami degli olmi (ulmo è singolare poetico) e dei caprioli che nuotano im- C'è anche chi pensa che Orazio abbia voluto far pensare alla violenza dello strari-
pauriti nel mare riversatosi sulla terra appartiene al repertorio topico degli adynata, pamento senza curare i dettagli topografici (Commager).
delle descrizioni cioè di fenomeni impossibili che si verificano in coincidenza con
profondi sconvolgimenti dell'ordine naturale delle cose. Gli adynata vengono di solito vv, 15-16 monumenta = Vestae ovvero la reggia di Numa e il tempio di Vesta
presentati come ipotesi irrealizzabili (cfr. ArcHmoca. 122, 7 sgg. W.; Vero. ecl. 1, (monumenta e templa sono plurali poetici), che sorgevano presso il foro, all’inizio
59 sg.); qui invece si riferiscono ad avvenimenti realmente accaduti, a sottolineare della Via Sacra, e la cui costruzione era attribuita a Numa Pompilio (cfr. Ov. fast.
l'assurdità di quanto è successo. Nella stessa maniera l’adynaton è adoperato in Ov, 6, 259 sgg.). La reggia era la residenza del pontefice massimo, mentre nel tempio di
met. 1, 299 sgg., pure a proposito del diluvio dei tempi di Pirra: non è necessario Vesta era custodito il fuoco sacro,
però postulare un modello ellenistico comune a Orazio e a Ovidio (Nisbet-Hubbard).
vv. 17-20 Iiae — amnis: si immagina che il Tevere straripi per punire i Romani, mo-
v. 11 superiecto: Porfirione glossa super terras iacto: non è necessario sottintendere strando un eccesso di compiacenza nei confronti della sua sposa Ilia, cioè Rea Silvia,
un oggetto specifico, come ulmos (Kiessling-Heinze) o se (Lambinus). madre di Romolo e Remo, addolorata per l’uccisione del proprio discendente Giulio
Cesare. Orazio segue una tradizione mitografica diversa, o forse introduce lui stesso
pavidae: la paura è tradizionalmente attribuita ai caprioli (cfr. Vere. ecl. 8, 28
una variante, rispetto alla tradizione che voleva Ilia sposa dell'Aniene, accettata da
timidi. ..dammae), ma in questo contesto pavidae non è, come vorrebbero alcuni,
Nevio e da Ennio (cfr. il commento a questo passo di Porfirione e dello ps.-Acrone,
epiteto puramente esornativo.
e inoltre Serv. Aen. 1, 273) e da Ov. am. 3, 6, 45 sgg.
vv. 13-16 vidimus — Vestae: continua la trama delle allusioni al finale del libro I
vv. 17-18 nimium-— ultorem: nimium può essere un avverbio unita a querenti, a indicare
delle Georgiche. Vidimus all’inizio della strofe, in particolare, ci avverte che Orazio ha
presente la descrizione virgiliana dei prodigia seguiti all'uccisione di Cesare: quotiens l’eccesso del lamento di Ilia; è difficile però spiegare il motivo di tale eccessivo lamento.
Cyclopum effervere in agros| vidimus undantem ruptis fornacibus Aetnam, / flammarumque Secondo Porfirione, seguito da alcuni interpreti moderni, Ilia piange l’assassinio
globos liquefactaque volvere saxa (georg. 1, 471 sgg.). Ma l’evidenza del rinvio al di Giulio Cesare, suo discendente; ma sarebbe irriguardoso, da parte di Orazio, rivol
modello virgiliano ha fuorviato la critica ‘antica (Porfirione) e moderna (Barwick), gersi al vendicatore ed erede di Cesare dicendo che la morte di quest’ultimo era stata
inducendola a vedere nella strofe in esame un riferimento ai medesimi eventi descritti eccessivamente pianta. Inoltre questa spiegazione implicherebbe che l’inondazione del
nelle Georgiche. In realtà, nonostante le suggestioni virgiliane e il consapevole rap- Tevere descritta nella strofe precedente fosse avvenuta in coincidenza con la morte
di Cesare; ma ciò è smentito, fra l’altro, anche da Vere. georg. 1, 481 sgg. (alla morte
porto di aemulatio istituito con il modello, questa parte dell’ode ha uno sviluppo
a
autonomo; Orazio non descrive prodigi ragà glow,
ventosi (Fraenkel).
ma eventi naturali, sia pur spa-
2 di Cesare seguì lo straripamento dell’Eridano, non del Tevere). Secondo altri, Ilia,
in quanto Vestale, lamenta l’uccisione di Cesare che, come pontefice massimo, era
sotto la protezione delle sacerdotesse di Vesta (cfr. Ov. fast. 3, 699 sg.); ma, se così
v. 13 flavum: epiteto usuale del Tevere, dovuto al colore del fango che dopo le piogge E fosse, perché Ilia provocherebbe la distruzione del tempio di Vesta? Pure insoddisfa-
ne intorbida le acque (cfr. 1, 8,8; 2,3, 18; Verc. Aen. 7,31 multa flavus harena). 3
cente è la proposta esegetica di chi pensa che Ilia si lamenti perché, avendo infranto
vv. 13-14 retortis — undis: l’espressione si riferisce al Tevere in piena, che, ritraendo ì il suo voto di Vestale, è stata gettata nel Tevere, e che spinga quest’ultimo a vendi
carla inondando il tempio di Vesta. D'altra parte, la spiegazione di nimium come agget-
le onde dalla riva destra occidentale, dalla parte dell’Etruria (ovvero ‘etrusca per
parte del percorso ’), che è più alta e scoscesa, straripa dalla riva sinistra, più bassa
a tivo riferito a ultorem lascerebbe irrisolto il problema di cosa sia ciò di cui il Tevere
e pianeggiante, lungo la quale sorgeva quasi tutta la città. Litus è qui da intendere
dunque come ‘riva del fiume’ (cfr. Vero. Aen. 8, 83). Alcuni esegeti seguono invece
== è un vendicatore eccessivo. Probabilmente, la suggestione del passo virgiliano
morte di Cesare, inserita in un contesto che si riferisce a fatti più recenti, ha provo-
sulla

lo scolio di Porfirione, che spiega litus Etruscum come equivalente a mare Tyrrhenum
(come in epod, 16, 40; carm. saec. 37 sg.); in tal caso retortis avrebbe il significato di
3 cato qualche forzatura. Nimium, sia che si ritenga legato a querenti sia ad ultorem, è
una parola—chiave, che esprime, in generale, la condanna oraziana di ogni eccesso di
‘ tornate indietro ’ (dalla foce). Ma la prima interpretazione è più convincente, anche vendetta più che la specifica punizione di una singola colpa.
476 Orazio Odi I 2, 19-33 471

vv. 19-20 uxorius: la parola è divisa fra il terzo endecasillabo della strofe saffica e vv. 26-28 prece Vestam: le vergini Vestali avevano, fra l’altro, il compito di pre-
l’adonio, come in 1, 25, 11 sg. (inter/lunia) e in 2, 16, 7 sg. (ve/nale). Tale caratteri gare per la salvezza pubblica nei momenti di pericolo (cfr. Cic. Font. 48; dom. 144;
stica metrica si trova in Saffo, non in Alceo (cfr. Pace, Sappho and Alcaeus, Oxford Ov. fast. 4, 828). Fatigent indica l’insistenza delle preghiere (cfr. Lucr. 4, 1239 nequi-
1955, 318). Per il termine cfr. Vero, Aen. 4, 266 sg. La riduzione dello straripamento quam divum numen sortisque fatigant), alle quali tuttavia la dea rimane sorda (minus
del Tevere a vicenda familiare rappresenta un tocco di imborghesimento alessandrino. è equivalente idiomatico di non, come in epod. 5, 61).

v. 29 partis
— expiandi: lo ps.--Acrone e molti critici moderni riferiscono scelus alla
v. 21 audiet rafforzato dall’anafora nel v. 23, introduce una nuova sezione dell’ode,
il cui legame con ciò che precede non è del tutto chiaro. Alcuni colgono una con- uccisione di Cesare. Ma abbiamo già visto che al centro di quest’ode non è un sin-
nessione con love non probante del v. 19 (« poiché Giove non ha voluto la distruzione golo episodio, ma tutta quanta la travagliata vicenda delle guerre civili; protagonista è
di Roma, le generazioni future udranno »); ma si tratta di un legame artificioso. È
un'intera generazione con le sue colpe e le punizioni ricevute. Partes, nell'accezione pro-
veniente dal lessico teatrale, indica il ruolo, il compito di chi dovrà espiare il delitto.
preferibile pensare che qui continui la descrizione dei terribili eventi passati, ma con
un mutamento di prospettiva: il passato è guardato ora dal punto di vista di chi ne v. 30 tandem venias: comincia, con tandem in posizione iniziale che conferisce en-
sentirà raccontare. Lo stesso passaggio dal passato al futuro si trova nel modello im- fasi patetica, la serie di invocazioni (Reihengebet) che culminerà nell’apostrofe a Otta-
mediato di Orazio: cfr. Vero. georg. 1, 492 sgg. (scilicet et tempus veniet cum finibus viano, e che riprende movenze dello Spvoc xAntwxds: si veda per esempio, in venias,
illis / agricola incurvo terram molitus aratro | exesa inveniet...). La generazione precedente l'invito alla divinità affinché sia presente, tipico delle preghiere (cfr. SAppa. 1, 5 L.-P.
si è limitata a subire gli effetti delle guerre civili; ma quella successiva raggiungerà IA TI DI).
la consapevolezza dell’orrore rappresentato dai cittadini che rivolgono le armi contro
i propri concittadini (cfr. la posizione di rilievo di civis dopo audiet). v. 31 nube —amictus: reminiscenza omerica: cfr. Il. 5, 186 vepéàAn cidvpévog diuovs;
15, 308 siuévoc diuouv vepéàmy (a proposito di Apollo). Si noti l’audace accostamento
v. 22 graves Persae: sono indicati così i Parti (chiamati Medi nel v. 51). Anche di nube e candentis umeros (accusativo di relazione), che crea un effetto di contrasto
Vero. georg. 4, 290 chiama Persis la regione dei Parti (cfr. inoltre 1, 21, 15; 3,5,4 fra la nebbia della nuvola e lo splendore abbagliante (secondo il significato primario
gravibus...Persis). Nemici tradizionali di Roma, i Parti avevano sconfitto e ucciso di candor) del dio.
Crasso nel 53 a.C. a Carre, fra il 41 e il 39 avevano occupato Siria e Cilicia, nel 36
v. 32 augur Apollo: come quelle alle divinità successive, questa invocazione non
avevano costretto Antonio alla ritirata; essi furono sempre al centro di uno dei mo-
è casuale, ma si riferisce a un legame esistente fra la divinità e la storia di Roma, dalle
tivi più comuni della propaganda augustea, e una guerra contro di loro era data sem-
più remote origini all’età attuale. Apollo era favorevole ai Troiani, antenati di Roma,
pre come imminente. Il concetto secondo cui delle armi impiegate nelle lotte fratri-
e inoltre un culto del dio da parte della gens Iulia è attestato fin dai 431 a.C. (Cn.
cide si farebbe miglior uso contro i nemici esterni è topico nelle invettive contro le
Giulio consacra un tempio ad Apollo: cfr. Liv. 4, 29, 7). Particolarmente legato ad
guerre civili (cfr. 1, 35, 38 sge.; epod. 7, 5 sgg.); classico esempio, a questo proposito,

ù ansia
Apollo era proprio Ottaviano, il quale lasciava credere di discendere da lui e vestiva
il proemio di Lucano (1, 10 sgg.).
come lui (cfr. Suer. Aug. 70; 94, 4; Cass. Dio. 45, 1, 2). Augur, attributo del dio
v. 24 rara iuventus: la generazione successiva sarà poco numerosa a causa dello anche in carm. saec. 61 e in Vero. Aen. 4, 376, si riferisce alla sua prerogativa di for-
spopolamento provocato dalle guerre civili. Vitium indica la colpa generazionale piut- nire responsi oracolari; ma in particolare, data la connessione con la storia di Roma
tosto che, come interpreta qualcuno, la corruzione dei costumi che aveva causato che Orazio sembra voler sottolineare, l’epiteto richiamerà gli auspicî presi da Romolo
una crisi demografica dovuta alla limitazione delle nascite. sul Palatino, e quindi il ruolo di Apollo nella vicenda della fondazione della città.
v. 33 sive...mavis: primo termine di una serie disgiuntiva (cfr. v. 35 sg. sive...

MAMMA
v. 25 quem...divum: nonostante quem deum? di 1, 12, 3, divum è più probabil

ld iaia DL
respicis; v. 41 sg. sive...imitaris), schema sintattico usuale nel Reihengebet (cfr. Nor-
mente genitivo partitivo (cfr. 4, 6, 22 divum pater). Per tale costruzione cfr. PLAUT.
DEN, Aus altrémischen Priesterbiichern, 1939, 130; 148 sg.; FraenKEL, KI. Beitr. 1,
Capt. 863 quoi deorum?; Vero, Aen, 2, 745 quem... hominumque deorum?; 6, 341 quis...
355 sgo.).
deorum?, La serie delle interrogazioni, che si configura come un trikolon segnato dalla
ripetizione con variatio del pronome interrogativo (quem. ..qua...cui), riecheggia mo- Erycina ridens: Venere, progenitrice degli Eneadi (cfr. Lucr. 1, 1 Aeneadum gene-
duli del linguaggio della preghiera. trix) e, quindi, dei Romani e, in particolare, della gens Iulia. Fra i possibili epiteti
478 Orazio Odi I 2, 34-44 479

della dea Orazio sceglie Erycina, probabilmente perché il santuario di Venere sul e in genere di tutte le popolazioni dell’Africa del Nord, era piuttosto la cavalleria
monte Erice in Sicilia era connesso alla leggenda di Enea (a Erice era sepolto Emx, (Stra. 17, 828; bell. Afr. 7,5 sg.). Si è tentato di aggirare l’ostacolo intendendo
fratello di Enea: cfr. Vere. Aen. 5, 22 sg.; cfr. anche Aen. 5, 759 sgg.), e quindi al peditis nel senso di ‘appiedato’ (cioè, cavaliere rimasto a piedi nel corso. della bat-
mito delle origini troiane di Roma. Sul culto di Venere Ericina a Roma cfr. Liv. 23, taglia a causa del ferimento o dell’uccisione del cavallo), ma anche questa interpre-
30, 10; 31, 9; 40, 34. Si noti l'accostamento di un aggettivo che rievoca un mito tazione non convince. Accogliamo pertanto l'emendamento Marsi, che dà un ottimo
romano a un epiteto ricco di suggestioni omeriche: già Porfirione notava infatti che senso: i Marsi, stirpe bellicosissima abitante nelle. montagne degli odierni Abruzzi,
ridens corrisponde a quopuedhg di Il. 3, 424 (cfr. anche hymn. Ven. 49 dd YEdowjozoa fornivano tradizionalmente il nerbo della fanteria romana (cfr. 2, 20, 18; ENN. ann.
qropueting ’Agpodim). 229 Sk.; Vero. georg. 2, 167), e una loro menzione è quanto mai appropriata nel
v. 34 Iocus- Cupido: locus e Cupido fanno parte del corteggio di Venere, che nelle contesto marcatamente romano dell’ode.
testimonianze greche era composto da Eros, Himeros, Pothos e Imeneo. Iocus qui, ado- v. 41 sive...iuvenem: il Reihengebet, la serie di invocazioni costruita sul modello
perato nell’accezione erotica che ha, per esempio, in 1, 33, 12 e in CATULI. 8, 6 (iocosa), degli axamenta dei Salii, culmina con il salvatore della patria, Ottaviano, proprio
è personificato, come in Praur. Bacch. 114 sgg. e nell’epitaffio di Plauto, v. 2 (GELI. come nel finale del libro I delle Georgiche: di patrii, Indigetes, et Romule Vestaque
1, 24,3 = p. 43 Biichn.). Nel raffigurare Iocus e Cupido che volano attorno a Ve mater, | quae Tuscum Tiberim et Romana Palatia servas, | hunc saltem everso iuvenem
nere, Orazio si è ricordato probabilmente di SarPH. fr. 22, 11 sg. L.-P. ce Snyùre succurrere saeclo | ne prohibete (georg. 1, 498 sgg.). L’allusione oraziana a Virgilio è
T6doc. . dupirotatat (= circumvolat), ma l’immagine appare dominata da un gusto ales- scoperta: Ottaviano, chiamato anche qui iuvenis (così forse anche VeRG. ecl. 1, 43),
sandrino, e sembra presupporre un modello figurativo (forse gli amorini dipinti nel compare alla fine di una apostrofe agli dei protettori di Roma.
tempio di Venus Genetrix, come pensano Nisbet-Hubbard?).
vv. 42-43 almae
— Maiae: secondo alcuni, filius è nominativo equivalente a un voca-
vv. 35-36 sive-auctor si rivolge a Marte, progenitore dei Romani in quanto padre
tivo, secondo altri una apposizione al soggetto sottinteso tu (la stessa ambiguità fra
di Romolo e Remo (per questo significato di auctor cfr. anche VerG. Aen, 4, 365).
apposizione e nominativo con funzione di vocativo in Vere. Aen. 8, 77 fluvius regna-
L’invocazione è motivata dal legame fra questa divinità e le origini di Roma, come
tor aquarum; Ov. fast. 4, 731 i, pete, populus). La perifrasi adoperata per indicare Mer-
nel caso di quelle ad Apollo e a Venere. Non convincono sottili interpretazioni, come
curio è carica di sfumature sacrali grazie all’aggettivo almae, che, riferito a Maia, si
quella che vede nelle tre divinità una allusione alle tre battaglie decisive delle guerre
estende a Mercurio e, di riflesso, a Ottaviano, il nuovo pater patriae (alma è l’epiteto
civili (Farsalo, Filippi, Azio), nelle quali esse avrebbero giocato un ruolo determi.
di Venere in Lucr. 1,2, almae quello delle Muse in 3, 4, 42). Mercurio appare qui
nante (Bickerman). Respicis è adoperato nell'accezione originaria di ‘rivolgersi in-
nella funzione prevalente di dio della pace: in Gel. 10, 27, 5 (che dipende da Var-
dietro ’, a designare un concetto ricorrente nella preghiera (cfr. Arsca. Sept. 106 sg.
rone) il caduceo è indicato come simbolo di pace, e Filone ebreo (Leg. ad Gaium
®...datuov, Ent Ede; PrauT. Bacch. 638a deus respicit nos aliquis; Ter. Phorm. 817
100 sgg.) contesta a Caligola la sua pretesa identificazione con Mercurio, poiché que-
di nos respiciunt).
sti è un dio di pace (cfr. anche nota introduttiva).
v. 37 satiate ludo: Marte è tradizionalmente insaziabile: cfr. Hom. Il. 5, 388 &roc
v. 43 patiens vocari: per la costruzione di patior con nominativo e infinito cfr.
moXéuoto; Hes. sc. 346 dxbpyroc aùriig. Ma lo spettacolo delle guerre civili è stato
epist. 1, 16, 30 cum pateris sapiens emendatusque vocari.
troppo lungo: ludo fa pensare ai ludi gladiatori con il loro inutile spargimento di
sangue. L’accenno alla sazietà di Marte è comune nelle preghiere per la pace: cfr. v. 44 Caesaris ultor: quello dell’eredità di Cesare e della vendetta dell’uccisione di
carm. arval. 3 satur tu fere Mars. quest’ultimo è un motivo ideologico centrale nella politica di Ottaviano nei primi
anni. A Filippi egli combatté pro ultione paterna, e in tale occasione promise a Marte
vv. 38-40 quem — hostem: la relativa riprende il v. 34, creando una corrispondenza
Ultore un tempio che fu poi consacrato nel 2 a.C. (cfr. Surr. Aug. 10); nel 27 a.C.,
simmetrica fra il leggiadro corteggio di Venere e il violento quadro di battaglia in
nel discorso con cui dichiarò al Senato di voler rassegnare i suoi poteri, affermò di
cui si riassume ciò che piace a Marte. Per leves nel senso di ‘lisci, levigati’ (riferito
avere desiderato l’imperium solo. per vendicare il padre adottivo (cfr. Cass. Dio. 53,
agli elmi) cfr. 2, 7, 21; 2, 11, 6; 4, 6, 28; Vera. Aen. 7, 626.
4). La vendetta dell’uccisione di Cesare è la prima impresa che Augusto ricorderà nel-
v. 39 Marsi peditis: la lezione trìdita Mauri fa difficoltà, poiché sembra scarsamente l'autobiografia: qui parentem meum interfecerunt, eos in exilium expuli, iudiciis legitimis
verosimile che i Mauri possano apparire in veste di fanti quando la specialità loro, ultus eorum facinus et postea bellum inferentis rei publicae vici bis acie (Mon. Ancyr. 2).

3
480 Orazio
Odi I 2,.45 — 3 481

v. 45 serus— redeas: contrariamente all’interpretazione presupposta da quanti isti- v: 51 neu sinas: è nel linguaggio della preghiera che neu può introdurre anche una
tuiscono un parallelo fra questo verso e passi di altri poeti nei quali è esplicitamente
frase coordinata a una affermativa, oltre che, come è di norma nel latino classico,
affermata l’idea dell’apoteosi (per es., MANIL. 1, 799 sg.), non si tratta di un riferimento quella coordinata a una negativa,
all’apoteosi di Ottaviano. Oggetto dell’invocazione è ancora Mercurio, il quale viene
Medos cioè i Parti: cfr. nota al v. 22.
pregato di tornare in cielo più tardi possibile. Naturalmente, poiché il dio ha preso
le sembianze di Ottaviano, questo è un modo artificioso per augurare lunga vita a
3
quest’ultimo: cfr. anche Ov. met. 15, 868 sgg. Non credo si debba pensare alla
presenza di un topos panegiristico (Nisbet-Hubbard); qui opera ancora la suggestione G.L. Henprickson, «Class. Journ. » 3, 1907-8, 100 sgg.; PasguaLi, 260 sgg.;
del finale del libro I delle Georgiche: iam pridem nobis caeli te regia, Caesar, | invidet L. DELATTE, « Ant. class. » 4; 1935, 309 sgg.; J.P. ELDER, « Amer. Journ. Philol. » 73,
atque hominum queritur curare triumphos (georg. 1, 503 sg.). 1952, 140 sgg.; R. Harper, KI. Schr., Miinchen 1960, 435 sgg.; C.W. LockyERr,
« Class. World » 61, 1967-68, 42 sgg.; CarrNs, 231 sgg.; D.A. Kipp, « Prudentia » 9,
v. 48 ocior aura: l’espressione si riferisce al fatto che Mercurio è un dio alato (cfr.
1977, 97 sgg.; JT.S. CampBELI, « Class. Journ. » 83, 1987, 314 sgo.
v. 42 ales), ma nello stesso tempo fa pensare alla scomparsa di Romolo portato via
dal vento (cfr. Liv. 1, 16, 2), cioè del primo pater patriae (cfr. nota al v. 50). Romolo Destinatario indiretto di quest’ode, formalmente indirizzata alla nave su cui egli
è stato menzionato di sfuggita nel v. 46, all’interno dell’espressione populo Quirini sta per imbarcarsi, è Virgilio. Che si tratti proprio del poeta, e non del medesimo
(Quirino è la divinità sabina assimilata all’eroe fondatore di Roma). personaggio cui è rivolta l’ode 4, 12 (cfr. la relativa introduzione), è dimostrato dalle
espressioni di amicizia che Orazio ha per lui (cfr. v. 8 animae dimidium meae) e,
vv. 49-50 magnos — ames: come Verc. georg. 1, 504 Orazio ricorda i triumphi di soprattutto, dalla collocazione del componimento, dopo l’ode a Mecenate e quella
Ottaviano, il quale nel 29 a.C. aveva celebrato tre trionfi, il Dalmatico, l’Aziaco e
in cui è invocato Ottaviano, in un posto d’onore che si spiega come un omaggio al-
l’Alessandrino (cfr. Surr. Aug. 22). Da ames dipendono sia l’accusativo triumphos
l’amico e al poeta già famoso. :
sia l’infinito dici (cfr. 1, 1, 19). L’anafora di hic conferisce pathos alla preghiera.
La cronologia è difficile da stabilire: l’unico viaggio di Virgilio in Grecia del
quale abbiamo notizia è quello che il poeta fece nel 19 a,C., poco prima di morire.
v. 50 pater. cioè pater patriae, un titolo che Augusto ricevette ufficialmente soltanto
Non è il caso però di pensare che l’ode risalga a una data così bassa, e che sia stata
nel 2 a.C. (cfr. Mon. Anecyr. 35, 1), ma che rinvia a un motivo fondamentale della
inserita dopo la pubblicazione nella raccolta dei primi tre libri (23 a.C.), quando fu ag-
ideologia del principato fin dai primi anni. Pater patriae veniva denominato chi avesse
giunto il quarto, come ritengono alcuni: l’enfasi e lo stile concettoso e arguto inducono
salvato Roma da un pericolo mortale, da Romolo (cfr. ENN. ann. 108 Sk.; Liv. 1,
piuttosto a ritenerla un componimento giovanile (Pasquali). Bisognerà pensare allora
16, 6) a Camillo (cfr. Liv. 5, 49, 7), da Mario (cfr. Cic. Rab. perd. 27) a Cicerone
a un viaggio di Virgilio, non realmente effettuato ma rimasto un progetto, sul quale
(cfr. Id. Pis. 6) a Giulio Cesare (cfr. Suer. Iul. 76, 1, 85). Augusto mostrò resistenze
non abbiamo altre testimonianze, più probabilmente che, come pensano alcuni, al
a ricevere il titolo, forse perché era stato assegnato a Cesare; nonostante sottolineasse viaggio del 19, che sarebbe stato programmato parecchi anni prima.
l'aspetto paternalistico della monarchia contro quello tirannico, esso aveva assunto,
L’ode appartiene al genere del probempticon, cioè del componimento poetico per
dopo Cesare, un senso antirepubblicano che lo rendeva pericoloso. Tuttavia, indi la partenza di qualcuno, molto comune in età ellenistica. In particolare, Orazio sem-
pendentemente dall’ufficialità, il titolo circolava anche prima del 2 a.C. (cfr. Cass. bra aver preso lo spunto da un carme di Callimaco di cui possediamo il fr. 400 Pf.
Dio. 55, 10, 9), e anche il passo oraziano testimonia la diffusione di tale motivo ideo- (d vado, d tò povov geyyog éulv Tò YAuxd TÙG Hbac / dprratac, morì te Zavòc invebuar
logico nella cultura degli anni intorno ai quali fu composta quest’ode. Mupevooxérw, « nave che hai portato via la sola luce, l’unica dolcezza della mia vita,
ti prego per Giove custode del porto »), con il quale 1, 3 ha in comune il fatto
princeps: non si tratta tanto di un riferimento preciso al titolo ufficiale di princeps
di rivolgersi alla nave, il metro asclepiadeo (in Callimaco si tratta dell’asclepiadeo
senatus, che Ottaviano assunse nel 28 a.C., quanto di un rinvio alla tradizione tardo-
maggiore), il riferimento a una divinità protettrice e la dichiarazione di affetto. Ma
repubblicana del princeps civitatis. Il nesso allitterante pater princeps ricorda la formu-
la citazione callimachea è combinata con l’imitazione di un epigramma di Meleagro
larità delle apostrofi ufficiali a Ottaviano-Augusto: cfr. ManIL, 1, 7 tu, Caesar, patriae (anth. Pal. 12, 52: cfr. nota al v. 8), che a sua volta dipende da Callimaco. Anche
princepsque paterque.
il propempticon di Partenio e, soprattutto, il propempticon Pollionis di Cinna (frr. 1-5,
482 . . «Orazio . Odi 1.3, 1-5 483

p. 114 sg. Biichn.) avranno avuto un influsso non trascurabile su Orazio, il quale torna diva» Cypri: Menandro (rhet. gr. 3, 399, 1 Sp.) prescrive che nel propempticon com-
a trattare tale genere di componimento poetico in 3, 27, nonché sui propemptica di posto per un viaggio in mare siano menzionate le divinità marine. Orazio segue dun-
Properzio (1, 8) e di Ovidio (am. 2, 11). que la norma del genere nell’invocare la protezione di Venere, dea marina (Venus
La codificazione di Menandro, retore del III d.C. (rhet. gr. 3, 395 sgg. Sp.) pre marina in 3, 26, 5; 4, 11, 15) in quanto nata dalla spuma del mare e protettrice della
vede, fra gli elementi essenziali del propempticon, lo oyetAtacpss (« invettiva »). Tale navigazione (cfr. PAUSAN. 1, 1, 3 sul culto di Afrodite Euploia a Cnido). Per l’espres
elemento è presente in 1, 3, dove si sviluppa fino a occupare metà dell’ode, nella sione potens Cypri cfr. Pip. fr. 122, 17 Sn.-M. é Kyrpov Sfortowva; hymn. Ven. 292
forma di un’invettiva contro la navigazione e, in generale, contro l’audacia umana, Kiro... pedéovox. Per l’uso di potens, nel senso di domina, con il genitivo in contesti
per la quale Orazio attinge a un vasto repertorio topico non solo letterario (cfr. note religiosi cfr. 1, 5, 15; 1, 6, 10; 3, 25, 14; carm. saec. 1; Vero. Aen. 1, 80.
di commento), ma anche della tradizione diatribica. Non siamo tuttavia di fronte a
un semplice esercizio letterario: il rimpianto dell’età dell’oro e la condanna delle — sidera:
v. 2 fratres i fratelli di Elena sono i Dioscuri, Castore e Polluce, figli di
technai e del progresso permettono di collocare l'atteggiamento di Orazio all’interno Giove e di Leda, protettori dei naviganti, i quali, secondo la tradizione, si manife-
di un dibattito attuale (cfr. nota a v. 11 sg.). Proptio l’attualità del tema affrontato, stano, durante le bufere, sotto forma di due luci che si posano stille antenne delle
e la conseguente preoccupazione di esprimere il proprio punto di vista, hanno por- navi. È questo il fenomeno dei cosiddetti fuochi di Sant’Elmo, s spiegato da SEN. nat.
tato il poeta ad assegnare uno sviluppo forse eccessivo al motivo della condanna del 1, 1, 13 e da Pun. nat. hist. 2, 101. Allusioni poetiche al ruolo dei Dioscuri come
progresso, curando poco il legame con ciò che precede. La struttura risulta pertanto portatori di salvezza nella bufera in Eur. Hel. 1500 sgg.; 1664 sgg.; El. 1241; THEOCR.
poco simmetrica: al propempticon vero e proprio (vv. 1-8) segue lo sviluppo diatri- 22, 8 sgg.; e, in particolare, al fenomeno dei fuochi di Sant'Elmo in Arc. fr. 34 (a),
bico (vv. 9-40), all’interno del quale si distinguono due parti, una sulla navigazione 3 sgg. L.-P. Nella tradizione latina del propempticon quello delle fiammelle dei Dio-
(vv. 9-20) e una sull’audacia umana in genere (vv. 21-40). scuri è un motivo comune a partire da Cinna fr. 2 Biichn. (lucida cum fulgent summi
Il significato dell’ode non è facile da cogliere completamente: la condanna del carchesia mali), da cui dipende, oltre che questo passo oraziano (cfr. lucida), anche
l’empietà degli uomini, che arrivano a rinnovare la mitica sfida dei Giganti al cielo, STAT. silu. 3, 2, una ricca elaborazione di tutti i topoi del propempticon, nonché un’imi-
è senz'altro di centrale importanza, ma non. deve farci dimenticare che l’ode vuol tazione di 1, 3 (cfr. v. 8 sgg. proferte benigna | sidera et antemnae gemino considite cornu, /
essere anche un omaggio al poeta e all'amico. Un omaggio, però, del quale sfuggono Oebalii fratres: vobis pontusque polusque | luceat...). ì
i termini: una risposta amara all’ecloga IV (Harder), un elogio delle Georgiche
(Campbell) o un encomio di Virgilio (Hendrickson, Elder)? Ricordiamo anche che vv. 3-4 ventorum— Iapyga: Eolo, signore dei venti, in Omero taping davéuoy (Od.
una recente interpretazione (Lockyer, Cairns, Kidd) vede nel viaggio del poeta un’al- 10, 21), « ordinatore dei venti», non « padre ». Pater è qui adoperato nel senso di
legoria del poema epico, e quindi in 1, 3 un annuncio implicito dell’Eneide. dominus, per analogia con espressioni, come pater familias, in cui pater esprime la
Metro: asclepiadeo quarto. nozione di potestas: cfr., in sat. 2, 8, 7, cenae pater nel senso di dominus convivii. La
immagine di Eolo che tiene legati i venti è tradizionale: cfr.. Hom. Od. 5, 383 (*wy
v. 1 sic introduce spesso una formula ottativa (cfr. anche 1, 28, 23), almeno a par- dvepuv xateSnoe xélevda); 10, 20 (avéuev xatédyoe xfieuda); Vero. Aen. 1, 52 sgg.
tire da Catutt. 17, 5 (sic tibi bonus. ..pons...fiat) e da Vero. ecl. 9,30; 10, 4: ha (vasto rex Aeolus antro | luctantes ventos tempestatesque sonoras / imperio premit ac vinclis

i baldi ut tI and ARA


valore condizionale («a questo patto »), ed esprime un augurio il cui compimento et carcere frenat). L’augurio che tutti i venti tacciano, tranne quello favorevole alla
è subordinato alla realizzazione del proprio desiderio (in questo caso, l'incolumità di navigazione, diventa dopo Orazio comune nel propempticon: cfr. Ov. am. 2, 11, 41
Virgilio). Orazio vede nella nave una persona, alla cui protezione viene affidata un’al- ipsa reges, Zephyri veniant in lintea soli; STAT. silv. 3, 2, 42 sgg. Iapigeè un vento di
tra persona, e che ha bisogno a sua volta della protezione divina. Non vi è dunque Nord-Ovest (cfr. 3, 27, 19 sg.; Vero. Aen. 8, 709 sg.), favorevole a chi dalla Puglia
nella formulazione dell’augurio l’incongruenza che vi colgono alcuni interpreti, i quali naviga verso la Grecia (cfr. Serv. Aen. 8, 710).
osservano. che quella che è la ricompensa (cioè la buona navigazione) è in realtà il
presupposto per il compimento del desiderio, il quale è posto invece come condi. v; 5 creditum: l’imitazione-interpretazione di STAT. silv. 3, 2, 5 sg. (grande tuo rarum-
zione. Si noti la ripresa anaforica di sic nel v. 2: l'ode rivela un gusto dell’anafora que damus, Neptune, profundo | depositum) conferma che l’espressione che Orazio ado-
(cfr. v. 18 sg. qui.. .qui; v. 25 sgg. audax.. .audax) che è indice di una ricerca di effetti pera per designare il prezioso carico affidato alla nave è una metafora tratta dal line
propria, forse, di uno stile ancora immaturo (Pasquali). guaggio della giurisprudenza, con cui si allude al negozio giuridico del depositum.
Odi I 3, 6-17 485
484 Orazio

approfonditi in
v. 6 finibus Atticis: Porfirione si dichiara incerto se concordare questo dativo con Orazio, al centro di discussioni e di polemiche, non possono essere
della navigazione,
debes o con reddas. Fra gli interpreti moderni, alcuni pensano. a una costruzione &rò questa sede: basterà accennare che l'atteggiamento nei confronti
risente dell’att eggiamen to contraddittorio
xotvod, altri fanno dipendere finibus Atticis da reddas, sottintendendo mihi dopo debes, che è quasi sempre legata al commercio,
scambio. L'ipotesi che il poeta
altri legano l’espressione a debes e sottintendono nobis dopo reddas. C’è infine chi della cultura romana nei confronti dell'economia di
« St. ital. filol.
interpreta finibus Atticis come un ablativo di luogo. Probabilmente, debes è adoperato prenda posizione all’interno di un dibattito attuale (cfr. TANDOI,
semplice remi-
nel senso di ‘ esser debitore ’ e finibus Atticis dipende da reddas, sull'esempio di espres- class. » 36, 1964, 154 sgg.) è molto più probabile che quella di una
che sarebbe
sioni, come reddere pecuniam alicui, che indicano lo scioglimento di un debito: la so- niscenza letteraria, di una presunta imitazione di un’invettiva callimachea
sg. ‘(pereat quicumqu e rates et vela paravit ]
vrapposizione del linguaggio giuridico ha forse creato l’apparente difficoltà sintattica. anche la presunta fonte di Prop. 1, 17, 13
primus et invito gurgite fecit iter) e di Ov. am. 2, 11, 1 sg. (prima malas docuit miranti-
bus aequoris undis | Peliaco pinus vertice caesa manus) (Pasquali).
v. 8 animae...meae: cfr. MeLzacR. anth. Pal. 12, 52, 1 sg. otiptoc Eunvessac vabtate
Nétos.../futod ev buy fpracev *Avdpdyadov, il quale a sua volta riprende CALL. epigr.
, Africo (cfr.
41, 1 Pf. fiutov Vuyic. Per l’uso di espressioni del genere a proposito di un sentimento vv. 12-13 praecipitem — Aquilonibus: lo scontro fra il vento di Sud-Est
di amicizia cfr. 2, 17, 5. Il concetto risale a Pra. Symp. 189 c-193d; riferito all’ami- nota a 1, 1, 15) e quello di Nord-Est, Aquilone, viene presentato come una battaglia,
EnN. ann. 432
cizia, si ritrova in AristoT. Eth. Nicom. 1166 a 31; Cic. Lael. 92. secondo un'immagine tradizionale, da Hom. Il. 16, 765 e Od. 5, 295 sg. a
10, 356 sgg. Per praeceps riferito a un
sgg. Sk. a Vero. georg. 1, 318; Aen. 1, 84 sgg.;
vv. 9-10 robur— pectus: il legno della quercia e il bronzo indicano metaforicamente 2, 11, 52 praecipit es. . .Notos.
vento cfr. Vere. georg. 4, 29 praeceps. . .Eurus; Ov. am.
durezza e insensibilità d'animo, secondo un'immagine tradizionale: cfr. Hom. Il. 2,
del Toro, che
490 (xédxsov Frop); 24, 205 (cidihpeov Frop); Hes. theog. 764; Pinp. fr. 123, 4 sg. Sn.- v. 14 tristis Hyadas: un gruppo di sette stelle della costellazione
e che sono consi-
M. (& aSduavros
/ Î) otdapov xeydAxeutar uédavav xepdiav); Tris. 1, 1, 63 sg. non tua sorgono la mattina a Novembre e tramontano la sera a fine Ottobre
tempestates
sunt duro praecordia ferro | vincta, nec in tenero stat tibi corde silex. Secondo una diffe: derate foriere di pioggia (cfr. Ger. 13, 9, 4 et cum oriuntur et cum occidunt
sw (« piovere »)
rente proposta esegetica, fondata sul fatto che in Vero. Aen. 10, 783 sg. (orbem / aere pluvias largosque imbres cient). Sulla etimologia del loro nome da
ia da 6c (= sus), alla base
cavum triplici) aes triplex si riferisce allo scudo di Lauso, tutta quanta la strofe signifi- cfr. Cic. nat. deor. 2, 111, che respinge la falsa etimolog
In quanto foriere di
cherebbe che un triplice bronzo proteggeva dalla paura il cuore del primo navigatore dell'altro nome con cui erano comunemente indicate, Suculae.
(cfr. anche Vero, Aen. 1, 744 e 3, 516 pluviasque Hyadas), sono. dette tristes,
(Putnam, « Class. Quart. » 21, 1971, 454). pioggia
| nascitur et pluvio
perché la pioggia rattrista il cielo (cfr. Vero. georg. 3, 278 sg. Auster
vv. 10-11 fragilem — ratem: si notino l’enjambement e il contrasto nato dall’audace o l -
contristat frigore caelum).
accostamento di fragilem e truci, segni di una elaborazione retorica che vuol confe-
di Sud (cfr. 1, 7, 16; 1,
rire veemenza all’invettiva. vv. 14-16 Noti — maior: Noto, o Austro o Scirocco, è il vento
iatico, dominat ore incontra -
28, 22; 3, 7, 5; 4, 5,9 etc.), qui definito arbitro dell'Adr
vv. 11-12 commisit— primus: nell’invettiva contro il primo navigatore confluiscono nus undae; 3, 3, 4
stato delle sue sorti: cfr. 2, 17, 19 sg. tyrannus / Hesperiae Capricor

lin i AAA ibid


e si intrecciano due motivi culturali: da un lato quello del mpéitog edpetie, ovvero
sg. Auster | dux inquieti turbidus Hadriae.
la tendenza, da parte della cultura antica, ad attribuire l’invenzione di ogni arte o
scienza a un inventor, un motivo letterario che riflette un topos filosofico, particolar- v. 16 tollere — ponere: con ellissi poetica del primo seu (come in Carutt. 4, 19 laeva
mente diffuso nel pensiero ellenistico, soprattutto dopo la rivalutazione da parte di sive dextera vocaret aura; cfr. 1, 6, 19). Orazio riferisce all’azione del vento 3 sul,, mareo
dei venti (Od. 10, 22 fuèv ravéueva Nd dpvbpev by
. °
Posidonio (filosofo stoico del I a.C.) delle arti manuali e il suo elogio degli inven- ciò che Omero diceva di Eolo e
tori (a noi noto da Sen. epist. 90). Dall’altro lato, l'assenza della navigazione è uno x'EDEANOwW). i
degli elementi che caratterizzano il topos dell’età dell'oro: cfr. AraT. 110 sg.; Lucr.
cata (figura
5, 1002 sge.; Tis. 1, 3, 37 sgg.; Vero. ecl. 4, 38 sg.; Ov. am. 3,8,43 sg.; met. 1, v. 17 mortis — gradum indica il passo della morte, che si intende personifi
il primo navi-
94 sgg. Esprimendo la sua enfatica condanna della navigazione, Orazio si colloca nella comune in Orazio: cfr. 1, 4, 13 sg.), davanti all’incedere della quale
ritengon o alcuni, perfetto gnomico: qui
tradizione ‘ antiprogressista’ dell’età dell'oro, assegnando nello stesso tempo valore gatore non ebbe paura. Timuit non è, come
se l’audacia di costui è l’ar-
continua la rappresentazione del primus inventor, anche

(MA
negativo a quella inventività umana che era al centro dell’esaltazione di Posidonio e
alcuni interpreti
dei suoi seguaci. I motivi per cui la navigazione si trovava, negli anni in cui scrive chetipo dell’audacia di tutti i successivi naviganti. Lo ps.-Acrone, e
486 © Orazio Odi I 3, 18-31 487

moderni sulla sua scia, intendono l’espressione come equivalente a genus mortis (« quale dei presocratici; in poesia cfr. Vere. ecl. 6, 35 sg. Un concetto analogo a quello
tipo di morte temette? »); ma la morte in mare può essere soltanto di un tipo. espresso da Orazio si trova in Ov. met. 1, 22 nam terras et terris abscidit undas, una
imitazione che conferma l'interpretazione del passo qui accettata.
v. 18 siccis oculis cioè «con gli occhi asciutti »; espressioni simili sono molto
comuni in poesia greca e latina (cfr. ArscH. Sept. 696 Enpoîc dxdabto Bupaow; ProP. vv. 23-24 impiae...rates: il linguaggio rimanda alla sfera sacrale (cfr. anche, nel
1, 17, 11 siccis...ocellis) per indicare l'assenza di pianto: prova, questa, di grande v. 26, per vetitum nefas): la navigazione è presentata come un gesto di empietà, come
coraggio, vista la facilità con cui gli antichi protagonisti di situazioni letterarie, spe un peccato di hybris che mira a infrangere i divieti divini. Si confrontino le parole
cialmente epiche, versano lacrime. In considerazione di ciò, l’espressione si riferisce di un poeta che raccoglie gli echi dello stesso dibattito in cui si inserisce Orazio,
all’impassibilità del primo navigatore, e siccis non va corretto in rectis, come propo Albinovano Pedone: aliena quid aequora remis | et sacras violamus aquas divumque
neva Bentley. quietas | turbamus sedes? (p. 147 sg. Biichn.).
v. 19 turbidum: tanto turbidum (« agitato, tempestoso ») quanto turgidum (« rigon- vv. 25-27 audax...audax: l’anafora assegna particolare rilievo al tema dell’audacia.
fio ») si adattano al contesto, ma turbidum è preferibile, sia perché connota più effi- In un epigramma del contemporaneo Antifilo di Bisanzio (anth. Pal. 9, 29), l’audacia
cacemente l’aspetto terrificante del mare, sia perché trova più frequenti riscontri in persona, la TéòApua, è l’artefice delle invenzioni umane.
nella tradizione poetica (cfr. Lucr. 5, 1000 sg.; Ov. her. 18, 9 sg.; SEN. Herc. Oe.
456, etc.). v. 27 Iapeti genus: perifrasi dello stile elevato (nobilita Hes. op. 50 maîc *Iartroto)
i
per indicare Prometeo, il Titano che sottrasse a Zeus il fuoco per donarlo agli
v. 20 infamis scopulos: apposizione di Acroceraunia, si riferisce alla fama di questi uomini, e per questo fu condannato a rimanere legato a una rupe della Scizia, dove
monti come luogo di naufragio: cfr. Cars. civ. 3, 6, 3; Ov. rem. 738. Infamis non è un avvoltoio gli divorava il fegato che ricresceva sempre: cfr. Hes. op. 50 sgg.; theog.
un aggettivo ridondante, se si pensa che, quando Orazio scriveva, doveva essere ancora 507 sgg.; ArscH. Prom. 7 sg.; 109 sgg.
vivo il ricordo delle navi della flotta di Ottaviano che, dopo la battaglia di Azio, ave-
vano fatto naufragio contro gli scogli dei monti Ceraunii (cfr. SuET. Aug. 17, 3). v. 28 fraude mala: l’espressione richiama altre, simili, del lessico giuridico, in
i particolare dolus malus. Ma, se pure Orazio ha usato consapevolmente un nesso che
Acroceraunia: i monti Ceraunii, sulla costa dell'Epiro, nel punto in cui l'Adriatico poteva evocare la sfera del crimine, suggerendo in qualche modo l’idea che l’inven-
è più stretto. Essi devono il loro nome al fatto di essere spesso colpiti dai fulmini: tività umana violi non solo il diritto divino, ma anche quello umano, tuttavia fraus
cfr. Serv. Aen. 3, 506 Ceraunia sunt montes Epiri a crebris fulminibus propter altitudi- mala non è qua adoperato in accezione giuridica, come equivalente di dolus malus.
nem nominati: unde Horatius expressius dixit Acroceraunia propter altitudinem et fulmi- Se così fosse, bisognerebbe attribuire un’intenzione cattiva (il dolus malus è carat
num iactus. Anche Pun. nat. hist. 4, 4 chiama questi monti Acroceraunia; non è il terizzato dalla malafede) a Prometeo, il cui inganno nei confronti degli dei si rivela
caso dunque di pensare a un errore di Orazio, che avrebbe inteso &xpa Kepabva invece cattivo solo per le conseguenze che comporta (similmente mala stultitia in
come unica parola, ma piuttosto a un composto, ricalcato su formazioni come acro- sat. 2, 3, 43; mala. ..ambitio in sat, 2, 6, 18). In ogni caso Orazio dà una valuta-
polis o Acrocorinthus, e diffuso anche indipendentemente da Orazio. zione negativa dell'impresa prometeica, il che equivale ad assumere un atteggiamento

n
vv. 21-23 nequiquam negativo nei confronti del progresso tecnico, di cui Prometeo è il mitico archegeta.
— terras: alcuni interpretano dissociabili in senso passivo (« in-
compatibile »: cfr. Tac. Agr. 3, 1 res olim dissociabiles, unica altra attestazione), altri

Mi
vv. 29-31 post—cohors: allusione al mito di Pandora, la donna che fu mandata
in senso attivo (« che dissocia »), per analogia con aggettivi in —bilis che possono avere da Zeus agli uomini, in conseguenza del furto del fuoco, con un vaso pieno di ma-
significato attivo (per es., penetrabilis in Vero. Aen. 10, 481 e in Ov. met. 13, 857). lattie e sventure: cfr. Hrs. op. 69 sgg. L'importanza negativa del fuoco è sottolineata
In quest'ultimo caso, Oceano sarebbe uno strumentale, e abscindere avrebbe il signi- fra l’altro dalla ripetizione di ignem nei vv. 28 e 29, che suggerisce l’idea di un rap-

ei O
ficato di discindere; ma è preferibile la prima interpretazione (con Oceano ablativo di porto non solo temporale, ma anche di causa-effetto, fra la scoperta del fuoco e la
separazione). Del resto, già Porfirione commentava: prospexerat natura hominibus, ut sciagura inviata dal cielo. Ricordiamo che nelle rappresentazioni ‘ progressiste’ della
terrae, quibus sine periculo uteremur, a mari discernerentur. La separazione del cielo dalla storia dell’umanità il fuoco è il primo apportatore di civiltà, l'elemento che rende

mann
terra ad opera di una mente divina provvidenziale presuppone il concetto della crea- possibile la nascita delle tecniche (cfr. Lucr. 5, 1091 sgg.; Virruv. 2, 1, 1 sg.); qua
zione del cosmo dal caos mediante la separazione degli elementi, proprio soprattutto invece esso dà origine a un processo di degenerazione, e anziché l’enumerazione
488 . Orazio Odi I 3, 32 - 4 489

trionfalistica delle tecniche troviamo lo sfilare minaccioso (si noti l’uso del termine l’immagine della scalata al cielo (Olimpo), che porta a una sovrapposizione fra il
militare cohors) delle malattie. soggetto della frase (« noi mortali ») e i protagonisti dell’azione mitica. Il folle gesto di
hybris si pone come l’archetipo di ogni audacia umana, ed insieme come metafora
vv. 32-33 semoti — gradum: prima di Pandora gli uomini vivevano senza malattie, di ogni apparente progresso. Quest'ultimo si risolve in una “scalata al cielo ?, in una
quindi la morte era più lontana (cfr. Hzs. op. 91 sg. véogww &rep Te xandiv xa &rep azione sacrilega dettata non dalla ragione, come volevano i rappresentanti del filone
yaderoto Tévowo / veda T'apyadévav al T'avipdo xfpac tdmrav). Si noti l’espressione ela- progressista, ma, al contrario, dalla stultitia (parola, questa, poco usata in poesia,
borata: la traiectio fra semoti-e leti, l’enjambement fra necessitas e leti, la rappresenta-
che Orazio adopera spesso nelle Satire e nelle Epistole). Convince meno l’interpre-
zione della morte, che è contemporaneamente personificata, nell'immagine del passo tazione riduttiva secondo — stultitia sarebbe rivolta polemica»
cui l’espressione caelum
che si affretta (la stessa del v. 17), e definita astrattamente come necessitas leti. La di-
mente contro la cosmologia, la fisica, l'astronomia e l'astrologia, in un momento in
stanza che l’enjambement crea fra queste due ultime parole assegna maggiore rilievo cui le scienze celesti godevano di particolare favore, grazie soprattutto alla diffusione
al termine necessitas, che designa un concetto-chiave nelle rappresentazioni positive dei trattati ermetici (Delatte).
del progresso umano, fin dalla ypeta &SkoxaAXoc di Democrito (in Diopor. 1, 8, 9):
come se alla necessità maestra delle arti Orazio volesse opporre l’unica vera neces
sità, quella della morte.
4

vv. 34-35 expertus — datis: Dedalo, il mitico costruttore del Labirinto in cui doveva Pasguau, 711 sgg.; P. DEFOURNY, «Étud. class. » 14, 1946, 174 sgg.; M. De
essere rinchiuso il Minotauro, rimase prigioniero nella sua stessa costruzione, da cui LAUNOIS, ibid. 25, 1957, 320 sgg.; W. Barr, « Class. Rev.» 12, 1962, 5 sgg.; A.J.
fuggì volando con ali di cera, in un viaggio durante il quale morì il figlio Icaro (cfr. WoopnMan, « Latomus » 31, 1972, 752 sgg.
nota a 1, 1, 15). L’empietà di Dedalo consiste per Orazio nell'aver osato volare, cosa
che agli uomini non è concessa; ma in generale, essendo Dedalo un rappresentante Destinatario dell’ode è Lucio Sestio Quirino, figlio del console del 57 a.C. Pu
simbolico dell’inventività tecnica, è qui sottintesa una condanna complessiva della blio Sestio; seguace di Bruto, aveva ‘partecipato al seguito di quest’ultimo alla guerra
tecnica. Per vacuum aera cfr. Pinp. OI. 1, 6 Spriuac dv atdépoc: Verg. georg. 3, 109 del 42, quindi si era avvicinato ad Augusto, il quale lo nominò consul suffectus nella
aera per vacuum ferri. seconda metà del 23 a.C. (cfr. Cass. Dio. 53, 32, 4; APPIAN. civ. 4, 51, 223). L’ode
è comunque anteriore alla data del consolato di Sestio, e quest’ultima circostanza
v. 36 perrupit — labor: riferimento all'ultima fatica di Ercole (Herculeus labor è una può spiegarne soltanto la collocazione in un posto. d’onore, subito dopo le odi a
reminiscenza di Hom. Od. 11, 601 fBinv ‘Hpaxnsinv), il quale riuscì ad entrare nel- Mecenate, ad Augusto e a Virgilio, che sarà stata suggerita a Orazio dalla posizione
l’Ade per portarne fuori Cerbero e liberare Teseo e Piritoo. Acheronta indica, se- di riguardo che il suo destinatario occupava proprio nell’anno in cui la raccolta dei
condo un uso metonimico diffuso in poesia, non il fiume infernale, ma l’oltretomba. primi tre libri fu predisposta per la pubblicazione. La presenza del destinatario non
Perrupit Acheronta rende probabile questa esegesi tradizionale piuttosto che l’inter- ha però un peso rilevante: il fatto che Sestio sia ricco (v. 14 beate Sesti) dà maggiore

AA A dA MAMMA 406
pretazione secondo cui Herculeus labor definirebbe ancora l'impresa di Dedalo (Ron- rilievo al concetto dell’uguaglianza della morte nei confronti dei ricchi e dei poveri,
coni, « Ann. Sc. Norm. Pisa » 14, 1945, 65 sgg.). ma lo svolgimento dell’ode rimane complessivamente autonomo, e consiste nello
v. 37 nil est: verso sentenzioso, posto a conclusione della serie di exempla costi
sviluppo di una tematica molto cara al poeta, quella della temporalità della vita umana
tuita da Prometeo, Dedalo ed Ercole: la successione di exempla e gnome è un proce- contrapposta alla circolarità del tempo naturale (e la collocazione ‘d’onore’, oltre
dimento tipico della poesia latina, specialmente di quella elegiaca e didascalica. Il che a un omaggio a Sestio, può esser dovuta alla centralità di questo tema nel mondo

|M
poetico oraziano).
termine mortales con cui sono designati gli uomini sembra contenere una sfumatura
di pessimismo lucreziano, che limita il significato di questa affermazione del potere A una cronologia alta fa pensare soprattutto l’uso. di un metro archilocheo, ado-
perato negli epodi e, fra le odi, soltanto in questa, in 1, 7 e in 1, 28 (oltre che in 4,
umano.
7, per una voluta ripresa della presente ode: cfr. la relativa introduzione), con le
v. 38 caelum — stultitia: la rappresentazione negativa dell’inventività umana si chiude quali 1, 4 ha in comune anche la composizione distica, non tetrastica, nonché una
con l’esempio della più grande e più nota azione empia, la sfida dei Giganti al cielo Stimmung dominata da uno sconsolato sentimento di morte e uno stile meno strin-
(narrata in 3, 4, 42 sgg.); tale impresa non è menzionata in forma esplicita, ma attraverso gato, più abbondante di particolari che in. altri carmi (Pasquali). A una composizione
490 Orazio Odi I 4, 1-3 491

giovanile ha fatto pensare anche l’apparente salto fra la prima parte, sul ritorno della all’interno della primavera stessa. Alcuni interpreti hanno creduto in passato di poter
primavera, e la meditazione sulla morte, contenuta nella seconda parte, con un pas cogliere in questi primi versi dell’ode un riferimento a ciascuno dei mesi primave-
saggio che può sembrare tanto più brusco a chi confronti lo sviluppo armonioso rili: infatti il. Favonio (v. 1) soffiava a febbraio, la navigazione (v. 2) riprendeva a
della stessa successione di motivi nell’ode della maturità 4, 7. Ma in realtà la strut- marzo, il mese consacrato a Venere (v. 5) era aprile. Per l’uso di vice con un agget-
tura dell’ode è organica ed equilibrata: il tema del ritorno della primavera è svilup- tivo cfr. 1, 28, 32 vicesque superbas; epod. 13, 7 sg. benigna. . .vice. L’allitterazione di
pato nei vv. 1-8, la riflessione sulla morte si trova nei vv. 13-20, mentre i vv. 9-12, v in vice veris si inserisce in un quadro di assonanze (solvitur...Favoni) in cui qual-
con l’invito insistente a godere, nel presente (nunc...nunc), della stagione primaverile cuno ha visto una riproduzione onomatopeica del soffiare della brezza primaverile,
preparano il passaggio al motivo successivo. e che, in ogni caso, è per il lettore il primo segno della musicalità che caratterizza
Abbondano i componimenti dedicati al ritorno della primavera nel libro X del- l’ode, soprattutto nei versi sulla primavera.
l’Antologia Palatina (1; 2; 4; 5; 6; 14; 15; 16); si tratta di epigrammi quasi tutti suc- Favoni: vento di Ovest che cominciava a soffiare nei primi giorni di febbraio (cfr.
cessivi a Orazio, ma che testimoniano la diffusione del motivo in poesia ellenistica, Prin. nat. hist. 2, 122; Ov. fast. 2, 148) e corrispondeva allo Zefiro, il vento di pri-
Una probabile dipendenza di Orazio da un epigramma, o dalla lirica ellenistica per mavera nella tradizione poetica (cfr. Leon. anth. Pal. 10, 1; PAUL. SiLENTIAR. ibid.
noi perduta, sembrerebbe confermata da alcune coincidenze fra 1, 4 e i componi- 10, 15; Carutr. 46, 3; Lucr. 5, 738; Orazio stesso in 4, 7, 9; 4, 12, 1).
menti su ricordati, dalla presenza, in special modo, di alcuni particolari descrittivi
comuni (cfr. note di commento). L'ispirazione ellenistica non deve però far dimen v. 2 trahunt-— carinas: espressione tecnica per indicare il momento in cui le navi
ticare che Orazio ha probabilmente nella memoria il ritorno della primavera di CA- (indicate attraverso la sineddoche carinas), rimaste al secco durante l'inverno, ven-
gono tirate di nuovo in acqua. Malgrado tentativi di fissare una data precisa per
TULL. 46, 1 sgg. (iam ver egelidos refert tepores, | iam caeli furor aequinoctialis | iucundis
Zephyri silescit auris), la descrizione lucreziana della primavera nel proemio del de l’inizio della navigazione (intorno al 10 marzo), non vi era un periodo fisso per tale
ripresa, e Orazio sfrutta semplicemente un motivo poetico tradizionale (cfr. DE
rerum natura e in 5, 737 sgg. (it ver et Venus et Veneris praenuntius ante | pennatus gra-
ditur, Zephyri vestigia propter | Flora quibus mater praespargens ante viai | cuncta coloribus SAINT-DENIS, « Rev. étud. lat. » 25, 1947, 196 sgg.): cfr. Leonm. anth. Pal. 10, 1,
1 sgg. (6 7A60c dipatoc... /druipag divéidoro, xal èxAboato via, / vautide, xai AM
egregiis et odoribus implet) e, qua e là, il Virgilio delle Georgiche (cfr. note di com-
nicav pel d96vv) e il tardo epigrammista Paolo Silenziario (VI d.C.), che tratta
mento). Si ritrovano inoltre nell’ode tracce della tradizione della poesia simposiaca
(nella strofe finale) ed elementi culturali specificamente latini, come Fauno e i Mani lo stesso motivo facendo uso di una terminologia tecnica (anth. Pal. 10, 15, 3 sg.
(cfr. v. 11 e v. 16). Ma le suggestioni di tanti modelli sono unificate dalla sensibilità dpri SÈ Sovpartorow ermAladnoe xudlvdpore/ bAandg dr’ Muévev Èc Bbdov Fixoptw). Orazio
e Paolo Silenziario derivano probabilmente dallo stesso componimento ellenistico.
poetica di Orazio, che sviluppa uno dei temi a lui più cari, quello della fugacità della
Tuttavia con il termine generico machinae Orazio non vuol indicare la stessa cosa
vita e della necessità di vivere il presente. Il pensiero della morte nasce qui dal con-
trasto con la gioia della natura: il sentimento della precarietà è coscienza dello iato
che i x5wdpor del poeta bizantino, cioè i rulli di legno su cui lasciare scivolare le
navi, ma un meccanismo più complesso, di cui ci parla Virruv. 10, 2, 10 (in plano
fra la natura e l’uomo, come sarà in 4, 7. Questo contrasto è sapientemente ricavato,
etiam eadem ratione et temperatis funibus et trochleis subductiones navium efficiuntur): le
in quest’ode, attraverso un gioco di sonorità e di chiaroscuri, attraverso un dettato
poetico e una trama di immagini che tendono ad accentuare la fisicità della vita, pre- navi venivano manovrate su specie di slitte fornite di ruote o poggiate su rulli e azio-
nate con una puleggia o un argano. Su queste slitte le navi venivano raddrizzate me-
sentata nel momento di massima esplosione della gioia della natura, la primavera,
contro l’inconsistenza della morte. diante una carrucola.
v. 3 neque—igni: il modulo formale del neque iam ricorre spesso nelle descrizioni
Metro: archilocheo terzo.
poetiche dell’arrivo della primavera: cfr. 4, 12, 3 iam nec prata rigent nec fluvii stre-
punt; ANTIPATR. Sion. anth. Pal. 10, 2, 1 sg. odîè IdXaxcca roppipet; AGATHA. ibid.
v. 1 solvitur— hiems: con espressione metonimica èx attribuita alla stagione inver-
10, 14, 3 sg. oòuéni SÌ... .ddraoca.. pds fado siotyetat. Ma alla formulazione tra-
nale la proprietà di sciogliersi, che è del gelo e delle nevi. Per acris hiems cfr. ENnN.

bat vin
dizionale Orazio assegna un contenuto nuovo, rinnovando il modulo ellenistico con
ann. 420 Sk. acer hiemps; Lucr. 6, 373 acres hiemes.
un’immagine tratta dal mondo tipicamente romano dell’agricoltura, e che, in parti-
grata
— veris si riferisce, in generale, all’avvicendamento naturale delle stagioni, per colare, sembra ricordare il legame fra il ritorno della primavera e la ripresa dei lavori
cui la primavera succede all’inverno, e non, in particolare, a una successione di fasi agricoli, dopo la stasi invernale, in VERrG. georg. 1, 43 sgg.; 1, 299 sgg.
Odi I 4, 4-9 493
492 . Orazio.

v. 4 albicant: verbo molto raro, attestato in poesia soltanto nel Varrone menippeo tradizionale nella poesia antica: cfr. Hom. Il 8, 443; 18, 571 sg.; Od. 8, 264; Can.
(fr. 75 Ast. ubi rivus.. .offensus aliquo a scopulo lapidoso albicatur), in CatuLL. 63, 87 hymn. 4, 306; Ap. Ru. 1, 539; Enn. ann. 1 Sk. Musae quae pedibus magnum pul-
(albicantis. . .litoris), in carm. epigr. 1522, 8 (dente.. .albicanti); in prosa, in Plinio il satis Olympum; Carutt. 61, 14 sg. pelle humum pedibus, manu | pineam quate taedam;
e in Columella. È troppo poco, comunque, per affermare, come vogliono Lucr. 5, 1402 duriter, et duro terram pede pellere matrem (cfr. inoltre 3, 18, 15 sg. gau
vecchio
alcuni esegeti, che si tratti di una voce colloquiale. L'immagine del biancheggiare è det invisam pepulisse fossor | ter pede terram). Alcuni notano che questa elaborazione sti-
listica così accentuata e, soprattutto, l’uso del verbo quatio tendono a presentare un
rafforzata da canis, in maniera simile a Vero. georg. 2, 71 sg. ornusque incanuit albo
flore piri. ritmo di danza troppo sfrenato, che poco si addice alla leggiadria delle Grazie e delle
Ninfe. Ma l’effetto stilistico è intenzionalmente cercato per rendere l’idea di un’esplo-
v. 5 iam: altro modulo formale ricorrente nella tradizione poetica del ritorno della sione di gioia e di vitalità. La danza delle creature mitologiche risulta una metafora
primavera: cfr. 4, 12, 1 sgg. iam... .iam; anth. Pal. 10, 5 e 10, 16 3n...799; CATULL. dell’attaccamento alla vita nella sua ‘corporeità, una delle manifestazioni più alte del
46, 1 sg. iam. ..iam. sentimento pagano della gioia terrena.
Cytherea è l’epiteto omerico Ku9épetx, attribuito a Venere dal nome dell’isola a Sud vv. 7-8 dum-—officinas: nell’Iliade Vulcano lavora nell'Olimpo, e solo in età elleni-
della Grecia, K69npa (la e si abbrevia nell’aggettivo corrispondente), dove si diceva stica egli viene messo in rapporto con i Ciclopi (che già in Hrs. theog. 139 sgg. co-
che la dea fosse nata dalle acque. Poiché di solito Cytherea è usato come sostantivo struiscono i fulmini per Zeus): cfr. Carr. hymn. 3, 46 sgg.; Vera. Aen. 8, 416 sgg. (la
equivalente a Venere, il nesso Cytherea Venus appare ridondante, tanto più perché sede dei Ciclopi e, quindi, dell’officina di Vulcano è indicata ora nell’Etna ora nel-
l'unione di un epiteto geografico al nome di una divinità non è molto adoperata in l’isola di Lipari). Durique, « anche la visita di Vulcano alle officine dei Ciclopi è...
poesia, a meno che non abbia funzione di localizzazione. L’epifania di Venere che piuttosto ellenistica che classica » (Pasquali). Rimane però non del tutto chiaro il
riporta la primavera è immagine di colore lucreziano (cfr. Lucr. 1, 6 sg.; 5, 737). motivo per cui tale visita avvenga in primavera. Il legame con il contesto può essere
Assieme alla rappresentazione lucreziana, quest’ode presenta lo schema iconografico così spiegato: in primavera riprendono tutte le attività (cfr., pochi versi prima, la
che è alla base della Primavera del Botticelli (cfr. Winp, Pagan Mysteries in the Re- navigazione e l’agricoltura) e, fra queste, quella dei Ciclopi, i quali hanno in questo
naissance, Oxford 1958; trad. it., Milano 1985). periodo molto lavoro da svolgere per fornire fulmini a Giove (poiché la primavera
è stagione di abbondanti e frequenti temporali: cfr. Lucr. 6, 357 sg.). Vulcano, ma-
choros: quella di Venere che conduce le danze delle Grazie è un'immagine della tra-
rito di Venere, si reca a sovrintendere ai lavori dei Ciclopi, e così la sua sposa può
dizione greca fin dalla poesia arcaica: cfr, Hom. Od. 18, 193 sg.; hymn. Ap. 194 sgg.;
Cypria fr. 5 Allen.
abbandonarsi alle danze gioiose. Tale spiegazione è comunque un po’ artificiosa. Se-
condo alcuni interpreti, Orazio ha voluto creare un contrasto fra il fresco paesaggio
imminente luna: «le danze notturne di Grazie e Ninfe, guidate da Venere, mentre lunare dei versi precedenti e il caldo soffocante delle officine (gravis si riferirebbe in
la Luna s'indugia a guardare dal cielo, sono ellenistiche...: quella luna è davvero la tal caso al calore insopportabile; ma è più probabile che tale aggettivo indichi la fatica
sorella gemella del sole callimacheo, cui (hymn. Dian. 180) dispiace lasciare addietro del lavoro); secondo altri, l’accenno alla visita di Vulcano contiene un implicito in-
le Ninfe danzanti intorno ad Artemide, sì che si ferma a guardarle » (Pasquali). Per vito a godere del presente, perché in ogni momento possono essere in arrivo i ful-
le danze e i canti delle Ninfe sotto la luce lunare cfr. Ap. RA. 1, 1223 sg.

