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1. Preludio
1 Per i dettagli relativi ai metodi di raccolta dei dati e alla composizione del gruppo
di intervistati/e, si veda l’introduzione al presente volume.
2 Si veda ad esempio D. Hargreaves, D. Miell, R. MacDonald (eds), Musical imagi-
nations: Multidisciplinary perspectives on creativity, performance and percep-
tion, Oxford University Press, New York 2011.
3 Si veda ad esempio N. Donin, Engagements créatifs. Luciano Berio, Heinz Hol-
liger et la Sequenza VII pour hautbois, in «Genesis. Revue internationale de
critique génétique», 41, 2015, pp. 103-117.
4 Si vedano ad esempio: P.-M. Menger, Le Paradoxe du musicien: le compositeur,
le mélomane et l’État dans la société contemporaine, Flammarion, Parigi 1983;
M.-C. Bureau, R. Shapiro, Introduction «Et à part ca, vous faites quoi?», in M.-C.
Bureau, M. Perrenoud, R. Shapiro (éds), L’artiste pluriel : Démultiplier l›activité
pour vivre de son art, Septentrion, Parigi 2009.
5 R. Laermans, Moving Together. Theorizing and Making Contemporary Dance,
Valiz, Amsterdam 2015, p. 290.
6 H. Ravet, Musicien «à part entière». Genre et pluriactivité, in M.-C. Bureau, M.
Perrenoud, R. Shapiro (éds), op. cit.
208 Creatività musicali. Narrazioni, pratiche e mercato
tività musicale delle persone intervistate7 negli stralci citati nel prosieguo
di questo capitolo. L’analisi guarda al modo in cui i musicisti danno senso,
descrivono, spiegano e giustificano le proprie scelte creative e decisioni
lavorative, le traiettorie intraprese nel campo, le visioni della musica come
oggetto sociale, come arte e come professione, nella consapevolezza che
tale lavoro di costruzione di senso e narrazione di sé attinge ampiamente
a risorse culturali condivise quali schemi discorsivi di rappresentazione e
interpretazione,8 «generi narrativi e idiomi di espressione di sé»9 che sono
appunto oggetto dell’analisi qui condotta.
Più in particolare, l’analisi parte da un’ambivalenza, da una tensione
dialettica che permea i racconti degli intervistati, i quali oscillano discor-
sivamente – e, a ben guardare, raccontano di ripetute oscillazioni lungo il
percorso di apprendimento e carriera – tra la necessità di «appartenere»
al campo della musica, cioè sentirsi parte e venire riconosciuti parte della
sua comunità artistica, da un lato, e, dall’altro, il bisogno di «affermarsi»
e venire riconosciuti come artisti originali, creativi unici, geni musicali,
rispettando così uno dei capisaldi culturali e retorici dei mondi dell’arte,10
quello della «singolarità»,11 e posizionandosi strategicamente nel campo
artistico-professionale.12
7 Poiché su 54 persone intervistate solo 9 sono donne, in quanto segue userò il ma-
schile per riferirmi agli artisti e alle (poche) artiste considerati/e. Per una lettura
di genere del mondo della musica, si vedano ad esempio: M.J. Citron, Gender,
Professionalism, and the Musical Canon, in «The Journal of Musicology», VIII,
1, 1990, pp. 102-117; F.E. Maus, Music, Gender, and Sexuality, in M. Clayton, T.
Herbert, R. Middleton (eds), The Cultural Study of Music: A Critical Introduction,
Routledge, Londra 2011, pp. 317-329.
8 Cfr. T. Zembylas, M. Niederauer, Composing Processes and Artistic Agency. Tacit
Knowledge in Composing, Routledge, New York 2018.
9 P. Atkinson, Everyday Arias. An Operatic Ethnography, AltaMira Press, Lanham
2006, p. 185.
10 H.S. Becker, Art worlds, University of California Press, Berkeley 1982, tr. it di
M. Sassatelli (a cura di), I mondi dell’arte, il Mulino, Bologna 2004. Per una
lettura relativa ai mondi della musica, si vedano: N. Crossley, W. Bottero, Social
Spaces of Music: Introduction, in «Cultural Sociology», 2015, IX, 1, pp. 3-19; N.
Crossley, Music Worlds and Body Techniques: On the Embodiment of Musicking,
in «Cultural Sociology», 2015, IX, 4, pp. 471-492.
11 Cfr. N. Heinich, L’Elite artiste: Excellence et singularité en régime démocratique,
Gallimard, Parigi 2005; Id., The Sociology of Vocational Prizes: Recognition as
Esteem, in «Theory, Culture and Society», 2009, XXVI, 5, pp. 85–107.