nani
mini di Giove.

v. 6 iunetae — decentes: le tre Grazie, Aglaia, Talia ed Eufrosine (cfr. Hrs. theog. 907 v. 8 ardens: viene audacemente riferito a Vulcano, in quanto dio del fuoco, un
sgg.; Pinp. OI, 14, 13 sgg.), appaiono legate alla primavera in STESICHOR. fr. 212 P.

dA ia
aggettivo che più naturalmente andrebbe accordato con il fuoco. Meglio pensare che
Notizie sul culto delle Grazie in Pausan. 9, 35. Per iunctae cfr. il già citato passo ardens abbia qui il significato originario e sia riferito per enallage al dio, piuttosto
dell'inno omerico ad Apollo (v. 196 Spyeive danfacoy Eri xaprs yelpac Eyovoni). De- che presupporre una accezione secondaria dell’aggettivo (« alacre »).
centes indica la bellezza leggiadra delle Grazie; legato al tema di decus e decorus, questo
ed v. 9 nunc: ripreso anaforicamente nel v. 11, l’avverbio sottolinea la necessità di
aggettivo, adatto a esprimere la nozione cara a Orazio, di una bellezza misurata
godere del presente: c’è qui, in nuce, il motivo del carpe diem.

ld
essenziale, ricorre frequentemente nelle odi (cfr. 1, 18, 16; 3, 27, 53; 4, 1, 13; 4, 13, 17).
viridi — myrto: il mirto, sacro a Venere (cfr. Prin. nat. hist. 15, 120), è spesso asso-
v. 7 alterno — pede: espressione onomatopeica, in cui la frequenza della dentale ripro-
ciato alla giovinezza (cfr. 1, 25, 18). Nitidum indica la lucentezza del capo per gli un-

mi
duce il ritmo della danza. L'onomatopea nella rappresentazione di scene di danza è
Odi I 4, 10-17 495
494 ‘Orazio

guenti spalmati sui capelli; assieme alle ghirlande, gli unguenti erano elementi fon- Pup. Nem. 7, 19 sg.; epigr. gr. 459, 7 sg. K.; Griech. Vers-Inschr. 1185, 7 sg. Peek;
Lucr. 3, 1025 sg.; e, in Orazio, 2, 3, 21 sgg.; 2, 14, 11 sg.; 2, 18, 32 sgg. Con
damentali nelle situazioni conviviali.
l’espressione regum turris Orazio si riferisce non alle torri militari, ma a quelle pano-
v. 10 solutae: allusione formale a solvitur del v. 1, riprende la rappresentazione della ramiche, agli alti palazzi degli uomini ricchi e potenti (reges). L’insistente bussare
primavera come sciogliersi del gelo invernale. In particolare, per l’immagine della della morte, espresso con il frequentativo pulso, è riprodotto mediante l’allitterazione
terra che si apre cfr. Vero. georg. 1, 44 Zephyro putris se glaeba resolvit. onomatopeica della p, che è una delle poche in Orazio, e che non può non richia-
mare la frequenza della dentale del v. 7: il lugubre rintocco della morte risuona poco
v. 11 Fauno: divinità italica delle foreste, figlio di Pico e nipote di Saturno, a cui
dopo il leggero danzare delle Grazie e delle Ninfe. Il contrasto fra la vita e la morte
erano dedicati templi a Roma (cfr. Dion. Han. ant. Rom. 1, 31; Vero. Aen. 7, 48 sg.;
è scolpito come contrasto fra due opposti registri di sonorità.
Ov. met. 6, 392 sg.; Liv. 33, 42, 10; 34, 53, 4). Il 13 febbraio aveva luogo un sacri-
ficio a Fauno nel tempio a lui consacrato sull’isola Tiberina (cfr. Ov. fast. 2, 193 sg.); v. 14 0- Sesti: non è casuale la collocazione del vocativo del destinatario, definito
immediatamente dopo, avevano luogo i Parentalia, ovvero la festa dei morti (cfr. beatus, subito dopo l’accenno alle regum turres. Il fatto che Sestio sia ricco dà mag-
IoHann. Lyn. de mens. 4, 29). Si è pensato perciò che con il riferimento a Fauno giore rilievo alle riflessioni sull’equanimità della morte, e nello stesso tempo crea
Orazio alluda allo stretto rapporto di successione fra la vita e la morte, che trova una connessione fra il tema dell’ode e il suo destinatario.
riscontro nel calendario romano (Barr). Ma si tratta di un'ipotesi artificiosa: perché
Orazio avrebbe dovuto fondarsi sul calendario per sviluppare il motivo dell’inesora- v. 15 vitae = longam: verso gnomico, che esprime il medesimo concetto che si trova,
bile sopraggiungere della morte? Inoltre, in umbrosis lucis fa pensare a un sacrificio per esempio, in 1, 11, 6 sg. Brevis esprimerà un'idea meno banale se considerato un
diverso da quello dell’isola Tiberina. È più probabile l'ipotesi che Fauno rappresenti nominativo concordato con summa piuttosto che un genitivo riferito a vitae: anche
il totale della vita, alla fine, risulta breve.
qui il corrispondente latino del dio greco Priapo, che è sempre ricordato nei compo-
nimenti dell’Antologia Palatina sul ritorno della primavera; come Priapo, Fauno è v. 16 premet nox: la notte è una metafora consueta della morte, fin da Omero (cfr.
legato alla fertilità del regno animale (Nisbet-Hubbard). Il. 5, 659; 13, 425; 580; Od. 20, 356), talvolta in unione con il verbo premo: cfr.
Vera. Aen. 6, 827 nocte premuntur.
vv. 11-12 immolare — haedo: dal significato originario di ‘cospargere con mola
salsa’, cioè con farro tostato e macinato col sale, gli animali prima del sacrificio fabulae...Manes: bisogna intendere fabulae come nominativo, apposizione di Manes,
(cfr. Cat. in Serv. Aen. 10, 541), il verbo immolare passa a significare ‘ sacrificare’. e non, come ancor oggi qualcuno è propenso a interpretare, come genitivo (cioè «i
È costruito spesso con l’ablativo strumentale anziché con l’accusativo, specialmente Mani del mito »). I Mani erano le ombre dei morti, e costituivano oggetto di culto;
in locuzioni arcaizzanti: cfr. Cic. leg. 2, 29 quibus hostiis immolandum quoique deo; Liv. qui rappresentano simbolicamente la possibilità di una sopravvivenza nell’oltretomba,
41, 14, 7 immolantibus Iovi singulis bubus; Ar. Cap. in Macr. Sat. 3, 10, 3 Iovi tauro che Orazio considera una menzogna. Fabula ha qui infatti il significato negativo di
verre ariete immolari non licet. La specificazione delle vittime che Fauno richiede a ‘ invenzione’ (cfr. Ter. Andr. 224; Haut. 336; Cic. Verr. 4, 182; rep. 2, 4; Ov. met.
primavera sembra un elemento ellenistico: cfr. anth. Pal. 10, 14, 9 sg.; 10, 16, 1 sgg. 10, 561 etc.) piuttosto che quello di ‘oggetto di chiacchiera, cosa di cui si parla
v. 13 pallida Mors: la personificazione della morte, proveniente dalla tradizione molto ?, come intendono alcuni. Alla concretezza della vita terrena si oppone l’in-
greca (classica in proposito la prima scena dell’Alcesti euripidea), ritorna in 3, 2, 14 consistenza del mondo dei morti; la vita e la morte si contrappongono in quanto
(cfr. anche sat. 2, 1, 58). Il pallore è attributo convenzionale di tutto ciò che è con- realtà, fisicamente percepibile, e apparenza, illusione, inganno. Che questo sia il senso
4, 26 pal- dell'espressione oraziana è confermato, più ancora che dall’imitazione di Pers. 5, 152
nesso alla sfera della morte: cfr. Vero. georg. 1, 277 pallidus Orcus; Aen.
lentis umbras; Ti. 1, 10, 38.
cinis et manes et fabula fies, dalla ‘ risposta’ di Prop. 4, 7, 1 sunt aliquid Manes.
x
v. 17 domu s
— Plutonia: la dimora di Plutone, l’oltretomba, è exilis, cioè ‘ inconsi-
vv. 13-14 aequo — turris: al piede, con cui la morte bussa a tutte le porte (gli an-
tichi bussavano alla porta con i piedi anziché con le mani: cfr. Carr. hymn. 2, 3; stente’, come in Vere. Aen. 6, 269 perque domos Ditis vacuas et inania regna. Se accet-
PLaur. Most. 454; Ter. Eun. 284 sg.), è riferita per enallage l’imparzialità della morte tiamo questa interpretazione di exilis, abbiamo un ulteriore elemento della presenta-
stessa, che non osserva distinzioni fondate sulla ricchezza e sul potere. È questo un zione oraziana dell’aldilà come vana costruzione della fantasia, come regno dell’illu-
luogo comune della poesia antica, a partire da Hom. Od. 3, 236 &dvarov duoliov; cfr. sorietà. Altri intendono ‘misera’ (come in epist. 1, 6, 45 exilis domus est ubi non...
4%
496 Orazio Odi I 4, 18 — 5 497

multa supersunt), in contrasto con la ricchezza di Sestio; altri ancora, ed è l’ipotesi tima ode, 3, 26, con la quale ha in comune il tema centrale, che è quello dell'addio
meno probabile, nel senso di ‘angusta, stretta’ (a causa dell’affollarsi delle ombre all'amore (Wili). Questa corrispondenza potrebbe significare che 3, 26 costituisce la
dei morti). Meare, arcaismo evitato dai poeti augustei, è attestato soltanto qui in fine del racconto oraziano delle proprie avventure sentimentali, cominciato in 1, 5
Orazio. (Gagliardi), o, più verosimilmente, che il primo e l’ultimo componimento erotico
della raccolta racchiudono l’atteggiamento programmatico di Orazio nei confronti del
v. 18 nec talis: l’oltretomba si configura come un luogo privo dei piaceri della vita, sentimento d’amore, È stata notata anche una corrispondenza simmetrica con la quin-
e il piacere terreno è simbolicamente rappresentato dalla situazione conviviale, se- tultima ode del libro 1, dedicata a Tibullo (1, 33), con la quale 1, 5 avrebbe in
condo una tradizione poetica ben attestata: cfr. THaEoGN. 973 sgg. oddele &vdportwy, comune l’invito ad abbandonare le illusioni d’amore.
8v mpéo età yet xodbln | ele © "Epefog xoraBf, Spara Ieporpwng, / Tepretat otte La struttura, apparentemente semplice ma molto studiata, è definibile come una
Xipng obr’ adinmiipoc dxobcav / obre Atcavicov dtip ècueduevos; Id. 1007 sgg.; AscLEPIAD. struttura bipartita in cui a due strofe contrapposte fra loro (la gioia fiduciosa del-
anth. Pal. 5, 85. Talis è ablativo plurale («con i dadi ») e non, come qualcuno ha l'amante e la delusione che l’aspetta) segue un’altra coppia di strofe pure contrap-
inteso, genitivo riferito a vini (« di un vino come quello che beviamo adesso »). Il poste (l'amante si troverà in mezzo alla tempesta, mentre il poeta è da tempo al
riferimento è alla figura del rex convivii, che veniva generalmente estratto a sorte, e sicuro). Inoltre a questa struttura si contrappone da un lato una disposizione chia-
che aveva il compito di determinare le proporzioni della miscela nella coppa e il nu- stica, che vede le strofe esterne in corrispondenza fra loro (immagini più tranquille)
mero dei bicchieri da bere, di impedire le contese etc. (cfr. PLUT. quaest. conv. 620 e in contrasto con quelle interne (ambedue drammatiche), dall'altro un contrasto
a-b). Cfr. anche 2, 7, 25 sg. arbitrum.. .bibendi.
fra la prima e la quarta strofe (il fanciullo fiducioso - il poeta disilluso), e fra la se-
vv. 18-19 nec...nec: l’anafora richiama quella, di poco precedente, di nunc (v. 9 conda e la terza (il presente e il futuro del fanciullo) (Péschl).
sgg.); come quella, rappresenta l’insistenza su un invito a godere, con formulazione Il nome del destinatario sembra fittizio (cfr. nota al v. 3); e fittizio potrebbe
là positiva, qua negativa. essere il personaggio stesso, prototipo della femminilità seduttrice e ingannatrice,
malgrado tentativi di vedere in Pirra una donna realmente amata da Orazio, e in que
vv. 19-20 tenerum— tepebunt: Licida è nome greco di fanciullo (cfr. Bron. fr. 9, st'ode un carme della gelosia (Castorina). Non è nemmeno convincente però l’ipotesi
10; Vera. ecl. 7, 67). La figura del fanciullo per il quale ardono ora i giovani e do- opposta, che l’ode sia solo lo sviluppo di una situazione epigrammatica (Zielinski),
mani si scalderanno le fanciulle rimanda a un motivo convenzionale della poesia ero- anche se l’immagine poetica dominante in essa è la metafora marina, topica nella
tica greca e, in particolare, ellenistica. Il motivo convenzionale si arricchisce però di tradizione della poesia erotica greca e latina, a partire da Semonide di Amorgo (7,
una sfumatura malinconica, che è tutta nel contrasto fra nunc e mox: la bellezza efe- 37 sgg. W. diortep ddAxcoa ToNAdaic uv drpeute / fommx”, arthur, Ydpua vabrnow ueya /
bica del fanciullo va ammirata nel presente, perché anch’essa è effimera, volge già Iépeoc Ev pn, Toridaic SÈ palverar / Bapuxmirtoror xipaov popevpévy « come il mare
alla maturità. spesso sta immobile, privo di pericoli, grande gioia per i naviganti nella stagione

MMIA
estiva, spesso si infuria, trasportato dalle onde dal cupo fragore »), e anche se l’ine
5 vocazione a Venere come dea del mare e dell'amore è un motivo alessandrino: cfr.
anth. Pal. 9, 143; 9, 144; 10, 21 etc. Ma Lode è qualcosa di più che un ralyvov
Zieunsgi, 157 sge.; Wil, 249; Commacer, 65 sgg. e 144 sgg.; K. Quinn, alessandrino: essa esprime la concezione oraziana dell'amore, il rifiuto degli alletta-
« Arion » 2, 3, 1963, 59 sgg.; CasrorIna, 188 sgg.; PòscHL, 18 sgg.; J.M. Borovskj, menti della passione in nome della ricerca di una saggezza più vera, fondata sulla
« Quad. Ist. Filol, lat. Padova » 4, 1976, 93 sgg.; GAGLIARDI, 27 sgg. rinuncia di carattere epicureo (Péschl, Borovskij), o semplicemente sull’ironia di chi
riesce a guardare il mondo con distacco. E, se è vero che nell’ode si possono cogliere
Non vi sono elementi su cui fondare serie ipotesi di datazione per quest’ode, alcune allusioni a Catullo, soprattutto al c. 8 (Commager, Castorina), l'ode potrà
che alcuni collocano fra le più antiche, e che altri invece, in considerazione, fra l’al- essere considerata anche un manifesto di poetica: alla poesia d’amore che si iden-
tro, del distacco dalla passione amorosa che è il sentimento dominante, ritengono tifica con una passione totale ed esclusiva Orazio contrappone una poesia che riflette
frutto della maturità poetica di Orazio. Nell’architettura complessiva della raccolta una concezione dell'amore come gioco galante, una poesia raffinata ed elegante, sim
dei primi tre libri, essa ha una collocazione di rilievo, essendo il primo componi- plex munditiis.
mento d’amore della raccolta, e inoltre corrisponde simmetricamente alla quintul- Metro: asclepiadeo terzo.
Odi I 5, 1--7 499
498 Orazio

lin rose). Il nome Pirra ha tutta l’aria di essere fittizio, uno pseudonimo, forse, collegato
v. 1 multa. ..rosa: il singolare collettivo è comune con nomi di fiori, anche nel
43 sertis redimiri iubebis et rosa?; 5, 73 in viola al colore, fra il biondo e il rosso, dei capelli della fanciulla (v. 4 flavam comam: flavus
guaggio della prosa: cfr. Cic. Tusc. 3,
è il colore del miele in Lucr. 1, 938 e dell’oro in Vere. Aen. 1, 592); si confronti il
...aut in rosa dicere; fin. 2, 65 potantem in rosa. Non è chiaro a cosa si riferisca que-
pro- termine greco rvppéc. Si sa che Achille a Sciro fu chiamato Pyrrha, quoniam capillis
sta profusione di rose, se, come pensano alcuni, a ghirlande indossate dai due
flavis fuit et Graece rufum rwppév dicitur (Hvoin. fab. 96, 1). Alcuni hanno colto in
tagonisti o ad un letto di rose (motivo, quest’ultimo, della novellistica erotica greca:
questo nome una allusione al mitico diluvio dal quale si salvarono solo Deucalione
cfr. [Lucian.] asin. 7; PamostR. epist. 20 (32), 54 (28)), oppure alle ghirlande e, nello
e Pirra (cfr. nota a 1, 2, 6 sg.), e che simboleggerebbe il naufragio d’amore cui il poeta
stesso tempo, ai petali di rose che, staccatisi da queste, hanno formato uno strato
indica è scampato (oppure, secondo altri, la Pirra del diluvio rappresenterebbe il prototipo
per terra. Ma forse l’espressione è volutamente imprecisa, e la pioggia di rose
della donna, come Eva nella tradizione cristiana).
solo una cornice ideale per una situazione dominata dal piacere.
v. 4 cui comam: Pirra annoda i suoi capelli (cfr. 2, 11, 24; 4, 11, 5): questo gesto
gracilis si riferisce a una qualità fisica del fanciullo, il quale, forse proprio perché
ars non si riferisce necessariamente ai preparativi dell’incontro con il puer, e quindi non
puer e non ancora vir, è snello: qualità, questa, apprezzata nelle donne (cfr. Ov.
stesso in am. 2, 10, c'è bisogno di supporre un hysteron-proteron ove sì interpreti te urget in senso erotico
2, 660), meno negli uomini (anche se Ovidio la attribuisce a se
(cfr. nota al v. 2). Nelle domande che il poeta pone alla donna non c’è una succes-
23). C'è chi ha pensato che l’aggettivo indichi il deperimento causato dalla passione
sione temporale, ma solo una sequenza di gesti abituali, come nella serie di domande
d'amore (cfr. Prop. 1, 5, 22; 2, 22, 21; Ov. am. 1, 6, 3), ma è molto più probabile
che Catullo pone a Lesbia in un carme che ha pure come tema centrale quello della
che esso risponda al gusto descrittivo di Orazio.
fides tradita: 8, 16 sgg. quis nunc te adibit? cui videberis bella? / quem nunc amabis? cuius
v. 2 perfusus...odoribus: non è necessario pensare agli unguenti profumati adope- esse diceris? | quem basiabis? cui labella morderis? Forse qui è veramente da cogliere una
. Pro-
rati durante i convivia, e quindi a una cornice conviviale per tutta la situazione eco stilizzata di Catullo (Commager). Su flavam comam cfr. nota al v. 3.
fumarsi i capelli è infatti abitudine dell’uomo innamorato: cfr. Prop. 2, 4, 5, che ado-
pera una simile espressione (nequiquam perfusa meis unguenta capillis); Ov. ars 3,
443. v. 5 simplex munditiis: il concetto classico di semplicità nell’eleganza è scolpito in
questo ossimoro che potrebbe essere assunto come motto del programma stilistico
urget secondo la maggior parte dei commentatori ha significato erotico (« si stringe di Orazio. Per mundus e munditia riferiti all'eleganza femminile cfr. Lucr. 4, 1281;
in Prop. 4, 3, 12 cum rudis urgenti bracchia victa dedi. Secondo un’altra
a te»), come
a ’, Ov. ars 1, 133; Prop. 4, 8, 40 (concetto simile a quello oraziano: munda sine arte).
interpretazione, urgere è qui adoperato nell'accezione di ‘ sollecitare con impazienz La forza espressiva che questa iunctura possiede, se riportata al gusto di Orazio, non
ed è riferito allo stato d'animo del ragazzo, che aspetta con ansia l’arrivo di Pirra,
i capelli può che risultare attenuata dall’interpretazione di chi vi scorge una implicita cone
mentre questa indugia a farsi bella (v. 4). Ma il gesto di Pirra che raccoglie trapposizione a una espressione come duplex (multiplex) animi (ovvero, ciò che Pirra
hyste-
in un nodo non necessariamente precede il convegno d’amore: forse qui c'è un è dietro l'apparenza), oppure un esplicito contrasto con l'abbondanza di profumi di
oppure, semplicemente, il gesto di annodarsi i capelli è ricordato come
ron-proteron, cui è cosparso il puer.
un vezzo consueto della fanciulla nelle situazioni d’amore.
vv. 5-6 fidem= deos: costruzione dò xowol di mutatos, che si riferisce anche a fidem.
v. 3 sub antro: l’antro sarà una grotta artificiale, come se ne trovavano nei giardini Secondo altri, fidem va inteso assolutamente, nel senso di ‘ perfidia’, ma questa in-
delle ricche abitazioni romane; non necessariamente, però, una grotta tricliniare, come terpretazione è da escludere, perché il concetto cui si vuol dare espressione è quello
pensano alcuni, poiché niente ci autorizza a credere che la scena si svolga durante della fedeltà tradita. L'espressione mutatos deos viene intesa comunemente come allu-
un convito. L'ambiente dell’ode non è campestre, ma rinvia alla vita galante citta-
e, e sione al mutamento d’atteggiamento degli dei, che da propitii diverrebbero irati, ad-
dina; tuttavia l’associazione di idee con un paesaggio pastorale risulta inevitabil
delle versi. Poiché però chi giurava chiamava a testimoni gli dei, è probabile che questi
produce un effetto rococò. È appena il caso di ricordare, per dare un esempio ultimi rappresentino qui metonimicamente il giuramento e la fedeltà da questo. sug-
aberrazioni a cui giunge certa critica simbolistica, l’interpretazione di chi nella prima gellata.
Class.
strofe dell’ode vede prefigurata la cremazione del corpo del giovane (PUTNAM, «
Philol. » 65, 1970, 251 sgg.). vv. 6-7 aspera — ventis: sulla tempesta marina come metafora delle tempeste d’amore
cfr. nota introduttiva. Per niger riferito a un vento foriero di burrasca cfr. epod. 10,
Pyrrha: la collocazione del vocativo è particolarmente studiata: il destinatario si
5 niger.. .Eurus; cfr. già Hom. Il. 12, 375 èpeuvi) AdAara; CATULL. 68, 63 in nigro...
trova ad essere incorniciato dall’antrum (in corrispondenza, il puer è circondato dalle
Odi I 5, 8 — 6 501
500 ‘Orazio

vv. 15-16 potenti. ..deo: la lezione tramandata deo è da mantenere, in quanto con-
turbine; Vero. georg. 3, 278 nigerrimus Auster. Per aspera aequora cfr. Enn. var. 10 V?
undis asperis; Vere. Aen. 4, 351 maria aspera. Si noti la raffinata collocazione delle sona alla metafora del mare iniziata nella seconda strofe e continuata nella quarta:
parole: la disposizione a incastro, complicata dall’enjambement che sottolinea l’acco- dopo lo scampato pericolo il naufrago ha offerto un ex voto al dio Nettuno, signore
stamento dei due aggettivi. del mare (per l’uso di potens nel senso di dominus cfr. nota a 1, 3, 1). Superflua, anche
se ingegnosa, la congettura deae che indica Venere, dea del mare e insieme dell'amore,
v. 8 emirabitur: il verbo emiror, attestato solo qui in latino classico, è forse un conio e che unificherebbe livello letterale (amore) e livello metaforico (mare). Non è nem-
linguistico dovuto a Orazio: il prefisso e rende più intensa l’idea di sorpresa conte- meno il caso di intendere, come fanno alcuni, deo nel senso indefinito di divinità,
nuta nel verbo. sia maschile sia femminile, riferibile tanto a Nettuno quanto a Venere.
v. 9 aurea: alcuni pensano che l’aggettivo qui non si riferisca a una qualità fisica (cfr.
Hom. Il. 3, 64 ypvotng “Agpoditag; Pruronem. anth. Pal. 5, 123, 3 ypuotyv KadMotiov),
ma che esprima una valutazione della bellezza, come negli elegiaci (cfr. Prop. 4, 7, 85 6
aurea Cynthia) o che alluda metaforicamente alla dolcezza e alla disponibilità di Pirra.
Ma è più probabile che aurea indichi letteralmente lo splendore apparente, il lucci-
PASQUALI, 311 sgg.; FRAENKEL, 233 sg.; W. WIMMEL, Kallimachos in Rom, Wiesba-
chio di superficie, che abbaglia e inganna il fanciullo: non a caso l’aggettivo è sapien-
den 1960, 187 sgg.
temente accostato a credulus. L’inganno in cui è caduto il puer, attratto irresistibil-
mente dalla bellezza della donna, è sottolineato dall’anafora (qui...qui; semper...
semper). Destinatario di quest'ode è M. Vipsanio Agrippa, fin dal 44 a.C. (era nato nel
64) seguace di Ottaviano, del quale fu il più valoroso generale: partecipò alla guerra
v. 10 vacuam cioè «libera da altro legame »: cfr. Ov. her. 20, 149 elige de vacuis di Perugia nel 40, sconfisse gli Aquitani nel 38, Sesto Pompeo nel 36 a Mile e a
quam non sibi vindicet alter. Il termine indica nel linguaggio giuridico la donna libera Nauloco, Antonio nel 31 ad Azio. Fu inoltre console nel 37, nel 28 e nel 27, e sposò
da vincolo matrimoniale: cfr. ps.-Quint. decl. 376, 3 p. 272 Winterb.; Tac. ann. in terze nozze Giulia, la figlia di Augusto. Ma il vero protagonista dell’ode è L. Vario
11, 12, 2. Rufo, lodato già da Virgilio in ecl. 9, 35 sg., considerato nel 35 a.C., quando Orazio
vv. 11-12 aurae fallacis: continua la metafora del mare; ma aura richiama anche scriveva sat. 1, 10, il maggior poeta epico di Roma (v. 43 sg. forte ebos acer | ut nemo
aurea del v. 9 (lo stesso gioco di parole in Vero. Aen. 6, 204 discolor unde auri per Varius ducit); appartenente al circolo di Mecenate, vi introdusse Orazio, del quale
ramos aura refulsit). Inoltre, il vento tradizionalmente trasporta i giuramenti falsi, spe presto divenne amico (sat. 1, 5, 41 sg.; 1, 6, 55; 1, 10, 81). La sua fama di poeta
cialmente le false promesse d’amore: cfr., per es., ProP. 2, 28, 8; Ov. am. 2, 16, 45 sg. epico era dovuta al de morte e al Panegyricus Augusti (su cui cfr. epist. 1, 16,
27 sgg.). Ma ebbe molto successo anche una sua tragedia, il Thyestes, che Quintiliano
v. 13 intemptata nites: ancora la metafora marina: temptare si adopera infatti nel paragonava alle migliori tragedie greche (10, 1, 98; cfr. Tac. dial. 12, 6), e che, come
senso di ‘sperimentare la navigazione ’: cfr. 3, 4, 31 Bosporum temptabo; Vere. ecl. 4, sappiamo da una antica didascalia, andò in scena post Actiacam victoriam Augusti ludis,
32 temptare Thetin ratibus. cioè nel 29 a.C. Tale data sarà terminus post quem per quest’ode, poiché il v. 8 con-
me in posizione enfatica: cfr. nota a 1, 1, 29. tiene un riferimento al Thyestes.
Orazio si rivolge ad Agrippa, che lo aveva invitato a cantare le sue gesta, scu-
vv. 13-14 tabula...votiva: riferimento all’uso di appendere un quadretto alla parete sandosi per non essere all’altezza di un simile compito, per il quale indica come poeta
di un tempio per ricordare un pericolo scampato: cfr. sat. 2, 1, 32 sgg. votiva... adatto Vario. L'ode contiene cioè una recusatio (‘ rifiuto dell’epica ’), motivo che era
descripta tabella; Tr8. 1, 3, 27 sg. nam posse mederi / picta docet templis multa tabella tuis. diventato topico nella tradizione poetica a partire da Callimaco (cfr. Wimmel), anche
vv. 14-16 uvida...vestimenta: assieme all'ex voto rappresentato dal quadretto, i se il passo alessandrino da cui deriva 1, 6 non è per noi identificabile (Pasquali), e
naufraghi scampati alla morte offrivano alla divinità che li aveva protetti gli abiti che anche se rimane incerto se Orazio abbia trovato già in un modello lo svolgimento
indossavano durante il naufragio, per mantenere il voto pronunciato nel momento del motivo della recusatio in rapporto alla scelta del genere lirico, o se egli abbia tra-
del pericolo: cfr. Vera. Aen. 12, 768 sg. servati ex undis ubi figere dona solebant | Lau- sportato alla lirica un tema elegiaco (cfr. Prop. 2, 1, 17 sgg.; 3, 3; 3,9; Ov. am. 1, 1).
renti divo et votas suspendere vestes. Comunque, l’ode contiene un rifiuto del genere epico nel suo complesso, e non, come
Odi I 6, 1-8 503
502 Orazio

nella recusatio di 2, 12, degli argomenti bellici per la poesia lirica. Il rifiuto dell’epica venta il soldato (singolare collettivo) al seguito di Agrippa, e quicumque, come in
è anche, inevitabilmente, tentativo di sfuggire alle direttive della cultura ufficiale: per Prop. 1, 21, 9 non ha bisogno di dipendere da un elemento della frase precedente
questo esso non viene motivato, in quest’ode, soltanto con l’incapacità di Orazio di (cfr. Housman, « Amer. Journ. Philol. » 1893, 184).
trattare soggetti grandiosi, ma anche con il suo diritto a una scelta di vita, e quindi
v. 3 navibus. . .equis: riferimento alle vittorie riportate da Agrippa in battaglie terre-
di poesia, caratterizzata dalla leggerezza e dalla tenuità. stri e navali (cfr. la nota introduttiva), su cui cfr. APPiaN. civ. 5, 31, 35; Cass. Dio.
La struttura non è facile da delineare, anche in considerazione delle difficoltà che
48, 49; 49, 38.
pone l’interpretazione della quarta strofe in rapporto al contesto (cfr. nota relativa).
Alle prime due strofe, comunque, che sono in contrasto fra loro, sembrano corri- v. 5 nos in posizione enfatica all’inizio della seconda strofe, sottolinea il contrasto
spondere le ultime due, pure contrapposte, con la terza strofe che fa da cerniera. fra la capacità di Vario di cantare argomenti solenni e la mancanza di attitudine di
Orazio, secondo un procedimento tipico della recusatio: cfr. 2, 12, 13; Prop. 1, 7, 5;
Metro: asclepiadeo secondo. Ov. am. 2, 18, 3. Segue un elenco significativo degli argomenti che il poeta non è
capace di cantare, nella forma di una serie di disgiunzioni (comparatio paratactica,
vv. 1-2 Vario alite: secondo alcuni Vario è dativo, secondo altri ablativo; il pro- secondo la terminologia di Fraenkel). Si noti anche la collocazione artistica del voca-
blema è strettamente connesso a quello dell’interpretazione di Maeonii carminis alite. tivo del destinatario, Agrippa, che risulta in accostamento, e quindi in maggiore con-
Se tale espressione, nel senso di ‘cigno della poesia epica’, è apposizione di Vario, trasto, con ‘nos,
quest’ultimo è una specie di ablativo assoluto, o, secondo altri, un ablativo di agente
haec: le imprese di Agrippa e, quindi, la possibilità di un poema epico-storico, cui
senza preposizione. Se invece Vario è dativo di agente, i casi sono due: o, come fanno
fanno seguito, nella comparatio paratactica, il poema epico mitologico e la tragedia.
alcuni, alite va corretto in aliti, o tutta l’espressione Maeonii carminis alite va intesa
assolutamente, con dales nel significato metonimico di auspicium («con gli auspicii vv. 5-7 nec» Ulixei: il genere epico è emblematicamente rappresentato dai poemi
del canto meonio, cioè omerico »). La questione rimane controversa, ma mi sembra omerici, ai quali, con raffinata tecnica allusiva, Orazio si riferisce con una vera e
che sia preferibile non intervenire sulla lezione tràdita, che il dativo di agente sia da propria citazione dei rispettivi versi iniziali: per gravem Pelidae stomachum cfr. Hom.
escludere, perché si tratta di una costruzione che Orazio e, in generale, il latino clas- IL 1, 1 sg. ufiviv...Ilpeddew “Ayiafjoc oddopévyy e per cursus duplicis per mare Ulixei
sico evitano, se non con un participio perfetto o un gerundivo (fa eccezione forse cfr. Od. 1, 1 sg. &vdpa.. .oAbTpoTtov, dc dda ToMà | TAdYYIM. Proprio nell’ode, e nella
epist. 1, 19, 3, in cui però quae scribuntur è molto vicino a scripta); il fatto invece che strofe, in cui Orazio rifiuta il genere epico, egli ci offre un esempio di aemulatio nei
confronti della poesia epica, secondo i modi della più scaltrita traduzione artistica.
Orazio eviti in poesia lirica la costruzione del passivo con a e l’ablativo rende più
probabile l’ipotesi che alite sia un ablativo di agente senza preposizione. D'altra parte, Si noti come, nella rielaborazione dell’incipit dell'Iliade, mantenga il patronimico,
escludiamo anche che dales equivalga ad ‘auspicio’, perché tale interpretazione di- traduca pîjviv con stomachum (parola che proviene dalla lingua dell’uso, ma che già
Cicerone aveva introdotto nella lingua colta, nell’accezione di ‘ira’: cfr. fam. 2, 16,
struggerebbe la metafora del poeta—cigno (cfr. 2, 20, 1 sgg.; 4, 2, 25). La conferma
2, 3; 7, 1, 2, 2; Att. 4, 18, 2, 17; 5, 11, 2,3 etc.), renda il concetto dell’ira di Achille
migliore che ales sia epiteto riferito a Vario è rappresentata da Ver. ecl. 9, 35 sg.
in forma perifrastica, aggiungendo cedere nescii, che forse risente di Il. 9, 678 oùx

da dial dai
nam neque adhuc Vario videor nec dicere Cinna | digna, sed argutos inter strepere anser
290 oftocai yéXov. Nella citazione dall’Odissea, cursus per mare è una spiegazione
olores.
del generico vagare dell’eroe nel corrispondente greco, il nome di Ulisse è specifi-
v. 2 Maeonii: prima attestazione in latino dell’aggettivo Maeonius (cfr. poi 4, 9, 5 sg. cato, contro il generico &vdpa, e duplicis traduce roAbrporov. Probabilmente in questo
Maeonius...Homerus), cioè « omerico », in quanto Omero era figlio di Meone, se- caso, secondo le migliori consuetudini della traduzione dotta e filologica, Orazio ha
condo una tradizione che risale a Ellanico (FGrHist. 4 F 5), 0, secondo un’altra tradi presente lo scolio che glossa roXbrporov come contrario di dmàode (da cui si deduce,
zione, perché era nato a Smirne, nella Lidia, e il nome omerico di questa regione è come altro contrario, StrAode = duplex), e, riteniamo, non può non aver presente la
Meonia. traduzione versutum di Livio Andronico (fr. 1).

vv. 3-4 quam— gesserit: per la tmesi di quameumque cfr. 1, 7, 25; 1,9, 24. Non è v. 8 nec- domum: dopo il rifiuto dell’epica, quello della tragedia, l’altro genere poe-
necessario intendere quamcumque rem come accusativo di relazione dipendente da tico elevato, qui significativamente rappresentata ‘dal mito della casa di Pelope (pro-
victor, né parlare di un anacoluto. Piuttosto, si tratta di una wvariatio: il soggetto di- genitore degli Atridi), e non, come intende qualcuno, il rifiuto della mitologia tradi-
504 Orazio: Odi 1 6,9 - 7 505

zionale in genere. Tanto più che al riferimento complessivo alla tragedia si sovrap- con raffinata arte della traduzione, Orazio parte da un epiteto omerico di Ares-Marte
pone quello specifico al Thyestes di Vario (cfr. nota introduttiva), il quale continua e lo varia con un altro aggettivo omerico.
a essere, in quanto poeta epico e tragico, figura di contrasto rispetto a Orazio. <
v. 15 Merionen: Merione, scudiero di Idomeneo, è ricordato marginalmente nel
v. 9 tenues grandia: l'accostamento dei due antonimi rende più evidente, immedia- l’aristia di Diomede in Il. 5, 59 e in 10, 229. Se Orazio ha ricordato questo perso-
tamente percepibile, l’antitesi fra le due concezioni poetiche cui i due aggettivi rimane naggio minore, è probabilmente perché lo associa a Diomede, ricordato nel verso
dano: al genere magniloquente di argomento solenne si oppone, alla maniera alessan- successivo (cfr. anche 1, 15, 26 sgg.). Se è così, egli può essere stato influenzato da
drina, un'ispirazione poetica tenue (tenues si riferisce a nos del v. 5). È il concetto una tradizione non omerica, attestata nello scolio b ad Il. 2, 96, che ricorda Merione
callimacheo della Modo Mertadén (cfr. fr. 1, 24 Pf.): cfr. anche 2, 16, 38; 3, 3, 72; come araldo di Diomede, e in Eur. Iph. Aul. 199 sgg. (forse l’accostamento si tro-
epist, 2, 1, 225. vava in un poema ciclico?).
pudor: il concetto sarà ripreso in epist. 2, 1, 258 sg. nec meus audet | rem temptare vv. 15-16 aut parem: allusione all’aristia di Diomede, figlio di Tideo, argomento
pudor, quam vires ferre recusent. del libro V dell’Iliade: protetto da Atena, Diomede arriva a ferite Afrodite (Il. 5,
v. 10 imbellis— vetat: la Musa stessa impedisce a Orazio di cantare le gesta di 335 sgg.) e Ares (855 sgg.). Per l’espressione superis parem cfr. Il. 5, 884 Satuovi Tooc.
Augusto e quelle di Agrippa. Imbellis (cfr. 1, 15, 15) si riferisce al carattere non epico Tutta la strofe, dunque, si configura come un rifiuto dell’epica e nello stesso tempo
dell’ispirazione poetica di Orazio piuttosto che al pacifismo degli elegiaci, come vo- come una sorta di omaggio all’epica, ottenuto attraverso un collage di motivi ed
gliono Nisbet-Hubbard. Per la costruzione lyrae potens cfr. nota a 1, 3, 1. La Musa, espressioni omeriche.
qui e in 2, 12, 13, come in Prop. 3, 3, 39 sgg. e in Vero. ecl. 6, 3 sg., svolge la fune
v. 17 proelia virginum: la metafora militare nel linguaggio erotico è topica: cfr. Tis.
zione inversa rispetto a quella che aveva Apollo nel prologo degli Aetia callimachei:
1, 3, 63 sg.; Prop. 2, 1, 45; 3, 5, 2; Ov. am. 1, 9, 45.
è probabile che esistesse un modello ellenistico, comune alle attestazioni poetiche
citate, in cui Apollo rimproverava il poeta, al contrario che nel prologo callimacheo, v. 18 sectis...unguibus: secondo alcuni, da Porfirione in poi, « con le unghie tagliate »
nel quale il dio dava prescrizioni in formulazione positiva (cfr. Pasquali, Wimmel), (il che renderebbe incruenti i combattimenti appena ricordati), secondo altri, a par-
v. 12 culpa ingeni: cfr. lo stesso concetto in epist. 2, 1, 236 sg. fere scriptores car- tire dallo ps.-Acrone, « con le unghie affilate » (quindi, capaci di graffiare). A_ favore
della prima interpretazione sarebbe l’espressione opposta in epod. 5, 47 sg. irresectum
mine foedo | splendida facta linunt.
pollicem. Ma i graffi degli amanti costituiscono un motivo della topica erotica: cfr.
vv. 13-16 quis — parem: l’interpretazione di questa strofe ha posto notevoli proble Meteacr. anth. Pal. 5, 157 sg.; Prop. 3, 8, 6; 4, 8, 57; Ov. am. 1, 7, 64; ars 2, 452.
mi, poiché il legame con il contesto non è evidente: ne è stata proposta l’espunzione, Inoltre, in questo senso l’espressione si legherebbe meglio ad acrium.
o la trasposizione dopo il v. 4, con correzione di guis con qui, e c'è chi ha espunto
non solo questa strofe, ma anche quella successiva. Ma le difficoltà nascono dal volere v. 19 vacui: è da sottintendere sive correlato con il sive successivo (come in 1, 3, 16;
interpretare quis digne scribserit? come una interrogazione retorica che presupporrebbe 1, 15, 25; 3, 27, 61). Per vacuus cfr. nota a 1, 5, 10.
la risposta ‘ nessuno ’. Ma, se così fosse, il discorso sarebbe, oltre che privo di tatto v. 20 leves: l’aggettivo rimanda a un atteggiamento di vita ed insieme a un canone
néi confronti del poco prima celebrato Vario e dello stesso Agrippa, assurdo alla di poetica: « come per Properzio scrivere elegie e cantar d’amore è tutt'uno, così per
luce di quanto Orazio ha detto prima. In realtà, la risposta da sottintendere è « non Orazio menar vita leggera e comporre certo genere di liriche » (Pasquali).
un poeta qualsiasi, certamente non io » (Fraenkel). Bisogna dunque integrare lo svol
gimento di pensiero della strofe pensando che si sovrappongano due concetti: ‘ chi?
non certo io’ e ‘chi, se non Vario?’. Ciò è confermato dalla struttura: Vario del
7
v. 1 e nos del v. 5 si contrappongono come quis del v. 13 e nos del v. 17.
v. 13 Martem — adamantina: si noti la frequenza onomatopeica della dentale, adatta Pasquali, 722 sgg.; R. Hanstik, « Philol. Wochenschr. » 58, 1938, 670 sge.;
a riprodurre un contesto epico. Adamantinus si riferisce non ancora al diamante, ma W. RiepeL, ibid. 62, 1942, 575; K.F. KuMANIECKI, « Eos » 42, 1947, 5 sgg.; T.P. ELDER,
a qualsiasi metallo duro. Tunica tectum adamantina sembra la traduzione dell’omerico « Class. Philol. » 48, 1953, 1 sgg.; Carrns, 211 sgg.; W. GàRLER, in Studi Della
yadxoytrwy (Il. 1, 371), riferito agli Achei (ma cfr. Il. 5, 704; 859; 866 ydAxeoc "Apno): Corte III, Urbino 1987, 25 sgg.
506 Orazio : Odi I 7, 1-3 507

Il destinatario di quest'ode
x
è quasi certamente da identificare con Lucio Mu- espressione agli angosciosi dubbi di chi, come lo stesso Orazio, doveva « nei primi
nazio Planco, personaggio politico cesariano (Cars. Gall. 5, 24, 3; civ. 1, 40, 5; Cass. ancor torbidi anni del principato rifarsi una vita nuova nel mondo nuovo ».
Dio. 43, 28, 2), poi passato ad Antonio, console nel 42 a.C., l’anno di Filippi, I primi 14 versi sono occupati da una Priamel (cfr. l'introduzione a 1, 1), che
collaboratore di Antonio in Egitto, finché nel 32 non si schierò dalla parte di Otta- si conclude con l’elogio di Tivoli; segue; nei vv. 15-21, l'esortazione a Planco perché
viano, facendosi fra l’altro latore di un documento testamentario, in cui Antonio scacci la tristezza col vino e, nei vv. 21-32, il racconto relativo a Teucro. Fin dall’an-
faceva larghe concessioni a Cleopatra, e che ebbe un ruolo importante nella propa- tichità la struttura dell’ode ha suscitato perplessità, a causa del legame non del tutto
ganda pre-aziaca, Nel 27 il titolo Augustus fu proposto (cfr. Suer. Aug. 7) proprio motivato fra la sezione su Tivoli e il resto: Porfirione ci informa che alcuni distine
da questo personaggio discusso e a volte accusato di opportunismo (cfr. Cic. fam. guevano, all’interno del componimento, due odi, facendo cominciare la seconda nel
10, 3 cum homines existimarent te nimis servire temporibus; VeLr. 2, 63, 3 lo definisce v. 15. L'elogio di Tivoli a prima vista mal si accorda con la genericità dell’esortazione;
morbo proditor). ma il legame fra le due parti dell’ode è costituito dalla figura di Planco, e dai legami
Per l’ode sono state avanzate varie proposte di datazione: gli anni fra il 40 e il di quest’ultimo con Tivoli.
35, quando Planco era in Asia (Kumaniecki), il 35, quando egli tenne il comando L’uso della Priamel e la tecnica dell’esortazione (parainesis) rafforzata da un exem-
militare in Siria (Hanslik), il 27, quando partecipò alla spedizione in Spagna al se plum mitologico rimandano alla lirica greca; ma non bisogna trascurare la possibilità
guito di Augusto, e infine, ipotesi più verosimile, il periodo di poco successivo al che Orazio abbia avuto altri modelli, fra i quali, in particolare, il Teucrus di Pacuvio.
suo ritorno a Roma, nel 32 a.C. Quest'ultima datazione non è inconciliabile con v. Metro: archilocheo primo.
19 sge., dai quali sembra che Planco abbia un comando militare, perché Ottaviano
potrebbe avergli affidato subito, data la sua esperienza, la guida di un esercito. In ogni v. 1 laudabunt alii: la struttura è quella della Priamel; malgrado appaia più compli-
caso, l’ode si colloca o subito prima o subito dopo Azio; a tale datazione spingono cato (non un solo luogo, ma sette sono oggetto di laudabunt), lo schema è lo stesso
anche considerazioni sul metro archilocheo (cfr. introduzione a 1, 4), e sullo stile di SaprH. fr. 16 L.-P. (cfr. introduzione a 1, 1) (Fraenkel). È probabile che la com-
e sull’atmosfera, che ricordano gli epodi, soprattutto il XIII (Pasquali). plicazione appena osservata nasca dal fatto che alla sequenza poetica si sovrappone
È difficile però valutare il ruolo che ha il destinatario nello svolgimento dell’ode: uno schema retorico, quello delle laudes urbium (su cui cfr. Pin. epist. 3, 21): cfr.
Porfirione, informandoci che Planco era oriundus di Tivoli, ci suggerisce la possibilità una enumerazione simile in Dio. Caurys. 44, 6; Greco. Nyss. ep. 20, 2 sgg. P. In Me-
che ‘il legame fra il personaggio e l’ode sia costituito solo da Tivoli, il che risolve nandro (rhet. gr. 3, 382, 19 sgg. Sp.) il motivo del ‘chi ama una cosa chi un’altra’
rebbe anche qualche problema riguardante la struttura (cfr. sotto). Convincono poco è indicato come essenziale in un componimento per il ritorno di qualcuno.
tentativi di legare 1, 7 alle vicende biografiche del destinatario, come quello di Kuma- spie-
claram Rhodon: già Porfirione interpreta claram quod soli sit obposita, e questa
niecki (l’ode sarebbe una consolatio a Planco per la morte del fratello adottato da un
gazione potrebbe essere confermata dal culto del Sole per cui Rodi era famosa (cfr.
Plauzio, e, in particolare, il richiamo al mito di Teucro, l’eroe che aveva perso il fratello
Pip. OI. 7, 14 ’Aeàfoé te vipgay, ‘Péiov; ManIL. 4, 765). Ma clara può qui signi
in circostanze simili (cfr. nota al v. 21 sg.), vorrebbe scagionare Planco dall’accusa di non
ficare semplicemente ‘illustre ’, come in Carutt. 4, 8 Rhodumque nobilem, tanto più
aver salvato Plauzio dalle proscrizioni nel 43), o quello di Riedel (l’ode sarebbe legata
che altre città di questo elenco sono ricordate perché celebri (v. 4 insignis).
a una presunta vittoria riportata da Planco, nel 27-25, sui Galleci, che si diceva di-
scendessero da Teucro), o quello di Fider (Planco avrebbe chiesto a Mecenate o ad vv. 1-2 Mytilenen...Epheson: le città dell'Asia erano mete di viaggi e luoghi di

dd
altri del circolo un intervento presso Ottaviano, e Orazio gli risponderebbe). Più soggiorno particolarmente cari ai ricchi romani: cfr. epist. 1, 11, 1 seg.; CatuLI. 46,
interessante l’interpretazione di Cairns, che definisce l’ode un epibaterion (« com- 6; Prop. 1, 6, 13 sg. Mitilene, nell’isola di Lesbo, era celebre per la sua posizione e
ponimento per il ritorno di qualcuno ») composto in occasione del ritorno di Planco per i suoi magnifici palazzi (cfr. Cic. leg. agr. 2, 40). Su Efeso, capitale della provincia
dall'Oriente, nel 32; ma Cairns esagera nel voler rintracciare ad ogni costo nell’ode di Asia, cfr. ANTIPATR. Sipon. anth. Pal. 9, 58; 9, 790; Prop. 3, 22, 15; STRAB.
motivi contenutistici e formali rispondenti alla precettistica su tale genere di compo- 14, 1, 24.
nimento poetico. Le pagine più belle e più convincenti su 1, 7 rimangono quelle di
Pasquali, il quale fa notare principalmente il legame che unisce Orazio, Planco e vv. 2-3 bimaris — moenia: l’aggettivo bimaris è attestato per la prima volta in Orazio,
Teucro per la loro condizione di ‘reduci’ (« essi, rovinato il loro mondo, dovevano il quale probabilmente lo ha coniato ricalcandolo sull’epiteto greco duprdaAattos, che
riedificarsene uno nuovo ») e il senso più profondo dell’ode nell’intento di dare nel lessicografo del II d.C. Polluce (9, 17) è riferito a Corinto, città che sorgeva sul
508 Orazio Odi I 7, 3-12 509

l'omonimo istmo, fra il mare Ionio e l’Egeo (allusione alle due coste di Corinto anche dente): l’olivo rappresenta qui non tanto la gloria poetica, ma, per metonimia, la
in Pinp. Ol. 13, 40; Eur. Tr. 1097 sg.; Cic. leg. agr. 2, 87; STRAB. 8, 6, 20). Con moenia poesia stessa, che viene ironicamente additata come intessuta di argomenti attinti da
Orazio o si riferisce per metonimia alla nuova Corinto, colonia dedotta da Giulio ogni parte, senza il discernimento che dovrebbe caratterizzare ogni componimento di
Cesare, che però doveva essere ancora ben poca cosa (e solo nell’immaginazione del sicuro gusto poetico. Orazio si è ricordato qui di Lucr. 1, 928 sgg. (iuvatqgue novos
poeta, influenzato dalla tradizione letteraria, essa potrebbe rientrare in un elenco di decerpere flores | insignemque meo capiti petere inde coronam / unde prius nulli velarint tem-
luoghi illustri), oppure, come pensano alcuni, indica le rovine dell’antica città, di- pora Musae), ed è possibile perciò che con undique egli alluda anche agli argomenti
strutta dai Romani nel 146 a.C., che costituivano un’attrattiva per i viaggiatori, sui triti, cui opporre il canone dell’originalità (Nisbet-Hubbard).
quali esercitavano grande impressione: cfr. ANTIPATR. Sinon. anth. Pal. 9, 151, 1
v. 8 plurimus: malgrado la difficoltà di intendere plurimus come singolare per il plu-
sgg.; StraB. 8, 6, 21; PAUSAN. 2, 2, 6.
rale, secondo un uso altrimenti attestato solo dopo Orazio (per es., Lucan. 3, 707),
vv. 3-4 vel=— Tempe: ad un primo gruppo di città illustri per tradizione storica ne la spiegazione di plurimus come ‘moltissimi’ è preferibile a quella che intende l’ag-
segue uno di città associate al culto di una divinità: Tebe, capitale della Beozia, luogo gettivo come predicativo, nel senso di ‘molto copioso’. Se infatti in quest’ultima
natale di Bacco, Delfi, sede dell'oracolo di Apollo, e la valle di Tempe, in Tessaglia, accezione si trova adoperato multus, non altrettanto può dirsi di plurimus; inoltre,
anch'essa legata ad Apollo (cfr. 1, 21, 9; Cat. fr. 194, 34 sgg. Pf.; PLuT. defect. orac. stando a questa seconda interpretazione, verrebbe a mancare il soggetto di dicet, e
421 c). non si capirebbe perché troviamo in honorem anziché in honore. Meglio allora inten-
dere plurimus come singolare collettivo, e come una wariatio rispetto ad altri moduli
v. 5 sunt quibus: modulo tipico della Priamel: cfr. nota a 1, 1, 3.
usati per introdurre i gradi della Priamel (cfr. 1, 1, 19 sgg. est qui. . .multos; epist. 1,
intactae — urbem cioè Atene, città di Pallade; intacta, col significato di ‘ vergine ’, 1, 77 seg. sunt qui...multis).
traduce l’epiteto greco &durg: cfr. Hom. Od. 6, 109; 228.
vv. 8-9 in Mycenas: Argo e Micene, città dell’Argolide, erano sedi del culto di
v. 6 carmine perpetuo: riferimento al lungo poema ininterrotto, che si oppone ai Giunone, assieme a Sparta (che appare nel verso successivo, ma sganciata, forse
componimenti brevi, così come in Cic. fam. 5, 12, 2 perpetuae historiae indica il intenzionalmente, dal culto della dea): cfr. Hom. Il. 4, 51 sgg. Con aptum equis si allude
contrario della monografia. Tecnicismo del linguaggio della critica poetica, esprime all’epiteto omerico di Argo, « nutrice di cavalli » (Il. 2, 287 dm’ “Apysog imtoRoTtoro),
il concetto callimacheo dell’îv deroua Siyvexés (fr. 1, 3 Pf.). Cfr. anche Varr. Men. con ditis a un’altra espressione omerica, rroAbypuoos Muxiywn (Il. 7, 180).
398 Ast. poesis est perpetuum argumentum e mthmis, ut Ilias Homeri (cfr. anche Luci.
v. 10 me in posizione enfatica (cfr. nota a 1, 1, 29), segna l’ultimo gradino della
fr. 345 sg. M. nemo qui culpat Homerum | perpetuo culpat). L'espressione risulta perciò
Priamel, complicato dalla comparatio paratactica, per mezzo della quale il poeta espri-
allusiva, anche se non è necessario pensare che contenga una forma di recusatio
me in forma negativa anche le preferenze di altri (cfr. Fraenkel).
{Nisbet-Hubbard) o un tacito riferimento a poemi, quale la Mopsopia di Euforione,
che avevano per argomento miti legati ad Atene (Pascoli, Kiessling-Heinze). patiens Lacedaemon: riferimento al carattere austero degli Spartani, alla loro capacità

[lin A lla ani


di sopportare le fatiche: cfr. Nep. Alc. 11, 4 Lacedaemonios, quorum moribus summa
v. 7 decerptam —olivam: la corona dei poeti può essere di edera (cfr. 1, 1, 29;
virtus in patientia ponebatur.
Prop. 2, 5, 26; Vero. ecl. 7, 25) o di alloro (cfr. 3, 30, 16); qui è di olivo, pianta
tipica dell’Attica e sacra ad Atena. Il verso è stato oggetto di varie interpretazioni, v. 11 Larisae...opimae: Larissa, città della Tessaglia, nota ancora al tempo di Ora-
e anche di un emendamento di Erasmo, accolto da alcuni editori, decerptae frondi, zio per la fertilità del suo territorio (cfr. StraB. 9, 5, 3); l'epiteto adoperato forse
non necessario, ma senz'altro ingegnoso (darebbe alla frase il senso di ‘ preferire riecheggia Hom, Il. 2, 841 Adpicav èpiBoraxa (« dalle larghe zolle »), che però si rife-
l'olivo ad ogni altra pianta’). Fra le varie proposte esegetiche, ricordiamo le più risce a Larissa asiatica.
accreditate: quella che lega undique a praeponere (« cingere la corona tutt'intorno alla
fronte »), che creerebbe una ridondanza di senso, e quella, più soddisfacente, che v. 12 domus — resonantis si riferisce alla cosiddetta ‘grotta di Nettuno ’, una grotta
interpreta come « mettere sulla propria fronte l’olivo colto da ogni parte ». È ozioso di acque solforose vicino all’Aniene (cfr. STAT. silv. 1, 3, 70). Albumea è la ninfa di
obiettare che l'olivo si può cogliere solo dall’albero. Non bisogna infatti dimenticare quelle acque (cui forse allude anche Vero. Aen. 7, 82 sgg.), confusa spesso con la
che ci troviamo di fronte a un contesto di critica letteraria (cfr. nota al verso prece- Sibilla Tiburtina (cfr. Tis. 2, 5, 69 sg.).
510 - Orazio Odi I 7, 13-32 511

vv. 13-14 praeceps rivis: gli elementi essenziali del paesaggio di Tivoli: le cascate greco Lyaeus (etimologicamente, « colui che scioglie »): cfr. epod. 9, 37 sg. curam me-
dell'Aniene, il bosco sacro al fondatore di Tivoli, Tiburno, nipote dell’indovino ar- tumque. . .dulci Lyaeo solvere, dove si gioca su tale etimologia, così come nel nostro passo
givo Anfiarao (Tiburtus in Vere. Aen. 7, 671), i frutteti (cfr. Prop. 4, 7, 81 ramosis si crea una tensione con vinxisse (cfr. anche Prop. 3, 5, 21 multo mentem vincire Lyaeo).
Anio qua pomifer incubat arvis). I ruscelli sono mobiles perché l’acqua può dirigersi v. 23 populea: il pioppo era sacro ad Ercole (cfr. Serv. Aen. 8, 276), il dio vagus
ora in una direzione ora in un’altra, o perché si muovono velocemente (cfr. Nirsson, (cfr. 3, 3, 9), irreuav (Xen. anab. 6, 2, 15), protettore degli avventurieri e degli esplo-
« Eranos » 43, 1945, 301 sge.; ibid. 45, 1947, 78). ratori (Xen. anab. 4, 8, 25). Inoltre esisteva un culto di Ercole a Tivoli. Per l’agget-
vv. 15-16 albus — Notus: il Noto, vento del Sud, a volte foriero di tempeste, spesso tivo populeus, equivalente poetico del metricamente scomodo populneus, cfr. VerG.
(v. 16 saepe) porta il sereno, poiché spazza via le nubi; in tal caso, è albus (aggettivo Aen. 10, 190 (forse da Enn. ann. 588 Sk.: cfr. SkuTScH ad l.).
sapientemente accostato al suo opposto obscuro), mentre, all'opposto, il vento appor- v. 25 quo...cumque: tmesi (cfr. 1, 6, 3); anche se in origine i due elementi erano
tatore di bufera è niger (cfr. nota a 1, 5, 6 sg.): cfr. già Hom. Il. 21, 334. separati. Le parole di Teucro sulla possibilità di farsi una patria dappertutto sono
riportate da Cic. Tusc. 5, 108, il quale quasi certamente cita dal Teucrus di Pacuvio,
v. 17 perpetuo: le due varianti perpetuo e perbetuos possono essere nate con pari faci-
tragedia di grande successo, ancora rappresentata al tempo di Orazio, sul quale avrà
lità l’una dall’altra, per aplografia o per dittografia, dato che la parola seguente, sic,
influito per quanto riguarda l’orazione finale dell’ode (Pasquali): patria est ubicumque
inizia per s. Preferiamo perpetuo per simmetria con saepe.
est bene. Ma forse già nel Teucro di Sofocle si leggeva che té) Ydp xaAéic tpdocovit rta
v. 19 molli secondo alcuni è un imperativo con labores oggetto, secondo altri è un YA marpls (Soru. trag. adesp. 318 N°).
aggettivo riferito a mero: sintatticamente queste interpretazioni sono ambedue plau- v. 26 0- comitesque: tutto il discorso di Teucro (cfr. anche v. 30 0 fortes peioraque
sibili, ma la seconda è preferibile, sia perché il nesso finire labores è più efficace di passi) presenta punti di contatto con quello rivolto da Enea ai compagni in Aen. 1,
mollire labores sia perché mollis è aggettivo adatto al vino (Vere. georg. 1, 341 mollis- 198 sg. o socii —neque enim ignari sumus ante malorum— | o passi graviora, dabit deus
sima vina). Inoltre il vocativo del destinatario, collocato all’interno del nesso molli his quoque finem. Probabilmente Virgilio ha presente l’ode di Orazio: il contrario è
mero, ha un effetto stilistico notevole: il nome di Planco è inserito fra le dolcezze del improbabile, data la cronologia piuttosto alta dell’ode, e che tutti e due abbiano un
vino, in un’ode in cui il tema del vino è d’importanza centrale. modello comune è pure improbabile, tanto precise sono le coincidenze. In conclu-
vv. 19-20 seu-tenebit: la differenza dei tempi verbali farebbe pensare che Planco sione, Orazio ha agito da modello intermedio fra Virgilio e Od. 12, 203 sgg., il passo
x
tenga attualmente un comando militare, e che per il futuro si auspichi un suo ritorno omerico che è imitato nel discorso di Enea.
a Tivoli (cfr. nota introduttiva). Fulgentia signa si riferisce al luccichio delle insegne v. 27 Teucro — Teucro: allusione alla formula solenne ductu auspicioque alicuius (cfr.
dell'esercito romano, ornate d’oro e d’argento: cfr. Liv. 33, 10, 2 omnia circa iuga l’iscrizione in Pin. nat, hist. 3, 136 quod eius ductu auspiciisque gentes Alpinae omnes
signis atque armis fulgere. ...sub imperium p.R. sunt redactae). La ripetizione del proprio nome, che incornicia
la formula, aumenta l’enfasi,

1
vv. 20-21 densa...umbra: l'ombra di Tivoli, a cui l’iperbato e l’enjambement dànno
particolare rilievo, si oppone al luccichio delle insegne militari, secondo una antitesi v. 28 certus: attributo adatto ad Apollo, il dio infallibile nel pronunciare gli ora-

ni
tradizionale, che scolpisce il contrasto fra vita attiva e vita contemplativa: cfr. Cic. coli; forse c'è dietro l'epiteto omerico wypspris (Od. 4, 349).
Mur. 30 cedat...stilus gladio, umbra soli; Brut. 37; leg. 3, 14. v. 29 ambiguam: con fotte effetto di contrasto rispetto a certus del verso precedente
vv. 21-22 Teucer fugeret: Teucro, figlio del re dell’isola di Salamina Telamone, (nella stessa sede). La nuova patria avrà lo stesso nome della precedente, e sarà tale

Abad ivan
fratello di Aiace, al suo ritorno dalla guerra di Troia non fu ricevuto dal padre, il perciò da generare confusione. Non c’è, come vuole un’altra interpretazione, allu
quale gli rimproverava di non aver impedito il suicidio del fratello e di non averne sione all’ambiguità della lingua degli oracoli, perché ciò creerebbe una incongruenza
vendicato la morte, contro Ulisse. Lasciata la patria, egli fondò una nuova Salamina con l’attributo certus riferito ad Apollo.
a Cipro: cfr. Hom, Il. 8, 266 sgg.; 12, 370 sgg.; Pausan. 1, 23, 8; 28, 11; sch. SoPH. v. 32 iterabimus indica qui il solcare di nuovo. È termine del lessico agricolo
Ai. 342 sgg. e 1019. (« arare per la seconda volta »: cfr. VARR. rust. 1, 29, 2; Cic. de orat. 2, 131; Corum.
vv. 22-23 uda— tempora: cfr. Tris. 1, 2, 3 multo perfusum tempora Baccho, dove il 2, 4, 4), e appartiene al campo delle metafore agricole applicate alla navigazione: arare
vino è indicato pure per metonimia. In questo caso, Bacco è ricordato con l’epiteto (Vere. Aen. 2, 780 etc.), sulcare (Vero. Aen. 5, 158 etc.).

di
5
512 Orazio Odi I 8, 1-11 513

8 Per l’espressione cfr. sat. 1, 7, 33 sg.; epist. 1, 7, 94 sg.; per la collocazione di te fra
omnes e deos cfr. PLaut. Capt. 977; Ter. Andr. 538; 834; Vero. Aen. 12, 56 sge. La
CasToRINA, 195 sgg.; H. Dierz, « Latomus » 34, 1975, 745 sgg. solennità formulare dà alla preghiera un’enfasi scherzosa.

In quest'ode, sviluppo di una situazione epigrammatica, Orazio si rivolge a una Sybarin: il nome ricorda allusivamente la lussuria e l’amore per la vita oziosa che
donna di nome Lidia, rimproverandole, con tono scherzosamente supplichevole, di resero famosi gli abitanti dell'omonima città e che portarono quest’ultima alla deca-
provocare la rovina del giovane Sibari, il quale, tutto preso da lei, ha abbandonato denza (cfr. AtHEN. 518c sgg.). In età augustea circolava una raccolta di poesie (o
la corsa atletica e altre attività tradizionalmente virili. L’incompatibilità fra l’amore racconti) di contenuto lascivo, dal titolo Sybaritica (cfr. Ov. trist. 2, 417).
e l’attività sportiva era topica nella commedia (cfr. PLauT. Bacch. 428 sg. ibi cursu luc-
tando hasta disco pugilato pila | saliendo sese exercebant magis quam scorto aut saviis; Most. vv. 3-4 apricum...campum: il campus (cfr. ars 162 aprici...Campi) è, per anto-
149 sgg. cor dolet quom scio ut nunc sum atque ut fui, | quo neque industrior de iuventute nomasia, il Campo Marzio, contiguo al Tevere, ritrovo abituale di chi praticava atti-
erat | *** arte gymnastica: | disco, hastis, pila, cursu, armis, equo / victitabam volup) e nel- vità sportive (cfr. SrraB. 5, 3, 8).
l’elegia (cfr. Prop. 2, 16, 33 sg. tot iam abiere dies cum me nec cura theatri | nec tetigit campi). v. 5 militaris è4 accusativo riferito ad daequales («i commilitoni ») piuttosto che,
Ma l’ode non è soltanto la variazione su un topos ellenistico, un rtyviov ales- come vogliono alcuni, nominativo con funzione predicativa. Il riferimento è alle exer-
sandrineggiante, o, come è sembrato a qualcuno, poco più che una fredda esercita
citationes campestres equorum et armorum (Suet. Aug. 83).
zione letteraria: essa è soprattutto un quadro di vita romana, e in tal senso giusta»
mente è stata accostata al c. 55 di Catullo, in cui è descritta l’affannosa ricerca di vv. 6-7 Gallica...ora cioè ora equorum Gallicorum: sappiamo da STRAB. 4, 4, 2 che
Camerio, il quale, anche lui come il Sibari di 1, 8 irretito da un amore, non frequenta la Gallia forniva alla cavalleria romana i migliori cavalli.
più il Campo Marzio né le altre sedi dell’attività sportiva. Non bisogna chiedere a
quest’ode altri significati: non è un carme della gelosia, nato dalla passione autentica iupatis.. .frenis cioè freni con punte molto aguzze, simili ai denti di lupo (cfr, Serv.
di Orazio per Lidia (Castorina), nemmeno un discorso sulla forza distruttiva del- georg. 3, 208). Cfr. anche Ov. am. 1, 2, 15; trist. 4, 6, 4; PLUT. mor. 641 f.
l’amore (Dietz). v. 8 flavum— tangere: per l’epiteto flavus riferito al Tevere cfr. nota a 1, 2, 13. Per
Quanto ai destinatari, è difficile stabilire se siano reali o fittizi: sicuramente, i i bagni nel fiume cfr. 3, 7, 27 sg.; 3, 12, 7; Cic. Cael. 36. Il nuoto era considerato non
nomi sono inventati (cfr. note al v. 1). soltanto un'attività sportiva, ma anche un esercizio di addestramento militare: cfr.
Al blocco unitario dei primi 12 versi, contenenti la scherzosa supplica a Lidia, PLur. Cato mai. 20, 4; Vee. mil. 1, 10.
seguono i 4 versi dell’exemplum mitologico di Achille a Sciro, che rappresenta una
sorta di pointe epigrammatica. olivum: l’olio d'oliva con cui si ungevano i lottatori per sfuggire alla presa dell’av-
Nessun indizio cronologico. versario e, in generale, gli atleti prima di ogni esercizio in palestra. Indica dunque,
Metro: strofe saffica maggiore. per metonimia, l’atletica: cfr. CaruLL. 63, 64 ego gymnasi fui flos, ego eram decus olei.

v. 1 Lydia: la collocazione del vocativo del destinatario all’inizio dell’intera ode sot- v. 9 sanguine viperino: Sibari evita l’olio d’oliva come se si trattasse del sangue di
tolinea il tono di scherzosa supplica. La predilezione di Orazio per questo nome, vipera, ritenuto un veleno potentissimo: cfr. epod. 3, 6 sg.; PLIN. nat. hist. 11, 279.
che torna in 1, 13, in 1, 25 e in 3, 9, ad indicare probabilmente donne diverse, si
vv. 10-11 livida — bracchia: secondo alcuni, le braccia recano i lividi causati dalla
deve alla sua carica allusiva. Nome esotico, capace di evocare la lussuria dei popoli
pesantezza delle armi, in senso proprio (in particolare, della corazza, come in Prop.
orientali, esso era stato reso celebre dalla Lydia di Valerio Catone, ed è anche il titolo
4, 3, 23 num teneros urit lorica lacertos?); secondo altri, le armi sono i rudes, le verghe
alternativo delle Dirae pseudovirgiliane. Secondo un’interpretazione, Orazio in que-
usate dai soldati per esercizio schermistico; secondo altri ancora, si tratta degli attrezzi
sto contesto può voler alludere ad Omfale, principessa della Lidia, che fece rammol-
sportivi, a proposito dei quali però sarebbe eccessivo parlare di lividi (troppo sottile
lire Ercole al punto da costringerlo a filare la lana: cfr. Prop. 3, 11, 17 sgg.
l’interpretazione di livida = « del colore nero-azzurrognolo delle vene che si gonfiano
v. 2 te-oro: la variante te deos oro è senz'altro superiore a hoc deos vere, dove vere nello sforzo »: Ussani). È difficile decidere; di sicuro, c'è una sovrapposizione fra
sa di riempitivo, e a hoc deos oro, che sembra nata da contaminazione delle altre due. attività sportiva e militare (cfr. nota al v. 8).
514 Orazio Odi I 8, 11 - 9 515

v. 11 disco: il lancio del disco è una specialità sportiva greca, importata tardi a finale dell’appuntamento d'amore all'aperto, che è sembrata incompatibile con il clima
Roma; Orazio ne parla anche in sat. 2, 2, 13; ars 380. invernale presupposto dalla prima strofe. Ma la difficoltà è senz’altro eliminabile (e
senza dover ricorrere ad ipotesi arzigogolate: cfr. note di commento), se nel nunc del
v. 12 expedito si riferisce sia a disco sia a iaculo, e indica la sicurezza del lancio, che v. 18 cogliamo non una determinazione temporale, ma un riferimento all’‘oggi’ epi-
non conosce ostacoli e arriva il più lontano possibile, oltre il segno della massima cureo, al presente che va vissuto senza dilazioni, e che nella situazione specifica di
distanza (in Hom, Od. 8, 192 il disco èréprrtato omuara). quest’ode si identifica con la giovinezza. La riflessione su questo importante motivo
v. 13 quid latet: l’ode si conclude con un exemplum mitologico, quello di Achille epicureo è al centro dell’ode, e prepara il passaggio dall’oppressiva atmosfera inver-
a Sciro. Secondo una tradizione postomerica (che risale forse ai Cypria, che era atte nale dell’inizio alla vivacità dell'ultima scena. Il mutamento di paesaggio e di atmo-
stata negli Skyrioi di Euripide, e che ebbe fortuna presso gli alessandrini: cfr. Brion. sfera corrispondono, a loro volta, ad un mutamento dello stato d’animo del poeta,
2, 15 sg.; Ov. met. 13, 162 sgg.; trist. 2, 411 sg.), Teti, sapendo che una morte pre» dalla tristezza causata da una giornata invernale alla serenità e alla letizia. Il fatto che
matura attendeva il figlio, lo aveva nascosto tra le figlie del re Licomede a Sciro, il paesaggio invernale rappresenti in 1, 9 uno stato d’animo determina lo spazio del-
vestito di abiti femminili (cfr. ApoLLop. 3, 13, 8). l'assoluta originalità dell’elaborazione oraziana rispetto al suo modello, Ac. fr. 338
L.-P. der uîv è Zeùc, tx T'opdvw uéyas / yeluov, rerdyaov SÙddTttv dba *** xd Bard
vv. 13-14 marinae — Thetidis: Teti, figlia di Nereo, era una ninfa del mare; forse qòv yeluwv, éTi puèv rider / dp èv SÌ xépvats oîvov dperdécg / pertypov... (« piove Zeus,
l’espressione è un epicismo (cfr. Hom. Il. 24, 84 &Qar dex; Eur. Andr. 108 maîg una grande tempesta scende dal cielo, i corsi d’acqua sono gelati... scaccia l'inverno
dMag ®étdoc); in ogni caso, la designazione di Achille come filius marinae Thetidis ponendo legna sul fuoco, mescendo generosamente dolce vino »). Orazio varia il
appartiene al registro solenne. modello alcaico introducendovi elementi tipicamente romani e, soprattutto, riviven-
v. 16 cultus in riferimento al modo di vestire e di vivere: cfr. Ov. met. 13, 163 dis dolo con una nuova sensibilità che lo porta, come dicevamo, a fare del paesaggio
simulat cultu natum (a proposito di Achille a Sciro). invernale uno stato d’animo (Pasquali) e, quindi, una metafora, un simbolo (Wil
kinson, Péschl), anche se è eccessivo attribuire a tale paesaggio un carattere di fin-
Lycias...catervas: i Licii, guidati da Glauco e da Sarpedonte (Hom. Il. 2, 876), zione letteraria e di ‘cartolina natalizia’ (Nisbet-Hubbard). Ricordiamo inoltre che
essendo alleati dei Troiani indicano qui, per metonimia, i Troiani stessi. Il contesto buona parte della critica più recente tende a scorgere ‘nell’ode una trama di simboli,
epicizzante di quest’ultima strofe risulta particolarmente ironico, data la spropor- con evidenti forzature e sovrapposizioni ai reali intendimenti del testo (cfr. note di
zione fra l’eroe omerico e il giovane amico di Lidia, fra lo stratagemma di Teti e le
commento).
arti seduttrici di Lidia, fra la guerra di Troia e le esercitazioni sul Campo Marzio.
La struttura è secondo alcuni bipartita, secondo altri, più verosimilmente, tri-
partita: nei vv. 1-8 è descritto il paesaggio invernale, i vv. 9-18 contengono l’esor-
tazione e la riflessione gnomica, i vv. 18-24, ispirati a scene della vita galante della
9 capitale, descrivono gli appuntamenti d’amore. Un'interpretazione vede in questa
struttura a trittico i tre gradi della filosofia consolatoria di Orazio: l'inverno, l’ango-
Pasquali, 75 sgg.; WiLxinson, 129 sgg.; FRAENKEL, 176 sgg.; M.G. Stiels, scia, la vecchiaia (Péschl).
« Phoenix » 12, 1958, 166 sgg.; Commacer, 269 sgg.; PòscHL, 30 sgg.; G.J. SULLIVAN, Sul destinatario, Taliarco, non sappiamo nulla: può darsi che si tratti di un
« Amer. Journ. Philol. » 84, 1963, 290 sgg.; F. CupatuoLo, « Riv. st. class. » 13, 1965, amico del poeta di origine greca, o che sia un personaggio inventato, o, infine, un
278 sge.; LA Penna 1968, 98 sgg.; B. OtIs, « Arion » 9, 1970, 145 sgg.; L.A. MACKAY, personaggio reale con un nome fittizio. Thaliarchus, sia che venga legato etimologica»
« Class, Philol. » 77, 1977, 316 seg. mente a Dada, « festività » oppure « banchetto » (quindi, «re della gioia » o «re
del convito ») sia che venga connesso a 941%, « fiorire » (quindi, « nel fiore degli
Fra le più note odi di Orazio, è anche una fra le più discusse, e ha suscitato giu- anni »), sembra un nome coniato in rapporto al contesto dell’ode.
dizi molto divergenti fra loro, fino a vere e proprie stroncature da parte di insigni Non vi sono indizi cronologici, anche se l’ispirazione alcaica e una certa affinità
critici: Fraenkel imputava all’ode mancanza di unità, vi scorgeva incongruenze, rim- con l’epodo 13 possono orientarci verso una cronologia alta.
proverava al poeta di non avervi saputo amalgamare l’elemento alcaico e quello ales-
sandrino, ambedue presenti. L’incoerenza più grave sarebbe rappresentata dalla scena Metro: strofe alcaica.
516 : Orazio Odi I 9, 1-11 517

v. 1 alta— candidum: l’uso del verbo stare suggerisce un’idea di rigida imponenza, ndizio del carattere assolutamente fittizio dell’ode, la quale potrebbe essere stata
e contribuisce a darci l’immagine del Soratte, che il Tevere separa dagli altri monti scritta anche in piena estate (!). Altri hanno risposto che un tipo di focolare non do-
della Sabina, nel suo immobile isolamento (cfr. 3, 3, 42 stet Capitolium). Ma i commen- veva essere impossibile e che, in ogni caso, è un errore valutare una situazione poe-
tatori antichi, e alcuni fra i moderni, spiegano stet nel senso di ‘esser colmo’: stare tica con un atteggiamento iper-realistico. Per super con ablativo di luogo cfr. 1, 12,
avrebbe allora il significato che ha in ENN. ann. 612 Sk. stant pulvere campi, e in VErG. 6; epod. 7, 3.
Aen. 12, 407 pulvere caelum stare (cfr. anche Sisenn. hist. 130 P. caelum caligine stat).
v. 6 large benignius: rispetto al modello alcaico, l’espressione è meno forte, ma
Ma il nesso nive candidum è attestato anche in 3, 25, 10 sg. nive candidam | Thracen. più curata nei particolari. In reponens il prefisso re- non indica, come pensano alcuni,
Per alta nive cfr. epod. 6, 7 per altas...nives; Vere. georg. 1, 310 cum nix alta iacet. un'azione ripetuta (« una e due volte »), ma il porre la legna nel punto richiesto. Per
v. 2 Soracte: il monte Soratte, successivamente chiamato Monte S. Silvestro o S. benignius cfr. Varr. Men. 461 Ast. ipsum avide vino invitari poclis large atque benigne
Oreste, si trova nell'antico territorio dei Falisci, 37 km. a nord di Roma, ed è visi (large et benigne è dunque una locuzione, che Orazio scinde, riferendo i due avverbi
bile da più di un luogo della città, Era associato ad Apollo (cfr. Vere. Aen. 11, 785 a due azioni diverse).
sancti custos Soractis Apollo) e, pare, al culto dei morti (cfr. Serv. ad l.); ma da ciò
vv. 7-8 quadrimum
— diota: Orazio aggiunge al modello (oîvov...uéMypov) un par-
non bisogna inferire che esso sia in quest'ode un simbolo di morte (Commager). ticolare locale, l’anfora sabina (si noti l’enallage: sabino è in realtà il vino: cfr. 1, 20,
vv. 2-3 nec— laborantes «conviene così bene ai dintorni di Roma, quali erano 1) a due anse, contenente vino di quattro anni. Diota (letteralmente: «a due orec-
in quei tempi, che non c’è bisogno di pensare che i versi di Alceo a noi non conser- chie ») è un grecismo: cfr. AtHEN. 473c. Si osservi la cura dei particolari, la disposi
vati che seguivano dopo ter pèv è Zed... abbiano suggerito ad Orazio quelle parole » zione a incastro delle parole, complicata dall’enallage, la scelta dei vocaboli (se diota
(Pasquali). Il Lazio era infatti nell’antichità molto selvoso (cfr. Dion. Hat. ant. Rom. è un grecismo, anche il particolare del vino di quattro anni è probabilmente un’allu-
1, 37, 2). La fatica sostenuta dalle selve è bene espressa dal ritmo del verso, ricco di sione letteraria: cfr. THEocR. 7, 147; 14, 15 sg.).
sillabe lunghe.
v. 8 o Thaliarche: il vocativo del destinatario (sul nome cfr. nota introduttiva) è
vv. 3-4 gelu— acuto parafrasa le parole di Alceo renkyauow 3° didrvov dba, ma non collocato significativamente al centro delle espressioni che indicano il vino, come già
si tratta, come hanno pensato alcuni, di una « traduzione meccanica » (Ussani), senza della metafora del vino nella filosofia oraziana del-
in 1, 7, 19, data l’importanza
alcun aggancio con una situazione reale. Vero che nell’antichità il Tevere gelava solo l’esistenza.
in casi eccezionali, ma l’inverno cui si riferisce Orazio potrebbe essere stato parti
colarmente rigido, come quello del 399 a.C., ricordato da Liv. 5, 13, 1, o quello del v, 9 permitte — cetera: da questa strofe in poi la riflessione si stacca dalla situazione
270 a.C. (su cui cfr. Aus. civ. 3, 17). Inoltre, flumina (come del resto géar in Alceo) concreta, e tende a diventare più generale. L’esortazione (mapatveoic) proviene dalla
si riferirà, più probabilmente che al Tevere, ai tanti modesti corsi d’acqua che i Ro- lirica greca, non solo da Pindaro, ma già da Alceo. A qualcuno l’accenno agli dei è
mani chiamavano flumina o amnes (cfr. Cic. nat. deor. 3, 52). Ciò non esclude una sembrato in contraddizione con la morale epicurea; ma la divinità è qui presentata
cetta stilizzazione letteraria: i fiumi gelati sono un elemento convenzionale dei pae- come forza soprannaturale e misteriosa che regola gli eventi naturali e la vita umana.

| ii MORA
MN
saggi invernali (cfr. Vero. georg. 1, 310; 4, 135). Per constiterint cfr. ENN. var. 12 V?
constitere amnes perennes. Acuto può voler dire « pungente » (riferito al freddo), o, vv. 9-11 qui-deproeliantis: la tempesta che gli dei placano (ma si noti la forza di
stravere), la furia dei venti in lotta fra loro (per deproeliantis cfr. 1, 3, 13 e nota; si
secondo un’ipotesi prospettata da Porfirione e accettata da Plessis, « acuminato »,
« quod fractum velut vitrum acutum sit » (in riferimento ai ghiaccioli appuntiti). noti il rilievo dato alla lunga parola, che occupa più di metà del verso) cui subentra
una calma silenziosa, non hanno niente a che vedere con la situazione descritta nella
v. 5 dissolve frigus: espressione più stemperata rispetto al modello (x&BBaXMe tèy prima strofe: qui lo scenario naturale, anche se richiama l’inverno dell’inizio, ha un
yeiuwv), ma che bene rientra nella metafora, cara a Orazio, del freddo come rigidità valore paradigmatico, come si conviene ad un contesto parenetico. Altri, sulla base
(cfr. 1, 4, 1). del confronto con epod. 13, pensano che questa sia una situazione topica della poesia
super foco: Bagnani (« Phoenix » 8, 1954, 23 sgg.) ha cercato di dimostrare che simposiaca (Nisbet-Hubbard). C'è anche un’interpretazione simbolistica che nella
la presenza del focolare era impossibile nell’architettura delle case romane: questo quiete subentrata alla bufera vede la pace della morte: sternere ha infatti anche il
particolare, quindi, non avrebbe alcun valore di riferimento alla realtà, e sarebbe un significato di ‘seppellire’ (Commager).
518. © Orazio Odi I 9, 11 — 10 519

vv. 11-12 nec—orni: ancor più di quelle dei versi precedenti, quest'immagine è stata rappresenterebbero due situazioni diverse, e, se gli esercizi sportivi si svolgono al
considerata simbolicamente allusiva alla morte (Wilkinson, Commager), dato l’uso l’aperto, non così gli appuntamenti d’amore (Péschl). Ma è difficile staccare compo-
funerario dei cipressi e l’associazione degli orni alla morte (sui cipressi cfr. VERG. sita hora da repetantur: l’espressione composita repetantur hora si riferirà a tutti e tre
Aen. 6, 216; Serv. Aen. 3, 64; Pin. nat. hist. 16, 33, 140; sugli orni cfr. 3, 27, 58; i soggetti, e le piazze e il Campo saranno luoghi d’appuntamento per gli innamorati.
Ver. georg. 2, 111). Ma questi alberi sono ricordati o per indicare qualsiasi specie Gli appuntamenti all'aperto non sono impossibili d’inverno, ma, in ogni caso, nunc
di alberi, secondo un’abitudine oraziana (Péschl), o perché, a causa della loro altezza, non vuol determinare la stagione, ma si riferisce all’oggi epicureo, opposto al cras
sono più colpiti dal vento, e la loro immobilità quando la tempesta è cessata dà la del v. 13 (cfr. nota introduttiva), e l’oggi, per Taliarco, si identifica con la giovinezza.
impressione dell’assoluta quiete. Sul Campo Marzio cfr. nota a 1, 8, 4.
vv. 21-22 latenti s
— angulo: la risata che proviene dall’angolo più appartato (di un
vv. 13-15 — appone:
quid con questa strofe entriamo nel cuore della morale epicu-
portico più probabilmente che di un appartamento, dato il riferimento precedente
rea: cfr. Epicur. Gnomol. Vat. 14 où St oòx dv tig adprov xipios dvaBàXiy Tò yaîpoy;
alle piazze come luogo d’incontro), rivelando la presenza della fanciulla nascosta, dà
fr. 245 Arr. è qîig abpiov fiore Sebuevog Hiota picco. pds riv adbpov. Si tratta di
a questa strofe finale una leggerezza e un brio che segnano il completo mutamento
un motivo centrale della riflessione di Orazio, che lo svolge anche in 1, 11; 3, 29,
29 sge.; epist. 1, 4, 12 sgg.; 1, 11, 22 sgg. di tono: l'oppressione angosciosa dell’inizio si è stemperata fino a questa sorridente
scena d’amore e di giovinezza. Si noti la disposizione delle parole: nel v. 21 i tre ag-
v. 14 quem — cumque: tmesi (cfr. 1, 6, 3; 1, 7, 25). Il riferimento alla Fors, che è, gettivi (proditor è in funzione aggettivale), nel v. 22, in sequenza corrispondente, i tre
come la Tiyn greca, una forza ignota, non è in contrasto con gli dei del v. 9, ai quali sostantivi,
hon è attribuito un disegno provvidenziale, ma una volontà che all'uomo appare
v. 24 male pertinaci indica la scarsa resistenza opposta dalla fanciulla per non farsi
arbitrio e caso.
strappare il bracciale o l'anello (ma pertinaci è riferito grammaticalmente solo a digito),
vv. 14-15 lucro appone: tecnicismo, probabilmente dal linguaggio della contabilità. garanzia del suo ritorno dall’amante. Male appare nel significato equivalente a parum
Ma la metafora del tempo come guadagno doveva essere comune (cfr. PLauT. Merc. e vicino a non, come in epist. 1, 19, 3 male sanos; sat. 1, 9, 65 male salsus; 2, 5, 45 male
553 se.; Ter. Phorm. 251; Cic. fam. 9, 17, 1), così come è diffusa anche nella cultura validus. Si tratta di un uso diverso da quello di male come rafforzativo di un signifi-
moderna (si pensi al « Time is money » di Benjamin Franklin). cato negativo (cfr. 4, 12, 7 male barbaras; sat. 1, 3, 45 male parvus; 1, 4, 66 rauci male),
invocato per spiegare questo verso da alcuni interpreti, per i quali male pertinaci indi
v. 16 puer predicativo del soggetto, col significato di ‘ finché sei giovane’, come in
cherebbe una resistenza ad oltranza, fino alla lotta: interpretazione da respingere, per-
epist. 1,-2, 67 sg.
ché distruggerebbe l’unità del tono leggero di questa strofe sugli scherzi d’amore.
choreas: le discussioni su questo riferimento alle danze (se cioè sia Taliarco stesso L'idea di una resistenza per gioco meglio si associa a quella del nascondiglio, con-
a ballare, o si limiti a condurre le danze) trascurano il fatto che qui, come in 1, 4, 7, tenuta nei versi precedenti.
la danza è soprattutto espressione concreta della gioia di vivere e, quindi, metafora
di un modo pagano di sentire la vita nella sua corporeità. 10

vn ivintr
v. 17 virenti canities: le due parole si oppongono con una forza accentuata dall’ac-
R. Rerrzensten, Zwei religiongeschichtliche Fragen, Strassburg 1901, 69 sgg.; Pa-
costamento; ma non è il caso di esagerare l’importanza simbolica di questo contrasto
squati, 63 sgg.; FRAENKEL, 161 sgg.; W. FauTH, « Gymnasium » 69, 1962, 12 sgg.;
fra il bianco-grigio (della neve, dell'inverno, della vecchiaia) e il verde (dei cipressi,
C. Lo Cicero, « Pan » 7, 1981, 99 sgg.; F. Carrns, « Quad. Urbin. cult. class. » 42,
della giovinezza) (Péschl).
1983, 29 sge.
vv, 18-19 nunc- susurri: la scena degli appuntamenti galanti all’aperto (nel Campo

i DIL Amm
Porfirione definisce quest'ode hymnus in Mercurium ab Alcaeo lyrico poeta. La
Marzio) è sembrata incorigruente rispetto al resto dell’ode, che sembra ambientata
in inverno (Fraenkel: cfr. nota introduttiva). Varie soluzioni sono state proposte per strofe iniziale dell'inno alcaico in questione (fr. 308 L.-P.) è citata da Efestione (ench.
14, 1), e da uno scolio a quest’ultimo sappiamo che esso occupava il secondo posto
superare la difficoltà costituita da nunc: l’ode presenterebbe un passaggio delle sta-
gioni dall’inverno all’estate (Sullivan) 0, addirittura, sarebbe ambientata all’inizio nel libro I dell'edizione alessandrina del poeta di Lesbo. Sarà stata la collocazione di
della primavera (MacKay), oppure campus et areae da un lato, lenes susurri dall'altro rilievo, fra l’altro, a spingere Orazio a emulare Alceo, con un’ode composta nello
520 Orazio Odi I 10, 1-6 521

stesso metro dell’inno. Ma dal confronto fra il modello alcaico, il cui contenuto è dal pensiero ermetico e particolarmente cara alla filosofia stoica, nella cui teologia
oggi ricostruibile grazie a Pap. Oxy. 2734 fr. 1, 11-19, emergono differenze significative Hermes viene identificato con il X6y0g (sermo), indipendentemente dalle ascendenze
che sottolineano l'originalità di Orazio, il suo tentativo di emulare Alceo (Cairns). egizie (cfr. Varr. in Aug. civ. 7, 14).
La aemulatio nei confronti di Alceo non esclude il rapporto con altri modelli:
nepos Atlantis: Mercurio era figlio di Giove e di Maia, figlia di Atlante: cfr. Hes.
la descrizione, nella terza strofe, del furto dei buoi risente, per esempio, del gusto
theog. 938. L’accenno alla discendenza era un elemento fondamentale negli inni d’in-
alessandrino, anche se, a quanto pare, l’episodio era narrato già in Alceo (cfr. Por-
vocazione, e ha il primo posto fra le regole dei retori. Ma in Orazio il yévog è trat-
PHYRION. ad 1, 10, 9 sgg.; PausanN. 7, 20, 4). In generale, è stato osservato che, se
tato in modo singolare, come dimostra il confronto con l’inizio del carme di Alceo
l'argomento dell’ode è alcaico, lo spirito è alessandrino (Reitzenstein, Pasquali). Si
che quest'ode ha come modello (cfr. nota introduttiva): fr. 308, 3 sg. L.-P. Mata
può pensare anche all’influsso della teologia stoica, soprattutto per quanto riguarda
yiwaro Kpovida piyetca / rauBaotAmi. Orazio invoca non il figlio di Zeus, ma il nipote
l’identificazione di Mercurio con il X6y0g; inoltre, anche se la componente retorica
di Atlante: « per il Titano egli ha più riverenza che per l’olimpio, più per il rampollo
dell’ode non va esagerata, Orazio ha tenuto conto della precettistica che regolava la
della stirpe antichissima che ha donato agli uomini la ragione e il vivere sociale, che
composizione di un inno d’invocazione a una divinità (Upvoc xAntixéc), a noi nota
non per il figlio di Giove » (Pasquali). Alla stirpe dei Titani appartiene infatti Pro-
da MENANDR, rhet. gr. 3, 360 Sp.
meteo, benefattore dell'umanità, e lo stesso Atlante, secondo una tradizione, aveva
La struttura è condizionata dallo stile innico: tutte le strofe sono infatti legate
inventato l'astronomia (Virruv. 6, 7, 6). Se è così, l’accenno alla discendenza da
fra loro dall’anafora del pronome di seconda persona, e d’altra parte ciascuna è com-
Atlante introduce la caratterizzazione, immediatamente successiva, di Mercurio come
piuta in sé. È quindi difficile, e forse non è nemmeno molto importante, individuare
dio civilizzatore.
gruppi strofici strutturalmente significativi.
Proprio la fluidità e l'armonia della struttura, assieme all'indipendenza mostrata vv. 2-4 qui— palaestrae: Mercurio viene presentato come colui che ha fatto dono
nei confronti del modello alcaico, hanno spinto qualcuno a collocare quest’'ode fra agli uomini del linguaggio e come l’inventore della ginnastica, così come in DioDor.
quelle della maturità (cfr. Pasquali); ma, a parte l'argomento stilistico, mancano in- 1, 16, 1. Sul linguaggio come elemento di civilizzazione cfr. sat. 1, 3, 103 sg.; Cic. de
dizi precisi. Recentemente è stata proposta una datazione negli anni dopo Azio, come orat. 1, 33; nat. deor. 2, 148. Il dio era protettore dell’atletica, e la sua statua veniva
conseguenza di una interpretazione complessiva che vede adombrata in 1, 10 la stessa posta spesso nei gymnasia; a ciò è legato l’epiteto èvayéwog (cfr. AescH. fr. 384 N°; Pinp,
identificazione Mercurio-Ottaviano che è resa esplicita in 1, 2 (Lo Cicero). Si tratta OL. 6, 79; Pyth. 2, 10; Cic. Verr. 5, 185 teque, Mercuri, quem Verres in domo et in prie
di un'ipotesi suggestiva, anche se il significato più profondo dell’ode rimane sfug- vata aliqua palaestra posuit). In PumtLostRAT. imag. 2, 32 Palaestra è figlia di Hermes.
gente. La maggior parte dei critici si pronuncia, anche recentemente (Fauth), per una v. 3 catus: parola sabina, secondo Varr. ling. 7, 46 cata acuta, hoc enim verbo dicunt
definizione di essa come un semplice esercizio letterario, mentre alcuni (specialmente Sabini. Cfr. anche 3, 12, 10; epist. 2, 2, 39.
Kiessling-Heinze) sottolineano i legami fra Orazio e Mercurio, ai quali si accenna Alceo (fr. 308, 1 sg. L.-P. cè ydp por
v. 5 te canam corrisponde alla formula che
anche in 2, 7, 13 sg. (Orazio salvato dal dio a Filippi), in 2, 17, 27 sge. (il poeta defi-
9o0g Uuvnv) trae dagli inni omerici (formule tipiche sono &copat, delcopai, dpyou”
nisce se stesso vir Mercurialis) e in sat. 2, 6 (prega Mercurio di rendergli prospera la
&etdew). L'uso del pronome di seconda persona, qui posto in rilievo all’inizio della
proprietà sabina): ma nel primo caso si tratta di una parodia omerica, nel secondo
strofe, e d'ora in poi ripetuto nel primo verso di ogni strofe successiva, rientra nello
caso di una allusione astrologica, nel terzo caso il riferimento è a Mercurio come
stile della preghiera (NorDEN, Agnostos theos, 149 sgg.). Fra le attestazioni poetiche
dio del profitto (cfr. Fraenkel).
latine, basti ricordare Lucr. 1, 6 sgg.
Metro: strofe saffica.
v. 6 nuntium: Mercurio-Hermes è il messaggero degli dei, secondo una tradizione
v. 1 facunde: traduzione dell’epiteto A6ytog, proprio di Hermes, la divinità greca antichissima: cfr. Hom. Od. 5, 29; Hrs. theog. 939; hymn. Merc. 3.
con cui si identifica Mercurio. La definizione di Hermes quale dio della parola appar- curvae — parentem: parens è qui adoperato nel senso di ‘inventore’, come rwtip in
tiene non al culto religioso più antico, ma alla filosofia, ed è attestata a partire da Pla- Pinp. Pyth. 4, 176 sg.; Prar. Phaedr. 275a, e, per un calco sull’uso greco, Cic. fin. 2,
tone. Questi, facendo derivare, in Crat. 408 a sgg., il nome del dio da etpetv Eunoxro, 1 Socrates. ..parens philosophiae; Tim. 40. Sull’invenzione della lira, ricavata da una
sembra conoscere l’assimilazione di Hermes al dio egiziano Theuth, inventore del testuggine, cfr. il già citato inno pseudo-omerico, nei vv. 24 sgg. La lira è curva, cioè
linguaggio e della scrittura, sicuramente nota a Ecateo (in Diopor. 1, 16), sviluppata « concava »: cfr. 3, 28, 11.
522 ‘ Orazio Odi I 10,7 - 11 523

vv. 7-8 callidum...furto: nella mentalità greca arcaica il furto è un’azione normale, vv. 17-18 pias— sedibus: si noti l'accostamento di pias e laetis: la gioia dei Campi
e l'epiteto xAéremyg riferito a Mercurio (e molti altri analoghi: cfr. Hom. Il. 24, 24; Elisi è destinata ai pii. Sulle sedi dei beati come luoghi di letizia cfr. Verc. Aen. 6,
Od. 19, 395 sgg.; hymn. Merc. qua e là) ha tradizioni così antiche che Orazio non può 638 devenere locos laetos. Reponis ha il significato di ‘ collocare nel luogo adatto’ (cfr.
fare a meno di ricordarlo, non senza però un certo imbarazzo, che dissimula « pren nota a 1, 9, 6). Secondo un’altra interpretazione, il verbo ha l’accezione di ‘ricon-
dendo in ischerzo ciò che non può tacere » (Pasquali). Anche in PrmnosTRAT. imag. durre’ le anime alla loro sede d’origine, in accordo con alcune dottrine relative alla
1, 26 il dio è ladro per gioco, in quanto burlone. preesistenza dell'anima (orfismo, pitagorismo, ermetismo, nuovo stoicismo).

vv. 9-12 boves + Apollo: secondo il già ricordato inno pseudo-omerico a Mercurio vv. 18-19 virga...aurea: il caduceo, il tradizionale bastone con attorno due serpenti
(v. 20 sgg.) il dio rubò le vacche ad Apollo il giorno stesso della nascita (cfr. v. 10 annodati: cfr. Hom. Il. 24, 343; Od. 24, 2 sgg.; hymn. Merc. 529 sg.; Vera. Aen. 4,
puerum); non vi si fa cenno però, almeno nella redazione a noi nota, al furto della 242 seg. Questa verga era d’oro, dal che deriva al dio l'epiteto di ypuodppariw che ha
faretra. L'episodio, nella versione narrata da Orazio, completo del particolare della nell’Odissea (5, 87; 10, 277; 10, 331) e in Pinp. Pyth. 4, 178. i
faretra, doveva trovarsi in Alceo (se dobbiamo credere a Porfirione ad 1.: fabula haec
levem-turbam si riferisce a tutta. quanta la folla delle ombre, ma coerces, in parti-
ab Alcaeo ficta), il quale a sua volta doveva dipendere da una tradizione anteriore,
colare, fa pensare alle anime dei malvagi, trattate come il gregge dal pastore. Levis
conservata negli scolii AB ad Hom. Il. 15, 256. Comunque, se pure Orazio dipende
allude all’inconsistenza delle ombre e, per estensione, di tutto l’oltretomba: ricor-
da Alceo, non è alcaica la grazia ellenistica con cui, nel breve giro di una strofe, sono
diamo che per Orazio il mondo dell’aldilà si configura come evanescente illusorietà
racchiusi tutti gli elementi della narrazione; non può che essere oraziana la luminosa,
(cfr. nota a 1, 4, 16).
inattesa leggerezza del riso di Apollo nel v, 12.
vv. 19-20 superis — imis: Hermes-Mercurio ha funzione di mediatore fra le divinità
v. 10 per— amotas: l’espressione rinvia al linguaggio giuridico, al concetto di dolus dell'Olimpo e quelle degli inferi: cfr. hymn. Merc. 572; ArscH. Coeph. 124; ApoLLon.
malus e all'uso di amoveo nelle definizioni del furto (cfr. Garum inst. 3, 195; ULPIAN. 3, 10, 2. Questo cenno finale sembra riflettere la saggezza oraziana, la morale aristip-
dig. 29, 2, 71,6; 47,9, 3, 5). pea dell’uomo «che comprende la vita in tutta la sua varietà e sa adattarvisi » (La
Penna). Suggestiva l’interpretazione secondo cui « l'armonia cosmica sintetizzata dalla
vv. 13-16 quin-—fefellit: in questa strofe è illustrato un altro epiteto di Hermes-
figura dello psychopompos non è differente dalla pax Augusta, da quell’accordo fra dèi
Mercurio, quello di ‘iyeuévioc (duce te), esemplificato attraverso l’episodio omerico
tutti ed uomini permesso dalla pietas di questi » (Lo Cicero).
(Il. 24, 333 sgg.) in cui Hermes, per volere di Zeus, conduce, senza farsi riconoscere,
Priamo fino alla tenda di Achille, guidando egli stesso il cocchio, ed eludendo la sor-
veglianza dei Greci (fefellit).
11
v. 14 dives: Priamo aveva tutta la ricchezza di un re orientale (cfr. Hom. Il. 6, 14;
18, 288 sg.); ma qui l'attributo si riferisce, in particolare, ai ricchi doni che egli portò
Commacer, 273 sg.; CASTORINA, 98 sgg.; O. Branco, « Atene e Roma » 7, 1962,
ad Achille per riscattare la salma di Ettore (Il. 24, 544 sgg.).
158 sgg.; A. TRAINA, « Riv, filol. class. » 101, 1973, 5 sep.

ANN
v. 15 Thessalos. ..ignis: l’espressione si riferisce alle sentinelle notturne del campo
di Achille, vigilanti accanto ai fuochi (corrisponde agli omerici puAaxmfpeg di Il. 24, L’ode contiene una variazione, la più celebre, su uno dei temi centrali del mondo
444; 9, 66). Thessalos, detto dei Mirmidoni di Ftia (Tessaglia), come in 2, 4, 10, è con- poetico di Orazio, tanto celebre « da avere acquistato la vita autonoma della cita-

A OMO
cordato per enallage con ignis. zione » (Traina): il carpe diem. È un motivo epicureo, lo stesso sviluppato in 1, 9 e
in 3, 29 (cfr. nota a 1,9, 13 sgg.); così come da Epicuro proviene, in parte, il rifiuto
vv. 17-19 tu- turbam: l’ultima virtà di Hermes-Mercurio ricordata è quella, corri- della mantica e dell’astrologia (cfr. fr. 212 Arr. ’Eruovpetéy tor Siyua dvanpodv civ
spondente all’epiteto tuyorouréc, di accompagnatore delle anime dei morti nell’oltre pavrwehiv siuaputvng ye, quot, rravta xpatobone Tpd xaipod AeXdrimpac sirmdv tiv cULPOPAY,
tomba. Cfr. Hom. Od. 24, 9 sg.; Lucian. dial. deor. 24, 1 (oltre alle testimonianze i yenotév ni simdv tiv MIoviv #ÉfXvovs « epicurea è la dottrina che distrugge la divi
letterarie, esistono a riguardo molte epigrafi funerarie e molte raffigurazioni artistiche, nazione: se la necessità domina su tutto, tu soffri prima del tempo, se predici una
specialmente su sarcofagi). sventura, oppure ti privi della gioia, se predici una cosa piacevole »; fr. 15 Arr.

HAM
524 Orazio Odi I 11, 1-6 525

pavii olo dvurraparic, si xal drraputi, oddtv tao’ Mudo Nyerta tà yuvbueva «la divi. v. 2 nec: per nec come congiunzione introduttiva di una coordinata negativa cfr.
nazione non ha alcuna consistenza reale, e anche se l’avesse bisogna riflettere sul fatto Carutr. 61, 128; 64, 173.
che gli eventi non sono in nostro potere »; cfr. anche Cic. div. 1, 5). Oltre alle ascen-
denze filosofiche, non mancano precedenti letterari: l'invito a godere del presente vv. 2-3 Babylonios...numeros: riferimento ai calcoli astrologici: l'astrologia, che
senza porsi inutili interrogativi sul domani è spesso oggetto dei momenti parenetici veniva chiamata comunemente mathematica, aveva avuto origine a Babilonia, e per-
della lirica (BaccayL. 3, 78 sgg.; Pinup. Isthm. 7, 39 sgg.; cfr. Bianco), e in special ciò, dal nome dei Caldei (dapprima abitanti della Mesopotamia meridionale, quindi
modo di quella conviviale (cfr. Anacreontea 3, 10 sg.; ANTIPATR. THEssALONIC. anth. sacerdoti babilonesi), era spesso chiamata XaXdawh. Molto diffusa nell’ambito della
Pal. 11, 23). Ma non è il caso di postulare un modello comune (un epigramma elle cultura ellenistica, l'astrologia aveva incontrato grande successo a Roma a partire ||
nistico ?) per quest’ode e per lo pseudo—virgiliano de rosis nascentibus (v. 49 sg. collige, almeno dal II a.C., ed era stata oggetto di polemica da parte del filone razionalista |
virgo, rosas dum flos novus et nova pubes, | et memor esto aevum sic properare tuum). Anche della cultura latina, da EnnN. scaen. 242 V? a Cic. div. 2, 87 sgg. In età augustea, il
se si svolge infatti attorno a motivi diffusi, la meditazione di Orazio assume una for- favore di cui godeva l’astrologia è significativamente rappresentato dal poema astro-
ma assolutamente originale. Con il carpe diem egli ha dato espressione al sentimento logico di Manilio.
di una temporalità in continua tensione fra il presente e il futuro. La dimensione
I
v. 3 ut pati: cfr. Vero. Aen. 5, 710 quidquid erit, superanda omnis fortuna ferendo I
umana del tempo si gioca interamente nello spazio fra il tentativo dell’uomo di co- I
est. La patientia è uno dei requisiti del saggio stoico, ma non è concetto estraneo alla I
gliere, di ‘carpire’ l’oggi e le ombre del futuro; e questa malinconia che limita ogni
meditazione epicurea: Cic. fam. 9, 17, 3 attribuisce all’epicureo Peto l’affermazione
gioia del presente è tutta oraziana.
tu tamen pro tua sapientia debebis...ferre quaecumque erunt. Per ut esclamativo cfr.
Destinatario è una fanciulla dal nome greco, Leuconoe: probabilmente si tratta
di un nome fittizio, ma non è sicuro che esso significhi ‘ dalla mente candida’ (da epod. 2, 19.
vole e Aeuxéc), perché l’aggettivo Aeuxés non è attestato in riferimento al candore
v. 4 hiemes: dal verso successivo si deduce che la scena è collocata in inverno; ma
dei pensieri (anzi, in Pimp. Pyth. 4, 109 l’espressione Aeuxate...ppaotv sembra indicare
qui, più in generale, gli inverni indicano, per sineddoche, gli anni futuri (cfr. 1, 15, 35).
malignità). C'è anche chi ha pensato ad una allusione mitologica, poiché Leuconoe
era una delle Miniadi, che rifiutò i riti di Bacco (cfr. Ov. met. 4, 168), ed era anche tribuit: presente secondo alcuni, perfetto secondo altri. Quest'ultima spiegazione è
l’eroina eponima di un demo dell’Attica. Ma l’unico dato certo è che Leuconoe rap- preferibile, perché Orazio fa suo il punto di vista di Leuconoe, di chi crede nell’astro-
presenta qui la persona preoccupata del futuro, seguace delle mode astrologiche, logia, e ritiene perciò che il numero di anni da vivere sia assegnato al momento della
pronta a credere a qualsiasi profezia sul domani; in questo senso, lo sviluppo del nascita. I
l’ode è strettamente connesso con il carattere del destinatario.
Dal punto di vista strutturale, l’ode è un blocco unitario, anche se alcuni vi __ vv. 5-6 nunc» Tyrrhenum: da questi versi si può ricavare soltanto che la situazione
individuano una struttura bipartita (vv. 1-3; 4-8). descritta nell’ode è ambientata in inverno, non che essa si svolge sulla riva del mare,
Manca qualsiasi indizio cronologico. come alcuni hanno pensato. Non credo sia da esagerare nemmeno il valore metafo- i
Metro: asclepiadeo maggiore. rico dell’inverno, fino a vedervi un simbolo della morte, contrapposto al mare che |
simboleggerebbe la vita (Commager). |

iN UA A IATA NAM
v. 1 tu: la collocazione di rilievo, all’inizio del verso e dell’intera ode, isola il desti
natario rispetto a tutti gli altri, ai numerosi seguaci delle scienze magico--astrologiche. v. 6 vina liques: invita Leuconoe a filtrare il vino (operazione con cui si rendeva
quest’ultimo più chiaro per mezzo di un colino metallico, colum, o di una sacca di Ì

scire nefas: Cicerone (Tim. 6) traduce con nefas il platonico adynaton, « impossi- tela, saccus), ma ciò non significa che la donna sia una sguattera (Festa, «Rend. |
bile ». Ma nefas, indicando ciò che non è possibile perché non lecito, ha una sfuma- Ace. Linc. » 12, 1936, 112 seg.), o un’ostessa (VErnE, «Rev. philol. » 41, 1967,
tura sacrale che è intraducibile nella nostra lingua. Accanto all’'imperativo negativo 105 sgg.), o una proprietaria di vigneti (HERRMANN, « Latomus » 14, 1955, 26 sg.),
ne quaesieris, questa espressione, isolata metricamente, all’interno dell’asclepiadeo, nel o che «il vino preluda ad altro » (Castorina). Il vino ha infatti un ruolo centrale |
coriambo, accentua l’idea del divieto che attraversa tutta l’ode, a sottolineare il limite nella concezione oraziana del godimento del presente, fino ad assumere un valore
imposto alla conoscenza umana. metaforico che ci impedisce di cogliervi riferimenti particolari. |
526 Orazio Odi I 11, 7 — 12 527

spatio brevi: secondo molti commentatori, fin da Porfirione, ablativo assoluto, 12


secondo altri, ablativo di causa (« poiché la vita è breve »); secondo altri ancora,
ablativo di luogo che sottintenderebbe l’idea del rinchiudere (« entro un breve spa- Pasguati, 740 sge.; TH. Birr, « Philologus » 79, 1924, 26 sgg.; O. WEINREICH,
zio »). Ma la funzione ablativale non sembra qui rigidamente definita, e l’espressione « Zeitschr, f. Kirchengesch. » 61, 1942, 33 sgg.; A. Macariftos, «Emerita » 10,
è carica di sfumature. î 1942, 13 sge.; ibid. 20, 1952, 78 sgg.; FRAENKEL, 291 sgg.; R. MERKELBACH, « Philo-
logus » 104, 1960, 149 sgg.; J.J. H. SavacE, « Trans. Amer. Philol. Ass. » 93, 1962,
v. 7 dum fugerit: in uno stile vicino a quello della conversazione, e attraverso un 410 sgg.; La PENNA 1963, 95 sgg.
uso sapiente dei tempi verbali (accostamento del presente al futuro anteriore), Orazio
ha dato espressione irripetibile al senso della fugacità del tempo, che nella sua corsa Quest'ode, una delle più impegnative di Orazio, si colloca negli anni fra il 25
tanto rapida ci lascia indietro. Opportuno il confronto con Lucr. 3, 914 sg. brevis e il 23 a.C., fra la composizione delle odi romane (3, 1-6) e la pubblicazione della
hic est fructus homullis: / iam fuerit. raccolta dei primi tre libri, malgrado tentativi di datarla precedentemente, fra il 28
vv. 7-8 invida aetas: il tempo (come in 2, 5, 13 sg.) appare quasi personificato nella e il 27 (Birt). Essa è successiva al fidanzamento fra M. Claudio Marcello, figlio di
sua fuga dettata dal desiderio ostile di strapparci le gioie della vita. Invida è forse pre- Ottavia e nipote di Augusto, e Giulia, figlia di Augusto, poiché in v. 45 sg. si allude,
dicativo, piuttosto che attributo: la fuga del tempo non è considerata in se stessa, direttamente o, secondo alcuni, indirettamente (cfr. nota ad 1.) alla gloria del gio-
ma nelle sue conseguenze sulla nostra vita. vane; la cui morte prematura, avvenuta nel 23 a.C., fornisce il terminus ante quem
per il componimento. i
v. 8 carpe diem: il verbo carpo si colloca al confine fra il campo semantico di Si tratta di un’ode in cui Orazio « pindareggia di proposito » (Pasquali), fin da
« prendere » e quello di « cogliere ». Porfirione, indicandone la provenienza dal les- motto iniziale, che riproduce l’inizio della seconda Olimpica: avatupspuryyes Buvor, /
sico agricolo, mostra di sentirvi la metafora del fiore o del frutto, come molti altri riva Bebv, tiv’ fowa, tiva 3 &vipa xedadioopev; (« canti che siete i signori della lira,
dopo di lui (« cogliere un fiore, o un grappolo d’uva, o una rosa »); altri vedono quale dio, quale eroe, quale uomo celebreremo? »). Anche il fatto che a Giove venga
nella nozione di celerità il significato principale del verbo in questo passo oraziano. assegnato il primo posto nel canto è una reminiscenza pindarica (Nem. 2, 1 sgg. 69ev
Più propriamente però carpo significa « prendere a spizzico », «con un movimento tep xal ‘Oumpidar /...&ordot/ &pyovtat, Atdc èx ripootutov «da dove cominciano anche
lacerante e progressivo che va dal tutto alle parti: come sfogliare una margherita o gli aedi omerici, dal canto iniziale di Zeus ») filtrata attraverso trattazioni ellenistiche
mangiare un carciofo » (Traina): cfr., per alcune attestazioni del verbo in tale acce- dello stesso motivo (in particolare, l’èx Ads dpydbuecda all’inizio dell’encomio di Teo
zione, Vero. georg. 2, 90; Ov. am. 2, 19, 31 sg.; Sen. epist. 26, 4; VAL. Max, 7, 3, 6. crito per Tolemeo Filadelfo). Pindarica è la similitudine (v. 45) dell’albero che cresce
In conclusione, nel nostro testo dies è da intendere come la parte da strappare all’aetas: verso il futuro (cfr. Nem. 8, 40); e forse la lunga sfilata di divinità, di eroi, di uomini
il movimento del carpere si attua fra il tempo nella sua continuità (qetas) e il tempo del passato risente di simili enumerazioni in Pindaro (cfr., per es., l’inizio di Nem. 10).
nella sua puntualità (dies). La novità dell'espressione oraziana, ciò che ha contribuito Ma la aemulatio nei confronti del modello ha avuto un influsso determinante
a farne una citazione celeberrima, sta non tanto nell’accezione nella quale è adope- soprattutto sulla struttura dell’ode, che, come la seconda Olimpica da cui prende le
rato carpo, quanto nell’avere accostato la concretezza icastica del verbo all’astrattezza mosse, è composta di cinque triadi strofiche, secondo uno schema che si ispira a
del sostantivo dies, creando un nesso inedito nella lingua latina. quello pindarico di strofe, antistrofe ed epodo, pur entro i limiti di una composi-
zione lirica rigidamente monostrofica (Fraenkel). La struttura si può così riassumere:
credula: chi ha un’immotivata fiducia in qualcosa, chi si illude è credulus, come l’in-

Nd od i li ai
18 triade (vv. 1-12) proemio, annuncio dell’argomento del canto, che tratterà di
namorato di Pirra in 1, 5,9.
uomini, eroi, dei; 28 triade (vv. 13-24) elenco degli dei; 3* triade (vv. 25-36) sfilata
postero: il rifiuto del domani, motivo ricorrente in Orazio (cfr. 3, 29, 41 sgg.; epist. degli eroi; 4 triade (vv. 37-48) gli uomini; 5* triade (vv. 49-60) preghiera finale a
1, 4, 13), è uno dei temi della riflessione epicurea: cfr., per esempio, frr. 242 e 245 Giove, che comprende le lodi di Augusto. Le tre triadi centrali svolgono dunque
Arr. L'invito finale a non credere al futuro, formulato con un predicativo (quam l'argomento accennato nella prima, e alla domanda iniziale « quale uomo, quale eroe,
minimum credula), implica un ulteriore divieto, che richiama quelli iniziali (ne quae- quale dio? » Orazio dà una risposta nell’ordine inverso (dei, eroi, uomini), nella quale
sieris. . .nec temptaris); « il carpe diem, serrato in un cerchio di divieti, appare sempre ciascuna delle tre categorie è rappresentata da un gruppo, e in cui si colgono allusioni
connesso col divieto complementare, ‘ non pensare al domani ’» (Traina). ad Augusto e alle funzioni del princeps. L'ultima triade da un lato ritorna al punto

6.
528 Orazio Odi I 12, 1-12 529

di partenza, Giove, secondo un movimento pindarico, dall’altro sviluppa le lodi di vv. 3-4 iocosa...imago cioè l’eco, detta anche wvocis imago: cfr. Vero. georg. 4; 50
Augusto già preparate dallo svolgimento precedente. Nello stesso tempo, la triade (e Serv. Dan. ad l.); Ov. met. 3, 385; Lucr. 4, 571 (imagine verbi). Semplicemente
finale rappresenta il culmine dell’ode: in essa Orazio, ponendosi come erede di una imago è chiamata in VaRrr. rust. 3, 16, 12; Cic. Tusc. 3, 3. Il nesso, nel quale l’agget-
lunga tradizione culturale greca, delinea una concezione dell’universo come unità do- tivo iocosa si riferisce al carattere di illusione acustica dell’eco, torna in 1, 20, 6 sgg.
minata da Giove, a cui corrisponde la terra come unità retta dall'imperatore. Ma a
questo parallelismo si arriva percorrendo una scala, attraverso «una gerarchia dei v. 5 Heliconis: monte della Beozia, sede delle Muse, che vi apparvero ad Esiodo
valori essenziali della religione e della storia romana » (La Penna). (theog. 22 sge.).
L’elaborata struttura dell’ode, in conclusione, corrisponde all’articolazione ideo- v. 6 Pindo: monte al confine fra la Tessaglia e l’Epiro, occasionalmente menzionato
logica che vi è sottesa. E la presenza di altri modelli letterari, oltre a quello pinda- dai poeti (Pimp. Pyth. 9, 15; Carr. hymn. 4, 138 sg.; 6, 82), ma non come sede delle
rico dominante, si spiega in rapporto alle coordinate ideologiche entro le quali si Muse. Il fatto che Orazio lo ricordi accanto alla sede privilegiata delle Muse, PEli-
colloca l’ode: così la rassegna degli eroi di Roma raccoglie la tradizione romana repub- cona, può esser dovuto all’influsso di Virgilio, che in ecl. 10, 11 nomina il Pindo
blicana degli exempla storici, la stessa che appare qua e là in Cicerone (cfr. il Somnium come luogo caro alle Naiades (che corrispondono, nel passo in questione, alle Muse)
Scipionis; e inoltre Sest. 143; off. 1, 61; Tusc. 1, 110), la stessa che è presupposta dalla accanto al Parnaso e all’Elicona, in un luogo che a sua volta riprende THÒreocr. 1,
celebre visione degli eroi nel libro VI dell’Eneide (che non necessariamente, comun- 66 sgg.
que; ha presente 1, 12). Il senso di questo innestarsi della tradizione latina degli exem-
pla, fra i quali spicca, emblematicamente, quello di Catone Uticense, va letto alla Haemo: monte della Tracia, associato al mito di Orfeo (cfr. Ov. met. 2, 219). Forse
luce del tentativo di collegare il principato alla tradizione repubblicana, secondo una anche in questo caso Orazio subisce l’influsso di Virgilio: cfr. georg. 2, 488 sg. o qui
tendenza dell’ideologia augustea. me gelidis convallibus Haemi |/ sistat, et ingenti ramorum protegat umbra!. Per l’indicazione
Metro: strofe saffica. di luoghi freschi e ombrosi come sedi adatte alla poesia cfr. nota a 1, 1, 30.

vv. 1-3 quem-deum: si tratta di una citazione pindarica (cfr. nota introduttiva). vv. 7-8 unde- silvae: riferimento a Orfeo, il cui canto poetico esercitava un potere
Orazio opera però un’inversione rispetto alla domanda quale è formulata nel mo- trascinante sulla natura: cfr.. Simoni. fr. 567 P.; Arsca. Ag. 1630; Eur. Bacch.
dello (« quale dio, quale eroe, quale uomo? »); la serie pindarica verrà ristabilita 561 sgg.
nell'ordine delle risposte. v. 7 vocalem adoperato qui non come attributo neutro (« sonoro »), ma con con-
vv. 1-2 lyra- tibia: gli strumenti musicali tradizionalmente usati per accompagnare notazione positiva (« dalla bella voce »): cfr. Tis. 2, 5, 3; Ov. met. 5, 332; 11, 317;
il canto monodico (la lira) e il canto corale (il flauto): cfr. nota a 1, 1, 32 sg. Acri fast. 2, 91.
indica il suono acuto del flauto, con una pertinenza che sarà lodata da Quintiliano:
proprie dictum, id est, quo nihil inveniri possit significantius (inst. 8, 2, 9). temere: secondo alcuni « alla rinfusa »; secondo altri, meglio, « senza riflettere, cie-
camente », con allusione all’incantesimo di cui le selve sono vittime.
v. 2 sumis: benché il testo pindarico a cui Orazio si ispira presenti un futuro (Ol.
2, 2 xeXaShooyev), preferiamo sumis a sumes perché sumis (« intraprendi a ») contiene v. 9 arte materna: poiché Orfeo è tradizionalmente indicato come figlio di Calliope
già sufficientemente in sé l’idea di futuro, e perché una corruzione di sumis in sumes (cfr. Hrycin. fab. 14, 1).
per effetto di recinet sembra più probabile che non una corruzione in senso inverso.
vv. 9-10 rapidos lapsus: per il potere di Orfeo di fermare i fiumi cfr. 3, 11, 14;
v. 2 Clio: la Musa della storia, secondo una distinzione che però Orazio non cono- Apr. Ra. 1, 26 sg.; Prop, 3, 2, 3 sg.
sceva (cfr. nota a 1, 1, 32). Qui è invocata proprio Clio non tanto perché la celebra-
zione degli eroi rientra nella storia, quanto perché il nome della Musa è connesso vv. 11-12 auritas...quercus: le querce appaiono spesso nei racconti relativi al po-
alla radice di xAfoc (« gloria », «azione gloriosa ») e di xAetew (« celebrare la gloria tere trascinante di Orfeo: cfr. NicAnDR. ther. 462; Vero. georg. 4, 509; Prop. 2, 13,
degli eroi »): cfr. Pinp. Nem. 3, 83 sg.; PLuUT. quaest. conv. 743 d. Il collegamento con 5. Auritas, che Serv. georg. 1, 308 spiega sensum audiendi habentes, si riferisce al mira-
celebrare è suggerito, nel testo oraziano, dall’assonanza fra le due parole, accostate colo della poesia di Orfeo, che dona l'udito alle querce; ma ha forse anche il senso
nel verso. pregnante di ‘ tutt’orecchi’, come in PLauT. Asin. 4; Mil. 608,
530 Orazio Odi I 12, 12-26 531

v. 13 quid...dicam segna l’inizio della seconda triade strofica, ripreso da dicam del ché Giove per la sua grandezza non ammetta un secondo, subito dopo di lui cele
v. 25, introduttivo della terza, e, con wvariatio, da referam del v. 39, che segnala la brerò Pallade ».
quarta triade (Fraenkel).
v. 20 Pallas: per il ruolo di particolare importanza occupato da Pallade-Atena ac-
vv. 13-14 solitis — laudibus: la lode del padre degli dei era un motivo proemiale tra- canto a Giove cfr. Hrs. theog. 896; Pimp. fr. 146 Sn.-M.; ArscH. Eum. 827 sg.; CALL.
dizionale. Per il probabile influsso pindarico cfr. la nota introduttiva; si aggiungano, hymn. 5, 132 sg.
a testimonianza della diffusione dell’îx Ac dpyouecda, Arat. 1 sg.; VERG. ecl. 3, 60
ab Iove principium. v. 21 proeliis audax: gli interpreti si dividono fra quanti riferiscono l’espressione
a Pallade e quanti la riferiscono a Libero (nel qual caso, bisognerebbe ammettere
vv. 14-15 qui terras: il concetto del potere universale di Giove e lo stile anaforico l’anastrofe di neque). A favore della prima ipotesi c'è il confronto con HrEs. theog.
sono della tradizione innica: cfr. AraT. 2 sgg.; e l’Inno a Zeus di Cleante (1, 3 sgg.
925 sg. Serviv Eypexbdoruov dyfotparov drputovnv / rérmav, fi xsdadot te &Sov réieuol
Powell). te udyar te, e con altri epiteti analoghi di Atena, come armipotens in Vero. Aen. 11,
v. 14 res- deorum: perifrasi solenne, del linguaggio epico: cfr. Hom. Il. 2, 669 dg te 483 (cfr. anche Arc. fr. 325, 1 L.-P., in cui il testo lacunoso sembra nascondere un
Seoior xal Avipdrtoroy dvdocer; Vere. Aen. 1, 229 sg. o qui res hominumque deumque / epiteto come « bellicosa »: &vaco” *Adavda mode [. . .]). I sostenitori dell’altra interpre-
aeternis regis imperiis et fulmine terres. tazione adducono l’opportunità di attribuire un epiteto a Libero, che altrimenti ne
rimarrebbe privo (ma tale argomento vale anche a proposito di Pallade), e ricordano
v. 15 mundum indica il cielo, come spesso alla fine del I a.C.: cfr. Vero. georg. 1, che Minerva, la divinità latina corrispondente ad Atena, è la dea della saggezza e del-
5 sg. vos o clarissima mundi lumina, e, soprattutto, un passo ciceroniano di contenuto l’intelligenza, non una divinità bellicosa, e che di Bacco si ricorda che aiutò Giove
simile al nostro: leg. 3, 3 nam et hic (mundus) deo paret et huic oboediunt maria terrae- nella lotta contro i Giganti (6fr. 2, 19, 21 sg.; però il dio non figura nella Giganto-
que, et hominum vita iussis supremae legis obtemperat. machia di 3, 4, 42 sgg.). Inoltre proeliis audax, se riferito a Pallas, costituirebbe l’unico
v. 16 temperat: cfr. 3, 4, 45 sg. qui terram inertem, qui mare temperat | ventosum; epod. enjambement di tutta l’ode. D'altra parte, sembra difficile che Orazio abbia scelto un
16, 56; epist. 1, 12, 16. Il verbo esprime l’idea che Giove, mantenendo il controllo epiteto che indicava una qualità secondaria di Bacco piuttosto che una caratteristica
sull’universo, ne garantisce l'equilibrio. Si tratta di un concetto stoico: cfr. CLEANTA. permanente (quale invece sembra essere la combattività per Atena).
1, 12 sg. Powell; Manu. 2, 60 sgg. vv. 22-23 saevis — beluis: Diana-Artemide, la dea cacciatrice (cfr. 1, 21, 5 sg.; 3, 28,
horis: con il significato di ‘stagione’, come calco del greco dpa, hora non è mai 12; 4, 6, 33 sg.)
usato prima di Orazio (cfr. 3, 13, 9; ars 302).
v. 24 Phoebe: Apollo, protettore di Ottaviano ad Azio. Tutte le divinità ricordate
v. 17 unde riferito a persona (= a quo), come in 1, 28, 28; 2, 12, 7; sat. 1, 6, 12. rappresentano la pace e l’ordine contro le forze della distruzione, e simboleggiano
ideali augustei (Fraenkel).
vv. 18-19 secundum. Proximos: Giove non ha nessuno che lo segua da presso (se-
cundus), ma il primo fra quelli che vengono dopo di lui, sia pur a grande distanza, v. 25 Alciden—Ledae: Ercole e i Dioscuri, eroi dAsétxaxot, benefattori dell'umanità:
ha gli honores proximi. Per la differenza di significato fra proximus e secundus (sulla quale cfr. 3, 3, 9 sgg.; 4, 5, 33 sgg.; epist. 2, 1, 5 sgg., in cui Ercole e i Dioscuri sono la
si fonda questa formulazione oraziana un po’ concettistica, ma non contraddittoria) controfigura di Augusto. Qui l’allusione è per noi meno chiara, ma doveva essere
cfr. Cic. Brut. 173 L. Philippus accedebat, sed longo intervallo tamen proximus. Itaque ben percepibile nel clima ideologico dell’epoca: « Eracle... rappresentava... un ideale
eum...neque secundum tamen neque tertium dixerim; Vero. Aen. 5, 320 proximus huic, di reggitore di popoli e di legislatore; come tale diventava, a volte, oltre che distrut-
longo sed proximus intervallo. tore di mostri, distruttore di tiranni » (La Penna), mentre i Dioscuri sono coloro
che portano la calma dopo una tempesta.
v. 19 occupabit: il facile emendamento occupabit (scambi b/v sono particolarmente
frequenti nei codici oraziani), allineandosi a dicam del v. 13 e a neque...silebo del v. 26 hunc— pugnis: luogo comune nella rappresentazione di Castore e Polluce (cfr.
v. 21, inserisce Pallade tra le divinità oggetto del canto del poeta, mentre con il trà- sat. 2, 1, 26 sg. Castor gaudet equis, ovo prognatos eodem | pugnis), da Omero in'poi (cfr.
dito occupavit la menzione di Pallade si riduce a un rilievo ozioso. Il senso è: « ben- Il. 3, 237 = Od. 11, 300 Kkotopd 9° irrédauov xaù TÉ dyadòdv roAvdebxea).
532 Orazio Odi I 12, 27-42 533

vv. 27-32 quorum — recumbit: la descrizione della calma che subentra alla tempesta 8, 670; Mann. 1, 797). La sua presenza fra gli eroi ricordati da Orazio illumina un
all’apparire della stella dei Dioscuri (cfr. nota a 1, 3, 2) rappresenta un excursus che aspetto dell'ideologia che è sottesa a 1, 12, cioè la tendenza di Augusto a presentarsi
varia lo schema enumerativo dell’invocazione, probabilmente ispirato a un modello come wvindex libertatis.
greco, che per i più è THrocr. 22, 10 sgg.; 19 sgg., ma che potrebbe essere stato lo
v. 37 Regulum: comincia la serie dei viri illustres, secondo uno schema che rimanda
stesso Pindaro, a cui Teocrito attinge spesso (Pasquali). alla tradizione degli exempla storici. Attilio Regolo, preso prigioniero dai Cartaginesi
vv. 33-36 Romulum-=letum: l’interpretazione di questa strofe pone qualche pro- nel 255, mandato a Roma nel 250 per trattare uno scambio di prigionieri, sconsigliò
blema, soprattutto per quanto riguarda il suo posto nella struttura complessiva del- ai Romani di accettare e, tornato a Cartagine, fu ucciso fra atroci tormenti: cfr. 3, 5.
l'ode. Se infatti si ammettesse che con Romolo cominci la serie degli uomini, dopo Il racconto è noto dalla periocha di Liv. 18.
quella degli dei e quella degli eroi, i vv. 33-36 segnerebbero l’inizio di un nuovo Scauros: secondo alcuni, il riferimento è% ai due Scauri, padre e figlio: del primo,
gruppo di strofe: il gruppo precedente, quello sugli eroi, comprenderebbe solo due M. Emilio Scauro, console nel 115 a.C., lodato per la sua integrità, si raccontava che
strofe, e quindi verrebbe meno il principio triadico. Ma in realtà la serie dei viri co-
avesse spinto il figlio al suicidio quando questi si era ritirato davanti ai Cimbri (cfr.
mincia nel v. 37, segnalata da referam del v. 39, che corrisponde a dicam dei vv. 13 Var. Max. 5, 8, 4). Secondo altri, poiché Scauro figlio è un esempio di codardia,
e 25, mentre qui siamo ancora di fronte agli heroes. L'associazione di Romolo agli come dimostra il racconto appena ricordato (cfr. anche PLin. nat. hist. 36, 113), Ora-
eroi greci cwrijpes e piiaxec era naturale per Orazio, che aveva già cantato la corri-
zio non può riferirsi a padre e figlio insieme. In tal caso, bisogna pensare o che egli
spondenza fra Romolo da un lato, Eracle e i Dioscuri dall’altro in 3, 3, 9 sgg., e che usi il plurale per il singolare, comune negli elenchi di exempla (cfr. Vera. georg. 2,
vi ritornerà in epist. 2, 1, 5 sgg. A Romolo fa seguito una serie di personaggi rappre- 159 Decios, Marios magnosque Camillos), oppure che alluda, oltre che a M. Scauro
sentativi di un mondo a metà fra il mito e la storia, che fanno da tramite fra il mondo padre, anche a M. Aurelio Scauro, console nel 108, protagonista, durante la guerra
del mito greco e la storia romana: un regno segnato dalla pace e dalla tranquillità
contro i Cimbri, di un episodio simile a quello di Regolo, narrato nella periocha di
(v. 33 sg.), le insegne di un potere dispotico (v. 34 sg.), un suicidio degno di un eroe
Liv, 67.
tragico (v. 35 sg.) sono cose che hanno un carattere di leggenda, ma appartengono
già alla storia di Roma (Fraenkel). v. 38 Paulum: L. Emilio Paolo, il console del 216, che morì a Canne (cfr. Liv. 22,
49, 6 sg.).
vv. 33-34 quietum—regnum: il regno di Numa Pompilio, caratterizzato dalla pace
(cfr. Liv. 1, 18 sgg.). v. 39 insigni con il significato attivo di « che dà la gloria » (cfr. 1, 1, 5 palma nobilis)
piuttosto che con il senso di una autoglorificazione poetica. È riferito alla Camena,
vv. 34-35 superbos
— fasces: alcuni colgono in questa espressione un’enallage, e in- corrispondente latino della Musa (dalla stessa radice di carmen), al posto della quale
tendono superbi Tarquini fasces, come se il riferimento fosse all’ultimo re di Roma.
è qui ricordata, dal momento che il contesto è l'elogio degli eroi romani.
Ma una menzione di Tarquinio il Superbo in un contesto encomiastico sembra fuori
luogo, Credo che l’interpretazione più verosimile sia quella che coglie nell'espressione v. 40 Fabricium: C. Fabrizio Luscino, console nel 282 e nel 278, che sconfisse Pirro
un riferimento esplicito a Tarquinio Prisco, il quale introdusse a Roma i fasci come a Benevento; esempio di frugalità e di incorruttibilità, segna il passaggio al gruppo
insegne regali, portandoli dall’Etruria (cfr. Dion. Hat. ant. Rom. 3, 61, 2), non senza successivo, comprendente personaggi ai quali egli è tradizionalmente associato: cfr.