12 Cfr. P. Bourdieu, Les règles de l’art. Genèse et structure du champ littéraire, Édi-
tions du Seuil, Parigi 1992, tr. it. di A. Boschetti, E. Bottaro, Le regole dell’arte.
Genesi e struttura del campo letterario, Il Saggiatore, Milano 2005.
C. Bassetti - La costruzione della creatività musicale 209
Questa dialettica, certo non esclusiva del mondo della musica, si gio-
ca su due piani, o meglio interseca un secondo asse, i cui due poli sono
rappresentati da quelli che potremmo definire il musicista come figura so-
ciale, ad incarnare la quale si è orientati in particolare quando la musica è
considerata e praticata come attività di studio, e dal musicista come figura
artistica, al centro quando l’attività musicale viene primariamente intesa
come lavoro e professione (si veda anche Tabella 1).
Appartenenza Singolarità
Il musicista status sociale via talento La musica
come figura musicale come studio
sociale
Il musicista sapere e saper che media sé musicale La musica
come figura fare condiviso l’espressione incomparabile come lavoro
artistica di un
15 Per questo e tutti gli estratti seguenti, nella parentesi quadra indico, nell’ordi-
ne, pseudonimo, età al tempo della ricerca (2016) e principali attività in campo
musicale. Queste ultime, sono quelle attraverso cui le persone si sono descritte e
definite nel corso dell’intervista.
16 T. Zembylas, M. Niederauer, op. cit.
17 C. Goodwin, Professional Vision, in «American Anthropologist», 1994, XCVI, 3,
pp. 606-633.
18 Per un’analisi della dimensione longitudinale più approfondita, nonché estesa ad
altri artisti performativi (della danza oltre che della musica) e diversi paesi (Gran
Bretagna, Stati Uniti, Spagna, Italia), si veda C. Bassetti, D., Muntanyola, The
C. Bassetti - La costruzione della creatività musicale 211
Nella composizione l’insegnate può ovviamene dare dei consigli però è so-
prattutto un lavoro personale, come la scrittura di un libro. Nel senso che si fa
molto esercizio su quello che gli altri hanno scritto, si lavora sui vari composi-
tori, su tutti i linguaggi, ma poi è proprio un lavoro personale di ricerca. [Ilaria
– 33, contrabbassista, compositrice e insegnante]
Oltre ad essere ricorrente – quasi un’etichetta per tutto ciò che concerne
la musica ma non il Conservatorio – l’aggettivo «personale» è utilizzato
con un’accezione piuttosto specifica: più che indicare un lavoro indivi-
Craft of Performing Artists. Skill, Identity and the Learning Curve, presentato
alla 13th European Sociological Association Conference, Atene, 29 agosto - 1
settembre 2017.
212 Creatività musicali. Narrazioni, pratiche e mercato
duale (la pratica con altri musicisti è infatti inclusa), esso indica un agire
in relazione alla musica che non è etero-diretto ma auto-diretto e che non
segue percorsi, esercizi e modalità prestabilite, convenzionali e, per così
dire, uguali per tutti. In altre parole, la ricerca personale è tale poiché tiene
conto della singolarità del musicista, dei suoi talenti e interessi.
Un secondo tema interessante che emerge dagli estratti sopra riportati
riguarda il ruolo dell’insegnante e, per estensione, della didattica istituzio-
nale. Nonostante la quasi totalità degli intervistati, nel raccontare il proprio
percorso, abbia sottolineato l’importanza di un mentore, e nonostante mol-
ti siano docenti essi stessi, il ruolo dell’insegnante, soprattutto quando la
conversazione verte sullo studio in Conservatorio in generale più che sulle
proprie vicende biografiche, viene inquadrato nei termini di «riferimento»
(altra ricorrenza semantica), qualcosa che, come un faro, può essere utile
per orientarsi, ma da cui in ultima analisi occorre distaccarsi, se si desidera
avventurarsi in mare aperto.
[…] manca tante volte una ricerca personale… e io credo che bisogna af-
francarsi dagli insegnanti e cominciare a pensare con la propria testa. [Denis
– 41, pianista, compositore e insegnante]
Ritengo che la musica tu possa impararla da solo in una spiaggia deserta con
cento CD e… Poi è evidente che, se uno non ha lo stimolo di studiare, avere un
insegnante che ti chiede qualcosa […] Io molte cose che ho imparato, soprattut-
to nel jazz, le ho imparate da solo, tutte… Quando sono andato a fare il corso,
è stato diciamo un pro forma. Vale per tutti, questo percorso vale per tutti. Uno
che va in Conservatorio e spera di imparare [robe] che uno insegna, ha sbaglia-
to. Devi studiare da solo. L’insegnante è soltanto un riferimento. [Francesco
– 51, contrabbassista e compositore]
19 Il riferimento principale è qui M. Weber, Geistige Arbeit als Beruf, Duncker und
Humblot, München 1919, tr. it. di A. Giolitti (a cura di), Il lavoro intellettuale
come professione, Einaudi, Torino 1993; Id., Gesammelte Aufsätze zur Religions-
soziologie, J.C.B. Mohr, Tübingen 1921, tr. it. di P. Rossi (a cura di), Sociologia
della religione, Edizioni di Comunità, Torino 2002.