ici
una allusione al Superbo. L’ambiguità del riferimento, in altre parole, rinvia alla di- Cic. Cael. 39 Camillos Fabricios Curios; off. 3, 86; VaL. Max. 4, 3, 6.
stinzione fra regno e tirannide (Fraenkel, Merkelbach). v. 41 incomptis...capillis: poiché i primi barbieri giunsero a Roma nel 300 a.C.
vv. 35-36 Catonis — letum: ci si è chiesti che senso abbia qui la presenza di Catone, (cfr. VARR. rust. 2, 11, 10), i capelli incolti sono spesso ricordati come simbolo della
che spezza l’ordine cronologico e che non ha niente a che vedere con i re prima men- frugalità arcaica (cfr. Cic. Cael. 33; Vero. Aen. 6, 809 sg.).
zionati; da qui vari tentativi di emendare il testo (ricordiamo soltanto l’anne Curti Curium: M’. Curio Dentato, quattro volte console fra il 290 e il 274, eroe delle
di Bentley). Ma, al contrario, «il posto di Catone è scelto con molta cura: egli è guerre sannitiche e di quella contro Pirro.
messo dopo la serie dei re, quasi a fugare ogni sospetto che il richiamo dei re potesse
insinuare » (Merkelbach, La Penna). Catone, suicida ad Utica, era ormai il simbolo v. 42 Camillum: Marco Furio Camillo, cinque volte dittatore, espugnò Veio nel
della libertas repubblicana (cfr. PLur. Cato min. 71; 1; bell. Afr. 88, 5; Vero. Aen. 396 a.C. e liberò Roma dai Galli nel 390: cfr. Liv. 5, 21; 49. s

e
534 Orazio Odi I 12, 43 — 13 535

vv. 43-44 saeva— fundus: impossibile non cogliere l’eco della polemica contro il fra i quali, in particolare, quello dell’assimilazione dello stato al cosmo: « il paral-
lusso e del dibattito, molto attuale nella cultura contemporanea ad Orazio, sulla limi- lelo del sovrano ecumenico con Zeus, luogo comune della trattatistica stoica e pita-
tazione dei consumi. L'ideologia augustea proponeva un ritorno all'economia arcaica, gorica rep Baowetac e della letteratura encomiastica » (La Penna).
alla frugalità e alle prische virtù della Roma quiritaria, avvertendo nel dilagare dello
v. 53 Parth os
— imminentis: sui Parti cfr. nota a 1, 2, 22; qui il pericolo viene pre-
scambio un fattore di disgregazione sociale. Il piccolo fondo ereditato, in contrappo-
sentato, con esagerazione, come incombente sul territorio italico.
sizione al latifondo, è teorizzato in CAT. agr. 3, 1; VARR. rust. 1, 11, 1.
v. 54 iusto...triumpho secondo alcuni, è da collegare a egerit, e significherebbe
vv. 45-46 crescit — Marcelli: bella, ma non necessaria la congettura Marcellis: Orazio «trionfo conforme alle leggi », le quali leggi esigevano che il trionfatore fosse con-
infatti non si riferisce qui alla famiglia dei Marcelli, ma ad uno solo di loro, a quello sole, o pretore, o dittatore, e che avesse preso parte alla battaglia decisiva, e che in
che, nel momento in cui egli scrive l’ode, era più noto, cioè M. Claudio Marcello, quest’ultima fossero morti almeno 5000 nemici. Secondo altri, meglio, è da riferirsi
figlio di C. Marcello e di Ottavia (cfr. nota introduttiva). L'immagine della fama che a domitos, e indicherebbe il trionfo giusto, quello cioè riportato su nemici esterni,
cresce come un albero proviene da Pinp. Nem. 8, 40 sgg.; ed è significativo che, in in risposta a una loro politica aggressiva. Questa seconda interpretazione è preferi-
un’ode pindarica, Orazio abbia voluto sottolineare l'ispirazione pindarica in un passo bile, perché rinvia a quello che fu uno dei motivi di vanto da parte di Augusto: cfr.
d’importanza cruciale. Altri pensano che il Marcello qui menzionato sia M, Claudio Mon. Ancyr. 26, 3 Alpes. ..pacari feci nulli genti bello per iniuriam inlato; Suet. Aug.
Marcello, conquistatore di Siracusa, cinque volte console fra il 222 e il 208; ma, in 21, 2 nec ulli genti sine iustis et necessariis causis bellum intulit.
tal caso, non si spiegherebbe facilmente il riferimento alla fama crescente (di qui la
congettura Marcellis, che darebbe a tutta l’espressione il seguente significato: «la v. 56 Seras...Indos: i Cinesi e gli Indiani, dei quali i Romani dell’epoca di Orazio
fama della famiglia si era un po’ offuscata, ma torna a rivivere nel giovane Mar- avevano una conoscenza vaga e confusa, e che stanno a indicare, in genere, i popoli
dell'estremo Oriente: cfr. anche 3, 29, 27; 4, 14, 42.
cello »). Ma è proprio al nipote di Augusto, e soltanto a lui, che Orazio pensa, nel
momento in cui il principe comincia a gettare le fondamenta di una dinastia fondata v. 57 te minor: siamo ben lontani dall’identificazione fra il princeps e Giove: Augusto
sul merito (La Penna). è subordinato al re degli dei. L’anafora, con poliptoto, del pronome di seconda per-
sona è proprio dello stile innico (cfr. nota a 1, 10, 5).
v. 47 Iulium sidus: riferimento alla casa Giulia 0, secondo un’altra interpretazione,
ad Augusto stesso, non senza una contemporanea allusione alla cometa che apparve laetum si riallaccia a un motivo topico della pubblicistica ellenistica e imperiale, il
nell'estate del 44 a.C., e che fu interpretata come prova dell’apoteosi di Cesare (cfr. gioioso ossequio dei sudditi nei confronti del monarca (cfr. ad es. Vero. georg. 4,
Vers. ecl. 9, 47 ecce Dionaei processit Caesaris astrum). 561 sg. victor. . .volentis / per populos dat iura; Star. silv. 4, 3, 128 sg. hunc iubet beatis /
pro se Iuppiter imperare terris); per questa sua specificità l'abbiamo preferito a latum
vv. 47-48 velut > minores: similitudine comune: cfr. SarPH. fr. 34 LP. dorepes uèy (‘ ampio ’), piatto epiteto esornativo.
dupì xddav ceAdvvav | dh dioxpirtonei pdevvov eTdoc, / Brertota TANTA pdidiota Adro /
vv. 59-60 parum — lucis: come spiega lo ps.-Acrone, un fulmine caduto su un luogo
yàv...]dpyvpla; Pinp. Isthm. 4, 23 sg. Adurer | *Aocpépos Fantds de dorpo èv dote;
sacro era considerato segno che quel luogo era stato profanato.
BaccHrL. 9, 27 sgg. reviatdhoro yàp Èverperev de / dotpv Fiaxplver pin /. . Ledeerye

i MAH
GERAVA.

v. 50 orte Saturno: dopo la serie degli uomini, il canto ritorna al punto da cui era 13
partito, con l’invocazione a Giove. L'espressione perifrastica è dello stile epico; in
particolare, per l’apostrofe a Giove mediante l’uso del patronimico Saturnius, cfr. S. Costanza, Risonanze dell’ode di Saffo « Fainetai moi kenos » da Pindaro a Ca-
Enn. ann. 444 Sk. o genitor noster, Saturnie, maxime divom; Vero. Aen. 4, 372 Satur- tullo e Orazio, Messina 1950, 86 sgg.; Commacer, 152 sgg.; CAsTORINA, 191 sgg.; C.
nius- pater. SecAL, « Latomus » 32, 1973, 39 sgg.; P. Rapici CoLace, « Giorn. ital. filol. » 16,
1985, 53 sgg.
vv. 50-52 tibi — regnes: il punto d’arrivo di tutta l’elaborata costruzione dell’ode è
in questo parallelo fra Giove e il princeps, che costituisce uno sviluppo, nella situa La trattazione del tema della gelosia e la descrizione dei sintomi patologici di
zione concreta dei primi anni del principato, di concetti elaborati dalla cultura greca, essa avevano un celebre archetipo, il carme 31 L.-P. di Saffo (v. 9 sgg. Mérroy / è

Ml
536 Orazio Odi I 13, 1-16 537

abtiza ypGd Tdo bradedpounzev, / ded tenoÌ d° odd’ Èv donuu’, Emippou/feror I° dxovat,/ rare, con il personaggio mitico di Telefo, figlio di Ercole e re di Misia. Per la ripe-
xàd SE pu Tape Wbypoc Èyer, Todos SÈ, / matcav dyper, yAmporépa Sè rrotac / Euut, Tedvaxnv tizione del nome proprio (qui nella stessa sede, quella finale, del verso successivo)
Sola debe / garvou « subito un fuoco sottile mi scorre sotto la pelle, gli occhi in poesia di contenuto erotico cfr. Anacr. fr. 359 P. KAsofovXov uèv Eywy spéc, /
non vedono più, le orecchie rombano, un sudore freddo mi possiede, un tremito Kaeopoviw 3° èriuatvopa:, / KieéBouXov SÈ Stocxéco.
mi scuote tutta, io sono più verde dell'erba, mi sembra di essere così debole da
v. 2 cervicem roseam: cfr. Vero. Aen. 1, 402 rosea cervice, dove l’aggettivo indica
esser quasi morta »), che a Roma era stato imitato da Valerio Edituo (epigr. 1, 2
la luminosità più che il colore.
sgg. Biichn... .verba labris abeunt, | per pectus manat subito subido mihi sudor: / sic taci-
tus, subidus, dum pudeo, pereo) e, soprattutto, da Catullo nella traduzione-aemulatio cerea: riferimento al colore bianco della cera, che contrasta con il colorito roseo
rappresentata dal c. 51 (v. 9 sge. lingua sed torpet, tenuis sub artus / fiamma demanat, so- del collo (cfr. Ov. Pont. 1, 10, 28); meno probabili altre spiegazioni (« morbide come
nitu suopte | tintinant aures, gemina teguntur / lumina nocte). Quest’'ode, che contiene una la cera » o « belle come quelle delle statue di cera »).
variazione sul tema, ha senz’altro presente il modello greco, filtrato attraverso la me-
v. 4 iecur: secondo l’antica concezione del fegato come sede dell’ira e delle passioni
diazione catulliana (Costanza), ma nel complesso risulta molto più vicino ai nume-
violente: cfr. 1, 25, 15; 4, 1, 12; sat. 1, 9, 66; epist. 1, 18, 72.
rosi esempi di cataloghi patologici alessandrini (cfr. nota al v. 5) che a Saffo e a Ca-
tullo, malgrado tentativi di cogliervi una passione sofferta e sincera e, nell’ultima v. 5 tunc...mens: comincia la descrizione dei sintomi fisici della gelosia, per la
strofe, un anelito all'amore indissolubile e monogamico (Castorina), o un reale sen- quale Orazio disponeva di illustri precedenti poetici (cfr. nota introduttiva). Il mo-
timento di gelosia, che Orazio risolverebbe in autoironia (Segal). D'altra parte, l'ode tivo della patologia d’amore era stato molto trattato, dopo Saffo, in poesia alessandrina:
non è nemmeno un esercizio letterario su una situazione convenzionale (Commager), cfr. CALL. epigr. 43, 1 sg. Pf.; Ar. Rx. 3, 297 sg.; THeocr. 2, 106 sgg.; AscLEPIAD,
né una stilizzazione, fin quasi alla parodia, di un motivo che la letteratura epigram- anth. Pal. 12, 135.
matica ellenistica aveva reso topico e abusato (Nisbet-Hubbard). In essa è possibile v. 6 manet si riferisce dò xouvvod a mens e a color.
cogliere qualcosa di autenticamente oraziano, innanzitutto nella saggezza ironica con
cui il poeta invita Lidia a non credere che la passione di Telefo sia eterna; ma anche v. 8 lentis—ignibus: l’espressione si riferisce al sottile insinuarsi della passione fin
nell’espressionismo con cui sono descritte le situazioni d’amore, in quella violenza, nel profondo dell’anima; secondo una recente interpretazione, essa è abilmente com-
delle immagini e dello stile, che accosta 1, 13 agli epodi erotici. binata con modi del linguaggio culinario (Radici Colace). Per lentus cfr. 3, 19, 28;
Questo stile epodico farebbe pensare a una collocazione alta dell’ode, per la Tis. 1, 4, 81; 1, 10, 57 sg. Per penitus cfr. Catutt. 35, 15 ignes interiorem edunt medul-
quale non esistono altri indizi cronologici. lam; 61, 170 sg. pectore uritur intimo / fiamma, sed penite magis; 66, 23 quam penitus
La struttura si può definire, pur con qualche incertezza, bipartita: nei vv. 1-12 maestas exedit cura medullas.
troviamo lo sfogo passionale, nei vv. 13-20 una serie di riflessioni più pacate sulla vv. 10-12 turparunt— impressit: secondo Nisbet-Hubbard, Orazio ha qui in mente
mutevolezza dell'amore, fino alla strofa finale, di tono quasi gnomico, sulla felicità Lucr. 4, 1079 sgg. quod petiere premunt arte faciuntque dolorem / corporis et dentis illi-
dell’amore eterno. dunt saepe labellis | osculaque adfligunt, quia non est pura voluptas / et stimuli subsunt qui
Il destinatario è probabilmente fittizio; di sicuro, è fittizio il nome, che è lo instigant laedere id ipsum | quodcumque est, rabies unde illaec germina surgunt. Comunque,
stesso delle donne cui Orazio si rivolge in 1, 8; in 1, 25 e in 3,9 (cfr. nota a 1,8, 1). il motivo dei Veneris bella e delle ferite e dei lividi d'amore è un topos elegiaco: cfr.,
per es., Tis. 1, 6, 14 impresso mutua dente Venus; 1, 10, 53 sgg.; Ov. am. 1, 7; 1, 8.
Metro: asclepiadeo quarto.
v. 15 oscula: forse nel senso originario di diminutivo di os, anziché in quello deri
v. 1 tu, Lydia: enfaticamente sottolineato dal pronome personale, il nome di Lidia vato di ‘ baci’: cfr. Verc. Aen. 1, 256 oscula libavit natae.

i
(sul quale cfr. nota introduttiva) è accostato nel verso a quello dell'amante.
v. 16 quinta parte: forse Orazio ha presente un passo di Ibico (fr. 325 P.) in cui il
miele era definito Évarov uépoc Tic duBpootac xarà Thv NIovhv. Si veda anche lo scolio

lidi
Telephi: nome che ritorna in 3, 19, 26 (un giovane amato da Rode) e in 4, 11, 21
(un giovane amato da Fillide a preferenza di Orazio), probabilmente fittizio, caro al a Pimp. Pyth. 9, 112: tò péri tig ddavaolac Sexatoy uipoc hiNoav siva. Si tratta di
poeta per i richiami etimologici che suggeriva (da mae + gdoc, cioè « splendore da espressioni volte a indicare che il nettare è tanto dolce che anche una piccola parte
lontano ») piuttosto che, come vogliono altri, per una connessione, difficile da affer- di esso mantiene grande dolcezza. Orazio vorrebbe dire, in altre parole, che i baci

sa (MAMA
538 Orazio Odi I 13, 16 — 14 539

di Lidia sono dolci come il miele. Un'altra interpretazione vede un riferimento al nore (Kukula) o come un discorso erotico mascherato (Anderson, Woodman; contra
concetto aristotelico di réurrmty) oboe, « quintessenza »; ma pars non è attestato come Jocelyn). Ma l’interpretazione allegorica è da ritenersi sicura, non tanto perché su di
traduzione di odota, essa concorda già la tradizione esegetica antica (Quintiliano, Porfirione, ps.--Acrone),
quanto perché l’ode è di ispirazione alcaica, e, fra i vari frammenti di Alceo in cui
v. 16 sui nectaris: per la connessione del cibo divino ai baci cfr. MELEAGR. anth. Pal. appare l’allegoria navale riferita a una crisi politica (cfr., per es., 6 L.-P.; 14 L.P.),
12, 68, 7 sge.; 12, 133, 3 sge.; Carutt 99, 2 suaviolum dulci dulcius ambrosia. Orazio sembra aver tenuto presente soprattutto il fr. 326 L.-P.: &ovwémmupi riv aveucov
v. 17 felices— amplius: formula comune di uaxapiouss: cfr. Hom. Od. 5, 306 pic odo: | tò uèv ydp Evdev xa xudivdetai, / Tò I° Evdey, duues È dv TÒ uEocoy / vat
udxapec Aavao, xat tetpdxic; MeLEAGR. anth. Pal. 5, 195, 5; 12, 52, 3 sg.; Vero. Aen. popepueda ov uedalva / yeluov uoyBeviec peydào udda / tp uèv yàp dvidog lototedav
1, 94 o terque quaterque beati. Eyet, / Matpog SÈ Tav Tadyrov ÎN / xad Adudeg perdi xd’ aùto, / yédator I° dyxupat
(« sono disorientato in mezzo alla lotta dei venti: da qui rotola un flutto, da lì un
v. 18 irrupta: l’aggettivo irruptus (« indissolubile ») è un hapax, coniato forse da altro; siamo trasportati in mezzo al mare con la nera nave, oppressi da una grande
Orazio sul greco &ppyxroc. Il motivo dell'amore come vincolo indissolubile è catul- tempesta: l’acqua della sentina supera il piede dell’albero, la vela è ormai tutta bucata
liano ed elegiaco: cfr. CaruLr. 109, 5 sg. ut liceat nobis tota perducere vita | aeternum e su di essa sono grandi strappi, le scotte cadono »). Questo passo di Alceo è inter
hoc sanctae foedus amicitiae (è eccessivo però parlare di parodia di Catullo, come fa pretato allegoricamente dallo ps.-Eraclito (probl. Hom. 5), il quale, qualunque sia la
Segal); Prop. 2, 15, 25 sg. atque utinam haerentis sic nos vincire catena | velles, ut nume epoca in cui è vissuto, dipende comunque da fonti ellenistiche. L’interpretazione
quam solveret ulla dies!; Tre. 2, 2, 19 sg.; 3, 11, 15 sg. sed potius valida teneamur uter- allegorica della nave di Alceo doveva essere diffusa nella tradizione esegetica, ed è
que catena | nulla queat posthac quam soluisse dies. presupposta già da Tazocn. 673 sgg.; Orazio, che avrà letto Alceo in un'edizione
commentata, si sarà ispirato non all’ode in sé, ma all’ode così interpretata.

14 La cronologia è difficile da stabilire: la nave


situazioni critiche, e spesso sembrò di nuovo sul
della res publica si trovò spesso in
punto di naufragare dopo aver fatto
R. Kuxuta, «Wien, Stud, » 34, 1912, 237 sgg.; P. Hoppe, « Neue Jahrbb. f. Klass. sperare di essere entrata nel porto. Da qui le più diverse ipotesi di datazione: dal 42
Alt. » 29, 1912, 693 sgg.; Pasquani, 19 sgg.; C.W. MENDELL, « Class. Philol. » 33, a.C., anno di Filippi (Porfirione) al 38, cioè al periodo della guerra contro Sesto
1938, 145 sge.; R.S. Conway, «Bull. J. Rylands Library » 13, 1929, 89 sge.; G. Pompeo (ps.-Acrone; Hoppe), agli anni della tensione fra Ottaviano e Antonio, 35-
Cartsson, « Eranos » 42, 1944, 1 sgg.; L.P. WIrxginson, « Hermes » 84, 1956, 495 33 (Kiessling-Heinze), al 31, subito prima di Azio. Ma è più probabile che l’ode
sgg.; FrAENKEL, 154 sgg.; W.S. ANDERSON, « Class. Philol. » 61, 1966, 84 sgg.; O. risalga a quel periodo di incertezza, dopo Azio, in cui Ottaviano finse di voler rinun-
Sert, in Festschr. Vretska, Heidelberg 1970, 204 sgg.; M.G. Bonanwo, «Riv. cult, ciare ai suoi poteri straordinari, cioè al 29--28 (Conway, Wilkinson) o all'inverno fra
class. mediev. » 18, 1976, 179 sgg.; A.J. WooDpman, « Class. Philol. » 75, 1980, 60 il 28 e il 27 (Pasquali, La Penna). I sostenitori di quest’ultima cronologia confron-
sgg.; H.D. JocELYN, « Class. Philol. » 77, 1982, 330 sge. tano, fra l’altro, 1, 14 con l’immaginario discorso di Mecenate in Cass, Dio, 52, 16,

MAMUR ii
3 sg., nel quale ricorre la metafora della nave dello stato. Un indizio importante a
L’ode è rivolta a una nave che si immagina personificata, con un mezzo stilistico favore di tale datazione è da ravvisare anche nella sicurezza, propria delle odi della
che consente di dare più efficace espressione alla profonda ansia del poeta, riguar maturità, con cui Orazio tratta il metro: anche il fatto che, rispetto al modello, egli
dante un essere umano anziché un oggetto inanimato (Fraenkel). Essa costituisce lo sostituisca l’alcaico con l’asclepiadeo può essere segno di una raggiunta indipendenza,
sviluppo poetico di una allegoria, quella della nave dello stato, che Orazio trovava di una maggiore autonomia artistica.
codificata tanto nella tradizione poetica quanto in quella esegetica e scolastica. L’in- La struttura non è facile da delineare, anche perché quasi tutte le strofe sono
terpretazione allegorica dell’ode, che si trova già in Quintiliano (inst. 8, 6, 44 navem connesse da enjambement. Si può parlare di una composizione ad anello, poiché V’in-
pro re publica, fluctus et tempestates pro bellis civilibus, portum pro pace atque concordia vito iniziale alla nave ad entrare nel porto (vv. 1-3a) è ripreso alla fine (vv. 15b-20).

OM )
dicit), è senz'altro giusta, nonostante sia stata talora respinta, a partire da Bentley, AI centro troviamo la descrizione delle condizioni della nave dopo la tempesta (vv.
e malgrado 1, 14 sia stato spiegato come un componimento simbolico da riferire alla 3b-10) e un ulteriore ammonimento (vv. 11-15a).
vita di Orazio (Mendell) o come un propempticon indirizzato alla nave sulla quale Otta-
viano compì il viaggio da Samo a Brindisi e poi da Brindisi alle Cicladi e all’Asia Mi- Metro: asclepiadeo terzo.
540 Orazio Odi I 14, 1-18 541

v. 1 o navis: l’o davanti al vocativo, ripetuto nel verso seguente, conferisce all’apo- umani, riproducendo in questo duplice livello stilistico la sovrapposizione, propria
strofe il pathos dato dall’ansia e dalla preoccupazione. La partecipazione del poeta dell’allegoria, fra piano letterale e piano figurato.
alle vicende della nave avviene dall’esterno; nella situazione descritta nell’ode infatti
v. 10 di generalmente si intende riferito, come lintea e malus, a una parte della
Orazio guarda dalla riva del mare la nave, diversamente da Alceo, che nel fr. 326
nave, in particolare alle immagini degli dei dipinte o scolpite sulla poppa, la cosid-
L.-P. è sulla nave lui stesso. La questione è stata oggetto di numerose discussioni,
detta tutela: cfr. Vere. Aen. 10, 171 aurato fulgebat Apolline puppis; Ov. trist. 1, 10,
ma, come osserva giustamente Fraenkel, è tutto sommato irrilevante. 1 pictos verberat unda deos. Però potrebbe anche non avere un predicato sottinteso
(per es., integri sunt), ma essere usato assolutamente, nel senso che « non ci sono più
v. 2 fortiter: secondo alcuni, esprime fermezza morale, coraggio; secondo altri, si
riferisce alla saldezza con cui va conquistato l’approdo. Ma i due significati sono forse dei da invocare », come segno del disfacimento totale.
compresenti, dato che la nave è un oggetto materiale e nello stesso tempo, attraverso v. 11 Pontica pinus: le foreste della regione meridionale del Ponto Eusino (Mar
l’apostrofe, appare come un essere animato. Nero) fornivano legname particolarmente adatto alla costruzione di navi: cfr. STRAB.
12, 3, 12. Anche il phaselus di CaruLL. 4 è stato costruito con legno del Ponto, ma,
v. 4 nudumlatus: anche la descrizione dei danni subiti sembra giocare sulla per-
dato che tale materiale era rinomato, si può pensare a una coincidenza anziché a un
sonificazione della nave, suggerita dal contesto: il fianco, spoglio dei remi, è detto
consapevole riecheggiamento di Catullo: « Orazio avrebbe guastato l’effetto del suo
nudum, come quello di un corpo umano. Probabilmente bisogna sottintendere sit.
carme, richiamando alla memoria dei lettori un lusus, uno scherzetto poetico » (Pa-
v. 5 Africo: cfr. nota a 1, 1, 15. squali).
v. 13 iactes— inutile: qui Orazio riferisce alla nave, e quindi alla res publica, una
v. 6 antemnae: l’antenna della nave, a cui era attaccata la vela; poiché in realtà essa
considerazione, centrale nella sua riflessione, sull’ineluttabilità della morte. Il mo-
era formata da due aste, viene designata, almeno fino a Ovidio, solo con la forma
tivo è tipico degli epicedi e delle consolationes: cfr. Prop. 3, 18, 11; 4, 11, 19.
plurale.
v. 14 pictis— puppibus: le poppe delle navi (o le navi tutte intere, se puppis è qui
gemant: come saucius del v. 5, suggerisce l’idea di una umanizzazione della nave. una sineddoche, come in Verc. georg. 3, 332 e spesso nell’Eneide) erano dipinte: cfr.
Per la costruzione di un verbo di suono retto da uno di vedere (v. 3 nonne vides) cfr. Hom. Il. 2, 637 vijec.. .urtordpnor; Vero. Aen. 8, 93 pictasque innare carinas. È sug
Lucr. 1, 255 sg. urbes pueris florere videmus / frondiferasque. . .canere. . .silvas; Vero, Aen., gestiva, e in armonia con l’interpretazione complessiva dell’ode, la proposta di iden-
4, 490 mugire videbis sub pedibus terram. Tale uso non è raro: cfr. Aus. conf. 10, 35, tificare il timidus navita con Ottaviano, nel momento in cui questi minacciava di
54 dicimus autem non solum ‘vide quid luceat’...sed etiam ‘vide quid sonet’, ‘ vide lasciare la guida della nave dello stato (Bonanno).
quid oleat’, ‘ vide quid sapiat’.
v. 16 debes ludibrium: espressione ricalcata forse sul greco yÉXwra òprioxdvev (Eur.
funibus: non si tratta di semplici corde, ma delle gomene, funi avvolte attorno alla Med. 404; AristoPA. nub. 1035).
chiglia per rafforzare la nave (in greco, Srot@uata: PLaT. rep. 10, 616).
cave: imperativo di solennità oracolare: cfr. sat. 1, 4, 85 hunc tu, Romane, caveto; Liv.
v. 7 carinae: da Ennio in poi, carina è sineddoche poetica molto comune per indi 5, 16, 9 Romane, aquam Albanam cave lacu contineri, cave in mare manare suo flumine
care la nave; ma in questo caso il plurale pone qualche difficoltà. Sono state proposte sinas.
le seguenti spiegazioni: che si tratti di un plurale per il singolare; che il plurale si rife-
v. 17 nuper: si riferisce probabilmente al periodo in cui furono composti gli epodi
risca ad altre navi che si trovano contemporaneamente nei pressi; che Orazio alluda
7 e 16 (cfr. le relative note introduttive). Ciò non rappresenta però un ostacolo a
al quartiere delle Carinae, uno dei più aristocratici di Roma (le lautae Carinae di una datazione bassa dell’ode, poiché nuper non indica necessariamente qualcosa che
Vero. Aen. 8, 361), dando luogo a una piccola allegoria nell’ode allegorica. Ma carinae è appena avvenuto, ma può riferirsi a molto tempo prima.
può voler definire le sezioni longitudinali della chiglia, che poi venivano unite dalle
funi di cui al v. 6, e probabilmente il termine ha qui questo significato tecnico. È in- vv. 17-18 sollicitum — cura: l’allegoria si fa qui palese: i sentimenti che Orazio attri-
teressante notare che Orazio, nel descrivere la nave sfasciata, da un Îato ricorre a buisce a se stesso nel passato e nel presente non si comprendono se non li si imma-
%
termini tecnici del linguaggio marinaro, dall'altro a espressioni più adatte a esseri gina rivolti alla res publica. E l’ansia con cui egli segue le sorti dello stato è implici-
Odi I 14, 19 — 15, 2 543
542 Orazio

tamente presentata come una forma d’amore: i termini adoperati provengono infatti nel complesso attendibile, anche se probabilmente Orazio, più che ispirarsi a un com-
dal linguaggio erotico (per taedium cfr. Tis. 1, 4, 16; Ov. her. 3, 139). ponimento preciso, avrà tratto da Bacchilide l’esempio di uno schema di narrazione
senza proemio né epilogo, e caratterizzato dall’uso del discorso diretto, lo schema
vv. 19-20 nitentis...Cycladas: isole dell’Egeo disposte in cerchio (xòxAw) attorno a individuabile nel ditirambo 15 (14) = dith. 1 Sn.-M., “Avtyvopldar 7 ‘Eréwg draltmoe
Delo; gli stretti fra l’una e l’altra erano conosciuti come pericolosi. Per questo mo- (Lavagnini, Helm, Fraenkel). L'ispirazione bacchilidea sarà stata mediata da modelli
tivo sono ricordate qui, e forse anche perché erano state spesso menzionate dai poeti. ellenistici, rintracciabili all’interno della tradizione dell’epillio, anche se l’imitazione
La specificità del riferimento non deve comunque indurci a postulare un modello di un carme ellenistico preciso può essere solo un'ipotesi (Pasquali).
(per es., un passo di Alceo per noi perduto): ricordiamo infatti che Orazio ama le La datazione immediatamente pre-aziaca è da escludere, in quanto si fonda sul
indicazioni geografiche precise (cfr. nota a 1, 1, 13). Nitentes, suggerito dal candore l’interpretazione allegorica dell’ode. Tuttavia, indizi interni fanno pensare a una cro-
delle cave di marmo di tali isole (cfr. Vero. Aen. 3, 126 niveamque Parum; Ov. her. nologia alta: al vecchio argomento metrico, addotto già da Lachmann (nel v. 36 il
21, 82 candida Delos; AntIPATR. TaessaLoniIc. anth. Pal. 9, 421, 5 sg. Acuxi) Aoc), gliconeo comincia, caso unico in Orazio, con una base trocaica anziché spondaica),
sembra un epiteto convenzionale (cfr. 3, 28, 14 fulgentis...Cycladas), anche se può si possono aggiungere argomenti linguistici e stilistici, dall'ordine delle parole troppo
far pensare a uno splendore illusoriamente attraente. ricercato all'uso di vocaboli della lingua delle satire, in seguito evitate nelle odi, ad
alcuni richiami, segnalati da Fraenkel, all'epodo 10, uno dei più antichi (cfr. relativa
nota introduttiva).
15 L'ode è occupata per la massima parte dalla profezia di Nereo (vv. 5b-36), pre-
ceduta da una breve introduzione narrativa (vv. 1-5a). La profezia si può a sua volta
Pasquani, 278 sgg.; Ta. Sinko, « Eos » 29, 1926, 135 sge.; B. LavaGnINI, « Riv. dividere in tre parti: profezia generale (vv. 5b-12), guerra di Troia (vv. 13-32), finale
indo-gr.-ital. » 15, 1931, 54 sgg.; R. Herm, « Philologus » 90, 1935, 364 sgg.; A_MA- (vv. 33-36).
carIftos, « Emerita » 4, 1936, 30 sgg.; ibid. 8, 1940, 79 sgg.; FRAENKEL, 188 sgg.; E. Metro: asclepiadeo secondo.
Kraccerun, in Studi Della Corte III, Urbino 1987, 47 sgg.
v. 1 pastor è, per antonomasia, Paride, il quale pascolava le greggi sul monte Ida
Quest'ode rappresenta un unicum all’interno della lirica oraziana, poiché è la
quando le tre dee (Era, Atena, Afrodite) andarono a trovarlo chiedendogli di pro-
sola che abbia la forma di una narrazione e non sia rivolta a un destinatario. Tale
nunciare il celebre giudizio su quale delle tre fosse la più bella: cfr. Bion. 2, 10
singolarità ha suscitato una serie di perplessità e di falsi problemi, fino alla proposta
dprace tÀv ‘Ertvav 09° dè Bewxbhoc, &ye dic "Ida; Vero. Aen. 7, 363 sg. Phrygius pene
di considerare non autentica l’intera ode (Lehrs) o parte di essa (Peerlkamp). Poiché
trat Lacedaemona pastor | Ledacamque Helenam Troianas vexit ad urbes.
sembrava impossibile che un’ode oraziana non si rivolgesse, come tutte le altre, a un
personaggio contemporaneo, sia pur fittizio, molti hanno cercato in essa un riferi. vv. 1-2 navibus Idaeis: il riferimento a Paride, dopo l’antonomasia del v. 1, è reso
mento attuale riposto. Si è così affermata un’interpretazione allegorica tesa a cogliere più esplicito dalla menzione delle navi costruite con legno del monte Ida. Paride ap-
in Paride e in Elena le controfigure di Antonio e Cleopatra, secondo un’assimilazione prontò una flotta per il ratto di Elena (Hom. Il. 3, 444; 5, 62; 22, 115), che, secondo
che doveva essere consueta nella cultura contemporanea (cfr. PLUT. comp. Dem. et la versione dei Cypria, aveva costruito lui stesso con l’aiuto di Afrodite (Proc.
Ant. 3, 4) e che Orazio stesso sviluppa, in forma meno implicita, in 3, 3 (Heinze, chrestom. 1).
Sinko, Magarinos, Kraggerud). Ma, pur ammettendo che la situazione presentata nel-
l'ode (la profezia di Nereo sulle sventure che deriveranno dall'unione di Paride ed v. 2 perfidus hospitam: l’accostamento, sottolineando il contrasto fra le due parole,
Elena) poteva facilmente richiamare ai lettori contemporanei la fatale passione di Anto- contribuisce a dare una caratterizzazione molto negativa di Paride, il quale violò i
nio per la regina d’Egitto, l’intento allegorico è da escludere. La finalità principale di sacri doveri dell'ospitalità: cfr. l'epiteto Eavamdmg, con cui egli è designato in Arc.
Orazio sembra quella di inserirsi nella tradizione della lirica narrativa, rappresentata so- fr. 283, 5 L.-P.; Isc. fr. 282, 10 P.; Eur. Tro. 866. Il motivo dell’ospitalità tradita
prattutto da quei componimenti di Bacchilide che nell’edizione alessandrina avevano il è costante nella presentazione del personaggio: cfr. Hom. Il. 13, 626 sg.; AescH. Ag.
titolo di ‘ ditirambi?. L'informazione di Porfirione, secondo cui 1, 15 imita un carme 61 sg.; 401 sg.; Prop. 2, 34, 7 e, in Orazio, cfr. 3, 3, 35 sg. Lacaenae.. .adulterae fa-
di Bacchilide contenente la profezia di Cassandra sulla guerra di Troia, va ritenuta mosus hospes.

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544 Orazio Odi I 15, 3-19 545

v. 3 ingrato: la bonaccia non è gradita a Paride in fuga né ai venti, i quali, come 3° dyea pdoyfa rooì Bihoero. L'egida è nei poemi omerici lo scudo di Zeus, del quale
spiegava Porfirione, desiderano sempre infuriare. la dea a volte si arma; successivamente essa diventa la corazza di Atena.

v. 4 caneret: il verbo cano è adatto a indicare le profezie dei vates: cfr. epod. 13, 11; — collines:
vv. 13-20 nequiquam altra reminiscenza omerica. Si pensi alle parole di
sat, 1, 9, 30; 2, 5, 58. Ettore a Paride in Il. 3, 54 sg. oùx &v Tor ypaloun xidapie Tk Te dep” “Agpoditag / È) te
ubun té te eldoc, d7° iv xovinor puyslone.
v. 5 Nereus: tanto Nereo quanto Proteo erano dotati, al pari di molte altre divinità
marine, di virtù profetiche, ma la lezione genuina è certamente Nereus: poiché infatti v. 13 Veneris — ferox: Paride era sotto la protezione di Venere, che lo salvò durante
Proteo era maggiormente noto sotto questo aspetto grazie ai celebri episodi di Od. 4 il duello con Menelao (cfr. Hom. Il. 3, 380 sgg.). Ferox si riferisce al fatto che Paride
e di Vero. georg. 4, una corruzione di Nereus in Proteus è assai più probabile che non di tale protezione andava orgoglioso; ma l’epiteto produce nello stesso tempo un
una corruzione in senso inverso, Figlio di Pontos e di Gea, padre delle Nereidi, Nereo effetto di contrasto con la caratterizzazione del personaggio come imbelle.
abitava nel fondo del mare. Sulle sue virtù profetiche cfr. Hrs. theog. 233 Nmpéa ?° v. 14 pectes caesariem: Elena si sarebbe innamorata di Paride per la sua bellezza
abevdia xa dAndéa; Eur. Hel. 13 sgg.; Or. 363 sg. e, in particolare, per i capelli ben pettinati (cfr. 4, 9, 13). Il riferimento all’acconcia»
avi: metonimia, molto adoperata in poesia assieme al sinonimo alite (cfr. 3, 3, 61; tura ben curata, segno di mollezza (cfr. Cic. Catil. 2, 22), contribuisce a dare l’imma-
4, 6, 24; epod. 10, 1; 16, 23 sg.), per indicare gli auspicî, che in buona parte si trae-
gine di un Paride imbelle ed effeminato.
vano dal volo degli uccelli. Tale metonimia è un uso già attestato in poesia greca: v. 15 carmina divides: espressione difficile da spiegare con precisione. È probabile
cfr. Pimp. Nem. 9, 18 sg.; SopH. Oed. r. 52. Qui, in particolare, il riferimento è ai che il verbo dividere sia adoperato in accezione tecnica; ma nel linguaggio della teoria
cosiddetti auspicia nuptiarum (domum ducere equivale a uxorem ducere): cfr. CATULL. musicale greca il corrispondente Suigetv può indicare divisione fra unità ritmiche
61, 19 sg. bona cum bona / nubet alite virgo; Serv. Aen. 4, 95. (Dion. Hat. comp. verb. 131 p. 85, 7 sgg.) oppure differenza dei toni (Aristox. elem.
harm. 29). Quindi carmina divides potrebbe significare « suonare toni ritmicamente
v. 7 coniurata: per la costruzione con l’infinito cfr. Sari. Catil. 52, 24 coniuravere
nobilissimi cives patriam incendere. Il giuramento è, secondo alcuni, quello imposto da
articolati » oppure « dare ai canti le loro varie tonalità »; però potrebbe anche signi.
Tindaro ai pretendenti della figlia Elena, di difendere cioè il marito di quest’ultima ficare semplicemente « intervallare il canto con pezzi di sola musica ». Meno proba-
(cfr. Eur. Iph. Aul. 57 sgg.; AproLLon. 3, 10, 8); secondo altri, il giuramento di fedeltà bile l’interpretazione secondo la quale Paride dividerebbe i suoi canti fra molte
ad Agamennone pronunciato dagli eroi greci prima della partenza per Troia (cfr. donne, oppure si dividerebbe fra donne e canti: feminis va riferito solo a grata. Per
Hom. Il. 2, 286 sgg.; Vero. Aen. 4, 425 sg. non ego cum Danais Troianam exscindere
imbelli cfr. nota a 1, 6, 10. Ma qui l’aggettivo sembra adattarsi, più propriamente che
alla cetra, a Paride stesso.
gentem | Aulide iuravi). Alcuni fra i sostenitori dell’interpretazione allegorica vedono
qui una allusione alla coniuratio Italiae a favore di Ottaviano prima di Azio. v. 16 thalamo: Venere, quando salvò Paride durante il duello con Menelao, lo pose
nella stanza coniugale di Elena: cfr. Hom. Il. 3, 382.
v. 10 sudor è una delle parole, assieme a ecce del v. 27 e a imperitare del v. 25, che,
fra le odi, si trovano solo in questa (per sudor cfr. epod. 10, 15; 12, 7), e che rappre gravis riproduce vari epiteti omerici dell’asta (&yxos), quali fpdù, ueya, oTBapov.
sentano perciò una prova dell’antichità di 1, 15 (Fraenkel). Il sudore è un elemento v. 17 calami— Cnosii: erano famosi gli arcieri di Cnosso, Gortina e Cidonia, città
descrittivo frequente in contesti epici: in particolare, questo passo oraziano richiama cretesi: cfr. Hom. Il. 10, 260; 23, 850 sgg.; Pimp. Pyth. 5, 41; Vero. ecl. 10, 59 sg.
Hom. Il. 2, 388 sog. iBpooer pév teu Tedaueov .../.../ Spor dé rev Loc. Cfr. anche Cydonia...spicula; Aen. 5, 306 sg. Cnosia...spicula; 11, 773 spicula.. .Gortyia.
Il, 16, 109 sg.; EnN. ann. 396; 417 Sk.; Vero. Aen. 9, 812.
vv. 18-19 celerem...Aiacem: non si tratta del maggiormente celebre Aiace Tela
v. 10 Dardanae cioè di Troia, poiché Dardano era il capostipite dei Troiani. Come monio, ma del figlio di Oileo, capo dei Locresi, il più veloce fra gli Achei dopo
in 4, 6, 7 (Dardanas turris), il nome dell’eponimo è usato al posto dell’aggettivo che Achille, 1 ’Ox5og taxde Atac di Il. 2, 527; 14, 520; 23, 754.
ne deriva, Dardanius (cfr. anche carm. saec. 47 Romulae genti).
v. 19 heu, serus: Paride morirà infine, sì, ma troppo tardi, dopo aver ucciso Achille.
vv, 11-12 galeam
— currus ricorda la descrizione omerica di Pallade, in Il. 5, 738 sge. Heu esprime la partecipazione emotiva di Nereo, nonno di Achille: lo stile sogget-
dupi 3° dp° diuoro Bhe? aiyida.../.../ pari S° Er? auplpadov xuvenv diro. ../.../ È% tivo rimanda, più che alla lirica narrativa, alle movenze dell’epillio ellenistico.
546 Orazio Odi I 15, 20 — 16 547

v. 20 crines— collines: i capelli, definiti per enallage adulteri (v. 19), stanno qui me- me Aécov Eydon Leydào Eri compari xipoac, / dov 7)A Frapov xepadv 7) dygiov atya / mevdev.
tonimicamente per la bellezza di Paride (cfr. nota al v. 14), destinata a finire nella Per visum cfr. Il. 3, 30 sg. tòv è’ de oòv èvénaev... Per non hoc pollicitus tuae cfr.
polvere: per le chiome sporcate dalla polvere del campo di battaglia cfr. Il. 3, 55 sg.; il rimprovero di Elena a Paride in Il. 3, 430 sg. 7 puèv S) rpliv Y sbye dontoldov
Il. Lat. 323 (anche a prescindere da Paride il motivo è topico: cfr. Il. 22, 401 sgg.; Mevexkov / off te Bin xal yepoi xal Eyyer piprepoc civ. La definizione di Diomede
Vero. Aen, 12, 99 foedare in pulvere crinis). Lo stesso concetto qui espresso ritorna come melior patre, invece, allude a un passo di II. 4 in cui Stenelo, riferendosi a se
in 4, 9, 13 sgg. non sola comptos arsit adulteri | crines. . Helene Lacaena. Questa serie stesso e a Diomede, dice: ‘ueîc tor matipwv uéey” duelvoves cbybue0? siva (v. 405).
di riscontri precisi induce a ritenere crines preferibile alla variante cultus, a favore
della quale giocherebbe solo il fatto che anche la sontuosità dell’abbigliamento è con- v. 31 sublimi...anhelitu si riferisce alla corsa affannosa di Paride in fuga. L’espres
notazione tipica di Paride (cfr. 4, 9, 13 sgg.). In questo contesto, caratterizzato dal
sione indica la testa eretta nella corsa oppure, secondo altri, corrisponde al greco
pathos, la notazione sui capelli, lungi dall'essere puramente esornativa, assume il
petedpuwy veda, tecnicismo che designa il respiro ansimante (cfr. Hiepocr. epidem. 7,
valore di una sconsolata meditazione sull’inesorabilità della morte di fronte alla 41; GALEN. diff. spir. 7, 946 K.).
bellezza, alla ricchezza, al valore, concetto caro alla riflessione poetica oraziana. v. 32 tuae: il possessivo per indicare la persona amata è voce del linguaggio erotico:
vv. 21-22 Laertiaden— genti: Odisseo, figlio di Laerte, fu responsabile della caduta cfr. Carutt. 3, 6; Prop. 1, 9, 22; 2, 9, 46; Ov. rem. 573.
di Troia, in quanto ideatore del cavallo di legno e autore del furto del Palladio. vv. 33-34 iracunda
— Achillei: l'ira, che caratterizza Achille (la pÎjvis di Il. 1, 1),
x

v. 22 Pylium Nestora: Nestore, re di Pilo, il consigliere degli Achei, dopo la morte viene attribuita per enallage a tutta la flotta guidata dall’eroe (non è chiaro però se
di Achille impedì ai Greci di tornare in patria: cfr. Hom. Il. 2, 371 sgg.; 591; Od. il riferimento sia alle navi dei Mirmidoni o di tutti gli Achei). Ma il concetto cen-
trale è quello dell’ira di Achille, che rimanderà soltanto, senza evitarla, la fine di
24, 51.
Troia (proferre diem è espressione giuridica per indicare una dilazione). Quindi l’enal
respicis: secondo una interpretazione, significa quasi ‘ preoccuparsi ’, secondo un’al- lage risulta particolarmente audace, ottenendo sicuramente l’effetto di rendere piut-
tra l’uso del verbo respicere presuppone qui l’immagine di Paride che si volge indietro tosto oscuro il linguaggio, come conviene ad un vaticinio. Achillei, genitivo con desi
durante la sua fuga. nenza giambica, è coniato da Orazio per comodità metrica.
v. 24 Teucer: cfr. nota a 1, 7, 21. v. 35 certas hiemes: Nereo parla di un numero stabilito di anni (hiems è sineddo-
vv. 24-26 Sthenelus — piger: figlio di Capaneo, auriga di Diomede (cfr. Hom. Il. 2, che per annus: cfr. nota a 1, 11, 4), senza specificare quanti, e questa indetermina-
tezza rende più minaccioso il tono della profezia. Per il giorno, fissato dal destino,
559 sg.). Non piger è una litote.
della caduta di Troia cfr. Hom. Il. 4, 164 (= 6,448) éovera Fuap 8° dv or dAbAN
vv. 24-25 sciens pugnae: altro omerismo, calco dell'espressione omerica di Il. 5, "Iriog ip.
549 udyng ed eldbre done.
v. 25 imperitare: cfr. nota al v. 9.

DMAIL
v. 26 Merionen: cfr. nota a 1, 6, 15.
16
vv. 27-32 ecce — tuae: questi versi, che descrivono scene del combattimento fra Pa- E.A. Haun, « Trans. Amer. Philol. Ass. » 70, 1939, 213 sgg.; FRAENKEL, 207
ride e Diomede (il figlio di Tideo), sono un collage di reminiscenze omeriche, tratte sgg.; Commacer, 136 sgg.; L.A. Mackay, « Amer. Journ, Philol. » 83, 1962, 298
in massima parte dalla povopayia fra Paride e Menelao nel libro IMI dell’Iliade, un sgg.; R. JenkrNs, « Latomus » 41, 1982, 146 sgg.
episodio in cui lo scarso coraggio di Paride aveva particolare risalto. Non è chiaro
perché Orazio abbia sostituito a Menelao Diomede: forse perché, come suggerisce Quest'ode, nella quale non vi sono indizi cronologici, è dedicata a una donna
Heinze, la fama eroica di Menelao si era un po’ appannata nella poesia postomerica, a cui Orazio aveva indirizzato giambi infamanti. Il destinatario resta nell'anonimato,
soprattutto in Euripide. In particolare, per furit te reperire cfr. Il. 3, 449 sg. ’Arpetàne e non è possibile stabilire fino a che punto siano leciti i tentativi, da parte dell’ese-
d° dv Bumov Epolta Inpl toa, / et mov Eoadphoziev "AXétavdpov Beoerdéx. Per la simi- gesi antica e moderna, di identificare questa donna con la Tindaride cui è rivolta 1,
litudine con il cervo cfr. IL. 3, 21 sgg. ròv 3° dig adv ivinoev dpripirmoc MevéXaoc / ... de 17 (già Porfirione e ps.-Acrone), o con la Canidia degli epodi 5 e 17 (già il commen-
548 Orazio Odi I 16, 1-8 549

tator Cruquianus), per non dire della proposta di ritenere Canidia, Tindaride e la filia il metro dell’invettiva violenta: cfr. CatuLL. 36, 4 sg. si...desissem...truces vibrare
pulchrior di quest’ode la stessa persona (sul problema cfr. Hahn, Mackay). Nei com- iambos; fr. 3 at non effugies meos iambos.
mentatori antichi queste identificazioni costituiscono altrettanti autoschediasmi, rica- vv. 3-4 flamma-— Hadriano: quello di esser data alle fiamme o gettata in acqua è
vati dalla notizia principale che essi tramandano, cioè quella relativa al rapporto fra destino riservato alla cattiva letteratura, secondo un antico topos: cfr. l’aneddoto su
quest’ode e la palinodia che Stesicoro aveva composto per riabilitare Elena, dopo Platone in Dioc. Laert. 3, 5; Isocr. panath. 232; Tis. 1, 9, 49 sg. illa velim rapida
averla criticata in un precedente carme, Poiché il patronimico di Elena è Tindaride, Volcanus carmina fiamma | torreat et liquida deleat amnis aqua; Ov. trist. 4, 10, 61 sg.;
ecco l’identificazione della donna di 1, 16 con quella di 1, 17; e poiché alla fine del- 5, 12, 61. L’Adriatico è un mare particolarmente tempestoso (cfr. 1, 33, 15; 3, 9, 22
l’epodo 17, uno di quelli contro Canidia, Orazio allude alla palinodia di Stesicoro, sg.); ma qui, secondo un gusto tipicamente oraziano (cfr. nota a 1, 1, 12), sta a in-
ecco spiegata l’identificazione della filia pulchrior con la strega. dicare un mare qualsiasi.
La dipendenza di Orazio da Stesicoro è comunque tutta da dimostrare: a parte
una possibile allusione all’inizio dell’ode (cfr. nota al v. 1) e l'espressione recanta- vv. 5-8 non-—aera: comincia il discorso sull’ira, articolato, secondo uno schema di
tis.. opprobriis (v. 27 sg.), che traduce il termine greco madivipdia, non c’è niente che carattere retorico, per exempla disposti nella forma di una comparatio paratactica. La
provi tale rapporto (Fraenkel), Anche perché l’ode, più che da una palinodia vera prima serie di exempla costituisce il secondo termine di una similitudine che serve
e propria, è occupata in massima parte da un discorso sull’ira, che risente di quelli a definire l'ira come qualcosa di più deleterio della follia stessa. Secondo la conce-
che dovevano essere i luoghi comuni della trattatistica sull'argomento, a noi nota zione degli antichi, l'ira era una follia di breve durata (cfr. epist. 1, 2, 62 ira furor bre
dal de ira di Seneca (ma cfr. anche l’allusione di Cic. ad Q. fr. 1, 1, 37). Non è chiaro vis est; Cic. Tusc. 4, 52; 77; Sen. dial. 3, 1, 2; 4, 36, 5; 5, 1, 5; epist. 18, 14), e qui
il reale significato di questo discorso sull’ira, se, come si pensa tradizionalmente, esso Orazio, iperbolicamente, la definisce più nefasta della follia, la quale è a sua volta
sia rivolto da Orazio a se stesso o, come hanno proposto Nisbet-Hubbard, al desti- indicata, attraverso esempi di furor divino, come fenomeno di invasamento,
natario (cfr. nota al v. 22). v. 5 Dindymene: la dea Cibele, oggetto di un culto orgiastico, così chiamata dal
La struttura è tripartita: nei versi iniziali (1-4) e in quelli finali (22-28) il poeta monte Dindimo in Frigia, dove aveva un importante santuario: cfr. HeropoT. 1, 80,
invita la donna a distruggere i giambi e manifesta la sua intenzione di ritrattare quanto 1; Caruti. 63, 13 (tutto il carme 63 di Catullo è una testimonianza relativa alla follia
ha scritto in precedenza, mentre all’interno (vv. 5-21) si sviluppa il discorso sull’ira. che la dea suscitava nei suoi adepti; cfr. anche, a tale proposito, Lucr. 2, 59 sgg.).
Metro: strofe alcaica.
vv. 5-6 non Pythius: nel tempio di Delfi Apollo pronunciava i suoi oracoli per
bocca della Pizia (per incola cfr. CaruLL. 64, 228 incola Itoni), la sacerdotessa che,
v. 1 o- pulchrior: una apostrofe così elogiativa sembra molto adatta a Elena, figlia
seduta su un tripode da cui esalavano vapori, cadeva in trance e articolava parole
di Leda. È possibile che questo sia un motto iniziale con cui, secondo una tecnica
sconnesse che poi venivano interpretate da un sacerdote (cfr. PLur. mor. 438a; He-
a lui abituale, Orazio alluderebbe alla palinodia stesicorea, la quale ultima, però, può
avergli suggerito semplicemente l’idea di una retractatio poetica, lungi dall’essere il ropoT. 7, 140 sg.; Cic. div. 1, 38). Adyta («luoghi inaccessibili ») erano i penetrali
modello dell’ode (cfr. nota introduttiva). Tale ipotesi è rafforzata da quella che po- del tempio.

id OMAR
trebbe essere una imitazione-interpretazione in Ovidio, il quale rivolge a Elena le v. 7 non Liber: riferimento al culto orgiastico di Bacco (cfr. 2, 19, 9; 3, 25, 9).
parole pulchrae filia Ledae | ibit in amplexus, pulchrior illa, tuos (her. 16, 85 sg.). Poco
convincente l'ipotesi secondo cui questo cenno iniziale alla bellezza della madre rive vv. 7-8 non aera: sacerdoti di Cibele, ma secondo qualche testimonianza anche di
lerebbe che contro quest'ultima, non contro la fanciulla, erano stati composti, molti Dioniso (cfr. Eur. Bacch. 125); spesso assimilati ai Cureti Dittei, custodi a Creta di
anni prima, i giambi (Jenkyns). Giove appena nato (cfr. Lucr. 2, 629 sgg., il quale racconta come durante la festa
della Magna Mater essi eseguivano danze orgiastiche contrassegnate dal fragore del
v. 2 modum qui col significato di ‘ fine’, come in 2, 6, 7; 3, 15, 2. Ma la parola con-
bronzo). Aera indica per metonimia i cymbala, dal suono acuto (cfr. PriupP. anth.
tiene anche la nozione della misura, e suggerisce l’idea che ai giambi possa venire im-
Pal. 6, 94, 2 xipfara.. .èEbdovta; anon. ibid. 6, 51, 5 dÉipdoyya).
posto il freno che essi non hanno conosciuto prima.
v. 3 iambis allude al metro giambico della poesia epodica, ma non è necessario pen- v. 8 geminant vuol dire secondo alcuni ‘ raddoppiano * (come in Ver. Aen. 5, 227
sare a un riferimento specifico, per esempio all’epodo 17. Il giambo è per definizione ingeminat clamor), secondo altri ‘ uniscono ’, cioè ‘ percuotono accostando i cembali

M
550 Orazio Odi I 16, 9-24 551

e gli effetti funesti del-


l’uno all’altro’ (come in Srar. Theb. 8, 221 gemina aera sonant). Il fragore dei b i vv. 17-18 irae — stravere: la serie degli exempla volti a spiegar
la definiz ione di tale passione
durante le processioni dei Coribanti indica, per metonimia, l'invasamento dei cere l'ira continua con un episodio mitologico, che illustra
stirpe dei Pelopidi. Atreo,
doti e dei fanatici devoti (inoltre i Coribanti sono spesso citati come simbolo ‘di uno come ulciscendi libido (Cic. Tusc. 3, 11), quello relativo alla
(poiché Atreo aveva
stato di passione maniacale: cfr. PLar. Ion. 534a); se non si intendesse così n si per vendicarsi del fratello Tieste, che lo aveva bandito da Micene
mano di Plistene (figlio
capirebbe sic, come non lo capiva Bentley, che accettava la variante si SO sedotto la cognata), e poi aveva cercato di farlo morire per
e uccise), ne uccise i figli e li imbandì
vv. 9-12 irae — tumultu: espressione iperbolica per illustrare quello che è un 1 dello stesso Atreo, che questi non riconobbe
qui ricorda to Tieste, mentre
comune della riflessione antica sull’ira, cioè la dissennatezza dell’iracondo, in un banchetto al padre. Non si capisce bene perché sia
ch "non il suo efferato delitto attirò la
arretra di fronte ad alcun pericolo: cfr. THEOPHR. fr. 154; PimLoDem. ira 13 “i n l'esempio classico di ira esiziale è Atreo, il quale con
77; Sen. Thy. 712 sgg.). Forse
Sen. dial. 3, 1, 1; 3, 5, 2; 3, 11, 8; PLuT. cohib. ira 463a. L’abitudine di elen ona maledizione sulla sua discendenza (cfr. Cic. Tusc. 4,
da Vario nel suo Thyestes
serie di inutili deterrenti sembra di matrice diatribica (cfr. anche sat. su Orazio opera la suggestione di una versione del mito data
1 1, 38 se va
;2 uno degli element i della coppia per
(cfr. nota introduttiva a 1, 6); oppure egli cita
sil
3, 54 sg.; epist. 1, 1, 46). per indicar e l’altro, secondo
indicare la coppia, o, addirittura, uno dei due elementi
Lo Noricue: il ferro del Norico (territorio cotrispondente all’attuale Tirolo. alla un procedimento stilistico illustrato da Serv. georg. 3, 89.
iria e alla Carinzia) era considerato di ottima qualità: cfr. epod. 17, 71; Pin, è comune: cfr. Sen. dial.
hist. 34, 145.
. ’ > . nat . v. 18 altis urbibus: il concetto dell’ira che rovina le città
casi individuali agli esempi
3, 2, 2. Anche il passaggio, in una serie esemplificativa, dai
. 51, 13 sgg. otium, Catulle, tibi
v. 10 nau fragum: : «che spezza le navi i », nel senso attivo originario, come in TI riguardanti le città è comune: basti pensare a Caruti
2, 4, 10 (navifragus in Vero. Aen. 3, 553). molestum est... | otium et reges prius et beatas | perdidit urbes.
vv. 18-19 ultimae...causae cioè le cause remote, come in Liv. 7, 9, 2 ea ultima fuit
vr 13-16 fertu — nostro:
r l’attitudine dell’uomo all’ira viene spiegata con l'elemento
iconino che Prometeo pose ; nello stomachus (sede dell’ira: cfr, nota a 1, 6 6). La crea. causa. ..cur.. bellum indiceretur.
a .
ns: i Romani, dopo aver abbattuto le mura di una
n
zione le uomo da parte di Prometeo appartiene alla vulgata mitografica, soprattutto vv. 20-21 imprim—ere insolet
in. dig. 7, 4, 21
dog rica (Cfr eng Pont. fr. 66 Wehrli; PrILEMON. fr. 89 K.; Can, fr. 192: città nemica, vi facevano passare l’aratro; cfr. Herenn. Mopest
.: cfr. Pasq
Pasquali), anchene sse
e in nessun'altra fonte 1 a conosciam civitas esse deseinit, ut passa est Carthago; e, in poesia,
i o inella forma ema nar- | si...aratrum in ea inducatur,
Palladiae ligneus artis
rata da Orazio. Qualcosa di simile leggiamo però in una favola di Esopo (383 Halm): Prop. 3, 9, 41 sg. moenia cum Graio Neptunia pressit aratro | victor
Promete O crea troppi i animali
animali e non gli i basta la materia per l’uomo perciò trasfor equus.
alcune bestie in esseri umani. i e, il discorso precedente
n° v. 22 compesce mentem: se, come tradizionalmente s'intend
giambi, risulta strano que-
v. 14 limo: la creta, , materia da cui l’uom o ha t igine: riguarda l’ira che Orazio stesso aveva riversato nei suoi
è usato spesso in questo
Cart. fr. 493; 192, 3 Pf.; Ov. met. 1, 82 sg. Mveto orlginei cit. Hes. ob. 01 565 st'invito alla donna perché trattenga la sua ira (compesco
escludono che l’invito
coactus
conctue fa ceva difficoltà
senso: cfr. Sen. dial. 4, 18, 1; 4, 33, 6), tanto che alcuni non
i 3 a Scaligero
i e a Bentley, i quali osservavano nota introduttiva) inter-
che Prometeo
sia rivolto dal poeta a se stesso. Nisbet-Hubbard invece (cfr.
ce ci Son spontaneamente, « non alterius iussu che doveva evidentemente essere
pretano il discorso sull’ira come rivolto alla donna,
et imperio ». Ma, a parte il
po
atto ca
che in alcune versioni
ioni del mito
i Prometeo esegue istruzioni divine (per es,, nella . Ma è forse più proba-
infuriata a causa dell’invettiva poetica di cui era stata oggetto
i
sopica sopra ricordata), , la costrizi
ostrizione sii riferisce
riferi all’espedi a su un tema generale,
bile che i versi precedenti costituiscano una riflessione gnomic
ediente cui i egli
o egli do-
vette ricorrere per plasmare interamente la sua creatura e presenti una certa
° in forma di digressione; e che il ritorno alla situazione dell’od
a
particulam: ; termine
, . . .
tecnico del linguaggio filosofico, corrispondente al greco pòptov forzatura.
oni . . . il fisico: cfr. sat. 1, 1,
>
coniato da Cicerone nella traduzione del Timeo platonico (Cic. Tim 47), piuttost v. 23 temptavit: verbo adatto alle malattie che aggrediscono
che « particella materiale », « elemento ». i PROTO

TTT
80; 2, 3, 163.
giambo, l'epiteto si rife-
v. 15 insani i leonis: : il leone è nella tradizi
adizione l’animale
i irascibil : v. 24 celeres iambos: più che alla vivacità aggressiva del
vocatur iambus, | pes citus;
PaiLopem. ira 27, 19 sg.; Lucr. 3, 296 sgg.; 741 sg. > per socelenza: cf. risce al suo ritmo: cfr. ars 251 sg. syllaba longa brevi subiecta
552 Orazio Odi I 16, 26 — 17, 7 553

Ter, Maur. 2182 sg. adesto, iambe praeceps, et tu tenax | vigoris adde concitum celer pedem. gli fa vedere il paesaggio ideale della saggezza e, soprattutto, il luogo del suo rapporto
v. 26 tristia richiama le tristes irae del v. 9, e si riferisce alla qualità del sentimento privilegiato con la divinità, sicché davvero si può affermare che in quest’ode il pae-
d’ira. saggio è una manifestazione dell’ethos (Klingner).
Metro: strofe alcaica.
v. 27 recantatis: calco oraziano del greco raAwwdeîv. Cicerone (Att. 2, 9, 1; 4, 5, 1;
7, 7, 1) adopera la parola radivodia (cfr. nota introduttiva), vv. 1-2 velox...Faunus: Fauno, originariamente spirito campestre italico, connesso
ai Lupercalia, venne in seguito identificato con la divinità greca Pan; è spesso pre-
sente nella lirica oraziana (cfr. 1, 4, 11 e nota; 2, 17, 27; 3, 18). Velox è epiteto di
Fauno anche in Ov. fast. 2, 285 sg. ipse deus velox discurrere gaudet in altis | montibus,
17
et subitas concipit ipse fugas. Secondo alcuni, tale attributo si riferisce alle corse di
Fauno-Pan per inseguire le ninfe, secondo altri vuol richiamare le corse dei Luperci.
REITZENSTEIN, 17; PasquaLI, 336 sgg.; F. KLINGNER, « Philologus » 90, 1935, 289 Ma è più probabile che si tratti di un predicativo; in tal caso, accostato ad amoenum
seg. (= Rom. Geisteswelt, Minchen 19563, 394 sgeg.); L. CastIGLIONI, Decisa forficibus, e a saepe, sottolinea la rapidità con cui Fauno ama dirigersi verso l’ameno paesaggio
Milano 1954, 229 sgg.; FRAENKEL, 204 sgg.; LA PENNA 1968, 86 sg. sabino.
v. 1 Lucretilem: monte della Sabina (così ci dicono PorPHYRION. ad l. e PAUL. FesT. 106,
Posteriore al 33-32 a.C., cioè al dono della villa sabina da parte di Mecenate,
28 L.), non facilmente identificabile: forse si tratta dell’attuale monte Libretti, facente
quest’ode è a ragione considerata uno dei gioielli della lirica oraziana. Essa presenta
parte del monte Gennaro, presso la valle del fiume Digentia (l’odierno Licenza).
una struttura chiara e simmetrica: due gruppi di tre strofe ciascuno (vv. 1-12; 17-
28), con al centro una strofe (vv. 13-16) che segna il passaggio dalla prima parte, in v. 2 Lycaeo cioè « monte del lupo » (Abxaiov), in Arcadia, luogo di nascita e di
cui sono descritte le frequenti visite di Fauno alla villa sabina, alla seconda, conte- culto di Pan: cfr. PausaN. 8, 38, 5. Per le visite di Pan in luoghi diversi dal Liceo cfr.
nente l’invito a Tindaride (che non è la stessa donna di 1, 16: cfr. nota introduttiva Turocr. 1, 123 sgg.; 7, 111 sge.; Vero. georg. 1, 16 sgg. Per la costruzione di muto
all’ode precedente) perché venga a godere dei piaceri del soggiorno sabino. con l’accusativo di ciò che si prende e l’ablativo di ciò che si lascia cfr. 1, 34, 12 sg.;
A queste due parti così simmetricamente disposte corrispondono due temi di- 2, 12, 22 sg.; 2, 16, 18 sgo.; 3, 1, 47 sg.; epod. 1, 27 sg.; 9, 27 sg. (altrove, come in 1,
versi: da un lato la teofania della divinità, che rinvia alla lirica religiosa, dall'altro 16, 25 sg., la costruzione inversa).
l'invito a Tindatide, in cui si combinano motivi della poesia bucolica e dell’epigram- vv. 24 igneam— ventos: costruzione poetica di defendo, come in Vers. ecl. 7, 47
ma erotico (nonché, secondo Fraenkel, della lirica conviviale). In questa seconda solstitium pecori defendite (passo che Orazio potrebbe avere in mente, assieme ad altri
parte è stato visto un influsso anacreonteo (Castiglioni), ma è più facilmente dimo- di poesia bucolica che in quest'ode appaiono riecheggiati).
strabile il rapporto con la poesia alessandrina, sulla base per esempio di alcune coin-
v. 5 impune tutum: non si tratta di una tautologia, come pensava Bentley (il quale
cidenze con un epigramma di Niceneto di Samo (1, 146 Gow-Page), del III a.C. (Reit
correggeva totum). Le due parole, così accostate, dìnno maggior forza al concetto del-
zenstein), ma che Orazio si sia ispirato a un carme ellenistico ben preciso è solo una
l'assenza di pericoli, un concetto molto importante perché, richiamando un motivo
ipotesi (Pasquali). In ogni caso, nella seconda parte dell’ode, accanto ai probabili in-
topico nelle descrizioni dell’età dell'oro (cfr., per es., epod. 16, 51 sg.; Vero. ecl. 4,
flussi ellenistici (anche il prototipo di Tindaride è stato indicato nella Galatea di
22), suggerisce l’assimilazione del locus amoenus ad un'oasi fuori del tempo e della
Turocr. 11, 42 e di Vera. ecl. 9, 40 sgg.), si coglie un riflesso della vita galante di
storia, quasi un piccolo paradiso terrestre.
Roma, e si sente qualcosa di profondamente oraziano, nella saggezza ironica con cui
il poeta guarda alle scene quotidiane dei litigi d’amore. arbutos: i corbezzoli costituiscono un particolare descrittivo caratteristico dei pae-
Inoltre, qualunque sia il rapporto con i modelli letterari, vi è una perfetta fusione saggi agresti: cfr. Vero. ecl. 3, 82; georg. 3, 300 sg.
dei motivi convenzionali, e l'ode riceve la sua unità da quelli che sono i temi cen- v. 7 olentis— mariti: perifrasi di questo tipo sono comuni per indicare le capre: cfr.
trali, cioè la concezione, del tutto oraziana, dell’unità di poesia e saggezza (La Penna) Turocr. 8, 49; Vero. ecl. 7, 7 vir gregis ibse caper; georg. 3, 125 quem. ..pecori dixere
da un lato, dall’altro l’anelito sincero, non letterario di Orazio verso la natura idil- maritum; Ov. fast. 1, 334 lanigerae coniuge ...ovis. Qui si avverte un sottile intento
liaca, il suo sentimento diremmo religioso della natura, che nel paesaggio bucolico parodico nei confronti dello stile magniloquente.

NEI
QI Po
554 . Orazio Odi I 17, 8-23 555

v. 8 viridis: il verde non è propriamente il colore delle vipere; forse Orazio fa con- (hic ver purpureum, varios hic flumina circum | fundit humus flores, hic candida populus
fusione con le lucertole, le virides lacertae di 1, 23, 6. antro | imminet...) e quello a Licoride in ecl. 10, 42 sg. (hic gelidi fontes, hic mollia prata,
Lycori, / hic nemus; hic ipso tecum consumerer devo). Questa affinità formale con l’invito
v. 9 Martialis: epiteto comune per i lupi (cfr. Vero. Aen. 9, 566 Martius.. lupus; bucolico ha fatto pensare a Tindaride come a una creatura del mondo pastorale piut-
Liv. 10, 27, 9 Martius lupus), poiché i lupi erano sacri a Marte, e il fatto che una lupa tosto che come a una donna reale (Nisbet-Hubbard). Ma il quadro realistico degli
avesse allattato Romolo e Remo, figli di Marte, accresceva la predilezione del dio per ultimi versi dell’ode smentisce tale interpretazione.
questo animale (cfr. Vero. Aen, 8, 630 Mavortis in antro procubuisse lupam).
v. 15 ad plenum: locuzione avverbiale, di formazione analoga ad adfatim e ad ad-
haediliae: diminutivo di una forma ricostruibile haeda (così come porciliae dalla for- modum: cfr. Vero. georg. 2, 244.
ma attestata porca), è un hapax. È registrato soltanto in un glossario greco-latino del v. 16 ruris honorum: non è chiaro se dipenda da benigno (come in sat. 2, 3, 3 vini
sec. X, come equivalente di &plpiov, « capretto » (CGL 3, 432, 38); mentre alcune somnique benignus) o da opulenta (come in Srar. Theb. 6, 91 largae...opulentior ume
iscrizioni portano la forma simile haedilla. Un’altra ipotesi, poco credibile, vuole che brae). Honorum si riferisce concretamente ai frutti della campagna, come in sat. 2, 5,
haediliae sia il genitivo di un toponimo, 12 sg.; ebod. 11, 6; Vero. georg. 2, 404.
v. 10 dulci— fistula: come altre volte in Orazio (cfr. 1, 5, 3), il vocativo del destina- cornu: riferimento alla cornucopia (cfr. v. 14 copia). Si trattava del corno che Eracle
tario è artisticamente collocato al centro di un oggetto a cui esso viene associato: strappò al fiume Acheloo e che le Naiadi consactarono alla bona Copia (cfr. Ov. met.
qui è posto fra le due parole che designano la musica della zampogna (strumento di 9, 85 sg.), oppure, secondo un’altra versione, del corno spezzato di una capra, che la
Pan: cfr. hymn. Pan 15 sg.; Vera. ecl. 2, 32 sg.). Il nome Tyndaris fa pensare a Elena, ninfa Amaltea riempì di frutti per il piccolo Giove (cfr. Ov. fast. 5, 115 sg.). La cor-
e può darsi che sia lo pseudonimo di una donna particolarmente bella; ma non ci nucopia, attributo della Terra e della Fortuna, simbolo di fertilità, costituiva un mo-
sono elementi per trarre conclusioni sulla possibile identificazione con la filia pulchra tivo iconografico molto diffuso, particolarmente importante nell’ideologia augustea
di 1, 16 (cfr. nota introduttiva a 1, 16). (essa appare nell’Ara Pacis).
v. 11 Usticae cubantis: località a noi non altrimenti nota; Porfirione ci dice che si v. 18 fide Teia: la lira di Anacreonte di Teo, «il dolce poeta che intonò canti di
tratta di un monte della Sabina (in tal caso, cubantis potrebbe significare « inclinato, melodie femminili » (CritIAS fr. 8 D. qòv SÈ yuvarelcv uedécv TASÉAvTÀA rom @iddc/
in pendio »), mentre ps.-Acrone suggerisce la possibilità che si tratti di una valle (in hdbv *Avanpetovta Téws ei ‘Edi davijyev). Secondo Nisbet-Hubbard, l’espressione
tal caso, cubantis indicherebbe la posizione bassa). Ma il fatto che le valles siano ricor- allude anche alle suggestioni anacreontee presenti nell’ode; le quali però non sono
date a parte, nello stesso verso, e le rupi nel verso successivo (levia saxa) fa propen- da sopravvalutare (cfr. nota introduttiva).
dere per la prima interpretazione. v. 19 uno: cioè Ulisse, oggetto del comune amore di Penelope e Circe.
v. 12 levia— saxa: verso pieno di musicalità, che riproduce l'atmosfera divina del v. 20 vitream: secondo alcuni, Circe, essendo figlia dell’Oceanina Perse (cfr. Hom.
paesaggio. Od. 10, 139), è assimilata a una divinità marina, dall’aspetto vitreo (secondo altri,
verde-acqua: cfr. 4, 2, 3 sg. vitreo...ponto) del mare. Secondo un’altra interpreta.

TI [Micron
vv. 13-14 di est: Orazio esprime spesso la convinzione di essere sotto la protezione zione, poiché il vetro noto a Orazio, il ‘ millefiori’, era complicato dalle decorazioni
divina: cfr. 2, 7, 13 sg.; 2, 13; 2, 17, 27 sgg.; 3, 4, 17 sgg. Si tratta di una protezione
e deformante, pur essendo trasparente, vitrea indicherebbe, come l’epiteto omerico
che gli dei gli riservano in quanto uomo pius (cfr. anche 1, 22, 1), per il rispetto che Sorappovéovox, il carattere ingannevole di Circe. Quest'ultima interpretazione sembra
egli porta ai valori religiosi e morali, e nello stesso tempo in quanto poeta. L’anafora presupposta da Stazio nella sua imitazione di silu. 1, 3, 85 vitreae iuga perfida Circes.
con poliptoto di di sottolinea l’importanza di tale concetto, che all’interno dell’ode
svolge un ruolo centrale (cfr. nota introduttiva). v. 21 innocentis — Lesbii: il vino di Lesbo era leggero, non dava alla testa: cfr. Pat:
Lopem. anth. Pal. 11, 34, 7; ATHEN. 45e; Pin. nat. hist. 14, 73.
v. 14 hic: benché hinc (= « di qui », cioè dal podere, oppure « per questo », cioè
a causa della pietas di Orazio e della sua qualità di poeta) sia lezione meglio attestata vv. 22-23 Semeleius...Thyoneus: Bacco è indicato qui con un doppio matroni-
nella tradizione manoscritta, hic è preferibile per simmetria con hic dei vv. 17 e 21. mico: Semeleius e Thyoneus significano la stessa cosa, in quanto Semele era identifi-
x
La ripetizione dell’avverbio di luogo ricorda l’invito a Galatea in Vero. ecl. 9, 40 seg. cata con Tione (cfr. hymn. Bacch. 21). L’epiteto Thyoneus non è attestato in greco,
556 Orazio Odi I 17, 23 — 18 557

anche se da una glossa di Esichio apprendiamo che Dioniso era chiamato Ouwwdag tario fosse Quintilio Varo, il legame sarebbe rappresentato da Tivoli (cfr. nota al
a Rodi. L'’accumulo degli epiteti ha una solennità cui non sembra estranea una sfu- v. 2), mentre Pompeo Varo è legato a situazioni conviviali, quindi al tema del vino,
matura ironica. anche in 2, 7. Ad Alfeno Varo, infine, uomo di grande cultura e protettore delle let-
metonimicamente tere (cfr. Vere. ecl, 6, 6 sgo.; 9, 26 sgg.), poteva a buon diritto essere dedicata un’ode
vv. 23-24 confundet...proelia si riferisce alle risse conviviali,
in segno di omaggio.
presentate come una collaborazione di Bacco e di Marte.
La struttura non è facile da delineare. Si possono indicare, grosso modo, due
vv. 24-28 nec = vestem: i litigi fra amanti, suscitati dalla gelosia, le percosse e gli parti principali: la prima (vv. 1-6) contiene l’invito a Varo a piantare la vite e l’elogio
altri gesti di ira violenta sono motivi della topica elegiaca: cfr. Prop. 2, 5, 21; Ti. del vino; la seconda (vv. 7-16) comprende l’esortazione alla moderazione e il rifiuto
1, 10, 56 sgg.; Ov. am. 1, 7. E dal mondo dell’elegia sembra tratto lo scenario di
degli eccessi legati al culto di Bacco.
questi ultimi versi dell’ode, che ci riportano alla vita galante di Roma, alla quoti.
Per la prima parte, lo spunto deriva da un’ode di Alceo nello stesso metro (ma
dianità con la quale fa contrasto la pace atemporale della campagna sabina.
nemmeno il ‘ motto’ iniziale è completamente alcaico: cfr. nota al v. 1), di cui pos
v. 25 Cyrum: nome di origine persiana, mai portato da un greco di condizione libera sediamo soltanto l’inizio (fr. 342 L.-P.: und” Ev dio gureseng Tpétepov Sevdpiov durrédmo
prima dell’età bizantina, appare in epigrammi tardi (STRATON. anth. Pal. 12, 206; «non piantare nessun altro albero prima della vite »). Non possiamo valutare
Numen. Tars. ibid. 12, 28); per questo Pasquali pensò « che esso era adoprato in poe- l'influsso alcaico sul resto dell’ode, ma è probabile che quest’ultima abbia uno svol
sia erotica alessandrina e che a questa s'ispirò Orazio in I 17 ». gimento autonomo, e che combini motivi tipicamente romani (per esempio, il pae-
v. 26 iniciat manus: l’uso di questa espressione, che ha anche un’inequivocabile saggio del v. 2) con movenze inniche, che provengono dalle aretalogie del ditirambo,
connotazione giuridica (inicere manum o manus = « rivendicare il possesso di qual ma anche dalla lirica corale (cfr. l’elogio del vino in Pinp. 124 ab Sn.-M.; BaccuyI.
cuno ») accresce il carattere di realismo quotidiano di quest’ultima scena. fr. 20 B Sn.-M.), e che, individuabili nelle allusioni a miti rari e nel succedersi dei
2, 4, 3 immeritos corrumpas dentibus ungues. diversi attributi della divinità cantata, rimangono anche nella parte parenetica (Pa-
v. 28 immeritam...vestem: cfr. Prop.
squali). Quest’ultima raccoglie certamente gli echi di analoghe parenesi comuni nella
Più che un’enallage, la notazione sull’innocenza della veste costituisce una pointe ar-
lirica greca (in particolare, cfr. THEOGN. 211 sg. otvov tor river movAbv xaxév fiv dé
guta, un’ironica allusione alla non provata innocenza della fanciulla. Davvero questi
mie adtòv / riv) Erotauevac, où xaxòs diN° dyadés « bere molto vino è male; ma se
versi « hanno una grazia maliziosa tipicamente oraziana, ma — come nell’ode a Taliar-
uno lo beve saggiamente, non è cattivo, ma buono »). Ma sarebbe un errore vedere
co e in altre — non si tratta d’un amore del poeta: si tratta dell'amore » (Castorina).
nella seconda parte dell’ode solo una rielaborazione di motivi letterari (Nisbet-Hub-
bard); così come non è il caso di scorgervi nascosti riferimenti allegorici, per esem-
pio ad Antonio (Eitrem). L’invito alla moderazione, piuttosto, da un lato rientra nel-
18 l'ideale oraziano della uerpiòmo, dall’altro riflette l'atteggiamento della cultura ro-
mana nei confronti dei culti bacchici e otgiastici (fra tutti, si ricordi quello di Cibele)
Pasqua, 1 sgg.; S. ErrreM, « Ann. Inst. philol. et d’hist. orient. » 5, 1937, 343 penetrati a Roma fin dalla fine del III a.C., e tradizionalmente osteggiati dalla cultura
sgg.; C. DEL GRANDE, « Vichiana » 2, 1965, 349 sgg. ufficiale, che ne percepiva tutta la carica sovversiva (anche se in tempi recenti il culto
dionisiaco aveva goduto del favore di Giulio Cesare; cfr. Serv. ecl. 29 sge.) (Pasquali,
Secondo gran parte della tradizione manoscritta, destinatario di quest’ode è Quin- Del Grande). Come nel c. 63 di Catullo, in quest’ode si avverte, sia pur senza la dram-
tilio Varo, letterato cremonese amico di Virgilio, lo stesso per la cui morte fu com- maticità dell’Attis, la tensione insita nel dionisiaco, la gioia dell’abbandono ed insieme
posta l’ode 1, 24. Ma altre identificazioni sono state proposte: quella con Pompeo l'esigenza di un freno (La Penna).
Varo, destinatario di 2, 7, compagno di Orazio a Filippi, e quella con il giurista Al- La cronologia
x
è incerta: se il Varo in questione fosse Quintilio Varo, terminus
feno Varo, probabilmente il Varo di Catullo 10 e 22, l’Alfeno immemor di Catullo 30. ante quem sarebbe il 24 a.C., data della sua morte. L’ispirazione alcaica non è argo-
Recentemente Nisbet e Hubbard hanno addotto a favore di quest’ultima identifica

vi
mento decisivo per una datazione alta, tanto più che qui il rapporto con il modello
zione l'argomento costituito dall’identità di metro fra il catulliano Alfene immemor e mostra grande indipendenza.
1, 18 (ma in realtà il metro è di ispirazione alcaica: cfr. sotto). Per tutti e tre i per-
sonaggi in questione si può pensare a un legame con il tema dell’ode: se il destina. Metro: asclepiadeo maggiore.

AMM
558 Orazio Odi I 18, 1-11 559

v. 1 sacra: il primo verso corrisponde in tutto ad Arc. fr. 342 L.-P. (cfr. nota in v. 7 modici
— munera: comincia l’invito alla moderazione nel bere e, più in gene-
troduttiva), tranne che per l’aggiunta di questo epiteto, che molto probabilmente rale, nei riti in onore di Bacco, altro motivo comune (cfr. nota introduttiva). La
proviene da un passo dell’Athamas di Ennio (scaen. 124 V? illis Lyaeus vitis inventor costruzione è audace; transiliat ha come oggetto munera, ma il vero ‘oggetto è, cone
sacrae), il quale a sua volta deriva forse da un passo dell’Hypsipile di Euripide (fr. cettualmente, modum, compreso nell’aggettivo modicus riferito a Bacco. Munera se-
765 N° qòv ispov Borpuv). condo alcuni indica i doni di Bacco (cfr. 4, 15, 26 inter iocosi munera Liberi), secondo
v. 2 circa Catili: il riferimento alla campagna di Tivoli può costituire un elemento a altri, i riti bacchici (come in Vere. Aen, 6, 637 perfecto munere divae).
favore dell’identificazione del destinatario con Quintilio Varo (cfr. nota introduttiva), Liberi: divinità italica il cui nome era connesso a libertas, forse a causa della libertà
il quale aveva una villa a Tivoli, della quale rimane memoria nella chiesa di Santa di parola concessa durante i riti, di tipo fescennino, che le erano dedicati; ben pre-
Maria di Quintiliolo, chiamata anche ‘ villa di Quintilio Varo ’, e nel cosiddetto fun- sto fu identificata con Bacco, al quale erano attribuite le medesime prerogative libe-
dus Quintiliolus. Circa regge tanto solum quanto moenia, nel primo caso con una acce- ratorie (si pensi all’epiteto Lyaeus, cioè « che scioglie gli affanni »).
zione particolare (« tutt'intorno su »). Catilo è il nome di uno dei leggendari fonda-
tori di Tivoli (Tiburto, Cora, Catilo), ma anche del loro genitore (Catilo, figlio di v. 8 Centaurea...Lapithis: alle nozze di Ippodamia con Piritoo, re dei Lapiti, il
Anfiarao): cfr. Sorin. 2, 8 (sul mons Catilli a Tivoli cfr. Serv. DAN. Aen. 7, 672). centauro Eurito, ubriaco, tentò di rapire la sposa, e da ciò nacque una rissa in cui i Lapiti
Grafia e pronuncia di tale nome oscillano: Cdtillus in Vere. Aen. 7, 672 e 11, 640; sterminarono i Centauri (cfr. Hom, Od. 21, 295 sg.; Car. epigr. 61, 3 Pf.). Tale batta-
Cdtillus in STAT. silu. 1, 3, 100. glia costituiva un motivo iconografico molto diffuso nell’antichità: si ricorderà che essa
era scolpita nelle metope del Partenone e sul frontone del tempio di Zeus ad Olimpia.
v. 3 siccis— proposuit: il verso ha un carattere sentenzioso, accentuato dall’ uso del
perfetto gnomico. Deus secondo alcuni indica Bacco, secondo altri significa ‘la divi super mero: determinazione locale (« sopra il vino versato »); secondo altri, tempo-
nità’, secondo una dizione generica che è comune in Orazio (cfr. 1, 9, 9; 1, 11, 2). rale (« dopo il vino »), secondo altri ancora, causale (= propter vinum).

v. 4 mordaces— sollicitudines: l’affermazione, in un tono solenne accentuato dalla vv. 8-9 rixa...debellata: espressione ardita, efficace a mostrare quasi lo svolgimento
lentezza del ritmo, dovuta alle parole lunghe, segna il passaggio alle lodi del vino, della rissa, che ben presto degenera in guerra vera e propria.
che si inseriscono in una tradizione poetica ben attestata: cfr. ALc. fr. 346, 3 sg. v. 9 Sithoniis — Euhius: Sitonia è letteralmente il promontorio centrale fra i tre della
L.-P.; THEocn. 883; Pinp. fr. 124ab, 5 Sn.-M. etc. Ma, soprattutto, Orazio sembra penisola calcidica, ma nei poeti latini l’aggettivo derivato indica, per estensione, i
riecheggiare l’elogio della divina invenzione della vite nelle Baccanti di Euripide Traci, popolazione nota per gli eccessi a cui si abbandonava ubriacandosi (cfr. nota
(vv. 278 sgg.); e forse egli ha anche presente l’intero contesto enniano da cui ha tratto a 1, 27, 2). Bacco è qui ricordato con il nome Euhius, legato al grido bacchico euhoe
l'epiteto sacra del v. 1 (Pasquali). (cfr. 2, 19, 5); per le forme greche corrispondenti Elios e edoî cfr. Eur. Bacch. 141;
566. Il dio si rivelò funesto (si noti, in non levis, la litote) verso i Traci: Orazio allude
v. 5 post vina cioè «dopo aver bevuto il vino » (con un uso, molto comune in Orazio,
forse a Sitone, il quale, avendo commesso incesto con la figlia Pallene, fu ucciso da
del plurale per il singolare), con espressione brachilogica come in 3, 7, 6; 3, 21, 19.
Dioniso (cfr. Nonn. Dionys. 48, 93 sgg.), o forse a Licurgo, il quale, oppostosi al culto
pauperiem: è un luogo comune che il vino faccia dimenticare anche la povertà: cfr. dionisiaco e perciò reso pazzo dal vino, violentò la madre e uccise moglie e figlio (cfr.
3, 21, 18; epist. 1, 5, 19 sg.; Turocn. 1129; Pinp. fr. 124ab, 8 Sn.-M.; BaccHuvI. Hycin. fab. 132, 1; ma la leggenda era argomento di una tetralogia di Eschilo, la Li-

br
fr. 20 B, 13 Sn.-M. curgia, e del Lycurgus di Nevio).
crepat: voce del sermo familiaris, che esprime onomatopeicamente il brontolio: cfr. vv. 10-11 cum-avidi: altra affermazione sentenziosa, che richiama, per il linguaggio
sat. 2, 3, 33; epist. 1, 7, 84. adoperato, la sfera giuridico-sacrale. Libidinum è retto da avidi più probabilmente
v. 6 te- Venus: da questo verso in poi la lode del vino assume movenze inniche che, come pensano alcuni, da exiguo fine (se così fosse, avidi rimarrebbe termine

dat bid
forse riconducibili alla tradizione ditirambica (cfr. nota introduttiva): nello stile del- troppo generico).
l’inno rientra l’anafora di te (cfr. nota a 1, 10, 5). Su decens cfr. nota a 1, 4, 6. L’ac- v. 11 Bassareu: Bassareo è un altro appellativo di Bacco, non attestato altrove in
costamento dell'amore al vino, rappresentati metonimicamente da Venere e Bacco, è latino e molto raro anche in greco. Bassaridi venivano chiamate le Menadi, dal nome
topico: cfr. 3, 18, 6 sg.; 3, 21, 21. di un tipo di volpe tracia (Bacodpa) con cui si coprivano.

gs
560 Orazio Odi I 18, 11 — 19, 5 561

vv. 11-12 te quatiam: il pronome di seconda persona, riferito a Bacco, indica me- come un rafywoy in cui il poeta ci offre un’elegante variazione su temi comuni della
tonimicamente il tirso, il bastone ricoperto di foglie d’edera che era simbolo della lirica greca arcaica ed ellenistica, come quello del ritorno inaspettato dell'amore (cfr.
divinità e che veniva violentemente agitato durante le processioni bacchiche, contro ALcman. fr. 59 a P.; SappH. fr, 130 L.-P.; AnACR. fr. 358; 413 P.; Puionem, anth.
il volere stesso del dio (cfr. invitum): cfr. Eur. Bacch. 80 sgg.; 553 sg.; CatuLL. 64, 256. Pal. 11, 34; 11, 41), o quello del paragone fra lo splendore della donna e quello del
marmo (cfr. nota al v. 6).
v. 12 variis —frondibus: gli emblemi sacri di Bacco (orgia), segreti e innominabili
Ma questa non è soltanto l’ode del ritorno dell'amore: la terza strofe contiene
(cfr. TaEocr. 26, 7; Carutt. 64, 259), erano nascosti in apposite cistae, ma durante
infatti una variazione sul tema della recusatio. Poiché è innamorato, il poeta non può
le processioni venivano esposti allo sguardo di tutti, portati alla luce del sole (sub
dedicarsi alla poesia epica; il che equivale a dire che la condizione dell’innamorato
divum = « sotto il cielo »): cfr. Aput. met. 11, 11, 2.
è tutt'uno con la scelta della poesia d’amore e, in generale, lirica. Dal mondo della
vv. 13-14 saeva—tympana: il timpano, un cerchio di legno ricoperto, da un lato, poesia elegiaca, e da quell’identità di stile e di vita che dai poetae novi e da Catullo
di cuoio, e il corno, una specie di flauto frigio, erano gli strumenti legati sia al culto in poi era presupposto di tale poesia, Orazio è ben lontano; consapevole dell’iden-
orgiastico di Dioniso sia a quello di Cibele (per l’associazione delle due divinità cfr. tificazione fra scelta poetica e scelta di vita, egli riesce a guardarvi con distacco, e qui
Eur. Bacch. 78 sg.). L'aggettivo Berecyntius, in particolare, si riferisce a una regione vi imbastisce attorno un gioco galante e raffinato.
della Frigia nella quale aveva avuto origine il culto di Cibele. La poesia latina tentò La struttura è bipartita: nei vv. 1-8 è descritto il nuovo amore, nei vv. 9-16 le
spesso di riprodurre il fragore della musica orgiastica delle processioni in onore di conseguenze dell’innamoramento.
Cibele (cfr. Varr. Men. 131 sgg. Ast.; Lucr. 2, 618 sgg.; CarutLL. 63, 21 sg.) e di
Metro: asclepiadeo quarto.
Bacco (Carutt. 64, 261 sgg.).
v. 14 quae subsequitur: segue la descrizione del tiaso di Bacco; normalmente, la v. 1 mater...Cupidinum: malgrado alcuni interpreti sostengano che cupidinum sia
divinità ha un corteggio, ma quest’ultimo è qui formato da vizi astratti, sia pur per- un nome astratto («i desideri», «le passioni d’amore »), è molto più verosimile
sonificati, quali l’amore di sé, la vanagloria, il tradimento del segreto. La descrizione che ci troviamo in presenza di una personificazione, e che con Cupidines siano indi-
« risente della fantasia grandiosa e selvaggia di un poeta ellenistico » (Pasquali): sem- cati gli amorini e gli altri componenti del corteggio di Venere, quali Himeros e Po-
bra davvero di vedere sfilare i mostri goyani generati dal sonno della ragione. thos, secondo una tradizione topica tanto letteraria (cfr. Pinp. fr. 122, 4 Sn-M.
paro “Ep@twyv; PaiLonem. anth. Pal. 10, 21, 2 Kbrpi II69%wy uffTeo deXAortédwy; hymn.
v. 16 arcani — prodiga: il riferimento è probabilmente al vino rivelatore dei segreti,
Orph. 55, 8 ufreo “Ep@brwv) quanto iconografica.
motivo comune: cfr. 3, 21, 15 sg.; Arc. fr. 333 LP.
saeva: il riferimento alla crudeltà di Venere, che procura tormenti agli innamorati,
perlucidior vitro: costruzione analoga a splendidior vitro di 3, 13, 1, consistente in
un tipo di superlativo che esprime la superiorità rispetto a qualcosa che possiede
richiama soprattutto contesti tragici (cfr. Eur. Med. 640 dewà Kbrowc; Hipp. 563),
e appare non privo di una punta d’ironia. L'intero v. 1 è ripetuto in 4, 1, 5.
tradizionalmente, per eccellenza, la qualità designata.
v. 2 Thebanae — puer: Bacco, figlio di Semele (figlia a sua volta del fondatore di Tebe,
Cadmo), è spesso associato a Venere, fin da Anacr. fr. 12 P.: cfr. nota a 1, 18, 6.
19 v. 3 lasciva Licentia: il concetto di eccessiva libertà è qui personificato, e specificato
attraverso l’attributo lasciva, di significato erotico. La personificazione della Licentia
E. Burck, « Gymnasium » 67, 1960, 161 sgg.; CASTORINA, 216 sgg. compare anche in Cic. dom. 131 simulacrum. ..Licentiae; leg. 2, 42 templum Licentiae.

Quest'ode, nella quale non sono rintracciabili indizi cronologici, non ha un vero v. 4 amoribus: « nello stesso tempo ‘amori’ e ‘poesie d’amore ’ » (Ussani).
destinatario, ma è indirettamente dedicata a Glicera (la stessa donna, forse, di 1, 30), v. 5 utrit ripreso anaforicamente nel v. 7, è un residuo di quell’espressionismo stili-
della quale Orazio confessa di essere innamorato. Come il nome della donna, tutta stico che, caratteristico degli epodi erotici e di alcune odi (cfr. nota introduttiva a
la situazione appare fittizia: nonostante si sia tentato di cogliervi un pathos sincero 1, 13), appare qui notevolmente attenuato a favore di una grazia maliziosa tutta elle-
(Castorina), l’ode è definibile come lo sviluppo di una situazione epigrammatica, nistica, | o i i È i
Odi I 19; 5 — 20 563
562 . Orazio

Glycerae: il nome ritorna in 1, 30, in 1, 33 e in 3, 19, ma è inutile chiedersi se si visato: cfr. Serv. Aen. 12, 119 Romani enim moris fuerat caespitem. arae superimponere
tratti della medesima donna, o tentare un’identificazione, per esempio, con la Cinara et ita sacrificare. . i
di 4, 1, 4, di 4, 13, 21 e di epist. 1, 7, 28; 1, 14, 33. Infatti il nome Glycera, legato v. 14 verbenas: qualsiasi pianta adoperata per adornare l’altare sacrificale (cfr. SERV.
all’aggettivo yAvxig (« dolce »), è chiaramente fittizio, e si sa che, assieme alla forma Aen. 12, 120; Don. ad Ter. Andr. 726); ma forse in questo caso si tratterà di rami
diminutiva Glycerium (nome, questo, di un personaggio dell’Andria di Terenzio), era di mirto, la pianta sacra a Venere (cfr. PLIN. nat. hist. 15, 119).
uno pseudonimo molto diffuso fra le cortigiane: cfr. STRAB. 9, 2, 25; Lucian. dial.
v. 15 bimi...meri: per i sacrifici si usava vino puro, non mescolato con acqua (cfr.
mer, l.
Fest. 474, 31 sgg. L.) e nuovo (cfr. nota a 1, 31, 2): forse « vino di due anni » signi-
‘vv. 5-6 nitor— purius: il marmo dell’isola di Paro (una delle Cicladi) era prover- fica « vino dello scorso anno », quindi il più recente a disposizione.
biale per la sua bianchezza, che ne faceva il materiale più adatto alla scultura di sta-
v. 16 mactata...hostia: Venere si placherà dopo il sacrificio di una vittima. Riti per
tue: cfr. Diopor. 2, 52, 9; StrAB. 10, 5, 7, e nota a 1, 14, 19 sg. Riferito a una
Venere con spargimento di sangue non erano frequenti, ma nemmeno impossibili:
donna, il paragone con il marmo Pario allude dunque contemporaneamente al bian-
cfr. Praur. Poen. 449 sgg.; Prop. 4, 5, 65 sg.
core lucente ‘e al carattere statuario della sua bellezza, e costituisce un motivo poe-
tico comune: cfr. Pip. Nem. 4, 81; Tarocr. 6, 37 sg.; PosInire. (o AscLEPIAD.) anth.
Pal. 5, 194, 3 sg.; PHILoDEM. ibid. 5, 13, 3.
20
v. 8 lubricus aspici: continua, per allusione, la similitudine con il marmo: il viso
di Glicera è liscio come quello, quindi scivoloso, pericoloso. Per la costruzione infi- E. Ensor, « Class. Rev. » 16, 1902, 209 sgg.; REITZENSTEIN, 16 sg; PASQUALI,
nitivale cfr. 4, 2, 59 niveus videri. 325 sge.; FRAENKEL, 214 sgg.; Commacer, 325 sg.; M.C.J. Purnam, « Class. Journ. »
v. 10 Cyprum deseruit: arguta variazione sul motivo della presenza della divinità, 64, 1968-69, 153 sgg.
tipica dello Suvog xAyrwéc (cfr. SAPPH. fr. 1 L.-P.; ALcMAN. fr. 55 P., di cui qua sem-
bra di cogliere un'eco: Kurpov iuspràv Aurotoa xod Idpov repippbrav). Negli inni si La data di quest'ode non è determinabile con sicurezza, anche se un appiglio
prega la divinità di giungere, lasciando la propria sede abituale; qui invece Venere cronologico si può individuare nel riferimento all’applauso che Mecenate ricevette
è piombata con irruenza sul poeta senza che questi l'avesse chiamata. quando riapparve, dopo una grave malattia, in teatro, e poiché tale guarigione pare
si possa collocare nello stesso periodo dell’incidente occorso a Orazio probabilmente
vv. 10-12 nec— dicere: ecco il motivo della recusatio, in una delle sue formulazioni nel 29 a.C. (cfr. introduzione a 2, 17), la data dell'apparizione in teatro potrebbe
più consuete: è la divinità che presiede all'amore, e quindi alla poesia d'amore, a im- i
essere il 30. È però priva di fondamento l’ipotesi che l’ode risalga al 23, cioè a sette
pedire a Orazio di trattare argomenti epici (cfr. introduzione e note a 1, 6). Nel rife- anni dopo l'episodio appena ricordato, in quanto il vino che Orazio dice di aver
rimento ai Parti e agli Sciti è stato ravvisato un indizio cronologico: nel 26-25 a.C. messo da parte in quell'occasione, e che in 1, 20 vuole offrire a Mecenate, avrebbe
il re dei Parti, Fraate, recuperò il trono occupato da Tiridate, con l’aiuto degli Sciti bisogno, essendo un vino sabino (cfr. GALEN. in ATHEN. 27b), di sette anni d’invec-
(cfr. IustIN. 32, 5). Ma la menzione dei Parti e degli Sciti è molto frequente in poesia
chiamento (Ensor). Che il vino sia stato imbottigliato all’epoca della guarigione di
augustea (in Orazio, cfr. 3, 29, 28; 4, 5, 25); ambedue le popolazioni sono al centro
Mecenate può essere una finzione letteraria; inoltre in 1, 9, 7 si beve un buon vino

TTT
di toboi propagandistici augustei (sui Parti cfr. nota a 1, 2, 22; sui rapporti diploma-
sabino, che è vecchio di quattro anni.
tici con gli Sciti cfr. Mon. Ancyr. 31, 2; Suer. Aug. 21, 3), e perciò stanno qui sem-
Rivolta a Mecenate, l'ode viene fatta rientrare, di solito, nel genere della vocatio
plicemente a indicare la politica estera e, quindi, l'argomento adatto a una poesia
ad cenam, ma ai biglietti poetici d’invito è accostabile solo per alcuni elementi: in
epica. realtà, non si tratta di un vero e proprio invito, poiché non solo quest’ultimo è im-
v. 11 versis...equis: la tattica dei Parti era quella di fuggire lanciando saette: cfr. plicito, ma si presuppone anche che Mecenate lo abbia già accettato. Tuttavia, alla
PLut. Crass. 24: Srépevyov ydp dua BaXdovtes oi Ilapdoy; Vero. georg. 3, 31 fidentem- tradizione poetica dell'invito a pranzo e a cena l’ode si richiama senz'altro, sfrut-
que fuga Parthum versisque sagittis. i tando, in particolare, il topos dell’offerta di un pranzo modesto, motivo epigramma-
v. 13 vivum...caespitem: una fresca zolla di terreno, in mancanza dell’altare vero tico alessandrino che conosciamo attraverso Carutr. 13 e, soprattutto, PruLoDEM.
e proprio che avrebbe dovuto essere posto sulla zolla, per questo sacrificio improv- anth. Pal. 11, 44, in cui il poeta invita il suo protettore, Lucio Calpurnio Pisone, e
564 Orazio Odi I 20, 1-11 565

che mostra notevoli punti di contatto con 1, 20, soprattutto per le dichiarazioni di v. 3 conditum levi: il vino nuovo, dopo essere giunto a fermentazione in un grande
modestia in ambedue contenute (Reitzenstein, Pasquali). Ma la presenza di tali mo- dolium, veniva travasato in piccole anfore, che si chiudevano con un tappo spalmato
delli non esclude una nota di originalità, un carattere assolutamente oraziano: l’idea di pece per evitare che vi entrasse aria: cfr. anche 3, 8, 10.
centrale sviluppata nell’ode, che è quella del vino non pregiato, annunciata all’inizio
vv. 3-4 datus— plausus: raffinata variazione dell'indicazione della data del vino: di
e ribadita alla fine, diventa un simbolo dello stile di vita del poeta, del suo gusto, di imbottigliamento, qua
solito si apponeva all’anfora il nome dei consoli dell’anno
estetico ed etico insieme, di una modesta semplicità. In tal senso, ed è questa la vera
invece l’anno è determinato dall'episodio del ritorno in pubblico di Mecenate dopo
differenza rispetto al genere della vocatio ad cenam, l’ode, inizialmente concepita come
una grave malattia (cfr. nota introduttiva). Il teatro è quello di Pompeo, l’unico allora
poesia d'occasione, si riempie di un contenuto etico che le fa superare di molto la
esistente a Roma,
situazione occasionale ed epigrammatica. i
Le prime due strofe contengono l’‘ invito’ a Mecenate, nella terza appare il v. 5 care Maecenas: il vocativo del destinatario ha una collocazione di rilievo al-
contrasto fra i gusti semplici del poeta e quelli raffinati del suo destinatario. l’inizio della seconda strofe, subito dopo la rievocazione dell’onore tributato dal po-
polo a Mecenate, La lezione tramandata è care; la congettura di Bentley, clare, non
Metro: strofe saffica.
si adatta a eques, che sarebbe semmai inlustris, non clarissimus, epiteto dei senatori.
Orazio qui ama sottolineare l'affetto che lo lega al potente collaboratore di Augusto:
v. 1 vile...Sabinum: il vino della Sabina era leggero e di qualità mediocre (cfr.
cfr. 2, 20, 7 dilecte Maecenas.
MartiaL. 10, 49, 3 sgg.). Ma non bisogna accentuare troppo la nota dispregiativa
dell'attributo, in cui andrà colta anche un’esagerazione del tono di modestia. Inoltre, eques: cfr. nota a 1,11
sottolineare l’origine sabina del vino equivale a ricordare al destinatario il dono della
vv. 5-8 ut imago: con espressione iperbolica si immagina che l’eco (per iocosa imago
villa al poeta: ciò dà maggior valore a quel vino, prodotto in quei luoghi (anche se
cfr. nota a 1, 12, 3 sg.) dell’applauso tanto fragoroso sia giunta alle rive del Tevere
i commentatori fanno notare che i poderi donati da Mecenate a Orazio non erano
e al colle Vaticano. Con paterni si allude all'origine etrusca sia del Tevere sia di Me
coltivabili a vigneti: cfr. epist. 1, 14, 23), nel momento stesso in cui lo si dichiara
cenate (cfr. nota a 1, 1, 1).
« di poco conto ».
vv. 7-8 Vaticani montis: non si tratta dell’attuale Vaticano, ma, probabilmente, di
potabis: non è futuro dell'invito, equivalente a cenabis di CAruLL. 13, 1: la situa
una altura del Gianicolo. Ager Vaticanus era denominata la riva destra del Tevere,
zione dell’ode presuppone infatti che l’invito sia stato già formulato e accettato (cfr.
dal Ponte Milvio in giù.
nota introduttiva).
v. 9 Caecubum: vino pregiato, prodotto nel Lazio meridionale: cfr. ATHEN. 27 a.
vv. 1-2 modicis...cantharis: si tratta di larghe coppe a due anse (cfr. epist. 1, 5,
È ricordato anche in 1, 37, 5; 2, 14, 25; 3, 28, 3 e altre volte in Orazio.
23 sg.), particolarmente adatte a bere vino, poiché tradizionalmente associate a Bacco
(cfr. PLin. nat. hist. 33, 150; Macr. Sat. 5, 21, 16). L’attributo, che si riferisce alla vv. 9-10 prelo — uvam: riferimento al vino di Cales in Campania (oggi Calvi): cfr.

1
modesta qualità, non certo alla quantità, è non a caso collocato nel primo verso, in 1, 31, 9 sg.; 4, 12, 14.
quanto parola-chiave, rivelatrice del gusto che domina il componimento.
v. 10 tu bibes: la lezione tramandata può essere mantenuta, intendendo bibes come

VA i AIMM
v. 2 Graeca...testa: secondo la maggior parte dei commentatori, a partire da Por- futuro concessivo, analogo a laudabunt di 1, 7, 1. Il tu in posizione enfatica sotto-
firione, l’anfora greca è un’anfora in cui è stato precedentemente conservato vino linea il contrasto fra i gusti del destinatario e quelli del poeta. Meno convincente
greco, il cui profumo si sarebbe mantenuto a lungo (cfr. Corum. 12, 28, 4). Secondo l’interpretazione di quanti spiegano « berrai, una volta tornato a casa tua ».
altri, l’epiteto è puramente esornativo, e si riferisce a un'anfora qualsiasi; mentre vv. 10-12 Falernae- colles: i vini campani del territorio di Falerno e di Formia,
Nisbet-Hubbard propongono, sulla base del confronto con CAT. agr. 24; 105; 112, indicati metonimicamente attraverso le viti e i colli. Per il Falerno cfr. 1, 27, 10;
che Graeca sia un’enallage, e che l’epiteto si riferisca in realtà al vino, ove per vino
2, 3, 8 etc.; per il vino di Formia cfr. 3, 16, 34.
greco si intenderebbe un vino mescolato con acqua salata come conservante. Infine,
una interpretazione simbolistica indica nel vino sabino conservato nell’anfora greca v. 11 temperant: il verbo indica l’abitudine di mescolare il vino con l’acqua, per

in
il contenuto della lirica di Orazio travasato entro forme greche (Commager). renderlo meno forte; con costruzione audace esso è riferito al vino anziché all’acqua.
566 Orazio Odi I 21, 1-10 567

21 mento; inoltre i quattro nomi delle divinità ricordate sono collocati nelle sedi estre-
me dei quattro versi.
Wiamowrrz, Hellenistische Dichtung II, 290 sg.; PasguaLi, 209 sg.; FRAENKEL,
142 sg. v. 1 Dianam: la prima sillaba è lunga, come in 2, 12, 20; 4, 7, 25; carm. saec. 70.

v. 2 intonsum...Cynthium: Apollo è detto Cynthius dal monte Cinto, che sorge


Quest’ode appartiene al genere della lirica religiosa, e, come l’inno a Diana del
nell'isola di Delo in cui egli nacque (hymn. Ap. 17; 25 sgg.). Intonsus riproduce l’epi-
c. 34 di Catullo, con il quale mostra notevoli punti di contatto (Wilamowitz), non
teto dxeposxiuno (Hom. Il. 20, 39; Pimp. Isthm. 1, 7), che si riferisce all’eterna giovi-
sembra presupporre una cerimonia in particolare: al contrario, vi appare predomi-
nezza del dio (hymn. Ap. 449 sg.; Tra. 1, 4, 37 sg.).
nante l’intento letterario. Risulta perciò debole qualsiasi tentativo di collegarla a una
occasione determinata, e, per conseguenza, qualsiasi ipotesi di datazione, come quella v. 4 dilectam. . .Iovi: in Esiodo Latona è ricordata fra le mogli di Zeus prima di Era
relativa al 28 a.C., anno in cui furono istituiti i ludi Actiaci in onore di Apollo e fu (theog. 918); sugli onori riservati alla dea cfr. anche hymn. Ap. 5 sgg.
dedicato il tempio di Apollo sul Palatino. Anche l’ipotesi cronologica del 27-26,
v. 5 laetam — coma: Diana è ricordata come divinità dei fiumi (cfr. l'epiteto rotaia
che parte dal riferimento ai Britanni nell’ultima strofe, non ha sufficiente fondamento:
in Pnp. Pyth. 2, 7; CartuLi. 34, 9 sgg.) e dei boschi (cfr. hymn. Dian. 18 sge.; Verc.
la preghiera finale è genericamente apotropaica, e, così come la carestia e la pesti
Aen. 9, 405; 11, 557); in hymn. Orph. 36, 12 la dea è chiamata Spvpovia, e ad Ariccia
lenza, anche i Parti e i Britanni hanno un valore emblematico, rappresentano quelli
era venerata come Nemorensis.
che sono i pericoli esterni per definizione. Tuttavia, pur non essendo riconducibile
a un'occasione religiosa, l’ode si inserisce bene nel clima ideologico augusteo, e ciò v. 6 gelido...Algido: gruppo montuoso che segna il confine dei colli Albani ad
spiega come mai, pur prendendo le mosse da Diana, come il c. 34 di Catullo in cui Est e a Sud-Est, da Tuscolo a Velletri: per il culto di Diana che vi aveva sede cfr.
è probabilmente da ravvisare il modello primo, l'inno sia poi per la maggior parte carm. saec. 69. Si noti il gioco di parole con l'attributo gelido, quasi una glossa etimo-
dedicato alla divinità aziaca, Apollo, e come attraverso la preghiera che a questi logica del nome: cfr. 3, 23, 9 nivali... Algido.
viene rivolta, di allontanare le calamità dal popolo romano e dal Caesar, passi in
secondo piano il carattere religioso dell’ode, che si trasforma in «un canto patriot- vv. 7-8 nigris...viridis: secondo alcuni interpreti, i due aggettivi si riferiscono am-
tico » (Fraenkel). bedue a silvis: i boschi sono insieme verdi e scuri (o perché popolati di pini, o per-
Secondo la maggior parte degli interpreti, l'ode è concepita come un canto in- ché così appare a distanza la massa degli alberi: cfr. 4, 12, 11 sg.). Secondo altri, meno
nico distribuito fra due semicori, uno maschile e uno femminile (cfr. il doppio coro probabilmente, nigris si riferisce soltanto ai boschi dell’Erimanto (monte dell'Arcadia,
in Caruii. 34 e 62); secondo altri, è il poeta che si rivolge al coro invitandolo luogo di caccia caro alla dea: cfr. Hom. Od. 6, 102 sg.). i
a cantare (Pasquali). v. 8 Gragi: zona montuosa della Licia, nei pressi di Patara, terra natale di Latona:
La struttura limpida (una facciata centrale, nei vv. 5-12, con le lodi della divi- vi aveva sede un importante culto di Apollo, ma talvolta vi è associata anche Arte-
nità, e due ali laterali corrispondenti, con l’invito al coro nei vv. 1-4 e la preghiera

14
10

mide (cfr. SoPH. Oed. r. 207 sg.), e il luogo è ricordato come ricco di fiere e perciò
eeeh

finale nei vv. 13-16) conferma l’impressione che questa sia un’ode particolarmente
adatto alla caccia (cfr. Eur. fr. 669, 1 sg. N°; STraB. 14, 3, 5).
DCI PI SGPEISCRI tei

elaborata e formalmente cesellata, anche se di contenuto lirico quasi inconsistente.

MARNA
Metro: asclepiadeo terzo, v. 9 Tempe: valle legata ad Apollo (cfr. nota a 1, 7, 3), il quale vi scese a putificarsi
dopo l’uccisione del serpente Pitone.
vv. 1-4 Dianam = Iovi: Latona, Apollo e Diana costituiscono una triade cultuale:
v. 10 mares: si riferisce al coro maschile (cfr. Sopn. Trach. 207 &p0évwv), ma non è
cfr. hymn. Ap. 158 sg. e uno dei peani delfici (anth. lyr. 2,309 D.). Le tre divinità
detto che qui sia il semicoro delle fanciulle a parlare: potrebbe essere il poeta a rivol-
comparivano nel tempio di Apollo sul Palatino (cfr. Pri. nat. hist. 36, 25; 32) e in

OGA
un gruppo statuario nei pressi della porticus Octaviae (cfr. Prin. nat. hist. 36, 34). Si gersi ora all'uno ora all’altro gruppo.
noti la struttura artisticamente elaborata di questa prima strofe: Diana è menzionata Delon: luogo natale di Apollo e Diana, importante sede di culto (cfr. hymn. Ap. 146
con il solo nome, Apollo con un epiteto, Latona con un'espressione che occupa due sg.) e oggetto di celebrazioni poetiche: cfr. Pinp. paean. 4; 5; 7b; 12; BaccHyL. 17;
versi. Si osservi anche che questo schema viene riprodotto per tutto il componi- fr. 65 Sn.-M.
568 Orazio Odi I 21, 11 - 22 569

v. 11 insignem: secondo alcuni, si riferisce ad un Apollinem, oggetto di tollite, rica- sgg.; F. CupaAIvOLO, in Studi De Falco, Napoli 1971, 393 sgg.; N.K. Zumwatt, « Trans.
vabile da Apollinis del v. 10, con umerum accusativo alla greca; ma quest’ultima non Amer. Philol, Ass. » 105, 1975, 417 sgg.; G. BurzaccHINI, « Quad, Urbin. cult. class. »
è costruzione consueta in Orazio (fa eccezione 3, 10, 18 mitior animum). Secondo altri, 22, 1976, 39 sge.; E. Lerèvre, « Giorn. ital. filol. » 29, 1977, 156 sge.; M.G. BonanNO,
insignem qualifica umerum, che avrebbe una funzione metonimica. in Studi Ardizzoni, Roma 1978, 93 seg.
vv. 11-12 pharetralyra: due attributi di Apollo, uniti anche in 2, 10, 17 sgg.;
Quest'ode, nella quale non si ritrovano indizi cronologici (Giuba, nominato nel
hymn. Ap. 131; Carr. hymn. 2, 18 sg. La lira è detta fraterna perché fu donata ad
v. 15, potrebbe essere il re di Numidia insediato da Augusto nel 25 a.C., ma potrebbe
Apollo dal fratello Hermes, per farsi perdonare il furto dei buoi (hymn. Merc. 475
essere il padre di questi, morto nel 46), è rivolta a un Fusco, identificato da Porfi-
sgg.; cfr. nota a 1, 10, 9 sgg.). .
rione con Aristio Fusco, amico di Orazio (sat. 1, 9, 61; epist. 1, 10, 3), grammatico
v. 13 hic...hic: l’anafora del dimostrativo, caratteristica del linguaggio sacrale e autore di commedie. Nonostante ingegnosi tentativi di trovare un legame con la
(Norpen, Agnostos theos, 163 sgg.), introduce la presentazione di Apollo come deus situazione dell’ode (da epist. 1, 10 si ricava che Fusco non amava la campagna, della
averruncus, capace di allontanare le sventure: cfr. Macr. Sat. 1, 17, 14 sg. nam... quale forse si era trovato a sottolineare i pericoli, e perciò Orazio intenderebbe qui
*ArtéXAcva tamquam *AréXAuwva cognominatum putant. ..ut Apollinem apellentem mala in- rispondergli), quest’ultima sembra avere uno svolgimento autonomo rispetto al de-
tellegas, quem Athenienses ’ AXefixaxov appellant. stinatario. i
La struttura è limpida e ben delineata: alla prima parte (vv. 1-8), in cui si affer-
bellum lacrimosum: epicismo: cfr. Hom. Il. 5, 737 réisuov...Saxgudevra. Ma in
ma l’assenza di pericoli per l’uomo puro, segue la dimostrazione della gnome attra-
un poeta che scrive nei primi anni dell’età augustea lacrimosum, riferito alla guerra,
verso un exemplum tratto dalla vita del poeta (vv. 9-16), mentre la terza parte riprende
non è un epiteto puramente esornativo.
simmetricamente la prima.
vv. 13-14 famem pestemque: l’espressione riecheggia un nesso tipico delle preghiere La disposizione stessa delle parti dell’ode porta a collegare strettamente la fine
romane più antiche: cfr. carm. Arval. 4; Car. agr. 141, 2; Liv. 5, 31, 5; Fesr. 230, all’inizio: quindi l’integritas vitae si manifesta principalmente, per il poeta, nell’amare
29 sg. L. Lalage e nel comporre poesia per lei (è questa infatti la conclusione dell’ode). Ma
questo spostamento dell’oggetto di riflessione poetica, dall’uomo puro all’uomo in-
v. 14 populo — Caesare: si noti l’allitterazione, anch'essa tipica dello stile della pre
namorato, ha posto qualche problema d’interpretazione. L'unità dell’ode è stata al
ghiera. L'espressione a populo et principe sembra una variazione della formula ufficiale
centro di varie proposte di lettura: c'è chi nega l'omogeneità del componimento, e
senatus populusque Romanus.
vede nella parte finale un allontanamento dal tema iniziale (Kiessling-Heinze), c'è
v. 15 Persas: sta per i nemici tradizionali di Roma, i Parti: cfr. nota a 1, 2, 22. chi sopravvaluta il ruolo dell'amore, e identifica il lupo dell’episodio centrale con
la tristezza che solo Lalage, cioè l’amore, può fugare (Castorina), c'è chi coglie nel-
Britannos: c'è chi vede nella menzione di questo popolo un indizio cronologico:
l’ode una complicata trama di riferimenti simbolici (Josserand), c’è chi vi avverte un
nell’estate del 27 a.C., secondo Cass. Dro. 53, 2, Augusto preparava una spedizione
intento parodico nei confronti della poesia elegiaca (Commager), di quella proper-
contro i Britanni; l’ode risalirebbe a quella data. Ma tanto i Parti quanto i Britanni
ziana in particolare (Haywood). Posizione troppo radicale, quest’ultima, anche se
rappresentano qui due popolazioni nemiche, due pericoli tradizionali per Roma,
contiene qualcosa di vero: ci sono infatti nell'’ode elementi di parodia, soprattutto
significativamente provenienti dai due confini estremi dell'impero, quello Nord-oc-
nel racconto dell'incontro con il lupo e dello scampato pericolo, che in uno stile
cidentale e quello orientale.
solenne riproduce lo schema poetico dell'avventura dell'eroe (Fraenkel).

cn
L’ode mostra alcune affinità con Arc. fr. 130, 16 sgg. L.-P. (Burzacchini); è certa
22 inoltre l'utilizzazione di un motivo della poesia ellenistica, quello dell'amante che è
al sicuro da ogni pericolo, attestato in Posmnirp. anth. Pal. 5, 213 e in PamLonem. ibid.
G.L. HenprIcKsoN, « Class. Journ. » 5, 1910, 250 sgg.; PASQUALI, 470 sgg.; Ca. 5, 25 (Pasquali). A questo topos V'elegia latina assegnò un nuovo contenuto etico, fon-
JosseranD, « Ant. class. » 4, 1935, 357 sgg.; H. Lucas, « Rev. philol. » 64, 1938, 333 EA dato sull’identità di amante e uomo buono (cfr. Tra. 1, 2, 25 sgg.; Prop. 3, 16, il
sgg.; R.M. Harwoop, « Class. Journ. » 37, 1941, 28 sgg.; FRAENKEL, 184 sgg.; Com- £ sgg.; Ov. am. 1, 6, 13 sg.; alcuni confrontano già CatuLL. 45, 1 sgg.). Orazio va an-
MacER, 130 sgg.; CastToRINA, 130 sgg.; A.W.J. HoLLEMAN, « Latomus » 28, 1969, 575 Z cora oltre, facendo di un motivo poetico convenzionale l’espressione simbolica del

cs
570 Orazio Odi.I 22, 1-9 571

suo universo etico, in cui la poesia (qui specificata come poesia d’amore) e la ‘sag- in particolare, il poeta abbia in mente un celebre iter compiuto in quella zona, cioè
gezza si identificano, in cui l’amante-poeta è vir bonus, uomo dalla coscienza pura, la marcia di Catone da Berenice (Bengasi) a Leptis (cfr. StrAB. 17, 3, 20; PLUT. Cato
e insieme saggio autosufficiente in senso stoico (malgrado l’opinione di chi coglie min. 56, 3 sg.). Di questa marcia, che ebbe notevole risonanza nei circoli stoicheg-
nell’ode una sostanziale adesione a temi epicurei e lucreziani: Lefèvre). È dunque il gianti e filo-repubblicani (cfr. Liv. per. 112 laboriosum M. Catonis in Africa per de-
fatto di essere saldamente radicata nell'esperienza poetica e umana di Orazio che serta...iter; Lucan. 9, 294 sgg.; SEN. epist. 104, 33), Orazio potrebbe aver avuto no-
conferisce a questa ode giustamente celebre la sua unità di contenuto e di tono. tizia mentre si trovava ad Atene, nel 44 a.C., e qui la rievocherebbe, allusivamente,
in un contesto dominato dal concetto dell’autosufficienza dell’integer vitae, del saggio
Metro: strofe saffica.
stoico, di cui Catone è il prototipo. L'ipotesi è suggestiva, ma le Sirti appartengono
alla topica del viaggio in capo al mondo (cfr. 2, 6, 3 sg.; Ov. am. 2, 16, 21 sgg.).
v. 1 integer — purus: si noti l'elegante costruzione chiastica, con i due genitivi (l'uno,
di limitazione, usato in locuzioni arcaiche o vicine alla lingua dell’uso: cfr. sat. 2, 3, vv. 6-7 inhospitalem Caucasum: al Caucaso, la catena montuosa che si stende dal
65; 220; Enn. scaen. 414 V? deos aevi integros; l’altro di privazione) al centro, e, agli Mar Nero (o Ponto Eusino) al Mar Caspio, Orazio riferisce l'epiteto tradizionale del
estremi, i due aggettivi sostantivati, di significato simile, accostati anche altrove (cfr. primo di questi due mari, &Éevoc (cfr. STRAB. 7, 3, 6); cfr. anche epod. 1, 12 inhospi-
Cic. Tusc, 1, 41; nat. deor. 2, 31; 71). Integer rinvia ad una sfera concettuale, quella talem et Caucasum. Già Varrone così si riferiva alla medesima regione montuosa nel
dell’integritas, centrale nella morale romana. Prometheus liber (Men. 426 Ast.): late incolens / Scytharum inhospitalis campis vastitas. Il
Caucaso e l’Idaspe del v. 8 rappresentano semplicemente l’estremo confine orientale
v. 2 non eget: appare il motivo filosofico dell’aòtàpuea del saggio, di matrice, in del mondo,come le Sirti l'estremo meridionale: un riferimento nascosto a Pompeo,
particolare, stoico—cinica: in questa prima strofe Orazio si riferisce inequivocabil. il primo generale romano che raggiunse il Caucaso (PLuT. Pomp. 34) e ad Alessan-
mente al modello del saggio autosufficiente, al quale, nel corso dell’ode, si andrà dro Magno, che presso l’Idaspe sconfisse il re Poro nel 326 a.C. (Nisbet-Hubbard),
sovrapponendo, fino alla fusione, la figura del poeta. sarebbe fuor di luogo.
Mauris iaculis: gli abitanti della Mauritania combattevano soprattutto a cavallo, ed v. 7 fabulosus: termine forse coniato da Orazio sull’esempio del greco uvd@dng (cfr.
erano famosi lanciatori di giavellotti: cfr. StRAB. 17, 3, 7; bell. Afr. 7, 5. anche 3, 4, 9 sgg. fabulosae.. .palumbes), e che rimanda alla tradizione storiografica
vv. 3-4 nec = pharetra: forse allusione alle terribili frecce avvelenate adoperate dai della paradossografia e della teratologia, che mostrava una predilezione per le leg-
Parti. Il vocativo del destinatario, come in altri casi, è incastonato entro un'immagine. gende ambientate in India.