C. Bassetti - La costruzione della creatività musicale 213
[…] solfeggio ((risata)), che è una cosa che molti odiano e che io all’inizio
ho cercato di evitare, che però alla fine è quello che mi ha portato di più perché
è stata l’alfabetizzazione finale, senza la quale, almeno da quello che riesco a
dire adesso, non è possibile fruire di un certo tipo di musica –di tutta la musica–
e specialmente di avere- di potersi definire… non dico musicista, però facente
parte di questa area professionale del musicista. Cioè, il non alfabetizzato, se-
condo me, ha più difficoltà a riuscire a esprimere quello che lui pensa di poter
esprimere nel mondo musicale. [Donald – 46, insegnante e compositore]
3. Primo intermezzo
ne che hai tu. […] Però qual è il rischio? Che a una certa ti ingrippi, entri nella
tecnica e ti perdi… [Mario – 35, pianista e compositore]
ma anche di lavoro, e dall’altra il piacere anche di fare musica con gli amici e di
altro genere. [Michele – 49, compositore, clarinettista e insegnante]
Che spazio resta, in tutto questo, alla singolarità creativa, se è vero, come
sostiene Ravet, che pluriattività e poliestetismo svolgono un ruolo centrale
nella costruzione dell’identità musicale e di un proprio stile personale21?
Forse ciò che resta è il riconoscimento da parte dei pari. Infatti, quando si
appartiene al mondo della musica, a comparazione e competizione – che
durante l’apprendimento e le prime esperienze lavorative funzionano come
meccanismi impliciti di auto-correzione –22 si sostituiscono reciproca ispi-
razione e confronto collaborativo tra identità musicali ormai legittimate e
ritenute tra loro incomparabili.
In questo modo due dei pilastri concettuali e retorici dei mondi dell’ar-
te restano intatti: da un lato, l’arte come impresa collettiva, in termini di
tradizione, convenzioni, pratiche, trasmissione del sapere, confronto e col-
laborazione («impari a relazionarti, a fare le cose», «sapere cosa vuol dire
suonare dentro l’orchestra classica»); dall’altro, l’artista come individuo
unico e singolare («ognuno ha il suo linguaggio, il suo stile…»). Si tratta
peraltro di due facce della stessa medaglia: se due artisti fossero intercam-
biabili, sostituibili l’uno con l’altro senza alcun effetto sul prodotto artisti-
co, allora la collaborazione non sarebbe altro che alternanza alla catena di
montaggio. Poiché invece ogni artista è assolutamente singolare, la colla-
borazione, che certo necessita di un terreno comune per svilupparsi, è un
lavoro il cui risultato è maggiore della somma delle parti.
5. Secondo intermezzo
Quindi trovare le idee, sentire i lavori che sono stati fatti… la memoria
storica ci deve essere. Non è che uno si alza la mattina e inventa! Non inventi
niente, tutto è già stato fatto. Però puoi cercare delle idee e immaginare che,
se ci metti quella cosa tua, la rendi personale. Senti tante proposte e poi fai la
tua. [… È] la differenza con un dilettante, che pensa di fare di ogni brano la sua
opera migliore: pensa all’armonia, alla melodia, alla strumentazione… due bat-
tute e si ferma. Quando porti troppa roba insieme non ce la fai. Invece il profes-
sionista sa selezionare, capisce la legge dell’economia, che «meno è meglio»:
quindi parte da un’idea, la sviluppa, poi vede come migliorarla. […] Quello che
distingue un dilettante da un professionista secondo me è: non deve aspettare
l’ispirazione ma scrive perché sa come procedere e ha la tecnica, e non strafà
perché meno è meglio [Luca – 40, compositore, sassofonista e insegnante]
6. Coda
Bibliografia
27 Cfr. G.H.F. Hegel, Phänomenologie des Geistes, Bey Joseph Anton Goebhardt,
Bamberg und Würzburg 1807, tr. it. di E. De Negri (a cura di), Fenomenologia
dello spirito, La Nuova Italia, Firenze 1973.
C. Bassetti - La costruzione della creatività musicale 223
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