vv. 5-6 sive...sive: la menzione di località geografiche all’interno di uno schema v. 8 Hydaspes: fiume del Punjab, oggi Jhelum; è affluente del Chenab, che sfocia
sintattico disgiuntivo riecheggia CaruLL. 11, 2 sgg. sive in extremos penetrabit Indos |... | nell’Indo. Cfr. anche nota al v. 6 sg.
sive in Hyrcanos Arabasve molles, | seu Sagas sagittiferosque Parthos, | sive quae septem- v. 9 namque: formula tradizionalmente adoperata per introdurre un exemplum a
geminus colorat / aequora Nilus, / sive trans altas gradietur Alpes. Si tratta del motivo dimostrazione di una gnome, corrispondente a xa ydp di Hom. Il. 24, 602 sgg. o di
topico del viaggio in capo al mondo, che si ritrova in 2, 6, 1 sgg.; epod. 1, 11 sgg.; Arc. fr. 38, 4 sgg. L.-P. (Fraenkel).
Prop, 1, 6, 1 seg. i
me: enfaticamente collocato all’inizio dell’exemplum: il ricordo personale sostitui-
v. 5 Syrtis-aestuosas: i due golfi libici delle Sirti (magna Syrtis, oggi golfo della sce, con inevitabile effetto parodico, lo schema tradizionale dell’avventura dell’eroe
Sirte o Sidra, fra la Cirenaica e la Tripolitania, e parva Syrtis, oggi golfo di Gabes, (Fraenkel).
fra la Tunisia e la Tripolitania), dagli insidiosi bassifondi, erano pericolosi per le bur-
rasche che li agitavano (cfr. SaLL. Iug. 78, 2 sg.). Il nome indicava sia il mare sia la lupus: l’episodio può non essere inventato, poiché i lupi nei boschi dell’Italia cen-
zona costiera, torrida (per aestuosas cfr. anche 2, 6, 3 sg. barbaras Syrtes ubi Maura trale non erano rari nell’antichità, e nemmeno in tempi recenti. Può darsi che su
semper | aestuat unda) e infestata da animali feroci (cfr. Heropor. 2, 32, 4; PLIN. nat. Orazio operi anche la suggestione di Pip. Pyth. 5, 57 sg., in cui i leoni fuggono da-
hist. 5, 26). Forse Orazio vuole riferirsi ai pericoli della regione libica più che a quelli vanti a Batto, fondatore di Cirene (Pasquali), ma l’episodio non va caricato di altre
del mare delle Sirti, come induce a pensare la parola iter, che sembra indicare un viag- presunte allusioni, come quella, per esempio, a un miracolo della vita di Pitagora
gio per via di terra. Una suggestiva proposta esegetica (Nisbet-Hubbard) vuole che, (Josserand}).
572 Orazio Odi I 22, 10 - 23 573

v. 10 Lalagen: malgrado ingegnosi tentativi di identificare questa donna con la v. 22 domibus negata: con questa perifrasi Orazio sembra tradurre il termine doi-
liberta di Livia, moglie di Livio Sabino, di CIL 6, 2, 3940 (Lucas), o con una donna xnros (« inabitabile »), del linguaggio geografico: cfr. Heronpor. 5, 10; ANAXAGOR.
amata da Fusco o da Orazio stesso, o di cogliere nel suo personaggio una allusione DK A 67.
alla Delia di Tibullo (Holleman), l'ipotesi più probabile è che si tratti di un nome vv. 23-24 dulce — loquentem: il sorriso e la voce della donna amata costituiscono
fittizio, forse di tradizione letteraria ellenistica, collegato al verbo AxAeîv, « chiacchie una nota luminosa (accentuata dall’anafora di dulce, accusativo avverbiale), dopo lo
rare ». Si noti come in un epigramma che racconta un episodio simile a quello nar-
squallore dei paesaggi desertici appena descritti. La reminiscenza di Saffo (fr. 31, 3
rato da Orazio (Dioscorin. anth. Pal. 6, 220) un leone è messo in fuga dal suono
sgg. LP. &Sv guoveloag Urarote. / xal yeralong iusposv) è mediata attraverso la tra-
del timpano, definito X@AKyyua (Bonanno).
duzione catulliana (51, 5 dulce ridentem). Ma, oltre che in Saffo, il motivo poteva tro-
vv. 13-14 militaris Daunias: la parte settentrionale della Puglia, che comprendeva varsi in un carme ellenistico perduto, come farebbe pensare la coincidenza con Ari
la città natale di Orazio, Venosa, chiamata Acuvia da Srras. 6, 3, 2; 6, 3, 9 e Apulia STAENET. epist. 2, 21 (Pasquali). Ma sarà oraziano, piuttosto che ellenistico, l’accosta-
Dauniorum da Prin. nat. hist. 3, 103, dal nome della leggendaria tribù illitica dei Dauni, mento del nome Lalage e del participio loquentem, semanticamente connessi (cfr.
guidata da un mitico re Dauno, che aveva colonizzato la Puglia (cfr. STRAB. 6, 3, 9). nota al v. 10).
Il nominativo grecizzante, coniato sul modello di Thukc, Tpwdc etc., accresce il tono
ironicamente epicizzante della similitudine e di tutta quanta la strofe. Per militaris,
23
con riferimento alla Puglia come riserva di soldati, cfr. 2, 1, 34 sg. Dauniae...cae-
des; 3, 5,9.
Pasquani, 133 sg.; H.J. Rose, «Harv. Stud. Class. Philol. » 47, 1936, 2 sgg.;
v. 14 aesculetis: boschi di aesculus, specie di quercia dalle ampie foglie, simile al FrRAENKEL, 183 sg.; M.O. Ler, « Class. Philol. » 60, 1965, 185 sg.
nostro rovere (cfr. Vere. georg. 2, 15), che cresce soprattutto nell’Italia meridionale.
Alcuni elementi metrici e linguistici, come lo iato fra il ferecrateo e il gliconeo
v. 15 Iubae tellus: la Numidia, terra popolata da leoni, tradizionalmente indicati
come getuli (cfr. 1, 23, 10; 3, 20, 2). Il re menzionato può essere identificato con nelle prime due strofe, che più tardi Orazio eviterà accuratamente, o la vocalizza-
zione della semivocale u in siluae (cfr. epod. 13, 2) inducono a considerare quest’ode
Giuba I o con Giuba II (cfr. nota introduttiva).
una delle più antiche. i
v. 17 pone me ha valore condizionale, e con amabo del v. 23 forma una costru Destinatario è una fanciulla che ha lo stesso nome, Cloe, della donna che com-
III

zione paratattica, vicina ai modi vivaci della lingua dell’uso. pare in 3, 7, 10, dell'amante ricordata in 3, 9 e della donna superba di 3, 26, 12; ma
pigris: comincia una serie di eruditi riferimenti geografici che rimandano alla teoria è difficile che si tratti della medesima persona, e Cloe sembra un nome fittizio, sug-
delle cinque zone del mondo, divise in abitabili e inabitabili (cfr. ArusToOT. meteor. gerito in quest’ode dall’acerbità della fanciulla (cfr. yA6, « erba »; yAwpég, « verde »).
362b, 5 sgg.; Dro. LaAERT. 7, 1, 156; Cic. nat. deor. 1, 24; StraB. 2, 3, 1). Pigris Già Alceo (fr. 10 L.-P.) paragonava una fanciulla timida a una cerbiatta; ma il mo-
risente forse dell’espressione tecnica yî) &py6 (depy6c), il contrario di Y7j sipyaouévy, dello di Orazio è Anacr. fr. 408 P. dyavie oîk Te veBpdv veodyiéa / yadadyvòy
riferita in particolare alle lande desolate dell'estremo Nord: cfr. anche 2, 9, 5 glacies 8 TevÙAn xepobcong / dtoderpdelc dirò perpòs èrtohndy (« dolcemente come un giovane
iners; 4, 7, 12 bruma...iners; Lucr. 5, 746 pigrumque rigorem. cerbiatto lattante, che la madre dalle grandi corna ha abbandonato nel bosco, ed è
sbigottita »). Ma rispetto al modello anacreonteo Orazio muta non soltanto il metro,
vv. 17-18 nulla — aura: il deserto è caratterizzato dall'assenza di alberi (cfr. HeroporT.
adottando il ritmo lesbio dell’asclepiadeo, ma anche lo stile, soprattutto per quanto
4, 21; Prin. nat. hist. 16, 2) e dalla mancanza del soffio vivificatore dell’aria (cfr. Lucr.
1, 11 genitabilis aura Favoni; CatutLt. 64, 282 aura parit flores fecunda Fawvoni). riguarda l’aggettivazione: da un lato egli sfronda l’espressione degli epiteti puramente
esornativi, dall'altro aggiunge o sostituisce attributi, rispetto al modello: così, per
v. 19 latus: in senso tecnico, il fianco del mondo, all’interno di una divisione della esempio, xepotcong untpés diventa pavidam matrem. Ne risulta una descrizione non
terra in zone, come quella di Eratostene, in cui Nord e Sud sono considerati fianchi
del mondo.
& puramente oggettiva, ma caratterizzata da una sorta di stile soggettivo che ricorda il
Virgilio georgico; tutto nell’ode, dalla similitudine con la cerbiatta ad ogni dettaglio
vv. 21-22 sub— solis: altro riferimento geografico, all’Equatore, considerato troppo 3 del paesaggio (il fremito della brezza, il brivido delle foglie, il fruscio della lucertola
vicino al sole: cfr. ArIsTOT. meteor. 363 a 14; Prin. nat. hist. 2, 189; Serv. Aen. 4, 481 sul rovo), esprime la delicatezza dei sentimenti della fanciulla, che sono gli stessi della
574 Orazio Odi I 23, 1 — 24 575

cerbiatta umanizzata, alla cui paura il' poeta guarda con partecipazione. Se da Ana- v. 10 Gaetulus...leo: la Getulia, regione dell’Africa settentrionale a Sud della Nu-
creonte Orazio ha tratto la situazione poetica, se ne ha ricreato, in parte, l’animus in midia, era abitata da leoni feroci (cfr. 3, 20, 2 e nota a 1, 22, 15).
quella delicata sensualità che si avverte dietro la tenerezza delle immagini, è solo ora-
frangere: il verbo rende l’idea dello sbranare. Per tranquillizzare la fanciulla, Orazio
ziana la simpatia per Cloe, il sentimento dell’attesa trepidante che percorre l’ode, ed
ironizza sulla sua paura ingiustificata. Per questo egli adopera immagini particolar-
insieme quella saggia ironia con cui il poeta guarda all’avvicendarsi delle stagioni
mente cruente, attingendo al registro epico, da cui proviene la similitudine con la
della vita umana, alla necessità naturale che destina la fanciulla, ancora timida e
tigre è con il leone: cfr. Hom. Il. 11, 113 sg.
ritrosa, a seguire prima o poi un uomo. i
“Quanto alla struttura, si tratta di un’ode molto unitaria, formata da tre strofe v. 11 matrem: lasciare la madre segna l’inizio della nuova vita per una donna nella
ciascuna delle qualiè a sé stante, anche se le prime due sono fra loro maggiormente poesia erotica e nell’epitalamio: cfr. AnACR. 408, 3 P. (vd. nota introduttiva) e 346,
legate. 4 P.; Catutit. 62, 1 sg. qui natam possis complexu avellere matris, /complexu matris reti-
Metro: asclepiadeo terzo. nentem avellere natam.

v. 12 tempestiva...viro: cfr. Vero. Aen. 7, 53 iam matura viro, iam plenis nubilis
v. 1 inuleo: per la similitudine con la cerbiatta (inuleus indica-sia l’animale maschio annis.
sia la femmina) cfr. nota introduttiva. Si aggiunga SapPH. fr. 58, 16 L.-P. toa
vefplovow; BaccHyL. 13, 84 sgg.; AGATH. anth. Pal, 5, 292, 12.
x
24
Chloe: il vocativo del destinatario è inserito entro la similitudine con la cerbiatta.

v. 2 pavidam: cfr. nota introduttiva. REITZENSTEIN, 2 sg.; M. SieBoure, «Neue Jahrbb. f. Klass. Alt.» 25, 1910, 271
sgg.; Pasquali, 237 sgg.; H. Aksar KHan, «Latomus» 26, 1967, 107 sgg.; C.B.
vv. 3-4 non — metu: litote, L'aggettivo vano non è casuale né puramente denotativo, Pascat, in Homm. à M. Renard I, Bruxelles 1969, 622 sgg.
ma è ricco dell’ empatia’ del poeta, il quale partecipa alla paura dell'animale, che è tanto
più grande quanto più è ingiustificata. Il ricorrere della u (vano aurarum siluae metu) L’ode è con ogni probabilità una delle ultime della raccolta dei primi tre libri;
riproduce il suono cupo che ogni rumore assume nelle balze solitarie. è successiva infatti alla morte di Quintilio Varo (24-23 a.C. secondo la cronologia
di Girolamo), in occasione della cui scomparsa fu composta. Proveniente da Cre-
vv. 5-6 veris — adventus: fanno difficoltà soprattutto l’astratto adventus veris per ver
mona ed eques Romanus, secondo Porfirione, egli era poeta, secondo lo ps.-Acrone
adveniens e l'associazione di inhorruit, che logicamente dovrebbe avere per soggetto
e, secondo Serv. ecl. 6, 13, seguace della filosofia epicurea (è forse Varo il Kotvriiog
folia, a un soggetto come adventus. Di conseguenza il passo è stato variamente ritoc-
ricordato da Filodemo: cfr. K6RTE, « Rhein. Mus. » 45, 1980, 172 sgg.). In ars 438
cato. Da una parte si è emendato veris in vepris (= «cespuglio, roveto », ma il
sgg. Orazio lo ricorda come un amico sincero e un critico onesto ed equilibrato della
sostantivo è normalmente usato come plurale tantum; un nominativo singolare vepris
sua poesia.
non ha comunque attestazioni sicure) o in vitis (ma una vite mal si adatta a ‘un pae-
Destinatario è Virgilio, la cui presenza ha avuto un peso sullo svolgimento del-
saggio silvestre e montano) e adventus in ad ventum o ad ventos (= «al soffio del
l’ode, non solo per la sua amicizia con Quintilio Varo; anche il riferimento alla pietas
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vento »). Dall’altra parte si è emendato adventus sempre in ad ventum o in adventu e,


nel v. 11 e la gnome finale sulla patientia (cfr. nota al v. 19 sg.) sembrano condizionati
SERA (ECG:

conservando veris (donde « al vento di primavera » o « all'arrivo della primavera »),


infatti dalla figura del grande poeta. Non ha però fondamento l’ipotesi secondo cui
si è ricavato per inhorruit un soggetto silva da siluae del v. 4 o rubus da rubum del v. 6.
(CA

1, 24 sarebbe la risposta a un’elegia composta da Virgilio per la morte del comune


Ma nonostante l’arditezza dell’espressione il testo tràdito può essere mantenuto: cor-
24[° girato ||

amico, ed insieme una lezione su come costruire un compianto funebre senza per-
reggendolo si elimina un'immagine suggestiva e altamente lirica, di cui sarebbe in- =
dere il senso del ritegno e della misura (Akbar Khan).
giusto defraudare il poeta.
All’interno della struttura si possono individuare due gruppi strofici fondamen-

rn
v. 8 corde-tremit: nella tradizione poetica la paura ha sede sia nel cuore (cfr. tali, legati a loro volta da una serie di corrispondenze simmetriche interne (Pascal):
Hom. Il. 13, 282) sia nelle ginocchia (cfr. Hom. Il, 3, 34). i vv. 1-8, che contengono il lamento funebre vero e proprio, e i vv. 9-20, che sono

go
576 Orazio Odi I 24, 1-7 577

esplicitamente rivolti a Virgilio, a differenza dei precedenti, e in cui sono sviluppati v. 3 liquidam letteralmente indica una voce chiara, limpida (cfr. liquere), ma in
i motivi consolatori. poesia, probabilmente grazie alle sue proprietà onomatopeiche, l’aggettivo viene usato
Corrispondentemente a questa bipartizione strutturale, nell’ode confluiscono due come equivalente di XAyis o Ayvpég (« sonoro », « acuto »): cfr. Varr. Men. 131
diverse tradizioni letterarie, quella dell’epicedio e quella della consolatio. Il confronto Ast.; Lucr. 2, 146; 4, 981; 5, 1379; Vera. georg. 1, 410.
con esempi di consolationes a noi noti (alcune epistole di Cicerone, la lettera di Servio pater: le Muse sono figlie di Zeus e di Mnemosyne (cfr. Hes. theog. 52 sg.).
a quest’ultimo in Cic. fam. 4, 5, l’anonima consolatio ad Liviam, i trattati di Seneca
v. 5 ergo: esclamazione, carica dell’affettività del linguaggio parlato, con cui si espri-
per Marcia e per Polibio, alcune fra le Silvae di Stazio) mostra che anche in 1, 24
mono lo stupore e l’incredulità per una notizia appena ricevuta: cfr. il lamento ipo-
compaiono alcuni motivi topici del genere, che erano stati codificati dalla tradizione
crita dell'erede in sat. 2, 5, 101 ergo nunc Dama sodalis nusquam est? Malgrado l’opi-
retorica (cfr. MENANDR. rhet. gr. 3, 413 sg.; 419 sgg. Sp.) (Reitzenstein), ma ciò non
nione di alcuni interpreti, l’uso di una formula generalmente adoperata come intro
implica affatto un'origine scolastica di quest’ode, quasi che Orazio l’avesse costruita
duttiva (cfr. Prop. 3, 7, 1; 3, 23, 1; Ov. am. 2, 7, 1) non è una nota stonata, poiché,
attingendo a manuali ellenistici di poetica (Siebourg). Non bisogna infatti sottovalu-
anzi, essa segna l’inizio vero e proprio dell’ode dopo il proemio (0, se si vuole, lo
tare la presenza in essa, accanto all’elemento consolatorio topico, di echi riconosci-
stacco fra la parte proemiale e quella seguente).
bili del genere dell’epicedio. Incorniciata entro due spunti archilochei (cfr. note ai
vv. 1 sg. e 19 sg.), l’ode si rifà a una tradizione che dai threnoi di Pindaro e di Simo- perpetuus sopor: «il sonno eterno », eufemismo adoperato in tutte le lingue e in
nide andava alla poesia funeraria ellenistica per noi quasi interamente perduta (ma tutte le culture per indicare la morte: in latino si trova sia in poesia elevata (cfr.
l'epicedio di un discepolo italico di Bione mostra notevoli punti di contatto con 1, Lucr. 3, 921 aeternum...soporem) sia nelle epigrafi funerarie.
24: cfr. Pasquali), alle elegie di Calvo per la morte della moglie Quintilia (cfr. frr. vv. 6-8 cui parem: è il motivo dell’elogio delle virtù del morto, topico tanto negli
15-16 Biichn.), al c. 101 di Catullo per la morte del fratello. epicedi quanto nelle consolationes. Il fatto che tali virtù siano personificate, e presen-
Metro: asclepiadeo secondo. tate come alla ricerca di un successore che le incarni degnamente, ha indotto a pen-
sare che qui sia adombrato anche un altro motivo: Pudore, Fedeltà, Verità e Giu-
vv. 1-2 quis-— capitis: secondo Reitzenstein, questo è già un motivo consolatorio stizia sono rimaste orfane in terra (Pasquali).
rivolto a Virgilio. Ma il destinatario è ancora assente, e Orazio rivolge piuttosto a
se stesso l’esortazione a non avere ritegno del proprio pianto; motivo, quest’ultimo, v. 6 Pudor: come le virtù successivamente ricordate, il Pudor (personificato anche
ricorrente nelle consolationes (cfr. cons. ad Liv. 7 sg.; ps.-PLUT. Apoll. 102d; e i rela- in Ov. am. 1, 2, 31 sg.; fast. 5, 29) è un concetto etico importante nel sistema romano
tivi precetti in ps.-DIon. p. 281, 8 Us.--Rad.; MENANDR, loc. cit.), ma anche nella dei valori: cfr. Cic. Mur. 30; ad Q. fr. 1, 1, 18; fin. 2, 113; Cat. 2, 25; Cluent, 12.
poesia funeraria, a partire da quell’elegia di Archiloco da cui deriva la citazione finale vv. 6-7 Iustitiae
— Fides: l’espressione si riferisce alla stretta connessione fra le due
di quest’ode (fr. 13 W.), fino all’epicedio per Protagora di EurziorION. fr. 21 Powell. virtù: cfr. Cic. off. 1, 23 fundamentum autem est iustitiae fides. Si tratta di valori etici
Dietro il motivo poetico si coglie l’eco del dibattito filosofico fra i sostenitori della importantissimi, legati all'archeologia mentale del ceto dirigente romano, e la cui per-
drddea (gli Stoici) e quelli della uetporddev (gli Accademici: cfr. Prar. rep. 387e; sonificazione allude forse anche alla loro divinizzazione: la Fides era un'antica divi
Sen. dial. 12, 1, 4; ps-PLUT. loc. cit.). nità, onorata con un culto fin da Numa Pompilio (cfr. Liv. 1, 21), la Iustitia è divi.
v. 2 cari capitis: espressione dotata di forte contenuto affettivo, coniata sul modello nità cara ad Augusto, che nel 13 d.C. le dedicherà una statua (Fasti Praenestini, inscr.
dell’omerica gliy xepaQ) (cfr. IL 8, 281; Od. 1, 343): si trova anche in Carutt. 68, Ital. 13.2 p. 113). La centralità di questi valori nell'universo politico, etico e religioso
119 sg. e in Vero. Aen. 4, 354. romano porta ad escludere l'influsso dominante, secondo alcuni, delle personifica-
zioni, comunemente attestate, dei corrispondenti concetti greci (Aî$dc, Alxy, Itorie).
vv. 2-4 praecipe — dedit: l’invocazione alla Musa fa di questa prima strofe quasi un
proemio all’ode. Melpomene (cfr. anche 3, 30, 16; 4, 3, 1) è la Musa della poesia tra- v. 7 nuda...Veritas: la lode della sincerità di Quintilio Varo ben si adatta all’idea
gica e lirica, secondo una distinzione che però Orazio non conosce ancora (cfr. nota che di questo personaggio possiamo farci attraverso il resoconto della sua attività di
a 1, 1, 32 sg.). Praecipe, verbo per lo più adoperato in poesia didascalica, allude a una critico imparziale in ars 438 sgg. Il motivo della verità nuda, diffuso nella cultura
concezione arcaica nella quale la Musa è maestra del poeta: cfr. Hom. Od. 8, 481 latina (cfr. anche Aput. met. 10, 12, 4; Auc. epist. 242, 5), presuppone un motivo
(gordobc) otuag Modo” éBidate; 488 Modo” éUdate. iconografico comune, di cui un riflesso si coglie nella Calunnia del Botticelli.
578 Orazio Odi I 24, 10 - 25 579

v. 10 Vergili: solo adesso Orazio si rivolge al destinatario; il vocativo, artisticamente note a 1, 4, 16; 17). Si noti come qua il riferimento sia immediatamente successivo
collocato alla fine dei due versi sul pianto dei buoni per la morte di Quintilio Varo, a due versi pieni della percepibile magia della musica.
viene a trovarsi al centro dell’ode.
sanguis: probabile riferimento alla credenza arcaica secondo cui il sangue restituiva
v. 11 frustra pius: secondo alcuni, frustra si riferisce a pius, secondo altri a poscis la vita alle ombre, della quale un riflesso si coglie nella véxuta omerica (Od. 11, 152
del v. 12; secondo altri, più probabilmente, si tratta di una costruzione dò xorvol. sgg.). In Virgilio le ombre sono exsangues (Aen. 6, 401).
In ogni caso, tutta la carica espressiva del verso converge sul nesso frustra pius, in
v. 16 virga...horrida è la virga aurea di Mercurio che in 10, 17 sg. spinge la levis
cui viene definita inutile la pietas di Virgilio, con una variazione rispetto al motivo,
turba dei morti (cfr. nota ad l.): qui il quadro è reso molto più cupo dall’epiteto hor-
comune negli epicedi, dell’inutilità della pietas del morto (cfr. Ov. am. 3, 9, 37 per
rida e dalla presentazione dei morti come niger grex (v. 18).
la morte di Tibullo), ma, in generale, caro alla meditazione oraziana sulla morte (cfr.
2, 14, 2; 4, 7, 24). Qui la pietas inutile non è quella del morto, ma del destinatario v. 17 non recludere: per l’infinito dopo lenis cfr. epod. 17, 47. Non lenis è una litote
della consolatio (cfr. anche cons. ad Liv. 41 sgg.; STAT. silv. 5, 5, 3 sgg.). L’interpreta- per indicare la tradizionale spietatezza delle divinità dell’oltretomba (fin da Hom. Il
zione che si dà comunemente di questa espressione è che Virgilio sarebbe stato mal 9, 158 °AlSnc.. .dSduaortoc). Fata recludere è espressione ardita che presuppone la me-
ricompensato dagli dei, i quali gli hanno tolto l’amico tanto caro; ma alcuni pensano tafora delle porte degli Inferi, e in cui l’uso di fata, anziché di un termine che designi
a una accezione più ristretta della pietas, come devozione nei confronti dell’amico, le porte o i chiavistelli, esprime efficacemente l’ineluttabilità del destino.
senso religioso dell’amicizia.
vv. 19-20 durum- nefas: la gnome finale rimanda a un motivo diffuso nelle conso-
non — creditum: espressione di difficile interpretazione, Porfirione e alcuni interpreti lationes. Probabilmente però Orazio si ricorda qui, in particolare, di ArcHILOcH.
moderni spiegano « non sub hac spe illis commendatum (sc. a te) », nel senso cioè fr. 13, 5 sgg. W. did Beol ydp dvpitotora xaxotow, / © gia, Eri xparephv TAmpooivyy
che Virgilio non aveva raccomandato l’amico alla cura degli dei a questo patto (il E9e0av/ phopaxov. Se è vero che Virgilio amava ripetere nullam virtutem commodiorem
confronto con 1, 3, 5 sg. ha fatto pensare che Quintilio Varo sia morto durante un esse patientia ac nullam asperam adeo esse fortunam quam prudenter patiendo vir fortis
viaggio). Secondo altri, bisogna intendere «tibi a dis creditum », e cioè «invano non vincat (come ci dice l'ampliamento umanistico della Vita Vergili di Donato, p. 36
chiedi l’amico agli dei, perché questi non te lo affidarono a questo patto (di non esi- Diehl), la sentenza acquista un valore particolare, che trascende il carattere gnomico
gerne la restituzione) ». Questa seconda interpretazione è preferibile, perché implica e topico per diventare una ‘ citazione’ delle parole del destinatario, e insieme la testi-
un riferimento al topos consolatorio della vita come prestito che gli dei possono esi- monianza di un rapporto affettivo.
gere quando vogliono (cfr. Cic. Tusc. 1, 93; Sen. dial. 11, 10, 4).

vv. 13-14 quid — fidem: altro motivo consolatorio: il lamento non serve a riportare
in vita i morti, nemmeno quello più dolce e ammaliante, il canto di Orfeo, poté
25
ricondurre alla vita Euridice, se non per un momento illusorio. L'esempio di Orfeo
Pasquali, 441 sgg.; A. LA PENNA, « Belfagor » 18, 1963, 190 sgg.; V. PòscHI,
in contesti di poesia funebre è presente almeno a partire da Eur. Alc. 357 sgg.; cfr.
Dialogos fiir H. Patzer, Wiesbaden 1975, 187 sgg.; B. ARKINS, « Class. et Med. » 34,
anche l’epitafio di Bione, con il quale l’ode mostra punti di contatto, nei vv. 115 sgg.,
1983, 161 sep.
e, per la poesia epigrafica, carm. epigr. 492, 7 sg. Ma Orazio, in particolare, non può
non aver presente l’episodio di Orfeo ed Euridice nel finale delle Georgiche (4, 467
Non vi sono indizi cronologici in quest'ode, definibile come una «canzone a
sgg.): un altro segno del peso che ha il destinatario sullo sviluppo tematico dell’ode. dispetto » (Pasquali) rivolta a una donna, Lidia, la cui bellezza comincia a sfiorire.
v. 15 vanae...imagini: le ombre dei morti sono ‘vane’, come dirà Dante (purg. Si tratta forse della stessa donna che in 1, 8 e in 1, 13 (cfr. introduzioni relative) è
2, 79), secondo un cliché espressivo che da Hom. Od. 10, 521 &uéwnva xdpnva arriva presentata nel massimo del suo splendore e nel trionfo del suo potere sugli uomini,
a Lucr. 1, 123 simulacra modis pallentia miris e a VerG. Aen. 6, 292 sg. tenues sine cor- e che ritorna nell’ode della riconciliazione, 3, 9: vera che sia o no questa identifica.
pore vitas |.. .cava sub imagine formae. Ma in Orazio l’espressione corrisponde a un zione, sia che le quattro Lidie corrispondano a una persona reale o no, non c’è dub-
motivo centrale del suo linguaggio poetico e della sua meditazione: l’inconsistenza bio che, almeno in quest’ode, il destinatario abbia un peso determinante, e che tutto
della morte, regno dell'apparenza, in contrasto con la realtà concreta della vita (cfr. il componimento si svolga attorno alla sua situazione.
Odi I 25, 1-5 581
580 ‘Orazio

La struttura è bipartita: nei vv. 1-8 è descritta la condizione presente di Lidia, solo la sofferenza della donna divorata dalla libidine, ma anche la forza devastante
con i segni dell’incipiente tramonto e il declino del suo successo presso gli uomini, del desiderio fisico che fa impazzire le cavalle. Questa capacità di elevarsi da una
mentre nei vv. 9-20, attraverso la profezia, lo sguardo è rivolto al futuro di solitu- situazione individuale ad uno squarcio descrittivo delle forze della natura presuppone
dine e disperazione che attende la donna. il libro III delle Georgiche, ma soprattutto il libro IV del de rerum natura: come in
I motivi sviluppati in quest'ode sono tutti molto diffusi nella poesia erotica, Lucrezio, la vicenda umana dell’eros assume una risonanza cosmica, che è del tutto
soprattutto, ma non soltanto, in quella ellenistica: in particolare, nella situazione inedita in un poeta che mostra di aver conosciuto l’amore soprattutto come gioco
descritta nella prima strofe e nella prima metà della seconda, è stato ravvisato uno galante. i
spunto da Anacr. fr. 431 P. xoù poxAòv iv Bupyior dito Bard Hovyos xaresder (« e Metro: strofe saffica.
dormi tranquillo, senza bisogno di mettere il paletto alla porta »). I vv. 7-8 rap-
presentano un frammento di rapaxAxvotdupov (specie di serenata lamentosa cantata v. 1 parcius — fenestras: di notte le finestre sono chiuse: iunctas si riferisce alle im-
davanti alla porta chiusa dell’amata), un tipo di componimento le cui linee essenziali poste di legno (fores) che, unendosi, chiudevano le finestre. Il comparativo parcius,
si trovano già nella lirica arcaica (cfr. Arc. fr. 374 L.-P. Sta pe xwudodovra Séfa, sottintendendo come termine di paragone il passato, introduce immediatamente, al-
Mocopar ce Mocouar « accoglimi, accogli me che ti faccio la serenata, ti prego, ti l’inizio dell’ode, il contrasto fra l'oggi e l’ieri.
prego »), ma che è soprattutto un tema fra i più frequenti in poesia ellenistica (cfr.
AscLepiap. anth. Pal. 5, 167, 1 sg.; 5, 189). Talvolta il rapaxAavetdupov conteneva v. 2 iactibus crebris: se i giovani lanciano sassi contro le finestre di Lidia (l’asso-
elementi derivanti da un altro sottogenere poetico, quello delle maledizioni (&pat, nanza in c dei vv. 1 sg. riproduce il rumore della pietra sul legno), vuol dire che la
dirae): cfr. l’epigramma 63 Pf. attribuito, probabilmente a torto, a Callimaco, o camera di quest’ultima è elevata rispetto al livello della strada. Quindi Lidia abita
Rurin. anth. Pal. 5, 103. Il suggerimento di abbinare rapaxAauotdupov e dpat potrà in una casa a più piani, del tipo che è venuto alla luce nel corso degli scavi di Ostia:
essere venuto a Orazio dai precedenti ellenistici, ma l’ode nel suo. complesso non erano abitazioni per gente povera, che vi abitava in piccoli appartamenti, e che erano
si può definire un rapaxAavotdupov. D'altra parte, il tema poetico delle dirae aveva state rese possibili dall’affermarsi della tecnica edilizia del calcestruzzo nella seconda
uno sviluppo e una diffusione autonoma nella letteratura ellenistica, come testimo- metà del I a.C. (cfr. Virruv. 2, 8, 16 sg.). Si tratta dunque di un tocco moderno e
niano esempi di tarde imitazioni (IuLran, anth. Pal, 5, 298; Macenon. ibid. 5, 271; specificamente romano che viene a inserirsi nel quadro del motivo poetico ellenistico.
AcATH. ibid. 5, 273), e come lascia presupporre il confronto fra la nostra ode e la
iuvenes protervi: il riferimento èx al xòuog (0 comissatio), cioè all’abitudine dei gio-
elegia finale del libro III di Properzio, quella del discidium definitivo fra il poeta e
vani di formare comitive, specialmente dopo cena, per recarsi a intonare una sere-
Cinzia, in cui il poeta predice alla donna la vecchiaia, il disfacimento fisico, l’umi-
nata sotto la casa di una donna, e a volte a sfondare la porta dell'abitazione. Si tratta
liazione che dovrà subire lei che ha umiliato gli altri: at te celatis aetas gravis urgueat
di un motivo poetico comune (cfr. Pasquali), ma anche di un costume diffuso nella
amnis | et veniat formae ruga sinistra tuae; | vellere tum cupias albos a stirpe capillis, / a! spe
realtà romana: cfr. Gel. 4, 14, 5; Arut. apol. 75.
culo rugas increpitante tibi, | exclusa inque vicem fastus patiare superbos / et quae fecisti facta
queraris anus (Prop. 3, 25, 11 sgg.). La descrizione oraziana è più sobria, e nello stesso vv. 3-4 amat-=limen: la porta, personificata, è presentata come fedele alla soglia:

obi li] MAMMA


tempo più potente, di quella properziana: l’uso del futuro della profezia, al posto lo spunto anacreonteo (cfr. nota introduttiva) è variato mediante un tratto tipico della
dell’ottativo dell’augurio, dà un carattere di ineluttabilità alla raffigurazione della poesia latina, nella quale la porta chiusa, oggetto dei lamenti dell’innamorato nel
donna invecchiata (Arkins), trasformando lo sfogo di un amante deluso in una rifles- rapaxAavottupoy, è spesso personificata: cfr. PLauT. Curc. 147; CaTuLI. 67, 38; Trs. 1, 2;
sione sull’inesorabile scorrere del tempo, sulla legge dell’esistenza che è legge di pro- Prop. 1, 16, 25 sg.; Ov. am. 1, 6. Per l’espressione amat limen cfr. Vero. Aen, 3, 134;
gressivo decadimento, Manca inoltre nell’ode il compiaciuto indugiare sul disfaci- 5, 163; Prop. 2, 6, 24.
mento fisico della donna; il poeta è ormai lontano dal gusto del particolare racca-
pricciante, che caratterizzava gli epodi. Eppure «la sua pittura, pur tispettando il v. 5 multum: già Porfirione riferiva giustamente quest’avverbio a movebat, mentre
decorum, è grande di spietatezza » (Pasquali). Attraverso un linguaggio crudo nella alcuni interpreti moderni intendono multum facilis; ma la costruzione di multum con
sobrietà e uno stile espressionistico che raggiunge vertici altissimi (La Penna), Orazio l’aggettivo è colloquiale, e Orazio la adopera soltanto nel sermo (cfr. sat. 2, 3, 147 sg.;
trasforma il motivo ellenistico, fra il galante e il piccante, della vendetta dell’inna 2,5, 92 etc.). Il riferimento è forse non solo alla frequenza, ma anche alla forza con
morato in una vera e propria rappresentazione tragica, che ha per protagonista non cui la porta si apriva un tempo.
582 Orazio
Odi I 25, 7 — 18 583

facilis: accusativo plurale riferito a cardines (così già Porfirio


ne); ma non è impos- 58, 3 sg. nunc in quadriviis et angiportis / glubit magnanimi Remi nepotes. Solo indica il
sibile che si tratti di un nominativo, in funzione predicativa
rispetto a ianua (cfr. Tis. vicolo solitario, ma suggerisce contemporaneamente la solitudine della donna in
1, 2, 7 ianua difficilis; Ov. am. 1, 6, 2 difficilem...forem). I
cardines erano pali verti preda alla brama dei sensi.
cali a cui erano attaccati i pannelli di legno della porta (fores),
ed erano per lo più di
legno (cfr. Pin. nat. hist. 16, 210). vv. 11-12 Thracio + vento: Borea (o Aquilone), vento di Nord, tradizionalmente in-
dicato come proveniente dalla Tracia (cfr. epod. 13, 3; Hrs. op. 553; Cal. hymn. 3,
vv. 7-8 me-dormis: in questo frammento di napexAavaldupo
v è scolpita in pochi 114). Per bacchari riferito all’infuriare del vento cfr. 3, 3, 55; qui è implicito anche
tratti la situazione tipica di tal genere di componimento: l’exclus
us amator che si strugge un riferimento alla Tracia come sede di culti bacchici. Non è il caso di chiedersi, con
d’amore, mentre la donna manifesta la sua indifferenza dormen
do. Il plurale longas certi esegeti, come mai Lidia esca di casa con un clima così inclemente: Orazio vuole
noctes (la notte è lunga per l’innamorato respinto: cfr. AscLePIAD. anth. Pal. 5, 189, soprattutto suggerire una atmosfera, dipingere un quadro in cui la violenza della
1; Prop. 1, 12, 13 sg.; Ov. am. 2, 19, 22; her. 16, 317) rende
continuativa l’azione natura faccia da sfondo adeguato (e in qualche modo ne sia simbolo, come ritiene
del perire, quasi un ripetuto implorare, un lento struggimento.
Ciò fa sì che la situa- Péschl) alla violenza delle sensazioni della donna.
zione appaia meno occasionale rispetto a quella comune nel
TapexAavattupov, che è
sempre legato al nunc di una notte in particolare (è per questo vv. 11-12 magis-interlunia: una credenza antica voleva che fra una luna e l’altra,
motivo che Bentley
emendava longam noctem). nel tempo della luna nuova, l’inizio e la fine (obvoSor) del mese lunare fossero parti
colarmente tempestosi: cfr. ArisroT. gen. an. 738a 20 sgg.; THEOPHR. vent. 17. La
v. 7 me tuo: l’accostamento del pronome personale al possessivo immagine della notte senza luna aumenta l’espressionismo del paesaggio. Per la divi
è fortemente espres-
sivo, ma produce anche un altro importante effetto stilistico: sione della parola fra due versi cfr. nota a 1, 2, 19 sg.
riproducendo un mo-
dulo del linguaggio dell’elegia latina (cfr. nota a 1, 15, 32),
ma già della commedia
(cfr. PLaut. Amph. 542; Ter. Eun. 664; Ad. 289), impone un v. 14 solet-» equorum: il desiderio sessuale fa impazzire le cavalle: cfr. ARISTOT.
originale contrassegno
latino al motivo topico greco. hist. an. 572a 8 sgg.; gen. an. 773b 25. Ma Orazio ha soprattutto presente la descri-
zione virgiliana: georg. 3, 266 sgg. scilicet ante omnes furor est insignis equarum... La
v. 8 Lydia: il nome del destinatario dell’ode (cfr. nota introdu similitudine, ricca di pathos, riconduce la libidine della donna a una devastante forza
ttiva) è, con procedi
mento stilistico molto raffinato, introdotto con allocuzione naturale, che colpisce ugualmente uomini e animali. Per la perifrasi matres equorum
indiretta: Lidia è infatti,
propriamente, colei a cui è rivolto il lamento dell’ipotetico
exclusus amator, e il poeta cfr. nota a 1, 17, 7.
nel corso dell’ode non le si rivolge direttamente.
v. 15 iecur ulcerosum: per il fegato come sede delle passioni violente cfr. nota a
v. 9 invicem è la parola-chiave in cui si condensa l’idea di
una vendetta che il tempo 1, 13, 4; esso è piagato a causa della libidine inesausta. L'aggettivo è adoperato qui
stesso riporterà sulla donna un tempo sprezzante, concetto centrale nella letteratura per la prima volta in latino (ma per le ferite della passione d’amore cfr. Lucr. 4, 1068
delle dirae. Lo stesso motivo in epod. 15, 24 ast ego vicissim risero; AsciepIaD. anth. ulcus enim vivescit et inveterascit alendo). La frequenza della gutturale crea un effetto di
Pal. 5, 164, 3 sg.; CaTULL. 8, 14 at tu dolebis; Prop. 3, 25, 15 (cfr. nota introduttiva). musicalità aspra e sorda, che accresce l’espressionismo della descrizione.
moechos. . .arrogantis: non più i giovani xapatovies della prima
strofe, ma gli adul vv. 17-18 hedera — myrto: i giovani preferiscono le foglie fresche a quelle appassite.
teri in cerca di avventure: moechus, grecismo diffuso soprattutto nella commedia, è. Il motivo era tradizionale: cfr. RurIN. anth. Pal. 5, 28; Dioci. ibid. 12, 35; STRATON.
propriamente chi commette adulterio con una donna sposata,
ma in poesia il ter- ibid. 12, 186; Arc. MEssen. ibid. 12, 29. Di solito negli epigrammi la donna (o il
mine è usato come dispregiativo in rapporto ad amori illeciti
e volgari: cfr. CATULI. giovinetto) è paragonata a una rosa che si avvia a sfiorire. Alla rosa, simbolo della
11; 17; 37; 68; 103.
giovinezza, Orazio preferisce il mirto e l'edera, le piante rispettivamente sacre a Ve-
v. 10 levis equivale a vilis, cioè « di nessun valore » (cfr. nere e a Bacco; inoltre l'accostamento delle due piante, l’una scura, l’altra verde,
CaruLL. 72, 6 mi tamen es
vilior et levior). crea un notevole effetto coloristico. Virens, oltre al significato letterale, denotativo
in angiportu: Lidia si ridurrà al punto di cercare amanti occasio del colore verde, ha anche un contenuto metaforico, e allude alla giovinezza come
nali nei vicoli mal- stagione verde della vita; per il suo duplice senso, l'epiteto crea effetto di contrasto
famati, raggiungendo il massimo degrado per una donna, come
la Lesbia di CATULI. da un lato con pulla, dall’altro con aridas del v. 19. Mi sembra da respingere l’inter-
584 Orazio Odi I 25, 19 - 26, 3 585

pretazione secondo cui i giovani preferirebbero l’edera verde (cioè le fanciulle) al cerone (cfr. Att. 13, 55), edile nel 45 a.C. e pretore nel 42, al figlio Lucio, legato della
mirto scuro (cioè le donne mature), e le foglie aride (le vecchie) le getterebbero via, Spagna Citeriore nel 24 e vincitore dei Cantabri (cfr. Cass. Dio. 53, 29, 1), al figlio
non solo perché in tal caso dovremmo intendere atque come quam, ma anche perché di questi, Lucio, console nel 3 d.C. (cfr. Tac. ann. 6, 27, 2). Non sappiamo se il
ammettere la funzione metaforica della vegetazione in questo contesto è tutt'altra Lamia in questione sia lo stesso di 1, 36 e 3, 17 (cfr. relative introduzioni) e di epist.
cosa che stabilire una serie di precise allegorie. 1, 14, né a quale dei membri dell’illustre famiglia Orazio qui si riferisca: potrebbe
trattarsi del legato di Spagna o del futuro console, ancora giovinetto. i
v. 19 aridas frondes: le foglie secche, metafora della vecchiaia: cfr. già ArcHIiLoca. La cronologia può essere stabilita sulla base del riferimento, nel v. 5, alla crisi
fr. 188 W.; anon. anth. Pal. 12, 107, 3 sg.; Marc. ARGENTAR. ibid. 5, 118, 2 sgg.; politica interna alla regione dei Parti (su cui cfr. Cass. Dro. 51, 18; IustIn. 42, 5):
Macepon. ibid. 11, 374, 7 sg.; STRATON, ibid. 12, 234, 1 sg. escludendo i fatti del 31-30, cioè la rivolta contro Fraate guidata da Tiridate e la
v. 20 Hebro: l’Hebrus (oggi Maritza) è un fiume della Tracia tradizionalmente asso- sconfitta e l'esilio di quest’ultimo, perché in quel momento a Roma l’attenzione era
ciato a freddo, nevi e ghiacci (cfr. 3, 25, 10 sg.; Vero. Aen. 12, 331, etc.). Questa rivolta alla guerra fra Ottaviano e Antonio, sembra più probabile il periodo imme-
caratteristica lo rende adatto a ricevere e a disperdere le foglie secche, simbolo della diatamente precedente il 26-25, quando Tiridate, che aveva spodestato Fraate nel
vecchiaia; tuttavia riesce difficile comprendere perché tale compito debba essere affi- 29, fu deposto da quest’ultimo, il quale fu aiutato dagli Sciti. L'espressione quid Tiri-
dato a un fiume tanto lontano da Roma, con il quale la gaudente gioventù romana daten terreat del v. 5 potrebbe voler alludere, piuttosto che alla cacciata di questo
non aveva nulla a che fare. Di qui l'emendamento Euro, facile e risolutivo. L’Euro re, alle minacce che egli riceveva da parte dell’avversario: quindi l’ode andrà datata
è un vento ugualmente freddo e apportatore di tempesta (cfr. 2, 16, 23 sg.; 3, 17, 11; fra il 29 e il 26-25. L'eccezione metrica rappresentata dalla seconda arsi del nove-
Verc. georg. 2, 339, etc.); la connotazione hiemis sodali trova rispondenza, quanto nario alcaico in fine di parola nel v. 11 (unico caso in Orazio) non necessariamente
al legame di un vento con una stagione, in 4, 12, 1 sg. veris comites; l’immagine delle costituisce una prova di antichità dell’ode; essa potrebbe essere stata dettata da ra-
foglie abbandonate al vento è topica; sul piano metaforico la raffigurazione del vento gioni stilistiche.
che porta via qualcosa di sgradevole collega, secondo un procedimento caro a Orazio, L’ode è intrisa di luoghi comuni, ma è difficile indicare un modello preciso, e
la fine dell’ode con l’inizio dell’ode successiva (cfr. 1, 26, 1 sgg.). Ma per quanto al- il confronto con Arc. fr. 48 L.-P. (Treu) è poco convincente. In ogni caso, il tema
lettante possa essere l'emendamento, abbiamo preferito mantenere il testo tràdito unificante è quello della poesia, che rende Orazio caro alle Muse, e perciò libero da
che, tutto sommato, ci sembra accettabile. Hebro può fare da pendant a Thracio... affanni, e che nello stesso tempo gli dà la possibilità di onorare in versi il suo amico
vento del v. 11 sg. Inoltre fa riflettere 1, 16, 2 sgg. quem criminosis cumque voles mo- (Wilkinson). i
dum | pones iambis, sive fiamma, | sive mari libet Hadriano. Anche qui ricorre la mede- I due motivi, quello della protezione delle Muse (vv. 1-62) e quello della richie
sima aporia, anche qui, per distruggere cose sgradevoli, la donna le getta in acque sta di ispirazione alla Musa (vv. 6b--12), sono rispettivamente sviluppati nei due gruppi
lontane da Roma, che non sembrano avere alcuna attinenza con il contesto (man- di versi che formano la struttura bipartita dell’ode.
cano indizi che orientino verso un'ambientazione dell’ode nei pressi dell’ Adriatico).

duna bia
x
Metro: strofe alcaica.
Il fatto, che è strano per noi, non doveva esserlo altrettanto per Orazio.
v. 1 Musis amicus: nel senso passivo di « caro alle Muse » (cfr. 2, 6, 18 sg. amicus
Baccho; 4, 6, 41 dis amicum), non in quello attivo di grAéuovoog, come spiegano al-
26 cuni. Per il concetto cfr. Hom. Od. 8, 63 tèv rep. Mobo” plinoe; Hes. theog. 96 sg.;
Cat. fr. 1, 37 sg. Pf.; THocr. 1, 141; PrmLonem. anth. Pal. 11, 44, 2 povcogiàAhg ETk00c;
G. Carisson, «Eranos » 42, 1944, 7 sgg.; M. Treu, « Wiirzb. Jahrbb. Alter- Vere. Aen. 9, 774 amicum Crethea Musis.
tumswiss, » 4, 1949-50, 219 sgg.; WILKINSON, 11 sgg.; E. LEFÈvRE, « Ant. u. Abendl. »
29, 1983, 26 sgg.; V. BucHuHEIT, « Symb. Osl. » 60, 1985, 79 sgg. i i vv. 2-3 tradam— portare: è un luogo comune poetico quello delle preoccupazioni
e dei discorsi spiacevoli abbandonati al vento. Qui, in particolare, è stata colta una
L’ode ha come destinatario reale (non formale, poiché l’unica apostrofe è rivolta somiglianza con alcuni versi degli Anacreontea, che per Orazio erano di Anacreonte:
a una delle Muse: cfr. nota al v. 9) un rappresentante della famiglia Lamia, originaria 36, 13 sg.; 48, 4 sge.; 57, 9 sgg., da cui forse deriva anche la costruzione di trado con
di Formia e famosa a Roma per almeno tre generazioni, da Elio Lamia, amico di Ci- l’infinito (57, 9 èpudiv ppevéiv pèv abparc piper Edera Abrtac).
586 ‘© Orazio Odi I 26, 3 — 27 587

protervis...ventis: l’aggettivo indica la violenza sfrenata e capticciosa dei venti: montem; STAT. silv. 2, 2, 37 superet Piplea sitim, etc.). Altri pensano che qui Orazio
cfr. ebod. 16, 22 protervus Africus; similmente Lucr. 6, 111 petulantibus Euris; Vere. si rivolga non alla Musa, ma alla località, sul modello, per esempio, di Pinp. paean.
Aen. 1, 536 procacibus Austris. 6, 1 sgg. (riodo ’Oruurtov Abc ce, ypuota / xAutipavii Ido, / Mscopai), ma non si com-
prenderebbe, in tal caso, come la Piplea possa intrecciare una ghirlanda e come si
v, 2 Greticum: mare tradizionalmente ricordato come tempestoso: cfr. SoPuH. Trach. debba spiegare il successivo sine te.
118 sg. rroXbrrovov ... rédayog / Kpiowv. Ma qui la determinazione geografica vuol
sine te: modulo innico, che accresce la solennità di questa invocazione alla Musa
indicare qualsiasi mare burrascoso (cfr. nota a 1, 1, 13).
(sottolineata anche; nei versi precedenti, dalla ripetizione dell’imperativo necte): cfr.
vv. 3-6 quis securus: per la costruzione di securus con una interrogativa indiretta ArscH. Suppl. 823 sg.; Ag. 1487; CLEANTH. 1, 15 Powell; CarutLI. 61, 61 sgg. nil potest
cfr. sat. 2, 4, 50; epist. 2, 1, 176. Per il concetto della noncuranza degli avvenimenti sine te Venus /...commodi capere; Lucr. 1, 22 sg. nec sine te quicquam dias in luminis
politici cfr. 2, 11, 1 sgg. quid bellicosus Cantaber et Scythes |. . .cogitet.../...remittas / oras | exoritur.
quaerere. Quanto a quis rex gelidae metuatur orae, una vecchia proposta esegetica ve
v. 10 hunc...novis: l’anafora di hunc, ripreso nel v. 11, è un altro tratto di solen-
deva in quis (= quibus) un dativo d’agente riferito alle popolazioni della zona nordica nità. Novis rinvia al motivo poetico tradizionale, ma particolarmente diffuso in poesia
(sub Arcto, cioè sotto l’Orsa, all'estremo Nord); ma si tratta molto più probabilmente ellenistica (si pensi al prologo degli Aetia callimachei) e augustea, della novità, già
di un nominativo singolare riferito a rex, mentre gelidae orae è verosimilmente geni- accennato in fontibus integris del v. 6: cfr. Lucr. 1, 117 sg.; 4, 1 sgg.; 5, 336 sg.; Vero.
tivo piuttosto che dativo di agente dipendente da metuatur. Si è cercata una identi-
ecl. 6, 1 sg.; georg. 3, 10 sg.; 3, 292 sg. (in Orazio cfr. 3, 1, 2 sg.; 3, 25, 8; 3, 30,
ficazione del rex con Cotisone di Dacia o con il re degli Sciti, ma sembra si tratti piut-
13 sg.)
tosto di un riferimento generico, e la determinazione geografica vaga, quasi mitica,
colloca questo re sconosciuto in terre lontane. v. 11 Lesbio...plectro: per l'anomalia metrica cfr. nota introduttiva. Il plettro,
specie di bacchetta con cui si percuoteva lo strumento a corde, qui indica metoni-
v. 5 Tiridaten: cfr. nota introduttiva. micamente la lirica dei poeti di Lesbo. Il parallelismo dei vv. 10 e 11, sottolineato
dall’anafora di hunc, la corrispondenza, con disposizione a incastro, dei nessi fidibus
unice: l’avverbio rafforza l'aggettivo securus, secondo un uso colloquiale che si trova
novis | Lesbio plectro pone su piani paralleli le due componenti della lirica oraziana, e
solo qui in Orazio e, in prosa letteraria, soltanto in Cic. fam. 6, 1, 6; 13, 15, 1.
illumina il rapporto fra innovazione e tradizione: è lo stesso concetto di 3, 30, 13
v. 6 fontibus integris: è la metafora callimachea delle sorgenti d’acqua pura per in- sg. princeps Aeolium carmen ad Italos | deduxisse modos.
dicare i generi poetici non sfruttati (cfr. per es. epigr. 28, 3 sg. Pf.; hymn. 2, 110 sgg.), v. 12 te- sorores; altro tratto di solennità è il polisindeto con allitterazione. Poiché
molto diffusa nella poesia augustea (cfr. Verc. georg. 2, 175; Prop. 3, 1, 3). Ma il mo- l’apostrofe con la preghiera di glorificare Lamia non è rivolta solo alla Musa di Ora-
dello diretto di Orazio è Lucr. 1, 927 sg. iuvat integros accedere fontis / atque haurire. zio, ma anche alle sue sorelle, si è pensato che Lamia stesso fosse un poeta, e che
vv. 7-8 apricos coronam: anche questa immagine è suggerita dal contesto lucre- non sia inattendibile la notizia dello ps.-Acrone in margine ad ars 288, secondo cui

TTT di dari LUI


ziano appena ricordato: 1, 928 sgg. .. .iuvatque novos decerpere flores | insignemque meo egli era autore di tragedie e di commedie di argomento romano (praetextae e togatae).
capiti petere inde coronam | unde prius nulli velarint tempora Musae. Ma l'accostamento
al nome di Lamia sposta l’obiéttivo dalla corona simbolo di novità poetica, come
in Lucrezio, alla corona simbolo di poesia encomiastica: cfr. Pinp. OI. 6, 86 sg.; 27
Nem. 7, 77 sgg.; fr. 179 Sn.-M.
REITZENSTEIN, 5; PasgquaLI, 504 sgg.; O. BrINKMANN, « Humanist. Gymnas. »
FAR

v. 9 Piplea: forma senza m, attestata sia in greco sia in latino, dell’epiteto corrispon- 47, 1936, 189 sge.; FRAENKEL, 179 sgg.
dente a IKumAewa (o Tlturàa), località della Pieria vicina all’Olimpo e sacra alle Muse,
fin da Hrs. theog. 53; op. 1. Ma l'epiteto normalmente adoperato per la Musa è In quest'ode manca ogni indizio cronologico, anche se una certa somiglianza
IurAnis / Pi(m)pleis (cfr. Leon. anth. Pal. 5, 205; VARR. ling. 7, 20); di conseguenza con lo stile epodico potrebbe far pensare a una datazione alta. Vi appare infatti, per-
il testo è stato emendato in Pi(m)plei, L'emendamento è però superfluo, poiché è fezionata, la tecnica drammatica degli epodi 7 e 16, con i quali essa ha in comune
bene attestata anche la forma aggettivale Pi(m)ple(i)us (cfr. CaruLi. 105, 1 Pipleium... anche la mancanza di un vero e proprio destinatario (anche se è chiaro che il poeta

cla
588 Orazio Odi I 27, 1-14 589

immagina di avere davanti a sé i convitati) e la partecipazione del poeta all’azione 22, 4 exitio nata theatra meo), e che conferisce maggiore gravità alla sentenza iniziale.
che si svolge, in qualità non tanto di spettatore (Reitzenstein, Pasquali) quanto di Per le tazze adoperate come armi cfr. Prop. 3, 8, 4.
attore principale che si rivolge ai suoi compagni o risponde alle loro azioni e alle v. 2 Thracum: i Traci, come in genere i popoli barbari del Nord, erano conosciuti
loro frasi (Fraenkel). per la mancanza di senso della misura nel bere: cfr. PLar. leg. 637d; ArHen. 442 sg.
La struttura dell’ode va intesa come una serie di quadri scenici intervallati da La sostituzione dei Traci agli Sciti, portati come esempio da Anacreonte nel fr. 356b
pause: una prima pausa è da collocare fra i vv, 1-8 (Orazio, entrando nella sala in P. (cfr. nota introduttiva), si spiega con il fatto che Orazio si inserisce in una tradi-
cui si svolge un convito che sta per degenerare in rissa, esorta i convitati alla calma zione etnologica in cui gli Sciti erano diventati un modello di austerità di costumi
e alla moderazione) e i vv. 9-12 (invitato a prender parte al banchetto, egli dice che (cfr. 3, 24, 9 sg.).
lo farà a condizione che il fratello di Megilla riveli di chi è innamorato), una seconda v. 3 verecundum...Bacchum: è la concezione moderna di Bacco come dio che ama
pausa fra i vv. 9-12 e i vv. 13-18a (Orazio invita il fratello di Megilla, che eviden- la moderazione e odia il sangue, la stessa che appare in 1, 18 (v. 7 modici Liberi); an-
temente si schermisce, a rivelargli il nome dell’amata in un orecchio); l’ultima, fra che qui essa è legata al rifiuto della rissa, il cui archetipo è la lotta fra Centauri e
18a e 18b, presuppone la confessione, che fa esclamare il poeta di stupore (vv. Lapiti, ricordata, appunto, in 1, 18.
18b--24).
vv. 5-6 vino discrepat: il motivo convenzionale del carattere pacifico del convito
L’ode trasferisce in metro alcaico uno spunto anacreonteo. Di tale derivazione
(cfr. Trarocn. 493 sg.; BaccHyL. 14, 12 sgg.) è illustrato attraverso il contrasto meto-
da Anacreonte era già sicuro Porfirione, il quale così afferma: « cuius (sc. huius car-
nimico fra il vino e le lucerne del banchetto da un lato, lo stiletto dei Medi dall’altro
minis) sensus sumptus est ab Anacreonte ex libro tertio », riferendosi all’ode di cui
(acinaces era un pugnale lungo e diritto adoperato da Persiani e Sciti: cfr. HeRoDOT.
possediamo due frammenti (356a-—b P.), non si sa se continui o separati fra loro, per
7, 54). Vino e lucernis sono dativi retti da discrepat. La locuzione avverbiale immane
il secondo soltanto dei quali si può parlare di somiglianze con l’inizio di 1, 27: &ye
quantum (forse un grecismo, corrispondente a drrsppuîc doov) non è mai adoperata
Indre pnpét oto / tato
ft Te xdAaAnitài / ZxvBihy mio map’ olvi / pererdipev, dAld
in poesia; la troviamo invece attestata nel linguaggio storiografico: cfr. Sar. hist. 2,
xadote Urorivovtes év Buvow («orsù, di nuovo, non mettiamo in pratica nel vino
fr. 44 M.; Tac, hist. 3, 62; 4, 34.
l'abitudine di bere degli Sciti, con baccano e urla, ma sorseggiamolo fra canti armo-
niosi »). Non è però anacreontea la struttura drammatica dell’ode, vicina, come ab- v. 8 cubito...presso: variazione del più comune cubito posito, con cui si indica il
biamo visto, all'impianto di certi epodi, e per la quale è stata indicata un'ispirazione gomito appoggiato sul cuscino del triclinio durante il banchetto.
più direttamente latina, dal c. 42 di Catullo (adeste hendecasyllabi) in particolare vv. 9-10 severi. ..Falerni: poiché i vini avevano diversi tipi di gradazione, austerum
(Fraenkel). E non è anacreonteo, anche se ben si amalgama con la sensibilità pre- dulce tenue (Prin. nat. hist. 14, 63; cfr. ATHEN. 26c adotapdo xa è yAuxdTov), il rife-
alessandrina di Anacreonte, il motivo dell’innamorato vergognoso, topico nella poesia rimento è qui al tipo fotte o secco, chiamato severus con un calco del greco adbornpés
erotica ellenistica: cfr. AscLepran. anth. Pal. 12, 133 (un giovane confessa involonta- che rappresenta una variazione rispetto al convenzionale dusterus. Interessante, ma
riamente il suo amore durante un banchetto, piangendo e lasciando cadere la corona improbabile l’interpretazione secondo cui severi sarebbe nominativo riferito ai con-

ii
di fiori) e Cat. epigr. 43 Pf., elegante rifacimento dell’epigramma di Asclepiade (Pa- vitati, severi nell’applicare le leggi simposiache.
squali). Ma, accanto ai motivi poetici convenzionali di cui è intessuta, c'è qualcosa vv. 10-11 Opuntiae...Megyllae: nome greco di etera (cfr. Lucian. dial. mer. 5, 1).
di tipicamente oraziano in quest’ode, soprattutto nella scherzosa partecipazione e nel con epiteto geografico di gusto ellenistico (cfr. 3, 9, 9 Thressa Chloe). Opunte è una
distacco ironico che il poeta esprime nei confronti del fratello di Megilla, preso da città della Locride, nella Grecia centrale.
una passione rovinosa. E la cornice conviviale, lungi dall’essere solo una situazione vv. 11-12 quo — sagitta: specie di ossimoro concettuale, sottolineato dal parallelismo,
della poesia ellenistica, ricrea una scena della vita galante condotta a Roma dalle al- che efficacemente mette a fuoco la compresenza di sofferenza e felicità nell'amore:

MMM ll ib
legre comitive di giovani. cfr. Trs. 2, 5, 109 sg. iaceo cum saucius annum, | et faveo morbo, cum iuvat ipse dolor.
Metro: strofe alcaica,
v. 13 cessat voluntas?: la domanda è rivolta al fratello di Megilla, che esita a con-
fessare il suo segreto, e non, come pensano altri, alla compagnia dei convitati.
v. 1 natis- scyphis: coppe grandi a due anse (cfr. epod. 9, 33; ATtBEN. 498a-500c),
gli scyphi sono definiti nati per la gioia, con un’espressione solenne raramente riferita v. 14 quae
— Venus: come in 1, 33, 13 me melior cum peteret Venus e in 3, 9, 17 quid
a cose piuttosto che a persone (cfr. Cic. Brut, 283 (foro) nata eloquentia est; Prop. 2, si prisca redit Venus, è metonimia per ‘amore’. Domare è comunemente usato in rap-
Odi I 27, 16 - 28 591
590 Orazio

porto all'amore, fin dal Saudtew di Hom. Il 14, 199; 316; SapPuH. fr. 102, 2 L.-P.; 28
Arcmocu. fr. 196 W.; cfr. inoltre Prop. 1, 9, 6 dicere quos iuvenes quaeque puella
domet. Per la tmesi di quaecumque cfr. nota a 1, 6, 3 sg. WiLamowrrz, De tribus carminibus Latinis, Géttingen 1893, 3 sgg. = KI. Schr. II,
249 sgg.; ELA. NAIRN, « Class. Rev. » 11, 1897, 444 sg.; C. Butte, « Philologus » 57,
vv. 16-17 ingenuo...amore: indica letteralmente l’amore per una donna di condi-
1898, 340 sgg.; PasguALI, 712 sgg.; E.A. DALE, « Trans. Amer. Philol. Ass. » 54, 1923,
zione libera e non servile, ma può voler significare un amore che rientri nella sfera
16 sg.; T. Sinko, « Eos » 31, 1928, 41 sgg.; N. MARTINELLI, « Atti Soc. lig. » 11, 1932,
dell'onorabilità, del quale non ci si debba vergognare: l’espressione, in tal senso,
197 sgg.; Wii, 231; WrLkinson, 109 sgg.; P.V. CALLAHAN-H. MusuRILLO, « Class,
rafforza il concetto di non erubescendis ignibus dei vv. 15 sg. and Rome » 12, 1965, 51 sgg.;
Philol. » 59, 1964, 262 sgg.; “ ParRIcIUS ””, « Greece
v. 17 quidquid habes: in un contesto analogo, cioè rivolgendosi a Flavio perché gli R.S. KrlpaTRICK, « Class. Philol. » 63, 1968, 201 sgg.; G. PETRONE, « Pan» 2, 1974,
riveli il nome dell’amata, così Carutt. 6, 15 sg. quare quicquid habes boni malique / 55 sgg.; I. GuaranprI, « Quad. Acme » 5, 1985, 75 sgg.
dic nobis.
Considerata concordemente una delle più antiche, sulla base soprattutto del
v. 18 a, miser: il vocativo con a, elemento di lingua dell’uso, accresce il pathos affet-
metro epodico archilocheo (Pasquali), è forse la più discussa fra le odi oraziane, la
tivo dato anche dalla concitazione della scena. Fra depone tutis auribus e l’esclamazione
più difficile da interpretare, e, nonostante la ricchissima letteratura che su di essa è
del poeta cade una pausa, durante la quale il fratello di Megilla pronuncia il nome. ancora oscura, sfuggente a una completa decifrazione.
stata prodotta, rimane
v, 19 Charybdi: nome del mostro marino con il quale gli antichi identificavano il Vi si distinguono due grossi blocchi strutturali: nel primo (vv. 1-20) qualcuno
vortice posto nello stretto di Messina, di fronte a Scilla, Cariddi è spesso adoperato si rivolge al grande pitagorico Archita di Taranto, elogiandone i meriti, enumerando
come soprannome di donne pericolose perché irresistibilmente attraenti e insieme gli eroi e i personaggi famosi morti nonostante potessero aspirare degnamente all’im-
voraci, soprattutto, nei poeti comici, in riferimento alle etere: cfr. AnaAssit. fr. 22, mortalità, meditando infine sull’ineluttabilità della morte; nel secondo (vv. 21-36)
8 sgg. K.; Praur. Bacch. 470 sg. Il confronto della maliarda rapace con i mostri mi- qualcuno, sembrerebbe l'ombra di un annegato privo di sepoltura, prega un nauta
tici (cfr. anche, nel v. 24, Chimaera) è un tratto ellenistico: esso presuppone l’inter- che si trova a passare di compiere il gesto simbolico della sepoltura, gettando tre
pretazione allegorica e moralistica dei miti, specialmente stoica. pugni di terra sul suo corpo (Callahan-Musurillo sono invece per una struttura tri-
partita, all’interno della quale i vv. 17-20 costituirebbero una strofe autonoma, con
vv. 21-22 quae = magus: il motivo della magia d’amore, mediante filtri e incante- funzione di cerniera fra le due parti principali).
simi, è comune nella poesia antica, a partire dall’età ellenistica: basti ricordare
Le due questioni esegetiche fondamentali, strettamente collegate fra loro, sono
Turocr. 2, Vera. ecl. 8 e i riti di Didone nel libro IV dell’Eneide. Cfr. inoltre
quelle relative all’identificazione di chi parla e alla struttura, monologica secondo
Prop. 1, 1, 19 sgg.; Prop. 4, 5; Ov. am. 1, 8.
alcuni (Weiske, Wilamowitz, Sinko, Martinelli, Wilkinson, Kiessling-Heinze, Nisbet-
Thessalis...venenis: ablativo strumentale secondo alcuni (sottintendendo ab amore), Hubbard), dialogica secondo altri (Wili, « Patricius », Petrone, Gualandri). Nell’am-

VA
di separazione secondo altri (« liberare dai filtri d’amore »). Questa seconda spiega- bito della prima soluzione, poi, varie ipotesi sono state formulate su chi pronunci
zione è più probabile: ci si chiede chi possa liberare il fratello di Megilla dai filtri il monologo: Archita stesso, che si presume sia morto annegato (Porfirione, ps.-

at ica
d’amore e, corrispondentemente, dalla Chimera (v. 23 sg.). La Tessaglia era tradizio- Acrone, con evidente autoschediasma; fra i moderni, Ussani); Orazio che, sfuggito
nalmente legata alle erbe magiche: cfr. AristoPA. nub. 749 sg.; Prar. Gorg. 513a; a un naufragio, immaginerebbe di esser morto annegato e di essere stato sospinto
Praur. Amph. 1043; Pun. nat. hist. 30, 6; Prop. 1, 5, 6; Ov. rem. 249; Tis. 2, 4, 56. presso la tomba di Archita (Sinko, Martinelli); uno sconosciuto (Wilamowitz, Wil
In Tessaglia Lucano ambienterà la scena del libro VI in cui Pompeo consulta la maga. kinson, Callahan-Musurillo, Kiessling-Hcinze, Nisbet-Hubbard). Nell'ambito della
vv. 23-24 vix — Chimaera: difficilmente lo stesso Pegaso potrà aiutare il giovane a seconda soluzione, altra varietà di ipotesi: dialogo fra un nauta di passaggio e l’om-
bra di Archita insepolto (Petrone), fra Orazio e un annegato (« Patricius »), fra un
districarsi dai lacci dell'amore: altro confronto mitologico con un mostro (cfr. nota
al v. 19). La Chimera era leone davanti, capra in mezzo, serpente dietro (cfr. Hom. annegato e l'ombra di Archita (Wili), colloquio nell’oltretomba fra Ulisse e Archita
Il. 6, 181; Lucr. 5, 905); fu uccisa da Bellerofonte, che guidava il cavallo alato Pegaso. (Kilpatrick).
Per l'assimilazione di un’etera alla Chimera cfr. il frammento di Anassila precedente Fra la prima parte, in cui si rifiutano le credenze sull’immortalità, e la seconda,
mente citato. con la richiesta di preghiere e di riti tradizionali che assicurino la pace all’anima va-

[BM
10 «*
592 Orazio Odi I 28, 1-6 593

gante dell’insepolto, è stata vista una contraddizione (da Wilamowitz in poi), e c’è nel suo trattato Y'appitng, anche se di un’opera del genere non abbiamo notizia. C'è
chi addirittura ha individuato all’interno di 1, 28 due odi differenti (Nairn, Bulle, infine chi ha pensato (Nisbet-Hubbard) che Orazio faccia confusione fra Archimede
Dale). Ma l’unità fra le due parti è sottolineata da una serie di richiami e di corri- e Archita.
spondenze formali (Callahan-Musurillo, Petrone), che, se da un lato indicano l’orga-
vv. 2-4 cohibent
— munera: il grande pensatore, la cui mente era capace di abbrac-
nicità del componimento, dall’altro pongono in maggiore risalto il contrasto fra la
ciare l'universo intero, ora si trova in una piccola tomba: con il quadro sconfinato
prima e la seconda parte. Tale contrasto apparirà una contraddizione insanabile a chi
dei versi precedenti contrasta l’immagine del corpo chiuso entro gli stretti confini
interpreti l'ode come un monologo; ma, se la si spiega come un dialogo, esso espri-
di un sepolcro, I sostenitori dell’identificazione dell’insepolto dei vv. 21-36 con Ar-
merà la distanza fra due modi differenti di concepire la vita ultraterrena. Da un lato si
chita stesso interpretano nel modo seguente: « il mancato dono di un po’ di polvere
delinea un atteggiamento filosofico definibile in termini di materialismo epicureo e
ti trattiene », cioè « ti impedisce di raggiungere l’oltretomba ». Ma, a parte ogni altra
contrario al misticismo pitagorico, e, in particolare, alla teoria della metempsicosi;
considerazione, tale spiegazione urta contro la difficoltà di intendere munera come
in questa prima parte si coglie la presenza del modello lucreziano (cfr. note di com-
nulla munera, ammettendo un caso ardito di res pro defectu rei.
mento), lo stile è elevato, il periodare ampio, numerose le allusioni colte. Dall'altro
lato vi è l’insieme delle credenze popolari, il sentire della gente comune, con le sue v. 3 pulveris exigui: la quantità modesta di polvere che copre la tomba contrasta
angosce ancestrali e le sue superstizioni:
x
qui lo stile è meno elevato, il periodare è con l’infinità della sabbia che Archita aveva cercato di calcolare. Il motivo della pic-
spezzato, l'elemento dotto è assente, il modello dominante è quello delle epigrafi colezza del sepolcro è comune nella tradizione epigrafica, specialmente in riferimento
funerarie (cfr. note di commento). In conclusione, « l’ode, col suo canto a due voci, a uomini illustri: cfr. anon. anth. Pal. 7, 2 bis, 1 (Omero); AnTIPATR. THESSALON.
dà corpo ai dubbi e alle angosce di un’epoca inquieta... quasi a significare, di fronte ibid. 7, 136, 1 (Priamo); anon. ibid. 7, 137, 1 sgg. (Ettore); ANTIPATR. THESSALON.
a filosofie opposte che non placano le inquietudini umane, lo smarrito riaffiorare di ibid. 7, 18, 1 sg. (Alcmane); Sim. ibid. 7, 21, 5 sg. (Sofocle); anon. ibid. 7, 84, 1
antiche paure » (Gualandri). (Talete).
x
Metro: archilocheo primo. litus...Matinum: la spiaggia è uno scenario comune per gli epigrammi sepolcrali,
non soltanto di uomini annegati (anth. Pal. 7, 267; 278; 287), ma, spesso, di uomini
vv. 1-2 te...Archyta: l’ode comincia con l’allocuzione al pitagorico Archita di Ta- illustri: di Omero in anth. Pal. 7, 4, di Archiloco (ibid. 7, 71), di Eratostene (ibid. 7,
ranto, vissuto nel IV secolo a.C., uomo politico e stratega oltre che scienziato, stu- 78), di Achille (ibid. 7, 142), di Aiace (ibid. 7, 146). È dunque qui riprodotto un con-
dioso di aritmetica, geometria e meccanica, amico di Platone: cfr. AristoT. Pol. testo scenico epigrafico, L’identificazione del litus Matinum è controversa: gli scoliasti
1340b 26 sgg.; Droc. Laert. 8, 79-83. antichi lo collocano ora in Apulia (Porfirione e ps.-Acrone ad l.; ps.-Acrone ad 3,
4, 15) ora in Calabria (Porfirione ad 4, 2, 27 e ad epod. 16, 28; ps.-Acrone ad loc.,
maris
— mensorem: l’attività di Archita come studioso di aritmetica e di geometria
ad 1, 31, 5 e ad 4, 2, 27). È più naturale pensare che Archita sia sepolto non lontano
viene definita in questo ampio trikolon dal tono solenne, che intenzionalmente richia-
dalla sua città natale, Taranto, ma non ci sono altre testimonianze dell’esistenza di
ma la formula con la quale l’oracolo delfico di Apollo si dichiarava onnisciente: ot$x
tale località in Apulia.
SED pdupov T'apduòv xa peroa dardoong (in HeropoT. 1, 47, 3). Terrae mensor,
espressione equivalente a yewpuétpng, si riferisce agli studi geometrici di Archita (DK v. 4 nec prodest: motivo topico nella poesia sepolcrale, nei lamenti funebri, nelle
A. 14); 0, come pensano Nisbet-Hubbard, vorrebbe indicare il pitagorico come mi- consolationes: cfr. cons. ad Liv. 41 sg.; carm. epigr. 543; Iunian. anth. Pal. 7, 562, 1 sg.
suratore dell'universo (cfr. PLaT. Theaet. 173e; Cic. off. 1, 154). Il riferimento alla
misurazione della sabbia in numero carentis harende mensorem è secondo alcuni una vv. 5-6 aerias — percurrisse: continua la celebrazione dei meriti di Archita. Qui si
notazione ironica volta a sottolineare l’inutilità dell'impresa in questione, poiché con- allude ai suoi studi di astronomia, forse alla misurazione, da lui tentata, delle distanze
tare la sabbia è tradizionalmente impossibile (cfr. Hom. IL 9, 385; Pimp. OL. 2, 98; celesti, o alla dimostrazione dell’infinità dello spazio (cfr. Eupem. Phys. fr. 30 Timp.
Pyth. 9, 46 sgg.; anon. anth. Pal. 12, 145, 4; Catutt. 7, 3; Ver. georg. 2, 106). Ma, Card.), o, meno probabilmente, allo studio delle domus in quanto «case dello zo-
in generale, è da escludere l’ironia che alcuni hanno colto in quest’ode, soprattutto diaco »: in breve, alla pratica di quell’attività speculativa sull’universo che nella dot-
nei primi versi. Piuttosto è possibile che qui ci sia un’allusione a un problema che trina pitagorica rappresenta un modo di elevarsi alla divinità. Temptasse, più che far
Archita poteva avere realmente trattato, lo stesso affrontato e risolto da Archimede riferimento, come pensano alcuni, alla difficoltà degli studi astronomici, qualifica
594 Orazio Odi I 28, 6-20 595

l’attività contemplativa dello scienziato come un’audacia, una metaforica scalata al trasformato in cicala (cfr. sch. Il. 11, 5), o una presunta versione ellenistica del mito
cielo per scrutare i misteri dell'universo. In questa presentazione di Archita che spa- in cui il rapimento del giovane da parte di Aurora veniva assimilato alla morte. Ma
zia per i cieli si colgono echi dell’elogio lucreziano di Epicuro in 1, 66 sgg.: cfr. in cfr. quanto detto nella nota precedente.
particolare 1, 74 omne immensum peragravit mente animoque, un verso che presuppone
vv. 10-13 Tartara
— atrae: l’ultimo esempio di un uomo illustre non sfuggito alla
pure l’immagine del pensiero come libero volo della mente. Orazio si sarà ricordato
legge della morte è quello di Pitagora. Per questa sequenza in climax Orazio si è pro-
di Lucrezio, e avrà pensato forse di riferire a un pitagorico suggestioni provenienti
babilmente ricordato di Lucr. 3, 1025 sgg., in cui ad Anco Marzio seguono altri
da un contesto epicureo, proprio perché apparisse più chiaramente la contrapposi-
exempla storici (Serse, Scipione, Omero, Democrito) ed infine Epicuro stesso, il mae-
zione fra il credo materialistico e il misticismo pitagorico di cui Archita era un rap-
stro: ibse Epicurus obit decurso lumine vitae (1042). Qui il maestro è ricordato in
presentante.
forma dotta e allusiva, mediante una perifrasi che indica la prova della metempsicosi
v. 6 morituro: generalmente riferito a tibi (ma in tal caso ci aspetteremmo profuit addotta da Pitagora, il quale sarebbe stato in grado di riconoscere, nel tempio di Era
anziché fprodest), risulta più efficace se accordato con animo, come ritengono alcuni ad Argo, lo scudo che possedeva quando la sua anima era incarnata in Euforbo (cfr.
esegeti. In tal caso, non solo si determina un perfetto chiasmo attorno a percurrisse Max. Tyr. 10, 2; Ov. met. 15, 160 sgg.; Get. 4, 11, 14). L'espressione ricalca lo stile
(animo rotundum | polum morituro), ma allo scolorito tibi morituro, banale considerazione dei pitagorici, che evitavano di nominare il maestro, se non con epiteti allusivi o con
sul destino mortale che rende vano in partenza ogni sforzo umano, si sostituisce una perifrasi (cfr. Vita Pythagorae 53; 88; 150; 255).
ben più rilevante negazione dell'immortalità dell’anima, e quindi un’affermazione di
vv. 10-11 Panthoiden— demissum: Euforbo di Troia, ucciso da Menelao, è indicato
antipitagorismo e di materialismo.
con il patronimico (cfr. Hom, Il. 17, 81), che conferisce ulteriore solennità allo stile
vv. 7-9 occidit
— admissus: troviamo a questo punto sviluppato un motivo topico elevato di questi versi (cfr. anche l’omerismo Orco demissum, da confrontare con
delle consolationes, l'affermazione che anche i grandi uomini muoiono, concetto così Hom. Il. 1, 3 *Atò. rpolabev).
comune che fu codificato dalla retorica come elemento indispensabile dei discorsi vv. 13-14 nervos — auctor: la dizione si fa qui molto meno elevata, secondo alcuni
consolatori: cfr. MENANDR. rhet. gr. 3, 414, 4 sgg. Sp. Mentre altrove (cfr. 4, 7, 15; con intento ironico, ma certamente per sottolineare la banalizzazione cui viene ridotta
epist. 1, 6, 27) ricorre ad esempi più tradizionali, come Enea, Tullo, Anco, Numa, la teoria pitagorica della metempsicosi. In nervos atque cutem alcuni scorgono la cita-
qui Orazio adotta esempi inconsueti, quali Tantalo (il padre di Pelope), che morì zione di una espressione di Pitagora (cfr. Max. TyR. 7, 5), ma il nesso dotta xal
nonostante fosse un commensale degli dei (cfr. Pimp. OI. 1, 54 sg.; 1, 60 sgg.; Ov. odpxas (in contrapposizione all’anima) ricorre anche nelle epigrafi funerarie greche.
met. 6, 172 sg.; Hycin. fab. 82, 2), Titone, che morì pur essendo stato amato da una
vv. 15-16 sed <leti: alle illusioni di immortalità, incoraggiate dalle mistificazioni della
dea, Aurora, che lo rapì (remotus in auras), Minosse, cui non giovò l’essere consi-
dottrina pitagorica, si contrappone con forza, a partire dallo stesso verso in cui si
gliere di Zeus, ammesso ai suoi segreti (arcanis...admissus) (cfr. Hom. Od. 19, 178
conclude il discorso su Pitagora, quest’affermazione sentenziosa sull’universalità e sul
sg.; Cic. nat. deor. 1, 18): tutti e tre rappresentano l’illusione di ottenere l’immorta-
l’ineluttabilità della morte, sottolineata dal gerundivo (il senso non cambia sia che
lità attraverso un rapporto privilegiato con la divinità. Wilamowitz notava un’incon-
calcanda vada inteso come attributo di via sia che equivalga a calcanda est). In omnis
gruenza in questa serie di exempla, nessuno dei quali riguarda personaggi realmente
una...nox, una si contrappone volutamente alle successive morti cui si riduce la me-
morti: secondo la tradizione mitica, Tantalo non fu punito con la morte, ma con
tempsicosi pitagorica (cfr. v. 10 sg. iterum Orco demissum); l'accostamento a omnis
una minaccia di morte, Minosse era giudice, vivo, fra le ombre, Titone era immor-
= omnes) rafforza il concetto dell’equanimità della morte, caro a Orazio (cfr. 1, 4,
tale. Ma probabilmente chi pronuncia questi versi mira soprattutto a negare l’im-
13 sg. e nota): cfr. carm. epigr. 995, 22 hic omnis exitus unus habet; 1097, 2 haec domus,
mortalità dell'anima, e per questo sceglie proprio miti in qualche modo connessi a
haec requies omnibus una manet. Anche semel si contrappone a iterum del v. 10, alle
una leggenda di immortalità, quasi ad affermare che « nemmeno la presunta immor-
morti che si ripetono: nell’oltretomba si va una volta per tutte, senza possibilità di
talità sbandierata dal mito esiste ».
ritorno (cfr. CaruLr. 3, 12 unde negant redire quemquam).
v. 8 Tithonus: l'esempio di Titone ha fatto molto discutere gli interpreti, perché vv. 17-20 dant- fugit: secondo uno schema consueto, la gnome dei versi precedenti
nel mito egli era considerato immortale anche se decrepito; si è arrivati a pensare è illustrata da alcuni esempi, attinti alla topica diatribica relativa ai vari modi in cui
che Orazio segua una variante mitografica peregrina, secondo la quale Titone veniva si muore: cfr. SEN. contr. 7, 1, 9; PeTron, 115, 16,
596 Orazio Odi I 28, 17 — 33 597

v. 17 Furiae: sono le forze demoniache che incitano gli uomini alla guerra (torvo v. 27 merces: il secondo augurio è quello di una ricca ricompensa che gli dei potranno
Marti), come la Aletto del libro VII dell’Eneide. concedere al nauta: cfr. HeLtonor. 6, 7, 1. In generale, per l’augurio di buona fortuna,
cfr. Leon. anth. Pal. 7, 163, 8; ANTIPATR. Sipon,. ibid. 7, 164, 9; carm. épigr. 11, 3.
vv. 18-19 exitio — funera: come la morte in guerra, la morte per naufragio è motivo L’insepolto augura prosperità e guadagno al nauta di passaggio, non perché questi sia
tradizionale nella topica diatribica del genus mortis; ma, in particolare, si tratta di tipi necessariamente un mercante (cfr. ULpian. dig. 4, 9, 1, 2), ma perché la congettura
‘ moderni’ di morte, conseguenti alla civiltà e al progresso dell'umanità: cfr. Lucr. più facile e più probabile riguardo a uno che attraversa il mare è che eserciti il com-
5, 999 sge. at non multa virum sub signis milia ducta | una dies dabat exitio nec turbida mercio.
ponti | aequora lidebant navis ad saxa virosque. Nella frequenza delle morti cui si rife-
risce l’espressione densentur funera (dove densere è forma poetica, più rara di densare) vv. 28-29 unde-— Tarenti: come in 1, 12, 17 (cfr. nota), unde è dizione sacrale per
a quo, Sono invocati a offrire la giusta ricompensa al nauta dapprima Giove, colui
è stata colta un’allusione alle guerre civili.
qui donat et aufert (epist. 1, 18, 111), poi Nettuno, divinità connessa alla città di Ta-
vv. 19-20 nullum — fugit: Proserpina era chiamata a strappare dal capo dei morenti ranto, la più vicina al luogo in cui avverrà la sepoltura. Taranto fu fondata da Taras,
la ciocca fatale di capelli che ancora li teneva in vita: cfr. Eur. Alc. 74; Vero. Aen. figlio di Nettuno e di una ninfa (cfr. PausAN. 10, 10, 8), ma sacer si spiega non in rife-
4, 698 sg. Ma caput può essere sineddoche per ‘uomo ’, e Proserpina può indicare, rimento a questa ascendenza divina della città, ma perché esso, come il greco ispéc,
x
per metonimia, l’oltretomba di cui è regina. Fugit è perfetto gnomico. è epiteto consueto per tutte le città, in quanto ciascuna è protetta da una divinità
(cfr. EustaATH. ad Il. 1, 366).
vv. 21-22 devexi — undis: per devexi Orionis cfr. 3, 27, 18 pronus Orion; epod. 10, 10.
La costellazione di Orione comincia a declinare all’inizio di novembre (cfr. Pin. vv, 30-31 neglegis— committere: logicamente, ma non formalmente, è la protasi di
nat. hist. 18, 313), in un periodo cioè caratterizzato da un clima tempestoso: perciò un periodo ipotetico la cui apodosi è nei vv. 31-33. La paratassi bene esprime la con-
essa è associata alle tempeste anche in THEocr. 7, 53 e in Vero. Aen. 1, 535. Su Noto citazione angosciata di chi parla. Fraus evoca il venir meno a un obbligo giuridico
cfr. nota a 1, 3, 14 sge. Per rapidus cfr. Vero. Aen. 6, 75 rapidis ludibria ventis; Prop. (anche se dare sepoltura a un morto è obbligo morale, non giuridico), mentre l’idea
2, 16, 45 rapidas.. .procellas. che questa fraus si ripercuota sui discendenti evoca superstizioni ancestrali. Minacce
e malauguri per chi non renda omaggio al sepolcro sono comuni nelle iscrizioni fune-
vv. 23-25 at dare: con una formula introduttiva di una esortazione, corrispondente rarie greche: Griech. Vers-Inschr. 2035, 28 Peek.
al greco dà cd, lo sconosciuto chiede al nauta di passaggio (che svolge la stessa fun-
v. 31 fors et: anche se alcuni interpreti vedono un riferimento alla sorte personifi-
zione del viator cui si rivolgono spesso le epigrafi funerarie, ma in un contesto oppo-
sto, poiché qui non c'è epigrafe e nemmeno sepolcro) di essere benevolo (ne. ..mali- cata e deificata, qui fors ha valore avverbiale, secondo un uso arcaizzante ben atte-
stato, ed et equivale a etiam: cfr. Prop. 2, 9, 2; Vero, Aen. 2, 139; 11, 50. Il tono vuol
gnus = litote) e di non negargli un po’ di quella sabbia che il vento disperde (vagae
essere allusivamente minaccioso: forse anche il nauta sarà colpito per la sua mancanza
.. .harende), come sepoltura simbolica.
di pietas, non solo i suoi discendenti.
v. 25 sic: formula dell’augurio condizionato a qualcosa (cfr. nota a 1, 3, 1), che in-
v. 32 debita iura: probabilmente quest’espressione significa ‘i diritti dovuti’, cioè
troduce il motivo, topico nella poesia funeraria, delle promesse e delle blandizie a
‘ non ancora pagati ’, gli obblighi non adempiuti. Secondo altri, indica la ricompensa,
chi accetti di rendere omaggio al morto: cfr. carm. epigr. 1181, 5 sgg.; 1943, 7 sge.
cioè il castigo dovuto al nauta per la sua assenza di pietas.
vv. 25-27 Eurus-— silvae: il primo augurio che l’insepolto rivolge al nauta è di rima- vices...superbae: l’empietà del nauta (per questo significato di superbus cfr. Liv. 1,
nere incolume, scampando alle minacce di Euro (vento di Sud-Est: cfr. 2, 16, 24; 49, 1) si ritorcerà contro di lui, per una sorta di nemesi, Affiora il sentimento arcaico
4, 4, 43), il quale, anziché soffiare contro i mari d’Italia, possa, deviando, colpire i di una giustizia tribale, fondata sulla legge del taglione. Malauguri del genere in epi-
boschi della Puglia. Hesperia era un nome greco dell’Italia (cfr. Dion. Har. ant. Rom. grafi funerarie sono comuni: cfr. anth. Pal. 7, 310; 356; 359; 360; 516.
1, 35, 3), adoperato in poesia a partire da ENN. ann. 20 Sk.; i flutti esperii qui indi-
cano, in particolare, il mare Adriatico, Con la menzione delle silvae Venusinae Orazio v. 33 precibus...inultis: secondo alcuni dativo («non sarò abbandonato da te alle
introduce nella determinazione geografica del paesaggio dell’ode il ricordo di un luogo mie imprecazioni inesaudite »), secondo altri, più probabilmente, ablativo assoluto
a lui familiare, (« non mi abbandonerai senza che le mie imprecazioni abbiano soddisfazione »), con
598 Orazio Odi I 28, 34 — 29, 4 599

uso raro di inultus nel senso di ‘incompiuto’ anziché di ‘invendicato, impunito ’. Questo carattere umoristico non può essere negato (cfr. note di commento),
In Hom. Od, 11, 72 Elpenore, amico insepolto di Odisseo, prega quest’ultimo di non malgrado recentemente l’ode sia stata oggetto di interpretazioni che tendono a vedervi
abbandonarlo (u.. .xaroeltev). Linquere è usato in riferimento all'abbandono dei un intento serio e moralistico: essa esprimerebbe simpatia per le vittime dell’imperia-
cadaveri insepolti: cfr. Cic. Mil. 33; Vere. Aen. 10, 599. lismo romano (Commager, Goar), o si ispirerebbe all’etica di Panezio, biasimando
Iccio in quanto contravverrebbe al decorum paneziano (Cairns), oppure vorrebbe con-
v. 34 piacula nulla: probabilmente quei riti espiatori con cui ci si purificava dalla
trapporre all’incoerenza del fatuo Iccio, falso filosofo, la nobiltà delle popolazioni
contaminazione apportata da un cadavere non sepolto: cfr. Cic. leg. 2, 57.
orientali (Dietz), oppure ancora si proporrebbe di denunciare la contraddizione fra
v. 35 quamquam — longa: ancora si rivela dominante lo schema dell’epigramma fune le pretese culturali dei ceti dirigenti romani e la loro politica imperialistica, impron-
rario, in cui è topico l’invito al passante a fermarsi, nonostante vada di fretta: AscLe- tata a un rapace militarismo (Wright). In realtà, l’ode consiste nell’ironica presenta.
PIAD. anth. Pal. 13, 23, 1; epigr. Pacuvi 1 sg., p. 44 Biichn. adulescens tam etsi properas zione di un intellettuale, per di più stoicheggiante, preso da improvvise smanie di
hoc te saxulum / rogat ut se aspicias; carm. epigr. 513, 2 cur tantum properas? non est mora conquista e di arricchimento, nella quale si sente l’eco di situazioni catulliane (cfr.
dum legis: audi. cc. 10; 28; 46). E in cui forse non manca una punta di sottile ironia nei confronti dei
reboanti discorsi propagandistici che dovevano accompagnare la spedizione di Elio
v. 36 ter: tre manciate di polvere erano sufficienti: cfr. Sopn. Ant. 431.
Gallo.

Metro: strofe alcaica.

29 v. 1 Icci: la collocazione del vocativo all’inizio del primo verso è riservata abitual-
mente alle divinità, oppure è segno di particolare affetto: qui sembra dettata da scher-
CommaGrr, 227 sg.; R.J. GoaRr, « Class. Journ. » 68, 1972-73, 116 sgg.; H. Dierz, zosa ironia.
« Symb. Osl. » 48, 1973, 89 sgg.; ..R.G. WrIGHT, « Mnemosyne » 27, 1974, 44 sgg.;
vv. 1-2 beatis — gazis: l’ironia dell’apostrofe a Iccio è accresciuta dall’accostamento
R.J. SeAGER, « Liverpool Class. Monthly » 1, 1976, 65 sgg.; F. CaIrns, ibid., 71 sgg.
del suo nome all’aggettivo beatis. L’epiteto, riferendosi ai tesori dell'Arabia, è ado-
perato nell’accezione di ‘ricco, opulento’ (con allusione al nome ‘Arabia felice’,
Destinatario di quest’'ode è Iccio, l’amico di Orazio dedito agli studi filosofici
*ApaBta eddalucov, su cui cfr. Prin. nat. hist. 12, 51), ma allude nello stesso tempo alla
che ricomparirà qualche anno dopo (nel 20 a.C.) in epist. 1, 12.
felicità che ora (si noti la collocazione dell’avverbio nunc accanto a beatis) l’amico
La datazione è pressoché sicura: siamo nel 26-25 a.C., cioè nel periodo della cerca nei tesori d’Arabia: solo alla fine dell’ode si chiarirà che fino a poco prima la
spedizione in Arabia guidata dal prefetto d’Egitto Elio Gallo (su tale campagna cfr.,
felicità era per lo stoicheggiante Iccio tutt'altro che identificabile con la ricchezza.
in termini elogiativi, StrAB. 16, 4, 22; Mon. Ancyr. 26, 5; in termini svalutativi, Cass.
Gazae è parola persiana che designa il tesoro regale (cfr. Diopor. 17, 35, 2), passata
Dio. 53, 29, 4).
al latino già con Cicerone (Manil. 66; Sest. 93; off. 2, 76), nel suo significato pro-
La struttura viene di solito indicata come tripartita: vv. 1--Sa (la situazione pre

bl tI
prio, ma in poesia adoperata anche per indicare genericamente un lusso sfarzoso
sente), vv. 5b-10a (le prospettive future, cioè i vantaggi che Iccio potrà conquistare
(cfr. Lucr. 2, 37; Catuti. 64, 46). I Romani avevano un’idea mitica delle ricchezze
in Oriente), vv. 10b-16 (uno sguardo al passato ‘ filosofico ’ dell'amico). Mi sembra
dell'Arabia, specialmente della regione dei Sabei, a Sud-Est (cfr. SrraB. 16, 41, 19),
però che sia più chiaramente individuabile una struttura bipartita (vv. 1-10a: i nuovi
menzionata nel v. 3.
interessi di Iccio, tutto proiettato verso il miraggio di nuovi successi e di nuove ric-
chezze; vv. 10b-16: i vecchi interessi), che corrisponderebbe e scolpirebbe efficace vv. 3-4 non regibus: quello dell'Arabia non ancora conquistata doveva essere un
mente il contrasto epigrammatico fra ciò che il destinatario è attualmente e ciò che topos propagandistico, di cui si coglie un riflesso anche in Prop. 3, 24, 1 sg. intactis
era fino a poco tempo fa, che è a fondamento dell’ode, e che viene rivelato soltanto ...thesauris Arabum; 2, 10, 16 et domus intactae te tremit Arabiae. Orazio, indicando
alla fine, con tecnica epigrammatica dell’aprosdoketon, dopo un’iperbolica serie di i reges della Sabea, vuol riferirsi probabilmente ai principi delle varie tribù della re-

Mail
adynata che accresce il carattere umoristico del componimento (meno convincente gione, la quale non doveva costituire un regno unico; le fonti storiche parlano però
l’interpretazione di 1, 29 come propempticon: Seager). di un solo re (StrAB. 16, 4, 3; 16, 4, 24; Cass, Dio. 53, 29, 3).
600 Orazio Odi I 29, 4 — 30 601

v. 4 horribili. ..Medo: come in 1, 2, 51 i Medi terribili e minacciosi sono i Parti vv. 13-14 coempt os Iccio aveva fatto incetta di libri di filosofia greca, pro-
— libros:
(cfr. nota a 1, 2, 22), la menzione dei quali conferma che ci troviamo di fronte a un curandoseli in tutti i modi da ogni parte, dato che il commercio librario non ben
collage di motivi propagandistici: non è detto che il piano completo della spedizione organizzato ne rendeva difficile il reperimento a Roma. Il riferimento all’acquisto,
in Arabia fosse quello di passare poi alla conquista dell’Asia. Orazio potrebbe aver non alla lettura, dei libri lascia pensare che Iccio fosse più un bibliofilo che un filo-
messo insieme, in questa presentazione magniloquente dei progetti di conquista del- sofo. Nobilis è riferito al genitivo Panaeti, anche se c’è chi lo connette a libros; in tal
l’amico, i temi più ricorrenti nella propaganda relativa alla politica estera di quegli anni. caso, avremmo un’enallage, ma l’epiteto alluderebbe comunque alla grande fama del
v. 5 nectis catenas: preparare le catene per i nemici prigionieri prima ancora della filosofo Panezio.
guerra è segno di grande sicurezza da parte dell’aggressore: cfr. HeroDOT. 1, 66, 3; v. 14 Panaeti: esponente principale, assieme a Posidonio di Apamea, del cosiddetto
PoryB. 3, 82, 8; Fror. epit. 1, 42, 2. Medio Stoicismo, Panezio, nato a Rodi verso il 185 a.C., si recò a Roma nel 144
vv. 5-6 quae — serviet: lo stile ricercato, con il partitivo virginum e l’aggettivo barbara circa, dove si legò al circolo degli Scipioni. La sua opera più importante, i tre libri
riferito a quae, tende a presentare Iccio nelle vesti di un eroe epico, protagonista di del meg toù xa9xovroc, ispirò il de officiis di Cicerone. Ciò non significa però che
una situazione tradizionalmente epica, qual è prendere prigioniera la fanciulla dopo Orazio insinui che l’amico abbia abbandonato l’honestum, come pensano Nisbet-
Hubbard; Panezio indica qui, per antonomasia, la filosofia stoica di cui Iccio si dichia-
ee

averle ucciso i parenti e il fidanzato; si pensi almeno alla Briseide di Hom. Il. 19, 291
sg. Sponsus è lo sposo promesso (cfr. anche 3, 2, 10; 4, 2, 21). rava seguace.

vv. 7-8 puer — unctis: ancora in uno stile elevato (si noti l’anastrofe puer quis e l’en- Socraticam...domum: la scuola di Socrate, cioè, in senso lato, la grande famiglia
jambement capillis. . .unctis) Orazio ironizza su un’altra possibile conquista di Iccio: un dei filosofi, secondo un uso ben attestato; non, come vuole un’altra interpretazione,
«una casa modesta come quella di Socrate ».
principino proveniente dalla reggia (ex aula), che gli farà da coppiere (secondo un
uso orientale, macedone in particolare, a tale servizio erano adibiti, presso i re, i figli v. 15 loricis Hiberis: la qualità dell’acciaio della Spagna era famosa: cfr. Pin. nat.
dei principi: cfr. Liv. 45, 6, 7) con i capelli spalmati di unguenti profumati, secondo hist. 15, 149; 34, 144.
l’uso conviviale (cfr. 2, 3, 13; 2, 7, 7 sg. etc.).
v. 8 ad cyathum: il cyathus era un vaso con un manico con cui si attingeva il vino
dal cratere e si versava nelle coppe (cfr. 3, 19, 12); a volte indica in generale la coppa 30
da cui si beve (Varr. ling. 5, 124; ATHEN. 423c). Ad cyathum status presuppone la
espressione ad cyathum stare (cfr. Suer. Caes, 49, 2). RerrzensteIn, 10 sg.; PasquaLi, 501 sgg.; L. RicHINI, « St. ital. filol. class. » 22,
1947, 101 sgg.; FRAENKEL, 197 sgg.; E. Burck, « Gymnasium » 67, 1960, 161 sgg.
v. 9 Sericas: il contesto iperbolico si accresce di un ulteriore elemento, con questa
allusione all’estremo Oriente (per l’uso impreciso dell’aggettivo cfr. nota a 1, 12, 56).
Priva di riferimenti cronologici, quest'ode, che ha il respiro di un epigramma,
vv. 10-12 quis— reverti: è qui presente lo schema tradizionale dell’adynaton, ironica-
si compone di due strofe, ciascuna delle quali è compiuta in se stessa: nella prima si
mente adoperato per esagerare la stranezza della scelta compiuta da Iccio. Ma il mo-
invita Venere a lasciare le sue sedi abituali per recarsi nel tempietto di Glicera, nella
tivo convenzionale dei fiumi che risalgono ai monti (cfr. 1, 33, 7 sg.; 3, 5, 31 sg.; epod.
seconda è descritto il corteggio della dea.
5, 79 sg.; 16, 25 sg.; Eur. Med, 410; Vero. Aen. 4, 489) viene combinato e variato
Si tratta dunque di una elegante variazione dello Suvoc xAntwés (cfr. nota intro-
con il riferimento specifico all’inversione del corso del Tevere, che appartiene alla
duttiva a 1, 10): punti di contatto con ALcman. fr. 55 P. Kirpov iuspràv Muroîca xal
tipologia dei prodigi connessi alle guerre civili (cfr. nota a 1, 2, 13 sg.). Arduis...
Tidpoy repippitav («lasciando la cara Cipro e Pafo circondata dalle acque ») o con
montibus è secondo alcuni dativo, equivalente a un moto a luogo, secondo altri abla- (Reitzenstein, Righini) non sono da sopravvalutare. Il mo-
Sarrn. frr. 1; 2; 35 L.-P.
tivo di stato in luogo da riferirsi strettamente a pronos (« declivi sui monti »).
dello di Orazio va indicato piuttosto in un epigramma di Posidippo (III a.C.): &
v. 13 cum tu introduce l’aprosdoketon finale: non ci si aspetterebbe certo che colui Kyrpov & te Kb9npo rai & Miytov èrroryvetg / xa Td xaddv Zuping immOxphToL ddredoy, /
che accarezza tali sogni di ricchezza e di potere sia un filosofo, Il pronome personale Io Mao Koddioriw È) ròv Spaotàv / addetto’ oixelv dev dò rpodipuv (anth. Pal.
è rafforzativo (« proprio tu »). 12, 131: « tu che frequenti Cipro e Citera e Mileto e il bel suolo della Siria percorso
602. Orazio Odi I 30, 1 — 31 603

dai cavalli, vieni propizia da Callistio, che non respinse mai dalla sua porta un inna- Iuventas: divinità romana, onorata in un antico tempietto sul Campidoglio, il cui
morato »). Posidippo dunque aveva innovato la forma tradizionale dello Uuvoc xAn- culto fu promosso da Augusto, e che era assimilata alla dea greca Ebe (cfr. Cic. nat.
mixés con «una variante un po’ sacrilega » (Pasquali), che Orazio qui riprende, di- deor. 1, 112; Serv. DAN. Aen. 5, 134), la quale è associata ad Afrodite già in hymn.
staccandosi però nello stesso tempo dal modello alessandrino. Con la descrizione del Ap. 195.
corteo di Afrodite nella seconda strofe egli riprende un motivo consueto negli epita-
v. 8 Mercurius: in quanto facundus (cfr. nota a 1, 10, 1), ha qui probabilmente la
lami di Saffo (come sappiamo da Imer. I, 1, 4, 19): adattandolo all’invito in casa di
stessa funzione della dea della persuasione, Iex.94, che faceva parte del corteggio di
una etera, egli compie un gioco raffinato e pieno di grazia che, se esclude la seria reli-
Venere (cfr. epist. 1, 6, 38 Suadela Venusque; Aescun. Suppl. 1040; Pausan. 1, 43, 6;
giosità dei lirici greci arcaici (che invece Fraenkel e Burck propendono a cogliere nel-
Metracr. anth. Pal. 5, 137). L'associazione di Venere e Mercurio è attestata altrove
l’ode), è ugualmente lontano dall’arguzia maliziosa della pointe epigrammatica di Po-
(PLuT. coniug. praec. 138c; Aput. met. 6, 7, 3), e sappiamo di un culto unificato delle
sidippo.
due divinità ad Argo (PausAN. 2, 19, 6) e a Megalopoli (Ip. 8, 31, 6). Non è però da
Metro: strofe saffica, escludere che Orazio giochi un po’ sul fatto che Mercurio è anche il dio del guada-
gno (Reitzenstein): velata allusione, forse, all’attività di Glicera.
v. 1 o-=regina: apostrofe ampia e solenne, nello stile dello Syvoc xAntiwée: cfr. Prnp.
fr. 122, 17 Sn.-M. è Kbrpou Séorowa.

Cnidi: colonia greca della Caria (in Asia Minore), dove Venere era oggetto di un 31
culto particolare (cfr. PAUSAN. 1, 1, 3), e dove si trovava la statua della dea scolpita
da Prassitele (cfr. Prin. nat. hist. 36, 20).
P. VEYNE, « Latomus » 24, 1965, 932 sgg.; V. PòscHt, « Grazer Beitr. » 4, 1975,
Paphi: città dell’isola di Cipro, dove Afrodite aveva un culto antichissimo (cfr. Hom. 207 seg.
Od. 8, 362 sg.; Hrs. theog. 193; hymn. Ven. 58 sg.).
Altra elaborazione dell’inno alla divinità, quest'ode ha una struttura anulare: i
v. 2 dilectam Cypron: corrisponde a Kyrpov iusprév di Alcmane (cfr. nota intro- vv. 1-3a e 17-20 contengono la preghiera ad Apollo, mentre nella parte centrale (vv.
duttiva), che qui Orazio sembra aver seguito, fermo restando che l’influsso di Alc- 3b-16) lo schema della preghiera è variato attraverso il rifiuto di tutto ciò che la
mane è pur sempre mediato da Posidippo. La menzione di Cipro accanto a Pafo, del- maggior parte degli uomini chiede agli dei. Il modello innico viene trasformato, e in
l’isola e della città nell’isola, si trova pure in Alcmane e in SaprH, fr. 35 LP. fondo eluso, fino a costituire poco più che lo spunto per lo sviluppo gnomico-dirico,
consistente in una affermazione dell’ideale oraziano di vita in contrasto con la varietà
v. 3 ture...multo: per l’uso di incenso nel culto di Venere cfr. 1, 19, 14; 4, 1, 22;
SapPH. fr. 2, 3 sg. LP; Pimp. fr. 122, 3 sgg. Sn.-M.; Vero. Aen. 1, 415.
degli ideali altrui, non, in particolare, con l’ideale imperialistico (Péschl). L’ode rappre

lio MAMiA I
senta dunque una variazione sul tema di 1, 1, con la quale ha in comune la presenza
v. 4 aedem: la forma singolare, usata raramente, indica un tempio: forse qui sta a di topoi diatribici (per esempio, il rifiuto delle ricchezze e l’elogio dell’autosufficienza
significare che la casa di Glicera è di per sé un tempio a Venere, o forse vuol riferirsi del saggio) e lo schema formale della Priamel (cfr. nota introduttiva a 1, 1), che si
a un sacellum che la donna aveva allestito nella sua casa. conclude con la contrapposizione enfatica della persona del poeta agli altri, Con com-
ponimenti come 1, 17 e 1, 22 essa ha invece in comune l’enunciazione di un’idea di
v. 5 puer: Cupido, che appartiene al corteggio di Venere a partire almeno da Hrs. serenità fondata su quell’unità di poesia e saggezza che fa parte della religiosità ora-
theog. 201 (cfr. nota a 1, 12, 34). ziana (cfr. nota introduttiva a 1, 17).
In conclusione, nonostante alcune movenze diatribiche, lo svolgimento centrale

ti
v. 6 Gratia
— Nymphae:
e cfr. note a 1, 4, 5 sg. Per la collocazione dell’enclitica —que
non è eterogeneo rispetto alla cornice della preghiera vera e propria. Quest'ultima
dopo properent anziché dopo Nymphae, come sarebbe naturale, cfr. 2, 17, 16; 2, 19,
ha una genesi d’occasione: l'ode fu composta infatti quando, nel 28 a.C. (per la pre.
28; 32; 3, 4, 11; carm. saec. 22.
cisione, il 9 ottobre), Ottaviano consacrò il tempio di Apollo sul Palatino, promesso
v. 7 sine te: cfr. nota a 1, 26,9. in voto nel 36, dopo la vittoria riportata su Sesto Pompeo a Milazzo (cfr. anche Prop.

SS
604 Orazio Odi I 31, 1-15 605

4, 6), malgrado un tentativo di dimostrare che non c'è alcun rapporto con il tempio ossimoro che tende a riprodurre il paradoxon rappresentato dalla Calabria (parte me-
di Apollo, e che il poeta dedicherebbe piuttosto alla divinità una statua, nell’ambito ridionale dell’attuale Puglia), ricca di pascoli pur essendo povera d’acqua, sottolineato
di un presunto culto domestico (Veyne). da StRAB. 6, 3, 5 rapadétm dorzla...AvdpoTERA d'odaa eUforoc oddtv focov val ebdevSpog
(cfr. anche epod. 1, 27; epist. 2, 2, 177).
Metro: strofe alcaica.
v. 6 non- Indicum: oro e avorio, soprattutto se usati come ornamento delle abita
vv. 1-2 quid...quid: l'interrogazione rappresenta una variatio di movenze della poe- zioni, sono simboli di sfarzo nella polemica diatribica contro il lusso (cfr. anche 2,
sia innica; dall’inno proviene lo stile anaforico, e un ulteriore elemento di solennità 18, 1 sg. non ebur nec aureum | mea renidet in domo lacunar). Indicum, da riferire tanto
è conferito dal termine vates, con cui Orazio indica se stesso come ispirato dalla divi- ad aurum quanto a ebur, allude alla proverbiale ricchezza dei paesi orientali: per l’oro
nità (cfr. nota a 1, 1, 35). indiano cfr. HeRopoT. 3, 102, 2; Cat. fr. 202, 58 sgg. Pf. (+ addenda 2, p. 118 Pf.);
v. 1 dedicatum. ..Apollinem presuppone la costruzione, analoga a quella di donare, Prop. 3, 13, 5; CatuLi. 64, 48; Vero. georg. 1, 57; PLIN. nat. hist. 8, 7.
dedicare deum (aede), dove dedico, verbo tecnico che indica la consacrazione di un v. 7 Liris: l'odierno Garigliano (cfr. anche 3, 17, 7 sg.).
tempio, ha come oggetto la divinità, e il tempio ricopre la funzione dell’ablativo stru-
mentale (cfr. Cic. nat. deor. 2, 61 ut Fides, ut Mens, quas in Capitolio dedicatas videmus; v. 8 mordet...taciturnus: forse Orazio imita CALL. epigr. 44, 3 Pf. toda 249 /
Ov. fast. 6, 637 sg. te quoque magnifica, Concordia, dedicat aede | Livia). Alcuni invece Toîyov droptv fobyioc orauéc. Cfr. anche Lucr. 5, 256 ribas radentia flumina rodunt.
pensano che dedicare Apollinem indichi, per metonimia, la consacrazione della statua Si noti l’espressionismo stilistico del v. 7 sg., il gioco di assonanze capace di ripro-
che si trovava nel tempio stesso, un Apollo citaredo di Scopa (cfr. Prop, 2, 31, 5 sgg.); durre il suono impercettibile del fiume che consuma i campi.
mentre Veyne, coerentemente con la propria interpretazione dell’ode, coglie in dedi- vv. 9-10 premant—vitem si riferisce alla potatura, con la falx vinitoria (cfr. CoLum. 4,
catum l’allusione a un’offerta privata del poeta alla divinità, fuori da un contesto 25): cfr. Vero. georg. 1, 156 sg. ruris opaci | falce premes umbram. Calena è riferito per
pubblico. enallage a falce anziché a vitem (la variante Calenam, data da Porfirione, è una bana-
v. 2 patera: la coppa larga e piatta adoperata per le libagioni sacrificali (cfr. Macr. lizzazione). Per il vino di Cales cfr. nota a 1, 20, 9.
Sat. 5, 21, 4). x
v. 10 dives et: l’anastrofe è adoperata come finezza stilistica di gusto alessandrino:

ann
vv. 2-3 novum — liquorem: poco dopo la dedica del tempio ad Apollo, l’11 ottobre, cfr. nota a 1, 2, 9. La variante ut è da scartare, perché crea un rapporto di subordi-
ricorreva la festività dei Meditrinalia, in onore di Apollo medicus, durante i quali si nazione (l’agricoltore produca vino affinché il mercante possa berlo) tra due figure
libava con vino vecchio e con il vino nuovo proveniente dalla recente vendemmia: che il contesto esige collocate sul medesimo piano.
cfr. Varr. ling. 6, 21 Octobri mense Meditrinalia dies dictus a medendo, quod Flaccus vv. 10-11 aureis...culillis: il termine culilla, hapax oraziano attestato solo qui e in

vd
flamen Martialis dicebat hoc die solitum vinum novum et vetus libari et degustari medica- ars 434, coniato forse come diminutivo del greco x6XéÉ, significa una coppa di terra
menti causa; quod facere solent etiam nunc multi cum dicunt: « novum vetus vinum bibo, cotta adoperata durante i riti sacri dai pontefici e dalle Vestali (Porfirione ad l.).
novo veteri morbo medeor ». Fundere è termine tecnico (cfr. Serv. Aen. 6, 244 fundere Forse qui indica, in generale, coppe lussuose: l’idea dello sfarzo è rafforzata da aureis.
est supina manu libare, quod fit in sacris supernis).

là MdA lA
Le coppe d’oro sono un simbolo di lusso esagerato nelle polemiche diatribiche: cfr.
vv. 3-4 opimae» feracis: la Sardegna era una terra molto fertile (feracis si riferisce Muson. Rur. fr. 20, p. 111, 1 sge. Hense,
grammaticalmente a segetes, logicamente anche a Sardinia): cfr. PausaN. 10, 17, 3; v. 12 Syra — merce: l’espressione reparare merces è un tecnicismo del linguaggio com-
STRAB. 5, 2, 7; Pompon. MEL. 2, 123. Sulla Sardegna come uno dei granai di Roma, merciale (cfr. ALren. dig. 15, 3, 16; Scaevot. dig. 45, 1, 122, 1): qui indica lo scam-
assieme a Sicilia e Africa (l’isola era provincia di Roma dalla fine della prima guerra bio, effettuato dal mercante, fra i vini e le merci siriache (spezie e unguenti). Per Syra
punica) cfr, Cic, Manil. 34; VARrR. rust. 2 praef. 3; Var. Max, 7, 6, 1. anziché Syria (come in 2, 7, 8) cfr. Medus in 1, 27, 5; 2,9, 21;3,5,9.
vv. 5-6 aestuosae — armenta: secondo alcuni, grata ha il significato generico di ‘ gra- vv. 13-15 dis — impune: Orazio ironizza sul concetto di ‘ beniamino degli dei’ che
diti a vedersi’ ed aestuosae Calabriae è un genitivo. Ma è più probabile che quest’ul- tante volte riferisce a se stesso e al suo essere poeta: certamente il mercante deve
timo nesso sia un dativo dipendente da grata, e che grata destuosae sia una specie di essere caro agli dei, se riesce ad affrontare impunemente i rischi comportati dai suoi
606 Orazio Odi I 31, 15 - 32 607

viaggi. L'ironia del contesto


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è accentuata dall’espressione imprecisa ter et quater e v. 20 cithara carentem: il nesso allitterante ricalca epiteti greci di forma negativa
dalla menzione dell’aequor Atlanticum, a proposito del quale è inutile obiettare, come come dxldapic (ArscH. suppl. 681) e dpbpuixtoc (Aescn. Eum. 332) o dvvpévatog div
fa qualcuno, che il commercio in Siria non implica l'Atlantico, perché i riferimenti pos &yopoc (SoPH. Oed. r. 1221 sg.). La preghiera di non essere privato della gioia del
geografici qui hanno solo valore paradigmatico: da un lato il commercio dei generi canto poetico suggella significativamente una strofe in cui Orazio tratteggia in poche
più esotici, dall'altro il viaggio sul mare più pericoloso. parole il suo ideale di vita: la salute, la serenità, la saggezza.
v. 15 me-olivae: per il rilievo enfatico dato al pronome di prima persona, a sotto-
lineare, alla fine della Priamel, la contrapposizione dei propri gusti a quelli comuni
cfr. nota a 1, 1, 29. Per un concetto simile cfr. Pinp. Nem. 8, 37 sge. I cibi semplici,
32
soprattutto verdure ed erbe, fanno parte della dieta povera consigliata dai filosofi,
REITZENSTEIN, 23 sgg.; P. FERRARINO, « Athenaeum » 13, 1935, 219 sgg.; FRAEN-
in particolare dai Cinici e dagli Stoici (cfr. Carysiep. SVF 3, 177 sgg.; CRATET. in
kEL, 168 sge.; LA Penna 1963, 128 sg.; C.L. BaBcock, « Class. Philol. » 62, 1967,
TeLer. p. 41, 3 sg. Hense) e dagli Epicurei (cfr. Dioc. LarrT. 10, 11, 131 sg.; Purro-
189 sgg.; R.S. KnpaTRICK, « Yale Class. Stud, » 21, 1969, 213 seg.; P. VErnE, « Rev.
pem. anth. Pal. 9, 412, 1 sgg.; Hier. adv. Lovin. 2, 11).
philol. » 55, 1981, 37 sge.
v. 16 cichorea — malvae: ricordate anche altrove, come le olive del verso prece-
dente, in quanto cibi frugali (cfr. sat. 1, 6, 114 sg.; 2, 2, 45 sg.; epist. 1, 5, 2; epod. Ancora una variazione dello Suvog xAytixéc, consistente in una invocazione al
2, 54 sgg.), cicoria e malva sono facilmente digeribili, leves (cfr. Cers. 2, 20; 24). Il barbitos, la lira della poesia di Lesbo, perché intoni un canto latino nello spirito al-
grecismo cichorea (neutro plurale) è del sermo familiaris, e, in generale, l'abbassamento caico. Dalla tradizione innica deriva lo schema compositivo, ma nella sostanza l’ode
della lexis vuol corrispondere all’umile modestia del poeta che si accontenta di poco. non ha niente dell’inno (malgrado Babcock la consideri composta, come 1, 31, in
occasione della consacrazione del tempio di Apollo), ed è piuttosto una dichiara
v. 17 paratis: secondo un’interpretazione, si riferisce ai beni già acquisiti, con uso zione programmatica in cui Orazio espone uno dei principi fondamentali della sua
di paratis equivalente a partis (come già in sat. 2, 3, 98; epist. 2, 2, 196), secondo poetica, l'adattamento cioè di contenuti romani a forme della poesia lirica greca,
un’altra, più verosimile, indica i beni a portata di mano, cioè, in base al principio attraverso un costante tentativo di rinnovare il modello, nello stesso tempo con-
epicureo, i beni naturali facilmente procurabili: cfr. Ericur. ad Menoec. 130, 5 sgg.; frontandosi con questo.
Max. Cap. 26; Dio. Laert. 10, 130; 144; 148. Decisivo il confronto con Lucr. 6, L’ispirazione alcaica ci riporta al primo periodo della lirica oraziana per la com-
9 sg. ad victum quae flagitat usus | omnia iam ferme mortalibus esse parata; SEN. epist. 90, posizione di quest'ode, la quale comunque, lungi dall'essere un vero e proprio proe
18 ad parata nati sumus: nos omnia nobis difficilia facilium fastidio fecimus. mio che apra il periodo alcaico (Ferrarino), presuppone che il poeta si sia già cimen-
v. 18 Latoe: secondo lo stile dell’inno, Orazio rivolge un’apostrofe alla divinità alla tato in prove di aemulatio rispetto ad Alceo (cfr. v. 1 sg. siquid...lusimus tecum).
fine della preghiera, con un solenne epiteto cultuale (Latous è Apollo in quanto figlio La struttura è limpidamente tripartita, con i versi dedicati al poeta di Lesbo (vv.
di Latona: per la forma dotica Axré0g cfr. Eur. Ibh. Taur. 1260; anth. Pal. 6, 128, 2; 5-12) collocati fra la prima e l’ultima strofe, che contengono la preghiera vera e pro-
280, 5). pria al barbitos.
L’ode è stata spesso interpretata come testimonianza di una svolta nella lirica
et precor: fanno ostacolo al mantenimento del tràdito at sia ragioni sintattiche (si oraziana: dopo componimenti privi di impegno, dopo la lirica leggera dei ralyva,
dovrebbe allora unire il primo et a degere, e la sintassi risulterebbe alquanto disarti- il poeta passerebbe a una poesia di contenuto più serio, sorretta dall’ispirazione al-
colata) sia ragioni di senso (non si vede il perché di una contrapposizione tra valido caica. A tale interpretazione si aggancia l’ipotesi che l’ode faccia da proemio a una
e integra cum mente). L'emendamento et, accolto da quasi tutti gli editori, elimina o a più odi di contenuto civile: a 1, 12, a 1, 35 o al ciclo delle odi romane (3,1-6:
quest’ultima difficoltà e insieme conferisce al periodo una struttura sintattica accet- Kilpatrick) o al Carmen saeculare. In realtà, l’idea centrale dell’ode è quella della lirica
tabile: l'et risultante dall'emendamento e l’et precedente vengono ad essere correla- come laborum dulce lenimen, della poesia come conforto nelle pause fra le lotte poli-
tivi e gravitano entrambi su frui; per quel che riguarda poi il secondo membro del tiche; e Orazio, lungi dal dichiarare un mutamento della propria ispirazione, altro
periodo, il primo nec equivale a et nec e l’insieme si struttura come segue: et degere non vuole che affermare la sua intenzione di comporre in stile lesbio come ha fatto
senectam (parallelo di frui paratis) nec turbem nec cithara carentem. finora (Fraenkel). Rispetto ad altri componimenti alcaici, la novità e la peculiarità

11**
608 Orazio Odi I 32, 1-15 609

dell’ode vanno viste se mai nell’essere un omaggio ad Alceo, e nello stesso tempo contenutistico (in un’ode così ricca di reminiscenze della preghiera è difficile che a
nell’enunciare una concezione alcaica della vita, in cui la passione civile sia armonio. una protasi nello stile religioso come si quid... corrisponda un’apodosi in cui si sot-
samente composta con la dolcezza dell'amore e del convito: poco più che un ideale tolinei la differenza, anziché l'analogia, fra le situazioni precedenti, di aiuto da parte
letterario, certamente, ma di cui Orazio, soprattutto negli anni ancora vicini alle della divinità, e quella attuale: cfr. Reitzenstein, Fraenkel). C'è chi obietta che, se
guerre civili, avvertiva interamente il fascino (La Penna). fosse corretta la prima interpretazione, non avremmo vivat, ma viveret: il presente
non fa però difficoltà, poiché si riferisce all'anno in corso (« che viva per quest'anno
Metro: strofe saffica.
e per molti altri »).
v. 1 poscimus: senz’altro preferibile alla variante poscimur (« siamo richiesti »), accet- vv. 3-4 Latinum...carmen: il senso completo dell'espressione è dato dall’accosta-
tata da quanti ritengono che qui Orazio risponda a una richiesta (formulata non si mento con Lesbio.. .civi del v. 5, ed è un senso, più che di contrapposizione, di unità:
sa da chi) di cantare argomenti più impegnati, ma che crea una successione logica la sintesi fra contenuto latino e forma poetica lesbia è alla base della lirica nuova che
alquanto lambiccata: il poeta, cioè, richiederebbe un canto alla cetra perché ne sa- Orazio ha introdotto a Roma. Il carmen Latinum non è, come pensano alcuni, un com-
rebbe richiesto a sua volta. Inoltre poscimur appare tronco sia dal punto di vista con- ponimento preciso cui quest’ode farebbe da proemio (cfr. nota introduttiva).
cettuale, in quanto l’oggetto della richiesta non è espresso, sia dal punto di vista
v. 4 barbite: cfr. nota a 1, 1, 34.
ritmico, in quanto introduce contro la norma una forte pausa subito dopo la prima
parola del componimento. Poscimus fu difesa in modo eccellente da Bentley (cfr. an v. 5 Lesbio — civi: espressione equivalente al topos innico dell'indicazione della nascita
che Fraenkel), sulla base soprattutto dei seguenti argomenti: poscimus è espressione della divinità: Alceo non è il padre del barbitos, che fu inventato da Terpandro, ma
della preghiera (cfr. 1, 31, 1; Vero. Aen. 1, 666) e, in particolare, è formula adatta è l’archegeta della forma lirica di Lesbo (Fraenkel). Civi definisce Alceo nella sua
a introdurre l’invocazione a una divinità (espressioni simili in Pinp, Ol. 12, 1 sg.; qualità di cittadino, e, quindi, per l’impegno civile profuso nella lotta contro i tiranni
Pyth. 12, 1 sgg.; Nem. 3, 1 sgg., tutti esempi in cui Mocopar o alti sono seguiti da della propria città, Mitilene, alludendo anche, per estensione, ai suoi carmi civili, gli
un imperativo, come nel nostro caso, e come in Verc. Aen. 9, 525 precor, adspirate OTACLWTIXA.
canenti),
v. 6 ferox— arma: sul valore militare di Alceo cfr. la testimonianza di ATHEN. 627a.
si quid: formula di preghiera, corrispondente al greco et more, che ha la funzione Oltre che durante le lotte civili, il poeta combatté contro gli Ateniesi nella Troade
di introdurre il motivo per cui la divinità invocata dovrebbe venire in aiuto a chi (cfr. HeropoT, 5, 95; STRAB. 13, 1, 38).
la invoca: cfr. Hom. Il. 1, 39 sgg.; Il. 5, 116 sg.; Pixp. Isthm. 6, 42 sge.; ARISTOPH.
vv. 7-8 sive— navim: riferimento all'esilio di Alceo (cfr. anche 2, 13, 27 sg.).
Thesm. 1157 sgg. In particolare, Orazio segue lo schema di preghiera che si legge in
i

SapPH. fr. 1, 5 sgg. L.-P., in cui si invoca la divinità ricordandole l’aiuto che ha por- v. 9 Liberum — Veneremque: allusione alla poesia erotica e conviviale, cui Alceo
tato altre volte: dAXd TULÒ 9° at rota xarip@ta / tds Euac abdac diorca Timor / ExAues. consacrò la sua vita (così anche in AnTtIPATR. anth. Pal. 7, 27, 9 sg.).

vacui
— umbra: la stessa idea di 1, 1, 30 sgg. (cfr. nota ad L.). v. 10 semper
— puerum: Cupido non si stacca mai da Venere, poiché fa parte del
TIE rev

suo corteggio (cfr. nota a 1, 12, 34; 1, 30, 5).


v. 2 lusimus: corrispondente al greco rattew, il verbo ludere è usato in riferimento
v. 11 Lycum: di questo fanciullo amato da Alceo non rimane alcuna menzione né
non solo alla poesia d’amore (cfr. 4, 9, 9), ma allo scrivere versi, in generale (epi-
nei frammenti né nelle testimonianze.
grammi in Caruti. 50, 2; satire in sat. 1, 10, 37; poesia bucolica in Vero. georg. 4,
564). Quindi non è affatto certo che qui si voglia indicare una poesia leggera rispetto nigris...nigro: nel primo caso la prima sillaba vale come lunga, nel secondo caso
alla quale Orazio si proporrebbe un salto di qualità (cfr. nota introduttiva). come breve: quest’uso poetico della positio debilis è una ricercatezza metrica di gusto
alessandrino.
vv. 2-3 quod — vivat: quod si riferisce molto probabilmente a quid del v. 1. Alcuni
interpreti però accettano la spiegazione di Bentley, che riferisce la relativa a carmen vv. 13-15 0-lenimen: lo stile innico si rivela nel trikolon, nell’accumulazione di attri-
del v. 4. Ma a tale proposta esegetica fanno ostacolo considerazioni di carattere gram- buti, nel vocatico con o. Decus è termine spesso adoperato nell’inno (cfr. carm. saec.
maticale (dovremmo ammettere una struttura sintattica inconsueta e incongruente) e 2; Lucr. 3, 3; Vero. Aen. 8, 301).
610 Orazio Odi I 32; 13— 33, 3 611

vv. 13-14 dapibus—Iovis: i banchetti degli dei nell'Olimpo erano accompagnati dal tratta di due donne diverse (Castorina). Ma tutte queste ipotesi sono superflue: quello
suono della lira: cfr. Hom. Il. 1, 602 sg.; Od. 8, 99; 17, 271. Su testudo cfr. nota a che è importante notare è che Orazio, rivolgendosi all'amico che soffre per una donna
1, 10, 6. indicata con lo pseudonimo di Glicera, lo inviti a non comporre versi elegiaci. Ti-
bullo ha qui in certo senso il ruolo che Virgilio assegna a Cornelio Gallo in ecl. 10:
vv. 15-16 mihi — vocanti: il testo è stato variamente emendato (fra le correzioni pro- in quanto innamorato, egli è poeta d’amore, e viceversa, poiché la scelta di una vita
poste si segnala medicumque, con medicum = « medicinale, salutare» da riferirsi a dedita all’amore e la scelta della poesia d’amore si sovrappongono, sulla base di quella
lenimen e, quindi, alle virtù terapeutiche della poesia) e variamente interpretato. La
identità di stile e di vita che è a fondamento dell’elegia latina e, prima ancora, del-
ipotesi più probabile, perché meglio lega questi versi al contesto dell’ode, è che qui
l’esperienza neoterica. Per questo è irrilevante che Tibullo abbia effettivamente com-
ci sia un relitto di formule sacre, e che Orazio possa avere avuto come modello un posto elegie per Glicera: perché l’invito a desistere da un amore infelice non poteva
carme arcaico o arcaizzante. Mihi...salve, corrispondente alla formula greca yaîpé
non essere invito a desistere dalla poesia d’amore.
pot, comune negli inni e nelle preghiere, piuttosto in sede iniziale che finale, ci riporta La struttura è tripartita in modo limpido: la prima strofe è dedicata alla soffe-
alla topica della poesia innica (cfr. anche Vero, Aen. 11, 97 salve aeternum mihi, maxime renza d’amore di Tibullo, così come l’ultima, in cui le pene dell'amico sono acco-
Palla), alla quale apparterrà presumibilmente anche cumque, un hapax che abbiamo state a quelle dello stesso Orazio, mentre al centro, nei vv. 5-12, si svolge il motivo
mantenuto non senza esitazione. Di questa locuzione riesce tuttavia difficile definire
topico della catena d’amore.
l’esatto significato, in assenza di riscontri: essa è stata congiunta sia a vocanti (« a me Tale motivo deriva quasi sicuramente dal poeta alessandrino Mosco (fr. 2): fparo
che ti invoco in ogni momento ») sia a rite («in qualunque modo, purché secondo Tav *Ayéic Ti yeltovoc, fparo I'Ayò /oxipratà Zaripw; Zkrupog d'ereuivaro Adda / ©e
il rito ») sia a mihi («a me, chiunque io sia, per quanto piccolo io sia ») sia a salve °Ayò ròv Iva, récov Edrupoc piéyev “Ayòò / xal Adda Zaruploxov... (« Pan amava la vi-
(« sempre salve »). Probabilmente, se l’espressione rimane oscura, è perché Orazio cina Eco, Eco amava Satiro saltellante, Satiro impazzì per Lida. Quanto Eco faceva ar-
adopera una formula fossilizzata, un relitto di linguaggio sacrale (o, secondo altri, dere Pan, tanto Satiro faceva ardere Eco, e Lida il piccolo Satiro, etc. »). È probabile
giuridico: Veyne). che Orazio dipenda esclusivamente da Mosco, poeta che egli ha presente anche altrove
(cfr. nota a 4, 2, 57 sgg.), anche se non si può escludere che il poeta alessandrino
33 avesse rielaborato un motivo comune nella letteratura erotica del tempo (Pasquali).
In ogni caso, gli esempi adoperati per illustrare la riflessione gnomica sulla catena
Tre rete
io

B.L. ULLMAN, « Amer. Journ. Philol, » 33, 1912, 149 sge.; 456 sgg.? PASQUALI, d’amore sono tratti dal mondo della vita galante di Roma.
495 sgg.; B. Oris, « Trans. Amer. Philol. Ass. » 76, 1945, 177 sgg.; Wii, 170 sgg.; Metro: asclepiadeo secondo.
CASTORINA, 220 sg.
v. 1 Albi: la collocazione all’inizio del primo verso ha qui il valore di una testimo-
Priva di riferimenti cronologici, quest'ode ha come destinatario un Albio, che
nianza d'affetto per l’amico poeta.
non c'è motivo di dubitare che sia lo stesso dell’epistola 1, 4, e che già i commenti
antichi indicavano nella persona del poeta elegiaco Albio Tibullo. Tale identificazione ne nimio: l’esortazione negativa con il congiuntivo presente è meno perentoria che
racer agi

non va messa in dubbio, malgrado la difficoltà rappresentata da v. 2 sg. (neu misera- con il più comune perfetto. Pet plus nimio cfr. nota a 1, 18, 16: qui si collega a ne
bilis / decantes elegos), in cui Orazio invita l’amico a non intonare i suoi lamentosi versi doleas, non a memor.
elegiaci per Glicera. Il fatto che non ci siano pervenute elegie di Tibullo dedicate a v. 2 îmmitis Glycerae: poiché lo pseudonimo Glycera (cfr. nota a 1, 19, 5) è con-
una donna così chiamata non costituisce un ostacolo all’identificazione del destina- nesso a yAuxbc (« dolce »), il nesso risulta un ossimoro.
tario, e non è necessario nemmeno ricorrere a spiegazioni come quelle secondo cui
Glicera sarebbe la puella innominata delle elegie 3, 19-20 del corpus Tibullianum (pe vv. 2-3 miserabilis...elegos: una etimologia diffusa faceva derivare il nome del
raltro, non di sicura paternità tibulliana), o secondo cui lo pseudonimo nasconde- l’elegia da &Aeoc (« pietà »); e assegnava perciò a tale forma poetica il lamento come
rebbe quello, prosodicamente equivalente, di Nemesi, della donna cioè cui è dedi- funzione prima: cfr. 2,9, 9 sg. (all’elegiaco Valgio) tu semper urges flebilibus modis |
cato il secondo libro di Tibullo. Secondo alcuni, poi, Glicera è l'omonima donna, Mysten ademptum; ars 75 sg. versibus impariter iunctis querimonia primum /.. inclusa est;
amata da Orazio, che compare in 1, 19, in 1, 30 e in 3, 19 (Wili), secondo altri si Ov. am. 3, 9, 3 flebilis indignos, Elegeia, solve capillos.
612 Orazio Odi I 33, 4 — 34 613

v. 4 laesa...fide: espressione carica di echi del linguaggio giuridico, che rinviano non è assente dalla letteratura (cfr. Heron. 1, 89; 2, 65; ArISsTAENET. 1, 3; Mar-
alla concezione elegiaca, e già catulliana, dell'amore come foedus (cfr. nota a 1, 13, 18), tIAL. 5, 4).
v. 5 insisnem fronte: pare che la fronte piccola fosse considerata segno di bel v. 15 fretis-Hadriae: cfr. anche 3, 9, 22 sg. improbo iracundior Hadria (riferito da
lezza nella donna: cfr. PorpuHYRIoN. ad l.; PETRON. 126, 15; Lucian. am. 40. Orazio a se stesso). Sul mar Adriatico come mare tempestoso cfr. 1, 16, 4. Per la
metafora marina riferita al carattere difficile e mutevole di una donna cfr. nota intro-
Lycorida: lo stesso pseudonimo dato da Cornelio Gallo alla donna amata, la mima
duttiva a 1, 5.
Citeride; connesso ad un epiteto di Apollo, Aux@petoc, così come altri nomina ficta
delle donne degli elegiaci (Cynthia, Delia). v. 16 curvantis— sinus: i flutti del mare, erodendo la costa, producono le insena-
ture della Calabria (l’odierna penisola Salentina): quasi un accusativo dell’oggetto
v. 6 Cyri: su questo nome cfr. nota a 1, 17, 25.
interno. Cfr. Vero. Aen. 3, 533 portus ab euroo fluctu curvatus in arcum; Lucan. 8, 178
v. 7 Pholoen: altro nome, come Licoride, proveniente dal mondo dell’elegia: Foloe Scythiae curvantem litora pontum. Con la menzione della costa del proprio paese, la
è la donna superba amata dal giovane Marato in Tis. 1, 8, 69. Calabria, si completa la trama di riferimenti autobiografici presenti nell’ode (cfr. v. 6
vv. 7-8 sed —lupis: l'accoppiamento innaturale fra animali è uno degli esempi clas- sg. Apulis...lupis): «le parole ultime, il confronto tra l’animo di costei e la violenza
sici di adynaton: cfr. epod. 16, 30 sgg.; Vero. ecl. 8, 27. Il riferimento ai lupi della
dell’Adria, compiono quasi l'ufficio di firma » (Pasquali).
Puglia introduce un riferimento a un luogo legato all’infanzia di Orazio.
Treatment

v. 9 adultero: cfr. nota a 1, 25, 9. 34


v. 10 sic Veneri: locuzione abituale per invitare alla rassegnazione di fronte ‘al
W. JAEGER, « Hermes » 48, 1913, 442 sgg. (= Scripta minora I, 49 sgg.); PASQUALI,
volere degli dei, usata qui forse non senza una punta di ironia: cfr. Vere. Aen. 2,
597 sgg.; L.A. Mackay, « Class. Rev. » 43, 1929, 10 sgg.; A.D. Nock, Conwersion,
428 dis aliter visum; 3, 1 sg. visum superis. Forse l’espressione, simile a sic placet, con-
Oxford 1933, 7 sgg.; A. OLTRAMARE, « Rev. étud. lat. » 13, 1935, 305; A. DELATTE,
tiene anche un’eco del linguaggio del Senato romano.
« Ant. class. » 4, 1935, 293 sgg.; FRAENKEL, 253 sgg.; LA PENNA 1963, 49 sgo.; NK. Zume
v. 11 subaenea: uso inconsueto della metafora del giogo, comune nel linguaggio WALT, « Trans. Amer. Philol. Ass. » 104, 1974, 435 sgg.; R. MuTH, « Grazer Beitr. »
della poesia erotica per indicare il vincolo amoroso, il coniugium: cfr. Tarocr. 12, 4, 1975, 171 sgg.; E. FreDERICKsMEYER, « Trans. Amer. Philol. Ass.» 106, 1976, 155
15 dAXfXovc d'epiincav tom tiyw; Prop. 3, 25, 8 tu bene conveniens non sinis ire iugum. sgg.; B. NÉMETH, « Acta Class. Debrecen. » 21, 1985, 101 sgg.
Ma qui l’immagine si riferisce all'amore non corrisposto, e il rovesciamento dell’uso
comune suggerisce che la passione d’amore è di per sé un giogo. Quest'ode, una delle pochissime prive di destinatario, si svolge come una medi-
tazione rivolta dal poeta a se stesso. Essa presenta una struttura tripartita, nella quale
v. 12 saevo...ioco: il gioco dell'amore è crudele, perché predisposto da una dea i vv. 1-5a e i vv. 12b-16, contenenti la riflessione gnomica vera e propria, racchiu-
crudele: cfr. 1, 19, 1 mater saeva Cupidinum. dono l'episodio del fulmine a ciel sereno, introdotto come exemplum (vv. 5b-12a).
v. 13 melior...Venus: cfr. nota a 1, 27, 14. Melior può indicare un amore social Non vi sono indizi cronologici: chi, come Heinze, assegna un peso reale alla pre
mente più degno rispetto a quello per una donna di condizione libertina, ritenuto sunta conversione testimoniata dall’ode (cfr. sotto) ritiene quest’ultima anteriore alle
disdicevole in rapporto all’onorabilità sociale. Ma può indicare semplicemente un odi più ‘religiose’, come 1, 2. Ma 1, 34 potrebbe essere contemporanea alla suc-
amore felice, corrisposto. cessiva 1, 35, alla quale sembra fare da introduzione: vi è infatti una corrispondenza
fra i vv. 12 sgg. della nostra ode e la prima strofe della successiva, e tale parallelismo
v. 14 grata...compede: l’ossimoto, che ritorna in 4, 11, 23, con uso del singolare
porta a concludere che Giove, soggetto di 1, 34, 12 sgg., e la Fortuna, soggetto del
poetico, esprime il concetto, molto comune nel linguaggio erotico dell’elegia, della secondo passo, sono identificati, secondo una assimilazione forse di origine stoica
schiavitù d’amore (servitium amoris): cfr. Tra. 1, 1, 55; 1, 6, 37 sg.; 2, 3, 79 sg.; 2,4, (Jaeger, Pasquali) che trovava terreno favorevole nel clima culturale della restaura-
1 sgg.; Prop. 1, 5, 19 sg.; 1, 12, 18; Ov. am. 1, 2, 17 sg. zione augustea (La Penna). È di questi mutamenti culturali, non sempre consapevoli,
Myrtale: a differenza :dei nomi letterari finora citati, questo nome greco di liberta di questo diffondersi di un’interpretazione provvidenzialistica della storia in cui l’ele-
appartiene alla vita reale, come dimostra la sua frequenza in iscrizioni, anche se mento irrazionale della riyn venisse ridotto e assorbito entro il sistema (attraverso
614 . - Orazio Odi I 34, 1-11 615

l'equazione Zeus-Tyche) che quest’'ode è testimonianza, piuttosto che di una con- uso del plurale poetico) per influsso dell’epicureismo, reimmettendosi in essa al punto
versione religiosa di Orazio e di un suo distacco dall’epicureismo, come vorrebbe in cui l’abbandonò deviando. Ma, benché la lezione tràdita dia un senso plausibile,
una interpretazione molto comune a partire da Porfirione (cfr. Nock, Oltramare, alcuni accolgono l'emendamento relectos, per cui iterare cursus relectos significherebbe
Fredericksmeyer). Nell’ode infatti Orazio sembra sconfessare le convinzioni epicuree, « ripercorrere il cammino », con relectos (« ripercorso ») pleonastico rispetto a iterare.
che aveva sostenuto in passato (cfr. per esempio sat. 1, 5, 101 sgg.), sull’indifferenza La locuzione, cioè, indicherebbe un percorso all’indietro e risulterebbe pressoché
degli dei rispetto alle vicende umane. Ma dal credo epicureo egli non si staccò mai tautologica rispetto a retrorsum / vela dare, mentre con relictos si distinguono più oppor-
veramente, come dimostrano le epistole; ciò non significa però che 1, 34 sia un’ul- tunamente due momenti: un percorso all’indietro sulla via dell’errore (retrorsum vela
teriore affermazione di fede epicurea e un tentativo di ridicolizzare le idee stoiche dare), poi, una volta ripresa la via della verità, una prosecuzione in avanti su di essa
sulla divinità (Mackay), e nemmeno che la ‘conversione’ sia una trovata letteraria, (relictos iterare cursus).
o che essa rappresenti metaforicamente un mutamento di soggetto poetico (Zumwalt),
v. 5 namque: formula introduttiva di un exemplum (cfr. nota a 1, 22, 9). Orazio, nel
o che testimonii l’intenzione di affidarsi alla scienza augurale in un momento di gravi rispondere a Lucrezio (cfr. nota introduttiva), adopera di proposito uno dei nessi
rivolgimenti politici, dei quali il fulmine sarebbe simbolo (Delatte). Ancor meno che più frequentemente nel de rerum natura segnano i gradi dell’argomentazione e
verosimile è che l’ode sia una risposta finemente ironica ad Augusto che sollecitava l'inserimento degli exempla.
il poeta a un maggior impegno religioso (Muth). Interessato solo all’etica epicurea, ma
privo di attitudine teoretica, Orazio può aver provato, di fronte a un fenomeno natu- Diespiter: forma arcaica per Iuppiter, corrispondente a Zebg memie, per la quale cfr.
rale di cui gli epicurei negavano la possibilità (cfr. EPIicur. ad Pythocl. 100 sgg.; Lucr. anche 3, 2, 29: altro tratto di solennità.
v. 7 plerumque: in collocazione di rilievo, a sottolineare il contrasto con l’eccezio-
‘ ‘ «Ta è . 3 *
6, 400 sgg.), cioè il verificarsi di un fulmine a ciel sereno, un’impressione tale da far
nalità del fenomeno che si è verificato; proviene pure dal linguaggio dell’argomenta-
x n) . . . » . ’
vacillare la sua adesione, peraltro non profonda, all’epicureismo (Fraenkel). L’ode
nasce da uno stato d’animo momentaneo più che da una riflessione meditata o da zione didascalica, specialmente lucreziana.
un sentimento di religiosità: nasce dal turbamento di fronte al manifestarsi di forze
vv. 9-12 quo —concutitur: la strofe contiene una reminiscenza esiodea, non la sola
incomprensibili e irrazionali che l’uomo non è capace di controllare. Altrove, come
presente in quest'ode (cfr. nota ai vv. 12 sg.): cfr. theog. 839 sgg. axAmpòv d'éspév-
in 1, 9ein 1, 11, di fronte a tali forze Orazio invita a non porsi troppe domande e
Toe xal BBoiuov, dupi Sì vata/ cuepdaAtov xovdBnoe rai obpavòdg. adpdc Brrepie/ mÉvrog
a godere del presente; qui, per una volta, egli ha sentito realmente l’esigenza di una t’Queavod te foal xod tiprapa yalme...
divinità suprema che regoli le vicende apparentemente irrazionali del mondo.
v. 9 bruta: l’attributo si riferisce alla pesantezza e all’immobilità della terra (cfr.
Metro: strofe alcaica. 28, 23 L. brutum antiqui gravem dicebant), e si contrappone all’epiteto
Pau. Frsr.
vaga, tradizionalmente adoperato per i fiumi (cfr. Prop. 2, 19, 30; 3, 11, 51).
vv. 2-3 insanientis — erro: il nesso sapientiae consultus è coniato su iuris consultus, con
sostituzione del genitivo sapientiae a iuris (cfr. già Cic, Phil. 9, 10 nec. . .magis iuris con- v. 10 Styx: la tradizione poetica, fin da Omero, poneva nell’oltretomba questo corso

addii
d’acqua geograficamente collocato nell’Arcadia.

Annia
sultus quam iustitiae fuit), e tende a riprodurre un tecnicismo, dando all’espressione
un tono di seria solennità dietro cui traspare l’ironia di questa autodefinizione. Ac- invisi...Taenari: promontorio della Laconia all'estremo Sud del Peloponneso (lo
centuata dall’ossimoro insanientis sapientiae e dal contrasto (quasi un altro ossimoro) odierno capo Matapan), in cui una tradizione collocava l’ingresso dell’oltretomba:
fra consultus ed erro, tale ironia sembra escludere immediatamente la serietà della cfr. Pinp. Pyth. 4, 43 sg.; Vero. georg. 4, 465. Per invisus riferito alla morte e a ciò
‘ conversione ’. che le è connesso cfr. 2, 14, 23 invisas cupressos; Vero. Aen. 8, 244 sg. regna. . .pal-
vv. 4-5 vela — relictos: le espressioni tratte dal linguaggio della navigazione rientrano lida, dis invisa. L'idea è la medesima espressa da Hom. Il. 8, 368 otuyspod *Atdao;
nella metafora marinara del ravvedimento come inversione di rotta. Iterare cursus
Hes. theog. 775 sg. otuyegì Fedc ddavaroi, / Serv) Ende.
significherà però non «rifare all’indietro il cammino già fatto» (Porfirione), bensì v. 11 Atlanteus...finis: espressione magniloquente, modellata su esempi greci (cfr.
«ricominciare da capo, dal punto in cui era cominciata la deviazione » (per iterare Eur. Hipp. 3 sg. Sco te Iévrov rspubvwv 7 ArAavtidiv/ valovam elow; 746 sg. ceuvòv

id
nel senso di « riprendere, continuare » cfr. Thes. l. Lat. s.v., 549, 81 sgg.). Orazio téppova xupéiv/ odpavoli, tiv "Athag Eye; 1053 rrépav ye Ibvrov xal TOY PA thavtioÒv;
deve dunque riprendere la rotta giusta, che era stata abbandonata (cursus relictos, con Her. 234 ’Ardavtixtiv répav), per indicare non la catena montuosa fra l'Atlantico e le
REA CIONI:
616 Orazio Odi I 34, 12 — 35, 1 617

Sirti, ma la sua parte occidentale, che a volte viene confusa con le colonne d’Ercole: rava dalla Gallia nel 27 (cfr. Cass. Dio. 53, 22), e che non fu poi condotta a termine
cfr. Vero. Aen. 4, 480 sgg. Oceani finem iuxta solemque cadentem
| ultimus Aethiopum a causa della rivolta dei Cantabri (cfr. Cass. Dio. 53, 25), e alla campagna di Elio
locus est, ubi maximus Atlas | axem umero torquet. Secondo un’altra interpretazione, qui Gallo in Arabia (cfr. nota introduttiva a 1, 29). Ma c’è anche chi pensa a una cro-
il riferimento è all'Oceano Atlantico come confine del mondo; ma i paralleli euri nologia più alta, sulla base di particolarità metriche (Bolton), e in considerazione del
pidei citati indicano tutti le colonne d’Ercole, e inoltre l’idea dello scuotimento, fatto che la paura delle guerre civili qui espressa mal si adatterebbe al clima post-
espressa da concutitur (con forte rilievo all’inizio del verso e in fine di periodo), me- aziaco (Nisbet-Hubbard): l’ode risalirebbe allora 0, secondo un’ipotesi improbabile,
glio si addice a una zona montuosa. all'immediata vigilia di Azio (Bolton) oppure al 35 a.C. In tal caso, il progetto di
vv. 12-13 ima— deus: altra reminiscenza esiodea: cfr. op. 6 sg. feta d'apltyov uvbder campagna sarebbe quello del 34 a.C. (cfr. Cass. Dio. 49, 38, 2), mentre
britannica
xai kdnAov deter /... Zeùc dliBpeutrnc. Il passo esiodeo, riferito a Zeus, contiene un il riferimento all’Arabia presupporrebbe l’invio di 2000 uomini ad Antonio in Oriente
tobos che fu poi spesso adottato in rapporto alla Fortuna: cfr. EnN. ann. 312 Sk. da parte di Ottaviano, spia di un ambizioso piano di conquista (cfr. PLur. Ant. 35,
mortalem summum Fortuna repente / reddidit | summo regno famul | ut | optimus esset; VARR. 4; 53, 2; Cass. Dio. 49, 33, 4); ma quest’ultima ipotesi è forzata, poiché bisogne-
Men, 1 Ast. ita sublimis speribus / iactato homines, at wvolitantis altos nitens trudito. Sul rebbe ammettere che l’Arabia stia a indicare una zona molto più vasta, cancellando
l’identificazione fra Giove e la Fortuna, presupposta da questi versi, cfr. nota intro- la specificità del riferimento.
duttiva. Forse non è casuale l’uso del termine generico deus, che, fra Diespiter del L'ode è indirizzata alla Fortuna, nella duplice forma di un inno e di una pre-
v. 5 e la Fortuna del v. 15, indica la loro identità. L’assimilazione di Giove alla Tyche ghiera (Pasquali, Fraenkel). Corrispondentemente a queste due componenti, nella
era particolarmente cara agli Stoici: cfr. CLEANTA. fr. 2 Powell. struttura si individuano, dopo una strofe che contiene l’apostrofe alla divinità, tre
gruppi di tre strofe ciascuno, i primi due corrispondenti all’inno, il terzo alla pre
v. 14 apicem: propriamente il copricapo a punta del sacerdote di Giove, flamen ghiera. All’interno della struttura si possono cogliere altre corrispondenze, come il
Dialis (cfr. Ger. 10, 15, 9; Liv. 6, 41, 9; Dion. Han. ant. Rom. 3, 47, 3); ma qui in- legame fra il gruppo strofico dei vv. 5-16 e quello dei vv. 17-28, sottolineato dal-
dica un copricapo regale in genere e, per metonimia, il potere regale. In 3, 31, 20 il
l’anafora di te, o il contrasto fra il realismo della quinta strofe e l’allegorismo della
termine indica la tiara dei sovrani orientali; per questo c’è chi ha visto nel nostro
quinta (Péschl).
passo un’allusione a Giuba II di Numidia, chi a Fraate o a Tiridate, re dei Parti in La divinità cui è dedicata l’ode non è semplicemente una delle due Fortune
lotta fra loro, e c'è anche chi vi ha colto un’allusione alla battaglia di Azio in cui fu
oggetto di culto ad Anzio, come lascerebbe credere l’apostrofe iniziale (cfr. De Co-
sconfitto il potere monarchico orientale. ster), né la protettrice di Augusto (cfr. ApPIan. civ. 5, 24, 97): è la Tbyn che la lirica
v. 15 stridore acuto: dall’età ellenistica in poi, la Fortuna è rappresentata come greca (Pinp. OI. 12), la tragedia (cfr. note di commento), la storiografia ellenistica e
alata, in modo da poter meglio spiegare la rapidità dei suoi mutamenti: cfr. anche la poesia latina stessa (Ennio: cfr. nota a 1, 34, 12 sg.) avevano presentato come do-
3, 29, 53. Stridor si riferisce quindi probabilmente al rumore prodotto dal battere minatrice delle vicende umane. Ma nello stesso tempo, al di là della tradizione lette
delle ali (cfr. Verc. Aen. 1, 397 stridentibus alis), anche se alcuni vi vedono un’indi- raria, è soprattutto alla storia di Roma, ai rivolgimenti rapidi e imprevisti che l’ave-
cazione del suono stridulo (acuto) emesso dalla dea, assimilata quasi a un uccello. vano segnata che Orazio pensa (0, secondo altri, in particolare, alla Fortuna della
casa dei Cesari: Nadeau); e infine, secondo un orientamento percepibile nella cultura
augustea, questa Fortuna, vendicatrice e giustiziera, rinvia a una concezione stoicheg-
35 giante del provvidenzialismo storico (Pasquali).
W. Jaeger, « Hermes » 48, 1913, 442 sgg.; PasguaLi, 588 sgg.; R. De Coster, Metro: strofe alcaica.
«Ant. class. » 19, 1950, 65 sgg.; FRAENKEL, 251 sgg.; PòscHI, 52 sgg.; T.D.P. BoLToN,
« Class. Quart. » 17, 1967, 451 sgg.; H. Jacosson, « Class. Philol. » 63, 1968, 106
sgg.; C. CoLrarp, « Latomus » 29, 1970, 122 sgg.; Y. NaDpEAU, « Maia » 38, 1986, v. 1 0- Antium: apostrofe solenne alla divinità, nello stile dell'inno, con il voca»
223 seg. tivo preceduto da o e l’indicazione del nome della dea mediante una perifrasi in cui
si fa riferimento a un luogo di culto a lei caro (per gratum cfr. 1, 30, 2 dilectam
La datazione più comunemente indicata per quest’ode è il 27-26 a.C. circa, poi Cypron). Ad Anzio, antica città dei Volsci sul mar Tirreno, al tempo di Orazio luogo
ché vi si trovano riferimenti alla spedizione contro i Britanni, che Augusto prepa- di villeggiatura, aveva sede il culto di due Fortune, una con il capo coperto da un
618 © Orazio. Odi I 35, 2-17 619

elmo, l’altra con un diadema secondo le testimonianze numismatiche. Sulle Fortune eùrdoet vadc, xal iv dépi pavelong sdruyei Yewpyéc. Il fatto, in particolare, che la Fortuna
di Anzio cfr. Suer. Calig. 57; Martiat. 5, 1, 3; Macr. Sat. 1, 23, 13. sia chiamata domina aequoris potrebbe contenere un'allusione all’associazione del culto
x
della divinità con il mare, attestata da rappresentazioni in moneta della dea con un
v. 2 praesens: la costruzione con gli infiniti, tollere e vertere, è esemplata su quella
timone o con una prua.
di potens, ma ciò non significa che, come pensano alcuni esegeti, qui praesens stia sen
z'altro per potens. L’idea del ‘potere, essere in grado’ è sottintesa, ma il concetto vv. 7-8 Bithyna — carina: cfr. nota a 1, 1, 13 e a 1, 14, 11. Il mare Carpazio, dal-
dominante è quello religioso dell’epifania, come già in Ter. Phorm. 345: cfr. sat. 2, l’isola di Carpato, fra Rodi e Creta, sta qui per un qualsiasi mare pericoloso, come
2, 41; 2, 3, 68; epist. 2, 1, 134; 3,5, 2. il mare Myrtoum di 1, 1, 13.
x v. 9 te- Scythae: dopo l'egemonia della Fortuna nel campo dei rapporti sociali,
vv. 24 imo-—triumphos: è il motivo topico della repentinità e violenza dei muta-
Orazio passa al suo potere nella sfera politica, cominciando dai nemici esterni, posti
menti della Fortuna: cfr. l'inno alla Tyche = lyr. adesp. 34,4 sgg. Powell rà pèv
ai confini dell’impero, e finendo con le guerre civili. I Daci sono detti asperi o per-
Ulupaj xod ceuvÀ.. UTipPIXae KATÀk yllv.. TÀ SÈ qadda xaù Tare moXdduic retepolc elc
ché popolazioni selvagge (abitavano fra il Danubio e i Carpazi) 0, più probabilmente,
fog dep. Ma il tema convenzionale si carica di allusioni ad esempi offerti dalla
perché difficili da assoggettare (furono conquistati soltanto da Traiano). Gli Sciti,
storia di Roma: da un lato a Servio Tullio, il figlio di una schiava che divenne re
popoli transdanubiani abitanti presso il Mar Nero (cfr. 1, 19, 10), hanno l’epiteto
di Roma, fondatore di numerosi culti della Fortuna (l’elenco in Prur. fort. Rom.
profugi, come in 4, 14, 42 profugus Scythes, con riferimento alla tattica di fuggire saet-
323a), dall’altro a Lucio Emilio Paolo, che perdette i due figli proprio durante la cele
tando (cfr. PLar. Lach. 191a; HeroDpoOT. 4, 126 sg.), come già spiegava Porfirione; non
brazione del trionfo riportato su :Perse a Pidna (cfr. Liv. 45, 40, 6).
al loro nomadismo, che pure Orazio ricorda in 3, 24, 10 (la notizia in Heropor. 7,
v. 3 mortale corpus: l’espressione sottolinea il carattere effimero e transeunte del- 10, 2). A favore della prima interpretazione sta il fatto che Orazio sembra voler carat-
Puomo in mano alle forze divine. Però vi si può cogliere anche un riferimento alla terizzare queste popolazioni in quanto nemiche esterne di Roma.
condizione servile di Servio Tullio, poiché corpus è spesso adoperato per indicare v. 10 urbes— ferox: da un lato il mondo intero, indicato con la formula ecumenica
un uomo non libero (cfr. Liv. 3, 56, 8; 5, 22, 1; e nelle iscrizioni greche oéua dv
urbesque gentesque, dall’altro il Lazio bellicoso, centro del mondo.
Spetov e odiua yuvaxetov significano ‘schiavo’ e ‘schiava ’); tanto più che Orazio
sembra essersi qui ricordato di un passo già citato di Ennio (fr. 312 Sk.: cfr. nota vv. 13-14 iniurioso — columnam: tutti temono che la Fortuna dia un calcio violento
a 1, 34, 12 sg.). alla colonna su cui si regge la loro potenza. L'immagine della colonna come meta-
fora del potere costituisce probabilmente una citazione enniana: cfr. ann. 343 Sk.
v. 5 te: ripreso anaforicamente all’inizio della strofe successiva, il pronome di se- regni versatum summam venere columnam, anche se l’immagine del calcio con cui la
conda persona, tipico dello stile dell’inno (cfr. nota a 1, 10, 5), contrassegna la parte divinità può abbattere da un momento all’altro la prosperità proviene dalla tragedia
propriamente innica dell'ode, in particolare la sezione aretalogica. greca: cfr., in particolare, AescH. Pers. 163 sg.

v. 6 ruris — aequoris: l’interpretazione di ruris come dipendente da dominam, soste- vv. 14-16 neu—frangat: i rivolgimenti politici interni sono indicati mediante la de-
nuta da alcuni commentatori (da ultimi, Nisbet-Hubbard), presupporrebbe un’audace scrizione realistica di una sommossa popolare. L'emendamento di Bentley fremens è
costruzione con iperbato e un’ambiguità sintattica estranee allo stile oraziano delle suggestivo (cfr. Vere. Aen. 11, 453 arma...poscunt, fremit arma iuventus), ma frequens
odi; inoltre una sintassi così elaborata verrebbe a spezzare la linearità dello schema riferito a populus va benissimo (cfr. Cic. Phil. 14, 5 a quo populus Romanus frequens. . .
della preghiera, che qui appare riprodotto fedelmente (cfr. Fraenkel). È preferibile salutem D. Bruti una voce depoposcit). Per l’espressione ad arma come grido di rivolta
considerare ruris genitivo oggettivo di colonus. Non si tratta di un inutile pleonasmo, cfr. Cars. civ. 1, 69, 4; Liv. 6, 28, 3 (e, per la ripetizione, Vero. Aen. 2, 668; 7, 460).

dita
come ritengono i sostenitori dell’altra interpretazione: si noti, al contrario, il paral- v. 17 anteit — Necessitas: comincia la descrizione del corteggio della Fortuna, alla
lelismo fra il colonus e il mercante dei vv. 7 sg., fra ruris ed aequoris, che da un lato quale si sovrappone una rappresentazione tratta dalla vita politica romana: il primo
mette a fuoco il contrasto topico fra agricoltura e commercio (cfr. note a 1, 1, 14 componente tale corteggio, la crudele Necessità (cfr. 3, 24, 6 dira Necessitas; si ricordi
sgg.), dall'altro svolge il motivo tradizionale del dominio della Fortuna in terra e in che nell’inno greco alla Tiyn su ricordato 1’ ’Avéyn è identificata con la Toyn stessa),

i
mare: cfr. Pivp. OI. 12, 3 sgg. riv ydp év révro xufepviiviat Poal / vec, Èv YÉpom TE ha gli attributi del littore che precede il magistrato recando le insegne del potere (cfr.
Aaupypoi éAsuor / xdyopai Poviapbpot; Dio. Carys. 63, 2 tiync yolv èv daAdemy yevopéewe Cic. leg. agr. 2, 93; rep. 2, 31; Liv. 24, 44, 10).

AMO
620 Orazio Odi I 35, 18-35 621

v. 18 clavos trabalis: la Necessità reca con sé i chiodi da trave, in quanto costrut- zata, specialmente per l'associazione di comitem abnegat al potente in un’allocuzione
trice dell’edificio del destino umano: cfr. 3, 24, 5 sgg. si figit adamantinos |. . .dira Ne- rivolta alla Fortuna. Non convince la proposta esegetica di quanti spiegano inimica
cessitas | clavos. I chiodi sono un simbolo di fissità incontrovertibile (cfr. Pinp. Pyth. 4, in senso passivo (« avversata »), o quella di chi crede che in realtà la Fides abban-
71; Arsca. Suppl. 440 sg.), e, in particolare, il clavus trabalis era espressione prover- doni la casa assieme alla Fortuna (il che mal si accorderebbe con l’aggettivo rara, rife-
biale per indicare qualcosa che si fissa una volta per tutte, come apprendiamo da rito a Fides, e con tutta la strofe successiva, che caratterizza negativamente, per con.
Cic. Verr. 5, 53 ut hoc beneficium, quemadmodum dicitur, trabali clavo figeret (cfr. anche trasto, i falsi amici che si dileguano di fronte al rovescio di fortuna). L'emendamento
PeTRON. 75, 7). Secondo l’interpretazione di Porfirione, in passato sostenuta spesso, sed eliminerebbe ogni difficoltà; ma la lezione tràdita può forse essere mantenuta.
e recentemente ripresa da Péschl, i chiodi sono strumenti di tortura, e la loro men- Può darsi che Orazio intendesse dire che la Fides non abbandona neppure nella sorte
zione alluderebbe al ruolo di carnefice svolto dalla Necessitas nel quadro di una con- avversa, ma che il riferimento del discorso alla Fortuna anziché alla sua vittima lo
cezione della Fortuna come giustiziera. abbia tradito, invischiandolo in difficoltà non percepite. O forse l’incongruenza è
stata generata dalla sovrapposizione, che viene a crearsi nel testo, della Fortuna fami
vv. 18-20 cuneos— plumbum: altri strumenti della tecnica edificatoria: i tasselli
liare a quella tradizionale. L'immagine infatti della Fortuna che abbandona la casa
usati per connettere blocchi di pietra, la grappa per tenere unite le superfici di pie-
del potente e lo accompagna, dopo aver mutato la veste in abiti di lutto, nella nuova
tra tagliata, il piombo liquefatto, usato per riempire e saldare gli interstizi (su tale
sorte sembra presupporre la concezione romana di una Fortuna assimilata al Genio
tecnica di costruzione cfr. Virruv. 2, 8, 4). Ma potrebbero voler indicare, secondo
personale e familiare, che accompagna l’uomo per tutta la vita (cfr. ILS 2013; 3656;
un’interpretazione già ricordata, strumenti di tortura e di esecuzione: gli opfveg (cioè
3657).
i cunei) appaiono tali in ArscH. Prom. 43a (che Cic. Tusc. 2, 23 traduce cuneos) e in
PLuT. an vitiositas ad infelicitatem sufficiat 498d. Altrettanto dicasi di uncus (cfr. Cic. vv. 25-27 at-— amici: al contrario della rara Fides, personificazione dei pochi amici
Rab. perd. 16 verbera, uncus, crucis terror). Inoltre « l'epiteto di severus... conviene sol veramente fedeli, il volgo infido, la meretrice spergiura, i falsi amici si dissolvono,
tanto al raffo, con cui il boia trascina per le vie il cadavere del delinquente giusti. dopo aver bevuto con il potente la tazza fino in fondo. Per questo luogo comune
ziato » (Pasquali). cfr. THrocn, 643 sg.; Pivp. Isthm. 2, 11.
v. 29 serves: ha inizio la preghiera, rivolta alla Fortuna in quanto salvatrice: è la
v. 21 Spes...Fides: la presenza di Spes e Fides dà un ulteriore tratto di romanità
cotea Tiya di Pinp. Ol. 12, 2, la Tiyn cwripios del Monumentum Ancyranum (cfr.
a questo corteggio, e mostra che la Tùyn ellenistica ha definitivamente assunto un
anche ILS 3656 Fortunae conservatrici).
volto romano. Spes e Fides sono associate alla Fortuna in un culto italico attestato
in CIL 10, 3775. Per l’unione di Spes e Fortuna cfr. ILS 3687; 3688; carm. epigr. 409, vv. 29-30 ultimos » Britannos: riferimento a una spedizione in Britannia che Augusto
8. Un altare dedicato alla Tiyn EbeAniwc sorgeva nel Vicus Longus (cfr. PLuT. fort. Rom. si accinge a compiere (iturum: cfr. Cass. Dio. 53, 22 dig. ..Èc tiv Bpertadiay opa
323a; quaest. Rom. 281e). Per la connessione di Fides e Fortuna cfr. carm. epigr. 2065n. tedoov); probabilmente si tratta del progetto del 27-26 a.C. (cfr. nota introduttiva).
Quello dei Britanni come popolazione dei confini estremi del mondo è un topos del-
v. 22 velata panno: alla Fides si rendevano sacrifici con le mani coperte: cfr. Liv.
l’etnografia antica, che si riflette anche in 4, 14, 47 sg.; Carutt. 11, 11 sg.; 29, 4;
1, 21, 4; Serv, Aen. 1, 292.
Verc. ecl. 1, 66.
v. 22 nec — abnegat: il senso richiesto, risultante anche dalla strofe successiva, è che vv. 30-32 et-rubro: allusione a una campagna in Arabia che sarebbe in prepara-
la Fides non abbandona chi è colpito dalla sfortuna. Se si riferisce comitem alla For- zione (cfr. nota introduttiva). Per la metafora dello sciame (examen) riferita a un eser-
tuna e si intende « non ti rifiuta come compagna », il senso risulta essere esattamente cito cfr. ArscH. Pers. 126 sgg.; Varr. rust. 3, 16, 30; VERG. georg. 4, 21 sg. Con
l'opposto, dato che la Fortuna, divenuta nemica, abbandona il potente sventurato Oceano rubro si indica il mare Erythraeum, cioè il Mar Rosso e il Golfo Persico.
(linquis). Per ovviare a questa aporia, c'è chi riferisce comitem non alla Fortuna ma
vv. 34-35 fratrum— aetas: allusione alle guerre civili, con toni che ricordano l’epodo

ul
alla Fides (« rifiuta se stessa come compagna, rifiuta il ruolo di compagna ») e intende
7 (v. 17 sgg. in particolare) e l’epodo 16 (cfr. dura aetas ed epod. 16, 9 impia . . .aetas),

i
il tutto nel senso che la Fides non si rifiuta come compagna al potente, sia che questi

HAMMAM ind bi
ma anche l’ode 1, 2.
rimanga nella sua casa dopo il rovescio, sia che lasci la sua casa assieme alla Fortuna,
o perché condannato all'esilio o perché costretto da sopravvenuta indigenza a ritirarsi v. 35 nefasti: genitivo, dipendente da quid, dell’aggettivo nefastus, usato per la prima
in un’abitazione più modesta. Questa interpretazione sembra tuttavia alquanto for- volta da Orazio come sostantivo, forse in sostituzione dell’indeclinabile nefas.
622 Orazio Odi I 35, 37 — 36, 11 623

vv. 37-38 quibus aris: sulla violazione di altari durante le guerre civili cfr. APPIAN. v..1 fidibus: la lira veniva a volte suonata nelle cerimonie sacre al posto del flauto
civ. 4, 62, 268; 4, 64, 274; 4, 73, 311; 5, 24, 97. (cfr. PorpHYRION. ad'l:). Cicerone ne riferisce l’uso ai soli lectisternia (cfr. Cic. Tusc.
4, 4), ma forse, sull'esempio greco, la lira era adoperata preferibilmente durante i
v. 39 diffingas: parola usata solo in Orazio, qui e in 3, 29, 48, con il significato di
sacrifici privati (cfr. PrauT. Epid. 500 sg.).
‘ foggiare di nuovo’.
v. 4 Hesperia. ..ultima: la Spagna (altrove l’Italia: cfr. nota a 1, 28, 26), ulterior-
vv. 39-40 in- Arabas: i Massageti, tribù degli Sciti ad Est del Mar Caspio (cfr. Pun.
mente determinata mediante l’epiteto ultima, che suggerisce l’idea di un estremo con-
nat. hist. 6, 50), sono qui ricordati come esempio di popolazione estremamente lon-
fine del mondo (non si dimentichi che presso la Spagna gli antichi collocavano le
tana. ll concetto qui espresso è quello topico secondo cui le guerre vanno combat:
colonne di Ercole: cfr. nota a 1, 34, 11), piuttosto che essere un banale sinonimo
tute contro i nemici esterni e non contro i propri concittadini: cfr. nota a 1, 2, 22.
di Ulterior.
v. 6 dividit oscula: per i baci scambiati in occasione del ritorno di un amico da un
viaggio lontano cfr. CaTuLL. 9, 6 sgg. (visam te incolumem audiamque Hiberum / narran-
36 tem loca facta nationes, | ut mos est tuus, adplicansque collum / iucundum os oculosque sua-
viabor), che ha più di un punto di contatto con il nostro contesto. Dividit va unito
propriamente a caris sodalibus, ma per zeugma si riferisce anche a Lamiae.
LA Penna 1968, 130; Carrns, 195 sgg.
v., 7 Lamiae: cfr. nota introduttiva.
L'’ode non è formalmente dedicata a qualcuno (si presuppone che il poeta si
v. 8 non rege: l’espressione, in qualunque modo la si interpreti, vuol significare
rivolga ai partecipanti a un convito in onore di Numida), ma ha due personaggi che
che Numida e Lamia sono stati compagni d’infanzia. Secondo alcuni, non alio rege
in certo senso possono essere considerati destinatari: Numida, il cui nome completo
equivale a eodem rege, modo scherzoso di indicare il precettore; altri colgono un rife-
è Pomponius Numida secondo Porfirione, Plotius Numida secondo alcuni mano-
rimento a certi giochi infantili in cui il conduttore o il vincitore veniva chiamato rex
scritti dello ps.-Acrone, un personaggio del quale non sappiamo niente, e Lamia, da
(epist. 1, 1, 59; cfr. HeropoT. 1, 114; PLaT. Theaet. 146a; ProcoP. anecd. 14, 14). Se-
identificare probabilmente con il futuro console del 3 d.C., o con il fratello di questi,
condo altri, a partire da Porfirione, rex è Lamia stesso, l’idolo dell'infanzia di Nu-
della cui morte Orazio parla in epist. 1, 14 (cfr. nota introduttiva a 1, 26).
mida, il coetaneo prediletto.
Sebbene nel componimento non si faccia esplicitamente cenno di vicende mili-
tari di Numida, si pensa comunemente che il ritorno dalla Spagna significhi il ritorno puertiae: unico esempio letterario di sincope della parola pueritia, un barbarismus
dalla spedizione cantabrica di Augusto: saremmo dunque nel 24 a.C. secondo Carisio (GLK 1, 266, 6 = Barwick 351, 1).
Nell’ode si fondono motivi tradizionali: la cornice simposiaca, il tema della gioia
v. 9 mutatae » togae: altro modo di indicare l’essere coetanei dei due amici, i quali
per il ritorno di un amico (cfr. Caruti. 9), la situazione poetica della cena adventicia
giunsero insieme all’età di 15 anni, in cui la toga praetexta, listata di porpora, veniva
in onore di qualcuno che è tornato, particolarmente diffusa nella commedia (cfr.
cambiata con la virilis, tutta bianca.
Praut. Bacch. 94; 186 sg.; Curc. 561 sg.; Epid. 7 sg.; Most. 1004 sgg. etc.), il motivo
dei preparativi per una cena (cfr, Praur. Pseud. 162 sgg.; CatuLL. 13, 3 sgg.). v. 10 Cressa= nota cioè « con un segno di creta » (dove Cressa è femminile di Cres,
La struttura è bipartita: nei vv. 1-9 si annuncia il ritorno di Numida, si descrive « Cretese », per una falsa etimologia che connetteva creta a Creta: cfr. Isin. orig. 16, 1, 6).
la gioia di Lamia e si annunciano i festeggiamenti, nei vv. 10-20 è tutto un succedersi L’uso di distinguere i giorni felici da quelli infelici con un segno bianco o nero era un
di esortazioni all’allegria, in « una struttura di movimento continuo » che fa « sen- modo primitivo di diversificare i giorni del calendario (cfr. CarutL. 68, 147; 107, 6),
tire lo slancio sfrenato » (La Penna). che gli antichi riconducevano a un’usanza dei Traci, quella di gettare dentro un’urna
una pietruzza bianca o nera al termine di ciascuna giornata, in modo da poter misu-
Metro: asclepiadeo quarto.
rare, alla fine, la felicità o infelicità di ciascuna persona (cfr. PLin. nat. hist. 7, 131).
vv. 1-3 et deos: si allude a un sacrificio di ringraziamento dovuto (cfr. 2, 7, 17; v. 11 promptae...amphorae: secondo alcuni dativo, secondo altri, più verosimil-
2, 17, 30 sg.; 3, 8, 6 sg.; 4, 2, 53 sg.; epist. 1, 3, 36). mente, genitivo, in parallelismo con pedum del verso successivo.

12 **
624 Orazio Odi I 36, 12 - 37 625

v. 12 Salium: i Salii erano sacerdoti di Marte, custodi degli scudi sacri (ancilia), così Quest'ode, alla quale la collocazione alla fine del libro, prima del commiato,
chiamati da salitare (cfr. Varr. ling. 5, 85) oppure a saliendo et saltando (cfr. Fest. assegna particolare rilievo, è il celebre carme conviviale composto alla notizia della
438, 27 sgg. L.), a causa delle loro danze rituali (cfr. Liv. 1, 20, 4; Ov. fast. 3, 387 morte della regina Cleopatra: siamo dunque in un periodo immediatamente succes-
seg.). Salium (cfr. anche 4, 1, 28) è secondo alcuni aggettivo (= Saliarem), come in sivo alla presa di Alessandria (1° agosto 30 a.C.), seguita dal suicidio di Antonio e
Festo (loc. cit.) Saliae virgines, secondo altri un genitivo (= Saliorum). di Cleopatra, con cui si chiudeva definitivamente la guerra aziaca. L’ode sarà stata
composta non appena giunse a Roma la notizia, portata da Marco Tullio Cicerone
vv. 13-14 neu— vincat: Damalis è un nome greco di liberta, molto diffuso nelle iscri-
jr.: si spiega alla luce di ciò il tono di tripudio con cui essa si apre.
zioni, qui riferito a un’etera beona (multi meri). L’esortazione a non battere Basso
A differenza di altri componimenti di contenuto civile, come 1, 2 e gli epodi 7
con una grande bevuta è stata variamente interpretata (per alcuni Damalis non deve
e 16, in quest’ode Orazio non parla come wvates alla comunità, ma si rivolge a un
più gareggiare con Basso, ma con Numida, suo nuovo amante; per altri dietro il nome
gruppo di compagni con i quali festeggia la fine del pericolo durante un convito, che
Damalis si nasconde un personaggio maschile), fino alla proposta di accettare la va-
tuttavia presenta analogie con le cerimonie pubbliche, e forse si intende concomi-
riante nec (anziché neu), da unire a multi meri, cioè « donna non dal molto bere ».
tante con una celebrazione ufficiale (oppure Orazio esprime il desiderio che Roma
L’interpretazione più plausibile è che neu vincat sia una specie di litote equivalente
provveda a una tale festa: Pasquali).
a decertet, cioè « gareggi da pari a pari » (cfr. decertare mero in 4, 1, 31). In altre parole,
Lo scoppio di esultanza con cui si dà voce all'immediata reazione alla notizia
tutti dovranno bere in gran quantità, sarà difficile che un pur grande bevitore abbia
trova appropriata espressione nell’impetuoso avvio che, secondo una tecnica tipica
la meglio su un ‘altro. In questo senso, non è necessario pensare a Basso come a un
mente oraziana, contiene una citazione di Alceo, dall'inizio dell’ode per la morte del
convitato austero; anzi, l'esortazione risulta più vivace se anche questi viene presen-
tiranno Mirsilo: fr. 332 LP. vv yo) usdio®mny xal riva rÈp Blay / avv, ere Sh
tato come un grande bevitore (e che Bassus sia un tipico nome fittizio per un beone
xirdave Miporroc (« ora bisogna che ognuno si ubriachi a tutta forza, poiché Mirsilo è
può essere confermato da Martiat. 6, 69 sg.). i
morto »), L’affinità dell'occasione da cui si sviluppa la poesia e l’identità del metro
v. 14 Threicia...amystide cioè « tracannando di seguito », da duvoti (« senza chiu- rendono più evidente l’imitazione, ma dal modello Orazio si allontana quasi subito,
dere le labbra »): cfr. AnAcR, fr. 356a, 1 seg. P.; Eur. Cyel. 417; Cart. fr. 178, 11 sg. e al motto alcaico subentrano nella prima strofe riferimenti specifici alla realtà delle
Pf. Per l'abitudine di bere smodatamente, propria dei Traci, cfr. nota a 1, 27, 2. istituzioni romane, mentre la seconda strofe è un esempio di citazione di se stesso,
poiché Orazio risponde alla domanda contenuta nell’epodo 9 (cfr. nota al v. 5 e a
vv, 15-16 rosae — lilium: riferimento alle ghirlande adoperate nei simposi (cfr. 1, 38,
v. 9 sg.). Inoltre, accanto al modello alcaico sembra potersi cogliere un influsso pin-
7 sg.; 2, 3, 13 sg.; 2, 7, 7 sg.; 2, 11, 14 sg. etc.). Si noti l’antitesi fra vivax e breve
darico (La Penna), nella sintassi complessa, nell’accumulo di periodi lunghi che si
nel v. 16. | i ì
agganciano audacemente mediante un dimostrativo o un relativo, nella ricchezza di
vv. 17-18 putres...oculos: occhi tanto languidi da apparire inebetiti, non per il proposizioni subordinate e participiali (cfr. l’analisi di Pasquali).
vino, come spiega Porfirione, ma per l’amore (cfr. Pers. 5, 58 in Venerem putris). Una sintassi poetica tanto elaborata complica la struttura dell’ode, difficile da
delineare perché gli stacchi fra un blocco e l’altro sono mascherati dai numerosi en-
v. 19 adultero: cfr. nota a 1, 25, 9.
jambements. Tuttavia si può parlare, grosso modo, di una struttura tripartita: vv. 1-
v. 20 ambitiosior nell’accezione originaria di qui ambit. Lascivis, riferito all’edera 12a (la liberazione rappresentata dalla morte di Cleopatra, i folli progetti di quest’ul-
‘lussureggiante’, è epiteto che contemporaneamente può essere riferito a Damali. tima), vv. 12b-2la (come Ottaviano fronteggiò il nemico, riportando la regina dai
suoi sogni alla realtà), vv. 21b--32 (il coraggio con cui Cleopatra affrontò la sconfitta
e la morte). La tripartizione, complicata da ulteriori rinvii interni simmetrici, corri
37 sponde a una divisione del contenuto in tre tematiche principali, sulle quali indu-
giano il primo e l’ultimo verso di ciascun gruppo strofico (I l’ubriachezza; II la follia;
PasquaLi, 38 sgg.; J. Gacf, « Mél. Ecole Frans. de Rome » 53, 1936, 67 sgg.; III il coraggio) e anche a una sorta di movimento scenico, per cui Ottaviano viene a
H.U. InstTINsky, « Hermes » 82, 1954, 124 sgg.; FRAENKEL, 158 sgg.; M.L. PALADINI, trovarsi al centro dell’ode, fra due gruppi di versi dedicati a Cleopatra, dall'uno al-
« Latomus » 17, 1958, 240 sgg.; CommacEr, 89 sgg.; La PENNA 1963, 54 sgg.; PÒScHL, l’altro dei quali si nota un’evoluzione del personaggio, da femmina ambiziosa e lussu-
68 sgg.; J.V. Luce, « Class. Quart. » 13, 1963, 251 sgg. riosa a donna fiera e coraggiosa (sulla struttura Péschl).
Odi 1-37, 1-12 627
626 Orazio

Malgrado la centralità assunta dalla figura di Ottaviano, l’ode non è una celebra esprime impazienza (il nostro « era ora! », il che non significa che sia tardi, ma ‘ché
lo è dal punto di vista di chi è in ansia). i
zione indiretta del futuro princeps, attraverso il rilievo dato al valore del suo nemico,
come pensano alcuni, ma non è nemmeno un panegirico di Cleopatra, come pen- v. 5 ante hac
— Caecubum: Orazio risponde a se stesso, alla domanda, in particolare,
sano altri. La regina, unica vera protagonista dell’ode, grandeggia nel vizio come nella con cui ha inizio l’epodo 9: quando repostum Caecubum ad festas dapes, | victore laetus
virtù, secondo un modello etico ben noto alla storiografia romana (si pensi al Cati- Caesare, |tecum sub alta (sic Iovi gratum) domo, / beate Maecenas, bibam |... ? (cfr. note
lina di Sallustio). Nella caratterizzazione che del personaggio dà Orazio alla fine del- ad l. e introduzione all’epodo). Quest’atteggiamento, incline a non ‘considerare come
l'ode confluiscono diverse tradizioni culturali: dal modello catoniano del suicidio momento conclusivo della guerra civile la vittoria di Azio, prima della resa defini-
stoico al tema, archilocheo e oraziano, della virile accettazione della sorte (cfr. 1, 7), tiva e della morte del nemico, presuppone che non si sia ancora formato il mito
all’atteggiamento tipicamente romano, che affiora nella storiografia ma anche nella aziaco che caratterizzerà la propaganda di regime (Gagé, Paladini). Sul Cecubo cfr.
poesia virgiliana, del rispetto per i vinti, per la dignità dei nemici che hanno saputo nota a 1, 20,9.
battersi con coraggio, difendendo fino all’ultimo la propria libertà (La Penna). Que-
v. 6 Capitolio: l’assalto al Campidoglio, simbolo della religione e della maestà di
sta ricchezza di tradizioni culturali, questa complessità di atteggiamenti segna soprat-
Roma (cfr. anche 3, 3, 40 sgg.; 3, 30, 7) significa l’assalto al cuore di Roma: Questo
tutto il distacco dal modello alcaico, trasformando il canto di gioia sfrenata in un’ode ed'empio che potesse essere concepito, costituiva uno
tentativo, il più dissennato
« profondamente umana » (Fraenkel).
degli argomenti della propaganda contro Cleopatra: cfr. Cass. Dio. 50, 5, 4; ProP.
Metro: strofe alcaica. 3, 11, 45 sg.; Ov. met. 15, 827 sg. Per l'accostamento di Capitolium a imperium (o. 8),
del dominio al suo centro cfr. Vero. Aen. 9, 448 sg.
v. 1 nunc ripreso anaforicamente nello stesso verso iniziale, sottolinea la gioia e il
sollievo provocati dalla notizia appena giunta, in contrasto con le preoccupazioni del v. 7 regina: Cleopatra non è mai nominata nel corso dell’ode, e il fatto che non lo
passato (v. 5 antehac). sia mai nella poesia augustea (dove è sempre ricordata come regina o mulier o illa)
fa pensare, più che a un atteggiamento ‘cavalleresco’ di Orazio (Pasquali), o alla
bibendum: meno forte del corrispondente ueddo8yy di Alceo (« ubriacarsi »): Orazio
ricerca di effetti magico-evocativi del favolistico regina (Pòschl), al fatto che quel
« giudica grossolano l’ubriacarsi per celebrare la morte di chicchessia » (Pasquali). nome fosse diventato un vero e proprio tabù.
vv. 1-2 pede— tellus: un'espressione per indicare l'opportunità di abbandonarsi alla dementis: riferito per enallage a ruinas, introduce la caratterizzazione della regina
gioia sfrenata, piuttosto che un invito ai Salii a danzare il tribudium (cfr. nota a 1, 36, come presa da follia (cfr. poi impotens, ebria, furor, mens lymphata). Veroè che la de-
12), come vorrebbe un’altra interpretazione. Alcuni ritengono che libero alluda alla mentia e il furor vengono spesso attribuiti agli avversari nell’invettiva politica, ma in
liberazione dalla minaccia; secondo altri, l’espressione significherebbe « a piedi scalzi ».
questo caso il pensiero va alla follia di certe eroine della tragedia.
Ma è probabile che il riferimento sia solo a una danza sfrenata.
v. 8 funus et: cfr. nota a 1, 2,9.
vv. 2-4 Saliaribus — dapibus: riferimento alla cerimonia del lectisternium, durante la
quale le immagini degli dei, collocate su un cuscino (pulvinar) partecipavano al ban- vv. 9-10 contaminato — virorum: anche qui Orazio si riaggancia all’epodo 9: (Roma-
chetto. Era un rito di origine greca, ma che si era fuso con l’usanza italica dell’epulum; nus) spadonibus | servire rugosis potest (v. 13 sg.). La rappresentazione della corte di Cleo-
forse vi erano ammessi i Salii, e in tal caso Saliaribus dapibus potrebbe essere un dativo patra come luogo di vizi è un altro motivo propagandistico: cfr. Prop. 3, 11, 30.
di fine (« per il banchetto dei Salii »). Ma è più probabile che si tratti di un ablativo Morbo dipende da turpium e si riferisce alla perversione sessuale degli eunuchi (cfr.
strumentale retto da ornare, dove Saliaribus equivale a « degno dei Salii », le cui cene Carutt. 57, 6; priap. 46, 2). Virorum è da considerare ironico, malgrado le obiezioni
di Bentley, che, non ammettendo ironia in un contesto di offese violente, emendava
sontuose erano proverbiali (cfr. Fest. 439, 7 sgg. L.).
morbo virorum in opprobriorum, e di Shackleton Bailey, che interpunge dopo turpium,
v. 4 tempus erat: l’uso dell’imperfetto dopo nunc est è stato variamente interpre- interpretando ‘ uomini solo nel vizio ?.
tato: c'è chi vi ha visto un velato rimprovero al Senato per non aver ancora delibe-
rato il lectisternium, chi un riferimento al fatto che la cerimonia non era ancora comin- vv. 11-12 sperare ebria: per la dipendenza dell'infinito dall’aggettivo impotens cfr.
ciata, chi una constatazione che la festa è finalmente cominciata, sia pure con ritardo, quanto accennato nella nota introduttiva. L’allusione all’ubriachezza abituale di Cleo-
chi infine, più verosimilmente, vede in tempus erat una locuzione esclamativa che patra, contenuta in ebria, riflette un motivo propagandistico (cfr. Prop. 3, 11, 55 sg.;
628 ‘Orazio Odi I 37, 13-28 629

PLur. Ant. 29). Il motivo dell’ubriachezza è dominante nella rappresentazione della quae generosius: il relativo si riferisce a senso a Cleopatra, che è logicamente pre
regina in quest’ode (cfr. Commager, Péschl), ma più in un significato metaforico che sente nei versi precedenti, e introduce una costruzione sintattica molto elaborata:
letterale: qui Cleopatra è ubriaca per i successi ottenuti. un periodo composto di due parti, ciascuna delle quali a sua volta è composto da
v. 13 vix— ignibus: deformazione propagandistica della sconfitta di Antonio e Cleo- due membri coordinati (nec-ensem e necvoras; ausarsereno e fortis=venenum). Il pe-
patra ad Azio. In realtà, essi riuscirono, fuggendo, a salvare più di sessanta navi (cfr. riodo è chiuso fra due proposizioni participiali (quaerens; invidens). Generosius è da
Cass. Dio. 50, 34). mettere in rapporto con catenis del v. 20: la fine di Cleopatra fu più nobile di quella
che le era destinata, cioè di sfilare in catene durante il trionfo di Ottaviano.
v. 14 mentem— Mareotico: ancora una sovrapposizione dei due piani, quello lette-
rale e quello metaforico, del motivo dell’ubriachezza: Cleopatra è folle a causa del vv. 22-23 perire —Pensem: poiché l’ode si sviluppa secondo un ordine cronologico,
vino, ma non semplicemente perché, come spiegano alcuni (da Porfirione in poi), non è possibile che qui vi sia un riferimento al primo tentativo di suicidio di Cleo-
l’alcoolismo procura la pazzia. L’intrecciarsi di uno stato di ubriachezza fisica e men- patra, quando fu fatta prigioniera dal legato di Ottaviano, Proculeio (cfr. PLur. Ant.
79). Orazio vuol solo indicare la fermezza della regina, che non si lascia intimorire
tale è un modo metaforico di indicare l’allucinazione e il delirio di potenza di cui
la regina era vittima. Lymphatus è connesso con vippy (« ninfa »), perché si credeva dalle armi di Ottaviano che si sta dirigendo contro di lei; forse non senza un’inten-
che la visione di una ninfa facesse impazzire (cfr. Pau. Fest. 107, 17 sgg. L.). Il vino zione di rispondere a voci che la volevano intenzionata a trattare separatamente e a
menzionato è quello della regione circostante Alessandria, che sorgeva in una striscia tradire Antonio (cfr. Cass. Dio. 51; 6, 5; Prur. Ant. 72). Per nec muliebriter, si noti
di terra fra il lago Mareotis e il mare, zona che produceva un vino pregiato (cfr. come la caratterizzazione positiva di Cleopatra nell’ultima parte dell’ode coincida con
STrAB. 17, 1, 14). un distacco dal modello femminile tradizionale. In tal senso, la Cleopatra di Orazio
è l'archetipo di quella shakespeariana: « my resolution’s placed and I have nothing
vv. 16-17 ab Italia adurgens: Cleopatra fugge dall’Italia (è con volantem che va
of woman in me» (Ant. V, II, 237 sg.).
accordato ab Italia, non con adurgens), perché la meta dell'impresa che fallì ad Azio
era proprio l’Italia. vv. 23-24 necoras: la ‘riabilitazione’ di Cleopatra nella seconda parte dell’ode
vv. 17-18 accipiter
— columbas: la presentazione panegiristica di Ottaviano attinge
comporta un’altra risposta a voci diffamanti circa un tentativo di fuga in Arabia (cfr.
al registro epico: la similitudine dello sparviero e delle colombe. proviene da Hom. Prur. Ant. 69) o in Spagna (cfr. Cass. Dio. 51, 6, 3). Reparareè propriamente il verbo
Il. 22, 138 sgg., ed è una delle più diffuse in poesia elevata (cfr. AEscH. Suppl. 223 che indica lo scambio commerciale (in questo contesto, si riferisce al cambiare l'Egitto
con le coste lontane e nascoste del Mar Rosso o di altri paesi). :
sg.; Prom. 857; Vere. Aen. 11, 721 seg.; Ov. met. 5, 606).
vv. 18-20 leporem — Haemoniae: la seconda similitudine non proviene da Omero, vv. 25-26 ausa — sereno: questa Cleopatra capace di rimanere imperturbabile di fronte
ma da Cat. epigr. 31 Pf., che Orazio aveva avuto presente già in sat. 1, 2, 105 lepo-
allo sfacelo della sua potenza è molto vicina al modello etico del saggio stoico. Iacen-
rem venator ut alta in nive sectetur, e che a sua volta rielaborava elementi di similitu- tem regiam è un'espressione metonimica che indica il crollo del potere regale, non la
distruzione materiale della reggia di Alessandria (se così fosse, saremmo in presenza

a
dini omeriche (Il. 22, 189 dpeopi; 310 Axycoév). Haemonia è il nome mitico della Tes-
di una grave inesattezza storica).
saglia, dal nome del padre di Tessalo, Haemon. Il fatto che Haemonius sia spesso ado-
perato in poesia latina per nominare Achille (cfr. Prop. 3, 1, 26; Ov. ars 1, 682; met: vv. 26-27 asperas— serpentes: secondo la versione divenuta canonica, Cleopatra si

VIALlita
12, 81; am. 2,9, 7; fast. 5, 400), assieme agli echi del libro 22 dell’Iliade qui presenti, uccise facendosi mordere da un aspide nascosto in un cesto di fichi (cfr. PLur. Ant.
ha fatto pensare che in questo passo dell’ode sia adombrata l'assimilazione di Otta- 85 sg.; Cass. Dio. 51, 14, 1), o da due serpenti (cfr. Vero. Aen. 8, 697; Prop. 3, 11,
viano ad Achille (Péschl). 53; FLor. epit. 2, 21, 11). Asperas può riferirsi alla ferocia del rettile velenoso (cfr.
1, 23, 9; 1, 35, 9; 3, 2, 10), ma, in unione con tractare, suggerisce anche l’idea della
v. 21 fatale monstrum: come in 3, 3, 19 fatalis.. .iudex (a proposito di Paride) e in
rugosità della sua pelle a scaglie. L'infinito, con costruzione audace, dipende dall’ag-
Vero. Aen, 2, 237 fatalis machina (il cavallo di Troia), fatale vuol dire « funesto »
gettivo fortis. i i
e qualifica negativamente monstrum, che, malgrado tentativi di interpretàrlo come
valutazione positiva (Luce), è adoperato. in accezione negativa, come spesso nell’in- v. 28 combiberet: paradossalmente, è bevendo, cioè assorbendo il veleno, che Cleo-
vettiva politica (cfr. Cic. Pis. fr. 1; Cael. 12 (a proposito di Catilina); Catil. 2, 1; patra si riscatta e prende coscienza di sé e ‘della realtà, lei che a causa del bere era
Phil. 13, 49; Cluent. 188). divenuta preda di una allucinazione (Commager). i
630 ‘© Orazio Odi I 37, 29 — 38, 8 631

v. 29 deliberata — ferocior: con la sua scelta di morire Cleopatra dà una ulteriore (Nisbet-Hubbard) o di leggerla come una palinodia nei confronti dello ‘sfarzo orien-
dimostrazione della sua fierezza, della sua energia morale. La ferocia animi è una qua- tale’ che caratterizza l’elaborata 1, 37 (Commager), o come elogio di una calma sem-
lità che la storiografia romana amò attribuire ai nemici di grande statura, come Cati- plicità dopo l'esaltazione della vittoria nell'’ode precedente (BorzsAk).
lina (SaLL. Catil. 61, 4) e Giugurta (SaLt. Iug. 54, 5).
Metro: strofe saffica.
vv. 30-32 saevis — triumpho: le navi liburniche, così chiamate perché adoperate per
la prima volta dalla tribù illirica dei Liburni (cfr. ApPIAN. Hlyr. 3, 7), leggere e veloci, v. 1 Persicos...apparatus: il lusso persiano era proverbiale (cfr. Xen. Cyr. 8, 8, 15;
furono usate da Ottaviano ad Azio (cfr. Cass. Dio. 50, 18, 4 sg.). Saevis Liburnis può Nrp. Paus. 3, 2; PLuT. fort. Alex. 342a; corp. paroem. gr. 2, 38; ATHEN. 144 sg.),
essere dativo retto da invidens (con superbo. ..triumpho ablativo strumentale) o abla- ma il riferimento allo sfarzo della Persia implica, in generale, un rifiuto della luxuria
tivo strumentale (con superbo. ..triumpho dativo di fine). orientale.
v. 2 philyra: nome greco del tiglio, dalla cui corteccia si ricavava un filo, che è quello
v., 31 privata: Cleopatra muore, come Catone Uticense, per affermare la propria
a cui ci si riferisce qui, adoperato per intrecciare ghirlande di fiori (cfr. PLIN. nat. hist.
libertà di fronte al nemico; ciò significa per lei, nello stesso tempo, affermare la propria
16, 65).
dignità regale. Cfr. anche Cass. Dio. 51, 11, 2. Plutarco (Ant. 85, 3) ci dice che Cleo-
patra morì vestita da regina (e Shakespeare: « give me my robe, put on my crown »). v. 3 mitte sectari: per questo costrutto di proibizione cfr. epod. 13, 7 cetera mitte
loqui; PrauT. Pers. 207 mitte male loqui; Ter. Andr. 873; 904; Lucr. 6, 1056.
vv. 3-4 rosa moretur: se fioriscono le ultime rose, siamo alla fine dell’estate, o
tutt'al più all’inizio dell'autunno, poiché, a parte casi eccezionali come quello della
38 duplice fioritura annua dei roseti di Pesto, le rose in Italia erano fiori primaverili,
e non vivevano oltre l’estate: cfr. 2, 3, 13 sgg.; THroPHR. hist. plant. 6, 8, 2; Cic. Verr.
REITZENSTEIN, 15 sg.; PASQUALI, 324 sg.; L.J.D. RicHaRDSON, « Hermathena » 59, 5, 27; Corum. 12, 28, 3. Coltivare rose fuori stagione era un segno di ricercatezza e
1942, 129 sgg.; FrAENKEL, 297 sgg.; CommacEr, 117 sg.; 313 sg.; H. DAHLMANN, di lusso che suscitava condanna morale: cfr. SEN. epist. 122, 8 non vivunt contra natu-
« Gymnasium » Beih. 4, 1964, 47 sgg.; I. BorzsAk, « Ziva Ant.» 25, 1975, 76 sgg.; ram qui hieme concupiscunt rosam?
P.G. TooHEy, « Maia » 32, 1980, 171 spp. v. 5 myrto: forse Orazio ricorda proprio il mirto in quanto pianta sacra a Venere;
nel contesto simbolico, l'elemento erotico nella poesia.
Non vi sono indizi cronologici in questa breve ode, che potrebbe comunque
vv. 5-6 nihil — curo: comunemente si interpreta nihil allabores curo come equivalente
essere una fra le ultime della raccolta dei primi tre libri, poiché proemi ed epiloghi
di solito vengono composti alla fine. a non curo quicquam allabores, ma è interessante l’interpretazione di Fraenkel, secondo
cui nihil è forma enfatica di negazione, da unire a curo (nihil curo è della lingua col-
Non vi è un vero e proprio destinatario: lo schiavo cui è rivolta l’apostrofe ini-

il rnarnnmn
loquiale: cfr. PLauT. Most. 526 etc., ma anche della poesia dattilica: cfr. CATuLL. 64,
ziale (puer) fa solo parte della situazione poetica che Orazio ha avuto presente nel
148), e allabores intransitivo (come nell'altra attestazione oraziana, in epod. 8, 20;
comporre l’ode, cioè la preparazione di un convito. Si tratta di un motivo partico-
coniato probabilmente da Orazio, il verbo è poi usato soltanto una volta da Tertul-
larmente diffuso nell’epigramma; in particolare, 1, 38 è stata confrontata con alcuni
componimenti in cui si elogia la semplicità del convito, come NicAENET. I, 146, 4 liano); se non fosse per l’iperbato troppo forte che bisognerebbe ammettere fra nihil
e curo. Non è invece da prendere in considerazione la spiegazione di chi riferisce se-
Gow-Page o PHiLonem. anth. Pal. 11, 34 (Reitzenstein).
dulus a curo (Richardson).
L’ode svolge la funzione di un commiato e, secondo la tradizione dei proemi
e degli epiloghi, espone un programma poetico, che, a causa di quell’identità di stile v. 6 ministrum è il puer, in quanto serve a tavola: cfr. CATULL. 27, 1 minister vetuli
e di vita, di saggezza e di poesia che abbiamo più volte indicato come tipicamente puer Falerni.
oraziana, è anche un programma di vita, e che può essere definito; in breve, come vv. 7-8 sub — vite: difficile decidere se si debba intendere « sotto un folto pergolato »
scelta della semplicità e dell’essenzialità. L’interpretazione simbolica è senz'altro quella (così già Porfirione) o « sotto uno stretto pergolato » (il che rafforzerebbe il concetto
giusta; non convincono tentativi di riportare l’ode’a un senso del tutto letterale di semplicità e modestia espresso nell’ode).

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